Narrazione, territorio, paesaggio: il folklore come mitologia · metafora, metamorfosi e il posto...

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Alberto Borghini Varia Historia Narrazione, territorio, paesaggio: il folklore come mitologia ARACNE

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Alberto Borghini

Varia Historia

Narrazione, territorio, paesaggio: il folklore come mitologia

ARACNE

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via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 88–548–0194–1

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I edizione: settembre 2005

Indice

11 Capitolo 1A mo’ di introduzione:metafora, metamorfosi e il posto del soggetto

45 Capitolo 2Il bastone/scopa, il noce/nocciolo, l’essere del negativo.Effetti di ‘circolarità’ identificante

65 Capitolo 3Un racconto piemontese e uno siciliano: il ‘figlio troppo mangione’

77 Capitolo 4Metamorfosi e ingegneria mitiche; toro/vacca/bue e dimensione celeste. L’archivio di Piazza al Serchio (Lu)

89 Capitolo 5Le streghe sopra le piante. A proposito di alcuni ‘rimedi’ piemontesi

103 Capitolo 6Il taglio del cavolo, la testa, l’orecchio

117 Capitolo 7Una tradizione piemontese e il ‘modello’ della mandragola

121 Capitolo 8Un vecchio che chiede ospitalità

137 Capitolo 9I fantasmi di Ecate ed alcune rappresentazioni folkloriche ‘attuali’

143 Capitolo 10A proposito del convegno delle streghe: la denominazione “barlot/barilott”

161 Capitolo 11La serpe che succhia latte da una vacca in un racconto friulano. Tratti del contesto

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173 Capitolo 12Gioco del lotto e immaginario: il basilisco

187 Capitolo 13Petr. Satyr. LXII 13 (tanquam bovis) e LXIII 5 (bovem iratum tollere)

197 Capitolo 14Un lupo ululante e le metamorfosi di una “busa”.In margine a Petr. Satyr. LXII

205 Capitolo 15La fontana e la capra. Alcune estensioni

217 Capitolo 16“Mandràule”, la salamandra

229 Capitolo 17Folklore attuale e mitologia antica: il bambino–serpente, un racconto relativo a Erittonio

251 Capitolo 18Ancora a proposito del cappello della paura e dell’abito da sposa.Alcune estensioni

289 Capitolo 19Le castagne, la padella e la testa di morto in un racconto della Val Sangone (prov. Torino)

307 Capitolo 20Il sacco di farina. Ancora a proposito del racconto astigiano del diavolo nel sacco

341 Capitolo 21La zolla e la masca. Una tradizione antica, un passo di Shakespeare ed altro

351 Capitolo 22“La scommessa del silenzio”. Una variante valsusina; e alcune considerazioni

361 Capitolo 23Il letto che ‘guarda’ la finestra

367 Capitolo 24L’“assa di filo appesa alla croce”. A proposito di un’usanza funebre

Indice8

371 Capitolo 25I denti inadatti dei morti. Folklore attuale e onirocritica antica

375 Capitolo 26La veglia funebre e un passo antico (Apul. Met. II 22). Precisazione supplementare

381 Capitolo 27La torre fasciata di Cuorgnè

385 Capitolo 28A proposito di una figura della paura della Valsesia. Linee di contestualizzazione

391 Capitolo 29Il “bufone” dal naso, sullo sfondo di una tradizione antica. Nota di folklore garfagnino

395 Capitolo 30Segnalazioni dal folklore neogreco

399 Capitolo 31I bambini “in una curva in mezzo a un bosco”

405 Capitolo 32Pranzo e suicidio. Nota supplementare

407 Capitolo 33“Pét(t)a”, “pitta”, “pizza”. Una via etimologica

411 Capitolo 34“tutta sotto a delle foglie delle piante”: a proposito di un racconto ossolano

447 Capitolo 35Pinocchio nuotatore “come un delfino”. Momenti di un paesaggio marino

453 Capitolo 36Gino Gorza e lo spazio

Indice 9

Capitolo 2

Il bastone/scopa, il noce/nocciolo, l’essere del negativo.Effetti di ‘circolarità’ identificante

Con questo breve intervento vorrei mettere in risalto un certo giocodi interscambi quale si va attuando fra il piano delle realizzazioni meto-nimiche (basate sul principio di contiguità) e il piano delle realizzazionimetaforiche (in quanto basate sul principio di identificazione). Gli effet-ti metamorfici rientrerebbero in tal modo nel campo del metaforico.

Mi riferirò qui, tanto per la metonimia quanto per la metafora(/meta-morfosi) a correlazioni che altrove ho chiamato di prima istanza: valea dire, a correlazioni tra un essere del negativo (streghe, diavoli, figuredella paura), da un lato, e un ‘oggetto’–significante (un elemento se-mantico dunque), dall’altro lato.

***È noto che le streghe sono dotate di bastone o scopa; è noto, d’al-

tronde, che le streghe (i convegni delle streghe) stanno (si svolgono) inrapporto di stretta correlazione con delle piante: ad esempio (o soprat-tutto), il noce.

Vediamo dunque di delineare quella che è la cornice semantico–as-sociativa che soggiace a siffatte tradizioni.

***L’effetto di contiguità intercorrente fra la strega, da una parte, e il

bastone o la scopa, dall’altra parte, rinvia a ‘corrispondenti’ momenti diidentificazione fra — per l’appunto — la strega e il bastone o scopa(piano del metaforico/metamorfico).

Circa il rapporto di identità/identificazione fra masca e bastone (ocanna) si può far riferimento alla seguente tradizione, raccolta nel ter-ritorio del comune di Cervere (fraz. Tetti Chiaramelli), in provincia diCuneo:

Sai la canna, il bastone che una volta portavano gli uomini… Eh ben, questobastone a volte dava dei problemi. Specialmente di sera, si trasformava a volte

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in gatto, a volte in cane, e loro si trovavano accanto uno di questi animali, alposto del bastone.Una sera c’erano due amici in giro la sera, tutti e due avevano il bastone. Adun certo punto, uno dei due bastoni si deve essere trasformato, perché deveessere successo che uno dei due ha visto un animale che camminava di fiancoal suo amico e senza pensarci tanto su e preso dallo spavento ha cominciato abastonarlo e quello è corso via. Il giorno dopo la mamma di questo suo amicoera a casa ammalata e non poteva camminare perché aveva una gamba che lefaceva male. 1

Dall’Astigiano, e precisamente da Costigliole, giunge un’altra, assaiinteressante, testimonianza, relativa ad una masca che “diventava unascopa”: 2

Poi ce n’era un’altra, una suocera che sua nuora aveva già avuto un bambino,o che doveva averne un’altra, ma il primo bambino è morto, quella… quellasuocera, ha detto che andava sopra la culla e poi diceva: “Oh, mi dispiace,povera bambina, ma devi morire, non scampi ancora due giorni”, e quella bam-bina è morta. Poi a lungo andare… lei (la nuora cioè) doveva averne un altro,e lei (la suocera–strega cioè) andava sempre sopra quella culla e di nuovo pre-ciso: “Mi dispiace, è già morta tua sorella, e adesso muori anche te”. Poi dove-va ancora averne una (la nuora cioè), ha detto che quella donna, quella mamma,è andata a dirlo al prete, ma quello dicevano che era il prete della Motta che ledava una risposta, non che fosse stato lui, lei è andata a confessarsi dal prete egli ha detto: “Mi sono già morte due bambine e adesso ho paura che me nemuoia ancora un’altra”, e lui ha detto che gli ha detto: “Prendi la scopa, la portiqui e la benediciamo”, quella quando andava sopra la culla ha detto che diven-tava una scopa quella masca, quella donna, quella suocera. Adesso, una volta laraccontavano così, e allora ha detto che quel prete ha benedetto quella scopa, equella scopa si è messa a saltare, saltare, saltare, e quella scopa è saltata fino acasa di quella lì, e lei, quella donna che andava sempre a dire alle bambine chemorivano, ha visto quella scopa arrivare in casa e ballarle attorno e lei… lei hapreso quella scopa e l’ha percossa e si è rotta lei una gamba… vedi, è andata afinire… a noi una volta la raccontavano così… come facevano… noi una voltaci credevamo… perché stavi solo lì attento.

Anche in Val di Susa (prov. Torino), nella zona di Chianocco, sinarra di una donna — una masca evidentemente — che nottetempo, pergelosia, “si è fatta diventare una scopa e ballava per la strada”:

Mia nonna mi raccontava che da Pavaglione venivano in qua a trovare leragazze, qui a Strobietti. Allora questo ragazzo qui è andato a Strobietti per

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trovare una ragazza anche. Poi una sera è venuto in qua, aveva da attraversa-re il ruscello e lui ha detto così: “Ora, con l’acqua grossa così, come faccio?!Non posso più arrivare io ad attraversare il ruscello, per andare a casa, con unapiena così”. Tornando indietro un pezzo sente urlare. E poi dice che ha trova-to una scopa che ballava, ma non era poi la sua ragazza, ma era un’altra cheera gelosa che lui andava a trovare questa ragazza e si è fatta diventare unascopa e ballava per la strada a fargli paura. 3

***Prendendo ora le cose da un altro punto di vista, ricorderei come non

di rado i convegni delle streghe avvengano in prossimità o sopra lepiante. Siamo di fronte — risulta evidente — ad un tipo di relazioneche è di contiguità (metonimia).

A sua volta, il noce è per eccellenza la pianta delle streghe.

Orbene, sarà interessante rilevare che in una tradizione riscontrata inprovincia di Vercelli (Maglione), concernente altresì il tema delle stre-ghe che “ballano sulle piante”, si tratta della trasformazione di una stre-ga in un noce. Non solo, ma si conclude che è proprio “a causa di quel-la pianta” che “le streghe ballano lì” (in quel determinato posto cioè, esopra le piante). Così la testimonianza raccolta: 4

Una volta si diceva che le streghe ballavano sulle piante… sugli alberi neh…era così; quando io ero piccolo mio papà diceva sempre che se vai a spasso lanotte vedi le streghe che ballano sulle piante… Qui c’è una via lunga che hatutti alberi, di qua e di là, come un viale neh… e la chiamavano “via ad sum-mia” (via della scimmia cioè), perché dicevano che c’erano le streghe o lescimmie che è lo stesso, che ballavano sulle piante… se passavi di lì la sera tispaventano e ti fanno paura neh… poi un mio amico diceva che lui in “via adsummia” sapeva una storia… sapeva una storia su questo posto, che lì unavolta una strega… proprio una strega si era trasformata in una pianta… eradiventata una pianta di noci… un noce… e… e quella pianta è lì ancora ades-so e… e si dice che a causa di quella pianta, che le le streghe ballano lì… lì inquella via neh. 5

Insomma, quantomeno a detta dell’informatore, la contiguità fra lepiante del suddetto viale (in fin dei conti il “posto” medesimo) e le stre-ghe ‘deriverebbe’ dalla trasformazione della strega in pianta: in noce,più precisamente. 6

Il bastone/scopa, il noce/nocciolo, l’essere del negativo 47

Alle streghe dotate di scopa o bastone (contiguità) corrispondonotradizioni relative alle streghe che assumono l’aspetto di un bastone odi una scopa (identificazione). Alle streghe che ballano sopra le piante(contiguità) corrisponde il racconto relativo alla strega che “si era tra-sformata” in una pianta (identificazione): un noce, pianta per eccellen-za delle streghe. 7

Focalizzando infine l’attenzione su una pianta come il noce, o simi-li, ritengo di poter affermare che il cerchio delle corrispondenze vienein qualche modo a ‘concludersi’ — ma in verità parzialmente o provvi-soriamente — se si tiene conto di una tradizione come questa, prove-niente dalla Valchiusella, in provincia di Torino, concernente (fra l’al-tro) la “bacchetta”/”bastoncino” di un “diavolaccio”, Sarsunga, cheviveva nei pressi del Monte Marzo: 8

Mia nonna Maddalena, che si chiama come me, viveva a Vidracco inValchiusella, mi raccontava spesso la storia della roccia che urla. Ai tempi deitempi, nei pressi del Monte Marzo, in fondo alla Valchiusella, viveva un diavo-laccio di nome Sarsunga, che aveva un pessimo carattere e si divertiva a com-binare brutti scherzi ai montanari del luogo. Spaventava gli agnellini, scambia-va sulle tavole lo zucchero con il sale, metteva dei sassolini 9 nelle culle deibambini, ma il suo divertimento preferito consisteva nello scatenare dei furiositemporali servendosi di una sua bacchetta magica e una formula segreta. Un belgiorno d’estate, impaziente di scatenare un nuovo temporale, Sarsunga non siricordò di mettersi al riparo e fu sorpreso all’aperto dalla pioggia e dalla gran-dine che aveva scatenato. Nella fretta di cercare un rifugio toccò con la bacchet-ta stregata la parete rocciosa della montagna, la quale si aprì accogliendolo alsuo interno, ma, mentre egli vi si infilava in tutta fretta, il bastoncino gli caddefuori, ai piedi della montagna che intanto si era rinchiusa.E da allora Sarsunga, chiuso nella sua prigione di pietra, urla e strepita spaven-tando i viandanti che passano sotto il maestoso nocciolo, nato dalla bacchettamagica che gli era caduta di mano mentre cercava riparo”. 9

Il “maestoso nocciolo” che segna — diciamo così — il luogo dellapaura nasce dalla “bacchetta”/”bastoncino” del diavolo.

***Ai nessi di metonimia intercorrenti tra essere del negativo e ba-

stone/scopa da un lato e ai nessi di metonimia intercorrenti tra essere delnegativo e pianta dall’altro lato (noce/nocciolo in particolare).

Capitolo 248

Il bastone/scopa, il noce/nocciolo, l’essere del negativo 49

corrispondono le identificazioni (forme metamorfiche) corrispon-denti:

essere del negativo

bastone/scopa

noce/nocciolo

metonim

ia

metonimia

essere del negativo

bastone/scopa

noce/nocciolo

metafo

ra

metafora

Capitolo 250

bastone

“maestoso nocciolo”

Si otterrà, grosso modo, un quadro delle identificazioni correlatequale il seguente:

essere del negativo

scopa/bastone

noce/nocciolo

Ma, oltre ancora, si riscontra uno svolgimento del tipo:

Il bastone/scopa, il noce/nocciolo, l’essere del negativo 51

***Riassumendo, quelle che chiamerei posizioni sintattiche della meto-

nimia (le posizioni sintattiche che si costituiscono per rapporto di conti-guità col soggetto, in questo caso soggetto della paura) sembrerebbero‘derivare’ da serie articolate di soggiacenti processi di identificazione.

A loro volta, gli stessi processi di identificazione vengono non dirado a correlarsi fra loro (e non soltanto quando risultano referenzial-mente coordinabili). 10

Con l’identificazione siamo, per così dire, all’ ‘origine’, ma anche‘al di là’ della sintassi.

Note

1. Informatrice Grazia, 35 anni circa, inter-vistata durante il novembre 2000 da Luca eMarco Giaccardi nell’ambito di un lavoro ditesi, da me progettato e diretto (Antropologiaculturale – Politecnico di Torino), sul folklo-re di alcune località della provincia diCuneo. Cfr. anche il mio Ancora sulla corre-lazione fra streghe e pezzi di legno. A propo-sito di un passo del Malleus maleficarum, inBorghini, Semiosi nel folklore II. Prospettivetipologiche e analisi ‘locali’, Piazza alSerchio (LU), Centro di documentazionedella tradizione orale 2001, pp. 391 sgg. Adun “pezzo di bastone” viene paragonata unacelebre masca della Valle Maira (prov.Cuneo), “Sabroto la longio”: si tratta, nellatestimonianza cui mi riferisco, della mascain fin di vita (informatore Claudio, 70 annicirca, di Preit di Canosio, intervistato duran-te il novembre 2004 da Flavia Brignolo, miaallieva presso il Politecnico di Torino, nel-l’ambito di una ricerca, da me organizzata ediretta, sul folklore di alcune località delPiemonte; cfr. più in basso, nel corso di que-sta stessa nota). Altre volte questa stregaviene del resto paragonata ad un palo (“altacome un palo”): E. Milano, Nel Regno dellaFantasia. Leggende della Provincia diCuneo, Torino, Fratelli Bocca 1931, rist.Torino, Omega 1998, Sabrota la longia, inpart. p. 39. Oppure viene paragonata a una

pertica (“alta e magra come una pertica”): G.P. Viberti, Storie di masche piemontesi,Colognola ai Colli (VR), La libreria diDemetra 1999, Sabrota la Longia, in part. p.36. Per aspetti correlati si consulti il mio Aproposito di una strega piemontese: “grossa[…] come la ruota di un mulino”, inBorghini, Semiosi nel folklore II…, cit., pp.165 sgg., nota 36, pp. 190 sgg., in part. p.191. In una attestazione raccolta a Sant’Al-bano Stura, non distante da Fossano (prov.Cuneo), è l’immagine di un ramo secco elungo che viene reiteratamente evocata, se-condo un effetto che in qualche modo richia-ma la climax. Sabroto scompare, infine, vo-lando via, attraverso la finestra, sopra lascopa/bastone (nesso metonimico di collega-mento fra, per l’appunto, scopa/bastone emasca): “Ah, Sabroto, era una strega cattivacattiva, lunga, secca, magra magra magra,come un ramo secco, lunga lunga, eh già,quella lì che faceva tante cose cattive, io nonle mica mai viste, eh, però… che si diceva,che… quello dice… che quella fa delle cosestrane, che non è mica una masca, ma io nonlo so, magari non erano poi… nemmeno unamasca, però uno fa le cose strane… quandosei in un paese, quando tutti ti conoscono,così dici: “Quella è la masca, una strega”.E… che però… che quella, anche se era unastrega, era cattiva, tutti si conoscono in unpaese, sai, anche il parroco la conosceva, no,e allora andava in giro (la masca cioè), tutti

Capitolo 252

la vedevano, ma nessuno la voleva trattaremale perché nessuno voleva che lei facevadei dispetti, no, allora la trattavano bene. Epoi allora per dieci giorni nessuno l’ha piùvista… strano, che lei usciva tutti i giorni dicasa… allora per dieci giorni non l’hannopiù vista, e la gente un po’ andava dal parro-co e chiedeva, allora il parroco ha detto:“Che vado a casa sua”… e vede un po’ cosac’è. E allora, che il parroco c’è andato dav-vero a casa sua e l’ha vista lì ancora piùlunga, ancora più secca. Sembrava semprepiù un ramo secco lungo lungo, come queirami d’inverno, quei rami che… che cadonoper terra, e allora l’ha guardata e le ha detto:“Mah, io non lo so, non dovrei dirlo, però tiposso aiutare?”. E lei gli ha detto: “Tu, aiu-tarmi non mi puoi aiutare, perché non seidella mia famiglia. Dammi il mio bastone,dammi la mia scopa”. / Però lui non è che hacapito, perché non ha capito cosa volevadire; fatto sta che però la scopa gliel’hapresa, gliel’ha data, e appena (la masca cioè)ha toccato il bastone, si è messa in piedi,sembrava come se non doveva più morire, èsalita sul bastone, il bastone di colpo…, nonsi sa come, si sono aperte le finestre e lei èvolata via, sempre su questa scopa. Il parro-co tutto lì si è spaventato, che poi ha preso…è corso subito in chiesa, ha preso l’acquasanta, poi è ritornato in questa casa diSabroto e l’ha cercata di benedire, l’ha fattabenedetta questa casa, per mandare via tutti imalefici, tutti i malocchi che c’erano dentroin questa casa. Fatto sta che questa Sabrotopoi non s’è più vista, però mi dicono cheancora adesso… che nelle notti proprio diluna piena quando non ci sono le nuvoledavanti alla luna si vede questa scopa chevola, e se si guarda proprio bene si vedeanche Sabroto sopra a questa scopa, eh”(informatrice Lucia, 65 anni circa, intervista-ta nel gennaio 2005 da Fl. Brignolo, cit.; cfr.qui sopra). Per quanto concerne il motivo percui “nelle notti proprio di luna piena quandonon ci sono le nuvole davanti alla luna sivede questa scopa che vola”, ed “ancheSabroto sopra a questa scopa”, sarà pertinen-te ricordare questa ‘proibizione’, sentitaanch’essa nel Cuneese (Ronchi): “È sbaglia-

to, non si deve, perché fa male guardare trop-po la luna, perché se si guarda troppo la lunapoi si vedono passare le masche, e se le vedipassare poi puoi avere dei problemi” (infor-matore Giovanni, 62 anni circa, intervistatonel gennaio 2005 da Fl. Brignolo, cit.; cfr.qui sopra). Riguardo al volar via attraversola finestra (momento della morte/scomparsadella masca) si consulti il mio breve inter-vento dal titolo Il letto che ‘guarda’ la fine-stra, in questo stesso volume. Tornando,ancora, sul particolare per cui la strega in findi vita viene paragonata a un “ramo seccolungo lungo, come quei rami d’inverno, […]che cadono per terra”, ricordo che in unavariante del tipo narrativo Aarne —Thompson 326 sono proprio dei rami rinsec-chiti (etc.) che, alla vigilia dei Morti, in unoscenario di neve, vengono giù dal camino esi ricompongono “in uno scheletro”: “Unavolta, sopra i Tornetti di Viù, i pastori resta-vano fino ad autunno inoltrato a pascolare lepecore. Il giorno dei Santi, vigilia dei Morti,un pastore se ne stava ancora lassù, perchéun bel sole aveva resistito fino a quel giornodandogli l’illusione di un’estate magicamen-te prolungata. Ma la sera si era avvicinatapiù in fretta in quell’inizio di novembre, el’oscurità era stata beffardamente rischiaratada un’improvvisa discesa di neve. Lontanodalla piccola casa di pietra che gli serviva darifugio, il pastore si era imbiancato sullespalle e sui capelli, ed era corso dando rapi-de voci alle pecore fino a quel riparo, accen-dendovi poi un allegro fuoco che appena cre-pitante già combatteva con quell’umido chegli stava penetrando nelle ossa. Mentre siscrollava di dosso i residui più ostinati dellaneve, sentì una voce gracchiante, che simescolava allo scricchiolìo delle lastre dipietra che formavano il tetto della casetta.“Che freddo! Che freddo! Che freddo!” dice-va la voce gracchiante, e nello stesso temposi udivano dei colpi sulla pietra, come unbattere di piedi che si volessero riscaldare.“Vieni giù che ti scaldi!” disse senza pensar-ci due volte il pastore che era un animo gene-roso. Ecco che di colpo, dalla cappa delcamino, precipita giù una specie di ramo rin-secchito e rotola a terra immoto. Intanto la

Il bastone/scopa, il noce/nocciolo, l’essere del negativo 53

voce andava ripetendo come un ritornello“Che freddo! Che freddo! Che freddo!”, e ilpastore, sempre più incuriosito, a sua voltaripeté “Vieni giù che ti scaldi”. Di nuovoprecipitò dall’alto del camino fino al fuoco,scartandolo abilmente come manovrato daun giocatore, uno strano tronchetto rinsec-chito, che si pose sull’impiantito accanto alprimo. Il lamento del misterioso visitatoredall’alto del tetto e gli inviti del pastore ariscaldarsi si ripeterono più volte di seguito,seguiti dal precipitare di altri legnetti bian-cheggianti. Ma quale non fu la meravigliadel pastore, quando si accorse che quei legninon erano che ossa umane; quando furonotutte discese, si ricomposero in uno schele-tro, che si rizzò ben saldamente sui talloni,giusto in tempo per ricevere dall’alto dellacappa del camino un teschio che si voltòverso il pastore e gli sorrise sardonico contutti i suoi lucidi denti. (…)” (M. Boggio,Storie e luoghi segreti del Piemonte, Roma,Newton Compton 1987, L’astuto pastore deiTornetti, pp. 29 sgg., in part. p. 29). Cfr.il mio Un racconto della Valle di Viù e il tiponarrativo dell’eroe senza paura (A T 326).Effetti testuali e morfogenesi; metonimieculinarie, in Borghini, Semiosi nel folkloreII…, cit., pp. 427 sgg.. Ma torniamo all’atte-stazione di Preit di Canosio, che sarà utileleggere per intero (a proposito della lunapiena e di Sabroto etc.): “ “Sabroto la lon-gio”, la “longio” era perché era lunga, eraalta, magrissima; “Sabroto”, “Sabroto” per-ché in Alta Valle Maira “sabrot” vuol direcattivo. Tutte le… le… diciamo le finali alfemminile sono messe in “o”, perché anostro modo, cioè nella lingua locale le… ilfemminile viene finito in “o”. Quando unaragazza si chiama Anna o Maria, si dice“Ano” o “Aneto”, o “Marìo”, e allora“sabrot”, “Sabroto”, tradotto al femminile.Cattivo era il papà, cattiva è diventata lafiglia, senza sapere il motivo; tante voltel’eredità passa da dei figli come il peccatooriginale, eccetera eccetera. Ben, Sabroto,considerata cattiva, senza sapere perché, lei ècresciuta, è sempre stata detta come una per-sona cattiva, di conseguenza per la gente nonpoteva far del bene. Questa qui, siccome la

gente la considerava cattiva, ha cominciato afar delle cose strane, che solo qualcuno capi-va, addirittura… e beh, questo è anche spie-gabile per il fatto che la medicina non ha mairiconosciuto le famose “smentieure”. Le“smentieure” erano quelle persone, che pote-vano essere i settimini, cioè i nati di settemesi, oppure nati dopo il sesto figlio, e chesembrava che avessero dei poteri particolariper curare la gente, come oggi c’è il guarito-re. “Sabroto la longio” era una di queste,sembrava che lei guarisse le persone con unamedicina che non era conosciuta… il famo-so guaritore eccetera eccetera… e anche ilparroco del paese… questo si parladell’Ottocento, anche il parroco del paeseogni tanto approfittava di questi porteri per-ché aveva delle malattie e delle cose che nonriusciva a curare. Allora anche lui andava dinascosto, perché il prete di solito non andavamai da queste persone che condannava, inchiesa le condannava, però andava anche luiquando ne aveva bisogno. Fatto sta cheSabroto un bel giorno trovandosi… quan-do… quando si è trovata, diciamo così, sulpunto di morire, il parroco stesso, dopo tremesi che lei non usciva più da in casa, e ilpaese stesso diceva: “Ma come mai Sabrotonon esce più, non esce più?!”. Il prete stessoè andato a sentire le notizie, sentire comemai non… e quando l’ha vista distesa sulletto, magra come un pezzo di bastone e spa-ruta come la paura, perché ormai ridotta inbrutte condizioni, ecco lì che allora il parro-co si è avvicinato e… con la frase che tuttiavrebbero detto in quel momento: “Bisognodi qualche cosa?”, perché non sapeva chepesci pigliare, non sapeva come reagire. Lamasca, che era ancora, diciamo, viva, anchese in fin di vita, gli ha detto: “A questo puntoio non ho più bisogno di niente, perché miavete rifiutato come paesani, come chiesa,come tutto, l’unica cosa, siccome io so chese tocco la tua mano, tu non sei della miafamiglia, i miei poteri svaniscono e io nonpotrò mai morire, o se muoio vado a finiremale, ecco, allora, piuttosto di darmi la tuamano, dammi il bastone della scopa”. / E sidice che quando il bastone della scopa abbiatoccato la mano di Sabroto, perché il parroco

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gliel’ha sporta questa scopa, quando ha toc-cato la mano di Sabroto, Sabroto in unamaniera particolare è salita sopra la scopa…e sia passata per la cappa del camino e siavolata in cielo. / Si dice ancora adesso alPreit di Canosio che le… praticamente nellenotti di luna piena, siccome Sabroto non hapotuto morire perché non ha potuto trasferi-re i suoi poteri… morivano solo se trasferi-vano i poteri, se no rimanevano a vagarenello spazio, nel nulla, come anima, e sonoanime in pena, anime dannate. Nella notte,quando c’è la luna piena, bisogna fare atten-zione a fissare la luna, perché siccome leinon è morta, ma sta ancora vagando comeanima a cavallo di questa scopa, può darsiche se trova qualcuno della sua famiglia leivada a proporgli di donargli la mano, perpoter morire. Può darsi che le persone chesono soggette, non soggette… le persone chesono… che, non so bene come dire, le perso-ne che… che sono con la predisposizione pervedere queste anime in pena, non è da tutti,non è da tutti, può darsi che guardando laluna si possa, ci si possa accorgere cheSabroto sta passando con la scopa” (informa-tore Claudio, cit., intervistato da Fl.Brignolo, cit.; cfr. sopra, all’inizio di questastessa nota). Per taluni aspetti di questa tra-dizione si consulti il mio Un racconto pie-montese (Valchiusella) e una tradizione anti-ca, in Borghini, Semiosi nel folklore.Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’(Toscana, Liguria, Piemonte), Piazza alSerchio, Centro di documentazione della tra-dizione orale 1998, pp. 124 sgg. Un rapportoche — almeno inizialmente — è di metoni-mia, fra bastone e strega (la strega ‘mette unbastone attraverso un ponte’ etc.), si riscon-tra invece in questo racconto, che ci riferisceuna informatrice, sempre cuneese, della zonadi Mombasiglio: “(…) Non è delle mie partiperché sono delle parti di Mombasiglio. Mihan raccontato che c’era marito e moglie incampagna e c’avevano la suocera in casa,perché una volta erano tutti in casa così. E haavuto un bambino, dice che lei andava sem-pre a lavorare fuori, ha avuto un bambino etutte le volte che veniva a casa questo bam-bino c’aveva sempre un sedere rosso e pian-

geva. Dice: “Come mai c’ha sempre il sede-re rosso così?”. Allora dice che un giorno hafatto finta di niente, s’è fermata. Dice chesopra, dove c’era la casa, c’era solo tutti assi,come un palchetto… erano un po’ aperte,perché una volta le case erano fatte così, pro-prio in campagna, era sempre un solaio…allora dice che ha fatto piano, che non sifosse fatta accorgere, è andata su e poi haguardato da un buco cosa faceva la suoceraal bambino; e s’è messa lì, l’ha sfasciato,perché una volta lo fasciavano, poi, c’aveva-no la stufa, e lo faceva passare sopra la stufae poi gli diceva: “Abbi pazienza, non possofarne a meno”. E faceva quello. Le facevaquello, e per quello che dopo il bambinoc’aveva sempre il sedere rosso. Dopo è anda-ta via, ha fatto finta di niente, è andata via,dopo gli ha raccontato a suo marito e il bam-bino non glielo lasciavano più, se lo portava-no dietro. Dice che un giorno ha sentito cheborbottava, c’aveva con il figlio: “Gliela fac-cio pagare! Gliela faccio pagare!”. Si vedeche magari c’aveva qualcosa, non le davanopiù il bambino. “Gliela faccio pagare! Vadoad aspettarlo là sul ponte e lo butto giù”. Esua moglie ha sentito. D’ogni modo è andatalì ad aspettarlo e la moglie è andata anchelei. Dice che gli aveva messo un bastone,perché era già notte, un bastone attraverso ilponte, sono tutti ponti fatti con la legna, conpoco, che si passa sopra, come ne vedi anco-ra qualcuni adesso. E dice che è passata di lìe gli ha detto, gli ha gridato a suo marito:“Fai attenzione! Che dopo il ponte sirompe!”. Allora suo marito ha fermato ilcarro e è andato avanti; c’era quella sbarralà, non poteva togliersi e ha presa una scure,l’accetta che si taglia la legna, dice che hatagliato quella cosa, dopo è venuto a casa,sua madre aveva tutto il braccio tagliato”(Paola Gerbaldo, 79 anni circa, intervistatadurante l’ottobre 2004 da Claudio Burdisso,mio allievo presso il Politecnico di Torino,nell’ambito di una ricerca, da me organizza-ta e diretta, sul folklore di alcune località delPiemonte). Come si può constatare, oltre l’i-niziale metonimia (strega–“bastone attraver-so il ponte”) si determinano poi effetti diidentificazione o parziale identificazione: al

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bastone colpito con l’accetta corrisponde ilbraccio tagliato della strega. Piuttosto fre-quente, da parte sua, il tema della suocera(madre del marito) che insidia i nipotini neo-nati. Viene chiamata “la Paletta” e si trasfor-ma in una pianta di castagno laragazza–masca di questa tradizione canave-sana: “Una storia sulle masche ce l’ho moltopresente perché non l’ho mai dimenticata.Mia nonna era a Coassolo e mia mamma eradi Corio ma abitavamo già a San Maurizio,noi non abitavamo più là ma dice che cono-sceva una, una che per stranome la chiama-vano “la Paletta”, una bella donna, la ricor-do, mi sembra di vederla parlandone. Diceche era una masca. Raccontavano una sto-riella che dice che erano andate in vespa aCorio, a Sant’Anna di Corio, avevano balla-to un po’ e poi ritornando, alla sera, c’era unragazzo che gli piaceva questa ragazza,come succede anche adesso… e allora le èstato dietro e voleva abbracciarla. È arrivatolì, quasi a casa, è riuscito ad abbracciarla edice che si è trovato abbracciato ad una pian-ta. Già… era una strega! Era diventata unapianta di castagno” (informatrice Rosa Airo-la, 91 anni circa, di San Maurizio Canavese,in provincia di Torino, intervistata durante ilgennaio 2005 da Lara Pulga, mia allievapresso il Politecnico di Torino, nell’ambitodi un lavoro di tesi di cui ho diretto il versan-te folklorico). Su castagneto e sfera del nega-tivo si consulti, da ultimo, il mio A proposi-to di una tradizione ligure: il castagneto e ilseccatoio. Paralleli in Garfagnana, in “LeApuane”, XXV, 49, 2005; nonché il mio Lestreghe sopra le piante. A proposito di alcu-ni ‘rimedi’ piemontesi, in questo stesso volu-me. Si veda altresì il mio Le castagne, lapadella e la testa di morto in un raccontodella Val Sangone (prov. Torino), in questostesso volume. Le tesi di laurea L. e M.Giaccardi e L. Pulga nonché le ricerche Fl.Brignolo e Cl. Burdisso sono disponibilipresso il Centro di documentazione della tra-dizione orale di Piazza al Serchio.

2. Informatrice Clementina Ferretto, 89anni circa, intervistata durante il novembre2003 da Annalisa Bianco nell’ambito di una

ricerca, da me organizzata e diretta (Antro-pologia culturale – Politecnico di Torino), sulfolklore di alcune località del Piemonte; il fa-scicolo relativo è disponibile presso il Centrodi documentazione della tradizione orale diPiazza al Serchio.

3. Informatore Pietro, 60 anni circa, inter-vistato durante l’ottobre 2004 da Valeria Bo-getti nell’ambito di una ricerca, da me orga-nizzata e diretta (Antropologia culturale –Politecnico di Torino), sul folklore di alcunelocalità del Piemonte; il fascicolo relativo èdisponibile presso il Centro di documentazio-ne della tradizione orale di Piazza al Serchio(LU). D’altronde, sulla scopa come ‘doppio’della strega si veda il mio Semiosi nel folklo-re II…, cit.; anche il mio intervento dal titoloIl “primo nodo del mattino”: la scopa, lapaglia. La “sposa di fieno” e l’astuta “ser-vetta” di Quart. Verso il modello analogico,negli Atti del convegno”Immaginario,Territorio, Paesaggio”, tenuto a Piazza alSerchio (LU), il 9 dicembre 2000, in“Tradizioni Popolari”, I, 1, 2002(Experiences Verlag/Koeln e Tipolito 2000/Lucca; www.tradizionipopolari.org), pp. 35sgg. Di una scopa — erede del potere di unamasca — che si spezza al momento dell’in-tervento del parroco, e del diavolo che scap-pa, si racconta nella zona di Mango, in pro-vincia di Cuneo: “Allora in queste zone qui,oltre a riconoscere il potere della masca,cioè… che era tipica, la masca, la donnaanziana, la donna,… c’era… era riconosciutoil po… questo potere anche agli uomini,quindi il “mascone”, e anche ai luoghi, ossiala casa stregata, la casa “mascherà”. Pratica-mente… quindi in certi punti veniva dettoche quella casa lì era “mascherà”… a quelpunto lì la proprietà perdeva qualsiasi valore,veniva abbandonata, non veniva… e nasce-vano le leggende che in quei punti lì succede-va di tutto, e chiunque tentasse di acquistare,comunque era destinato a fallire, e ci sonostate veramente intere proprietà rovinate, eh,in questa maniera qui. Ancora oggi comun-que sono sotto costo, ancora oggi comunquesono sotto costo… la casa maledetta, e visono… qui proprio specie… specificatamen-

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te in questo territorio qui alcune zone che…per esempio nella… diciamo nel… nell’ideadella masca, la masca è sempre stata collega-ta col demonio, no, perché dicevano che ilpotere alla masca lo dava il demonio, e lamasca per morire, per poter morire, dovevanecessariamente trasferire il suo potere aqualcuno o a qualcosa, altrimenti non potevamorire. / E allora… allora è capitato… la leg-genda diceva che una masca molto vecchia,che era da sola, aveva deciso di tra… di mori-re, e allora ha trasferito il potere a una scopache aveva in casa, e praticamente questa sco-pa da sola bastonava tutti, cioè chi tentava dientrare in casa era bastonato da questa scopa;e quando il parroco è andato per… esorcizza-re questo posto, questa scopa, la scopa si èspezzata e han visto scappare il diavolo, equindi il potere stesso era incarnato nel dia-volo” (informatrice Claudia Cantarella, 46anni circa, intervistata durante la primavera2004 da Rochi Luigi Venezia ed ElisaZuppichini, miei allievi presso il Politecnicodi Torino, nell’ambito di un lavoro di tesi, dicui ho diretto il versante relativo all’indaginefolklorica, condotta in alcune aree delPiemonte, con particolare riguardo al Cu-neese). Un manico di scopa è l’erede dellamasca, e viene “vestito con la sua camicia”(segno a sua volta o, più ancora, oggetto d’i-dentità della masca), in questa testimonianzaproveniente da Pradleves, in Val Grana:“Quando è stata l’ora di morire, la masca do-veva lasciare la sua camicia a qualcun altroche prendesse il suo posto e non trovava nes-suno che volesse le sue diavolerie. Allora icontadini hanno preso un manico di scopa,l’hanno vestito con la sua camicia, così nes-suno in paese l’ha più vista e nessuno hapreso la sua eredità di masca” (informatriceLucia Migliora, 62 anni circa, intervistata aCeva, nel maggio 2004, da R. L. Venezia edE. Zuppichini, cit.; cfr. qui sopra).

4. Informatore Bernardino Bovio, 81 annicirca, intervistato durante il dicembre 2003da Elena Pasteris nell’ambito di una ricerca,da me organizzata e diretta (Antropologiaculturale – Politecnico di Torino), sul folklo-re di alcune località del Piemonte; il fascico-

lo relativo è disponibile presso il Centro didocumentazione della tradizione orale diPiazza al Serchio.

5. Racconta a sua volta una anziana infor-matrice di Roburent, in provincia di Cuneo(Angelina, 90 anni circa): “(…) Ma lemasche dice che erano tutte piccoline. / AiNasi c’era una noce. Adesso l’hanno tagliato,perché è seccata insomma. Su ‘sta noce vede-vano sempre… alla sera, verso il brunire,tutte, tutte… sembravano scimmiette che bal-lavano su un ramo e sull’altro; dice che eranomasche” (intervista effettuata nel luglio–ago-sto 2004 da R. L. Venezia ed E. Zuppichini,cit.; cfr. nota 3; corsivi miei). Per quanto con-cerne — diametralmente — le streghe inquanto altissime ed enormi si veda nota 6.Vengono paragonate a scimmie, nel loro sal-tare da un ramo all’altro, anche le masche diquesta attestazione proveniente daSommariva Bosco (prov. Cuneo): “Questemasche saltavano da un ramo all’altro, comefossero scimmie. […] C’era la buon’anima dimia madre che mi raccontava… che diceva…che diceva che una volta di notte vedevano…delle maschere, di notte, no? Delle mascheche ballavano da una pianta all’altra. Che poisia vero o non vero… Saltavano da una pian-ta all’altra. Poi dice che ogni tanto di notte sialzava, dice che vedeva da una pianta all’al-tra ballare della roba bianca, cose… sonotutte raccontate” (informatore Giovanni Pa-glietti, 63 anni circa, intervistato durante l’ot-tobre 2004 da Cristina Ghiazza, mia allievapresso il Politecnico di Torino, nell’ambito diuna ricerca, da me organizzata e diretta, sulfolklore di alcune località dell’Italia). Semprea proposito delle scimmie–masche, eccoun’altra attestazione, riguardante la zona diVillanova Solaro: “C’era sempre mia nonnache mi raccontava quelle cose lì, poi c’eraanche mia madre […] Ero in piazza a Vil-lanova […] dove c’è il castello, ecco, perònon ci sono più quei platani grossi che c’era-no, hanno tolto tutto perché hanno fatto unpo’ di pulizia, davanti c’è in municipio nuo-vo. Insomma, quando c’erano ancora queiplatani lì grandi ogni tanto poi vedevano lescimmie a ballare sopra […] Eppure vedeva-

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no le scimmie a ballare sulle piante, […]comunque erano cose che succedevano (…),di giorno (…)” (informatore anonimo, 81anni circa, intervistato a Moretta (CN) duran-te il settembre–ottobre 2004 da Monica Tren-tini, mia allieva presso presso il Politecnicodi Torino, nell’ambito di una ricerca, da meorganizzata e diretta, sul folklore di alcunelocalità della provincia di Cuneo). Lungo ilmedesimo filone tematico si può valutare ilracconto di una anziana informatrice di SanSebastiano da Po, in provincia di Torino(Francesca Viano, 93 anni circa): “A Rot-tenga, lì… sulla strada per andare a Casal-borgone… c’era una cascina, grande… doveabitava una famiglia… una grossa famiglia…perché sai… una volta erano in tanti, eranonumerosi. E questi ragazzi, che erano fratelli,non andavano d’accordo… ma erano intanti… e si picchiavano in continuazione…che la mamma era sempre in pianto… leipiangeva sempre… era sempre desolata…Poi uno di questi ragazzi si è sposato e portaa casa la moglie… solito… e non andavanod’accordo per niente… stavano lì, un po’nella miseria… e sai… allora non andavanovia a cercare lavoro, stavano lì… lavoravanola campagna… E questa suocera, anche leidice tra lei e lei…: “Anche questa è una miafiglia… devo volerle bene come ai mieifigli…”, però non… non… non l’accettava…non… non… la vedeva sempre un po’ comeun’intrusa… E il papà, invece, sgridava sem-pre i figli, li picchiava… picchiava lamoglie… era un violento. D’ogni modo èsuccesso che uno dei ragazzi non ne potevaproprio più… e dice: “Beh… io me ne vadoda casa…”, e lì, di notte, voleva scappare dacasa… si prendeva un fagotto… avrà avutouna camicia e poco altro… voleva scappa-re… e suo papà, che lo dubitava, che ne ave-vano già parlato… litigato… lo ha aspettatofuori dalla porta. E questo ragazzo giovaneva lì… fuori dalla porta… prima di partirevoleva salutare la casa…: “Più che altro salu-to mia madre”… e tutto così… un po’ triste,piagnucolante… era un ragazzetto… io nonso quanto avrà avuto, ma era giovane… e lìfuori c’era… c’era il papà… ma non era lui…era una scimmia… era uno scimmione…

qualche cosa di brutto… prende la falcetta ezan, dà una falcettata al ragazzo… Ma ilragazzo continuava a dire che non era il suopapà. Perché lì poi era successa una trage-dia… lui aveva poi il braccio tagliato… e luicontinuava a dire che non era suo padre, eraun mostro… era qualche cosa di brutto… E ame veniva la pelle d’oca quando me lo rac-contavano…” (intervista effettuata durantel’aprile 2005 da Elena Capone, mia allievapresso il Politecnico di Torino, nell’ambito diun lavoro di tesi, da me progettato e diretto,sul folklore di alcune località del Piemonte). Si tenga presente anche questa tradizioneligure di Grimaldi Inferiore, tra l’Italia e laFrancia: “Il castello di… sì, vicino a Mento-ne, poco prima della frontiera della Francia,tra l’Italia e la Francia, c’è questo paese chesi chiama Grimaldi. È ancora in Italia. Ilpaese prima, paese… la frazione prima diGrimaldi, no, la frazione prima della Francia.L’ultima frazione che si chiama Grimaldi. Eappunto a Grimadi Inferiore c’è questocastello che adesso è stato ristrutturato, cisono degli appartamenti, con… una torretta.E si racconta che in questa torre ci fosse unoscienziato che faceva i suoi esperimenti. Unodi questi esperimenti, a quello che si ricorda,è quest’uomo, questo personaggio metàuomo metà scimmia. Che poi non si sa beneche fine abbia fatto, però dovrebbe essereancora sulle colline, si aggira a quanto parenei boschi e… lì nelle colline tra… nella zonainsomma, tra Ventimiglia, Mortola, Latte.[…] E l’ha costruito, l’ha fabbricato questoscienziato (…), così dicono, però… insommamolto simile a una scimmia, grande, grosso,molto peloso” (informatrice Silvia Bordone,25 anni circa, intervistata nell’ottobre 2004da Cr. Ghiazza, cit.). Così è caratterizzata unaterribile fata, “cattiva” e “bruttissima”, dellazona di Varallo, in Valsesia: “donna dal-l’aspetto ributtante, pelosa come una scim-mia, perversa, maligna, gelosa e vendicati-va”; aveva, inoltre, “un figlio di nome Pe-losino, un mostriciattolo nero e peloso, dalleverdi fosforescenti pupille, il quale era piùscimmiotto che creatura umana” (C. Burla,Leggende alpine, rist. Torino, Società Edi-trice Internazionale 1967, La casa della fata,

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pp. 57 sgg., in part. pp. 58 e 63; anche p. 68).Riguardo al color verde (“dalle verdi fosfore-scenti pupille”) si consulti il mio La ma-sca–cappello. Contributo al folklore piemon-tese, in Borghini, Semiosi nel folklore III.Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’,Piazza al Serchio (LU), Centro di documen-tazione della tradizione orale 2003, pp. 91sgg., in part. nota 6, pp. 107 sgg. Per quantoconcerne il lupo mannaro che per la sua pelo-sità viene paragonato ad uno “scimmionegrosso” cfr. il mio Il taglio del cavolo, latesta, l’orecchio, in questo stesso volume,nota 12 (informatrice originaria di Lanciano,in provincia di Chieti). Inoltre, si veda C.Gatto Trocchi – G. Limentani, Fiabe abruz-zesi, Milano, Mondadori 1982, La scimmiaservetta, pp. 193 sgg. (scimmietta–diavolo). Su scimmie ed esseri del fantastico rinvio al-tresì ad un mio breve intervento dal titolo Unfolletto pugliese “rassomigliante molto allascimmia”, in “Le Colline di Pavese”, 27, 104,ottobre 2004, pp. 17 sg. Colgo l’occasioneper segnalare come — secondo una certa tra-dizione — la salamandra avrebbe “faciemcompositam ex facie porci et simiae”(Alberto Magno, De anim. XXV 35). I fasci-coli relativi alle ricerche Cr. Ghiazza e M.Trentini nonché la tesi di laurea E. Caponesono disponibili presso il Centro di documen-tazione della tradizione orale di Piazza alSerchio.

6. Siamo anzi di fronte — mi pare — aduna eziologia. Riferisce per parte sua una in-formatrice di Chialamberto, in Val Grande(prov. Torino): “(…) Invece lì a Mezzenile cisono delle persone che dicono anche un’altracosa, che mi sembra un po’ strana, che dico-no di un albero del noce, dicono così che ilnoce una volta, non so per quale leggenda,comunque era il diavolo, perché non dovevimai dormire sotto il noce, e tutte le personeche magari a volte c’era di abitudine dormiresotto la pianta, perché quando si lavorava laterra faceva proprio caldo che non ci potevimica stare. Allora i contadini o via dicendoche magari stavano lì a dormire … che se tiriposavi sotto ‘sto albero il diavolo ti prende-va l’anima di questa persona, moriva. E co-

munque ho sentito tante cose su questo albe-ro” (Marina Brunelli, 68 anni circa, intervi-stata durante il giugno 2005 da Barbara Bor-tolotti, mia allieva presso il Politecnico diTorino, nell’ambito di una tesi di laurea, daprogettata e diretta, sul folklore di alcunelocalità del Piemonte; corsivi miei). Nel qua-dro di una complessa attestazione che ci offreuna informatrice beneventana di Pago Veiano(Manuela, 46 anni circa), le streghe del cele-bre noce di Benevento sono “molto alte,quasi come il noce” stesso: “Sì, ascolta, a Be-nevento, senti… c’è la leggenda… sulle stre-ghe, e di tutte queste cose. C’è il noce diBenevento che è un simbolo, se non mi sba-glio… è anche sullo stemma di una casata diqualche famiglia nobile di Benevento, perché‘sto noce è nato assieme a Benevento. Cisono le streghe che dall’antichità, dal Me-dioevo e… prima anche… quando era esatta-mente il periodo in cui si credeva di più…credo… ancora dopo… sai… perché ancoraoggi la storia… degli episodi di cronaca o suigiornali locali… cose piccole, poi ti dico…più avanti… Allora queste streghe si trovava-no vicino alla città di Benevento, che ai tempiera solo un piccolo borgo, e giravano tutteattorno al noce, che dicevano fosse sempreverde, coi fiori. Il noce era verde perché c’e-rano le streghe, se no d’inverno… diventavacome gli altri; invece erano le streghe che lotenevano in vita anche d’inverno, con deiloro sistemi. Questo noce era piantato nella…“ripa”… che si chiama la “ripa delle jana-re”… che è lungo al fiume la “ripa”, vicino aBenevento. Il Sabato è il fiume, si chiamacosì. Poi le streghe che arrivavano da tutto ilmondo con le loro scope, per trovarsi… attor-no al noce; era come il fulcro del mondo… Echi aveva visto queste streghe diceva cheerano molto alte, quasi come il noce. Arri-vavano, lo sai, con la scopa, e avevano dellepelli intorno al collo, e allora… chi ai tempispiava tutto questo diceva che erano pellamidi capra, che poi gettavano sull’albero, e lapelle l’aveva ogni strega, ma solo una neappendevano (ne appendevano una alla voltacioè), e la colpivano con dei bastoni, e i pezziche cadevano li mangiavano tutti. / Perchémangiavano la carne cruda, come fossero

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degli animali, e l’indomani la gente trovava iresti di tutto e le varie sporcizie… dei falòche facevano anche… di tutto… le facevanodavvero… e il noce era così stregato che erastato estirpato e segato, ma ci sono degliscritti, che avevo pure letto di persona, doveviene detto che è ricresciuto più volte vicinoa dove l’avevano tolto… che l’avevano anchebruciato, mi ricordo, e adesso non si sa beneche fine abbia fatto ma dicono… forse perchécosì fanno prima… che tutte le sponde delfiume sono maledette… dato che hanno get-tato il noce nel fiume. Non si sa. Allora aBenevento, anche dopo che c’era stato unomicidio, e avevano trovato una morta, ed eradalle nostre parti, e avevano trovato il cada-vere vicino al fiume… quindi continuano adire ancora queste cose… che era ancora col-legato tutto al noce e alla sua maledizione cheè rimasta per anni… il noce di Benevento cheforse è ricresciuto da altre parti che non sisa… su questo noce cosa sia realmente acca-duto rimane un mistero, ma poi i giornalistiper fare notizia, se possono trovare degliappigli anche ad altre cose, lo fanno, ecco…e la cosa strana te l’ho detta… di queste stre-ghe giganti che si trovavano solo lì… perchéerano quelle che controllavano il noce”(intervista effettuata durante il gennaio 2004da Eugenio Jonghi, mio allievo presso ilPolitecnico di Torino, nell’ambito di una ri-cerca, da me organizzata e diretta, sul folklo-re di alcune località dell’Italia). Il paragonefra le gigantesche ‘custodi del noce’ ed ilnoce medesimo, “fulcro del mondo”, parreb-be configurarsi alla stregua di una ‘realizza-zione indebolita’ rispetto all’effetto stesso diidentità/identificazione. Su altri risvolti del-l’attestazione di Pago Veiano conterei di tor-nare in sede più specifica. Da rilevare delresto che, a loro volta, le masche piemontesi“stanno nei boschi e sono altissime. La lorotesta sovrasta quasi sempre le piante, anche lepiù alte (…)” (Davide Lajolo, in “Gazzettadel Popolo”, domenica 10 luglio 1977, p. 5;cfr. D. Bosca, Andar per masche / Auf denSpuren der Hexen, Boves (CN), Araba Fenice2000, p. 70). Nella zona di Roata Chiusani(prov. Cuneo) “si parlava di una signora altis-sima che con il cappello toccava gli alberi”:

“C’era della gente che girava solo di notteperché di giorno non poteva girare, per esem-pio mio nonno l’ha vista… si parlava di unasignora altissima che con il cappello toccavagli alberi, la vedevano solo di notte, e unanotte uno le disse… perché erano i tempi chele donne non uscivano di sera… e le dicequalcosa, come dire che la notte non è fattaper girare da soli e questa le ha risposto:“Lasciate che girino di notte chi non puògirare di giorno” “ (informatore Beppe Viola,60 anni circa, intervistato durante l’aprile2005 da Massimino Viola nell’ambito di unaricerca organizzata presso la Sede di Mon-dovì del Politecnico di Torino da A. Borghini,A. Mela e G. Tarditi). Per quanto concernecappello ed esseri del negativo rinvio al mioLa masca–cappello…, cit., in Borghini, Se-miosi nel folklore III…, cit., pp. 91 sgg.; non-ché al mio Ancora a proposito del cappellodella paura e dell’abito da sposa. Alcuneestensioni, in questo stesso volume. Di unastrega “alta quanto gli alberi che passavacome una meteora portando una grossa cesta”si tramanda nell’Ossola Inferiore: in M. Boz-zetto, Presenze fantastiche e creazioni leg-gendarie in un’area prealpina: l’OssolaInferiore, tesi di laurea in Antropologia Cul-turale, Univ. di Torino, Fac. di Magistero,corso di laurea in Pedagogia, rel. A. Gua-raldo, a. a. 1981–2, p. 201, F.5.b.; cfr. il miointervento dal titolo Il cestone e il diavolo aS. Romano di Garfagnana. Nota di folklore,in Borghini, Semiosi nel folklore III…, cit.,pp. 241 sgg., in part. nota 4, p. 245. Un fan-tasma con bastone, egualmente molto alti, èl’oggetto di una tradizione riscontrata nellazona di Leinì, in provincia di Torino: “C’eranella zona nostra, c’era di là, e io purtroppol’ho visti. Se uscivi di sera ad andare da degliamici ad andare a fare la partita alle carte edelle volte incontravi un fantasma con unbastone, con un vestito bianco, alto due metricon un bastone. Un bastone alto come lui, enoi camminavamo a destra e questo fantasmaera a sinistra. Se ci spostavamo dalla suaparte, che non si faceva mai perché per la fifache avevamo, bisogna essere sinceri… Equesti ce lo dicevano: “Non andate in giro disera!”. E si andava a trovare degli amici che

Capitolo 260

abitavano nelle altre cascine, dove c’erano indue o tre di qua e due o tre di là e si potevafare la partita. E noi li abbiamo visti, la facciace l’avevano e c’avevano la chioma bianca, sivedeva tutto bianco e non bisognava dirgliniente perché ti arrivavano degli schiaffi conmani gelate. Se lo insultavi… perché noi era-vamo non… non urlavamo, non parlavamo,anzi eravamo io ed un altro mio amico e cistringevamo uno vicino all’altro, quasi daentrare dentro uno con l’altro per la fifa. /Però… eravamo sempre muniti di una fionda,quelle con l’elastico, per difenderci dai cani,ma non da lui. Ad un certo punto arrivavamosu fino dove c’è la strada che porta a Lom-bardore, andavamo sulla strada e ‘sta… e poicon un niente spariva, scompariva dal nientee non lo vedevamo più. E allora alla sera,invece di passare da quella strada lì, veniva-mo giù da un sentiero in mezzo ai boschi checonoscevamo noi. Tutte strade in cui non loincontravamo più. I nostri nonni ce lo diceva-no sempre. E poi abbiamo poi scoperto cheera, era uno che abitava nella cascina dovec’ero io. Abbiamo poi scoperto, perché l’han-no poi scoperto degli altri, perché dopo ècapitata poi questa faccenda ad altre persone”(informatore Luigi, 82 anni circa, intervistatodurante l’estate 2002 da Valentina Sacchetti,mia allieva presso il Politecnico di Torino,nell’ambito di una ricerca, da me organizzatae diretta, sul folklore di alcune zone del Pie-monte). Per il tema dello schiaffo cfr. il mioLa masca–cappello…, cit., in Borghini,Semiosi nel folklore III…, cit., pp. 91 sgg., inpart. nota 11, pp. 132 sgg. Su streghe ed esse-ri del negativo in quanto enormi (cosmici?)rinvio ad alcuni miei interventi: A propositodi una strega piemontese: “grossa […] comela ruota di un mulino”, in Borghini, Semiosinel folklore II…, cit., pp. 165 sgg. (riguardo auna strega cuneese “alta come un palo” cfr.nota 36, p. 191, nonché nota 1 del presenteintervento); L’anima e il contenitore di pelle:un parallelo islandese a una ‘scena’ antica.Un passo del Malleus maleficarum, inBorghini, Semiosi nel folklore II…, cit., pp.521 sgg., in part. nota 3, pp. 526 sgg.; Comesi sarebbe salvata la masca Micilina. Nota difolklore, in “Storia, antropologia e scienze

del linguaggio”, XVIII, 2–3, 2003, pp. 137sgg. I fascicoli relativi alle ricerche E. Jon-ghi, M. Viola e V. Sacchetti nonché la tesi dilaurea B. Bortolotti sono disponibili presso ilCentro di documentazione della tradizioneorale di Piazza al Serchio.

7. Cfr. anche il mio Causativo d’identità. Il‘dominio semantico’ nei racconti di folklore:a proposito di alcune risultanze sintattiche,in “Quaderni della Sez. di Glottologia e Lin-guistica del Dip. di Studi Medievali e Mo-derni dell’Univ. di Chieti”, 15–6, 2003–4, pp.17 sgg.

8. Informatrice Maria Maddalena Bertoldo,nata il 21 settembre 1930, intervistata in data20 novembre 2003 nel quadro di una ricercasvolta dalla classe 5a C della Scuola Elemen-tare di Castellamonte (prov. Torino), sotto laguida degli insegnanti, con la collaborazionedi Gustavo Gamerro; il fascicolo relativo èdisponibile presso il Centro di documentazio-ne della tradizione orale di Piazza al Serchio,che ha promosso l’iniziativa.

9. Per quanto concerne gli esseri del nega-tivo dentro le rocce si consulti il mio Il filodel gomitolo, la filatrice, la pietra. Conden-sazioni analogiche e percorsi dell’identità, inBorghini, Semiosi nel folklore III…, cit., pp.417 sgg. (a questo lavoro rinvio partendoaltresì dal motivo dei “sassolini nelle culledei bambini”, nonché per un inquadramentopiù complessivo di siffatte tematiche); ancheil mio La pietra e l’inferno. A proposito diuna tradizione piemontese (Valli di Lanzo), in“Le Colline di Pavese”, 28, 106, 2005, pp. 26sg. Sul tema dei diavoli dentro le rocce, sitenga inoltre presente questa leggenda valdo-stana della zona di Courmayeur: “Sai lì, il“Dente del Gigante”, quel… quello speronedi roccia a destra del… del… PuntaHelbronner? Ecco, lì mio nonno mi racconta-va, quando ero piccolo, perché dopo non ciavrei creduto, beh… il “Dente del Gigante”non lo scalava nessuno, perché c’erao sempreun sacco di frane, no, ma tutti si chiedevano,anche quelli che andavano tanto su per imonti, e allora si chiedevano: “Ma come mai

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venivano sempre giù tutti quei sassi?”. E poi,insomma, solo d’estate, c’era sempre quelpolverone, perché i sassi, pietre, rotolavanogiù e facevano polvere. Un giorno, uno cheandava tanto in montagna, e che tutti diceva-no che era il più forte, il più bravo, ecco, luidice: “E no! Io voglio fare il “Dente”, l’hofatto solo d’inverno, e non è giusto…”, eallora decide di… di andare su lo stesso, dasolo, anche con i sassi, va su su, al “Torino”(rifugio “Torino” cioè), dorme lì e poi al mat-tino presto presto parte, pian pianotto si avvi-cina lì al “Dente”, al… come si chiama, sìall’attacco del “Dente”, e guarda in su, inmezzo alla polvere che facevano i sassi men-tre cadevano, e non credeva a quello chevedeva, c’erano dei diavoli in cima al“Dente” che buttavano giù i sassi e facevanoun grande falò, un grande fuoco che… cheperò non si vedeva dal basso perché c’era lapolvere e il fumo. Allora questo ragazzotorna indietro, eh, torna giù, giù in paese aCourmayeur, e decide di dire a tutti quelloche aveva scoperto, e allora discutono, e c’èchi dice che si deve chiamare il Vescovo, chiche si deve stare lontani e fare finta di niente,e insomma non trovano un accordo e… “Beh,ma non si può continuare così”, dice il ragaz-zo che… quello che gli aveva visti. Ad uncerto punto il prete dice: “Andiamo a chiede-re cosa vogliono, e poi… poi vedremo, e senon vanno via chiamiamo il Vescovo, che luisa cosa… cosa si deve fare”. Allora il ragaz-zo torna su, e va sotto il “Dente” e chiama idiavoli, e loro: “Cosa vuoi? Vattene!”, e lui:“Voglio sapere perché buttate i sassi e fate unfumo così grosso!”. “Ah”, rispondono, “per-ché siamo dei diavoli, e dobbiamo darvi fasti-dio”, e il ragazzo li guarda e chiede: “Cosavolete per andarvene via e lasciarci scalare il“Dente”?”. I… i… i diavoli lo guardano unpo’ e scoppiano a ridere: “Ah ah ah, nonavete niente che non ci possiamo prendere, enon ci potete mandare via”. Allora il ragazzopensa… e pensa, e allora dice: “Ma perchéstate qui solo l’estate?”. “Perché l’inverno,quando arriva la neve, noi dobbiamo staredentro il “Dente”, con la neve non possiamouscire perché ci brucia, e voi non ci avete maivisto, ma noi vi vediamo da dentro, e vi rom-

peremo le scatole tutte le estati, ah ah ah!”. Ilragazzo se ne va, e mentre scende giù si mettea pensare, a riflettere, e poi gli viene una idea,allora quando è giù a Courmayeur va dai suoiamici e lì con loro decide un piano per farandare via i diavoli. La mattina partono e tor-nano su, stanno al rifugio e aspettano la notte,poi vanno verso il “Dente” e lì iniziano apalare la neve e a riempire delle… delle…bisacce, poi le nascondono e aspettano l’alba,arriva il sole, e i diavoli, sì i diavoli si sve-gliano, vedono il ragazzo: “Cosa vuoi anco-ra? Lasciaci in pace!”. “No, voglio prima ve-dere una cosa!”. “Cosa?”. “Voglio vedere seè vero che da dentro il “Dente” voi mi vede-te!”. “Ah, certo che è vero, ma se propriovuoi… facciamo così, noi andiamo dentro, etu stai qui davanti, no, e fai qualcosa, poiquando usciamo noi ti diciamo cosa haifatto”. “Va bene”. Intanto gli amici del ragaz-zo, mentre loro parlavano, sono saliti su al“Dente”, senza farsi vedere, ecco, e avevanopreso le bisacce con la neve… e… beh, i dia-voli entrano e mentre guardano cosa fa ilragazzo gli altri iniziano a buttare giù la neve,a svuotare le bisacce, e i diavoli si muovono,si scuotono, perché la neve gli brucia, e muo-vendosi tutti assieme hanno fatto crollare lapunta, che però… la punta e… beh, la puntagli crolla addosso, li sotterra, ha fatto datappo insomma, e così i diavoli sono staticacciati. E pensa che qualcuno, non so se èvero, dice che l’estate si sentono dei lamentidal “Dente del Gigante”, e sono… sono i dia-voli” (informatore Samuele Vuiller, 61 annicirca, intervistato durante il dicembre 2003da Valentina Cortese, mia allieva presso ilPolitecnico di Torino, nell’ambito di unaricerca, da me organizzata e diretta, sul fol-klore di alcune località della Val d’Aosta).Cfr., d’altronde, T. Gatto Chanu, Il fiore delleggendario valdostano, Torino, Emme Ed.1988, n. 111 Il Dente del Gigante, p. 75).Anche per i diavoli che “buttavano giù isassi” (etc.) si consulti il mio Il filo del gomi-tolo, la filatrice, la pietra…, cit., in Borghini,Semiosi nel folklore III…, cit., pp. 417 sgg.Da Antagnod, nel comune di Ayas, giunge ilseguente racconto: “(…) Poi qui su, sempresu in alto verso i pascoli, ma non lì dove si

Capitolo 262

dice che viveva l’eremita santo, è un po’distante da lì, no, rimane in un’altra zona, e sidice che invece c’era il diavolo, ci sono tantedicerie della gente che dicono che sono anda-te lì e hanno visto il diavolo, e poi, no, maga-ri la gente non ci credeva, allora hanno fattovedere… anche io le avevo viste, le avevanofatte vedere anche a me della gente, che lì cisono delle pietre, proprio delle rocce grandi,dove ci sono delle impronte che si dice chesono le impronte del diavolo, sono due pietregrandi, e ci sono dei segni, ma scavati, e sonoproprio delle impronte, ma non sono di unuomo o di un animale, e allora si dice chesono le orme del diavolo; poi lì vicino c’èuna… la montagna, no, lì c’è un sentiero, e lamontagna fa come una parete di roccia, e lamontagna sale su dritta, e c’è un pezzo di roc-cia proprio dritta ed è bella liscia, e quella sidice che era l’ingresso che usava il diavoloper entrare nella montagna, dicono che è perquello che il diavolo non lo vedi sempre, per-ché quelli che lo hanno visto, l’hanno visto lìfuori, ma poi quando la gente voleva vederese c’era davvero lui si era nascosto dentro lamontagna, ed era passato per quella parete lì,che la chiamano la parete del diavolo, e difat-ti quella parete è molto ripida, è proprio ripi-da ripida, e della gente che aveva tentato cosìdi arrampicarsi era anche caduta e si eraanche fatta male, e per quello che dicono cheè la parete del diavolo, e poi su quella paretelì di roccia c’è… c’è come un segno di unamano, che sicuro era la mano del diavolo,dicono, perché era la parete che usava pernascondersi ed entrare dentro la montagna, ecosì… e così lì sopra ci sono le impronte deipiedi e delle mani del diavolo, perché ci sonoqueste rocce, le rocce del diavolo, era il postodove il diavolo si nascondeva, non so se èvero, però c’è gente che proprio ci crede aqueste cose e te le racconta queste cose, checi crede” (informatore Tito Mazzon, 73 annicirca, intervistato durante il gennaio 2003 daMarco Biava, mio allievo presso il Poli-tecnico di Torino, nell’ambito di una ricerca,da me organizzata e diretta, sul folklore dialcune località della Val d’Aosta). I fascicolirelativi alle ricerche V. Cortese e M. Biavasono disponibili presso il Centro di documen-

tazione della tradizione orale di Piazza alSerchio (LU). Da tener presente che, in unracconto astigiano, un sacco, al cui interno sitrovava il diavolo, viene quindi dal diavolostesso “tramutato in pietra”; e diventa una“pietra a forma di sacco che ancora si puòvedere nel bosco di acacie, lungo la stradache va da Craviglio a Montafia”. Cfr. GattoChanu, Leggende e racconti popolari delPiemonte, Roma, Newton Compton 1986, Ilsacco del diavolo, pp. 171 sg. (“Craviglio”sarà forse Capriglio); per un’analisi di questatradizione, nel quadro del ‘contesto non im-mediato’, si veda il mio A proposito di unracconto folklorico: il sacco di pietra. Alcuneconvergenze, in “Il Platano. Rivista di culturaastigiana”, XXVIII, 2003, pp. 133 sgg.. Lo‘slittamento’ temporale (‘sacco’ contenente ildiavolo che diventa ‘sacco di pietra’ per effet-to del diavolo ma in assenza del diavolo) se-para metonimicamente – direi — quel chealtrove appare, in un certo senso e in qualchemisura, ricomposto (tema del ‘diavolo dentrola roccia’). Si consulti altresì il mio interven-to dal titolo Il sacco di farina. Ancora a pro-posito del racconto astigiano del diavolo nelsacco, in questo stesso volume. In un’altraleggenda piemontese sono tredici streghe chefuoriescono “da una crepa del sasso” chiama-to “Pietra della Carrata”. Leggiamo la parteche più ci riguarda: “Toni abitava, con suofratello Mini, quasi ai piedi della Costa Bella,in una casetta ben fatta, attorniata da diversegiornate di terreno che, tra vigne, prati ecampi, costituivano una bella fortuna. Sareb-bero stati un buon partito per qualunque ra-gazza del paese, se non avessero avuto ancheun diavolo di gozzo ciascuno, che pendeva,irrimediabilmente vistoso, sotto il loromento. Con quella magagna, nessuno dei dueera riuscito a trovarsi una moglie: le ragazzegiravano alla larga, e loro dovevano accon-tentarsi di guardarle, quando andavano amessa la domenica. Eppure di una donna incasa avrebbero avuto proprio bisogno./ Eraquello il pensiero che tormentava Toni, men-tre si attardava a tagliare col falcetto un po’ diginepro per il forno del pane. Quel giorno siera fermato più del solito sulla montagna,dove quasi ogni mattina portava al pascolo le

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mucche, dai primi di aprile fino alle brined’autunno, per avere latte più buono e poterconservare il fieno per la brutta stagione ed igiorni di pioggia. Le bestie, che sentivano laprimavera nelle ossa, perdevano tempo, inve-ce di brucare; lanciavano all’aria irrequietimuggiti e, di tanto in tanto, alzavano la codae si mettevano a galoppare lungo il pendio,da un dosso all’altro della Costa Bella. Tonile lasciava fare e affastellava rami di ginepro./ Il sole era ancora alto sul monte Bernardo enell’azzurro non c’era traccia di nubi. Maall’improvviso il cielo si oscurò, un nebbionenero come la caligine avvolse la montagna edun violento boato rintronò nel silenzio. Toninon aveva ancora radunato tutte le bestie, egià scendevano gocce larghe una mano,prima rade, poi a rovesci, mentre tuoni elampi si rincorrevano, facendo a gara a chiarrivava prima. / Toni fece appena in tempoad acquattarsi sotto la Pietra della Carrata perripararsi alla bell’e meglio, prima che si sca-tenasse il diluvio. Se ne stava lì annichilito,quando, tutt’a un tratto, da una crepa delsasso vide uscire una strega, poi un’altra eun’altra ancora: ne contò tredici, che inco-minciarono a danzare in mezzo alla tormenta,come fossero al ballo alla festa del paese

(…)” (cfr. Gatto Chanu, Leggende e raccon-ti…, cit., La Pietra della Carrata, pp. 275sgg., in part. p. 275). Alla successiva scom-parsa delle streghe, “solo un filo sottile difumo si levava dalla fenditura della pietra dacui erano uscite, e sapeva di zolfo bruciato”(p. 276). I due fratelli col gozzo sono, di tuttaevidenza, una semplice variante rispetto altema dei ‘due uomini con la gobba’ di altriracconti: cfr. per es. il mio Il pugnale e lapianta degli streghi nel sistema delle varian-ti. Un ‘errore d’identità’ e un’ipotesi inter-pretativa, in Borghini, Semiosi nel folkloreII…, cit., pp. 291 sgg., in part. p. 303, e(soprattutto) nota 64, pp. 323 sg. Colgo l’oc-casione per segnalare, infine, che in Val diFassa “si credeva fosse il camino dell’infer-no” (ciamìn del’infern), “per il quale saliva-no e scendevano i demoni”, una “fessuranella roccia, annerita dallo stillicidio delleacque”, localizzata nella cosiddetta Valledelle Streghe (gruppo del Sella): G. Valentini,Folklore e leggenda della Val di Fassa,Rocca San Casciano, Cappelli 1971, p. 147,nota 67 e testo.

10. Cfr. di nuovo il mio Semiosi nel folkloreIII…, cit.