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A NotiziarioINCAonline N. 2 / 2020 Io e gli altri. Quando le relazioni diventano pericolose Indagine sulle condizioni di lavoro e di salute dei consulenti di Poste Italiane ATTI DEL CONVEGNO INCA, SLC CGIL Roma 5 novembre 2019 N otiziario Quaderni di Medicina Legale del Lavoro

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ANotiziarioINCAonlineN.2/2020

Io e gli altri. Quando le relazioni diventano pericolose Indagine sulle condizioni di lavoro e di salute dei consulenti di Poste Italiane

ATTI DEL CONVEGNO INCA, SLC CGIL Roma 5 novembre 2019

NotiziarioQuaderni di Medicina Legale del Lavoro

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z Saluto

z Barbara Orlandi 7

Consiglio di indirizzo e vigilanza Inail

z Introduzione

z Martina Tomassini 9Dipartimento Area Servizi Slc Cgil Nazionale

z Presentazione del rapportoz Gianluca De Angelis 13

Ricercatore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio

z Fabio Manca 17Medico legale Inca

z Interventiz Sandra Zampa 23

Sottosegretario al Ministero della Salute

z Patrizio Rossi 27Sovrintendente sanitario centrale Inail

z Silvino Candeloro 33Collegio di Presidenza Inca Cgil Nazionale

z Fabrizio Solari 37Segretario generale della Slc Cgil Nazionale

z Vincenzo Colla 40Vice segretario generale della Cgil Nazionale

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Sommario

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IO E GLI ALTRI. QUANDO LE RELAZIONI DIVENTANO PERICOLOSE

Indagine sulle condizioni di lavoro e di salute dei consulenti di Poste Italiane

• Saluto

• Introduzione

• Presentazione del rapporto

• Interventi

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Giacomo Manzù, Il nostro domani si chiama lavoro, 1977

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* Consiglio di indirizzo e vigilanza Inail.

Èdifficile per me fare soltanto un sa-luto perché, anche se sono qui in ve-ste di componente del Consiglio di

indirizzo e vigilanza dell’Inail, e quindi vifaccio ovviamente gli onori di casa, sonouna componente della Cgil. Quindi è diffi-cile limitarsi unicamente al saluto. Purtroppo devo cominciare ricordando che,anche oggi, ci sono tre morti sul lavoro: trevigili del fuoco. Come Civ dell’Inail stiamoda tempo tentando di ragionare proprio sultema dell’allargamento della platea degli as-sicurati, nella consapevolezza che questa,davvero, sia una categoria meritevole di mag- giore attenzione purtroppo anche da questopunto di vista.Comunque corre l’obbligo se non altro diringraziarvi di essere qui perché le tantestrutture di riferimento che curano il temadella salute e della sicurezza sono tutti luo-ghi che avrebbero bisogno di ragionare dipiù e meglio insieme. Ecco perché ospitarein questo luogo la presentazione della ricer-ca è particolarmente importante. Quindiancora grazie per essere qui.

La presentazione di questa ricerca «Quandole relazioni diventano pericolose», promos-sa da Inca, Slc e della Fondazione GiuseppeDi Vittorio, rivolta ai consulenti finanziaridi Poste Italiane, affronta il tema del rischiodelle malattie professionali, argomento tral’altro in perenne aggiornamento e muta-zione. A questo proposito, il Civ ha affida-to a un’apposita commissione temporaneail compito di formulare un documento sul-le criticità emerse e, dalle riflessioni e dalleindicazioni, sono scaturite linee di indirizzospecifiche e dettagliate di carattere previ-denziale sanitario:– il processo di omogeneità del percorso di

domanda e valutazione ed esito;– il sostegno e il ruolo dei medici certifica-

tori, medici di base e Medici Competen-ti (è materia questa in ulteriore fase di im-portante approfondimento);

– gli indirizzi in merito alle fasi istruttorie,intese come definizione degli esiti dellavalutazione per lavoratori tutelati e non,oppure lavoratori autonomi;

– gli indirizzi di carattere relazionale con le

Salutoz Barbara Orlandi*

Indagine sulle condizioni di lavoro e di salute dei consulenti di Poste Italiane

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parti coinvolte (quindi datori di lavoro,gli interessati, i superstiti, i Medici Com-petenti);

– infine il rapporto con gli intermediari isti-tuzionali e gli indirizzi per promuoverel’aggiornamento normativo, in riferimen-to ovviamente all’aggiornamento delle ta-belle sulla base delle evidenze scientifiche.

Queste indicazioni dimostrano che c’èun’attenzione e un lavoro accurato da partedi tutto il Civ e dell’intera struttura Inail.Ma proprio scorrendo la vostra ricerca sonosorti ulteriori spunti e stimoli importanti.Faccio due premesse. La prima è che c’è ungrado di comprensione del rapporto tra sa-lute e lavoro estremamente limitato, ancorameno (se è possibile) di quello che c’è nellapercezione del rischio da infortunio.La seconda premessa riguarda la modalitàadoperata per la ricerca, perché proprio peril tramite del questionario si costringono ilavoratori e le lavoratrici a porre attenzionee a riflettere. Quindi, è importante il meto-do, che consente di indagare con cura; poi,ovviamente, è molto importante ciò cheemerge, quindi da considerare seriamente.Oltre alle preziose indagini che promuovia-mo come soggetti attori (e tutti concorrono

alla salvaguardia della salute e della sicurezza)conviene, alla luce di quello che presentate,interrogarsi su quali sono oggi gli strumentiattuali a disposizione per la valutazione delrischio da stress lavoro-correlato. Cito questoperché la ricerca rivela giustappunto un ac-cumulo di tensione, ansia, abuso di psicofar-maci, violenze verbali, scala gerarchica, oltreche problemi posturali muscolo-scheletriciecc., che peraltro la Slc già da tempo mi ri-sulta avesse evidenziato, tramite la campagna«Stop pressioni commerciali», proprio perciò che ne consegue in termini di pressioneper il raggiungimento degli obiettivi.Allora può valere la pena aggiungere al no-stro lavoro e al lavoro del Civ anche una ul-teriore attenta valutazione sulla piattafor-ma, oggi a disposizione per effettuare la va-lutazione del rischio stress lavoro-correlato.Forse il rigore metodologico che la caratte-rizza può non essere la metodologia più ef-ficace per una rilevazione quanto mai deli-cata e complessa, ma potremmo aggiungereun altro pezzo al nostro lavoro, per indivi-duare lo strumento migliore, che sia in gra-do davvero di andare a indagare e a rilevaretutte le criticità e i disagi rilevati dalla vostraindagine.

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Anome di Slc mi sento di ringrazia-re l’Inca e la Fondazione GiuseppeDi Vittorio che hanno fatto uno

sforzo non indifferente per potersi calarenella realtà lavorativa dei consulenti posta-li, che rappresenta un singolo segmentodell’attività produttiva di Poste Italiane,perché l’indagine non è rivolta alla genera-lità dei dipendenti di Poste Italiane ma sol-tanto a un piccolo pezzo di questa grandeazienda.Quindi, lo studio è stato possibile perchéloro ci hanno dedicato tempo e pazienza ehanno cercato di venire incontro alle ne-cessità emerse dal gruppo dirigente dellaSlc, che riponevano determinate aspettati-ve rispetto a questa indagine; aspettativeche credo siano state rispettate. Non possoringraziare l’azienda perché ha declinatol’invito a partecipare. Invece ringrazio ilcollega della Uil, qui presente con noi, per-ché è importante sapere che c’è attenzioneda parte di altri sindacati sul tema dellemalattie professionali di questa categoria dilavoratori. Inoltre, come Slc nazionale sen-

to di dover ringraziare, in modo particola-re, i delegati e le delegate che, assieme ai se-gretari territoriali, sono stati sui posti di la-voro a raccogliere i questionari, perché èstato un lavoro duro e complesso. E non possiamo non ringraziare le lavoratri-ci e i lavoratori perché hanno risposto posi-tivamente a questa indagine; cosa per nullascontata considerando che abbiamo chiestoloro di rispondere a un questionario di naturaprettamente medica, in forma non anonima,superando un grandissimo scoglio. A metà settembre ne avevamo raccolti cir-ca 1.500, in gran parte elaborati dallaFondazione. Ci sono voluti 2 mesi di la-voro per elaborare tutti i dati, ma credoche il risultato sia più che soddisfacente erispondente al nostro obiettivo. Quandoabbiamo proposto l’indagine, lo scopoche ci eravamo dati, assieme all’Inca, eraquello di offrire una tutela individuale ecollettiva ai lavoratori indagando sul lorostato di salute per far emergere le criticitàprettamente legate alle mansioni effettiva-mente svolte.

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Introduzionez Martina Tomassini*

* Dipartimento Area Servizi Slc Cgil Nazionale.

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Nella relazione introduttiva a questo con-vegno, sentiremo parlare di ergonomicità,di problemi di salute che si sono sviluppa-ti nel tempo. Il campione esaminato ècomposto di lavoratori che non sono sot-toposti a sorveglianza sanitaria; e questo èun dato molto importante perché i risulta-ti dello studio ci consentono di avviare unragionamento diverso con il coinvolgi-mento degli organi deputati in azienda,che sono l’osservatorio sulla salute e la si-curezza, e l’osservatorio nazionale, sededalla quale vengono rilevate le criticità.Con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio,abbiamo potuto constatare che i problemisono trasversali in tutta Italia; a questo siaggiungeranno i dati aggregati regional-mente che, non appena disponibili, ci con-sentirà di poterli trasferire anche all’inter-no degli osservatori regionali. Poi abbiamoun altro osservatorio – e questo è un obiet-tivo prettamente politico che come Slc cisiamo posti – che è l’osservatorio sulla pro-posizione commerciale, estraneo al datomedico, ma che deve iniziare a camminarein azienda con le giuste gambe.La platea a cui ci siamo rivolti è quella deiconsulenti, coloro che vendono prodotti fi-nanziari all’interno degli uffici di Poste Ita-liane, per i quali è evidente la stretta con- nessione tra uno stato di salute alterato e lecosiddette pressioni commerciali, subitedall’83% degli intervistati, avvalorata dalrilevato fenomeno della violenza verbale daparte dei superiori (50% del campione). Inaltre parole, c’è più violenza verbale da par-te dei superiori piuttosto che dei clienti peruna categoria che lavora a contatto con il

pubblico. E questo è un dato che deve in-durci ad una ulteriore riflessione da partenostra. E allora, leggendo tra le righe questo ela-borato, andando oltre il carattere pretta-mente tecnico per dargli un taglio politicodiverso, vediamo emergere chiaramentecome le pressioni da parte dell’azienda suilavoratori siano ben consistenti: lo stress,cui sono sottoposti i lavoratori è altissimo;la pressione commerciale, quando vieneesercitata, implica che al lavoratore si chie-de di effettuare una vendita al limite dellalegalità, assumendo su se stesso la respon-sabilità civile, penale e disciplinare di ciòche fa nel rapporto con il cliente.Questo dato, nazionale e trasversale, fa e -mergere un sistema strutturato in aziendache agevola queste pressioni, sminuendo lepotenzialità del singolo lavoratore, in mo-do da indurlo ad aggirare i sistemi che l’a -zienda stessa gli fornisce per la vendita deiprodotti finanziari. Per questo è importan-te allargare la nostra riflessione sulle mo da-lità di svolgimento dell’attività aziendale nelsuo complesso. Probabilmente, dopo ques -ta iniziativa, qualora Poste Italiane non fos-se disposta a riconoscere questo problemaendemico e strutturale, dovremmo pensarea un’azione più ampia coinvolgendo anchele autorità deputate, che siano Consob,Ivass o Bankitalia. Questa criti cità l’abbia-mo già toccata a livello del paese con lebanche. Dobbiamo essere consapevoli che quandoil problema diventa esasperato in Poste Ita-liane, la criticità si traduce in una questio-ne sociale. Per questo credo che la confe-

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derazione non negherà mai il suo supportoperché Poste Italiane è riconosciuta da tut-ti come la cassaforte dei risparmi dei citta-dini. Quindi, quando si attuano questi de-terminati comportamenti, si mette a ri-schio un intero sistema, che è il sistema delrisparmio Italia. Allora, in un momento

successivo, l’obiettivo più ambizioso è que-sto. È chiaro che nell’immediato faremo ditutto per poter portare, all’interno degli or-ganismi deputati in azienda, le risultanzedi questa indagine perché essa ha una basescientifica; ha un indice di attendibilità chenon si può negare.

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Nella mia relazione mi concentreròsoprattutto sugli aspetti di presen-tazione del campione, quindi, su

chi ha risposto ai questionari e sulle condi-zioni di impiego e di lavoro, con particola-re riferimento all’intensità, alla partecipa-zione e alle dinamiche che prende l’eterodi-rezione. Quindi, appunto, le dinamiche ge-rarchiche.Innanzitutto l’attendibilità del campione.Fonti sindacali ci riferiscono che i consu-lenti postali sono circa 8.100. Quindi, il ri-sultato di questa indagine è da considerarsiabbastanza solido, poiché basato su 1.199questionari compilati e raccolti, in quasitutte le regioni, in oltre due mesi di indagi-ne. In linea generale, dal punto di vista del-le variabili non abbiamo rilevato particolarievidenze o variazioni rispetto alla dinamicaterritoriale o di genere o per fasce d’età.Dal punto di vista anagrafico, 945 individuihanno indicato la loro età, mentre il 10,3%non ha voluto specificare il proprio genere.Il campione risultante è composto di 326maschi e 682 femmine, che rappresentano

il 67,7% degli intervistati, con un’età preva-lente superiore ai 50 anni (il 46,7%, tra 51e 60 anni), di cui il 50,4% è composto dalavoratrici.Per quanto riguarda le condizioni di impie-go, la prima questione emersa è che la qua-si totalità dei consulenti è assunta con uncontratto di tipo subordinato a tempo in-determinato e con un regime orario essen-zialmente full-time. Si tratta del 98,4% deirispondenti, con una media oraria settima-nale di lavoro di 38,2 ore e di 6,6 ore gior-naliere, ben al di sopra del limite orario di36 ore settimanali, previsto dalla contratta-zione collettiva. C’è da considerare, inoltre,che il 25% degli intervistati dichiara di la-vorare ancora di più: mediamente 40 setti-manalmente e giornalmente 7 ore. È unainformazione rilevante visto che le motiva-zioni addotte dai rispondenti che lavoranoben oltre, sono essenzialmente legate ai pia-ni di azione e alla formazione. Chi lavora di più si trova esposto o espostaa condizioni più intense di impiego. Perapprofondire questo argomento, abbiamo

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* Ricercatore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

Presentazione del rapportoz Gianluca De Angelis*

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fatto una batteria di domande, da cui evi-denziamo che la gran parte delle personecoinvolte lamenta di svolgere il proprio la-voro, spesso o sempre, avendo scadenze ri-gide e strette (72,4%); di avere un ritmo dilavoro elevato (81,9%) e anche con un no-tevole impegno cognitivo (85,4%). Questivalori crescono se andiamo a misurarli inrelazione a quelle persone che lavorano ol-tre l’orario di lavoro. Osserviamo, infatti,che chi afferma di lavorare spesso fuori ora-rio, vive sempre queste stesse condizioni inmaniera più intensa. Da questa batteria di domande, abbiamoattribuito dei punteggi in base alle rispostecreando un indice di intensità lavorativa,suddiviso in: bassa intensità, media intensi-tà e alta intensità, per conoscere le conse-guenze sulle condizioni di lavoro di quantisvolgono l’attività con intensità maggiore. Ilprimo elemento significativo è quello dellapartecipazione, effettivamente scarsa, vale adire che, nel 53% dei casi, i rispondenti af-fermano di non scegliere mai i metodi di la-voro. Cioè, non possono scegliere se cam-biarli o meno.Analogamente, questo succede anche quan-do gli intervistati rispondono alla domandasulla possibilità di gestire le pause o i turni,in base alle proprie esigenze: «mai» per il26% e «qualche volta» per il 45%. Rispettoall’intensità di lavoro emerge chiaramentedall’indagine come l’eterodirezione assumaun peso centrale. Questo vale sia per le for-me indirette dell’eterodirezione e sia perquelle dirette. Per «indirette», intendo nellospecifico il sistema di valutazione individua-le. Infatti, abbiamo chiesto ai consulenti se

ritengono che il sistema di valutazione delleprestazioni sia costruttivo nel rapporto coldiretto superiore. Il risultato è stato rappre-sentato sulla base di una scala da 1 («pernulla costruttivo») a 5 («molto costruttivo»):il 36,5% afferma che sia per nulla costrutti-vo, mentre il 24,3% si ferma a 2; quindi,possiamo semplicisticamente tradurlo in un«pochissimo costruttivo». L’eterodirezione sievidenzia sia con dinamiche indirette e siacon dinamiche dirette. Ma quando parlo diquelle dirette faccio riferimento essenzial-mente alle pressioni subite durante l’attivitàlavorativa, di cui si lamenta l’82,4% dei ri-spondenti e delle rispondenti.Questo dato non varia in base alle caratteri-stiche strutturali del campione, interessan-do maschi e femmine in egual misura, men-tre varia leggermente in relazione agli annidi anzianità, coinvolgendo, con una certaprevalenza, i lavoratori più giovani di Poste.Si tratta evidentemente di un disagio che èriconducibile alle dinamiche gerarchiche,che prendono forma a volte anche con laviolenza esplicita. Infatti, sono 497 coloroche dichiarano di aver subito violenza ver-bale o fisica (47,2%, quasi la metà), ma nel-la gran parte dei casi si è trattato ovviamen-te, per fortuna, di sola violenza verbale; aquesti, si aggiungono i più rari casi di vio-lenza fisica che sono 12. Quello che è im-portante sottolineare è che il 50,6% di tut-ti questi casi di violenza è legato a fattori ge-rarchici; nel senso che la gerarchia azienda-le è decisiva nel determinare il verificarsi deicasi di violenza verbale e fisica.Vado velocemente a mostrare i valori prin-cipali dell’ergonomia. Considera non ade-

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guata la comodità delle postazioni di lavoroil 59,5% degli intervistati, di questi il57,6% afferma di non ritenere adeguata lapraticità della postazione di lavoro. Infine,un altro giudizio negativo espresso riguardail microclima (più della metà del campio-ne). Viceversa, c’è una percezione di unacerta adeguatezza per quanto riguarda la ri-soluzione del monitor e l’illuminazione del-le postazioni di lavoro. Quest’ultimo è undato che va evidenziato perché apparente-mente in contrasto con quanto dichiaratodagli intervistati sui disturbi visivi, che sonotutt’altro che marginali. Passando velocemente agli eventuali disagilegati alle condizioni di salute, lo studio faemergere che in media i consulenti postali siritengono in buone condizioni fisiche. Inuna scala da 1 a 5, il giudizio complessivomedio è del 3,5. Quindi, una condizioneabbastanza buona di salute. Tuttavia, taleaffermazione viene apparentemente con-traddetta dalla percentuale di coloro che in-vece affermano di come il lavoro abbia avu-to un impatto negativo sulla propria salute(58,9% dei rispondenti), con una variazio-ne significativa indicata dalle lavoratrici(63%) e una percezione negativa crescentecon l’età.Per spiegare le ragioni di questo apparenterisultato contraddittorio, siamo ricorsi aduna metodologia che prevede a domandeaperte riposte aperte, in una tag cloud, do-ve in una nuvola di parole, più grandi opiù piccole in base alla loro frequenza,vengono indicate i disagi possibili. Osser-vando i risultati, vengono indicate le se-guenti parole: «stress» soprattutto; «vista»;

«postura»; «pressioni»; «ansia»; e poi a se-guire inadeguatezza della postazione di la-voro; pressioni commerciali. Per quanto riguarda le patologie, quelle piùdiffuse attualmente sono: disturbi oculistici,disturbi muscolo-scheletrici e anche iper-sensibilità e allergie. A questo riguardo lostudio evidenzia come questi disturbi vissu-ti attualmente, sono più frequentementequelli di cui si soffriva anche in passato, e chescompaiano dopo un periodo di riposo.Questo avviene evidentemente per i distur-bi muscolo-scheletrici, un po’ meno per le al-tre patologie più rilevanti, come quelle ocu- listiche. I problemi muscolo-scheletrici piùdiffusi riguardano i disturbi alla cervicale,che prendono frequentemente anche la for-ma di contratture, di bulging, lombalgie edernie, legate ai movimenti della spalla destrae lombosacrale, la cui frequenza è segnalatadal 48,3% dei rispondenti.Nonostante, quindi, la percezione comples-siva sulle condizioni di salute non sia parti-colarmente dannosa, nei fatti succede chel’85,8% ha affermato di avere disturbi visi-vi; il 67,8% di tutto il campione soffre distanchezza visiva e percepisce una riduzionedell’acutezza visiva a fine turno. Seguonopoi altre voci, che a volte prendono anche laforma di vere e proprie patologie, che nonpassano con il riposo. Quando abbiamo chiesto con quale fre-quenza soffrono di alcuni disturbi psicofisi-ci, gli intervistati hanno affermato di avereproblemi almeno settimanalmente soprat-tutto con riferimento al sonno. La riduzio-ne dell’energia, l’ansia e la tensione duranteil lavoro sono anche in questo caso i distur-

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bi più evidenti, soprattutto tra chi dichiaradi aver subito pressioni durante il lavoro. Lostesso ancora di più avviene per chi è sotto-posto a elevata intensità di lavoro (74,9%).Per quanto riguarda gli infortuni, 349 inter-vistati ne hanno subito uno, pari al 31,8%del campione; di questi 260 lavoratori han-no avuto il riconoscimento da parte di Inail,mentre invece sono quasi del tutto assenti icasi di malattie professionali (1%). Concludendo, le condizioni in cui operanoi consulenti di Poste Italiane sono partico-larmente intense sia dal punto di vista tem-porale sia sotto il profilo fisico e mentale.L’intensità del lavoro è determinata, da unlato, dalle difficoltà strutturali denunciatedagli stessi intervistati, come ad esempio lacarenza di personale, ma anche gli spazi po-

co adeguati, e dall’altro, dai limiti dell’orga-nizzazione del lavoro. Abbiamo visto comele opportunità di autonomia e partecipazio-ne siano, infatti, limitate e come l’organiz-zazione del lavoro sia caratterizzata da fortipressioni per il perseguimento degli obietti-vi, che sono poi misurati in maniera indivi-duale. All’organizzazione del lavoro si asso-cia anche l’elevato livello di stress e ansia, cuisono sottoposti i consulenti di Poste Italia-ne, con effetti negativi in termini di disagiopsico-sociale e relazionale appunto, anche aldi fuori del luogo di lavoro. Inoltre, nono-stante l’impatto negativo sulla condizione disalute sia un elemento ben presente, anchecon riferimento alle patologie oculistiche emuscolo-scheletriche, sono pres soché nulli icasi di malattie denunciate al l’Inail (1%).

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Volevo intanto ringraziare per questoinvito e ringraziare anche i colleghicon cui abbiamo lavorato durante

la presentazione per rilevare i dati e riuscirea capire cosa sta succedendo negli ambitidei consulenti postali, analogamente aquanto abbiamo fatto precedentemente peraltre categorie di lavoro, in maniera tale daintegrare quello che è il lavoro dei medici le-gali dell’Inca nel rapporto nuovo che si stainstaurando con l’attività lavorativa.Noi dobbiamo renderci conto che, rispettoa quella che era la tradizione, il passato, ledinamiche lavorative stanno cambiando, itempi stanno cambiando. Quindi, anche latipologia di patologie a cui i lavoratori van-no incontro si sta modificando. In alcunicasi, rimangono le classiche patologie mu-scolo-scheletriche, ma noi dobbiamo sco-prire se ci sono nuove tipologie di patologiedi cui i lavoratori molto spesso non hannocoscienza, ignorando la realtà che li sta «ag-gredendo», che spesso li induce a rapporta-re la loro perdita di salute, intesa come be-nessere psicofisico, magari correlandola a si-

tuazioni che sembrerebbero lontane daquelle che sono invece le dinamiche orga-nizzative o – per meglio dire – le costrittivi-tà organizzative.Quello che vorrei fare oggi, da un punto divista medico ma, soprattutto, da un puntodi vista didattico, è darvi delle indicazionisulle nuove realtà lavorative e sui nuovi tipidi patologie. I dati anagrafici del campioneanalizzato mostrano un’alta presenza fem-minile; un’età medio-alta, compatibile conquello che ormai è il mercato del lavoro inItalia, dove c’è un invecchiamento progres-sivo della popolazione dei lavoratori. Tuttoquesto porta chiaramente a un’anzianità la-vorativa di lungo periodo e anche una con-dizione di situazioni di stress psicosomati-co importanti (perché è chiaro che un gio-vane vive in maniera molto diversa con 5anni di anzianità di servizio rispetto a un’al-tra persona che lavora da oltre 20 anni). Fada cornice il regime orario a tempo pieno;quindi, si tratta di lavoratori che sono per-fettamente inseriti nell’ambito lavorativocon una modalità che li occupa per la mag-

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* Medico legale Inca.

Presentazione del rapportoz Fabio Manca*

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gior parte del loro tempo. Altro elementoimportante riguardante il campione analiz-zato, a cui dobbiamo prestare molta atten-zione è il fatto che questi questionari sonofirmati. Quindi, il lavoratore ci mette lafaccia, si interfaccia con il sindacato e si in-terfaccia con quelle che sono le relazioniche il sindacato poi può avere con le varieistituzioni. È un aspetto significativo, con-siderando che normalmente i questionari ole indagini statistiche di solito sono fornitiin forma anonima. Abbiamo visto come la problematica del-l’infortunio lavorativo sia adeguatamenteriscontrata dal 33% degli intervistati, cosìcome è altrettanto alto il riconoscimento daparte dell’Inail, mentre le denunce di ma-lattia professionale sono praticamente inesi-stenti (si fermano all’1%), così come il rico-noscimento del nesso causale da parte diInail è solo del 40%. Quindi, quello cheviene fuori da questo primo quadro è cheper i consulenti postali, paradossalmente,non esiste la malattia professionale. Anchel’invalidità civile risulta relativamente bassa,(8,4%), ma questo ultimo dato trascendedall’analisi di questo studio.Nel caso specifico dei consulenti postali,l’infortunio professionale si configura, nellamaggior parte dei casi, come infortuni in iti-nere. E questo è legato anche al fatto chespesso questi lavoratori, che adesso svolgonoruoli di consulenti postali, precedentementericoprivano altri incarichi, svolgevano variemansioni (quali ad esempio, commessi, ba-risti, insegnanti, portalettere). Quindi chia-ramente, per il portalettere che subisce unincidente con il motorino, l’infortunio pro-

fessionale diventa «in itinere». Una parte,seppur minima, di questi infortuni è legataalla sicurezza degli ambienti di lavoro; equesto è un annoso problema. In tempi pas-sati, le Poste ebbero una specie di deroga al-le leggi in vigore, per l’adeguamento dellepostazioni e degli uffici, rispetto ad altre at-tività, ma ci sono stati dei ritardi da partedell’azienda Poste nell’adeguarsi. Questo spiega in parte l’assenza di malattieprofessionali, anche se i nostri assistiti han-no coscienza dell’infortunio professionale.Quindi, praticamente hanno una buonaconoscenza di quelle che sono almeno par-zialmente le loro tutele in ambito infortuni-stico, ma non quelle legate alle conseguen-ze sulla salute di patologie di carattere cro-nico e degenerativo, strettamente connessealle attività lavorative svolte. Nell’ambito delle parole riconosciute inquesti questionari, subentra spesso la parola«stress». A seguire gli intervistati segnalanodisturbi di postura, agli occhi, eccetera. Maallora che cos’è lo stress? L’OrganizzazioneMondiale della Sanità afferma che la salutementale è uno stato in cui ogni singolo in-dividuo realizza il suo potenziale, consen-tendogli di gestire le condizioni che gli po-ne la vita quotidiana e di lavorare in modoproduttivo e fruttuoso in modo da apporta-re un contributo alla società.Lo stress può essere anche una cosa positi-va: esiste l’eustress. Cioè, nel senso che ioadesso sto parlando e, se non fossi legger-mente stressato, probabilmente la mia rela-zione sarebbe molto più cadenzata e menointeressante, sempre che lo sia, rispetto aquello che potrebbe essere diversamente.

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Quindi lo stress è passato da un iniziale si-gnificato di avversità, difficoltà a un signifi-cato di tensione, sforzo, pressione, sollecita-zione, che però non è sempre negativo ma,a volte, diventa piacevole e diventa intuiti-vamente valorizzante la produttività dellapersona.Quando gli effetti negativi dello stress co-minciano a farsi presenti? Quando le incon-gruenze fra le richieste e le capacità dellapersona non sono più allo stesso livello equesta inizia a dare segni di cedimento. Equali sono queste condizioni? Prima di tut-to, una costrittività organizzativa. Per cui cisono degli impegni, c’è un’eterodirezione,dove la capacità di poter svolgere la propriaattività lavorativa diventa assolutamenteimpossibile, con atteggiamenti violenti, chedi solito sono verbali ma, a seconda delle ca-tegorie, possono diventare altro. Da qui sipassa pian piano da una condizione di stressa un disturbo dell’adattamento, quindi, pa-tologico (es. l’abuso, il mobbing, il bullismoe ce ne sono anche altre, come le molestie dicarattere razziale, di carattere sessuale).Quello che è più importante però, soprat-tutto da un punto di vista iniziale, per noi,è lo straining: una situazione di stress forza-to sul posto di lavoro, in cui la vittima – eparlo di «vittima» perché quando abbiamoatti di violenza c’è uno che perpetra la vio-lenza e c’è una vittima – subisce solitamen-te da un superiore almeno un’azione che co-me conseguenza ha un effetto negativo sul-le sue capacità lavorative. Oltre che azionestressante deve avere anche una durata co-stante e ripetitiva; cioè essere rimbrottatiuna volta, per quanto possa essere una con-

dizione non piacevole, non è una condizio-ne stressante. L’atteggiamento deve esserereiterato e continuativo.E come si manifesta? Con disturbi del-l’adattamento, cambiamento dell’umore,stress post-traumatico, stress acuto, ansia eaddirittura iniziando a fare uso di sostanzefarmacologiche. E poi si manifesta con sin-tomi organici. Molte volte abbiamo sentitoparlare di una somatizzazione dell’ansia odello stress, in riferimento a problemi car-diologici, ipertensione, tachicardia, proble-matiche a carico dell’apparato digestivo odella sfera sessuale. In tutti questi casi i sen-timenti positivi si trasformano in sentimen-ti negativi, con un deterioramento delleproprie emozioni. L’entusiasmo si trasformain rabbia, la dedizione si trasforma in ansia,perché non riesco più a fare certe cose, la si-curezza in tensione e l’eustress diventa unostato di depressione. Tornando ai nostri lavoratori intervistati,osserviamo che molti di loro dichiarano diessere stati oggetto di pressione durante losvolgimento del lavoro. Un problema chepraticamente riguarda indistintamente siagli uomini che le donne, lievemente supe-riore nelle persone giovani per ovvi motivi:perché sono inseriti in un mondo lavorati-vo nuovo, per cui probabilmente sono coltidall’ansia di dover dimostrare le proprie ca-pacità di sviluppo dell’attività lavorativa.Ma l’aspetto più inquietante, che emergedal nostro studio e sul quale abbiamo biso-gno di un approfondimento, riguarda l’usodegli psicofarmaci. Il 18,6% dei consulentidelle Poste intervistati fa un uso costante eripetuto di ansiolitici, antidepressivi e son-

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niferi (anche se questi ultimi solo in mini-ma quantità, circa l’1% degli intervistati),indicandoli come terza categoria di farmaciutilizzati.Se da una prima lettura superficiale questidati potrebbero non rappresentare valori si-gnificativi, considerando il ricorso diffusodegli psicofarmaci tra la popolazione in ge-nerale, i dati del Cnr di settembre 2018,smentiscono tale interpretazione riduttiva:anche se c’è una differenza di genere, i tran-quillanti e gli ansiolitici sono utilizzati dal12,6% delle donne e dal 7,8 degli uomini,Quindi, registriamo una differenza rispettoai consulenti delle poste di diversi puntipercentuali. Dunque, praticamente il no-stro campione prende più farmaci, più psi-cofarmaci rispetto alla media rilevata tra lapopolazione nazionale, con un andamentoche cresce con l’età. L’analisi dei dati raccolti tra i consulenti po-stali ci dice come le persone che hanno su-bito una pressione sul proprio luogo di la-voro o abbiano lavorato in maniera stres-sante presentano 20 items di aggravamentorispetto alle condizioni di quelli che non so-no stati sottoposti a pressioni. Quindi,prendono più psicofarmaci coloro che sonoprobabilmente più stressati. La loro condi-zione li fa passare da uno stato di disadatta-mento a uno stato di esaurimento emotivo,di depersonalizzazione. Ed è un fenomenoche tuttora è in pieno itinere. Nel maggio del 2019, l’Organizzazionemondiale della sanità ha riconosciuto la di-gnità di una sindrome «burnout», lavoro-correlato. Quindi dai quadri morbosi, chepossono essere un disturbo da disadatta-

mento cronico, si passa ad un disturbo del-l’adattamento post-traumatico da stress,che rappresenta una patologia, con una va-lutazione dell’indice delle malattie statisti-camente e scientificamente approvate, de-gne e meritevoli di un loro riconoscimento,anche come malattie professionali. Fra le altre cose da valutare, c’è un aspetto dinatura medico-legale che ha il suo significa-to. Quando noi valutiamo una patologia,l’Inail tende a sminuirne l’importanza, indi-candola come preesistente alla denuncia dimalattia professionale. Ma questo non è suf-ficiente a non riconoscere il nesso causale,poiché è pacifico che qualsiasi elemento o si-tuazione aggravante una patologia già in es-sere, quindi un quid pluris, rappresenta unacondizione sufficiente per poter avere un ri-conoscimento di malattia professionale.Quindi, anche se io tendenzialmente sonouna persona melanconica, deputata a un cer-to tipo di atteggiamento non positivo, tutta-via rappresenta un qualcosa che aggrava lamia condizione di salute. È chiaro che la ri-cerca deve essere molto specifica per eliminarecause ex lavorative all’origine della patologia,ma comunque laddove c’è una correlazioneanche minima con la patologia lavoro-corre-lata, questa è sufficiente per poter riconosce-re un grado di malattia professionale. Non è un problema nuovo. L’Inail si è giàimpegnata precedentemente, già dal 2003,e nel maggio 2011 il Dipartimento di me-dicina, epidemiologia, igiene del lavoro eambientale ha sviluppato una metodologiadi lavoro, che riprende quella della legge 81del 2008, basata su questionari che le azien-de devono somministrare ai lavoratori.

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Questa metodologia non è stata seguita inmodo omogeneo: mentre nel Nord Italia il70% delle aziende ha approntato il questio-nario ai suoi dipendenti, la situazione èmolto più blanda nel Centro Italia e nelSud Italia, con una percentuale che oscilladal 10 al 19%. Inoltre, il questionario pre-senta delle criticità riconosciute dallo stessoInail, a cominciare dall’anonimato (mentreil campione dei consulenti del lavoro non loè) e dal genere. L’Istituto, purtroppo, predi-spone i questionari per gruppi omogenei,che non tengono conto del sesso e dell’età;variabili che fanno perdere validità statisticaall’indagine. L’Inail ne è consapevole, tant’èvero che sta cercando di porvi rimedio. Per quanto riguarda le altre malattie profes-sionali indicate dai consulenti di Poste in-tervistati, oltre allo stress lavoro-correlato,che rappresenta la principale novità, abbia-mo rilevato che le patologie più diffuse so-no quelle che interessano gli occhi e l’appa-rato muscolo-scheletrico. In queste ultime,molti intervistati hanno riferito più interes-samenti dopo la cessazione dell’attività lavo-rativa. In questo ambito rientrano le pato-logie cervicali, per le quali il riconoscimen-to dell’origine professionale è ancora moltodifficile da dimostrare e che impattano sul-le problematiche legate alle postazioni di la-voro e alla loro inadeguatezza.L’ergonomia delle postazioni di lavoro, se-condo Poste Italiane, è un rischio ricono-sciuto soltanto ai videoterminalisti, ma nonlo è per le altre categorie di dipendenti, no-nostante quasi tutti i lavoratori svolgono leloro mansioni nelle stesse condizioni, stan-do seduti dietro a una scrivania; e dunque

non si capisce perché solo a una piccola per-centuale di dipendenti venga riconosciuto ilrischio specifico legato alle problematichemuscolo-scheletriche. Un’altra problemati-ca emersa dall’indagine riguarda la mancatafruizione delle pause di lavoro, dichiaratadagli intervistati, che lavorano più del tem-po dovuto contrattualmente.A queste condizioni critiche si aggiungonoi disturbi visivi segnalati in modo consi-stente, per i quali è abbastanza semplicetrovare una correlazione con l’attività svol-ta che, non a caso, aumentano tra quellicon un’anzianità di servizio oltre i 20 anni.Quindi, con una maggiore significatività econ dei sintomi, fortunatamente nellamaggior parte regredibili, ma che se conti-nuano, chiaramente possono diventare unproblema serio.A questo proposito, mi sono posto una do-manda: può una patologia organica, quindiun disturbo visivo somatico, inficiare lo sta-to psichico del paziente? Perché allora tuttele malattie artrosiche, tutte le malattie condisturbi visivi o patologie con disturbi visi-vi possono inficiare lo stato psichico del pa-ziente? Cioè: io sto male, per cui sono an-che più depresso perché sto male. Dunquesto male non perché soffro di un male or-ganico ma sto male perché probabilmentela costrittività organizzativa in termini ge-nerali mi fa stare peggio.Altro aspetto dell’indagine che mi ha preoc-cupato riguarda la sorveglianza sanitaria, cheinveste solo il 22,6% degli intervistati. Miaspettavo un valore sinceramente molto piùalto, ma così non è. Inoltre, un altro dato psi-cologico importante rilevato dal campione è

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che gli intervistati dichiarano di parlarne conil medico di base, ma non con il medicoaziendale. Perché? A voi la risposta.A questo punto vado alle conclusioni. Pri-ma di tutto i disturbi ci sono, ma le malat-tie professionali non esistono: su 1.100 assi-stiti, l’1,1% ha avuto il riconoscimento diuna malattia professionale. In più, la sorve-glianza sanitaria viene effettuata solo a unquinto dei lavoratori, che dichiara di esseresottoposto a visite mediche. Soltanto il16% dei lavoratori ha parlato dei propri

problemi di salute con il Medico Compe-tente, mentre il 78% dice di essersi con-frontato con il medico di base. Perché? Duesono le risposte. La prima ve la do io: per-ché il lavoratore non ha coscienza che lapropria problematica è legata ad una malat-tia professionale. La seconda risposta è cheprobabilmente c’è un po’ di distanza tra illavoratore e il Medico Competente, vissutoquest’ultimo forse non come un suo coa-diuvante ma come colui che rappresenta lacontroparte.

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Idati della ricerca sono molto interessan-ti. Mi colpiscono molto anche e soprat-tutto per le ricadute di genere eviden-

ziate, che le donne subiscono di più, som-mando stress a stress. Voglio ricordarvi che questo paese ha la for-tuna, l’enorme privilegio di vedere nellaCostituzione la difesa del diritto alla salute.Credo che qualche volta ci converrebbe ri-leggerla. «La Repubblica tutela la salute co-me un fondamentale diritto dell’individuoe interesse della collettività». Sono due coseche devono andare insieme e mai come inquesto caso sarà evidente la ragione. Questoè l’articolo 32 della nostra Costituzione cheè proprio ciò su cui i sottosegretari e i mini-stri giurano al momento dell’assunzionedella loro responsabilità. La Repubblica non adempirebbe alla Costi-tuzione se non tutelasse la salute dei lavora-tori, se non tutelasse la salute degli individuima anche, e soprattutto, la salute degli in-dividui nei luoghi di lavoro, dove si trascor-re la maggior parte del tempo e della gior-nata attiva. Ben vengano dunque indaginicome questa, che è molto particolare. Mi

piacerebbe capire come mai avete scelto ilcomparto dei consulenti commerciali e,mentre parlavate, mi domandavo come de-ve essere stato lo stress in certi anni dei la-voratori delle banche dove, chi era addetto,appunto, alla commercializzazione dei pro-dotti finanziari, s’è trovato a subire pressio-ni gigantesche.I dati dell’indagine sui consulenti di PosteItaliane, con un campione molto significa-tivo, ci restituiscono un quadro che non ècertamente privo di preoccupazioni circa laqualità della vita lavorativa. Ricordo la ca-renza di personale, l’ambiente fisico nonadeguato, le condizioni ergonomiche, mami ha molto colpito anche il dato sulla vio-lenza che si subisce, che è psicologica e fisi-ca. Questa è una cosa che dovrebbe preoc-cuparci molto nel caso dei lavoratori, mamolto anche come cittadini. Dovremmotutti essere preoccupati per questa modalitàin cui la tensione, l’odio e la violenza si sca-tenano continuamente.Fortemente significativi sono anche i datidelle assenze per malattia, che la ricerca ri-conosce come particolarmente elevati e

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* Sottosegretario al Ministero della Salute.

Interventiz Sandra Zampa*

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che, a una superficiale lettura, potrebberoessere letti come dati relativi a un assentei-smo lassista, mentre in realtà questa con-clusione contrasta con l’altro risultato, rile-vato dall’indagine, che è la permanenza sulluogo del lavoro oltre l’orario prestabilito.Se, infatti, circa l’80% degli intervistati af-ferma di trattenersi oltre il normale orariodi lavoro e di svolgere compiti lavorativi aldi fuori degli orari previsti, si evince nonsolo che c’è un impegno lavorativo supe-riore alle ore da contratto, ma che esiste undiffuso senso di responsabilità. Mi doman-do se anche questo incida sullo stato distress; nel senso che avere un forte senso diresponsabilità e subire pressioni gerarchi-che, quando si vende un prodotto finanzia-rio di cui non si è convinti oppure quandosi subisce una pressione, espone il lavorato-re ad un particolare livello di stress, ancherispetto alla sua coscienza, al suo senso eti-co. Quindi questo davvero testimonia chec’è tutt’altro che menefreghismo, ma re-sponsabilità e anche un forte coinvolgi-mento per il conseguimento degli obiettiviaziendali.La parola chiave, a questo punto, con laquale noi ci dobbiamo misurare è la parolaproduttività. È una parola controversa, mache non può essere elusa. Ho preso, comeesempio, l’omologa francese di Poste Italia-ne: La Poste, che naturalmente, ha un fat-turato simile, un utile netto inferiore a quel-lo di Poste Italiane. L’azienda francese occu-pa quasi il doppio dei dipendenti di PosteItaliane, ma ci sono elementi radicalmentediversi che rendono difficilmente paragona-bili queste due realtà. Mi riferisco soprat-

tutto alla diversa geografia fisica e politicadella Francia, dove c’è una maggiore disper-sione sia come superficie che come dissemi-nazione dei Comuni. Eppure 135.000 di-pendenti italiani contro 250.000 dipenden-ti francesi rappresentano oggettivamente undifferenziale molto grande.La mancanza di personale lamentata neiquestionari individuali trova in questi nu-meri una giustificazione se non una confer-ma molto evidente: se vogliamo davveroconciliare salute e produttività, efficienzaaziendale, qualità della vita delle persone,dobbiamo concludere che è necessario an-che in questo settore un cambio di paradig-ma. La produttività si deve connettere altasso di soddisfazione del lavoratore e stareradicalmente lontana dallo sfruttamento.Più ci si trova in condizioni psicologichemotivanti, maggiormente anche la condi-zione fisica ne beneficia positivamente. Piùuna persona è in salute e minore sarà il ri-corso alle assenze per malattie e in definiti-va al Sistema Sanitario Nazionale. Questo èun punto centrale. L’impresa che estrae al massimo il valore daldipendente, fino a esporne a rischio la salu-te, non è lungimirante perché, tra l’altro, lo-gora il suo patrimonio di risorse umane, cheè la cosa più preziosa che un’azienda possaavere e ne trasferisce i costi sanitari sulla col-lettività. Si tratta di un’altra forma di massi-mizzazione dei profitti e socializzazione del-le perdite, stante che i costi per il manteni-mento del Servizio Sanitario Nazionale so-no sostenuti, com’è noto, dalla fiscalità ge-nerale. Un circolo vizioso che deve e può es-sere interrotto. La qualità della vita lavorati-

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va deve essere allora concepita come unaforma di prevenzione sanitaria.Sono riflessioni che stanno maturandopresso tutte le amministrazioni pubblichenon solo in Italia ma anche in Europa e chesi basano ormai su una copiosa letteratura,stratificazione di studi e di analisi che han-no anche ricadute sul piano legislativo. Inparticolare, penso a passaggi come per glianni Novanta è stata la legge 626, negli an-ni Duemila il testo unico in materia di sa-lute e sicurezza sui luoghi di lavoro, il de-creto legislativo 81 del 9 aprile 2008. Tut-to questo per dire che la legislazione italia-na si è posta spesso all’avanguardia su que-ste tematiche, ma chi vi parla ha vissuto 10anni in Parlamento prima di arrivare da unmese e mezzo circa invece a vivere il gover-no dall’interno. E chi vive in Parlamentodeve avere il coraggio di dire che spesso sifanno buone leggi che non trovano appli-cazione, che lentamente vengono svuotate,modificate, inapplicate. Io stessa sono au-trice di una legge abbastanza importante acui mancano, a 3 anni di distanza, ancora2 decreti legislativi e un protocollo. Quin-di vi basta questo per comprendere come leleggi non siano sufficienti; naturalmentesono indispensabili, ma non bastano.Se l’Italia si è posta all’avanguardia su que-ste tematiche, questo non ci deve affatto ap-pagare. La riflessione e l’elaborazione dinuove strategie, infatti, non deve interrom-persi e questa giornata ne è una efficace di-mostrazione. Per questo ringrazio chi ha vo-luto questa iniziativa. Se cerchiamo di capi-re in che direzione muovere i nostri passidobbiamo affiancare e completare la strate-

gia di prevenzione sui luoghi di lavoro conla promozione della salute, quale strategiacomplementare a quella della tutela dellasalute, più ampia rispetto all’adempimentodegli obblighi di prevenzione e in coerenzacon i principi di responsabilità sociale.La sanità pubblica è impegnata su questo eora è tempo che anche le aziende facciano lapropria parte. Quindi, mi dispiace che Po-ste Italiane non abbia voluto partecipare aquesto incontro. Le strade sono diverse e so-no perlopiù inesplorate. Ma se consideria-mo che la promozione della qualità della vi-ta è un pezzo certamente non trascurabiledella promozione della salute, si aprono sce-nari davvero nuovi. Ci sono realtà, ad esem-pio, proprio nel settore finanziario, sebbenenon certamente delle dimensioni di PosteItaliane, che hanno sviluppato una sorta dibanca interna dei lavori, che si comunicanola preferenza sia di localizzazione e sia dimansione e che, a parità di stipendio, vedo-no l’azienda impegnata a far incontrare ladomanda e l’offerta, in modo tale che sipossa massimizzare il più possibile per cia-scuno la facoltà di svolgere le mansioni chepreferisce. E anche qui mi ha colpito, nel-l’indagine, la questione della partecipazio-ne. Quando i lavoratori sono chiamati apartecipare e in qualche modo sono ascolta-ti, e quindi l’azienda ha un atteggiamentodel tutto diverso, alla fine le performancessono migliori.Certo, tutto questo lo dico senza generareillusioni, senza arrivare a immaginare chenoi possiamo rendere ogni ufficio postalecome una succursale della famosa Moun-tain View, che è la sede di Google. Tuttavia,

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con il coinvolgimento dei lavoratori, insie-me a un aumento dei corrispondenti mar-gini di autonomia, per esempio, la speri-mentazione dello smart working, ho profon-da fiducia che si possano costruire percorsitali da migliorare davvero la qualità della vi-ta lavorata contrastando lo stress e la vita se-dentaria (qui peggiorata dai problemi dicia-mo ergonomici) che sono le principali cau-se dei disturbi rilevati nella vostra indagine.Siamo abituati, e giustamente, a pensare al-l’Italia come il paese della qualità (qualitàdell’alimentazione, dell’abbigliamento, del-l’arredamento fino ad arrivare alle macchineutensili di precisione, la meccatronica. E

poi la qualità dell’istruzione scolastica, del-l’assistenza sanitaria), ma ancora non siamopercepiti e non ci percepiamo come il pae-se della qualità della vita lavorata.Io credo che sia venuto il momento di spin-gere con determinazione in questa direzione,nella consapevolezza che il lavoro, che certa-mente è fatica, non deve essere una condan-na ma, al contrario, uno strumento semprepiù capace di realizzare sé stessi, il modo at-traverso cui l’individuo esprime la propriacreatività e il proprio saper fare, e concorre-re alla costruzione di una società migliore incui il cittadino diventi soggetto partecipan-te e consapevole della vita dello Stato.

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Io non voglio assolutamente entrare nelmerito dell’analisi del questionario.Non voglio farlo perché in realtà è

un’analisi che meriterebbe un approfondi-mento molto più importante di quello cheho potuto fare io in queste ore ascoltando-vi. Non voglio farlo neanche perché poi en-treremmo nel merito di una valutazione dicompetenza, che non è la mia, ma soprat-tutto anche di validità e di valorizzazione diun risultato che, al di là del gruppo omoge-neo, è molto circostanziato. Parliamo di po-co più di 1.000 questionari su una popola-zione generale di un’azienda che, se non va-do errato, ha forse quasi 130.000 dipen-denti in tutti i vari settori.Tuttavia, la validità del dato vorrei scinder-la in due considerazioni: quella relativa allapatologia o sussistenza di patologie, sullaquale sarei molto cauto, e quella invece re-lativa al disagio lavorativo che potrebbe ave-re un’immediata e rilevante valorizzazionein termini di attività prevenzionale. Anchequando mi interfaccio con problematichedi attività professionali, quando devo esa-minare una tipologia di lavorazione, che sia

per un’idoneità del lavoratore o che sia peruna malattia determinata, sono poco pro-penso a esaminare il caso sul cartaceo, nelsenso che le descrizioni delle lavorazioni,che siano Dvr o altro, sono sempre mediatedall’interpretazione. Quegli atti lavorativi,le mansioni, le attività, i compiti specificiche svolgono i lavoratori sono mediati daun’interpretazione che non ce la rende sem-pre così immediata, efficace e concreta.Quindi, preferisco sempre guardare la lavo-razione in diretta. Quindi osservare, fare deisopralluoghi.Tuttavia, per le attività svolte dai lavoratoripostali io non ne ho bisogno. Tutte le volteche sono andato alle poste ho percepito co-me tutti i lavoratori, che hanno un’interfac-cia con l’utenza, siano sottoposti a un’attivi-tà di lavoro molto impegnativa e che creainevitabilmente disagio. Inoltre è un’attivitàche forse andrebbe valorizzata più in termi-ni prevenzionali che altro.Obiettivamente noi, come Inail, le malattieprofessionali le analizziamo, entriamo nelmerito e poi le validiamo a seconda dei cri-teri dottrinari e scientifici, che consentono

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* Sovrintendente sanitario centrale Inail.

Interventiz Patrizio Rossi*

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di accogliere o meno la richiesta di tutela,però è indubitabile che vi sia un gap, unvuoto, tra una reale percezione di disagio el’attività intensiva, l’attività impegnativa,un’attività che non dà tregua. Vorrei anchestimolare tutti i colleghi e i medici in par-ticolare. Quando noi dobbiamo valutare lepatologie da sovraccarico biomeccanico,che attualmente rappresentano una gran-dissima maggioranza delle malattie denun-ciate all’Inail, andiamo sul posto di lavoroper verificare se vi sono condizioni che lehanno determinate e che le hanno origina-te come professionali e valutiamo la fre-quenza dell’atto, la forza applicata, la man-canza di pause. Non capisco perché, quan-do poi parliamo di malattie psicosomaticheo da inibizione psichica o da disagio psi-chico, non utilizziamo le stesse metodicheinterpretative, che ci consentirebbero forsedi fare un passaggio ulteriore rispetto aquanto non facciamo oggi in termini di ri-conoscimento e di adeguamento delle atti-vità lavorative.Ciò detto, vi avevo promesso che non sareientrato nel merito del questionario, però èindubitabile che le posture incongrue sonocausa di una gran parte delle patologie se-gnalate da coloro che hanno risposto alquestionario. Ribadisco: io andrei moltocauto sul termine «patologie» e molto dipiù su un disagio, che poi potremmo defi-nire temporaneo o eventualmente anchepermanente, ma un disagio lavorativo nel-lo svolgimento del lavoro. Se poi questo di-sagio nello svolgimento del lavoro procurao determina una malattia vera e propria,con un carattere di cronicità e di perma-

nenza, è un dato che non è così scontato;non è un passaggio automatico, perché poidovete pensare alle condizioni di esitamen-to, alle condizioni di allenamento, alle con-dizioni di allontanamento, che potrebberofavorire una ripresa, un riabbassamentodella soglia di sofferenza e, quindi, non de-terminare una patologia cronica.Come si osserva da tempo, ormai, la granparte delle malattie denunciate all’Inail(costantemente tra il 60 e il 65%) è carat-terizzata da patologie osteoarticolari o delreparto o distretto osteoarticolare, per lequali l’Inail, dopo l’accertamento e l’istrut-toria medico-legale, corrisponde una per-centuale di riconoscimento molto più altorispetto ad altre tipologie di malattie pro-fessionali, anche se il numero in termini as-soluti è molto inferiore rispetto al totale diquelle denunciate.Ma allora, se davvero vogliamo parlare ditutela del lavoratore, dobbiamo sempre ecomunque partire dal momento prevenzio-nale. Penso che a nessuno di voi possa inte-ressare avere un indennizzo una tantummodesto, che debba poi ripagarlo della sa-lute persa o di un pregiudizio che soppor-terà per tutta la vita. Immagino che ognu-no di noi abbia il diritto e la volontà di ve-dersi preservato dall’ammalarsi, più che es-sere indennizzato. E allora le risposte alquestionario pongono alcune problemati-che che devono essere stressate, valorizzatein termini prevenzionali. Ne riparlerò poisuccessivamente quando affronteremo ildiscorso dello stress lavoro-correlato. Ov-viamente sono tutte attività prevenzionaliche anche l’Inail svolge forse in maniera

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non altrettanto efficace rispetto al disagioche i lavoratori sopportano. Ma noi dob-biamo sviluppare un’attività prevenzionalee dobbiamo avere anche le strutture e le ri-sorse per poterlo fare.C’è stata una campagna sviluppata dall’Inailper il «low back pain», cioè per il dolorelombare, svolta da fisioterapisti dell’Inailche, con la formazione adeguata, si sono de-dicati, all’interno di alcune aziende, a istrui-re le persone per poter evitare il mal dischiena o evitarlo in maniera importante oaddirittura non farlo sviluppare affatto. Ov-viamente sono procedure sperimentali ma,se davvero hanno realizzato un valore ag-giunto nelle politiche prevenzionali, pensoche, validato a livello nazionale, potremmosviluppare, per categorie, secondo priorità,questo tipo di campagne prevenzionali perevitare che le persone, prima ancora di esse-re indennizzate, si ammalino di mal dischiena o aggravino il loro mal di schiena.Perché dico: aggravino il loro mal di schie-na? Ho avuto modo di studiare questa pro-blematica, in maniera molto dettagliata,per una proposta di modifica del sistemaindennitario. Abbiamo fatto delle ricerchesu persone dai 16 ai 18 anni, che sono de-cedute per altre cause e sulle quali sonostati effettuati degli esami istologici sul di-sco vertebrale, e si è verificato che vi sonodelle alterazioni precoci. Questo per direche ognuno di noi, per i tempi moderniche viviamo, ha con sé un po’ di mal dischiena, ma questo non vuol dire che quelmal di schiena è una malattia e non vuoldire, soprattutto, che quel mal di schienapoi si debba concretizzare o valorizzare co-

me una malattia cronicizzata per causa dellavoro.Quindi, ritengo che noi abbiamo la possibi-lità di svolgere delle attività prevenzionali,sulla base di stimoli che ci vengono dal-l’esterno, di rapporti convenzionali, che civengono dall’esterno, per ruolo istituziona-le. Noi facciamo formazione, informazione,ma possiamo fare anche altro. Se noi siamol’ente Inail, che deve tutelare la salute suiluoghi di lavoro, unitamente a tutta un’altraserie di operatori (Medici Competenti, da-tori di lavoro e quanto altro), deve svilup-pare un significato di salute sul posto di la-voro diverso e più efficace rispetto al passa-to; allora dobbiamo strutturarci per potersvolgere un’attività in maniera diversa daquello che facciamo: per esempio, ricorren-do all’utilizzo di ausili, all’adozione di tecni-che e modalità di lavoro corrette, attraversoun’informazione e un’attività costante dimonitoraggio.Cosa potrebbe scaturire? Beh, per esempio,miglioramenti ambientali e di arredo, ab-battimento delle barriere architettonichema anche miglioramento delle postazioni dilavoro. Ecco, lo possiamo fare con le proce-dure di reinserimento ma per pazienti chegià sono ormai ammalati o si sono infortu-nati e che devono, in qualche modo, conti-nuare la loro attività in una postazione ra-gionevolmente adeguata. Anche questa èun’attività che l’Inail sta sviluppando e staincentivando in maniera importante inquesti anni, che comprende anche la riorga-nizzazione del posto di lavoro.Vi sono dei piani nazionali di prevenzioneche abbiamo sviluppato maggiormente nei

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settori che avevano una priorità rispetto al-le patologie o alle sofferenze di cui noi stia-mo parlando. La Fondazione Giuseppe DiVittorio, che ha portato avanti un questio-nario del genere, ha focalizzato l’attenzionesu un disagio lavorativo che consentirà, ne-gli anni o nei mesi futuri, di elaborare unpiano di prevenzione spiccatamente orien-tato verso i lavoratori che non sono soltan-to quelli dell’agricoltura e della grande di-stribuzione e dei trasporti. E così è stato an-che con le campagne del 2012 per quantoattiene i disturbi muscolo-scheletrici degliaddetti alla grande distribuzione e ai medi-ci che operavano in alcune attività.Le condizioni non adeguate non sono talisoltanto perché vi è una inadeguatezzastrutturale o della posizione dove uno è se-duto o quant’altro. Le posizioni sono ina-deguate anche in ragione della modalità disvolgimento del lavoro. Ed ecco qui chevengono richiamate le problematiche stresslavoro-correlate, patologie croniche di di-sturbo di adattamento, disturbo post-trau-matico da stress, disfunzioni che possonoderivare. Qui stiamo parlando delle cosid-dette costrittività organizzative che l’Inailha coniato per poter poi distinguere e di-scriminare una patologia, una psicopatolo-gia lavorativa, dalle psicopatologie di natu-ra non lavorativa; ma sono condizioniestreme. Vi sono condizioni molto menoestreme e molto più labili che invece pos-sono riconoscere lo sviluppo di una patolo-gia in tal senso. Le denunce sono modestis-sime, come modestissimo è stato il cam-pione analizzato dallo studio sui consulen-ti di Poste Italiane, modestissimo il valore

delle denunce e modestissimo ancora più ilvalore del riconoscimento dei disturbi psi-chici e comportamentali correlati allo stressda lavoro.Ma se davvero, ancora una volta, dobbiamoandare verso una prevenzione delle malattie,dobbiamo parlare di salute organizzativa.Penso che negli ultimi decenni ci sia statauna grande rivoluzione negli ambienti lavo-rativi, nelle strumentazioni, anche nei me to-di, per alcuni versi, ma non è stata granchémodificata l’organizzazione del lavoro.Ognuno cerca di fare del proprio meglioper poterla modificare, però noi dovremmocostruire degli ambienti di lavoro che con-tribuiscano realmente a migliorare la quali-tà del lavoro medesimo.Adesso non voglio parlare di problematicheche non attengono alle mie competenze,però leggevo curiosamente un post di que-ste giornate nelle quali la Microsoft Giap-pone ha dato, nell’estate scorsa, 5 venerdìliberi pagati ai propri dipendenti. Ha pen-sato, cioè, in un’epoca estiva dove le attivi-tà extralavorative possono essere godute inmaniera più importante che non in altriperiodi, di dare 5 venerdì liberi, quindi ri-ducendo concretamente l’orario di lavoro.I risultati di questa scelta dicono che c’èstato un aumento di produttività del 40%di vendite per dipendente e c’è stata una ri-duzione dal 50 al 20% dei costi, dalla car-ta stampata all’energia elettrica. Ovviamen-te, è inutile dirvi che la soddisfazione deidipendenti è stata elevatissima. Questo si-gnifica che se il lavoro del postale – e stia-mo al punto – ha una ripetitività e una fre-quenza così impegnativa, evidentemente le

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attività di prevenzione finora fatte sono sta-te inadeguate, visto il disagio lamentato dailavoratori, che comunque deve essere va-gliato per bene. Per rimuovere le cause, de-ve essere modificata la modalità di lavoro,con pause più frequenti. Allo stesso paridovremmo pensare ad alternative procedu-re di metodo e di tempi di lavoro per pre-venire malattie psichiche quando il lavoro ècosì impegnativo.Voi avete parlato di partecipazione, di sod-disfazione, di motivazione. Ecco, tutto que-sto deriva anche da una modalità di svolgi-mento del lavoro diversa da quella odierna.Se vogliamo aumentare la soddisfazione dellavoratore, la partecipazione, le motivazionie quindi, di contro, anche la produttivitàcon una modalità di lavoro diversa, do-vremmo contribuire tutti a una riorganizza-zione del lavoro se davvero tutti i dati chenoi potremmo trarre da analoghi e più este-si studi di tal genere ci orientano verso undisagio correlato a quel tipo di compito e difunzione. Anche in questo ambito possonoaiutare, quindi, informazione, formazione,adozione di modalità di lavoro corrette –non perché siano scorrette le attuali ma so-no inadeguate – soprattutto per i consulen-ti di Poste, rispetto magari ad altre tipologiedi lavoratori delle Poste, che hanno proble-matiche diverse dai consulenti.Organizzazione del lavoro, modifiche lavo-rative, studi epidemiologici. L’Inail ha an-che cercato di dare un contributo a questamateria con una pubblicazione sulle meto-dologie per la valutazione dello stress lavo-ro-correlato, però da questo questionariomi sembra di aver compreso che sia venuto

fuori poco rispetto a un’evidenza di denun-cia o di codifica che ci si aspettava rispettoalle modalità. Penso che bisognerebbe ri-tornarci sopra a questa evidenza. Questo èuno sforzo che deve fare l’Istituto. Lo hafatto attraverso il Dimeila ma come sovrin-tendenza io mi riprometto, nei prossimimesi, di affrontare il problema, prima an-cora che gli altri, perché è una questionemolto diffusa; è un disagio molto diffusoche riguarda una gran parte dei lavoratori,perché la percezione del lavoro disagiato èuna percezione di cui bisogna tener conto aprescindere da items o da considerazionigenerali di documentazione e di mappatu-ra dei rischi che questo disagio non lo fan-no emergere. Queste sono le modalità at-traverso le quali vanno indagati e mappatieventi sentinella e quant’altro.È indubitabile che, se noi dobbiamo esserepiù efficaci nella fase di prevenzione ma an-che nella fase di riconoscimento, dobbia-mo tener conto di altre due essenziali con-dizioni. La vita lavorativa è più lunga.Quindi il lavoratore invecchia sul lavoro,non necessariamente per causa del lavoroma invecchia sul lavoro. Allora dobbiamoreinventare, re-ingegnerizzare una posta-zione di lavoro con metodiche diverse ri-spetto a quelle precedenti, perché altrimen-ti fra 10 anni avremo per davvero tutti i la-voratori o una gran parte di essi ammalaticronicamente per il lavoro, quando inveceil lavoro, nelle modalità di esplicitazionecosì come oggi sono prospettate, non èmorbigeno ma lo sarà magari per i lavora-tori che saranno lì a svolgere la stessa man-sione fra 10 anni.

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La seconda variabile di cui dobbiamo tenerconto per quanto attiene alla tutela e al rico-noscimento delle malattie, è che tutti coloroche vogliono migliorare la salute sui luoghi dilavoro devono considerare, per quanto di lo-ro competenza, dei cambiamenti del lavorostesso. Penso che le Poste siano un esempioemblematico. La figura dei consulenti di Po-ste non esisteva 30 anni o 20 anni fa. Pensoche a cambiare sia stato un paradigma del la-voro. È certo che una parte o una gran par-te o tutti i lavoratori si sono trovati a svolge-re un’attività di lavoro, che non era quella perla quale erano stati assunti. Questi lavorato-ri sono stati chiamati a svolgere una man-sione per la quale non erano stati allenati,non erano stati educati. Quindi, c’è necessi-tà di allenare le persone e di renderle ade-guate, o di non far svolgere questo lavoro apersone che non hanno le attitudini.

Per affrontare le criticità, dobbiamo cerca-re di andare a individuare quanto prima,con un approccio metodologico, un mo-dello partecipativo nuovo. Un passo ulte-riore dobbiamo farlo per il reinserimentolavorativo, attraverso questa metodica ecce-zionale, che è quella di un adeguamento edi una congruità tra il lavoratore e il postodi lavoro. L’obiettivo, quindi, è rendere piùcongruo il lavoratore con il posto di lavoroe il posto di lavoro con il lavoratore. Que-sto dovrebbe essere il reinserimento già didomani da far transitare anche a vantaggiodei lavoratori che non sono ammalati. Senoi riusciamo a fare questo, riusciremo aessere molto più efficaci di quanto non sia-mo stati in passato e di quanto invece nonrichiedano le necessità di tutela di tutti la-voratori.

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Credo che questo dibattito dimostricome la collaborazione tra il Patro-nato e le Categorie sindacali rap-

presenti un valore aggiunto rispetto a ciòche ognuno di noi può fare nel proprioambito. È la dimostrazione pratica di comele attività di tutela individuale e collettiva,marciando insieme, possano davvero rap-presentare i bisogni dei lavoratori e delle la-voratrici, rispetto al tema della salute e del-la sicurezza, partendo dalle reali condizionidi lavoro.Un percorso già avviato da tempo, comedimostrano i tanti progetti realizzati attra-verso questionari in numerosi ambiti pro-duttivi, pubblici e privati, con lo scopo didimostrare come le condizioni in cui si la-vora sono determinate da lunghi processi enon si improvvisano: ci sono delle respon-sabilità rispetto a quelle condizioni e ri-spetto alle conseguenze che quelle condi-zioni determinano.Il nostro compito è di mettere in evidenzaqueste responsabilità, perché da esse posso-no derivare risposte ai bisogni di salute e si-curezza, facendo crescere una nuova co-scienza e una maggiore consapevolezza al-

l’interno dei posti di lavoro. La mancanza dicoscienza e di consapevolezza purtropponella realtà non conosce responsabili, né daparte del datore di lavoro né del MedicoCompetente, che dovrebbe agire con scien-za e conoscenza, come ci ricordano i medi-ci della Simlii, le cui conseguenze si riscon-trano quando si redige un qualsiasi Docu-mento di Valutazione dei Rischi (Dvr).Molto spesso la valutazione dei rischi si fasoltanto rispettando la «forma», nonostantein Italia le norme siano abbastanza avanza-te; penso al decreto legislativo 81, che anco-ra deve esplicitarsi in termini compiuti eche se applicato integralmente offrirebbe lapossibilità di costruire le precondizioni perun miglior rispetto della salute e della sicu-rezza nei posti di lavoro.Se il documento di valutazione dei rischi nonviene aggiornato costantemente rispetto allemodifiche delle condizioni di lavoro, perde lasua efficacia nel rilevare i rischi lavoro-corre-lati. Sappiamo benissimo che ce ne sono intutti gli ambiti professionali: in ufficio, nellacatena di montaggio, nella sanità, nelle scuo-le e in ogni dove; altrimenti, non si potrebbespiegare la dimensione significativa delle mi-

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* Collegio di Presidenza Inca Cgil Nazionale.

Interventiz Silvino Candeloro*

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gliaia di infortuni e neppure dei tanti mortiche ogni anno siamo costretti a registrare.Per questo è importante agire sui rischi perevitare che si traducano in infortunio o in ma-lattia professionale. È su questo terreno che siinserisce la questione delle responsabilità edelle funzioni che ognuno può svolgere. Il diritto alla salute è un diritto costituzio-nalmente protetto ma, molto spesso, vienecontrapposto al diritto al lavoro, anche da-gli stessi lavoratori. Di frequente, ci capitadi ascoltare che viene prima il diritto al la-voro e solo dopo il diritto alla salute, da par-te di chi soffre le difficoltà a garantire unreddito alla propria famiglia. Lo sappiamotutti benissimo, ma questa contrapposizio-ne, riesplosa in modo prepotente in questitempi di crisi, non è giusta perché svilisce idettami costituzionali, che finora hanno ga-rantito l’evoluzione legislativa e democrati-ca della società nella quale viviamo. I duediritti non devono essere separati: li dobbia-mo coniugare, li dobbiamo rendere compa-tibili qualitativamente, se vogliamo affer-mare la qualità e la dignità del lavoro. Suquesto terreno dobbiamo andare avanti.Affrontare il tema della salute e sicurezzacoinvolge 7-8 soggetti: datore di lavoro,Medico Competente, Rspp, Rls, le Rappre-sentanze sindacali, le Asl e l’Inail. In una re-cente iniziativa promossa dalla Cgil lo scor-so 15 ottobre, abbiamo ascoltato sia i dele-gati, che ci hanno descritto nei dettagli leloro condizioni di lavoro, sia la Confindu-stria, che non ha mostrato un’adeguata vo-lontà e capacità nel voler svolgere il proprioruolo, nonostante il decreto legislativo 81sia abbastanza chiaro sulla prevenzione, sui

controlli, sulla repressione in caso di viola-zione delle norme. Su tutti questi aspettidella problematica, dobbiamo impegnarciper costruire le migliori condizioni possibi-li e con le migliori competenze possibili, af-finché possano tradursi in un percorso vir-tuoso di azioni concrete. Da questo puntodi vista l’Inca potrebbe essere molto utileper i Rappresentanti dei Lavoratori alla Si-curezza (Rls) e per i delegati e così via, per-ché può offrire le competenze dei proprimedici legali e dei propri esperti, sia per lavalutazione dei rischi nei posti di lavoro, siaper assicurare agli infortunati e tecnopaticila giusta tutela individuale.Il nostro obiettivo, quindi, non è soltantoquello di fare le pratiche, ma è quello di fa-re in modo che la gente non si ammali, ri-muovendo le cause di rischio e facendoemergere le malattie professionali, forte-mente sottostimate in Italia. In Germania,in Francia, in Olanda e in Danimarca si de-nuncia un numero di patologie da lavorotre volte superiore a quello rilevato nel no-stro paese. Questo significa che da noi sononascoste, messe sotto il tappeto! Le ragioni di questa sottostima chiamanoin causa anche i medici di base, ai qualicorre l’obbligo di segnalare i casi di patolo-gie lavoro-correlate, che spesso non hannoalcuna cognizione per valutare e mettere inrelazione le condizioni di lavoro con la ma-lattia di cui soffre il paziente che hanno difronte. C’è bisogno, quindi, che vadanoformati e, probabilmente, che vadano in-formati. Altrimenti diventa alto il rischioche ogni patologia professionale venga ge-stita come malattia comune.

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Tutto questo bisogna farlo non soltanto peresercitare il diritto ad un giusto risarcimen-to, ma soprattutto per ribadire il principiodella dignità di ogni persona, che si amma-la per il lavoro: dal punto di vista psicologi-co o dal punto di vista fisico, sapere che unapatologia è stata contratta perché si è fattouno sforzo mentre si svolge una determina-ta mansione lavorativa, dà dignità a quellapersona e l’autorizza anche a esprimere unproprio parere rispetto alle condizioni realidi lavoro. Questo tema va affrontato anchein termini culturali. Noi dobbiamo farecampagne, iniziative come questa di oggi,affinché cresca la coscienza e la consapevo-lezza anche fra di noi su questo tema e nondobbiamo aver paura.Molto spesso ci capita di verificare che noiintroiettiamo i timori dei lavoratori che ri-nunciano a denunciare malattie professio-nali. Nel settore pubblico, abbiamo avutocasi di dipendenti, per i quali abbiamo pre-sentato le richieste di riconoscimento dimalattie professionali e che, una volta chia-mati dal datore di lavoro, sono tornati dalPatronato per ritirarle. Rileviamo che anchetra i delegati si confondono, a volte, i casi diinfortunio con le malattie professionali. Allora su questi temi noi dobbiamo esserecoraggiosi e continuare, come ci ha chiestola Slc, allargando le nostre indagini ad altriambiti. E noi abbiamo intenzione di farlo.Abbiamo già avviato progetti e presto pro-cederemo all’esame dei questionari, chia-mando a visita i lavoratori e le lavoratricicoinvolti, per tutelarli e per far sì che i di-sturbi, di cui si lamentano, non si traduca-no in patologie; già un disturbo è un pro-

blema serio e non può essere sottovalutato,perché se diventa costante può tradursi inuna malattia. Non lo dico io, ma i medici ei dati epidemiologici, come quello legato al-lo stress lavoro-correlato.Nell’esaminare i questionari dei consulentidi Poste il tema dello stress lavoro-correlatoè emerso in modo significativo. C’è bisognoora, con l’aiuto di specialisti, di individuarei criteri e i parametri, attraverso i quali i ca-si che si traducono in malattia professiona-le siano riconosciuti, partendo da alcunespie che l’indagine da noi condotta hannorilevato. Mi riferisco al frequente uso di unaparticolare tipologia di farmaci, fenomenoche non può essere soltanto giustificato conla presenza di patologie pregresse, conside-rate extra lavorative. Per noi è una cosa seria che uno si ammalicon una certa frequenza in determinate con-dizioni di lavoro. Non abbiamo la certezza,ma la probabilità resta molto alta. Quindidobbiamo ragionare in quest’ottica dal pun-to di vista medico legale perché questa è unanostra funzione. Soprattutto rispetto ad al-cune patologie complesse, esiste la concate-nazione delle concause, che molto spessol’Inail non valuta nelle sue collegiali. È suquesto terreno che dobbiamo muoverci emisurarci, per rilevare il dato epidemiologi-co all’interno dei luoghi di lavoro. Il nostro obiettivo è dimostrare che lo stresslavoro-correlato riguarda tutti i settori; per-ciò, considerati i dati epidemiologici, con laCommissione consultiva permanente per lasalute e sicurezza sul lavoro (ex articolo 6D.lgs. 106/2009), va valutata la possibilitàdi inserirlo nelle tabelle delle malattie pro-

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fessionali, in modo da lasciare all’Inaill’onere di dimostrare che non c’è un nessodi causa. L’attività, da noi svolta, per l’emer-sione delle malattie professionali può aiuta-re anche ad affrontare meglio il tema dellaprevenzione con il datore di lavoro, il Me-dico Competente e le Rspp rispetto alle re-sponsabilità a loro riconducibili.Ogni aspetto delle condizioni di lavoro de-ve essere messo sotto osservazione, non tra-lasciando nulla, neppure il problema dellepause, su cui stiamo lavorando. A questo ri-guardo, merita attenzione quanto mi ha ri-ferito un delegato della azienda italiana,Amadori, spiegandomi che una parte dellepause, pensate un po’, se le pagano i lavora-tori, pur avendone diritto. È evidente lacontraddizione. Se la pausa è un tempo dilavoro fondamentale per evitare che un di-sagio si traduca in patologia, bisogna poter-ne usufruire, senza doverla pagare. Non èun diritto che può essere metà a carico deldatore di lavoro e metà del lavoratore. Questo per dirvi che qualsiasi tipo di pro-blematica legato alla salute e alla sicurezza sipuò affrontare trovando delle soluzioni. Ioho un’idea: visto che in questo periodo siparla molto di vaccinazioni, penso che qual-siasi ragazzo e ragazza che inizia a lavoraredovrebbe vaccinarsi contro gli infortuni e lemalattie professionali. Può far sorridere, macredo che questo sottintenda un concettofondamentale: dare la possibilità ad ognisingolo lavoratore e ad ogni singola lavora-trice, quando iniziano a lavorare, di avere lagaranzia che, in quel luogo di lavoro, si faràdi tutto perché non si ammalino o non siinfortunino.

Sulla vaccinazione per la salute e sicurezzanei posti di lavoro dobbiamo scommetteree sfidare tutte le istituzioni pubbliche, par-tendo dalla constatazione che la mancataprevenzione in Italia costa ogni anno 35miliardi di euro. Una parte di questi soldipotrebbe essere utilizzata. Penso che l’Inailabbia le risorse visto l’avanzo di bilancio(circa di 2 miliardi euro). Eppure, quest’an-no ha preferito ridurre i premi alle imprese,invece di investire in prevenzione; oppure,come chiediamo noi da tempo, per cancel-lare la franchigia sulle prestazioni che impe-disce il diritto alla tutela, scoraggiando il la-voratore a denunciare l’infortunio o la ma-lattia professionale. Mi riferisco alla fascia diriconoscimento, tra l’1 e il 5%, cui non cor-risponde alcun sostegno economico, chenega al lavoratore qualunque possibilità diandare in causa. Concludendo, credo che gli aspetti da af-frontare sono tanti e diversi, ma il lavorocomune ci può aiutare tantissimo a svilup-pare una nuova coscienza e una nuova cul-tura della salute e sicurezza nei luoghi di la-voro. Lo dico pensando al metodo utilizza-to anche in questa indagine di stretta colla-borazione tra noi, i delegati e i compagni ele compagne dell’Inca nei territori, che èstato fondamentale. Non c’è autosufficien-za né dall’una e né dall’altra parte. Dobbia-mo proseguire sulla strada della collabora-zione, sapendo che c’è un ulteriore percorsoda fare insieme ai lavoratori rispetto all’esi-genza di una tutela adeguata. Penso che suquesto possiamo impegnarci di più per ren-dere la nostra società più in salute, più sicu-ra e soprattutto più civile.

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Il nostro compito fondamentale è quellodella tutela del lavoro in tutti i suoiaspetti, ivi compresa ovviamente la tu-

tela della salute dei lavoratori. Non ce nedobbiamo mai dimenticare. C’è un pezzoche riguarda la capacità di contrattare lecondizioni di lavoro, ed è un elemento del-la quotidianità del lavoro sindacale, ma c’èanche un lavoro di tutela per assicurare il ri-sarcimento rispetto ad un eventuale dannosubito. Ovviamente, dobbiamo avere ugua-le attenzione in tutte e due le direzioni, sa-pendo che sarebbe meglio spendere qualchemiliardo in prevenzione che qualche miliar-do in risarcimento. Ne guadagnerebberotutti. Questo è ovviamente un punto delnostro quotidiano. Lo strumento del que-stionario ci ha fornito alcune indicazioni: laprima è il successo dell’iniziativa, perché, aldi là delle valutazioni di merito e di cono-scenza delle tematiche molto importanti, cioffre un segnale da cogliere, considerandoche nessuno di noi si attendeva un’adesionecosì significativa.Ora dobbiamo andare avanti nelle due dire-zioni. Abbiamo bisogno di utilizzare questi

elementi di conoscenza nella nostra praticacontrattuale: quindi, nel rapporto conl’azienda e nella definizione delle regole diingaggio sul lavoro. È evidente che questoproblema investa soprattutto la Slc; e noidobbiamo impegnarci in questa direzione.Così come è evidente che l’Inca, in modoparticolare, sarà a fianco a noi per tutti gliaspetti riguardanti la tutela individuale.La seconda considerazione, dal punto di vi-sta di un sindacato confederale, cioè di chisi pone il tema di una tutela più ampia, cheva oltre quella del singolo lavoratore, ri-guarda una lettura estesa della realtà, che cidia gli strumenti necessari per risolvere allaradice il problema della salute e della sicu-rezza nei posti di lavoro. Le due sfere nonsono in contraddizione, anzi si rafforzanol’una con l’altra. Entrando nello specifico, trovo poco com-prensibile che una grande azienda delle di-mensioni di Poste Italiane, possa sfuggire alconfronto su queste tematiche. Non abbia-mo l’intenzione di metterla all’indice, piut-tosto vogliamo sollevare una questione perrisolverla. Lo dico con tranquillità e senza

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* Segretario generale Slc Cgil Nazionale.

Interventiz Fabrizio Solari*

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davvero voler sollevare alcuna polemica.Dal punto di vista confederale lo dico conpiù convinzione, perché il nostro sindacatoha fatto, continua a fare e farà la battagliaper mantenere questa azienda nell’alveo delruolo pubblico. E se lo abbiamo fatto conconvinzione, è perché ci aspettiamo, daquesta azienda, un atteggiamento che nonsia identico a quello delle logiche del meromercato; perché, soprattutto sui prodotti fi-nanziari, quello che è successo nel mondo,credo, sia sufficiente per indicare un cambiodi atteggiamento e di rotta. Lo stanno fa-cendo, con qualche difficoltà, persino legrandi banche e, dunque, sarebbe folle cheun tema di questo tipo non se lo pongaun’azienda pubblica, come Poste Italiane,che rappresenta anche uno degli asset diquesto paese, con una presenza capillaredello Stato fino all’ultimo paesino sperduto;al punto che è facile, nell’immaginario col-lettivo, pensare al dipendente delle Postecome a un pubblico ufficiale. Se è così e considerando che Poste Italianesvolge una funzione di primo piano nellaraccolta del risparmio, soprattutto nella fa-scia del retail, cioè del piccolo risparmiato-re, spesso pensionato, credo che ci voglia unsupplemento di attenzione nel momento incui si collocano prodotti finanziari, proprioperché ci si rivolge ad una fascia che non ècerto quella dell’operatore finanziario diborsa. Quindi, quel risparmiatore ha biso-gno maggiormente di non essere ingannatoe di avere tutte le spiegazioni sui rischi chesi assume sottoscrivendo i prodotti finanzia-ri. Credo che questo sia un elemento im-portante, che ci ha sostenuto e ci sosterrà

ancora nella battaglia per evitare che Postevenga svenduta; ma allo stesso tempo, conaltrettanta fermezza, dobbiamo pretenderedall’azienda atteggiamenti coerenti conquesto ragionamento. Altrimenti è tuttovuoto, altrimenti davvero diventa interesseprivato in atto d’ufficio.Vorrei tornare a quanto ha detto il sottose-gretario nel suo intervento (Sandra Zampan.d.r.), riguardo al confronto di Poste Ita-liane con l’omologa Poste francese, che hail doppio dei dipendenti rispetto all’azien-da italiana, sottolineando come questa dif-ferenza dimensionale vale anche per le fer-rovie francesi e tedesche, che sono il dop-pio di quelle italiane; vale per Telecomfrancese e tedesco, che sono il doppio o iltriplo di quello italiano e per il trasportoaereo, che è 10 volte più grande. Lufthansaha 130.000 dipendenti, mentre Alitalia neha 13.000, e sono addirittura consideratianche troppi. In altre parole, in tutti i set-tori delle reti, dell’energia, della trasmissio-ne dati, del trasporto ferroviario o aereo,fondamentali per misurare anche la quali-tà, l’evoluzione e l’innovazione di un paese,abbiamo livelli occupazionali inferiori, me-no della metà, se messi a confronto con al-tre nazioni europee. E ancora. Se si prende a riferimento il Pilitaliano e quello tedesco, ad esempio, si ve-drà che quello tedesco è una volta e mezzo,più o meno, di quello italiano. Però le di-mensioni di quelle aziende non sono unavolta e mezzo, ma sono 2 volte e mezzo, 3volte e mezzo, 4 volte e mezzo.Allora, credo che la politica debba fare unariflessione, perché noi siamo il paese dell’Iri;

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cioè noi siamo il Paese che, invece, ha unpunto di partenza, dove la presenza delloStato è molto più ampia e molto più rami-ficata rispetto a tutto il resto d’Europa. Eoggi, siamo i principali fautori delle priva-tizzazioni. Ne abbiamo fatte ampiamente inquesti anni, salvo poi accorgerci che, quan-do vai a comprare un cantiere in Francia,incontri qualche difficoltà.Questo processo, durato vent’anni e che hacoinvolto diverse forze politiche, ha biso-gno di una revisione critica, perché se il ri-sultato finale è quello che in settori, dovenon è possibile delocalizzare, vali la metà,vuol dire che si è fatto un investimento sba-gliato in termini di capacità di crescita, an-che di occupazione di qualità, nella dire-

zione di avere un’infrastruttura, che aiutil’innovazione dell’economia nel suo com-plesso. Evidentemente, c’è un problema.Lo dico nelle ore della drammatica situa-zione dell’Ilva, altro esempio calzantissimo;e lo dico non perché sono un nostalgicodelle vecchie logiche o perché ritengo ne-cessario ricostruire le partecipazioni statali,ma perché è necessario avviare una rifles-sione critica su quello che è successo inquesti ultimi vent’anni, provando a porrequalche rimedio per andare avanti. Credoche questa sia un’urgenza, che può aiutareun’operazione di rilancio della capacità delnostro Paese di essere davvero al passo siacon la tutela dei diritti del lavoro sia conl’innovazione.

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Penso che la ricerca consolidi un trattodi verità. Il lavoro svolto dalla Cgil èanche mettere la verità di fronte ai

nostri interlocutori; una verità seria e incon-futabile, che ci indica due direzioni: la pri-ma è che per la Cgil, contrattare le condi-zioni di lavoro nei posti di lavoro è fonda-mentale. La seconda direzione investe la tu-tela individuale, che è prerogativa dell’Inca. Tracciando uno scenario generale, mi sem-bra di poter dire che ormai siamo dentro aun tratto: tra umanesimo e crudele realtàdei fatti. Abbiamo bisogno di governare icambiamenti, perché si rischia di far diven-tare tutto tecnoscienza e non umanesimo: ilsoggetto rischia di scomparire; il soggetto èa disposizione. È come se le prestazioni fos-sero di stampo commerciale («devi darmiuna prestazione e una rendita») e il sogget-to non c’è più. Non c’è più coi suoi senti-menti, con le sue debolezze, con la sua cri-ticità, con la sua genialità, con la sua vogliaanche di confliggere, con la sua esigenza dimediazione. Se io vado verso una culturache è solo la prestazione, la mia come la tua,

a quel punto il soggetto scompare. Questoè il grande problema che abbiamo di frontenella gestione del cambiamento inedito. La tecnologia sta entrando nei luoghi lavo-ro; sta spiazzando le competenze e spiazza lepersone, mandandole in sofferenza. In que-sto scenario, non abbiamo un gruppo diri-gente che governa questa impresa, all’altez-za del cambiamento, fermo al modello didirigismo taylorista. Mi sembra di capireche anche Poste non abbia ancora un’idea dicome partecipare al governo del cambia-mento. Nelle aziende più evolute che l’han-no capito, invece, il tema della partecipazio-ne fa la differenza. Penso che Poste sia un patrimonio per il no-stro paese; anzi, penso che ormai Poste sia lafigura più di bandiera italiana, se guardo al-la sua identità, dal punto di vista della suacapillarità, della sua storia. Stiamo parlandodi un’azienda che, nata nel 1862, ha contri-buito al processo di alfabetizzazione delpaese. Insieme alla Rai, rappresenta la storiadel nostro paese. Un’identità fortissima co-me questa, che tuttora permane, con più di

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* Ex vicesegretario generale della Cgil, attuale assessore allo sviluppo economico e green economy, lavoro,formazione, della Regione Emilia-Romagna.

Interventiz Vincenzo Colla*

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11 miliardi di euro di fatturato, non può es-sere soltanto una società per i dividendi,senza avere un’idea delle condizioni di lavo-ro e della qualità del lavoro.Ormai abbiamo un settore pubblico checontrolla solo i dividendi e non la politicaindustriale. E anche su Poste vedo un’au-tonomia dei dirigenti totalmente slegatada una discussione politica sul ruolo chedeve avere questo grande gruppo nel pae-se. Quando non c’è un governo della me-diazione di un’idea dell’impresa, è eviden-te che le condizioni di lavoro perdono so-stanza, invece di fare, come dovrebbe, ladifferenza sulla qualità del suo profilo. Lamancata presenza a questa iniziativa di Po-ste, è un’occasione persa e un errore. Lo di-co anche perché poi le relazioni non si svi-luppano soltanto attraverso la sottoscrizio-ne dei contratti. Le relazioni sono appun-to relazioni. A fronte di una ricerca come quella sui con-sulenti finanziari di Poste, mi sarei aspetta-to dall’Inail una verifica preventiva, per ca-pire cosa sta succedendo, perché l’Istituto èpagato dai lavoratori e dalle imprese e ha ildovere, di fronte ad uno studio come que-sto, di capire se le criticità descritte sono ve-re e cosa si può fare per rimuoverle. Se nonlo fa rischia di perdere identità positive.Ma cos’è che non sta funzionando nello sce-nario generale del tessuto produttivo italia-no? Prendiamo in considerazione un indi-catore: i morti sul lavoro. L’andamento delfenomeno è diventato un fatto ordinario; ilnumero può aumentare o diminuire, comese non ci fosse nulla da fare; ci stiamo abi-tuando al fatto ordinario di 3 morti al gior-

no. Nessuno ha il coraggio di dire che ab-biamo un miliardo e 800 milioni di ore la-vorate in meno, mentre gli infortuni e imorti sul lavoro seguono sostanzialmente lostesso andamento.Se ciò accade c’è anche un problema che ciriguarda, perché vuol dire che la nostraazione su prevenzione e formazione potreb-be non essere sufficiente; dobbiamo unita-riamente avanzare proposte che abbianoun’identità paese. Penso che abbia ragioneMaurizio Landini, quando afferma la ne-cessità di fare un salto di qualità anche sulsistema repressivo. L’ipotesi di una tabellapunti sugli infortuni è una proposta su cuistiamo lavorando anche con l’Istituto, perfar sì che di fronte ad un evento infortuni-stico non ci si limiti a comminare una san-zione di natura amministrativa, ma possascattare anche un’azione penale, a carico diquel datore di lavoro, che si è reso respon-sabile dell’accaduto. Non possiamo più limitarci ad affermareche abbiamo bisogno di fare maggiore for-mazione e prevenzione; ci vuole anche untratto di legislazione che ci supporti, sapen-do peraltro, che il nostro paese rispetto ad al-tri, ha un problema specifico, che è dato dal-le dimensioni delle nostre imprese: il 90%ha 5 dipendenti. Piccole aziende nelle qualiil sindacato deve rafforzare la propria capaci-tà di rappresentanza sul tema della salute esicurezza nei posti di lavoro, attualmentedifficile da espletare. Per questo, ritengo chei diritti dei Rappresentanti alla sicurezza deilavoratori debbano essere estesi su tutta la fi-liera produttiva, in modo da dare sostanzaalla contrattazione inclusiva, che ci siamo

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impegnati a sviluppare, attraverso la quale sipuò riscoprire una nuova solidarietà sui di-ritti contrattuali. Questo perché se i lavora-tori più forti non vedono quelli più deboli,che comunque operano nella stessa filieraproduttiva, il sistema della sicurezza vienedepotenziato lasciando indietro chi è piùfragile. Ciò peraltro innesca un automati-smo progressivo nella cancellazione delle tu-tele, che potrebbe coinvolgere chi oggi sisente meno esposto al rischio, incoraggian-do le aziende a svalutare il lavoro e i diritti. L’Italia è fatta così: abbiamo Poste, abbiamoEni, abbiamo l’Enel, abbiamo Leonardo,abbiamo Rfi, ma poi abbiamo una molte-plicità di tantissime piccole imprese. Questaè la struttura del nostro paese. Se non ci so-no esempi virtuosi, per creare una nuovacultura della sicurezza, da parte di questigrandi gruppi pubblici, dove rientra a pienotitolo Poste Italiane, che sono la dorsale del-la tenuta del nostro paese, è difficile fareavanzare questo processo. Poste Italiane de-ve iniziare a pensare che non può diventarela succursale di Amazon ma essere un gran-de soggetto, che in autonomia inizia a pen-sare dov’è l’evoluzione digitale.Se ci pensate, noi siamo arrivati da una cul-tura taylorista, dove avevamo un unicomercato del lavoro: c’era l’imprenditore,c’erano gli impiegati e gli operai. Siamo na-ti così. Quel taylorismo però, che abbiamosempre snobbato, perché alienante, avevauna qualità, ossia aveva la capacità di inte-grare i soggetti, garantendo a chi era in gra-do di montare quel determinato pezzo lìsulle filiere industriali di guardare al suo fu-turo e a quello della sua famiglia.

La tecnologia di oggi ha una velocità spiaz-zante e se non la governo vado fuori merca-to. Questo vale per le competenze e per ilsapere. Invece, si stanno diffondendo piùmercati di lavoro, in una bolla di lavoro po-vero, precario, dove stanno persone che,pur di lavorare, sono disponibili ad accetta-re qualunque condizione, entrando in com-petizione addirittura tra di loro, minandocosì la coesione sociale. Poste Italiane nonpuò permettersi di essere un esempio diquesta bolla. Non dico che già c’è, ma i sin-tomi ci sono. Un grande gruppo, invece, come Poste, do-vrebbe dire: «Bisogna sgonfiare quella bol-la», perché quella bolla di precarietà non in-veste solo la sfera lavorativa. In essa ci sonodonne, uomini, giovani e meno giovani,con una rabbia che rischia di scavalcare an-che la rappresentanza, quindi anche noi;scavalca la politica, scavalca le istituzioni. Èrabbia e non partecipazione, che si scariche-rà contro le figure e i corpi intermedi e con-tro i soggetti istituzionali.Dentro questi cambiamenti del lavoro si in-seriscono le figure dei consulenti finanziaridi Poste Italiane, che con una certa velocitàhanno dovuto apprendere nozioni di mer-cati, di flussi, di borsa, di azioni. A loro gliè stato dato un carnet di circa 100 stru-menti finanziari da dover gestire anche ra-pidamente, con l’imposizione di obiettivi diproduttività da raggiungere. E quando sidevono relazionare con il cliente, in man-canza di capacità di riconoscere il valore delprodotto che stanno trattando, ma hannosolo un input aziendale di produttività, iproblemi e le drammatiche criticità emer-

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gono di prepotenza, facendo saltare il siste-ma. Poste, dunque, è anche un soggettoemblematico delle politiche occupazionali eindustriali che si stanno da tempo affer-mando nel nostro Paese.Dobbiamo essere consapevoli che se il valo-re del lavoro prende questo tratto, non c’èniente che tenga. Una cultura progressistadeve partire dalle condizioni di lavoro perriaffermare la dignità del lavoro. Peraltro,considerato il processo di invecchiamento,se noi restiamo ancorati ad un andamento ademografia piatta, con lavoratori semprepiù anziani, le giovani generazioni dell’eradigitale, invece di entrare nelle filiere ancheinnovative, se ne fuggono all’estero. E senzaquesti ragazzi non riusciremo a stare sulmercato. Quindi il tema di questa discus-sione, che investe non solo i consulenti, matutti i lavoratori, è che in questi grandigruppi non possiamo permetterci di nonmettere dentro i ragazzi dell’era digitale.Penso che abbiamo bisogno di fare un saltoculturale, che parli della sapienza e dell’or-ganizzazione positiva, perché le condizionidi lavoro possono fare la differenza anche intermini di produttività dell’impresa. Ad aiutarci in questo percorso è anche unalegge sulla rappresentanza, che bisogna rea-lizzare, quale condizione pubblica per de-terminare la capacità di rappresentanza diogni sindacato; perché quando firmo un ac-cordo si deve sapere chi è Colla Vincenzo enon deve essere un fatto privato, ma pub-blico. Si deve sapere che i lavoratori hannoscelto di essere rappresentati da quel deter-minato sindacato. Non abbiamo probleminoi a far votare i lavoratori. Fanno votare

anche le bocciofile e non si capisce perchénon si debba far votare la rappresentanza inquesto paese. I lavoratori devono poter sce-gliere; allo stato attuale è inaccettabile chechiunque possa costituire un sindacato, concriteri addirittura non trasparenti, che pos-sa firmare anche un contratto al 30% al ri-basso rispetto al mio per competere sugliappalti, sviluppando cooperative spurie. Sein questi grandi gruppi non sono io a darl’esempio rispetto alla tenuta della rappre-sentanza, un secondo dopo dobbiamo chie-derci se c’è ancora la Costituzione; se i cor-pi intermedi sono riconosciuti quale sogget-to della mediazione della complessità. Fareun accordo non è alto tradimento! È la me-diazione tra interessi. Quindi, il problema ècome una legge sulla rappresentanza possariconoscere i soggetti legittimati democrati-camente. Quei soggetti, quando firmanoun accordo, che cambia la vita in positivo oin negativo di milioni di persone, devonoessere legittimati. E se si riconoscono cometali vuol dire che discutiamo insieme comesi fa a fare valore aggiunto dentro l’impresa. Come si fa valore aggiunto dentro alle Po-ste? Ne discutono solo gli ottimati o è un te-ma di questo paese e di chi ci lavora? A que-ste domande si risponde con il riconosci-mento, prima del confronto sul tema, disoggetti legittimati democraticamente conil voto dei lavoratori; solo così si possono ri-conoscere i sindacalisti, le controparti capa-ci di trovare il modo di fare valore aggiun-to. Per costruire quel valore aggiunto serveun’idea a monte e non a valle, perché a val-le resta solo il conflitto, e lo fanno i lavora-tori anche senza di noi, se hanno le condi-

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zioni, altrimenti il declino resta inevitabile.Questo è il cuore della nuova discussioneche stiamo facendo in Cgil.Riguardo l’esempio di Microsoft giappone-se, richiamato dal Dottor Rossi nel suo in-tervento (sovrintendente sanitario centraleInail n.d.r.) vorrei sottolineare che in quellarealtà la riduzione dell’orario di lavoro è sta-ta fatta a parità di salario. Lo dico perché so-no tutti capaci di ridurre le ore lavorate, main Italia ci sono i salari più bassi d’Europa;e se noi attiviamo la riduzione di orario sen-za salario ci corrono dietro in questo paese.Quindi lasciamo perdere il confronto. Ladiscussione, invece, deve essere spostata suun altro piano, quello che metta al primoposto i tempi di vita e i tempi di lavoro, per-ché questo tema è il futuro.Se dovessi copiare un modello, prenderei ariferimento quello dell’Ig Metall tedesco,per il quale la riduzione dell’orario di lavo-ro, anche per motivi familiari, è compensa-ta dallo Stato, che interviene garantendo lostesso stipendio, consentendo a ciascuno diriprendere il normale orario di lavoro quan-do vengono meno le condizioni di disagio.Quindi, non si tratta di welfare aziendale,ma di welfare di Stato, che riduce, in questomodo, anche il rischio di stress lavoro-cor-relato. In quell’accordo c’è una novità im-portante: decide il lavoratore in piena auto-nomia se fare quell’orario o no. Non è unagerarchia a deciderlo. In Italia, invece, ab-biamo il maggior numero di occupati in

part-time involontario, che crea la bolla dipovertà. Voglio ricordare che l’Istat ci diceche è sufficiente svolgere 4 ore di lavoro peressere configurato come lavoratore dipen-dente. Robe da matti! Questa è la discussio-ne che noi stiamo facendo. Qui si svelano intutta la drammaticità le disuguaglianze, an-che professionali. Per affrontare queste problematiche e indi-viduare delle possibili soluzioni, abbiamoun patrimonio, che sono i nostri Rls; abbia-mo un patrimonio che è il nostro Patrona-to. Le leggi permettono di entrare nei luo-ghi di lavoro e dobbiamo esercitare mag-giormente questa opportunità, sviluppandol’idea del «Sindacato di strada». Lo dobbia-mo fare con l’Inca, insieme ai Rappresen-tanti dei Lavoratori alla Sicurezza, provandoa prendere anche soggetti piloti, come Po-ste, dove entriamo per discutere con l’im-presa sulle condizioni di lavoro che inten-diamo contrattare. Per quanto ci riguarda, èun tema confederale, perché la sicurezzanon è solo di un luogo di lavoro: la sicurez-za di un lavoratore e il diritto di cittadinan-za sono insiti nell’articolo 1 della Costitu-zione. Nella nostra Repubblica non c’è la-voro se non c’è diritto di cittadinanza. Lemodalità di ricerca e di indagine dello stu-dio sui consulenti finanziari di Poste, realiz-zato da Inca e Slc Cgil, rappresentano untratto intelligente che ci permette di dire laverità sulle reali condizioni di lavoro e dipoterle modificare con la contrattazione.

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