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N. 51 Luglio 2000 Anno XVI n. 2- Luiglio 2000 - Sped. a. p. - art. 2 - comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Torino - Organo ufficiale del Centro Librario Sodalitium - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel. +39.0161.839.335 - Fax +39.0161.839.334 - IN CASO DI MANCATA CONSEGNA SI PREGA DI RINVIARE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA PRESSO CMP Torino Nord Tassa Riscossa - Taxe Perçue. TORINO CMP Ut inimicos Sanctæ Ecclesiæ humiliare digneris…

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EditorialeEditorialeQuesto numero di Sodalitium esce più

in ritardo del solito, al punto chemolti lettori ci hanno scritto creden-

do di aver perso dei numeri o temendo unacessazione della pubblicazione. La colpa èsolo mia (del direttore) e me ne scuso contutti gli amici della nostra rivista, che sonotanti. Speriamo, con questo numero, di sod-disfarli. Sodalitium esce raramente ma èmolto denso (per la redazione è persinotroppo denso) come pagine e contenuti, percui... un numero dura a lungo!

Come non è la prima volta che ho dovu-to scusarmi per il ritardo della pubblicazio-ne, così non è la prima volta che devo la-mentare la situazione tristissima nella qualesi trovano la Chiesa, la società e persino icattolici rimasti fedeli alla dottrina tradi-zionale.

Giovanni Paolo II preparava da tempo icattolici a questo “anno santo” del 2000; pur-troppo i programmi si stanno realizzandol’uno dopo l’altro. La “giornata del Perdo-no”, celebrata nella Basilica di San Pietro la

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prima domenica di Quaresima, 12 marzo2000, è stata definita a ragione da GiovanniPaolo II una “giornata storica”. Egli ha de-nunciato “errori, colpe e deviazioni del pas-sato” che sarebbero state commesse da dei“figli della Chiesa”, e per le quali ha chiestoperdono. In realtà, e tutti lo sanno bene,questi “errori, colpe e deviazioni del passa-to” non sono state commesse da anonimi “fi-gli della Chiesa”, ma dalla suprema gerar-chia della Chiesa, in nome della Chiesa edella sua dottrina. Quella di Giovanni PaoloII è quindi in realtà una abiura solenne dellaChiesa cattolica, dei suoi Pontefici, dei suoisanti, dei suoi dottori... Mai fino ad ora egli -e quanti sono in comunione con lui - si eraavvicinato così ampiamente all’ammissioneesplicita della contraddizione esistente tra il“concilio Vaticano II” e la dottrina e la pras-si della Chiesa cattolica, in un impressionan-te “auto da fe” al contrario. Questa cerimo-nia - si dice - avrebbe dovuto avvicinare allaChiesa quanti le sono lontani, quanti da se-coli le rimproverano l’intolleranza del passa-to. Avrebbe dovuto avvicinare alla Chiesaun uomo come Indro Montanelli, ad esem-pio. Sulle parole pronunciate da GiovanniPaolo II, egli scrive che “hanno lasciato sen-

“Sodalitium” Periodico - n° 51, Anno XVI n. 2

Editore Centro Librario Sodalitium

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Stampa: - Torino

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In copertina: cerimonia del 12 marzo: Giovanni Pao-lo II bacia il crocifisso di fianco ad un candeliere asette braccia.- Un momento del viaggio in Terra San-ta: Giovanni Paolo II con i gran rabbini d’Israele

Editoriale pag. 2L’infallibità del Papa pag. 5Il Novus Ordo è stato imposto illegalmente da Paolo VI ? pag. 9L’Osservatore Romano pag. 21Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia: il potere dell’alta finanza pag. 28L’arte di utilizzare le proprie colpe pag. 46Papa Liberio S. Atanasio e gli ariani pag. 48LETTERE: Donoso Cortes pag. 60RECENSIONI: Il caso Priebke pag. 62

La congiura delle Polveri pag. 65Altre pag. 67Giovanni XXIII e il Modernismo pag. 68

Vita dell’Istituto pag. 70

✍ Sommario

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za fiato anche un laico come me”. Un “laico”stimato da Giovanni Paolo II, che lo volle ri-cevere, qualche anno fa, nel suo apparta-mento privato, trattenendolo poi a pranzo. EMontanelli racconta, sul Corriere della Sera(9/3/00, p. 1): “capii, o credetti di capire chequel Papa (...) avrebbe lasciato dietro di sé uncumulo di macerie: quelle della struttura auto-ritaria e piramidale della Curia romana. Orami sembra di capire - prosegue Montanelli -che quella intuizione vagamente catastroficapeccava, sì, ma per difetto: quelle che PapaWojtyla si lascerà dietro non sono le maceriesoltanto della Curia, ma della Chiesa, o alme-no di quella che da duemila anni siamo abi-tuati a considerare tale e ci portiamo, anchenoi laici, nel sangue. Nella sua lunga storia ladenuncia degli errori commessi in suo nomenon rappresenta una novità, anche se l’usoche se ne è fatto in questi ultimi tempi, e chesconfina nell’abuso, ci ha lasciato alquantointerdetti. Ma rubricare fra i propri errori, an-zi addirittura - se abbiamo ben capito - fra leproprie colpe anche gli scismi e le conseguentiscomuniche delle altre chiese cristiane, orto-dosse e protestanti, suggerisce anche a noi lai-ci la smarrita domanda: ‘Ma allora...?’. È - ri-peto - uno smarrimento. Ma più che legittimo,mi sembra”. Nefas est ab inimicis discere! Epurtroppo ancora una volta sono i nemicidella Chiesa a avvicinarsi di più alla verità...

Il “sospetto” di Montanelli è che Giovan-ni Paolo II, per ottennere la collaborazionedei protestanti e degli “ortodossi” alla ‘nuo-va evangelizzazione’ sia disposto anche al“sacrificio del proprio primato”. A chi siscandalizza a questa prospettiva, il card.Martini ricorda le parole di Giovanni PaoloII stesso in Ut unum sint...

Ma la posta in gioco è più grande. Se ai“fratelli separati” bisogna sacrificare il Pri-mato romano, ai “fratelli maggiori” biso-gnerà sacrificare... la divinità di Cristo? Tut-ti i commentatori (e soprattutto le autoritàisraeliane, civili e religiose) si sono accorti dicome il gesto del 12 marzo, pur così impor-tante, fosse essenzialmente propedeutico alviaggio di Giovanni Paolo II in Israele, du-rato dal 20 al 26 marzo. Nel documento del-la Commissione teologica internazionale‘Memoria e riconciliazione’ riguardante le“colpe” del passato, l’unico gruppo religiosoo sociale esplicitamente nominato al quale sichiede perdono è il giudaismo, ovvero l’ere-de spirituale del farisaismo.

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Il 26 marzo Giovanni Paolo II si è recatoal Muro del Pianto e, con un gesto di pre-ghiera ebraico, ha introdotto nelle fessuredel muro di quel Tempio distrutto material-mente dai romani il 29 agosto 70, ma per vo-lontà di Dio stesso, in punizione del deicidio(cf. Matth. XIV, 38ss), la domanda di perdo-no al popolo ebraico per l’attitudine passatadella Chiesa nei suoi confronti.

Leggiamo sulla Contre-Réforme Catho-lique (dalla quale tuttavia, spesso, dissentia-mo): «Dopo il 1967, lo spazio creato davanti almuro è diventato un luogo di culto. Per il car-dinal Lustiger il gesto del Papa al muro occi-dentale è un vero e proprio gesto liturgico:‘Ha pregato, ha pregato come un credente,che sa che questo muro di Erode è il muro delTempio ove risiede la gloria di Dio (...). E seha chiesto perdono, è perché è il suo ruolo dipontefice chiedere perdono in nome dei fedelidei peccati commessi’ (La Croix, giovedì 6aprile). Giovanni Paolo II ha quindi agito nel-la veste di sommo sacerdote ebraico. Per noicattolici, la ‘gloria di Dio’ risiede in ‘tutti i ta-bernacoli della terra’ ed Essa si trova ‘orribil-mente oltraggiata’, secondo le parole dell’an-gelo di Fatima, da quanti gli voltano le spalle,dopo 2000 anni, per adorare oggi... delle pie-tre!”. “‘Gesto inaudito’, titola La Croix di lu-nedì 27 marzo. In effetti, è il mondo alla rove-scia! Per misurare la strada percorsa, bastamettere a confronto, da un lato ‘le poche frasiscritte sul foglio, che il muro nasconde dal ven-to, che esprimono il pentimento della Chiesanei confronti del popolo ebraico’ e, d’altraparte, le parole pronunciate da San Pietroduemila anni fa per esortare il medesimo po-polo ebraico... a un pentimento al contrario!Teshuvà di GiovanniPaolo II: ‘Dio dei nostripadri, tu hai scelto Abra-mo e la sua discendenzaaffinché il tuo nome siaconosciuto in mezzo allenazioni: Noi siamo pro-fondamente rattristati dalcomportamento di colo-ro che, nel corso dellastoria, li hanno fatti sof-frire, loro che sono i tuoifigli, e domandandotiperdono, vogliamo in-gaggiarci a vivere un’au-tentica fraternità con ilpopolo dell’alleanza’.

Kerigma di san Pietro:‘Uomini d’Israele, pen-titevi e ciascuno di voisi faccia battezzare nelnome di Gesù Cristo,per la remissione deivostri peccati; dopo ri-ceverete il dono delloSpirito Santo. Per voiinfatti è la promessa eper i vostri figli e pertutti quelli che sonolontani, quanti ne chia-merà il Signore Dionostro’ (Atti 2, 38-40)».

(CRC, n. 366, aprile 2000, p. 2).

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La preghiera di Giovanni Paolo II al Mu-ro del Pianto è un fatto così sconvolgente cheforse solo la rivelazione (che deve essere an-cora confermata da prove certe) fatta dalloscrittore israeliano Yoram Kaniuk su Repub-blica del 22 marzo 2000 (p. 15) puo spiegare:“È assurdo - scrive Kaniuk - aspettarsi che ilPapa esprima un rincrescimento maggiore oche si scusi più di quanto non abbia fatto perla Shoah e l’Inquisizione e per i millenni diodio. Non ha per questo nessun mandato daisuoi predecessori che, per il fatto stesso di es-sere papi, non potevano sbagliare. Egli hainvece un mandato di amore da parte del suoDio e viene da sua madre, vuoi per estraniar-sene in quanto cristiano, vuoi al tempo stessoper chiederle pietà, in quanto orfano di unaebrea”. In realtà, la madre e il padre di KarolWojtyla erano entrambi battezzati. Ma forseYoram Kaniuk sa qualche cosa di più, sulla li-nea di quanto scritto da Sodalitium in Karol,Adam, Jacob (n. 49, p. 30).

Checché ne sia delle intime convinzionidi Giovanni Paolo II, note solo a Dio, tutti icollaboratori di Sodalitium si sentono in do-vere di difendere pubblicamente, in questaoccasione, l’onore della Chiesa. Non rinne-ghiamo la Chiesa. Non rinneghiamo il suopassato. Non rinneghiamo gli scritti dei Pa-dri della Chiesa. Non rinneghiamo gli anate-mi e le scomuniche degli eretici e degli sci-smatici. Non rinneghiamo i Papi che hannopromosso delle guerre dolorose ma necessa-rie contro infedeli, eretici o scismatici, ed isanti canonizzati che le hanno predicate ocombattute. Non rinneghiamo il Tribunaledel Sant’Uffizio dell’Inquisizione dell’ereti-ca pravità, i Papi che lo hanno istituito epresieduto fino al Concilio, i Santi che lohanno difeso e ne hanno svolto le funzioni.Non ci vergognamo della Chiesa. Ci vergo-gnamo di chi si vergogna della Chiesa. Dichi non acconsente ma tace, e tacendo ac-consente. Di chi attribuisce alla Chiesa que-

sto rinnegamento del passato, della dottrrinae della prassi della Chiesa.

Questo doveroso rifiuto di una dottrina edi una prassi adulterata che ci viene da chi oc-cupa la Sede di Pietro (ma non ne esercital’autorità!) non ci abilita però a creare - pocoa poco, ma inesorabilmente - un’altra Chiesa.

Stiamo preparando infatti - non senzauna profonda tristezza - un voluminoso dos-sier sui “tribunali canonici” della FraternitàSan Pio X. Dal 1991 - vivente Mons. Lefeb-vre - la Fraternità San Pio X si è arrogata il“potere di legare e di sciogliere” sui suoi fe-deli (e potenzialmente, su tutti i cattolici),usurpando i poteri esclusivi della Santa Se-de. Un tribunale che siede nella Casa gene-ralizia della Fraternità in Svizzera accorda ledispense dagli impedimenti matrimoniali(che renderebbero invalido il legame), an-nulla i matrimoni, dispensa dai voti religiosi,toglie le censure ecclesiastiche, incluse lescomuniche... Lo fa con grande discrezione,senza averne quasi parlato nelle sue rivisterivolte al pubblico, rivelando un grande im-barazzo. Ma lo fa. Da almeno 9 anni. Lo fain maniera del tutto invalida, mettendo cosìdegli uomini, delle anime, in una situazioneinestricabile: i voti che scioglie non sonosciolti, i matrimoni che annulla non sono an-nullati, quelli che vengono celebrati dopo la“dichiarazione” di nullità sono invalidi, co-me invalidi sono quelli celebrati con una “di-spensa” inesistente. Se i “conclavisti” hannoeletto i propri “papi”, la Fraternità ha costi-tuito a Menzingen una “curia romana” daoperetta ed una “santa sede” parallela... Ilsecondo caso ci sembra più grave, in quanto,se nessuno segue gli pseudo-papi in questio-ne, molti ancora credono ciecamente aglieredi di Mons. Lefebvre.

Di fronte a queste macerie, nel campo“progressista” come in quello “tradizionali-sta”, siamo presi da un grande sconforto.Domine, salva nos, perimus! La nostra spe-ranza è tutta nel Signore: la Chiesa è Sua, enon la lascerà perire: le porte dell’infernonon prevarranno contro di Essa. Se soloquanti tacciono, in entrambi i campi, se soloquanti si nascondono avessero il coraggio difare qualcosa! Perché, se certamente laChiesa si salverà, non altrettanto certamentele anime disorientate da tanti scandali giun-geranno alla salvezza. Di questi peccati, diquesti scandali, dovremmo tutti chiederesinceramente perdono!

GiovanniPaolo II almuro delpianto di

Gerusalemme

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Sodalitium ha già trattato ripetutamente dellaquestione dell’infallibilità pontificia (vedi ad

es.: n. 39 p. 57, n. 44 p. 48, n. 47 p. 63). Siamolieti di presentare al lettore una nostra traduzio-ne di un articolo di Mons. Robert FidelisMcKenna, pubblicato in inglese dalla rivista‘Catholic forever’. In questo breve articolo l’au-tore difende con chiarezza l’infallibilità pontifi-cia contro le abusive restrizioni del suo ambitoche molti, purtroppo, hanno fatto in questi ulti-mi anni. Il lettore di ‘Sodalitium’ constaterà fa-cilmente come la posizione dell’illustre domeni-cano sia sostanzialmente la stessa della nostra ri-vista. Difatti entrambi affermano l’infallibilitàdel Magistero ordinario oltre che dello straordi-nario o solenne: l’unica differenza, che è unaquestione di libera discussione, è conoscere ilconfine tra Magistero solenne e Magistero ordi-nario. Per questo motivo, nell’ottica di Mons.McKenna, identificare il magistero ex cathedracon quello solenne non inficia l’infallibilità delMagistero ordinario. Dato che entrambi sono in-fallibili, la differenza nel modo di infallibilità èqualcosa di secondario e finalmente più nei no-mi che nelle cose.

Sodalitium

INFALLIBILITÀ DEL PAPA

Mons Robert Fidelis McKenna o.p.

1 - Definizione ed interpretazione

L’infallibilità del Papa, come tutti sanno,è stata definita dal Concilio Vaticano nel

1870. I Padri del Concilio la dichiararonocome dogma divinamente rivelato, e l’hannoespresso con queste parole:

“Il Pontefice Romano, quando parla excathedra, cioè quando, adempiendo il suo uf-ficio di pastore e di dottore di tutti i cristiani,definisce in virtù della sua suprema autoritàApostolica, che una dottrina in materia di fe-de o di morale deve essere tenuta da tutta laChiesa, gode, grazie a quell’assistenza divinache gli è stata promessa nella persona delbeato Pietro, di quell’infallibilità, di cui il di-vino Redentore ha voluto fosse dotata la suaChiesa, quando definisce una dottrina riguar-dante la fede o la morale. Di conseguenza,queste definizioni del Romano Pontefice so-no irreformabili per se stesse, e non in virtùdel consenso della Chiesa” (Denz. 1839).

Comunemente questa definizione è inte-sa nel senso che determina il limite o l’esten-

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sione dell’infallibilità pontificia; cioè il papaè infallibile solo quando definisce una dot-trina ex cathedra.

Questa interpretazione impone dal cantosuo una limitazione all’infallibilità della Chie-sa stessa, “quell’infallibilità, di cui il divinoRedentore ha voluto fosse dotata la suaChiesa, quando definisce una dottrina riguar-dante la fede o la morale”. Se, quando nonparla ex cathedra, il capo visibile della Chiesapuò sbagliarsi in materia di fede o morale, laChiesa sarà necessariamente implicatanell’errore che egli potrebbe commettere.

Che il papa possa errare quando nonparla ex cathedra, sembra essere certamentel’interpretazione generale dei cattolici. I ma-nuali di teologia, pur non ammettendo chela Chiesa o il papa possano sbagliarsi in unamateria connessa direttamente o indiretta-mente con la rivelazione divina, non arriva-no però ad insegnare che sia l’uno che l’altrosono semplicemente infallibili, per sé stessi.Basandosi su ciò che insegna il Concilio Va-ticano, fanno della Rivelazione divina l’og-getto primario o diretto dell’infallibilità, e,delle verità implicite nella Rivelazione, l’og-getto secondario o indiretto.

“Devono essere credute di fede divina ecattolica tutte quelle cose che sono contenu-te nella parola di Dio scritta o tramandata eche sono proposte a credere dalla Chiesa co-me rivelate da Dio sia con un giudizio solen-ne, sia con il magistero ordinario e universa-le” (D 1792).

In effetti, quelli che vedono in queste pa-role una definizione del dogma stesso, sonoindotti a credere che un papa parla ex cathe-dra, o infallibilmente, solo quando definisceun dogma, come quello dell’ImmacolataConcezione o dell’Assunzione.

2 - Errore di interpretazione

E pertanto non è l’oggetto dell’infallibi-lità che il Concilio definisce lì, ma l’oggettodella fede - “della fede divina e cattolica”.Limitare l’oggetto dell’infallibilità solo alleverità rivelate da Dio, direttamente o indi-rettamente, vuol dire lasciare aperta alla di-scussione una moltitudine di materie chenon sono chiaramente connesse con la Rive-lazione, anche delle materie relative alla fe-de o alla morale, definite in lettere encicli-che o in altri documenti pontifici. È piutto-sto nella definizione del Concilio sull’infalli-

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bilità pontificia che è stabilito l’oggettodell’infallibilità, e cioè la “dottrina di fede odi morale”. Non è stata qualificata comedottrina “divinamente rivelata”.

Se l’autorità docente della chiesa - il Ma-gistero - non è (assolutamente) infallibile,allora vi è, o può esserci, un insegnamentoche viene dalla Chiesa di cui non si può es-sere certi finché non è definito “de fide”.Ma come è possibile ciò se, ogni volta che laChiesa parla, lo fa a nome di Cristo, che è laVerità stessa? “Chi ascolta voi, ascolta me”(Lc X, 16).

3 - Vera interpretazione

La definizione del Concilio Vaticanodell’infallibilità del papa quando parla excathedra, non è da intendersi che quandonon parla così non sia infallibile, ma chequando non parla ex cathedra, è sempre in-fallibile ma non ex cathedra; non che non siainfallibile assolutamente parlando (simplici-ter), ma che è infallibile non su questoaspetto (secundum quid), e cioè ex cathedra.Il Concilio lungi dal riconoscere o definireun limite all’infallibilità del papa, la difendeinvece contro quelli che vogliono sottomet-terla ad altri fattori, come il consenso deiVescovi, o addirittura i decreti o i canoni diun Concilio Generale.

“Di conseguenza, queste definizioni delRomano Pontefice sono irreformabili per sestesse, e non in virtù del consenso dellaChiesa”. In quest’ultima frase della defini-zione del Concilio si trova la chiave dellasua corretta interpretazione. Non tenerneconto costituisce la radice della credenza,che non è per nulla cattolica, che un papapossa errare quando non definisce una dot-trina ex cathedra, anche se parla ex officio.Naturalmente è fuor di discussione che il pa-pa può errare quando non parla come papa,ma come “dottore privato”. La sentenzaconclusiva della definizione del Concilioesprime il suo vero oggetto e il suo vero fi-ne: cioè l’infallibilità del Sommo Pontefice,anche quando parla soltanto con la propriaautorità.

Si tratta non dell’infallibilità del papa co-me tale, ma dell’infallibilità personale delpapa. Il Concilio definisce che quando parlaex cathedra, è infallibile di diritto proprio enon soltanto perché parla come rappresen-tante della Chiesa.

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Il Magistero non è diviso. La distinzionefatta dal Concilio tra il Magistero “Solenne” equello “Ordinario e Universale” non designadue specie di Magistero, e ancor meno uno fal-libile e l’altro infallibile, ma la maniera o il mo-do in cui l’unico Magistero infallibile è eserci-tato. Una definizione ex cathedra, che implicala pienezza dell’Autorità Apostolica, costitui-sce in sé stessa un esercizio del Magistero So-lenne, anche quando non è la definizione di undogma riconosciuto dal Canone 1323, §2 delCodice. (Il fatto di dire che una definizione diquesto genere si ricollega sia al Concilio Ecu-menico sia al Papa che parla ex cathedra, nonlimita di conseguenza la dichiarazione excathedra alle sole definizioni del dogma). L’in-fallibilità del Magistero in quanto tale, diciamonoi, comporta l’infallibilità del Pontefice Ro-mano tutte le volte che parla ex officio, nonnecessariamente ex cathedra.

Bisogna poi notare che l’infallibilità delMagistero ordinario stesso non è limitata alledefinizioni su ciò che è contenuto nella rive-lazione divina, così come molti interpretanole parole del Concilio citate sopra. Invece, Sesi considera non l’infallibilità in se stessa, mal’oggetto della fede indicato in quelle parole,è realmente l’infallibilità del Magistero Ordi-nario, insieme a quella del Magistero solen-ne, che è trattata.

Mons Robert Fidelis McKenna o.p.

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4 - Conferma

Quest’analisi della definizione dell’infal-libilità pontificia, basata su un attento esamedei termini della dichiarazione del ConcilioVaticano, è in conformità con l’insegnamen-to del Papa Pio XII nella sua Enciclica Hu-mani Generis (§ 20). «Né si deve ritenere,dice, che gli insegnamenti delle Enciclichenon richiedano, di per sé, il nostro assenso,col pretesto che i Pontefici non vi esercitanoil potere del loro Magistero Supremo. Infattiquesti insegnamenti sono del Magistero or-dinario, di cui valgono pure le parole: “Chiascolta voi, ascolta me” (Lc X, 16); e per lopiù, quanto viene proposto e inculcato nelleEncicliche, è già, per altre ragioni, patrimo-nio della dottrina cattolica».

E Pio XII prosegue - e qui si riferisce aipapi che parlano ex cathedra - «Che se poi iSommi Pontefici nei loro atti emanano diproposito una sentenza in materia finoracontroversa, è evidente per tutti che talequestione, secondo l’intenzione e la volontàdegli stessi Pontefici, non può più costituireoggetto di libera discussione fra i teologi».

Il Concilio Vaticano come definisce cheil papa, e non la Chiesa stessa, ha il potere digiurisdizione, così pure riconosce che la suainfallibilità, quando parla ex cathedra, è in-dipendente dal consenso della Chiesa. Lungidall’essere infallibile “solo” quando parla excathedra, il papa, affermiamo noi, è infallibi-le anche quando agisce in questo modo. Ètutt’altra cosa.

Una conferma della nostra analisi si trovain ciò che il Concilio Vaticano ha dichiaratoprima della definizione del Magistero infalli-bile del papa: “…la religione Cattolica è statasempre conservata senza macchia nella SedeApostolica”. E ancora: “La Sede di Pietro di-mora pura da ogni errore, secondo la promes-sa divina di Nostro Signore” (Denz. 1836).

5 - Condizioni mal interpretate

In ogni caso ne sia le cosiddette quattro“condizioni” per un pronunciamento ex ca-thedra, esse non sono condizioni per il papache parla infallibilmente. Le “condizioni”sono semplicemente gli elementi o i fattoriinclusi in ogni pronunciamento, che defini-scono il significato del termine ex cathedra.Tutti sanno naturalmente che un papa nonparla ex cathedra quando non parla nel-

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l’esercizio della sua funzione pubblica - exofficio - “adempiendo il suo ufficio di pasto-re e di dottore di tutti i cristiani” (“condizio-ne” # 1).

Che egli “definisce una dottrina in mate-ria di fede o di morale” (“condizione” # 2),indica l’oggetto evidente o la materia diquesto pronunciamento, cioè una materiache riguarda la religione.

Che egli “definisce una dottrina che (…)deve essere tenuta da tutta la Chiesa”(“condizione” # 3), fa parte della natura del-le materie dottrinali. Non può essere maidottrinale ciò che vale solo per una partedella Chiesa! Non vi è bisogno poi che il pa-pa parli ex cathedra per proclamare espres-samente la sua intenzione di obbligare tutti ifedeli. È evidente che ciò è presupposto co-me necessario per la solennità.

Il termine “solenne” tuttavia non figuranei termini della definizione del Concilio.Abbiamo già visto che la solennità è intrin-seca ad un pronunciamento ex cathedra, cheemana dalla Suprema Autorità Apostolicadel Pontefice Romano. Un documento uffi-ciale è sufficiente, qualcosa di più di unaLettera Enciclica. Citiamo di nuovo le paro-le di Humani Generis: «Se poi i Sommi Pon-tefici nei loro atti emanano di proposito[non solo “solennemente”, insisto] una sen-tenza in materia finora controversa (…) talequestione (…) non può più costituire ogget-to di libera discussione».

Ci sono diversi gradi di solennità. I dog-mi dell’Immacolata Concezione e dell’As-sunzione della Beata Vergine furono definiticon la più grande solennità, perché questidue dogmi appartengono alla rivelazione di-vina ed erano richiesti universalmente daivescovi e dai fedeli. Ma poiché i vescovi fu-rono consultati in entrambi i casi, non sonoun esempio tipico di definizione ex cathe-dra, che, come abbiamo visto, esclude que-sta necessità.

Si trovano esempi più precisi di questedefinizioni nella Lettera Apostolica di Leo-ne XIII sull’invalidità delle Ordinazioni An-glicane, e nella Costituzione Apostolica diPio XII che determina la materia e la formadel Sacramento dell’Ordine. Nei due casi ilpapa ha deciso senza far riferimento ad unaconsultazione dei Vescovi su questa questio-ne, e agendo in questo modo ha corrispostoalla definizione del pronunciamento excathedra. Essi hanno usato della loro “Su-

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prema Autorità Apostolica” - questa è la“condizione” #4 - per definire “una dottrinain materia di fede o di morale che (…) deveessere tenuta da tutta la Chiesa”.

Il numero di questi esempi nella storiadella Chiesa non sono molti, ma non sonocertamente pochi - contrariamente, ancoraun volta, all’opinione che è creduta comune-mente. La condanna del Liberalismo del Pa-pa Pio IX nel Sillabo degli errori, e quelladel Modernismo di S. Pio X in Lamentabili,sono degli esempi eminenti di definizioni excathedra.

In questa stessa “condizione” #4 trovia-mo il cuore della definizione ex cathedra - ilPapa che esercita la sua “Suprema AutoritàApostolica”. Ciò consiste in pratica, comeabbiamo visto, nell’utilizzare, “con quell’as-sistenza divina che gli è stata promessa nellapersona del beato Pietro”, l’autorità di risol-vere una controversia dottrinale, che allora,secondo le parole di Pio XII, “non può piùcostituire oggetto di libera discussione”.

Frutto dell’errore

L’erronea comprensione della definizio-ne dell’infallibilità del papa fatta al ConcilioVaticano costituisce l’ostacolo principaleper l’unità tra i tradizionalisti che si oppon-gono al “Vaticano II”. La convinzione gene-rale che il papa è infallibile solo a certe con-dizioni è un motivo per loro di salvare caprae cavoli: per riconoscere il Papa quando è inaccordo con la tradizione cattolica, e non ri-conoscerlo quando non lo è.

Ma cos’è questo, se non il proverbialemettere il carro davanti ai buoi: la Tradizio-ne precede il Papa ed il Magistero vivente?Da dove prende la sua autorità la Tradizio-ne se non dal Magistero docente che gli dàquesta autorità? Senza un vero, legittimoSommo Pontefice, i cattolici hanno bisognodi ricorrere alla “santa tradizione, interpretee custode della verità cattolica”, come lachiama il Catechismo del Concilio diTrento. Ma non c’è solo una persona che faappello alla Tradizione! Quando l’Arcive-scovo Marcel Lefebvre, che riconosceva inMontini l’autorità pontificia, tentò quest’ap-pello alla Tradizione, gli fu risposto: “Io so-no la Tradizione”.

In effetti l’erronea comprensione delladefinizione del Concilio ha dimostrato che èservita come occasione per il cosiddetto Se-

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condo Concilio del Vaticano, caratterizzatodal fatto che i suoi presunti papi deplorano isupposti misfatti della Chiesa nel passatoche hanno “offeso i nostri fratelli separati”.Dopo tutto, se il papa non è infallibile, allo-ra neppure la Chiesa, che è al di sotto di lui,lo è: e abbiamo mostrato che questo è teolo-gicamente certo. La porta all’eresia dell’In-differentismo (Ecumenismo) è spalancata.

“Li riconoscerete dai loro frutti” (Mt VII,20). L’esodo massiccio di preti, monaci, reli-giose sulla spinta del “Vaticano II”, con ladiminuzione, da allora, della metà dellametà dei fedeli, grazie all’“Aggiornamento”iniziato da Giovanni XXIII ed alla “Nuova”Messa di Paolo VI, mostra chiaramente, achi ha occhi per vedere, che il re è nudo,cioè che il Concilio non è altro che una se-conda Riforma Protestante. Questa volta,però, l’attacco alla Chiesa non viene dal difuori delle sue mura, ma dal di dentro.

Ma se di fatto, come abbiamo mostrato,il papa è infallibile ex officio (nell’eserciziopubblico della sua funzione), come lo è laChiesa stessa, e non solo quando parla excathedra, ne consegue che i papi del Vatica-no II non sono attualmente, formalmentepapi? Un vero papa non può contraddire unaltro dei suoi predecessori, anche in una so-la materia di fede o morale. Il pastore è sta-to colpito e le pecore sono disperse (MtXXVI, 31).

POST-SCRIPTUM: L’“INFALLIBILITÀ” DI MONS. LEFEBVRE.

Com’è noto, la Fraternità San Pio X emolti tradizionalisti ci accusano di esagera-re l’infallibilità del Papa e il dovere di obbe-dirgli. Essi non temono però di esagerarel’infallibilità di Mons. Lefebvre e l’obbedien-za che gli sarebbe dovuta...

A titolo d’esempio, pubblichiamo unestratto di un articolo dell’abbé Michel Si-moulin, superiore di Distretto per l’Italiadella medesima Fraternità, che riportiamoda Roma felix, lettera mensile di informa-zioni della Fraternità San Pio X in Italia (an-no I, n. 11, novembre 1999, pp. 1-2):

“Se tutti abbiamo capito questo [l’autoresi riferisce alla Dichiarazione di Mons. Le-febvre del 1974], penso che dovremmoprovare ad essere molto fedeli e docili a tut-to ciò che ci ha trasmesso Mons. Lefebvrenel nome della Chiesa: la fede, sì, ma anche

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la legge morale, la disciplina, la liturgia, conmolte cose di minore rilievo, ma che ciascu-no dovrebbe tenere per pietà filiale e per-ché l’infedeltà nelle piccole cose è spessol’inizo di cadute più gravi. Non possiamoscegliere quello che ci piace e lasciarequello che ci dispiace. Dobbiamo prenderetutto, perché tutto è legato. Mi stupisce peresempio sentire alcune persone che mani-festano la loro ammirazione per Mons. Le-febvre e che nello stesso tempo dicono chesu qualche piccola cosa, nella morale o nel-la liturgia, avrebbe sbagliato! Strano, perché

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se veramente ha sbagliato su piccole cose,chi può darmi la certezza che non abbiasbagliato su cose importanti?”

Se qualcuno dicesse del Papa quelloche l’abbé Simoulin scrive di Mons. Lefeb-vre, verrebbe subito accusato di “papola-tria”... A nostro parere, l’articolo dell’abbéSimoulin è un preoccupante esempio dicome la Fraternità si fondi sempre di più sudi un presunto “carisma” di Mons. Lefeb-vre che diventa per i suoi seguaci l’unico einfallibile criterio di verità.

Sodalitium

IL NOVUS ORDO È STATOIMPOSTO ILLEGALMENTE

DA PAOLO VI ?

don Anthony Cekada

La Fraternità San Pio X e una leggendapopolare tra i tradizionalisti.

La maggior parte dei cattolici che abbando-nano la Nuova Messa lo fanno perché la

trovano cattiva, irrispettosa o non-cattolica.Istintivamente, tuttavia, il cattolico sa

che la Chiesa di Gesù Cristo non può darciqualcosa di dannoso, perché in tal caso laChiesa ci condurrebbe all’inferno piuttostoche in cielo.

Infatti i teologi cattolici insegnano che leleggi universali che riguardano la disciplinadella Chiesa, a cui appartengono le leggi cheregolano la sacra liturgia, sono infallibili.Ecco una spiegazione classica del teologoHermann: “La Chiesa è infallibile nella suadisciplina universale. Con l’espressione di-sciplina universale si intendono le leggi e gliusi che appartengono all’ordine esterno ditutta la Chiesa. Si tratta qui di tutto ciò checoncerne il culto esterno, come la liturgia ele rubriche, o la amministrazione dei sacra-menti...

Se [la Chiesa] fosse capace di consigliare,ordinare o tollerare nella sua disciplinaqualcosa contro la fede e la morale, o qual-cosa che possa nuocere alla Chiesa stessa oai fedeli, essa si allontanerebbe dalla suamissione divina, il che è impossibile”. (1)

Il cattolico si trova quindi, prima o poi,di fronte ad un dilemma: la Nuova Messa ècattiva, ma si presume che coloro che ci han-no ordinato di assistervi (Paolo VI e i suoisuccessori), fossero investiti dell’autoritàstessa di Gesù Cristo. Che fare dunque? Ac-cettare un male per obbedienza all’autorità,o rifiutare l’autorità a causa del male che ciordina di fare? Scegliere il sacrilegio, o sce-gliere lo scisma?

Come può un cattolico risolvere questoapparente dilemma, cioè che l’autorità dellaChiesa possa comandare di fare il male?

Nel corso di questi anni soltanto duespiegazioni, in sostanza, sono state proposte:

1. Paolo VI, che promulgò la Nuova Messa,perse l’autorità papale.

Lo si prova in questo modo: se riconoscia-mo che la Nuova Messa è cattiva, o nociva alleanime, o che distrugge la fede, allora ricono-sciamo implicitamente un’altra cosa: che Pao-lo VI, che promulgò (impose) quel rito cattivonel 1969, quando lo fece non poteva essere in-vestito della vera autorità nella Chiesa. Egliaveva in un modo o nell’altro perso l’autoritàpapale, se mai l’aveva posseduta prima.

Come può essere successo? Secondo l’in-segnamento di almeno due papi (InnocenzoIII e Paolo IV) e di quasi tutti i canonisti e teo-logi cattolici, la perdita della fede causa auto-maticamente la perdita dell’autorità pontificia.

Secondo questa tesi il carattere cattivo del-la Nuova Messa è come una freccia luminosa egigantesca puntata verso i papi posteriori alVaticano II, e sulla quale lampeggerebbe il se-

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(Durante tutti questi anni, il fascinoemotivo che questa posizione ha esercitatosui laici, ha costituito per la FSSPX un’ine-sauribile miniera d’oro. Questa vecchia gal-lina gallicana depone davvero uova d’oro).

Gli argomenti abituali

Per spiegare la seconda posizione, ci ri-portiamo quindi a due articoli dell’ex supe-riore del distretto della Fraternità per gliStati Uniti, il reverendo François Laisney.

Il reverendo Laisnay definisce la NuovaMessa “cattiva in se stessa” (3), e pericolosaper la fede cattolica (4). Egli riconosce, in li-nea di massima, il principio sul quale si fon-da la prima posizione, cioè che la Chiesanon può promulgare una legge universaleche sia cattiva o dannosa per le anime.

Ma, afferma, “nella promulgazione dellaNuova Messa non era impegnata in pienol’autorità papale” (5) e “papa Paolo VI nonobbligò ad adottare la [Nuova] Messa, ma lapermise soltanto... Non vi è nessun ordine,obbligo o precetto chiaro che l’impone adogni sacerdote!” (6).

Egli sostiene i seguenti argomenti, chesono tipici di quelli che sostengono questaposizione, contro la promulgazione illegaledella Nuova Messa da parte di Paolo VI:

- “Il Novus Ordo Missæ non è stato pro-mulgato dalla Sacra Congregazione dei Ritisecondo la procedura canonica corretta”.

- “Negli Acta Apostolicæ Sedis (l’organoufficiale della Chiesa Cattolica che annunciale nuove leggi per tutta la Chiesa) non appa-re nessun decreto della Sacra Congregazio-ne dei Riti che imponga la Nuova Messa”.

- Nelle edizioni successive della NuovaMessa, [quel decreto del 1969] è sostituitoda un secondo decreto (26 Marzo 1970) chesi limita a permettere l’uso della Nuova Mes-sa. Questo secondo decreto, che permettesoltanto il suo uso, senza renderlo obbligato-rio, figura negli Acta Apostolicæ Sedis.

- Una Nota del 1971 della Congregazio-ne per il Culto Divino concernente la NuovaMessa, dice che “non si può trovare in que-sto testo nessuna proibizione esplicita pernessun sacerdote di celebrare la messa tradi-zionale, né alcun obbligo di celebrare esclu-sivamente la Nuova Messa”.

- Un’altra Nota del 1974, dice il reve-rendo Laisney, impone sì un obbligo, manon appare negli Acta, e non dice che Pao-

guente Messaggio: “Nessuna autorità papale.Hanno abbandonato la fede cattolica” [*].

2. Paolo VI possedeva l’autorità papale manon promulgò la Nuova Messa legalmente.

Secondo questa posizione, Paolo VI nonrispettò esattamente le procedure legaliquando promulgò la Nuova Messa. Di cono-seguenza, la Nuova Messa, non è in realtàuna legge universale, e noi quindi non siamotenuti ad obbedire alla legislazione che pre-sumibilmente l’ha imposta; così l’infallibilitàdella Chiesa è “salva”. Questa teoria eramolto diffusa nel movimento tradizionalistafin dai suoi inizi, negli anni sessanta.

La tesi, bisogna riconoscerlo, è di quelleche cercano di “salvare capra e cavoli”. Essapermette di “riconoscere” il papa ma d’igno-rare le sue leggi, di denunciare la sua NuovaMessa e di conservare quella vecchia. Dà al-le anime semplici, che temono lo scisma, lasicurezza di essere ancora, malgrado le ap-parenze, “fedeli al Santo Padre”.

Ho esaminato la prima posizione nel miostudio Tradizionalisti, l’Infallibilità e il Papa.(2) Qui tratterò della seconda posizione, emetterò in evidenza le grosse difficoltà cheessa presenta rispetto alla logica, all’autoritàdella Chiesa e al diritto canonico.

La Fraternità sacerdotale San Pio X e lateoria della “promulgazione illegale”

Molti cattolici aderiscono alla posizionesecondo la quale la Nuova Messa fu promul-gata illegalmente, ma il maggior numero deisostenitori si trova fra i membri e i simpatiz-zanti della Fraternità sacerdotale San Pio X(FSSPX) di monsignor Marcel Lefebvre.

Questa teoria corrisponde esattamente aquello che si può definire come il concettogiansenista-gallicano della Fraternità circa ilpapato: il papa viene “riconosciuto” ma lesue leggi e i suoi insegnamenti devono esse-re “passati al setaccio”. Così voi conservate ivantaggi sentimentali di avere teoricamenteun papa, ma nessuno degli inconvenientipratici di dovergli obbedire.

*] Nota di Sodalitium: l’autore segue la posizione“sedevacantista”. Sodalitium accetta la conclusionedell’autore (“Paolo VI non era un vero Papa”) ma stimanon dimostrato il motivo della perdita dell’autorità (“nonera un vero cattolico”).

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lo VI l’abbia approvata, per cui non ha for-za cogente.

- La caratteristica di queste riforme è laloro “confusa legislazione”. “È Proprio inquesto che si vede l’assistenza dello SpiritoSanto nella Chiesa, che non ha permesso chei modernisti promulgassero le loro riformecorrettamente, con una perfetta forza legale”.

Don Laisnay presenta quindi la sua conclu-sione: “Il Novus Ordo Missæ è stato promul-gato da papa Paolo VI con un tale numero diirregolarità - in particolare l’assenza totale deitermini giuridici corretti necessari per obbliga-re tutti i sacerdoti e i fedeli - che non si può af-fermare che esso sia coperto dall’infallibilitàdi cui gode il Papa nelle leggi universali” (7).

Per valutare le affermazioni di don Lai-sney, noi daremo per scontato, come fa lui,il fatto che Paolo VI fosse realmente un ve-ro Papa e che, come tale, fosse investito del-la piena potestà legislativa sulla Chiesa.Questo ci permetterà di costringere il Reve-rendo a tener conto dei criteri oggettivi,tratti dal diritto canonico, che ne conseguo-no a partire da questa tesi.

Dimostreremo allora, esaminando i prin-cipi generali del diritto canonico e i testi le-gislativi specifici alla questione, che gli argo-menti e le conclusioni del reverendo Laisneysono falsi su ogni punto.

Che cosa è la “Promulgazione”?

“Promulgare” una legge significa nient’al-tro che annunciarla pubblicamente.

L’essenza della promulgazione è di farconoscere pubblicamente una legge alla co-

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munità, o da parte dello stesso legislatore osotto la sua autorità, cosicché la volontà dellegislatore d’imporre un’obbligo venga adessere conosciuta dai soggetti (8).

Il Codice di Diritto Canonico dice sem-plicemente: “Le leggi emanate dalla SantaSede sono promulgate a partire dalla loropubblicazione nella raccolta ufficiale degliActa Apostolicæ Sedis, salvo che in casi par-ticolari sia prescritto un altro modo di pro-mulgazione” (9).

Questo è tutto quello che il Codice pre-scrive, e che è sufficiente per far conoscerela volontà del legislatore, cioè il Papa.

A meno che un’altra disposizione sia sta-ta espressa in una legge particolare, una leg-ge diventa effettiva (e obbligatoria) tre mesidopo la data di pubblicazione ufficiale negliActa (10). Il periodo intermedio prima del-l’entrata in vigore si chiama vacatio legis.

Un Decreto che non esiste?

La Nuova Messa (Novus Ordo Missæ) èapparsa poco a poco.

Il Vaticano per prima cosa pubblicò ilnuovo Ordinario in un libretto del 1969, in-sieme all’Istruzione Generale sul MessaleRomano (una prefazione che precisa la dot-trina e le rubriche) (11).

All’inizio di questo libretto appare la lun-ga Costituzione Apostolica sulla Nuova Mes-sa, Missale Romanum, di Paolo VI, e il 6 apri-le 1969 il decreto Ordine Missæ della SacraCongregazione dei Riti (Consilium). Questodecreto, a firma del Cardinale Benno Gut, af-ferma che Paolo VI approvò l’allegato Ordi-nario della Messa, e che la Congregazionel’aveva promulgato per speciale mandato delPapa. Esso stabilisce il 30 novembre 1969 co-me data di entrata in vigore della legge.

Tuttavia, per delle ragioni sconosciute,questo decreto non venne mai pubblicato ne-gli Acta. E così don Laisney e moltissimi altrisostengono che questa omissione significa chela Nuova Messa non è stata mai “debitamentepromulgata” e quindi non obbliga nessuno.

Ma la tesi che si fonda su questa svistaburocratica è improponibile. Nel diritto ca-nonico il punto chiave riguardo alla promul-gazione di qualsiasi legge sta nella volontàdel legislatore. In questo caso, manifestòPaolo VI la volontà di imporre ai suoi sog-getti un obbligo (cioè la Nuova Messa)? E lofece, per di più, negli Acta?

Paolo VI, qui con Roger Schutz della comunità di Taizé

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La Costituzione Apostolica di Paolo VI

È facile rispondere a questa domanda.Negli Acta Apostolicæ Sedis del 30 aprile 1969troviamo la Costituzione Apostolica MissaleRomanum, che porta la firma di Paolo VI. Èintitolata: “Costituzione Apostolica. Per laquale il Messale Romano, restaurato con de-creto del Concilio Ecumenico Vaticano II,viene promulgato. Paolo, Vescovo, Servo deiServi di Dio, a Perpetua Memoria” (12).

La legge rispetta, ovviamente, la sempli-ce norma canonica per la promulgazione. IlLegislatore Supremo non ha bisogno delDecreto di un Cardinale perché la sua leggeabbia effetto. La Nuova Messa è promulga-ta, e la legge è obbligatoria.

Inoltre nel testo della Costituzione, Pao-lo VI mostra ben chiaramente che la sua vo-lontà è di imporre l’obbligo di una legge aisoggetti. Da notare in particolare il suo lin-guaggio nei passaggi seguenti.

- L’Istruzione Generale che precede ilNuovo Ordinario della Messa “impone nuo-ve norme per celebrare il sacrificio Eucari-stico” (13).

- “Abbiamo decretato che tre nuovi Ca-noni siano aggiunti a questa Preghiera [ilCanone Romano]” (14).

- “Abbiamo ordinato che le parole diNostro Signore siano un’unica e stessa for-mula in ciascun Canone” (15).

- “E così è Nostra volontà che queste pa-role siano dette in questo modo in ogni Pre-ghiera Eucaristica” (16).

- “Tutte le cose che abbiamo prescrittecon questa Nostra Costituzione, comince-ranno ad avere effetto dal 30 novembre diquest’anno” (17).

- “È nostra volontà che queste leggi eprescrizioni siano ora e in futuro stabili edeffettive” (18).

I termini canonici latini che un papa im-piega abitualmente per fare una legge, sonotutti presenti qui: normæ, præscripta, statuta,proponimus, statuimus, jussimus, volumus,præscripsimus, ecc.

Gli stessi termini usati nella Quo Primum

Questo linguaggio è importante perun’altra ragione: alcune di quelle parole ap-paiono anche nella Quo primum, la Bolladel 1570 con cui il papa san Pio V promulga-va il Messale Tridentino.

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Il rev. Laisney, come molti altri, pretendeche la legge di Paolo VI non impose un ob-bligo; piuttosto Paolo VI “presentò” o “per-mise” semplicemente la Nuova Messa (19).

Questo è falso. Sia Quo Primum che Pao-lo VI usano gli stessi termini “legislativi” neipassaggi chiave: norma, statuimus e volumus.

Il canonista benedettino Oppenheim diceche questi sono termini “precettivi” che “in-dicano chiaramente un obbligo stretto” (20).

Se questo tipo di parole ha reso obbliga-toria la Quo Primum di Pio V, produce lostesso effetto per il Missale Romanum diPaolo VI.

“È nostra volontà...”

Abbiamo citato più sopra il seguente pas-saggio com prova che Paolo VI intendeva pro-mulgare una legge che obbligasse i suoi sudditi:

“È nostra volontà [volumus] che questeleggi e prescrizioni siano, ora e in futuro,stabili ed effettive” (21).

Le prime traduzioni in inglese rendevanoil verbo latino volumus con “Noi desideriamoche”. Alcuni sacerdoti e scrittori ne arguironoche Paolo VI avesse solo un vago “desiderio”che i cattolici usassero la Nuova Messa, e cheegli avesse tuttalpiù espresso un pio augurio.

Ma nella Quo Primum S. Pio V usa glistessi identici verbi per imporre la Messa tri-dentina:

“È nostra volontà [volumus] poi - e lodecretiamo con la stessa autorità - che dopola pubblicazione di questa nostra Costituzio-ne e del Messale, i sacerdoti della Curia ro-mana... siano obbligati a cantare o a leggerela Messa secondo questo Messale” (22).

In entrambi i casi il verbo volumus espri-me l’essenza della legislazione della Chiesa:la volontà del legislatore di imporre un ob-bligo ai suoi sudditi (23).

Paolo VI abroga Quo Primum

Il rev. Laisney tira fuori un’altra frottola(24): si tratta della favola secondo la qualePaolo VI non avrebbe abrogato (revocato)la bolla Quo Primum di san Pio V (25).

I sostenitori di questa posizione citanotalvolta un passaggio del Codice che stabili-sce che “una legge più recente, emanatadall’autorità competente, abroga la leggeprecedente se l’abrogazione è espressa espli-citamente” (26).

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L’argomento è dunque che Paolo VI nonmenzionò Quo Primum per nome, quindinon l’abrogò esplicitamente. Quo primum,di conseguenza, non ha mai perso la sua for-za di legge, e noi siamo ancora liberi di cele-brare la vecchia Messa (27).

Ma i fautori di questa idea scambiano perrealtà i loro desideri. Nella norma citata sopra,esplicitamente non significa solo “nominata-mente” (28). Un legislatore può revocare “espli-citamente” una legge in un altro modo - ed èquello che succede qui, quando Paolo VI, dopoaver dichiarato il suo volumus alla Nuova Mes-sa, aggiunse la clausola seguente: “Nonostante,nella misura necessaria, le Costituzioni Apo-stoliche e le ordinanze dei Nostri Predeces-sori, e le altre prescrizioni, anche quelle degnedi speciale menzione o emendamento” (29).

Questa clausola abroga esplicitamenteQuo Primum.

Prima di tutto la bolla Quo Primum rien-tra fra gli atti pontifici più solenni, come laCostituzione Papale o Apostolica (30). E nelpassaggio tratto dalla Costituzione Apostolicadi Paolo VI, egli revoca precisamente le “Co-stituzioni Apostoliche” dei suoi predecessori.

In secondo luogo, per abrogare esplicita-mente una legge, un papa non ha bisogno dicitarla nominatamente. Secondo il canonistaCicognani, c’è abrogazione esplicita anche seil legislatore inserisce “delle clausole abroga-tive o derogative, come è abituale nei decreti,rescritti, e altri atti pontifici: nonostante qual-siasi cosa in contrario, nonostante qualsiasicosa in contrario di qualunque genere, perquanto degne di una menzione speciale” (31).

Paolo VI, in altre parole, usò l’esatto tipodi linguaggio richiesto per abrogare esplici-tamente una legge precedente.

E facendo questo, Paolo VI usò ancoraalcune delle stesse frasi usate da S. Pio Vnella Quo Primum per revocare le leggi li-turgiche dei suoi precedessori:

“Nonostante le precedenti costituzioniApostoliche e ordinanze… e qualunque leggee consuetudine contraria vi possa essere” (32).

Ancora una volta, se questo linguaggiovaleva nel 1570, vale anche nel 1969 (33).

Alla luce di quanto sopra, non è possibi-le continuare a sostenere la leggenda secon-do la quale la legge di Paolo VI non abrogòesplicitamente Quo primum.

Quanto alle altre opinioni errate che cir-colano sulla Quo Primum, saranno trattatein un prossimo articolo.

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Conclusione evidente

Paolo VI pone qui una legge. Tutto lo di-mostra in modo chiaro: il linguaggio legisla-tivo tecnico, l’enumerazione di leggi specifi-che, il fissare una data di entrata in vigore, illinguaggio che revoca le Costituzioni Apo-stoliche dei suoi predecessori, e l’espressio-ne esplicita del legislatore indicante la suavolontà di imporre queste leggi.

Tutto questo don Laisney non lo capisce.“Non c’è, egli dice, un ordine chiaro, un co-mando, o un precetto che lo renda obbligato-rio per tutti i sacerdoti”, e aggiunge che PaoloVI “non dice” quello che un sacerdote deve fa-re alla data di entrata in vigore della legge (34).

Ebbene, se il linguaggio della Costituzio-ne di Paolo VI non è abbastanza “chiaro”,riferiamoci all’ulteriore legislazione pubbli-cata negli Acta Apostolicæ Sedis.

Ancora una volta Paolo VI manifestachiaramente la sua volontà, non solo di im-porre la sua Nuova Messa, ma anche di proi-bire specificatamente il vecchio rito.

L’Istruzione dell’ottobre 1969

L’Istruzione Constitutione Apostolica (20ottobre 1969) porta il titolo: “Sull’applica-zione progressiva della Costituzione Apo-stolica Missale Romanum” (35).

Lo scopo generale del documento era dirisolvere certi problemi pratici: le conferen-ze episcopali non erano in grado di comple-tare la traduzione in vernacolare del nuovorito in tempo per il 30 novembre, data chePaolo VI aveva stabilito per l’entrata in vi-gore della Nuova Messa.

L’Istruzione comincia con enumerare letre parti del nuovo Messale già approvatoda Paolo VI: l’Ordo Missæ, l’Istruzione Ge-nerale e il nuovo Lezionario, e poi stabilisce:

“I documenti precedenti decretaronoche, a partire dal 30 novembre di quest’an-no, Prima Domenica d’Avvento, siano adot-tati il nuovo rito e il nuovo testo” (36).

Per far fronte ai problemi pratici che nederivavano, la Congregazione per il CultoDivino, “con l’approvazione del SommoPontefice, stabilisce le regole seguenti” (37).

Fra le diverse norme vi sono le seguenti:- “Ciascuna conferenza episcopale stabi-

lirà anche il giorno a partire dal quale (ec-cetto nei casi citati ai paragrafi 19-20) diven-terà obbligatorio adottare il [Nuovo] Ordi-

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nario della Messa. Tale data, tuttavia, nondovrà essere procrastinata oltre il 28 novem-bre 1971” (38).

“Ciascuna conferenza episcopale stabi-lirà il giorno a partire dal quale sarà obbliga-torio l’uso dei testi del nuovo Messale Ro-mano (eccetto i casi indicati ai paragrafi 19-20)” (39).

Le eccezioni valevano per i sacerdoti an-ziani che celebravano delle Messe in privatoe che avevano incontrato delle difficoltà coni testi o i riti nuovi. Col permesso dell’Ordi-nario avrebbero potuto continuare a usare ilvecchio rito.

L’Istruzione terminava con la seguentedichiarazione:

“Il 18 ottobre 1969 il Sommo Pontefice,Papa Paolo VI, approvò questa Istruzione eordinò che diventasse legge pubblica, affin-ché potesse essere osservata fedelmente datutti quelli a cui si riferisce” (40).

Troviamo qui ancora una volta i termini“precettivi” della Chiesa che legifera; questitermini, come dice Oppenheim, indicanochiaramente un’obbligazione stretta di usa-re, nel nostro caso, il Nuovo Ordinario dellaMessa non più tardi del 28 novembre 1971.

Il Decreto del marzo 1970

Il Decreto Celebrationis Eucharistiæ (26marzo 1970) è intitolato: “La nuova edizio-ne del Messale Romano è promulgata e di-chiarata editio typica” (41).

Questo Decreto accompagnava la pubbli-cazione del nuovo Messale di Paolo VI, checonteneva il Nuovo Ordinario della Messaapprovato precedentemente, un’IstruzioneGenerale riveduta e tutte le nuove Orazioniper l’intero anno liturgico.

Anche il decreto usa il linguaggio precet-tivo della legislazione pontificia:

“Questa Sacra Congregazione per il CultoDivino, per mandato dello stesso Sommo Pon-tefice, promulga questa nuova edizione delMessale Romano, fatta secondo i decreti delVaticano II, e la dichiara edizione tipica” (42).

C’è bisogno di ribadire ciò che è eviden-te? Il Nuovo Messale è la legge, per ordinedi Paolo VI.

La Notifica del giugno 1971

La Notifica Instructione de Constitutione(14 giugno 1971) è intitolata “Sull’uso e sull’ini-

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zio dell’obbligo del nuovo Messale Romano,[del Breviario], e del Calendario” (43).

Questa Notifica, come l’Istruzionedell’ottobre 1969, affronta alcune delle diffi-coltà pratiche che avevano ritardato l’attua-zione della nuova legislazione liturgica.

“Avendo attentamente considerato que-ste cose, la sacra Congregazione per il CultoDivino, con l’approvazione del Sommo Pon-tefice, pone le seguenti regole sull’uso delMessale Romano” (44).

Essa ordina che in tutti i paesi “dal gior-no in cui i testi tradotti saranno usati per lecelebrazioni in lingua vernacolare, sarà per-messa soltanto la forma riveduta della Mes-sa e [del breviario], anche per coloro checontinuano ad usare il Latino” (45).

Il senso piano del testo è che deve essereusato il nuovo rito, e che il rito tradizionaleè proibito; il papa lo vuole e tutti devono ob-bedire.

La Notifica dell’ottobre 1974

Infine c’è la Notifica Conferentia Episco-palium (28 ottobre 1974) (46).

La bolla “Quo Primum” si trova all’inizio di tutti i Messali Romani

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Essa specifica ancora che quando unaconferenza episcopale decreta che una tra-duzione del nuovo rito è obbligatoria, “laMessa, sia in Latino che in vernacolare, se-condo la legge deve essere celebrata soltan-to nel rito del Messale Romano promulgatoil 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa PaoloVI” (47). L’accento sulla parola “soltanto”(tantummodo) si trova nell’originale.

Gli Ordinari devono assicurarsi che tuttii sacerdoti e i fedeli di Rito Romano “nono-stante il pretesto di una qualche consuetudi-ne, anche di lunga data, accettino rigorosa-mente l’Ordinario della Messa nel MessaleRomano” (48).

Ancora una volta è evidente che la Nuo-va Messa è stata debitamente promulgata edè obbligatoria: non ci sono eccezioni.

Il rev. Laisney ammette che questa Noti-ficazione impone l’obbligo di celebrare laNuova Messa. Tuttavia nega che abbia effet-to legale perché non venne pubblicata negliActa Apostolicæ Sedis e perché non specifi-ca che fu ratificata dal Sommo Pontefice (49).

Don Laisney, ahimè, ha frainteso ancoraun altro principio del Codice in materia dipromulgazione.

In primo luogo, la Notifica non è unanuova legge. È quello che i canonisti defini-scono una “interpretazione autorevole e di-chiarativa” di una legge precedente. Essa,secondo il Codice, “indica semplicemente ilsignificato delle parole della legge, già certedi per sé”. In tal caso “l’interpretazione nonha bisogno di essere promulgata, ed ha ef-fetto retroattivo” (50). In altre parole, essa haforza di legge anche senza la pubblicazionenegli Acta.

In secondo luogo, anche se strettamenteparlando, tale dichiarazione non avesse bi-sogno del consenso esplicito del papa, PaoloVI approvò comunque il testo finale dellanotifica (51).

Nessuna consuetudine immemorabile

La Notifica affronta un aspetto secondariointeressante: un certo numero di scrittori tradi-zionalisti che volevano ad ogni costo riconosce-re l’autorità di Paolo VI, pretendevano tuttaviache “la consuetudine immemorabile” permet-teva loro di conservare il vecchio rito e di rifiu-tare la Nuova Messa di Paolo VI.

A prima vista questa affermazione nonha senso. I sacerdoti celebravano la Messa

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tradizionale perchè un Papa aveva promul-gato una legge scritta che ordinava di farlo.La consuetudine è semplicemente un uso,oppure una legge non scritta, che può essereo in accordo con la legge scritta, o contrariaad essa, o al di fuori di essa.

la Notifica, in ogni caso, afferma che laNuova Messa è obbligatoria “nonostante ilpretesto di una consuetudine qualunque, an-che di lunga data”.

Secondo il Codice, “una legge non revo-ca le consuetudini centenarie o immemora-bili, a meno che non ne faccia espressa men-zione” (52).

Ma i canonisti dicono che una clausola“nonostante” (nonobstante), come quella cheabbiamo vista, revoca veramente ed esplicita-mente una consuetudine immmemorabile (53).Quindi, anche se la vecchia Messa costituisseuna consuetudine immemorabile, la Notificala revoca debitamente, liquidando in più laquestione come un “pretesto”.

Ma questo ci porta semplicemente allavera questione che si nasconde, in effetti,dietro la discussione sulla promulgazione“illegale” o meno del Novus Ordo da partedi Paolo VI.

Chi interpreta le leggi del Papa?

Per la FSSPX e per molti altri, ahimè, larisposta è “ognuno, tranne il papa”.

Don Laisney ci informa, per esempio,che Paolo VI non impegnò nella sua Costi-tuzione Apostolica “la medesima pienezzadi potere” che impegnò Pio V nella sua.Paolo VI non menzionò la “natura di un ob-bligo”, i relativi “soggetti”, la sua “solen-nità” (54).

L’affermazione di Don Laisney non dànessuna riferimento. Per cui siamo nell’im-possibilità di trovare i canonisti che propon-gono questi criteri di distinzione, ai quali ognicattolico, laico o chierico, possa far ricorsoper decidere da solo se è tenuto ad osservareuna Costituzione Apostolica firmata dalSommo Pontefice della Chiesa Universale.

Vogliono farci credere che la miriade digiuristi esperti di diritto canonico della Cu-ria Romana, incaricati di preparare i decretidel papa, non sarebbero stati capaci di redi-gere un testo giuridico adeguato al facilecompito di preparare un nuovo rito dellaMessa, obbligatorio. E ciò, addirittura, nep-pure dopo cinque tentativi: una Costituzione

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Apostolica e quattro (le ho contate!) dichia-razioni per l’attuazione della Costituzione.

Invece qualche polemista incompetentee il basso clero del mondo intero sono liberidi giudicare che il Supremo legislatore è giu-ridicamente incapace di promulgare le pro-prie leggi, e quindi di rifiutargli la propriasottomissione per decenni e decenni.

Dei protestanti del diritto Canonico?

L’approccio alle leggi pontificie di donLaisney e degli altri sostenitori di questateoria, è infatti “un Protestantesimo del di-ritto canonico”: voi interpretate i passaggiscelti come fa comodo a voi, e che nessunpapa venga mai a dirvi come devono essereinterpretati. E se non trovate la formula ma-gica che secondo voi è “richiesta” per co-stringervi a obbedire, bene, tanto peggio peril Vicario di Cristo sulla terra. Questa è lamentalità delle sètte: Giansenisti, Gallicani,discepoli di Feeney. A parole dicono di rico-noscere il Vicario di Cristo, ma nei fatti ri-fiutano di sottomettersi: è proprio la precisae classica definizione dello scisma.

Il Papa o la Curia?

Al contrario, il Codice stabilisce in po-che parole quale deve essere l’approccio delCattolico all’interpretazione delle leggi pon-tificie:

“Le leggi sono autorevolmente interpre-tate dal legislatore e dal suo successore, e dacoloro a cui il legislatore conferisce il poteredi interpretare le leggi” (55).

A parte il papa, chi possiede questo po-tere di interpretare le sue leggi con autorità?“Le sacre Congregazioni nelle materie chesono loro proprie,” dice il canonista Coro-nata. Le loro interpretazioni vengono pub-blicate “a mo’ di legge” (56).

Nel caso della Nuova Messa, Paolo VIdelegò il potere di interpretare la nuova le-gislazione liturgica alla Congregazione per ilCulto Divino.

La Congregazione pubblicò tre docu-menti, un’Istruzione, un Decreto, e una No-tificazione: essi stabiliscono chiaramente chela legge originale che promulga la NuovaMessa è obbligatoria.

Tali documenti sono classificati tra “leinterpretazioni generali autentiche” dellalegge (57), e spesso sono genericamente indi-

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cate come “decreti generali”. La Congrega-zione promulgò inoltre questi tre documentinegli Acta Apostolicæ Sedis, come è richie-sto dal Codice.

Uno di questi documenti, l’Istruzionedell’ottobre 1969, ci interessa qui particolar-mente. Essa cita la Costituzione Apostolicadi Paolo VI, l’Istruzione Generale del Mes-sale Romano, il Nuovo Ordinario della Mes-sa, il Decreto del 6 aprile 1969, e l’Ordinarioper il nuovo Lezionario, e poi stabilisce:

“I citati documenti decretano che dal 30novembre di quest’anno, Prima Domenicadi Avvento, siano usati il nuovo rito e il nuo-vo testo” (58).

Anche se la legge originale fosse stata inqualche modo difettosa o dubbia, questopassaggio (e quelli simili negli altri docu-menti) risolverebbe il problema: infatti cor-risponde ai criteri del Codice per dare, aduna legge che in precedenza era dubbia,un’interpretazione autentica. Il rappresen-tante del legislatore, cioè la Congregazioneper il Culto Divino, dice che la legge prece-dente “decreta... che siano usati il nuovo ritoe il nuovo testo”.

Quindi, qualsiasi dubbio possiate averavuto, è risolto. Questa interpretazione au-tentica, dice il Codice, “ha la medesima for-za della legge stessa” (59).

Consideratevi perciò obbligati dalla leg-ge, dal momento che i responsabili della suainterpretazione, ve lo hanno detto. Sotto-mettetevi quindi alla legge del papa. Èquanto dovrebbe fare un vero Cattolico,cioè uno per cui il papa non è solo un ritrat-to da appendere al muro, o una frase vuotanel Te igitur!

Non è una Legge Universale?

Come abbiamo notato sopra, don Lai-sney credeva che le “deficienze legali”, cheegli pretendeva di trovare riguardo al NovusOrdo, impedissero di porre la nuova leggesotto l’infallibilità delle leggi universali (60).

A questo argomento il rev. Peter Scott,successore di don Laisney come Superioredel Distretto degli Stati Uniti della FSSPX,aggiungeva un altro travisamento.

In un dibattito con lo scrittore ingleseMichael Davies, il rev. Scott affermava: “Sa-rebbe un insulto grave e inammissibile per iCattolici di rito orientale (molti dei quali so-no tradizionalisti) se voi affermaste [come fa

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il signor Davies] che “il rito Romano... èequivalente... a quello della Chiesa universa-le”, semplicemente a causa della preponde-ranza numerica. Un decreto per il Rito Ro-mano, anche promulgato correttamente,non vale per la Chiesa universale” (61).

Altri hanno fatto essenzialmente lo stes-so ragionamento: la legislazione di Paolo VIsulla Nuova Messa non è veramente “uni-versale”, perché non si applica ai Cattolici diRito Orientale.

Il reverendo Scott, ahimé, ha confuso alcu-ni termini legali e abituali del diritto canonico.

La legge ecclesiastica è divisa effettiva-mente quanto al rito in occidentale e orien-tale, ma questo non ha niente a che fare conil problema che trattiamo.

Quando un canonista definisce “univer-sale” una legge, non si riferisce alla sua ap-plicazione ad entrmbi i riti Latino e Orienta-le. Piuttosto si riferisce all’estensione dellalegge, cioè al territorio sul quale ha forza.

Perciò una legge particolare obbliga soloentro un certo determinato territorio. Unalegge universale, invece, “obbliga in tutto ilmondo cristiano” (62).

La legislazione che ha promulgato laNuova Messa voleva, ovviamente, essereobbligatoria nel mondo intero.

Lo stesso principio vale per le varie Di-chiarazioni, Direttive, Istruzioni, Notifiche,Risposte, ecc. della Sacra Congregazione deiRiti (Culto Divino).

Nessuno dubita, dice il canonista Op-penheim, che tutti questi decreti per la Chie-sa Universale (conosciuti talvolta nel loroinsieme come “decreti generali”) abbiano ilcarattere di vera legge (63). Infatti “i decretigenerali che sono rivolti alla Chiesa univer-sale (di Rito Romano) hanno la forza di leg-ge universale” (64). In più, in base al Decretodella S. Congregazione dei Riti, essi hannola stessa autorità che se fossero emanati di-rettamente dal Romano Pontefice (65).

È quindi impossibile affermare che la legi-slazione liturgica di Paolo VI non possa esseredefinita una legge disciplinare universale.

In breve

Dopo quanto abbiamo detto circa la legi-slazione di Paolo VI sulla Nuova Messa,vorremmo, per concludere, fare un riassuntodi ciò che è stato detto, e poi insistere su diun punto in particolare (66).

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Abbiamo esaminato l’affermazione, porta-ta avanti dal rev. Laisney e da numerosissimialtri scrittori tradizionalisti, secondo la qualePaolo VI impose “illegalmente” il Novus Or-do, e abbiamo dimostrato i punti seguenti:

1. Il fine della promulgazione di una leg-ge è di manifestare che il legislatore vuoleimporre un obbligo ai soggetti.

2. Nella Costituzione Apostolica MissaleRomanum, Paolo VI manifestò la volontà diimporre la Nuova Messa come un obbligo.Ciò risulta evidente da:

a) Almeno sei passaggi particolari.b) Vocabolario legislativo tipico del di-

ritto canonico.c) Parallelismo con la Quo Primum.d) Promulgazione negli Acta Apostolicæ

Sedis.3. La Costituzione Apostolica di Paolo

VI abrogò (revocò) la Quo Primum usandouna formula tipica utilizzata abitualmente aquesto scopo.

4. La Congregazione per il Culto Divino(CCD) promulgò successivamente tre docu-menti (che sono infatti dei “decreti genera-li”) che attuano la Costituzione di Paolo VI.Questi documenti:

a) Impongono la Nuova Messa come ob-bligatoria.

b) Proibiscono (salvo alcuni casi) la vec-chia Messa.

c) Fanno uso del vocabolario legislativotipico.

d) Dicono espressamente di avere l’ap-provazione di Paolo VI.

e) Furono pubblicati regolarmente negliActa.

5. La CCD pubblicò anche una Notificadel 1974 che ripeteva che soltanto la NuovaMessa poteva essere celebrata e che la vec-chia Messa era proibita. Respingeva come“un pretesto” la formula della “consuetudi-ne immemorabile”. Questo documento eraun’interpretazione dichiarativa della legge, ecome tale non doveva essere promulgata ne-gli Acta per avere forza di legge.

6. I documenti pubblicati dalla CCD era-no “un’interpretazione autorevole della leg-ge” che, secondo il Codice, avevano “la stes-sa forza della legge”, poiché erano pubblica-ti da una congregazione Romana “alla qualeil legislatore aveva delegato il potere di in-terpretare le leggi”.

7. L’obiezione che rifiuta di considerarela legislazione di Paolo VI come disciplina

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universale, perché non obbliga i riti Orienta-li, è basata sull’incomprensione del termine“universale”. Il termine non si riferisce al ri-to ma all’estensione territoriale della legge.

Le conseguenze inevitabili

Per tutte le suddette ragioni, quindi, sevoi insistete nel dire che Paolo VI era vera-mente papa, in possesso del pieno potere le-gislativo come Vicario di Cristo, dovete an-che accettarne la conseguenza inevitabile,che è l’esercizio dell’autorità pontificia:

1. La Nuova Messa fu promulgata legal-mente.

2. La Nuova Messa è obbligatoria.3. la Messa tradizionale fu vietata.Se insistete ancora dicendo che la Nuova

Messa è cattiva, la logica vuole che arriviatealla conclusione, che la fede e le promesse diCristo vi vietano di trarre: la Chiesa di Cristoè venuta meno. Infatti il Successore di Pietro,che possiede l’autorità di Cristo, ha usato que-sta stessa autorità per distruggere la fede diCristo, imponendo una messa che è cattiva.Dunque, per voi la promessa di Cristo a Pie-tro e ai suoi successori è una menzogna e uninganno: le porte dell’Inferno hanno prevalso.

* * * * *

TUTTO QUESTO CI RICONDUCE alpunto di partenza del nostro studio: la Nuo-va Messa è cattiva, e il principio per cui laChiesa non può fare qualcosa di male.

Paolo VI rispettò tutte le forme legaliche ogni vera autorità pontificia impieganormalmente, per imporre le leggi discipli-nari universali. Canonicamente, egli rispettòla procedura alla lettera.

Ma ciò che Paolo VI impose era cattivo,sacrilego, distruttore della fede. È per que-sto che noi, in quanto cattolici, la rifiutiamo.

Poiché sappiamo che l’autorità dellaChiesa è incapace d’imporre delle leggi uni-versali cattive, noi dobbiamo di conseguenzaconcludere che Paolo VI, che ha promulgatodelle leggi cattive, non possedeva in realtàl’autorità pontificia.

Perchè, se è impossibile che la Chiesastessa venga meno, è possibile invece - comeinsegnano i papi, i canonisti e i teologi - cheun papa, in quanto individuo, perda la fedee automaticamente perda l’incarico e l’auto-rità pontificia.

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In una parola, una volta che noi ricono-sciamo che la Nuova Messa non è cattolica,riconosciamo anche che il suo promulgatore,Paolo VI, non era né un vero cattolico né unvero papa [*].

Chi è l’autoreIl Rev. Anthony Cekada fu ordintato nel

1977 da Mons. Marcel Lefebvre, e celebra laMessa tradizionale. Ha scritto molti articolisui problemi dottrinali, in opposizione allenuove riforme del Concilio Vaticano II, tra iquali l’opuscolo: “Non si prega più come pri-ma. Le preghiere della nuova messa ed i pro-blemi che pongono ai cattolici”, tradotto initaliano dal nostro centro librario e semprediponibile presso la nostra redazione. Risie-de a Cincinnati (Ohio), negli Stati Uniti, e in-segna Diritto Canonico e Liturgia al semina-rio della SS. Trinità a Warren, nel Michigan.

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LAISNEY, F. “Was the Perpetual Indult Ac-corded by St Pius V Abrogated?”, Ange-lus, 22 (dicembre 1999)

*] Nota di Sodalitium: l’autore segue la posizione“sedevacantista”. Sodalitium accetta la conclusionedell’autore (“Paolo VI non era un vero Papa”) ma stimanon dimostrato il motivo della perdita dell’autorità (“nonera un vero cattolico”).

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Note

1) P. HERMANN, Institutiones Theol. Dogm., Roma,1904, estratto 1:258. Altri teologi come Van Noort,Dorsch, Schultes, Zubizarreta, Irragui e Salaverri defi-niscono più o meno allo stesso modo la missione dellaChiesa. Per i riferimenti e le citazioni, occorre rifarsi almio studio: Traditionalists, Infallibility and the Pope.

2) Per averne una copia gratuita potete rivolgersi a:Saint Gertrude the Great Church, 11144 Reading Road,Cincinnati OH 45241, 513-769-5211, www.sgg.org

3) “Where is the True Catholic Faith ? Is the NovusOrdo Missæ Evil?” Angelus 20 (marzo 1997) 38.

4) “Was the Perpetual Indult Accorded by SaintPius V Abrogated?” Angelus 22 (Dicembre1999) 30-31.

5) “Where is...?” 34. La sottolineatura è dell’autore6) “Where is... ?” 35.7) “Where is... ?” 35-36. La sottolineatura è nostra.8) M. Lohmuller, Promulgation of Law (Washing-

ton: CUA Press 1947), 4.9) Canone 9. “Leges ab Apostolica Sede latæ pro-

mulgantur per editionem in Actorum Apostolicæ Sediscommentario officiali, nisi in casibus particularibus aliuspromulgandi modus fuerit præscriptus”.

10) Canone 9. “Et vim suam exserunt tantum exple-tis tribus mensibus a die qui Actorum numero appositusest, nisi ex natura rei illico ligent aut in ipsa lege breviorvel longior vacatio specialiter et expresse fuerit statuta”.

11) Ordo Missæ: Editio Typica (Typis PolyglottisVaticanis: 1969). Il nuovo ordine delle Sacre Scritture(lezionario) apparve nel maggio 1969. Il messale com-pleto, contenente le nuove orazioni per le domeniche, itempi liturgici e le feste, appare soltanto nel 1970.

12) AAS 61 (1969) 217-222.13) “... novas normas... proponi”. Il verbo adopera-

to (proponi) è usato nel significato post-classico di “im-

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porre” come ad esempio “imporre una legge”. VediLewis & Short, A New Latin Dictionary 2a ed. (NewYork: 1907) 1471, col. 2.

14) “Ut eidem Precationi tres novi Canones adde-rentur statuimus.” “Statuo” con “ut” o col “ne” possie-de il senso di “decretare, ordinare”. Vedi Lewis &Short, 1753, col. 3

15) “jussimus”.16) “volumus”.17) “Quæ Constitutione hac Nostra præscripsimus

vigere incipient.”18) “Nostra hæc autem statuta et præscripta nunc et

in posterum firma et efficacia esse et fore volumus”.19) “Indulto Perpetuo”, 30.20) P. Oppenheim, Tractatus de Iure Liturgico (To-

rino Marietti 1939). 2:56. “verba autem...’statuit’,...‘præcepit’, ‘jussit’, et similia, manifeste strictam obliga-tionem denotat”. La sottolineatura è dell’autore.

21) Per timore che qualcuno dica che il riferimentonon è chiaro, è da notare che fra gli “statuta et præ-scripta” precedenti, c’erano le “nuove regole imposte”dall’Istruzione Generale (“novas normas... proponi”)per la celebrazione della Messa.

22) “Volumus autem et eadem auctoritate decerni-mus, ut post hujus Nostræ constitutionis, ac missaliseditionem, qui in Romana adsunt Curia Presbyteri, postmensem... juxta illud Missam decantare, vel legere te-neantur”.

23) Vedi Lewis & Short, A New Latin Dictionary,2004, col. 1; 2006, col. 2. “of the wishes of those that havea right to command… it is my will” [“Per volere di colo-ro che hanno il diritto di comandare... è mia volontà”.Will in inglese, ha il senso molto forte di volere. NDT].

24) [Nel testo inglese letteralmente: canard (in ita-liano anatra), dove canard è sinonimo di scherzo, burla;in effetti in francese canard significa “frottola” “falsanotizia”. L’autore aggiunge che “canard” è anche la tra-duzione della parola inglese “duck” (il maschiodell’anatra) e qui il riferimento è particolarmente ap-propriato, perché questa particolare anatra, come il gal-lo-banderuola che sta sui campanili, non tiene mai alungo la stessa direzione. Ndt.]

25) “Indulto Perpetuo”, 28-29.26) Canone 22. “Lex posterior, a competenti aucto-

ritate lata, obrogat priori, si id expresse edicat, aut sit il-li directe contraria, aut totam de integro ordinet legisprioris materiam; sed firmo præscripto...” La sottolinea-tura è nostra.

27) La discussione verteva spesso sui diversi termi-ni tecnici del diritto canonico, come abrogazione, pro-posta di modifica, deroga e surrogazione. Generalmen-te i partecipanti non avevano la minima idea di quelloche si stava trattando; il che era abbastanza comprensi-bile. Persino esperti commentatori del Codice non sonosempre coerenti con l’uso di questi termini.

28) Se questa fosse stata l’intenzione del legislatore,avrebbe potuto usare il termine latino per “nominata-mente” (nominatim) anziché il termine “esplicitamen-te” (expresse).

29) “...non obstantibus, quatenus opus sit, Constitu-tionibus et Ordinationibus Apostolicis a DecessoribusNostris editis, ceterisque præscriptionibus etiam pecu-liari mentione et derogatione dignis”.

30) Vedi A. CICOGNANI, Canon Law, 2a ed. (West-minster MD: Newman 1934) 81ff. “Le costituzioni pa-pali sono degli Atti Pontifici che hanno le seguenti ca-ratteristiche: 1- Sono emanate direttamente dal Sommo

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Pontefice, 2- sono presentate motu proprio, - 3- presen-tano la forma solenne di una Bolla, 4- riguardano mate-rie di grande importanza come principalmente il benedella Chiesa”.

31) Canon Law, 629. La sottolineatura è dell’autore.32) “Non obstantibus præmissis, ac constitutioni-

bus, et ordinationibus Apostolicis… statutis et consue-tudinibus contrariis quibuscumque”.

33) Negli anni ‘80, la Fraternità diffondeva la tipicastoria romana: un gruppo di canonisti convocati dal Va-ticano, avrebbe studiato la posizione legale della vec-chia Messa e avrebbe concluso che Quo Primum nonera mai stata abrogata. Anche se il fatto fosse vero, laquestione è discutibile: 1) Il legislatore non pubblicònessun decreto autorevole e interpretativo, a questoscopo. 2) L’abrogazione è l’unica conclusione possibiledopo aver esaminato i decreti promulgati dal Vaticano.3) Il legislatore (cioè il Vaticano modernista) permettela Messa tradizionale solo con l’indulto: una facoltà oun favore accordati temporaneamente, sia in contrastocon la legge, sia al di fuori di essa. Se la vecchia leggenon era stata abrogata, non sarebbe stato necessariol’indulto.

34) “Where is… ?” 35 et alii.35) AAS 61 (1969) 749-753 “gradatim ad effectum

deducenda”.36) “statuitur ut… adhibeantur”.37) “approbante Summo Pontifice, eas quae se-

quuntur statuit normas.”38) “diem… constituant”. “necesse erit usurpare”.39) “decernant.” “adhiberi jubebuntur.” Per paura

che qualcuno dica che questi paragrafi significano chele conferenze episcopali, e non Paolo VI, “promulgaro-no” la Nuova Messa, facciamo notare: questi provvedi-menti delegavano semplicemente il potere di prolunga-re la vacatio legis, che è, ripetiamo, il periodo tra la pro-mulgazione di una legge e la sua entrata in vigore.

40) “Præsentem Instructionem Summus PontifexPaulus Pp. VI die 18 mensis octobris 1969 approbavit,et publici juris fierit jussit, ut ab omnibus ad quos spec-tat accurate servetur”.

41) AAS 62 (1970), 554.42) “de mandato ejusdem Summi Pontificis… pro-

mulgat”.43) AAS 63 (1971) 712-715.44) “approbante Summo Pontifice, quæ sequuntur

statuit normas”. In latino “norma” significa: legge, re-gola, precetto, perciò il primo libro del Codice di dirittocanonico è detto “Normæ generales”..

45) “assumi debebunt, tum iis etiam qui lingua lati-na uti pergunt, instaurata tantum Missæ et Liturgiæ Ho-rarum forma adhidenda erit”.

46) Notitiæ 10 (1974), 353.47) “tunc sive lingua latina sive lingua vernacula

missam celebrare licet tantummodo juxta ritum MissalisRomani auctoritate Pauli VI promulgati, die 3 mensisAprilis 1969”. Sottolineatura nell’originale.

48) “et nonosbtante prætextu cujusvis consuetudi-nis etiam immemoriabilis”.

49) “Where is… ?” 36.50) Canone 17.2. “et si verba legis in se certa decla-

ret tantum, promulgatione non eget et valet retror-sum”.

51) A. Bugnini, La Riforma Liturgica (1948-1975),(Roma: CLV-Edizioni Liturgiche 1983) 298: “Il testodefinitivo fu approvato dal Santo Padre, il 28 ottobre1974, con le parole “Sta bene. P.”

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52) Canone 30: “…consuetudo contra legem velpræter legem per contrariam consuetudinem aut legemrevocatur; nisi expressam de iisdem mentionem fecerit,lex non revocat consuetudines centenarias aut imme-morabiles”.

53) Vedi CICOGNANI, 662-3.54) “Indulto Perpetuo”, 30-31.55) Canone 17.1. “Leges authentice interpretatur

legislator ejusve successor et is cui potestas interpretan-di fuerit ab eisdem commissa”.

56) M. CORONATA, Institutiones Juris Canonici 4aed. (Torino: Marietti 1950) 1:24: “Quis interpretari pos-sit… per modum legis ecclesiasticæ leges interpretan-tur: Romanus Pontifex, Sacræ Congregationes pro suaquæquæ provincia”.

57) Vedi ABBO & HANNON, The Sacred Canons, 2aed. (St Louis: Herder 1960) 1:34.

58) “Præfatis autem documentis, statuitur ut…adhibeantur”.

59) Canone 17.2. “Interpretatio authentica, per mo-dum legis exhibita, eandem vim habet ac lex ipsa”.

60) “Where is…?” 36.61) “Debate over New Order Mass Status Conti-

nues”, Remnant, 31 maggio 1997, 1.62) Vedi D. PRÜMMER, Manuale Juris Canonici

(Freiburg: Herder 1927) 4. “b) Ratione extensionis jusecclesiasticum dividitur: a. in jus universale, quod obli-gat in toto orbe christiano, et jus particulare, quod vigettantum in aliquo territorio determinato… e) Ratione ri-tus jus distinguitur in jus Ecclesiæ occidentalis et jus Ec-clesiæ orientalis.” La sottolineatura è dell’autore. Vedianche G. MICHIELS, Normæ Generales Juris Canonici2a ed. (Paris, Desclée 1949) 1:14.

63) OPPENHEIM 2:54 “Quæ decreta pro universa Ec-clesia… rationem veræ legis habere, nemo est qui dubi-tet”. La sottolineatura è dell’autore.

64) OPPENHEIM 2:63. “Decreta generalia quæ ad uni-versam Ecclesiam (ritus romani) diriguntur, vim legishabent universalis.” La sottolineatura è dell’autore.

65) SRC Decr. 2916, 23 maggio 1846. “An Decreta aSacra Rituum Congregatione emanata et responsionesquæcumquæ ab ipsa propositis dubiis scripto formitereditæ, eamdem habeant auctoritatem ac si immediate abipso Summo Pontifice promanarent, quamvis nulla factafuerit de iisdem relatio Sanctitati Suæ ?… Affirmative”.

66) “…quiddam nunc cogere et efficere placet”.

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e per la conseguente ferita, fonte di conflitti edivisioni, che fu in tal modo aperta nelle men-ti e nei cuori del popolo boemo”.

Le eresie di Hus furono condannate dalConcilio di Costanza il 6 luglio 1415, giornoin cui fu messo al rogo, condanna conferma-ta da Martino V il 22 febbraio 1418 (DS1201-1230); vedi anche le condanne controgli hussiti e wyclifiti (DS 1247-1279).

Riprovando la messa a morte di Hus elodando la sua attitudine (impenitente) inquel frangente, Giovanni Paolo II sembrasostenere almeno due proposizioni condan-nate: 1) “i dottori che affermano che chi devesubire una censura ecclesiastica e non vuoleemendarsi deve essere consegnato al bracciosecolare, seguono in ciò incontestabilmente ipontefici, gli scribi e i farisei che consegnaro-no al braccio secolare il Cristo che non volleobbedire loro in ogni cosa, dicendo: ‘A noinon è consentito mettere a morte nessuno’;essi sono omicidi più colpevoli di Pilato”(Hus, DS 1214; cf DS 1272) 2) “è contro lavolontà dello Spirito che gli eretici siano bru-ciati” (Lutero, DS 1483). Visti poi gli elogi aJan Hus, bisognerebbe sottoporre GiovanniPaolo II ad almeno due delle domande daporsi - secondo la Bolla Inter cunctas diMartino V, del 22/2/1418 - agli hussiti e wy-clifiti: “se crede che le condanne di John Wi-clif, Jan Hus e Girolamo da Praga compiutedal sacro concilio generale di Costanza, delleloro persone, dei libri e dei documenti, sonostate compiute nel modo dovuto e giustamen-te, e che come tali debbono essere tenute perferme e saldamente affermate da ogni cattoli-co” (DS 1249) “ugualmente se crede, tengaper fermo e affermi che John Wyclif d’Inghil-terra, Jan Hus di Boemia e Girolamo da Pra-

LL’’OOSSSSEERRVVAATTOORREE RROOMMAANNOO

Nella nostra rubrica dedicata agli interventi diGiovanni Paolo II o delle Congregazioni Ro-

mane, prende il primo posto - in questo numerodi Sodalitium - la ‘Giornata del Perdono’, svolta-si in san Pietro la Prima domenica di Quaresima.A questo avvenimento è nostra intenzione dedi-care un lungo studio, del quale potrete leggerenel presente numero solo la parte introduttiva.Questo studio è preceduto da un breve esamedell’elogio fatto a Jan Hus da Giovanni Paolo II:i temi sono infatti collegati. Altri documenti, per-tanto, verranno in futuro trascurati o trattati inmaniera sommaria. Sia per quanto trattato inquesta rubrica, sia per avvenimenti qui omessi,rinviamo il lettore, per maggiore informazione,alla Rassegna Stampa di Sodalitium.

Elogio di Jan Hus

Dal discorso di Giovanni Paolo II ai par-tecipanti al Convegno internazionale su

Jan Hus svoltosi a Roma il 17 dicembre 1999(testo integrale in O.R., 18/12/99, p. 5): “Èper me un motivo di grande gioia porgervi ilmio saluto cordiale in occasione del vostroSimposio su Jan Hus, che costituisce un’ulte-riore, importante tappa per una più profondacomprensione della vita e dell’opera del notopredicatore boemo, uno dei più famosi ed il-lustri maestri usciti dall’Università di Praga.Hus è una figura memorabile per molte ra-gioni. Ma è soprattutto il suo coraggio moraledi fronte alle avversità e alla morte ad averloreso figura di speciale rilevanza per il popoloceco, anch’esso duramente provato nel corsodei secoli. Sono particolarmente grato a tuttivoi per avere recato il vostro contributo al la-voro della Commissione ecumenica ‘Husov-ska’ costituita alcuni anni fa dal signor Cardi-nale Miloslav Vlk, allo scopo di identificarein modo più preciso il posto che Jan Hus oc-cupa tra coloro che aspiravano alla riformadella Chiesa”. Giovanni Paolo II ha prose-guito auspicando la pubblicazione degli Attidel Simposio “così che il maggior numeropossibile di persone possa conoscere meglio(...) la straordinaria figura di uomo che egli fu(...). Oggi, alla vigilia del Grande Giubileo,sento il dovere di esprimere profondo ram-marico per la crudele morte inflitta a Jan Hus

Cerimonia del 12 marzo: il cardinal Ratzinger accendeuna lampada ad olio del candeliere a sette braccia

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1) il testo della Commissione teologicainternazionale: Memoria e riconciliazione: laChiesa e le colpe del passato, approvato dalsuo presidente, Joseph Ratzinger (Osserva-tore Romano, Documenti. Supplemento aln. 56, 8 marzo 2000)

2) la descrizione della cerimonia liturgicadel 12 marzo 2000, quale è descritta dall’Os-servatore Romano del 13-14 marzo 2000, p. 7.

3) l’omelia pronunciata nella stessa cir-costanza da Giovanni Paolo II e riportata al-le pagg. 8-9 del medesimo numero dell’Os-servatore.

Per il nostro scopo sarà utile tenere pre-sente la presentazione del documento dellaCTI da parte di Roger Etchegaray, GeorgesCottier (O.R., 8/3/2000, pp. 4-5) e JosephRatzinger (O.R., 9/3/2000, p. 8), nonché lapresentazione della cerimonia liturgica daparte del ‘Maestro delle cerimonie liturgichepontificie’ il ‘Vescovo Piero Marini’ (O.R.,8/3/99, p. 5).

I. Memoria e riconciliazione

1. Un documento senza neppure un’appa-renza di autorità

Il testo che esaminiamo, preparato mate-rialmente dal Professor Bruno Forte e altri 5teologi, dovrebbe costituire il fondamentoteologico del gesto compiuto da KarolWojtyla la prima domenica di quaresimanella basilica di san Pietro; vedremo subitoquanto questo fondamento, pur essendo sta-to preparato da più di due anni, sia parago-nabile alle sabbie mobili.

Pur essendo “approvato in forma specifi-ca” (Nota preliminare) il testo della C.T.I.“non è un documento del Magistero” (P.Cottier). Di esso - sempre secondo PadreCottier - è responsabile la C.T.I. (Commis-sione Teologica Internazionale), della qualeCottier è Segretario e Ratzinger è Presiden-te. Ma la C.T.I. - istituta da Paolo VI nel1969 - non è un organo del Magistero edesprime tutt’al più quella che i suoi teologi“considerano essere la dottrina comune dellaChiesa”. Giovanni Paolo II - che ha commis-sionato questo studio per giustificare i suoiatti - ha dovuto pertanto ricorrere a una for-mula priva di qualsiasi - anche apparente -autorità magisteriale. Ma il documento dellaC.T.I. - che pure si sforza di giustificare Gio-vanni Paolo II, è forse la migliore dimostra-

ga sono stati eretici, e come eretici debbonoessere nominati e considerati, e che i loro li-bri e le loro dottrine sono state e sono perver-se, e che per questi e queste, e per la loro per-tinacia, per mezzo del sacro concilio di Co-stanza, sono stati condannati come eretici”(DS 1250). Infine bisognerebbe chiedergli sesostiene che “alcuni articoli di Jan Hus con-dannati nel concilio di Costanza sono cristia-nissimi, verissimi ed evangelici, e neppure laChiesa universale potrebbe condannarli”(Lutero, DS 1480). Qualcuno ci risponderà?

LA ‘GIORNATA DEL PERDONO’ E LA ‘PURIFI-CAZIONE DELLA MEMORIA’: SCANDALO E

CONTROTESTIMONIANZA

Per la sua risonanza sui mezzi d’informa-zione ed il carattere particolarmente solen-ne che Giovanni Paolo II ha attribuito al suogesto, non possiamo non analizzare con at-tenzione quanto - nell’ambito del Giubileodel 2000 - è stato compiuto nel mese di mar-zo contro l’onore della Chiesa cattolica.

Naturalmente, il ‘mea culpa della Chiesa’,come scrivono i giornali, non è più una no-vità, almeno dal Vaticano II in poi, e partico-larmente da quando Giovanni Paolo II occu-pa la cattedra di San Pietro: nel 1997 LuigiAccattoli raccoglieva di già in un volume“novantaquattro testi di papa Wojtyla, neiquali il papa riconosce colpe storiche dellaChiesa o chiede perdono. E forse non sonotutti” (L. Accattoli, Quando il Papa chiedeperdono. Tutti i mea culpa di Giovanni PaoloII, Mondadori, Leonardo saggistica, Milano,1997). Il ‘contro-Denzinger’ di Accattoli an-drebbe di già, a soli 3 anni dalla sua pubbli-cazione, abbondantemente completato...

Basti segnalare - in quanto direttamentepropedeutici a questo documento - gli attidel simposio Le radici dell’antigiudaismo inambiente cristiano (Città del Vaticano, 30 ot-tobre-1 novembre 1997) seguito dal docu-mento della Commissione per i rapporti reli-giosi con l’ebraismo Noi ricordiamo: una ri-flessione sulla shoah del 13 marzo 1998, non-ché gli atti del Simposio Internazionale distudio sull’Inquisizione promosso dallaCommissione Teologico-Storica del Comita-to Centrale del giubileo (Giovanni Paolo IIha rivolto ai partecipanti di questo simposioun discorso il 31 ottobre 1998).

In questo articolo, ci limitiamo a com-mentare:

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zione di come il gesto del 12 marzo sia privodi qualsiasi giustificazione.

2. Una dottrina che solleva delle questioni(1.4) e delle critiche

Nell’Introduzione, MR (Memoria e ri-conciliazione) attribuisce a Giovanni PaoloII l’iniziativa di queste richieste di perdono(citando Tertio millennio adveniente 33 e laBolla di indizione dell’Anno Santo, Incarna-tionis mysterium, 11) sottolineando però su-bito che esse “hanno suscitato reazioni di-verse”. Cosa più unica che rara in un docu-mento vaticano, si ammettono le forti per-plessità che i gesti e le parole del “papa”hanno sollevato tra i cattolici (1): e questa ègià una anomalia. “Non sono... mancate al-cune riserve, espressione soprattutto del disa-gio legato a particolari contenuti storici e cul-turali, nei quali la semplice ammissione dicolpe commesse dai figli della Chiesa può as-sumere il significato di un cedimento di fron-te alle accuse di chi è pregiudizialmente ostilead essa” (Introduzione). “Non mancano ...fedeli sconcertati, in quanto la loro lealtà ver-so la Chiesa sembra scossa. Alcuni di essi sichiedono come trasmettere l’amore alla Chie-sa alle giovani generazioni se questa stessaChiesa è imputata di crimini o di colpe. Altriosservano che il riconoscimento delle colpe èunilaterale e sfruttato dai detrattori della

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Chiesa, soddisfatti nel vederla confermare ipregiudizi che essi hanno nei suoi riguardi.(...) Infine, c’è da aspettarsi che alcuni gruppipossano reclamare una domanda di perdononei loro confronti, o per analogia con altri operché ritengono di aver subito dei torti”(1.4). Nell’elencare le obiezioni alla dottrinae alla prassi di Giovanni Paolo II, MR omet-te di esprimere esplicitamente l’obiezionepiù radicale e più grave, che, dato il metodoteologico e non magisteriale che è statoadottato, non avrebbe invece dovuto essereomesso. L’obiezione è la seguente - e molti,credenti o non credenti, l’hanno sollevata,come testimonia anche la nostra ‘RassegnaStampa’ - : la dottrina e la prassi di GiovanniPaolo II sugli errori e i peccati del passato,non va forse contro la santità e l’infallibilitàdella Chiesa? Mi riservo di formulare me-glio questa obiezione, che non è stata chia-ramente menzionata perché essa contestanon l’opportunità (come hanno fatto Biffi eMaggiolini, ad esempio) ma l’ortodossiadell’iniziativa di Giovanni Paolo II, fino amettere in discussione la sua autorità. MR,pur sottovalutando questa terribile obiezio-ne, sembra tenerne conto dando una rispo-sta rassicurante: “in ogni caso, la purificazio-ne della memoria non potrà mai significareche la Chiesa rinunci a proclamare la veritàrivelata, che le è stata confidata, sia nel cam-po della fede, che in quello della morale”(1.4). Questo è infatti il punto: con la dottri-na della “purificazione della memoria”, nonla Chiesa (absit), ma Giovanni Paolo II-Ka-rol Wojtyla non ha forse rinunciato a procla-mare la verità rivelata, nel campo della fedecome in quello della morale, con lo scopo dilasciare dietro di sé - secondo l’espressionedi un ‘laico’ come Indro Montanelli - “le ma-cerie della Chiesa”? È quello che cerchere-mo di stabilire.

3. Una dottrina senza fondamento nella Sa-cra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento),nella Tradizione e nel Magistero

Come ogni teologo sa, una qualsiasi tesiteologica deve trovare un fondamento nelladivina Rivelazione: Antico e Nuovo Testa-mento, nonché Tradizione, come proposti anoi dal Magistero ecclesiastico. La pras-si/dottrina di Giovanni Paolo II non ha certobisogno di questo fondamento di fronte almondo moderno ‘secolarizzato’, come si di-

Un momento della visita di Giovanni Paolo II in Israele

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ce oggi, o ‘apostata dalla fede’, come megliosi dovrebbe dire. Non c’è eretico che nonabbia sostenuto che a partire da un certomomento la Chiesa “ha offuscato il volto diCristo” dando “scandalo e contro-testimo-nianza” (TMA, 33). E non c’è quasi personache in Occidente - dopo due secoli di Illumi-nismo e Massoneria - non condanni “l’intol-leranza e l’oscurantismo” (cf 1.4) della Chie-sa del passato: Voltaire ha lasciato il suo se-gno. Giovanni Paolo II non troverà quindiostacoli alla sua iniziativa nello spirito delmondo (che però chiederà ancora di più);presentandosi però come custode dell’orto-dossia, deve fare i conti anche con il deposi-to rivelato che avrebbe il compito di custo-dire: “infatti ai successori di Pietro lo SpiritoSanto non è stato promesso perché manife-stassero, per sua rivelazione, una nuova dot-trina, ma perché con la sua assistenza custo-dissero santamente ed esponessero fedelmen-te la rivelazione trasmessa agli Apostoli, cioèil deposito della fede” (Concilio Vaticano I,Pastor Æternus, DS 3070).

I teologi della C.T.I., che non ignoranoquesto fatto, sono quindi andati a cercarenelle fonti della Rivelazione e nella storiadella Chiesa un precedente a quanto hacompiuto Giovanni Paolo II: “quale retroter-ra la testimonianza della Sacra Scrittura for-nisce all’invito che Giovanni Paolo II fa allaChiesa a confessare le colpe del passato?”(2). Per non lasciare il lettore in sospeso,passo subito alla “Conclusione: da quantodetto si può concludere che l’appello rivoltoda Giovanni Paolo II alla Chiesa perché ca-ratterizzi l’anno giubilare con un’ammissionedi colpa per tutte le sofferenze e le offese dicui i suoi figli sono stati responsabili nel pas-sato (cfr TMA, 33-36), così come la prassi adesso congiunta, non trovano un riscontrounivoco [lo troveranno forse ‘equivoco?n.d.a.] nella testimonianza biblica” (2.4).Vediamo in particolare l’Antico, e poi ilNuovo Testamento. Quanto all’Antico Te-stamento, “dalle testimonianze raccolte risul-ta che in tutti i casi dove sono menzionati i‘peccati dei padri’ la confessione è indirizzataunicamente a Dio ed i peccati confessati dalpopolo o per il popolo sono quelli commessidirettamente contro di Lui, piuttosto chequelli compiuti (anche) contro altri esseriumani (solo in Nm 21, 7 si fa cenno a unaparte umana lesa, Mosè)”. Eppure, nella sto-ria dell’antico Israele, non mancano fatti

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che, alla luce dell’attuale dottrina ecumeni-ca, richiederebbero una domanda di perdo-no: genocidio dei popoli pagani da parte diMosè e Giosuè, distruzione dei luoghi di cul-to politeisti e uccisione dei loro sacerdoti daparte dei profeti (Elia, ad esempio), divietodi matrimonio con le donne gentili e uccisio-ne dei trasgressori (caso di Finees), ordinedi Mosè di mettere a morte gli stregoni, glieretici ecc. (2). MR non evita del tutto la dif-ficoltà, e si pone la domanda cruciale: “Sor-ge la questione sul perché gli scrittori biblicinon abbiano sentito il bisogno di richieste diperdono rivolte ad interlocutori presenti ri-guardo a colpe commesse dai padri, nono-stante il loro forte senso della solidarietà frale generazioni nel bene e nel male (si pensiall’idea della personalità ‘corporativa’)”. Edecco l’immediata risposta: “Varie ipotesi po-trebbero essere avanzate in risposta a questaquestione. C’è, anzitutto, il diffuso teocentri-smo della Bibbia, che dà la precedenza al ri-conoscimento sia individuale che nazionaledelle colpe commesse contro Dio. Per di più,atti di violenza perpetrati da Israele controaltri popoli, che sembrerebbero esigere unarichiesta di perdono a quei popoli o ai lorodiscendenti, sono intesi come l’esecuzionedelle direttive divine riguardo ad essi, come

Il foglio inserito da Giovanni Paolo II in una fessura delmuro del pianto a Gerusalemme

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ad esempio Gs 2-11 e Dt 7,2 (lo sterminio deiCananei) o 1 Sam 15 e Dt 25, 19 (la distru-zione degli Amaleciti). In tal caso il mandatodivino implicato parrebbe escludere ognipossibile richiesta di perdono da farsi (36).Le esperienze subite da Israele di maltratta-menti da parte di altri popoli e l’animositàcosì suscitata potrebbero anche aver militatocontro l’idea di chiedere perdono a questi po-poli per il male loro arrecato (37)” (2.1).Questa idea è ribadita nelle note (36) e (37):“Cfr il caso analogo del ripudio delle moglistraniere da parte dei Giudei raccontato inEsd 9-10, con tutte le conseguenze negativeche esso avrebbe avuto sulle donne implicate.La questione di una richiesta di perdono ri-volta a loro (e/o ai loro discendenti) non sipone proprio, in quanto il ripudio [di questedonne] è presentato come una esigenza dellaLegge divina (cfr Dt 7, 3) in tutti questi capi-toli” (36); “Viene in mente a questo proposi-to il caso delle relazioni permanentemente te-se fra Israele ed Edom. Questo popolo - no-nostante la sua condizione di ‘fratello’ diIsraele - partecipò e gioì alla caduta di Geru-salemme ad opera dei Babilonesi (cfr, adesempio, Abdia 10-14). Israele, in segno dioltraggio per questo tradimento, non sentì al-cun bisogno di chiedere perdono per la stra-ge dei prigionieri Edomiti indifesi, perpetratadal Re Amazia secondo 2 Cr 25, 12)” (37).Dopo questa lunga ma doverosa citazione diMR, passiamo ad un commento di queste ri-ghe. Notiamo innanzitutto le esitazioni el’imbarazzo evidente di MR testimoniatodal sistematico uso del condizionale: ‘po-trebbero’, ‘sembrerebbero’, ‘parrebbe’, anco-ra ‘potrebbero’. Dall’imbarazzo, si passaall’ambiguità: infatti, MR sembra non crede-re all’ispirazione divina della Sacra Scrittu-ra. Secondo MR, infatti, sono “gli scrittoribiblici” che intendono lo sterminio dei Ca-nanei e degli Amaleciti “come l’esecuzionedelle direttive divine”. Similmente, è la Bib-bia che presenta il ripudio delle donne ido-latre “come un’esigenza della Legge divina”,ecc. Qui non capiamo se, per MR, “gli scrit-tori biblici” si immaginano di interpretare lavolontà di Dio - magari prendendo un gran-chio - oppure se Dio - che ha veramenteispirato i medesimi scrittori - ha realmenteordinato detti stermini e detti ripudi. Nel se-condo caso (l’unico compatibile con la Fe-de) la causa di Giovanni Paolo II è già spac-ciata, perché le Crociate, per fare un esem-

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pio, furono uno scherzo in confronto allaconquista della Terra promessa da parte diGiosuè e l’attitudine del profeta Elia neiconfronti dei falsi profeti di Baal non ha nul-la in comune - ed è anzi la diretta contraddi-zione - con la preghiera di Assisi o con l’in-contro ecumenico di Giovanni Paolo II congli stregoni vudù... MR si chiede come maigli scrittori biblici non hanno pensato a chie-dere perdono... Un uomo di fede dovrebbesemmai chiedersi come mai Giovanni PaoloII pensa di chiedere perdono, quando per gliscrittori biblici (ovvero per lo Spirito Santoche li ha ispirati) la questione “non si poneproprio”. La stessa impressione (di sostan-ziale incredulità nell’oggettività della Rive-lazione) si prova nel leggere le tre “ipotesi”(!) di risposta: “gli scrittori biblici” nonavrebbero condannato le colpe dei padri 1)per il teocentrismo della Bibbia, 2) per l’or-dine divino al quale si attribuiscono quegliatti di violenza 3) al fatto che gli altri popoliavevano precedentemente attaccato Israele.Se questi tre argomenti (pardon: “ipotesi”)sono da attribuire, in ultima analisi, non agli“scrittori biblici”, ma allo Spirito Santo, allo-ra l’ipotesi di Giovanni Paolo II di una do-manda di perdono viene a cadere: 1) perteocentrismo, non bisogna chiedere perdonodelle colpe collettive ad altri che a Dio, 2)può essere lecito usare la “violenza”, o me-glio la forza, in difesa della verità, poichéDio stesso lo ha ordinato, 3) le ritorsioniverso chi per primo ha nuociuto al “Popolodi Dio” sono un lecito esercizio della giusti-zia vendicativa che non richiedono atti dicontrizione verso i colpevoli. L’attitudine diGiovanni Paolo II, pertanto, non solo nontrova “un riscontro univoco nella testimo-nianza biblica”, ma, al contrario, è diretta-mente condannata dagli “scrittori biblici”.L’unico modo pertanto per sostenere l’orto-dossia di tale attitudine è quello di negare omettere in dubbio l’oggettività della Rivela-zione e l’ispirazione delle Scritture: non Dio,ma degli anonimi “scrittori biblici” avrebbe-ro espresso dei pareri ora sorpassati dal pen-siero di Karol Wojtyla.

Ma qualcuno obietterà che le paginedell’Antico Testamento - pur divinamenteispirate - vanno interpretate e perfezionatealla luce dell’insegnamento di Gesù e degliApostoli, senza di che, ad esempio, dovrem-mo considerare ancora divinamente obbliga-toria la lapidazione delle adultere. MR pas-

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sa così al Nuovo Testamento, alla ricerca diun “retroterra” favorevole alla dottrinawojtyliana. Dopo un’edificante esposizionesull’obbligo del perdono individuale nelVangelo, MR è costretta però a concludere:“in questo quadro, che potrebbe ampliarsimediante l’analisi delle Lettere di Paolo edelle Epistole Cattoliche, non v’è alcun indi-zio che la Chiesa delle origini abbia rivoltola sua attenzione ai peccati del passato perchiedere perdono”. E ancora: “...il NuovoTestamento è pieno di raccomandazioni acomportarsi bene, a vivere un più alto livellodi impegno, ad evitare il male (...). Non c’èperò alcun esplicito richiamo indirizzato aiprimi cristiani a confessare delle colpe delpassato (...)” (2.2). L’esame del Nuovo Te-stamento, quindi, è stato desolante per ilprof. Forte quanto quello dell’Antico: man-canze riconosciute dei battezzati si incontra-no in effetti (MR cita il tradimento di Giudae il rinnegamento di Pietro); ma di colpedella Chiesa ammesse nei confronti di ebreio gentili “non v’è alcun indizio”.

I teologi del Prof. Bruno Forte cercanoallora questo famoso retroterra, inesistentenella Scritture, nel magistero e nella prassidella Chiesa. Ma ecco che c’è già una prima,significativa sorpresa. Il tema è infatti divisoin tre parti, come se la nostra Commissionenon fosse Teologica, ma Storica (per cui ipronunciamenti del Magistero sarebberofrutti della storia e della cultura del tempo, enon dello Spirito che regge la Chiesa), o co-me se veramente esistessero una Chiesa pre-conciliare e una Chiesa Conciliare (e persi-no una Chiesa wojtyliana); per MR infattic’è un insegnamento della Chiesa “prima delVaticano II” (1.1), un’altro “del Concilio”(1.2), un terzo, infine, “di Giovanni PaoloII” (1.3). Non sveliamo un segreto se antici-piamo al lettore che “prima del Vaticano II”non c’è traccia alcuna di una domanda diperdono: “in nessuno dei giubilei celebrati fi-nora c’è stata, tuttavia, una presa di coscien-za di eventuali colpe del passato della Chiesa,né del bisogno di domandare perdono a Dioper comportamenti del passato prossimo oremoto. È anzi nell’intera storia della Chie-sa che non si incontrano precedenti richie-ste di perdono relative a colpe del passato,che siano state formulate dal Magistero”(1.1). La Chiesa “prima del Vaticano II”,pertanto, sarebbe stata totalmente “inco-sciente” di quello che per Giovanni Paolo II

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sarebbe invece un dovere imprescindibile;una Chiesa in coma, priva di coscienza, unaChiesa pertinace e indurita nel proprio pec-cato! Eppure, in quella stessa Chiesa “i Con-cili e le decretali papali sanzionavano certogli abusi di cui si fossero resi colpevoli chieri-ci o laici, e non pochi pastori si sforzavanosinceramente di correggerli” (1.2). Addirittu-ra, benché in “rarissime (...) occasioni”, “leautorità ecclesiali - Papa, Vescovi o concili -hanno riconosciuto apertamente le colpe o gliabusi di cui si erano rese esse stesse colpevo-li”. MR cita al proposito un documento diAdriano VI del 1522, ma fa notare che“Adriano VI deplorava colpe contempora-nee, precisamente quelle del suo predecessoreimmediato Leone X e della sua curia, senzatuttavia associarvi una domanda di perdono”(1.2). La differenza tra Adriano VI e Gio-vanni Paolo II, però, non consiste solo nelchiedere o meno perdono: le colpe denun-ciate sono - come vedremo - di natura essen-zialmente diversa. Adriano VI deplora degli“abusi” compiuti da Papi e cardinali inquanto persone private, non già nell’eserci-zio del loro magistero. Il caso di Leone Xviene a proposito: questo Papa rinascimen-tale e mondano è implicitamente rimprove-rato dal suo successore per questi cedimentipersonali (che certamente influiscono sullaChiesa ma non possono essere attribuiti aLei) e non, ad esempio, per la Bolla di con-danna e scomunica di Lutero, ove il Papa

Giovanni Paolo II prega al muro del pianto di Gerusalemme

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condannava, tra l’altro, la proposizionedell’eretico tedesco secondo la quale “è con-tro la volontà dello Spirito che gli eretici sia-no bruciati” (33a proposizione condannatadi Lutero). Adriano VI non si sogna neppu-re lontanamente di condannare questa ap-provazione dei roghi fatta dal suo predeces-sore, come invece implicitamente fa Giovan-ni Paolo II (3). MR è quindi costretta ad am-mettere che per 2000 anni non c’è stata, nel-la dottrina e nella prassi della Chiesa, qual-che cosa di simile a quanto deve ufficial-mente giustificare.

4. Il Vaticano II come inizio di una nuova dot-trina. Giovanni Paolo II va oltre il Concilio.

MR è quindi costretto a distinguereesplicitamente tra una dottrina della Chiesa“prima del Vaticano II” (1.1), un “insegna-mento del Concilio” (1.2) ed una prassi post-conciliare (1.3: le richieste di perdono diGiovanni Paolo II). “Bisognerà attenderePaolo VI - scrive MR - per vedere un Papaesprimere una domanda di perdono rivoltatanto a Dio che a un gruppo di contempora-nei” (1.1.), nel discorso di apertura della se-conda sessione del Concilio. In seguito, ilVaticano II stesso si è sentito in dovere dichiedere perdono “a Dio e ai fratelli separa-ti” (ovvero: eretici e scismatici) “per le colpecommesse contro l’unità” (Unitatis redinte-gratio, 7; MR, 8). Fondamento di questa ri-chiesta di perdono il fatto che le scissioni delpassato sarebbero avvenute “talora non sen-za colpa di uomini d’entrambe le parti”(Unitatis redintegratio, 3; MR, 1.2). “Oltre lecolpe contro l’unità, il Concilio segnala altriepisodi negativi del passato, in cui i cristianihanno avuto una responsabilità”: il VaticanoII, senza chiedere esplicitamente perdono,attribuisce anche ai cristiani l’aver “potutofar pensare a una opposizione fra la scienzae la fede” (MR, 1.2, cf. Gaudium et spes, 36),“l’aver velato piuttosto che rivelare il genuinovolto di Dio e della religione” (GS, 19) favo-rendo la nascita dell’ateismo (!). Infine, No-stra ætate deplora le manifestazioni di anti-semitismo “compiute in ogni tempo e dachiunque” (NÆ, 4). MR dimentica strana-mente un altro documento-chiave del Con-cilio, ovvero quello sulla libertà religiosaove i Padri, scorgendo la contraddizione trala loro dichiarazione Dignitatis humanæ e laprassi della Chiesa fino ad allora, scrivevano

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che: “nella vita del Popolo di Dio... di quan-do in quando” si sono “avuti modi di agiremeno conformi allo spirito evangelico, anziad esso contrari” (DH, 12).

Giovanni Paolo II “rinnova il rammarico(...) come avevano fatto Paolo VI e il Conci-lio Vaticano II”, ma “non solo” (MR, 1.3).Egli infatti “estende la richiesta di perdono”(1.3) a un più gran numero di casi e di per-sone senza supporre o richiedere una reci-procità da parte dell’interlocutore (cf Intro-duzione e 1.1). La responsabilità dei cristianicomporterebbe “errori, infedeltà, incoeren-ze, ritardi” (TMA, 33, MR, 1.3) “scandalo econtrotestimonianza” (TMA). Ma di che co-sa, concretamente, chiedere perdono?

(segue)

Note1) Ricordiamo però le parole di Paolo VI in occa-

sione dell’introduzione del nuovo messale: “Questocambiamento ha qualcosa di sorprendente, di straordi-nario, la messa era considerata come l’espressione tra-dizionale intangibile del nostro culto religioso, dell’au-tenticità della nostra fede. Ed allora, ci si chiede: com’èpossibile (…). Alcuni potranno forse farsi impressiona-re da tale o tal’altra cerimonia particolare, da questa oquella rubrica annessa, come se costituissero o nascon-dessero un’alterazione o minimizzazione di verità defi-nitive o debitamente già sanzionate della fede cattolica;come se esse compromettessero l’equazione lex orandi- lex credendi” (legge di preghiera - legge di fede)(udienza generale 19-11-1969 DC. n° 1055). “Possiamofar notare che saranno proprio le persone pie che sa-ranno più disturbate (…) i preti stessi proveranno forsequalche difficoltà”. Ed a proposito della soppressionedel latino Paolo VI continua dicendo: “Abbiamo, certo,motivo di provarne dispiacere e quasi dello sconcerto”(udienza generale del 26-11-1969, DC N° 1102-1103).

2) La legislazione mosaica prescrive esplicitamentela pena di morte per gli idolatri (Es. 22, 20; Dt. 17, 2-5),i bestemmiatori (Lev. 24, 10-23), i maghi e gli stregoni(Es. 22, 18; Lev. 20, 6 e 20, 27), i falsi profeti (Dt. 13 e18, 20). Fu così che Mosè, dopo l’episodio dell’adora-zione del vitello d’oro, fece distruggere l’idolo (Es. 32,20) e sterminare 23.000 apostati (Es. 32, 28). Semprecontro l’idolatria, vi è il precetto di distruggere gli idoli,sia presso gli ebrei (Es. 23, 24) che presso i pagani (Es.34, 13; Dt, 7-26) e di evitare i matrimoni misti tra ebreie pagane (Es. 34, 15-16; Dt 7, 3; Gs 23, 12). La sacraScrittura loda Finees per il suo zelo nell’applicare ilprecetto in questione (Nm 25, 1-18: 24.000 morti). Losterminio dei popoli cananei idolatri (uomini, donne,vecchi e bambini, perfino gli animali) è esplicitamenterichiesto da Dio: Dt 7, 2; 7, 16-26; 9, 2-3; 20, 13-17 e nel-la conquista della Terra Santa Mosè (Es. 17, 8-16; 23,27; Nm 21, 3; 21, 34; 31; Dt 2, 34, 3, 3-7 e 21) e Giosuè(Gs 6, 17-21; 8, 24 s; 10, 28-43; 11, 8-21) hanno messo inpratica il comandamento divino (il Nuovo Testamentoattribuisce alla fede le imprese di Giosuè: Ebr 11, 30-31). Nel libro dei Giudici vediamo come Dio abbia lo-dato questa pratica (3, 29) e ne condanni la sua omissio-ne, causa di idolatria nel popolo di Israele, che si conta-

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Mattioli ci è presentato come un umani-sta colto e raffinato, ma al tempo stesso an-che come un uomo pratico e spietato nelperseguire e raggiungere gli obiettivi concre-ti che si era prefissi. Era un politico scaltro epragmatico, ma anche un “idealista”, un an-ticonformista capace però di fiutare il ventoe di non andare contro di esso quando capi-va che sarebbe stato inutile.

È stato un “grande italiano” con tutti idifetti e le qualità del nostro popolo. È sta-to, senza dubbio, il banchiere italiano più fa-moso e ascoltato (e non solo in patria), sor-passato soltanto, sembra, dal suo allievo En-rico Cuccia. Le due figure si completano emi sembra opportuno studiarle insieme percapirle meglio, poiché una sarebbe incom-pleta senza l’altra.

La storia di Mattioli e Cuccia fa luce sul-la casta dei grandi banchieri, che “continua-no mentre i politici passano”. Mattioli, peresempio, ha goduto del rispetto e dell’ammi-razione di Mussolini, De Gasperi e Togliatti,pur non essendo né fascista, né democristia-no, né tantomeno comunista.

“Raffaele Mattioli fu costantemente uneretico: nella piena e più nobile accezione deltermine. Mai accettò di uniformarsi… sempreriaffermando la sua filosofia elitaria, venatadi sostanziale disprezzo del prossimo (…).

Mattioli era un crociano: e di “don Bene-detto” fu cultore e amico. Mutuandone il pos-sibilismo, parente prossimo del gattopardismoche caratterizzò l’intera sua vita, pur in pre-senza di tre punti fermi. Questi, sì, irrinuncia-bili. L’indipendenza intellettuale e comporta-mentale; lo smisurato senso di superiorità inbase al quale riteneva che tutto gli fosse con-cesso; un vigoroso spirito nazionalista” (1).

mina coi popoli pagani, mentre viene lodato Gedeone(Gdc 6, 25ss) per la distruzione dell’altare di Baal. Sa-muele rinnova l’ordine divino dello sterminio nei con-fronti degli Amaleciti (1 Re, 15, 3) e Saul viene riprova-to per aver disubbedito a quest’ordine (1 Re 15, 10-35;Gesù cita 1 Re 15, 22 in Mt 9, 13 e 12, 7). Elia sterminòi profeti di Baal (3 Re, 18, 40), come pure fece Jeu (4Re 10, 25) ed il pio Re Josia (4 Re 23, 4-20) che perquesto viene lodato dalla Scrittura (v. 25). Senza dub-bio la legge mosaica non è più in vigore - non in quantoabolita (Mt 5, 17) ma in quanto completata e perfezio-

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nata da quella evangelica; ciononostante è impossibileal credente affermare - in contraddizione col Vangelo(Mt 5, 18; Lc, 16, 17) - che un solo iota o un solo apicedella Legge fosse cattivo o ingiusto.

3) (Che poi Leone X, come Giovanni de’ Medici,fosse di tendenza sincretista ed alieno da ogni rogo,mentre Martin Lutero, che a parole si opponeva ai ro-ghi, nei fatti incitasse a ogni genere di stragi, è un’altraquestione, che ci aiuta però a capire la distinzione, nellastessa persona, tra i peccati di Giovanni de’ Medici el’infallibile autorità di Leone X).

RAFFAELE MATTIOLI EDENRICO CUCCIA: IL POTE-RE DELL’ALTA FINANZA

don Curzio Nitoglia

Introduzione

Giancarlo Galli, nato a Milano nel 1933,è un giornalista e saggista esperto in

economia, politica e finanza. Gli ultimi suoilibri sono dei punti di riferimento per chi siinteressa alla storia dell’economia e della fi-nanza italiane; ai lettori segnalo, in specialmodo, due saggi: Il banchiere eretico. La sin-golare vita di Raffaele Mattioli (Rusconi, Mi-lano, 1998) e Il Padrone dei Padroni. EnricoCuccia, il potere di Mediobanca e il capitali-smo italiano (Garzanti, Milano, 1995).

Nel presente articolo cercherò di riassu-merli e di porgerne il succo agli interessati,rinviandoli per altro allo studio dei libri, bendocumentati e argomentati, frutto di un’ac-curata indagine dell’Autore, che ha cono-sciuto personalmente gran parte dei perso-naggi di cui parla nei due libri citati.

Raffaele Mattioli

Nel 1991 usciva per i tipi della Rizzoli,un libro di Giancarlo Galli intitolato: Mat-tioli, il Gattopardo della Banca CommercialeItaliana. Ben presto il libro divenne introva-bile e la Rizzoli decise di non procedere aduna nuova edizione. L’Autore ha ritenutoopportuno ripubblicarlo, questa volta pressoi tipi della Rusconi, modificando soltanto iltitolo originario.

Mondialismo

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Il nazionalismo fu la sua prima “eresia”,al cospetto dell’establishment. Per esso ilbanchiere non deve avere una patria, la suapatria è il mondo. “Per Mattioli, invece, laPatria (con la maiuscola) è l’Italia (…), èstato a Fiume con D’Annunzio” (2). Tutta-via, molto pragmaticamente, Mattioli sapràtrarre profitto da tale circostanza, quandoMussolini dovrà scegliere per la Comit ilsuccessore di Giuseppe Toepliz, il plutocratetedesco, arrivando così al cuore del duce,che tuttavia disprezzava.

Come crociano, Mattioli era liberale, maseguiva in campo economico la scuola key-nesiana, essendo favorevole all’interventodello Stato nell’economia, una eresia per i li-beristi puri alla von Hayek o alla MiltonFriedman (3). Cuccia in ciò lo ritiene un libe-rale anomalo.

Mattioli favorì, in contrasto con Giusep-pe Toepliz che lo aveva aiutato nella suascalata delle cime dell’Alta Finanza, il pas-saggio della Comit dalla sfera privata al-l’IRI: la sfera pubblica. È anche vero che erain gioco la carriera: se avesse voluto contra-stare il passaggio alla sfera pubblica avrebbedovuto “andare controvento”. Ma a cosa sa-rebbe servito, in quel periodo, andare con-tro il fascismo? Riccardo Gualino suo ami-co, aveva osato alzare la cresta, ma era finitoa Lipari, al confino. Mattioli decise di servi-re il regime senza perdere la dignità, cercan-do una motivazione ideologica ed elevata: ilkeynesismo ossia l’intervento dello Stato ineconomia e preparandosi ad un imprecisabi-le ma ineluttabile post-fascismo.

Mattioli inoltre è un finanziere europeo,che non ha voluto capire, nonostante cono-scesse la storia, come già con la prima guerramondiale l’America fosse diventata il centrodel potere politico-economico-finanziario.Continua a credere che la City e non WallStreet, che Londra e non New York, sia ilcuore della finanza. Cuccia in ciò ha sorpas-sato il maestro: è un liberale autentico ed ècollegato all’Alta Finanza internazionale.

«Allorché i politici della “nouvelle va-gue”, i Craxi e i De Mita, tenteranno diestromettere Enrico Cuccia da Mediobanca,interverranno col loro “veto” i potenti d’Ol-tralpe e d’Oltre Atlantico. Quando (1972)un pallido premier democristiano a nomeEmilio Colombo, spalleggiato da Giulio An-dreotti, bruscamente decide di defenestrareMattioli dalla Comit, nessuno si muove» (4).

«Mattioli aveva cercato di trasformare laComit nella banca “italiana” per eccellenza:invece l’Istituto di piazza Scala, passata sot-to il virtuale controllo di Cuccia-Medioban-ca (il figlio che divora il padre!), scivoleràlentamente nelle mani straniere… dellaBanque Lazard di Parigi-Londra-NewYork» (5).

L’“eresia” mattioliana la si nota anchenella sua amicizia con don Giuseppe De Lu-ca, un sacerdote che pretendeva di concilia-re la filosofia di Croce con la dottrina catto-lica. “Anche le simpatie per gli ebrei... sipossono far risalire a tali sentimenti” (6). Unaltro ecclesiastico frequentato da Mattioli fuGiovan Battista Montini...

«Il banchiere - si domanda Galli - in pun-to di morte, s’è davvero convertito? La que-stione è spinosa, delicata, inesplorabile...Fioriscono le congetture sulla tomba al cimi-tero cistercense di Chiaravalle (...).

Personalmente ritengo che “don Raffae-le” abbia voluto, financo nei pressi del suocapolinea terreno, esaltare la sua vocazionedi eretico: uscendo dalla scena come prota-gonista di un’avventura umana assolutamen-te unica» (7).

La vita

Mattioli nasce a Vasto, negli Abruzzi, il20 marzo 1895.

Pochi mesi prima (10 ottobre 1894), OttoJoel, aveva fondato a Milano la Banca Com-merciale Italiana, con un capitale di ventimilioni di lire. Contemporaneamente a Ge-nova, Giuseppe Toepliz, cugino dello Joel,faceva il tirocinio alla Banca Generale.

Raffaele Mattioli

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I Mattioli, commercianti piccolo borghe-si e ferventi cattolici non avevano nulla incomune con i due finanzieri ebrei, eppure itre (Raffaele, Otto, Giuseppe) erano desti-nati ad incontrarsi.

La madre di Raffaele, Angiolina Tessito-re, originaria di un paesino dell’entroterraabruzzese, Gissi, era imparentata con la coltae illuminata famiglia dei Ricciardi che fondòa Napoli, nel 1907, l’omonima casa editricealla quale Benedetto Croce affiderà i suoiprimi lavori e Raffaele Mattioli i mezzi perampliare la tuttora prospera Casa editrice.

Politicamente i Mattioli sono liberal-conser-vatori, si rifanno alla “destra risorgimentale”.

Raffaele era il “genio di Vasto”, a scuolatutti dieci! Perciò viene mandato, prima alliceo di Chieti e poi alla facoltà di Economiadell’università di Genova. Il 24 maggio 1915,si presenta al distretto militare, è nazionali-sta e interventista e si offre volontario... suofiglio Maurizio - l’attuale direttore della Ric-cardo Ricciardi - «getta acqua sul fuoco:“Mio padre... aveva il culto dell’azione, perònon era né un sognatore né un dissennato”.Sorride malizioso: “A parer mio, fece pure isuoi calcoli...: meglio volontario che coscrit-to!”. Insomma un cocktail d’idealismo epragmatismo, che saranno sempre tipici delpersonaggio» (8).

Dopo la guerra, disgustato dal trattato dipace di Versailles, raggiunge Fiume (ove sitrovava anche Ludovico Toepliz; figlio delbanchiere Giuseppe, costui permetterà aRaffaele di entrare in contatto con la fami-glia Toepliz), con i reduci ultranazionalisti eGabriele D’Annunzio, “un altro abruzzeseinquieto” come scrive il Galli. Raffaele terrài contatti, per conto di D’Annunzio con Be-nito Mussolini che sta a Milano al “Popolod’Italia”.

Ritornato a Genova si laurea a pieni votiin economia con una tesi sulla “stabilità dellemonete” destinata a far scalpore. “Il relato-re, il professor Giuliano Cabiati, docente ebarone universitario celeberrimo, gli offre unposto all’università Bocconi di Milano” (9).

Alla Bocconi viene notato da Luigi Ei-naudi e dal rettore Angelo Sraffa, il cui fi-glio Piero, per usare le parole di Mattioli:“ha una serie di caratteristiche vincenti: es-sere intelligente, ebreo, ricco e comunista”.Raffaele aiuta Piero, per la tesi di laurea, trail 1921 e il 1922; ne scaturisce una strettaamicizia destinata a durare nel tempo.

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Giuseppe Toepliz

Nel 1925 Giuseppe Toepliz gli offre la ca-rica di “Segretario particolare” alla BancaCommerciale italiana (Comit), il più presti-gioso tra gli Istituti bancari dell’epoca. «Con-siderato il “patronage” di Giolitti, siamo in-nanzi a un complesso intreccio di alleanze, disolidarietà, d’interessi, in cui sono pienamen-te coinvolti i potentati finanziari internazio-nali, coi loro addentellati ebraici e, per diffu-sa convinzione, anche massonici» (10).

Giuseppe Toepliz nato a Varsavia nel1866, morì nel Varesotto nel 1938; discenden-te di una ricca famiglia di ebrei polacchi contre quinti di sangue russo, si trasferisce, nonancora maggiorenne, a Gand in Belgio. Gio-co e cavalli lo trascinano in rovina. Il cognatoGeorges Mayer, lo fa trasferire ad Aquisgra-na, ma Giuseppe a Gand si era innamorato diAnne de Gran Ry, cattolicissima, e si “con-verte” al cristianesimo per poterla sposare;però entrambe le famiglie non approverannol’unione. La giovane coppia è sul lastricomentre sta per nascere Ludovico. Allora ilcugino Otto Joel, ebreo ma laico convinto,più sensibile agli affari che alle questioni diprincipio, li convince a trasferirsi a Genovaove Giuseppe è promosso procuratore dellaBanca Commerciale Italiana di Milano, maOtto lo trova insopportabile, lo spediscequindi a Napoli, con l’incarico di costituireuna nuova filiale; nel 1900 Otto lo manda aVenezia e nel 1904 lo richiama a Milano,presso la “casa madre”. «Giuseppe Toepliz è“predestinato” a diventare il dominus assolu-to e incontrastato della Comit. (...) La Comitpasserà sotto il controllo di Toepliz… Il cheavviene nella primavera del 1915» (11).

Nell’ottobre del 1922, alla vigilia dellamarcia su Roma, Giuseppe Toepliz si rifiutadi ricevere Mussolini nonostante gli fossestato richiesto un incontro personale. “Il du-ce, arrivato al potere, potrebbe spazzar viaToepliz. Se non lo fa, è nel timore di alienar-si le simpatie, quantomeno la neutralità,dell’establishment finanziario internazionale,quello che negli sfoghi era uso definire laconsorteria “pluto-giudeo-massonica”. Per-ché Giuseppe Toepliz è in relazione diret-ta… con la City e Wall Street e parla un lin-guaggio che Mussolini riesce sì ad intuire,non a dominare (...). Lo aspetta però al var-co, in quanto i grandi politici (e Mussolinicertamente lo era) hanno fra le caratteristi-

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che la memoria da elefante. Pur continuan-do a temerlo, di fronte alla crisi bancaria, nerespinge le invocazioni di soccorso sposandole tesi di Beneduce (e Mattioli) sull’“irizza-zione”. Lo lascia cuocere a fuoco lento, af-finché perda una carica dopo l’altra...” (12).

Ma ritorniamo a “don Raffaele”, che erarimasto vedovo e s’era risposato nel 1925con Lucia Monti. A partire da questo mo-mento, sin verso il 1929, si celebra il matri-monio Comit-Mattioli e il divorzio Mattioli-Toepliz. “Verità è che Toepliz e Mattioli siritrovano a militare su opposte trincee con-cettuali, nel momento in cui esplode la“grande crisi” del 1929. Il polacco è asserto-re del liberismo totale; Mattioli, che già haconosciuto Keynes, ritiene invece indispen-sabile un intervento dello Stato nell’econo-mia… Ancora, Toepliz, nonostante la natu-ralizzazione, subisce l’Italia, mentre Mattioliè profondamente patriottico” (13).

Massoneria e Alta Finanza italiana

«L’unico aggancio… incontrovertibilefra massoneria e finanza italiane resta la fi-gura di Alberto Beneduce che sin dal feb-braio 1921 s’era dichiarato favorevole a unintervento dello Stato per “elevare le condi-zioni del lavoro nell’organizzazione dellaproduzione, innovando profondamente irapporti di diritto del lavoro in confrontodel capitale”… il che porterà Beneduce afarsi promotore e garante della “politica so-ciale” del fascismo» (14).

Secondo il Galli «che Otto Joel e Giusep-pe Toepliz fossero in “odore di massoneria”,è opinione abbastanza corrente, sebbene danessuna parte si trovino precisi riscontri.Quanto a Mattioli il suo nome non comparenemmeno nei pamphlet più arditi, a differen-za di quanto è accaduto ad Enrico Cuccia oCesare Merzagora. (...) “Essendo un crocia-no, papà non poteva avere per la massoneriache l’atteggiamento di disprezzo del Mae-stro” sottolinea il figlio Maurizio» (15).

Da Toepliz a Mattioli

La storia della Comit può essere divisa,secondo il Galli, in quattro periodi: 1°) la ge-nesi con Otto Joel; 2°) il trionfo e la crisi conGiuseppe Toepliz; 3°) la rinascita e l’afferma-zione definitiva con Mattioli; 4°) il delicato etuttora aperto capitolo del dopo Mattioli.

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Mattioli per un po’ di tempo vive e lavo-ra all’ombra di Toepliz e lo stima, pur co-minciando a scorgerne i lati deboli: “soprat-tutto la scarsa flessibilità al mutamento deitempi… Toepliz era un capitalista dal liberi-smo tetragono sino all’ottusità, e quandoMattioli gli parlava di Keynes, il “padrone”lo guardava stralunando gli occhi” (16).

Le circostanze aiutarono Mattioli chenon ancora quarantenne, di fronte alla gran-de crisi del 1929 era già pronto, secondo ilGalli, ad affrontare il crack del capitalismoclassico. Inoltre le fondamenta sulle quali sipoggia l’economia fascista (per merito diBeneduce) gli sono, in un certo modo, con-geniali. “Liberale, ma alla maniera di Key-nes, Mattioli sente la necessità della presen-za dello Stato nell’economia” (17).

Mattioli e Mussolini

Nel 1933, Mussolini non si oppone all’af-fidamento della carica di amministratore de-legato della più importante Banca nazionaleitaliana, al trentottenne Raffaele Mattioli.Non lo convoca a Palazzo Venezia perchéforse gli bastano le credenziali di AlbertoBeneduce, scrive il Galli, tuttavia “nemme-no successivamente - circostanza davverocuriosa - Mussolini e Mattioli s’incontreran-no a tu per tu, nonostante il duce lo tenga…in alta considerazione” (18).

Con il crack finanziario del 1929, Giusep-pe Toepliz inizia la parabola discendente,mentre Mattioli sale ai vertici della Bancasalvata col denaro pubblico e diventata grazieagli appoggi di Beneduce e attraverso l’IRI,baluardo del sistema economico fascista.

Mattioli e la Religione

«1°, Mattioli aveva “il senso delle istituzio-ni”, pertanto nutriva il massimo rispetto per laChiesa. 2°, Mattioli, sicuramente “teista” quin-di né ateo né agnostico, ma nemmeno creden-te in senso stretto, aveva una religiosità “spa-gnolesca”, “meridionale”. (...) S’era appassio-nato a sant’Alfonso de’ Liguori… e della Chie-sa lo affascinavano la grandiosità, le liturgie.Non sopportava l’asetticità dei protestanti…Più tardi scoprirà san Bernardo, il monaco cheaveva dettato lo statuto dei Cavalieri Templa-ri, tragicamente finiti in odore d’eresia» (19).

Mattioli era un laico non praticante; apartire dall’età del liceo sino alla vecchiaia

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incipiente, frequentava le chiese solo per ra-gioni “sociali”: battesimi, cresime, matrimo-ni, funerali.

Giulio Andreotti a Milano il 9 aprile del1990, parlando nell’aula magna del semina-rio arcivescovile disse: “Mattioli era un anti-clericale in servizio permanente effettivo...”.

Le amicizie di “don Raffaele”

Suo maestro fu Benedetto Croce, nato aPescasseroli nel 1866, “quindi abruzzese co-me lui e come Gabriele D’Annunzio, nato aPescara nel 1863” (20). Mattioli era un libera-le che aveva creduto molto in Enrico Matteie nell’Eni. Aveva rapporti costanti con To-gliatti e Giorgio Amendola. “Luigi Einaudigli aveva detto una volta: “sei un eretico di-fensore degli eretici, un protettore dei per-seguitati”... Non nascondeva le sue simpatieper gli ebrei” (21), sino a definirsi: “ebreoonorario... perché, e sempre, le idee sonopatrimonio delle minoranze!” (22).

Le relazioni internazionali, ma semprenell’ambito europeo, sono state uno dei cavallidi battaglia di “don Raffaele”. “Negli anniTrenta con francesi, inglesi, tedeschi e svizze-ri; quindi con i veri vincitori, gli americani, no-nostante fosse portato a privilegiare, e non so-lo sentimentalmente, la vecchia Europa” (23).

Togliatti e Mattioli

Come abbiamo visto Mattioli ha sempreintrattenuto delle relazioni internazionali especialmente inter-europee; negli anni Trenta.

L’internazionalità dell’economia italianafu garantita da Beneduce e Mattioli, duranteil fascismo, poi dal solo Mattioli nei primianni del dopoguerra, e infine da Mattioli eCuccia, il quale la rafforzò con Mediobanca.

“Se prima Mattioli e poi Cuccia sono riu-sciti ad imporsi quali punti di riferimentodella finanza e dell’imprenditorialità italia-ne, ciò lo si deve alle relazioni accumulateattraverso decenni” (24).

Una grande banca, per essere e restaretale, secondo Mattioli, deve avere collega-menti esteri.

Tra questi collegamenti va annoverataanche l’amicizia Mattioli Togliatti (in quan-to portavoce dell’URSS). Subito dopo la ca-duta del fascismo Giuseppe Di Vittorio, unostalinista-leninista, sosteneva un’epurazionesu vasta scala di personalità compromesse

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con il regime fascista, e quindi anche di Mat-tioli; Togliatti invece era di altro avviso, puressendo profondamente, ma intelligente-mente e raffinatamente, comunista.

“Giuseppe Di Vittorio era un cafone me-ridionale digiuno di economia - scrive il Gal-li - Palmiro Togliatti un raffinato politico-in-tellettuale... Essendo [Giancarlo Galli n.d.r.]considerato un cattolico progressista e in-quieto... e in aggiunta il cronista del “Gior-no” che Enrico Mattei invitava a pranzo, go-devo di buone… entrate nel PCI” (25). Tal-mente buone che gli fu proposto di incontra-re Togliatti in persona; ma il giorno conve-nuto, Togliatti si fece aspettare, era infatti invia Manzoni a colloquio con Mattioli! “a di-scutere di cultura”, come Togliatti confidò aGalli, quando riuscì finalmente ad incontrar-lo per pochi minuti dopo la mezzanotte.

Inoltre occorre sapere che “Mattioli tra-mite Piero Sraffa (ebreo, comunista e key-nesiano ndr) aveva salvato i “diarii” diGramsci... Il 2 agosto 1973, su “Rinascita”…compare un lungo articolo di Nilde Jotti cheè uno scoop: Mattioli ha salvato i Quadernidi Gramsci” (26).

Il Galli cita la Jotti: “[Mattioli e Togliat-ti] parlavano molto di Gramsci e di PieroSraffa, uno dei maggiori economisti del no-stro tempo, professore a Cambridge, che diGramsci era stato amico fraterno e che man-teneva con Mattioli una permanente comu-nione (...). I Quaderni del carcere, sottratti…dalla camera della clinica Quisisana oveGramsci era spirato, avevano trovato muni-to rifugio nella cassaforte della Banca Com-merciale, per giungere poi, attraverso le bensicure mani di Piero Sraffa, a Togliatti… Piùtardi Togliatti confermò la cosa, aggiungen-do che Mattioli e Sraffa avevano anche fi-nanziariamente aiutato molto AntonioGramsci per il lungo periodo di ricovero inclinica” (27).

L’Enciclopedia dell’Economia scrive:“Piero Sraffa (Torino 1898-Cambridge 1983)economista. Figlio del giurista Angelo, dallacasa paterna derivò i vincoli che lo legaronocon R. Mattioli e C. Rosselli. A Torino colla-borò all’“Ordine Nuovo” e divenne amico diA. Gramsci, con il quale restò in contatto an-che dopo l’incarceramento… nel 1927 accettòun incarico offertogli, tramite J. M. Keynes…presso l’università di Cambridge” (28).

Tuttavia l’amicizia di Mattioli con To-gliatti non andava giù a un potentissimo uo-

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resosi conto che la riconferma è impossibile,prospetta la “subordinata” ...una successio-ne interna, spingendosi sino a fare il nomedi Carlo Bombieri. Fatica sprecata. Il Pre-mier è irremovibile: il futuro presidente del-la Comit sarà Gaetano Stammati” (31).

Galli commenta: «E qui veniamo al nododella questione. L’isolamento di Mattioli èpressocché totale, non potendo più contare sulsostegno dell’establishement finanziario che faoramai riferimento alla Mediobanca di EnricoCuccia… col quale Mattioli è in crescente fri-zione, [Cuccia] viene considerato “meno intel-lettualistico e più pragmatico”» (32).

Secondo il Galli, Mattioli non “aveva sa-puto capire la mutazione genetica in atto nelcapitalismo che ha travolto il keynesismo,inteso come primato dell’interesse pubblicosu quello individuale, dell’interesse colletti-vo su quello delle… lobbies” (33). E non ave-va gli appoggi (ebraico-americani) che sal-veranno Cuccia.

“L’ultima volta che vidi Mattioli...”

Galli descrive il suo ultimo incontro con“don Raffaele”: “Lo incrociai mentre sisvolgeva… una manifestazione sindacal-stu-dentesca, con infinite bandiere rosse e stri-scioni provocatorii. (...) In un signore curvo,molto anziano, per nulla distinto, col cappel-laccio a larghe tese, mi parve di scorgereRaffaele Mattioli, e gli misi una mano sullaspalla: “Presidente...”. Mi riconobbe, e a uncerto momento prendendomi la mano...,chiese a bassa voce: “Lei da che parte sta, inquesta piazza?”. Cercai di spiegargli che uncronista non poteva stare da nessuna parte,poiché doveva semplicemente registrare glieventi. Però se proprio voleva che mi schie-rassi, gli dissi che quella folla non mi piace-va. Mi strinse forte la mano, proponendomidi “farci un caffè” in Galleria. I locali aveva-no le saracinesche abbassate, qualche vetri-na era in frantumi. Così persi l’ultimo caffècon Raffaele Mattioli...” (34).

La morte di “don Raffaele”

Mattioli muore il 27 luglio 1973 nella cli-nica Villa Margherita, a Roma, di ictus cere-brale, ma molto probabilmente la causa re-mota fu la “mancanza di Comit o di potere”.

L’assioma secondo il quale “i politicipassano, mentre i finanzieri restano” è così

mo politico del dopoguerra: Mario Scelba.Egli si oppose alla riconferma di Mattioli al-la Comit, ma De Gasperi consultatosi conLuigi Einaudi, invitò Scelba a lasciar perde-re le banche e a prestare attenzione all’ordi-ne pubblico. Ma “Scelba non demorde. Di-venuto nel 1954-55… presidente del Consi-glio, torna alla carica e in robusta compa-gnia. A Roma, fresco ambasciatore USA èClare Booth Luce... anticomunista viscerale(...). L’ambasciatrice è determinata a elimi-nare dalle posizioni-chiave tutti coloro che,in qualche modo, possono risultare indiziatidi simpatie o comprensioni verso il PCI. E ilnome di Mattioli entra immediatamente nelsuo mirino” (29).

Però Scelba dovette chinare il capo la se-conda volta, e non essendo riuscito a mette-re sotto controllo la Comit la dovette lascia-re in “altre mani”. In difesa di don Raffaeleerano scesi in campo Malagodi, La Malfa eanche Luigi Einaudi dal Quirinale.

“Sic transit gloria mundi...”

Il 22 aprile 1972, Raffaele Mattioli, dopoquarantasette anni di “servizio”, lascia la ca-rica di presidente della Comit. Gli succedeGaetano Stammati.

«Mattioli sino alla ventiquattresima ora sibatté con ogni mezzo per conservare la pol-trona o, in subordine, lasciare lo scranno aun “erede designato”» (30). Nel 1972 presi-dente del Consiglio non era più Mario Scel-ba ma Emilio Colombo, che riuscì (con l’aiu-to di Andreotti) là ove Scelba aveva fallito.

Il 15 gennaio 1972, Emilio Colombo è dipassaggio a Milano; Mattioli gli ha chiestoun incontro urgentissimo che si svolge, “bre-ve e nervoso, nei locali della Prefettura diMilano… in meno di mezz’ora... Mattioli,

Antonio Gramscii cui diari furonocustoditi per lun-

go tempo da Mattioli

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smentito da “madre natura” e da “mammaDC”, che grazie a Tangentopoli farà la stes-sa fine di Mattioli: passerà a “miglior vita”.

Stat Beata Trinitas, dum volvitur orbis!recita il motto dei Certosini...

La salma fu trasportata a Milano il 30 lu-glio, la cerimonia fu celebrata nella chiesa diSan Fedele dei padri Gesuiti. Fu inumatonel cimitero dell’Abbazia cistercense diChiaravalle, nella tomba che aveva accoltole spoglie di Guglielmina la Boema, un’ere-tica del XII secolo, la cui tomba venne di-strutta dall’Inquisizione.

MATTIOLI E CUCCIA

Prologo

Occorre adesso introdurre un lungo di-scorso su Enrico Cuccia, per studiare le di-verse strade che imboccarono lui e Mattioli,e scandagliare meglio le loro personalità.

Mattioli era un fautore del “capitalismoordinato”, come lo chiama Galli, Cuccia in-vece era fautore di un capitalismo “protesoverso la rivincita”.

Sia Mediobanca (Cuccia) che Comit(Mattioli) dipendono dall’IRI, vale a diredallo Stato. “Senonché mentre a Mattioli ciòsta bene, a Cuccia no. E gli sforzi che fa persottrarsi alla sua tutela sono incessanti (...).

Cuccia riesce a portare nel suo “salotto”oltre al fior fiore dell’imprenditorialità ita-liana (dagli Agnelli ai Pirelli) la potentissi-ma Banque Lazard che opera lungo l’asseParigi-Londra-New York, mettendo a pro-fitto l’amicizia che ha stretto durante la fa-mosa missione del ‘42 con il grande banchie-re ebreo André Meyer. Da quel momentoMediobanca è, nei fatti, ben più “internazio-nale” della Comit. Una connotazione che sifarà sentire. Quando, negli anni Ottanta, al-cuni politici tenteranno di estromettere En-rico Cuccia da Mediobanca, a differenza diquanto si verificò con Mattioli, scendono incampo a suo sostegno i potentati esteri oltreche quelli nostrani. E i politici sono obbliga-ti a ripiegare, accettando successivamente(1988) la “privatizzazione” di Mediobanca.Perché gli “amici” di Cuccia si chiamano La-zard e Deutsche Bank” (35).

Mattioli e Cuccia sono agli antipodi perquanto riguarda la loro attitudine nei con-fronti delle grandi famiglie imprenditoriali.Mattioli (il dominus della Comit) restò sem-

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pre un “servitore dello Stato”, mentre Cuc-cia (il dominus di Mediobanca) si schierò su-bito in loro favore. Così durante il regnodell’“ultimo Mattioli” i capitalisti “vanno aCuccia”... o meglio ancora da Cuccia, poichéil Quartier Generale della finanza italianaha cambiato indirizzo e timoniere.

Mattioli è costretto a ripiegarsi sui suoilibri e sulla sua cultura. “Tuttavia i segni la-sciati da don Raffaele non vengono scalfitinè dal tempo, nè dalle mode. E almeno suun punto tutti concordano: nessuno era riu-scito, come lui, a mantenere la Comit, e conessa il centro motore della finanza italiana,libero e indipendente. E incutere rispetto al-la classe imprenditoriale” (36).

Il Galli scrive: “Enrico Cuccia è stato divolta in volta dipinto come un angelo o undemonio. Probabilmente in lui albergano en-trambe le anime” (37). Il capitalismo interna-zionale gli ha affidato pieni poteri per la“provincia Italia” “e pertanto quel poco di in-ternazionalità e di capitalismo che ancora esi-ste sotto i nostri cieli, lo dobbiamo a lui” (38).

La vita

Cuccia nasce a Roma il 24 novembre 1907.La sua famiglia ha origini greco-albanesi, maè perfettamente integrata nella buona borghe-sia di Palermo. Un amico di famiglia “GuidoJung, classe 1876, gocce di sangue ebraico-triestino... suggerisce a papà Beniamino Cuc-cia... di trasferirsi in Roma... agevolandolonell’assunzione al Ministero delle finanze.

Per questa coincidenza che si riveleràpropizia, Enrico viene alla luce a Roma an-

Mattioli con Riccardo Bacchelli

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ziché a Palermo. Con un padrino illustre co-me Jung. (...) La carriera finanziaria di Cuc-cia inizia col piede giusto: nel 1932 alla Ban-ca d’Italia, portatovi da Guido Jung che nelfrattempo ha percorso molti gradini lungo lescalinate del potere.

(...) Tanti incarichi preludono alla nomi-na a ministro delle Finanze.

È il 20 giugno del 1932. Nemmeno tremesi dopo, il 12 ottobre, Enrico Cuccia entrain Banca d’Italia. …è il pupillo... del poten-tissimo ministro, che agli occhi del duce ha ilmerito d’intrattenere buone relazioni con labusiness-community internazionale, rapporticui Mussolini... tiene moltissimo” (39).

Occorre sapere che Jung era filoamerica-no, e Cuccia imparò molto dal filoamerica-nesimo di Jung, e soprattutto due cose: “1°)un modo per aggirare, se necessario, l’arci-gna… oligarchia economico finanziaria con-tinentale; 2°) il riconoscimento (o l’intuizio-ne?) che i nuovi centri del potere sono in viadi migrazione dall’Europa all’altra spondadell’Atlantico” (40). Cosa che Mattioli nonaveva voluto ammettere e che gli costò cara!

Nel giugno del 1934, Guido Jung trasferi-sce Cuccia all’IRI, gestito da Alberto Bene-duce. “Se Jung proviene dalle schiere liberaliBeneduce ha alle spalle un passato social-riformista, corroborate da alte cariche nellamassoneria… Il napoletano Beneduce è ilmassimo, e sempre ascoltato, consigliereeconomico del duce che lo riceve quotidiana-mente. Ministro delle Finanze (Jung n.d.r.) epresidente dell’IRI (Beneduce n.d.r.) viag-giano comunque in perfetta sintonia (...).

È sicuramente velleitario, eppure non ir-reale, il tentativo dell’Italia dei primi anniTrenta di stabilire un rapporto privilegiatocon gli USA… A farsene carico non è il go-verno, bensì quell’establishement economicoche ha messo le sue competenze al serviziodel fascismo, pur non condividendone l’ideo-logia antiliberale. Se Jung ha da rassicurare icircoli finanziari dove forte è l’influenzaebraica, a Beneduce toccano i massoni” (41).

Galli ha scritto: “[Cuccia] crede in Dio, èosservante; ma la sua fede è laica, calvinista,lontana anni luce da ogni forma di clericali-smo e d’ingerenza della Chiesa nei pubbliciaffari: nessun prete-trafficante varcherà maila soglia di via Filodrammatici” (42). E anco-ra: “Cuccia è un cattolico ultraosservante,con messa e comunione quotidiane..., ma ilsuo è un cattolicesimo particolare. È un

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giansenista... E per un giansenista, rigorosoquanto elitario, gli “altri” cattolici sono po-pulisti...” (43).

Cuccia, la massoneria e la Comit

Se si prescinde dalla possibile influenzadel suocero Alberto Beneduce, che massonelo era certamente, testimonianze seriesull’appartenenza di Cuccia alla massoneriaci vengono da Michele Sindona e dalla ve-dova di Roberto Calvi, la signora Clara.

Galli scrive: “In un incontro all’HotelPierre di New York, nell’estate 1976, Sindo-na mi disse: “Mattioli ha creato Mediobancaper togliersi dai piedi Cuccia che è personapericolosa… lavora per portare la finanzaitaliana sotto il dominio della Grande log-gia”. Innanzi alla commissione parlamentared’inchiesta sulla loggia massonica P2, ClaraCalvi ha dichiarato: «Quando gli (al maritoRoberto n.d.a.) domandavo perché Cuccia eSindona, pur essendo massoni, non andava-no d’accordo, mi rispondeva: “Appartengo-no a due logge diverse”» (44).

Nel 1938, con le leggi razziali, le cose simettono male per Jung, che essendo ebreoviene emarginato. Beneduce invece che èsoltanto… massone resta in sella e deve in-tervenire rendendo ufficiale il fidanzamentotra Enrico Cuccia e sua figlia, che si chiamaLibera Idea Socialista [non è uno scherzo…è veramente un nome di… battesimo!]. Egliinvita l’amico Raffaele Mattioli, amministra-tore delegato della Comit, ad assumere il fu-turo genero Enrico Cuccia, col rango di diri-gente, a Milano, nell’ufficio di piazza Scaladove gravitano Ugo La Malfa, GiovanniMalagodi, Cesare Merzagora, Adolfo Tino,“vale a dire una buona fetta della futuraclasse dirigente “liberal” che ritiene il fasci-smo una dolorosa parentesi della storia” (45).

Carlo Bombieri, collaboratore di Cucciaalla Comit, dice che Cuccia aveva “un’ambi-zione senza confini, spietata, incontenibile.Qualche volta, a quattr’occhi, non esitava amanifestarla: l’aspirazione al potere da realiz-zare con il maneggio del denaro, in quantonei confronti della politica nutriva un assolu-to disprezzo intellettuale, generalmente nonsi sbilanciava; (...) detestava il fascismo mateneva in rispetto il concetto di autorità. Ave-va una concezione castale della società, rettada un “uomo forte”. Con un’eccezione: il Pa-pato di Roma non gli andava a genio” (46).

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Maurizio Mattioli, il figlio di don Raffae-le, ha detto al Galli: “Quando le discussionipolitiche si facevano più aspre... l’ho sentitoesclamare con rabbia: “ci vorrebbe un Cle-menceau”... Un riferimento al Clemen-ceau… radicale, massone legato al GrandOrient de France, che aveva chiesto ai fratellila “discesa nell’arena” per affermare, nellasocietà e nella politica, i “valori” delle log-ge?” (47).

La missione a Lisbona

La missione di Cuccia a Lisbona rappre-senta il momento decisivo e se si vuole “ma-gico” della sua vita.

Nel 1942, mentre il Giappone dilaga nelPacifico, l’asse Roma-Berlino-Tokio sta vin-cendo la sua ultima, effimera, battaglia, pri-ma di perdere la guerra. La vittoria sembraarridere all’Asse, “C’è però chi, in Italia, con-vinto del contrario, si prepara al dopo. Nonirenicamente, ma agendo. È la nascita delPartito d’azione, laico, progressista (ma op-positore del modello comunista) ed elitario:nella convinzione che a “scrivere la storia”siano gli ideali e gli interessi di pochi illumi-nati. Il popolo… non potrà che seguirli” (48).

Gli azionisti (La Malfa, Tino e Parri) ri-tengono di dover stabilire un contatto conl’America e scelgono Cuccia per l’importan-tissima missione. Enrico andrà a Lisbona(con la complicità di Raffaele Mattioli) conuna copertura reale: le trattative per il tra-sferimento della partecipazione Comit inSudamerica.

Cuccia deve far giungere un messaggio alconte Sforza, che sta cercando di farsi accre-ditare in America come il più genuino anti-fascista. Cuccia porta il messaggio a Lisbonae lo consegna a George Kennan, il quales’imbarca per l’America e lo recapita a Car-lo Sforza.

“Alcune confidenze strappate a GuidoCarli, Cesare Merzagora e Giovanni Mala-godi [conversazioni informali con l’autoreGiancarlo Galli fra il 1989 e il 1991]… con-sentono di abbozzare un ben più comples-so… scenario. Probabilmente Enrico Cuccianon fu semplice “postino” e… non esitò adandar oltre (...) intuì che muovendosi conscaltra intelligenza poteva trasformarsi dacomparsa in protagonista di una nuova fa-se… del capitalismo italiano” (49).

A Lisbona un finanziere ebreo-francese

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André Meyer aspetta Cuccia. Meyer è unpartner della Banque Lazard, che nel 1940ha dovuto abbandonare Parigi, a causadell’invasione tedesca, e che ha cercato di ri-montare la “baracca” a New York. Tra Cuc-cia e Meyer nasce un sodalizio fondato suuna convinzione: quella di ristabilire il pri-mato della finanza e del supercapitalismosulla politica, evitando gli errori del comuni-smo e del keynesismo o capitalismo statali-stico, che agli occhi di Cuccia (e di Meyer) èun’eresia (mentre è l’ideale di Mattioli).

Cuccia, Meyer e la Banque Lazard

La Banque Lazard fu fondata da Abra-ham Lazard, ebreo boemo, che nel 1792, aitempi della rivoluzione francese, aveva la-sciato Praga per raggiungere il Paese cheaveva concesso agli ebrei cittadinanza e di-ritti civili.

André Meyer nacque sulla fine dell’Ot-tocento, da una famiglia ebraica di modestecondizioni; libero pensatore, autodidatta, la-vora come fattorino presso un agente dicambio ebreo; divenuto procacciatore d’af-fari, viene notato da David Weill della Ban-ca Lazard, ma André non vuole essere sol-tanto assunto, pretende di essere “associa-to”. Lo trattano da pazzo, ma qualche mesedopo ci ripensano. “Nella potente quanto ri-servata Banque Lazard, Meyer assumeràpresto un ruolo da protagonista. (...)

“Cinico e assetato di danaro” giudicacon severità Carlo Bombieri… Non so comee quando Cuccia lo abbia conosciuto. Nelmomento in cui me lo presentò, era tuttaviachiaro che si conoscevano bene, e che Enri-co lo idolatrava… Spiegava spudoratamenteche per lui arricchirsi era un culto, e i mezzinon gli importavano...”.

Quello dei Lazard è un mondo particola-rissimo. “Banchieri di sinistra, radicalsociali-sti, patrioti, anticlericali, visceralmente anti-comunisti”, li ha dipinti Anne Sabouret (50).

Cuccia “azionista”

Ritornato a Milano, Cuccia è promossocodirettore centrale, e all’assemblea del 31marzo 1943 il suo nome compare nell’orga-nigramma del top-management Comit. Subi-to dopo il 25 luglio, Cuccia si ritira con Mat-tioli nella fattoria toscana di Nozzole, doveli coglie l’8 settembre. Alla notizia dell’armi-

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stizio raggiungono Roma, sicuri di un immi-nente arrivo degli americani. «Nella Romaoccupata, Enrico Cuccia è l’ombra di Raf-faele Mattioli. “Papà stava praticamente rin-chiuso assieme a Cuccia nella sede della Co-mit in piazza Santi Apostoli, dispensandoogni sorta di consigli e aiuti”, afferma il fi-glio Maurizio» (51).

Gli americani entrano in Roma il 5 giu-gno 1944. Mattioli si è già formato un pro-getto politico: salvare casa Savoia facendodimettere Vittorio Emanuele III e ancheUmberto II, per promuovere il giovanissimoVittorio Emanuele IV, affidando nel frat-tempo la reggenza a Maria José, affiancatada un consiglio di reggenza che sarebbe sta-to composto di: De Gasperi, Einaudi, To-gliatti, Croce e Mattioli stesso.

Cuccia non è d’accordo, (è repubblicanoconvinto) e si dedica a un’iniziativa più spe-cifica: la creazione di una banca d’affari.

“Carlo Bombieri… ricorda: “Mattioli vo-leva dar vita a uno strumento per compiereoperazioni, allora non consentite dalla leggebancaria assai restrittiva, ma indispensabileallo sviluppo di un’Italia moderna. Cucciaera portatore di un altro concetto: una ban-ca d’affari elitaria, alla cui guida implicita-mente si candidava”.

Per Raffaele Mattioli gestire una grandebanca... è un’incombenza faticosa e persinoingrata. Per lui, legato alla cultura classica, ildenaro è semplicemente un mezzo (e nemme-no troppo nobile) per realizzare delle cose. Aisuoi occhi, i soldi non hanno un’anima… amal’Italia e gli italiani, e lo proclama ad alta vo-ce. Per Enrico Cuccia, il danaro è numero, enei numeri risiede la geometria cosmica delpotere… il concetto di patria lo lascia freddo,ciò che conta sono le classi superiori...” (52).

La seconda missione in America

Nell’autunno del 1944 il governo di Iva-noe Bonomi invia una delegazione negliUSA. La formazione della missione fu operadell’allora sottosegretario agli esteri ViscontiVenosta che scelse i due membri principalidel gruppo: Quintino Quintieri, già ministrodelle Finanze del governo Badoglio a Saler-no, e Raffaele Mattioli, allora amministrato-re delegato della Banca commerciale italianache portò con sé Enrico Cuccia. “La scelta diCuccia dipendeva dal fatto che si trattava, inquel periodo, dell’unico italiano in qualche

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modo accreditato presso gli americani. L’ambasciatore George Kennan aveva

conosciuto lui, non altri; André Meyer ma-gnificava le doti del giovane finanziere ita-liano, non di altri (...).

Siamo alla vigilia della Conferenza diYalta… nel corso della quale Churchill,Roosvelt e Stalin si spartiranno il mondo. Ilpremier britannico vorrebbe rimettere insella le monarchie di Grecia, Italia, Jugosla-via. Gli USA no. E in modo identico la pen-seranno i successori: Harry Truman eDwigth Eisenhower. Cuccia, strenuo repub-blicano, è in pratica l’unico membro delladelegazione a trovarsi in sintonia con i verti-ci politici americani. Nonché con l’arcivesco-vo di New York, Joseph Spellman, col sin-daco, Fiorello La Guardia, e con quel mon-do che fa riferimento alla Masonic Hall…dove… André Meyer è di casa” (53).

La nascita di Mediobanca (10 aprile 1946):La grande svolta dell’economia italiana

Cuccia, come lui stesso ama sostenere,“s’identifica” con Mediobanca, perciò la sto-ria delle sue gesta, non più in qualità di emi-nenza grigia ma di banchiere a pieno titolo,prende il via dalla fondazione dell’istituto, il10 aprile 1946, che coincide anche con la suanomina a direttore generale.

Cuccia ha soltanto trentanove anni.“Perché proprio lui? (...) Ciò che oggi sap-piamo della lunga strada percorsa all’ombradi Beneduce e Jung, dei rapporti vieppiùstretti con André Meyer, delle missioni deli-cate, dell’impegno nel Partito d’azione, allo-ra era noto a pochissimi. Ci si accontentavadi considerarlo un fedele discepolo di Raf-faele Mattioli, e questo rassicurava e garan-tiva. È proprio alla scomparsa del banchieredi piazza Scala che i veli cominciano adaprirsi, per merito di Eugenio Scalfari:“Niente di più lontano da lui [Mattioli] di unCuccia, di un Rockefeller o d’un Abs [il mi-nistro delle Finanze di Hitler] (...). Questiuomini hanno portato nel loro mestiere unche di puritano e d’esclusivo, ...relegando almargine della loro giornata quanto non fos-se banca. Il contrario di Mattioli...” (L’Es-presso 5 agosto 1973).

Toccherà ancora a Scalfari andare oltre,un anno più tardi: “Enrico Cuccia… venivadalla covata Comit (...) Mattioli lo stimava…ma capì presto che, alla lunga, non sarebbe-

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ro andati d’accordo… Cuccia era un ban-chiere quanto Mattioli e forse di più, e que-sto l’ottimo don Raffaele non lo sopportava,almeno sotto lo stesso tetto di casa. Perciòquando si autorizzò Mediobanca, il candida-to naturale c’era già.

Da quel momento, Enrico Cuccia avrebbefatto corpo con la sua creatura (...) ebbe l’am-bizione di costruire… una banca d’affari conrapporti internazionali. L’assillo di questo si-ciliano trapiantato a Milano è sempre statoquello di sprovincializzare l’economia italia-na… Questa tendenza verso il cosmopoliti-smo, il fascino esercitato su di lui dalla grandefinanza internazionale… hanno costruito aCuccia un piedistallo di superiorità indiscuti-bile...” (E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona,Feltrinelli, Milano, 1974, p. 159 e segg.)” (54).

Cuccia rassicurava l’intero arco costitu-zionale: gli americani, dato il suo passato re-sistenzial-azionista, i comunisti che lo riten-gono una longa manus di Mattioli, la DC eDe Gasperi, data la sua amicizia col cardina-le Spellman.

“L’unico a cui non piaceva era MarioScelba, (...) “ossessionato” dalle ombre mas-soniche aleggianti nel mondo finanziario ein particolar modo su coloro che avevanogravitato nel Partito d’azione.

Dopo aver cercato di opporsi alla ricon-ferma di Mattioli alla Comit, Scelba s’eser-citò anche nel boicottare Cuccia-Medioban-ca; ma subì un altro smacco, anche per l’in-tervento di… don Luigi Sturzo, che avevatrovato un alleato nel giovane finanzierenella lotta che s’andava profilando con Enri-co Mattei… aedo dello statalismo economi-co.

La “guerra perduta” di Mario Scelba…non impedì che attorno alla Comit e ancorpiù a Mediobanca continuasse ad aleggia-re… l’alone massonico” (55).

Mattei per Cuccia era il nemico numerouno, perché Cuccia era convinto che Matteipotesse vincere la sua battaglia che è fatta diostilità agli USA, di solidarietà verso le na-zioni emergenti, che esige una presenza atti-va dello Stato nell’economia, che ha comepunto di riferimento De Gaulle: “combat-tente, cattolico, autoritario, nazionalista, al-lergico agli americani” (56).

Mattei fu ucciso, al colmo della sua po-tenza, il 27 ottobre 1962. Il Galli scrive:«Qualunque sia stata la causa della sua mor-te, fra i “nemici” si collocava, in primissima

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fila, lo gnomo di via Filodrammatici. - Econtinua - Fu a cena da Enrico Mattei... chesentii per la prima volta nominare EnricoCuccia… disse Mattei: “È molto bravo, sadove vuole andare, e bisognerà fare i conticon lui. Se passa ci distrugge... Qui stanno ledivisioni di Cuccia: i francesi, gli americani, itedeschi, gli ebrei...” Baldacci [direttore del“Giorno”] fece presente che “è uomo diMattioli, un amico”; al che Mattei scosse latesta, con un “ne riparleremo” pieno d’irri-tazione”» (57).

Cesare Merzagora

Merzagora nato a Milano nel 1898 e di-plomatosi in ragioneria, viene accolto allaComit di Toeplitz che lo invia nell’allora im-portante sede di Sofia in Bulgaria, ove fondaun giornale antifascista.

Richiamato in Italia, rifiuta la tessera delPNF e Mattioli (succeduto a Toeplitz), perevitargli guai, lo manda in missione in Fran-cia, Marocco e nei Balcani. Nel 1938 i Pirelligli offrono la carica di direttore generale.Durante la guerra civile, entra nei gruppiclandestini liberali (il Partito d’azione lo la-scia perplesso). Ai primi del maggio 1945,proposto dagli anglo-americani e col consen-so dei comunisti, diventa “alto commissario”alla Pirelli. Ma convintosi che l’Italia abbiauna classe borghese marcia, pianta la Pirelliper andare in Brasile, dove, a San Paolo, loraggiunge un messaggio di De Gasperi:“L’Italia ha bisogno di un uomo come Lei!”.

Enrico Cuccia

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Il “ragionier Cesarino” si rimbarca per laMadrepatria, sbarca a Genova, e prende untreno per Roma ove arriva giusto in tempoper giurare come ministro per il Commercioestero.

Viene eletto il 18 aprile del 1948 (ricon-fermato nel 1953 e nel 1958) nelle liste de-mocristiane come “indipendente”. Infatti èlaico o meglio laicista e liberale “allergicoad incenso e candele” - scrive il Galli - “maciò non gli impedisce di trovarsi in sintoniacon De Gasperi… nemmeno gli è sgraditoEnrico Mattei, almeno sin a quel drammati-co 1955, quando Mattei gli sbarra la stradaal Quirinale per favorire Giovanni Gronchi.Nell’occasione… il boss dell’ENI aveva fat-to correre la voce che Cesarino fosse in odo-re di Massoneria” (58).

L’elezione di Gronchi, con l’appoggio delPCI, lo rese insofferente, quasi ribaldo e co-sì, pian piano, perde amici per strada: Mat-tioli, Carli, Andreotti, Colombo, Malagodi,La Malfa. “Gli resta un rapporto intenso, an-corché punteggiato da asprezze, con EnricoCuccia. (...) costretto a lasciare la presidenzadel Senato… si ritrova sì senatore a vita, ma“disoccupato”. Ed Enrico Cuccia lo raggiun-ge con una telefonata di plauso e sostegno,invitandolo in via Filodrammatici” (59). Peròentra in frizione anche con Cuccia, il quale loritiene capace, ma un po’ megalomane, e siconvince che l’amicizia dimostratagli da Cuc-cia non era sincera: voleva strumentalizzarlo,e lui non intende essere la marionetta di nes-sun burattinaio. Pertanto inizia a cuocere lavendetta a fuoco lento.

Negli anni Settanta Cuccia crede ancoranel capitalismo puro e duro. “Convince gliAgnelli a rinunciare alla smobilitazione e altrasferimento in USA: nella prospettiva delPCI al governo, Ugo La Malfa aveva venti-lato di nominare l’Avvocato ambasciatore aWashington. Per questo proposito, [Cuccia]non manca di redarguire l’amico carissimo:“le Cassandre non servono!” Pertanto impo-ne l’Avvocato alla presidenza della Confin-dustria (1974) e stimola il dottor Umberto(1976) ad accettare la candidatura al Senatonelle liste democristiane.

Bisogna chiedersi che ne sarebbe statodell’imprenditorialità privata italiana senza laMediobanca di Enrico Cuccia. La risposta de-gli “amici di via Filodrammatici” è categorica:tutto sarebbe finito nelle mani di uno Statodemagogico, inefficiente e corrotto” (60).

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Com’è riuscito Cuccia a salvare l’esercitodell’impreditoria italiana, in rotta negli annidi piombo, quando gli stessi generali medi-tavano la fuga? “Enrico Cuccia allargava lebraccia, bisbigliando “C’est le hasard...”.Diabolicamente abile, lasciava gli interlocu-tori sulla brace. “Le hasard” può essere ilCaso o, per straordinaria assonanza, l’onni-potente Lazard!” (61).

Cuccia, Sindona, Calvi, Gelli e la P2

Verso la fine degli anni Sessanta inizioSettanta, assistiamo ad un altro scontro:quello tra Cuccia da una parte e Sindona, equindi indirettamente anche Roberto Calvi,dall’altra. Sono gli anni in cui agiscono Gellie la Loggia P2.

Michele Sindona nasce a Patti (Messina)l’8 maggio 1920 da famiglia povera e riesce alaurearsi (105/110).

Vedendo che la guerra prende una catti-va piega e che la situazione di Mussolini si faprecaria, comincia a studiare l’inglese per“ammanicarsi” con gli Americani; nel dopo-guerra si avvicina alla DC. Nel 1950 può giàpermettersi di acquistare una società del Lie-chtestein, la Fasco A. G., con quali mezzinon si sa. Nel 1955 riesce ad introdursi nellaCuria di Milano, dove è appena giunto ilnuovo arcivescovo, Giovan Battista Montini.“Fra colloqui e relazioni curiali... Sindona ar-riva ad un riservatissimo finanziere: MassimoSpada dello IOR, la banca del Vaticano, esuo tramite, qualche anno dopo, a monsignorPaul Marcinkus. Da quel momento il suo po-tere diventa davvero tentacolare in quanto letante buone relazioni trovano un imprevedi-bile punto di convergenza: la Banca privatafinanziaria (BPF) di via Giuseppe Verdi inMilano (...). Qualificatissima la clientela chevi fa capo: dai Pirelli a... Cesare Merzagora...Il proprietario, Ernesto Moizzi, è un aristo-cratico che sta cercando di uscire dagli affari,monetizzando” (62).

Sino alla metà degli anni Cinquanta, Cuc-cia e Sindona si erano ignorati «sino a far na-scere l’impressione di un’assurda gelosia frasiciliani... L’incontro del disgelo avviene inMediobanca... poi ricambiato in via Turati...A Sindona viene offerto di “collaborare”; elui risolve magistralmente un problema fisca-le della Fidia... È solo una breve parentesi dipace: la rissa riesplode quando Marinottipropone di cooptare Sindona nel consiglio di

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amministrazione della SNIA Viscosa dopoaver ottenuto il beneplacito di Tino (...).

Cuccia avrebbe voluto attribuirsi la pater-nità della nomina, e Sindona gli ribatté chec’era già stato il gradimento di Tino. Al che,secondo Sindona, Cuccia avrebbe replicatocon tono alterato: “Dovresti sapere che inMediobanca sono solo io a prendere decisio-ni”» (63). Ma il guaio grosso scoppia quandoSindona tenta di “bidonare” la Sofina, truc-cando i bilanci. Però alla Sofina si trova comegeneral manager Paul Boel. Per togliere il fi-glio dai guai il padre corre da André Meyer,suo amico fraterno, che lo passa a Cuccia.“Viene predisposta una transazione, ma Sin-dona s’intestardisce. La sua provocazione ap-pare mirata: dimostrare che il banchiere di viaFilodrammatici contava in patria come unascartina a briscola. Messo alle strette dallaCorte arbitrale di Ginevra, Sindona sarà co-stretto a “conciliare” versando mezzo miliar-do di penale. Poco per il portafoglio, moltissi-mo per l’immagine. Non ammaestrato dallosmacco, ci riprova. C’è in ballo l’acquisizionedell’americana McNeil & Libby… Sindona,ignorando le sollecitazioni di Cuccia, anzichérivolgersi a Meyer che pretende di controllarela piazza di New York, opta per un altro filo-ne della finanza ebraica, la Lehman Brothers.

Meyer, indignato, dopo aver sottopostoSindona a una sorta di processo presso laLazard di Parigi, sentenzia che debba esseremesso al bando… lo snodo cruciale è qui:nella “scomunica” comminata da AndréMeyer e ratificata, a New York, in un sum-mit della Confraternita degli gnomi, dove sidecide che nella “provincia Italia” vi sia spa-zio unicamente per Mediobanca” (64).

Tuttavia si dissociano sia i Lehman sia gliHambro, ed anche alcuni esponenti della Con-tinental Illinois. Tra i consulenti legali di que-sta cordata anti-Meyer vi è Richard Nixon.

“Si tratta di avvenimenti importanti, chedimostrano l’inesistenza, almeno in questafase, di qualunque demarcazione tra “finan-za laica” (Mediobanca) e “finanza cattolica”(Sindona). C’è piuttosto uno scontro traMeyer-Lazard e il “resto degli gnomi”, cheperò è estremamente disarticolato (...).

Per quasi un decennio né la Banca d’Ita-lia né gli industriali né i “moralisti” CesareMerzagora e Raffaele Mattioli prenderannoapertamente posizione tra Cuccia e Sindona.Non che rifiutino di cogliere le reali dimen-sioni del contrasto (la conquista del monopo-

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lio della gestione degli affari finanziari), lovedono sin troppo bene, ma giudicano che lasoluzione migliore... sia il divide et impera.

D’altra parte ...Michele Sindona... affa-scinava... spadroneggiava nei salotti milane-si... dicendo peste e corna di Cuccia, ma an-che facendo sfoggio di cultura; da Nietzscheallo Spengler del Tramonto dell’Occidente...Cuccia appare in difficoltà. Lui che non fre-quenta i salotti, quando gli riferisconodell’esibizionismo del rivale, si limita a ribat-tere... in inglese: Unreliable, inaffidabile. Perchi conosce la fraseologia degli gnomi, nes-suna accusa a un finanziere può suonare al-trettanto nefasta. Ma perché si cominci aprenderne atto occorre che Sindona scivolisulla sua stessa arroganza” (65).

Sindona, a partire dal 1967 cerca di espu-gnare le due roccaforti del potere economi-co italiano: l’Italcementi del cattolico ultra-conservatore Carlo Pesenti, e la Bastogi. Magli va male: Pesenti, oberato di debiti, trovasolidarietà inaspettatamente in Cuccia sinoallora suo avversario, e grazie a Mediobancatrova i miliardi necessari per riacquistare leazioni di Italcementi, senza doverle svende-re, come pretendeva Sindona. Il Galli com-menta: “Fosse davvero esistita una “finanzacattolica”… Sindona sarebbe stato sicura-mente sanzionato [per aver aggredito il cat-tolicissimo Pesenti]; ma questo non accadde,e Pesenti migrò nell’area cucciana” (66).

A questo punto inizia la partita attorno al-la Bastogi, l’offerta di pubblico acquisto(Opa) sindoniana scatta il 13 settembre 1971.“Per quattro giorni è una pioggia di adesioni eun coro di approvazioni. Ma al quinto giornole adesioni si bloccano, per il boicottaggio deigrandi azionisti. Cuccia ha fatto intervenireAndré Meyer. Sindona corre in Roma-Capi-tale, ma può solo registrare che persino Emi-lio Colombo, …sul quale faceva pieno affida-mento, s’è schierato con Cuccia-La Malfa (...).

Sostenere che… Sindona fosse l’espres-sione della “finanza bianca” è dunque, alme-no fino a questo punto, ...una distorsionedella realtà (...) “Sindona, ma dopo lui an-che Roberto Calvi, rovinarono a causa di er-ronee, spericolate operazioni sul mercatodei cambi”, ha confermato Guido Carli (...).

La rottura definitiva tra Cuccia e Sindona siconsuma in un salottino riservato del “Club44”… Qui pranza, solitamente il venerdì, lacompagnia… Sindona..., Cuccia..., Cefis. Finchéun venerdì Sindona si ritrova… solo… Pochi

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minuti prima, in Mediobanca, Cuccia ha detto aCefis che si è stancato di sedersi col diavolo” (67).

Sindona capisce che lo scontro è arrivatoad un punto di non ritorno, può contare ora-mai solo su Giulio Andreotti, su Anna Bono-mi e su Gaetano Stammati (iscritto alla P2).

“Sconfitto, e pur costretto a riparare inAmerica, Sindona non s’arrende… Le primeiniziative volte a coinvolgere personalmente…Cuccia risalgono alla primavera 1977, passanoattraverso la minaccia di far rapire il figlio diCuccia (...). Sindona considera il presidente diMediobanca come uno dei peggiori nemici (...).Le cronache dell’affare Sindona (a partire dagliinizi degli anni Settanta sino alla morte, causatada una tazzina di caffè avvelenato, nel supercar-cere di Voghera nel marzo 1986) restano… tut-tora avvolte in una pesante coltre di nebbia.Esattamente come era accaduto per “l’inciden-te” aereo di Enrico Mattei, e come accadrà perl’impiccagione di Roberto Calvi… Resta laconsiderazione che il destino ha sempre asse-gnato ai “grandi nemici” di Enrico Cuccia unatragica uscita dalla scena di questo mondo” (68).

Il tramonto del keynesismo e il ritorno al ca-pitalismo puro e duro

“Nei decenni Settanta-Ottanta, il disegnodi “ritorno al capitalismo” di Enrico Cucciacessa di essere un’utopia. I modelli keynesia-ni dell’economia sono in piena crisi, al paridel socialismo reale. Nel mondo anglosasso-ne si affermano le teorie iperliberiste (“tuttova privatizzato”) dei Chicago-boys, un grup-po di economisti [capitanati dall’economistaebreo Milton Friedman, secondo il quale tut-to va liberalizzato… anche la droga, l’abortoe il suicidio] che ha condotto i suoi primiesperimenti nel Cile di Pinochet [aiutato nelsuo golpe anche dal Mossad]; e a loro si ispi-rano Margaret Thatcher... e Ronald Rea-gan... In Italia Cuccia è fra i pochissimi, forsel’unico ad avere previsto” (69).

La FIAT e Gheddafi

“Il primo exploit Mediobanca lo realizzaa Torino, portando danaro fresco agliAgnelli superindebitati.

In Libia è al potere, ricco di petroldollari,...il colonnello... Gheddafi (...). È grazie al...presupposto adottato da Cuccia - trovare isoldi dove ci sono, senza sottilizzare sulleorigini, quindi metterli a disposizione delle

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grandi famiglie - che si verifica l’ingresso deilibici in FIAT. Le trattative cominciano nel1975 (...). A propiziarlo è André Meyer (...).La Lazard, che non poteva esporsi diretta-mente date le sue matrici ebraiche, si rivolsealla Deutsche Bank di Francoforte. Questarifiutò l’ingresso di capitali libici in Germa-nia, ma accettò di rendersi garante del buonesito dell’operazione indicando quale ogget-to dell’acquisizione la FIAT… trattandosi diuna società italiana, Meyer fu invitato ad“attivare” Mediobanca” (70).

Cuccia e Romiti

“Nel 1979, dopo l’assassinio da parte deiterroristi rossi di Carlo Ghiglieno, ...gliAgnelli decidono di abbandonare i passati,prudenti atteggiamenti, e di muoversi incontrotendenza rispetto al diffuso clima dirassegnazione, per riportare ordine ed effi-cenza nelle fabbriche. I pieni poteri vengonoaffidati a Cesare Romiti, su indicazione didon Enrico che lo aveva portato in FIAT unlustro prima, nutrendo per lui incondiziona-ta fiducia. Sessantuno dipendenti in odore diterrorismo vengono licenziati… don Enricoreputa indispensabile per il risano aziendalela “messa fuori organico” (in pratica, il li-cenziamento) di 23.000 dipendenti (...).

In quei giorni roventi [1980], quandoGianni e Umberto, sottoposti a molteplicipressioni, potrebbero barcollare, lo gnomo-confessore monta la guardia. Sprona gliAgnelli… aizza Romiti… E la FIAT torna aprodurre, a macinare profitti” (71).

“Gli esami non finiscono mai...”

La potenza di Cuccia-Madiobanca sem-bra essere allo zenit. Gli imprenditori italia-ni sono unanimi: “Entri in Mediobanca e neriesci rassicurato, perché c’è un uomo che hala bacchetta magica...”.

Il Galli narra un episodio illuminante sul-la personalità di Cuccia tale e quale lo ha sen-tito da un aristocratico milanese: AmbrogioCesa Bianchi, nel 24 luglio 1992: “La nostrafamiglia, sul finire degli anni Sessanta, fu og-getto di un tentativo di scalata alla MilanoAssicurazioni - narra il Cesa Bianchi - ... Miofratello Ariberto era un tipo strano… macon amicizie importanti. Mio padre sospetta-va fosse massone, e che per questo riuscisse arestare a galla nonostante i comportamenti a

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dir poco bizzarri... assicurò che avrebbe pen-sato lui a sistemare la questione (...). Ci portòa Torino, da Camillo De Benedetti, che sug-gerì di rivolgerci a Cuccia (...). Finalmente ar-rivammo in via Filodrammatici... Cuccia sa-lutò con calore mio fratello, e la cosa mistupì. Se lo conosceva, come poteva avere fi-ducia? Sull’affare, Cuccia mostrò lucidità eidee ferme: noi rappresentavamo la tradizio-ne, gli altri erano usurpatori. Aggiunse cheper lui era ...un onore dare il suo appoggio adun’antica famiglia (...). Ne ricavai una forteimpressione, anche perché tutto andò per ilmeglio: agiva come fosse depositario di unpotere occulto, incontrastabile...” (72).

Eppure anche per Cuccia “gli esami nonfiniscono mai”, come per qualsiasi mortaleal quale verrà chiesto il Redde rationem villi-cationis tuae, come insegna il Vangelo.

Il 1982 è per lui un anno delicatissimo,essendo arrivato alla soglia dei settantacin-que anni. Mediobanca dipende dall’IRI, nelcui statuto la carica che ricopre Cuccia ha untermine anagrafico. In verità Cuccia ha ol-trepassato l’età della pensione già da un lu-stro, ma nessuno ci aveva fatto caso. Peròora a Roma lo scenario politico è cambiato,emergono Craxi e De Mita, i quali, sebbenesiano rivali, sono d’accordo nel ritenere chel’economia e la finanza italiane non possanovenir gestite dal solo Cuccia; mandano inavanscoperta Clelio Darida, avvicinatosi adAndreotti, che conserva un po’ di rancoreverso Cuccia per l’affare Sindona.

Darida, in quel tempo ministro di Graziae giustizia, cerca di portare dalla sua parte ilpresidente dell’IRI, Romano Prodi e Benia-mino Andreatta, allora ministro del Tesoro, iquali hanno una gran voglia di mettere unfreno al potere di Cuccia, mista ad un certotimore reverenziale, più che giustificato. Cuc-cia fiuta la manovra, tuttavia La Malfa è mor-to, i liberali sono oramai un fantasma eletto-rale, Meyer è deceduto e Cuccia è rimasto so-lo! Sceglie, quindi, di far finta di ritirarsi. Fasapere che rinuncerà, senza problemi, allasua carica e che si accontenterà di una poltro-na nel consiglio di amministrazione di Medio-banca. “Darida vorrebbe tagliare il nodo allamaniera gordiana, ma finisce per prevalere lalinea soft di Andreatta-Prodi, ovvero il lorosostanziale timore reverenziale verso l’unicogrande banchiere nazionale in circolazione.

Per Cuccia… tutto ha da cambiare affin-ché nulla cambi. Trasformatosi in “consiglie-

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re anziano”, mantiene gli stessi poteri...” (73). Frattanto Cuccia cerca di privatizzare

Mediobanca, ma “lo gnomo che credeva digiocare di sorpresa, si trova smascherato daun articolo di Cesare Merzagora, su “la Re-pubblica”. Intanto s’è rimesso in pista ...Dari-da, che dissotterra la spada di Damocle del“limite d’età”: nel 1985… Cuccia deve assolu-tamente andarsene. E, dopo aver affossato laprivatizzazione [di Mediobanca], apre il nuo-vo fronte” (74). Cuccia sembra dover soccom-bere, ma a sorpresa, il PSI si schiera con luiassieme a PRI e PLI, sebbene Craxi eviti dipronunciarsi. Il ruolo di traghettatore tra PSIe Cuccia lo ha svolto Gianni De Michelis, chefa incontrare Cuccia con Enrico Manca. Tut-tavia “il tramite più importante fra Medio-banca e i socialisti (a esclusione però di Betti-no Craxi) è un personaggio allora sconosciu-to, Salvatore Ligresti (...). Ora, nel momentoin cui il dominus di via Filodrammatici ha seriproblemi con la DC, Ligresti torna utile perstabilire un legame con i socialisti. Anche senon ancora con Bettino Craxi, sospettosissi-mo nei confronti dei grandi finanzieri e dellabussiness-community” (75).

La vittoria di Cuccia

Nell’autunno 1985, Darida attacca, soste-nuto da De Mita; Craxi non muove un dito.“Entra a questo punto in scena...GianniAgnelli, dichiarando di rinunciare alla caricadi consigliere in favore di Cuccia. De Mitagiudica la proposta una provocazione...Dari-da… rifiuta il baratto, mandando desertal’assemblea di Mediobanca del 28 ottobre.(...) Cuccia, spazientito, vola a Parigi. Breveriunione alla Lazard, col consigliere JeanGuyot che firma la sua lettera di dimissionia favore di Cuccia, che pertanto continueràa sedere in via Filodrammatici per contodella banca francese cui spetta… una poltro-na. Con quella lettera in mano… lo gnomoinaffondabile può celebrare in serenità il suosettantottesimo compleanno” (76). Contem-poraneamente inizia la graduale privatizza-zione di Mediobanca.

La finanza italiana è stata ceduta così al“proconsole” (Cuccia) degli “stranieri” (iLazard).

L’economista Sergio Ricossa ha scritto:“Mediobanca è quasi tutto nella finanza pri-vata italiana, è quasi nulla nella finanza in-ternazionale” (77).

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La privatizzazione di Mediobanca

Cuccia nel 1986 sta cercando un nuovopresidente per Mediobanca; la scelta cade suAntonio Maccanico, nato ad Avellino nel1924, cresciuto in una famiglia antifascista edi “liberi pensatori”. Il 6 febbraio 1987 Mac-canico accetta la presidenza di Mediobanca,dopo aver ottenuto l’assicurazione che sitratta di un incarico effettivo e non di “fac-ciata”.

Galli commenta: “I politici, l’IRI, ritengo-no di aver ingabbiato Cuccia... “La Repubbli-ca” esulta: “con l’arrivo del nuovo presiden-te… comincia davvero il dopo-Cuccia”. (..)L’abbaglio - riprende il Galli - è di primagrandezza. Maccanico rimarrà in via Filo-drammatici dodici mesi (...). Periodo brevissi-mo, ma sufficiente a rendere possibile la pri-vatizzazione indolore di Mediobanca” (78).

Con la privatizzazione, il primato di Me-diobanca è fuori pericolo. Cuccia si è impo-sto. Tuttavia occorre rammentare che se inItalia Cuccia è “il padrone dei padroni”,all’estero è un esecutore di ordini dei La-zard, un “proconsole”, come lo chiama ilGalli, in breve colui che deve realizzare inItalia il piano consegnatogli dalla BanqueLazard e da André Meyer, oramai defunto,ma ben rimpiazzato.

La morte della Prima Repubblica e la“eviternità” di Cuccia

Il 24 maggio 1990, l’ottantatreenne Cuc-cia convoca Francesco Cingano, presidenteeffettivo di Mediobanca: Cuccia deve farsiricoverare per un intervento chirurgico allaprostata, come Mattioli...

Il 31 maggio a piazza degli Affari a Mila-no lo si dà per morto. I titoli di Mediobancaflettono. Ma Cuccia ricompare, diafano, invia Filodrammatici il 4 giugno. Tuttavia Me-diobanca continua a cedere! Si sostiene chepotrebbe frantumarsi e che Cuccia non siapiù in grado di dirigere la situazione, qualcu-no trama contro lui. Cuccia allora vola a Ro-ma e s’incontra con Craxi, lo convince a la-sciare le cose come stanno, nell’interesse ditutti. Nessuno dei politici si sente di aggredi-re a viso scoperto Cuccia.

“Ristabilita la situazione a suo vantag-gio, Enrico Cuccia si reca venerdì 27 luglioall’abbazia di Chiaravalle per la messa in ri-cordo di Raffaele Mattioli” (79).

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Il capitalismo italiano nella tempesta

L’attacco di Saddam Hussein al Kuwaitcrea difficoltà sui mercati. La recessione puòrivelarsi catastrofica per l’Italia. GiovanniAgnelli, Carlo De Benedetti, Raul Gardini eLeopoldo Pirelli invocano Cuccia. “Con latempesta Cuccia torna indispensabile. I pro-blemi della FIAT… sono enormi… quellidell’Olivetti… angosciosi. Leopoldo Pirelliarranca (...). Ma la patata che veramentescotta è l’Enimont. Lì sembra in gioco lastruttura stessa del capitalismo italiano (...).

Cuccia ha ...una duplice preoccupazione:evitare l’auto affondamento del “sistema” enon rimettere in discussione il principio del-le privatizzazioni” (80).

Il giorno dell’ottantatreesimo complean-no (24 novembre 1990) di Cuccia, esceun’intervista velenosa contro Mediobancache Carlo Bombieri ha rilasciato al “Corrie-re della Sera”. L’ex collega di Cuccia “ma-stica amaro” per essere stato emarginato e ilsuo insistere sul fatto che Mediobanca hapreso “una strada assai diversa da quella cheavrebbe voluto Mattioli” tradisce una certanostalgia del passato.

“[Cuccia] sa benissimo di non aver segui-to le orme del maestro, ma se lo avesse fat-to, non avrebbe cavato un ragno dal buco: ilmitico maestro venne impallinato dai politi-ci a settantasette anni, mentre lui è ancora alsuo posto, con buone possibilità di restarci alungo” (81).

Nel 1991 Cuccia riesce a salvare la Pirel-li dall’abbraccio mortale con la tedescaContinental; per il salvataggio della Pirelli,Mediobanca ha chiesto un forte aiuto a Sal-vatore Ligresti che, ...nell’agosto 1991, si fascappare di “essere divenuto il primo azio-nista Pirelli, per aiutare Mediobanca che in-tende mantenere la sua regia e che mi hachiesto d’intervenire restando in secondopiano”. Ma “questi giochi non erano piaciu-ti a Torino, agli Agnelli. Pertanto, quandoUmberto Agnelli e Gianluigi Gabetti deci-dono all’inizio del 1992 di conquistare la so-cietà Exor… ritengono di poter fare a menodi Cuccia. Sarà un altro disastro, poiché laLazard si schiera con gli avversari dei tori-nesi. Cuccia, defilatissimo, riuscirà a faticaa reincollare i cocci, facendo in modo cheGiovanni Agnelli e Michel David Weill, il“patron” della Lazard, tornino a stringersila mano (...).

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Tante sono… le spine per Cuccia ma lapiù dolorosa si chiama Salvatore Ligresti” (82).

Ligresti: un’amicizia pericolosa

Ligresti è accusato di rapporti con la ma-fia e per la sua supposta pericolosità, i giudi-ci hanno ottenuto una proroga della sua de-tenzione preventiva. “Nulla emergerà inproposito, ma a Milano, nell’occasione c’èchi ha la lingua molto sciolta. Come PieroBassetti...: “Vorrei… ricordare che il primoa dire che il capo dei mafiosi era Cuccia, so-no stato io...” (“Il Giorno”, 26 ottobre1992). Qualcuno vorrebbe scaricare Ligrestida Mediobanca, per esempio Cesare Romiti,ma Cuccia è irremovibile e afferma “Mara-maldo è la figura storica che più detesto”.

“Ma perché Enrico Cuccia difende contanto accanimento, oltre all’amico Ligresti, ilLigresti-consigliere? Per solidarietà interes-sata, viene spontaneo supporre. In carcere,don Salvatore… mantiene il riserbo...” (83).

Mediobanca “in politica”

Cuccia non ha mai stimato i politici italiani.Desiderava un uomo forte, ma non giungeva.Era stato colpito, inizialmente, da Craxi, peròben presto ne fu deluso. Così cominciò a lavo-rare da sé perché le cose cambiassero. Andò dipersona al “Giornale” di Montanelli, con ilquale era in buoni rapporti sino alla rotturadella primavera 1994, ad apporre la firma per ilreferendum Segni (che avrebbe visto bene co-me primo ministro) sulla preferenza unica. Poiaveva incitato Giorgio La Malfa sulla viadell’opposizione, rompendo una linea che daGiolitti a Mussolini a De Gasperi, aveva fattosì che gli imprenditori fossero per tradizione fi-logovernativi. “Il cambiamento avrebbe potutorealizzarsi con una clamorosa sconfessione delceto politico dominante, resa possibile da unparallelo successo al Nord di repubblicani e le-ghisti. Ne ha… discusso con Giorgio La Malfa,incitandolo ad avere un occhio di riguardo peri sanculotti di Umberto Bossi, il quale gli hafatto una notevole impressione. Costoro met-teranno le fanterie, il PRI gli ufficiali” (84).

Conclusione

A partire dalla “morte” di Enrico Mattei(1962) sembra che in Italia regni un’assenzadi strategie economico-finanziarie alternati-

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ve a Mediobanca. Chi ci ha provato (Sindo-na, Calvi) è stato… “sconfitto”...

“Di finanza, da trent’anni almeno, neesiste una sola: quella di Cuccia” (85). Tutta-via anche Cuccia è un uomo, speciale sì, manon onnipotente ed eterno!

Il Galli ammette: «Anche a Enrico Cuccia...il tentativo di portare l’imprenditorialità in Eu-ropa è riuscito solo parzialmente… Nonostan-te [ciò], Cuccia resta fra i pochissimi, forse l’uni-co [in Italia], a disporre di una strategia (...).

L’ultima volta che ho stretto la mano adEnrico Cuccia è stato il... 27 luglio 1995,nell’abituale scenario dall’Abbazia cistercen-se di Chiaravalle, per il ricordo di RaffaeleMattioli. È arrivato puntuale come al solito...a testimoniare una dimensione umana che...il cinismo professionale, non ha intaccato.Era in splendida forma fisica, e dimostravaalmeno vent’anni in meno... Gliel’ho detto, emi ha sorriso: “Sì, la forma c’è. Come potrei,altrimenti, continuare?”» (86).

Nonostante abbia compiuto novant’anni,il 24 novembre 1997, Cuccia è lucido e contaancora.

“La dimostrazione, eloquente, c’è stataproprio ieri, quando Antoine Bernheim, po-tente presidente delle Generali [di Trieste], siè recato di prima mattina in Mediobanca peravere da lui la benedizione prima di proporrein consiglio la sua strategia per conquistare ilcolosso francese Agf. Il consiglio e il poteredi Cuccia, insomma, contano ancora (...).

Difficilmente, senza l’opera di Cuccia,l’Italia potrebbe oggi presentarsi in Europacon imprese private di un certo peso... Equesto perché è stato lui ad aver eretto, gra-zie alla sua tela di alleanze italiane e inter-nazionali, un bastione inespugnabile per lapartitocrazia” (87).

Note

1) G. GALLI, Il banchiere eretico. La singolare vitadi Raffaele Mattioli, Rusconi, Milano, 1998, pagg. 12-13.

2) Ibid., pag. 13. 3) Nella scuola austriaca fondata da C. Menger e

seguita da von Hayek “L’intervento pubblico è giudica-to più un’interferenza nociva nello spontaneo operaredel mercato che un mezzo utile di politica economica.Nella seconda [scuola keynesiana], invece, l’interventopubblico viene dilatato fino ad essere un ingrediente in-dispensabile per un soddisfacente funzionamento delcapitalismo. (...) Pertanto, nell’opporsi al keynesismo,la scuola austriaca si trova assai prossima al monetari-smo di Milton Friedman... e di von Hayek e altri au-striaci” (SERGIO RICOSSA, Dizionario di economia,UTET, Torino, 1988, pag. 25).

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4) Ibid., pag. 19. 5) Ibid., pag. 23. 6) Ibid., pag. 20. 7) Ibid., pag. 22. Su tale questione cfr. M. BLONDET, Gli Adelphi

della Dissoluzione - Strategie culturali del potere iniziati-co, Ares, Milano, 1994.

Libro molto documentato e interessante, ma “daprendere con le molle”, in quanto vuol combatterel’esoterismo dell’Adelphi, con un’altro tipo di esoteri-smo, soggiacente a tutto il libro.

8) Ibid., pag. 28. 9) Ibid., pag. 31. 10) Ibid., pag. 42. 11) Ibid., pag. 47. 12) Ibid., pag. 51. 13) Ibid., pag. 55. 14) Ibid., pag. 62. 15) Ibid., pag. 62. 16) Ibid., pag. 70. 17) Ibid., pag. 71. 18) Ibid., pag. 73. 19) Ibid., pag. 81. 20) Ibid., pag., 97. 21) Ibid., pag. 130. 22) Ivi. 23) Ibid., pag. 139. 24) Ibid., pag. 140. 25) Ibid., pag. 155. 26) Ibid., pag. 158 e 161. “L’economia sraffiana e l’economia keynesiana

hanno lo stesso bersaglio, che è... l’economia neoclassi-ca. (...) Comunque è facile che un keynesiano sia ancheuno sraffiano... sicché l’economia sraffiana è talvoltafatta rientrare in una più vasta economia post-keynesia-na” (SERGIO RICOSSA, op. cit., pag. 479).

27) Ibid., pag. 162. 28) Enciclopedia dell’Economia Garzanti, Milano,

1992, pag. 1066. 29) G. GALLI, op. cit., pag. 169. 30) Ibid., pag. 196. 31) Ibid., pag. 200. 32) Ibid., pag. 203. 33) Ibid., pag. 207. 34) Ibid., pag. 220. 35) Ibid., pagg. 215-216. 36) Ibid., pag. 217. 37) G. GALLI, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuc-

cia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano,Garzanti, Milano, 1995, pag., 9.

38) Ibid., pag. 9. 39) Ibid., pag. 25. 40) Ibid., pag. 26. 41) Ibid., pag. 27. 42) Ibid., pag. 72. 43) Ibid., pag. 222. 44) Ibid., pag. 30, nota 11. 45) Ibid., pag. 31. 46) Ibid., pag. 32. 47) Ibid., pag. 33. 48) Ibid., pag. 34. 49) Ibid., pag. 35. 50) Ibid., pag. 37. 51) Ibid., pag. 39. 52) Ibid., pag. 41. 53) Ibid., pag. 42. 54) Ibid., pagg., 60-61.

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55) Ibid., pag. 63. 56) Ibid., pag. 79. 57) Ibid., pag. 80 e nota 1 alla stessa pagina. 58) Ibid., pag. 101. 59) Ibid., pag. 101. 60) Ibid., pag. 111. 61) Ibid., pag. 112. 62) Ibid., pag. 117. 63) Ibid., pag. 119. 64) Ibid., pag. 119. 65) Ibid., pagg. 120-121. 66) Ibid., pag. 121. 67) Ibid., pag. 124. 68) Ibid., pagg. 125-126. 69) Ibid., pag. 136. 70) Ibid., pag. 137. 71) Ibid., pag. 140. 72) Ibid., pagg.141-142, nota 6. 73) Ibid., pagg. 142-143. 74) Ibid., pag. 148. 75) Ibid., pag. 150. 76) Ibid., pag. 151. 77) SERGIO RICOSSA, Come si manda in rovina un

Paese. Cinquant’anni di malaeconomia, Rizzoli, Milano,1995, pag. 236.

78) G. GALLI, op. cit., pag. 159.79) Ibid., pag. 190. 75) Ibid., pagg. 190-191. 80) Ibid., pag. 197. 81) Ibid., pag. 209. 82) Ibid., pag. 210. 83) Ibid., pag. 211. 84) Ibid., pag. 242. 85) Ibid., pag. 248. 86) “La Stampa”, 23 novembre 1997, pag. 25. Recentemente i quotidiani hanno scritto: “Grande

finanza... armistizio Mediobanca-Lazard. Bernheim pre-sidente fino al 2001: “Nessuna ombra nei rapporti conCuccia”. Trieste. È scoppiata la pace alle Generali? (...) Ivertici del Leone hanno impiegato energie a profusioneper dimostrare... che non c’è mai stata guerra né all’in-terno della compagnia, né fra i suoi maggiori azionisti,Mediobanca e Lazard. «Mai sentito di nessuna guerra”,ha sottolineato... Antoine Bernheim, presidente confer-mato del colosso triestino. (...) Bernheim, socio gerentedi Lazard, ha quindi aggiunto che è e resta vicepresiden-te di Mediobanca... “Con Enrico Cuccia... sono amico da35 anni e non c’è mai stata un’ombra nei nostri rappor-ti”» (“Il Corriere della Sera”, 28 giugno 1998, pag. 17).

Cfr. anche “La Stampa”, 28 giugno 1998, pag. 19. Inoltre per quanto riguarda le Assicurazioni Gene-

rali, occorre sapere che “Alcune famiglie di vittimedell’olocausto hanno citato in giudizio sette compagniedi assicurazioni europee - fra le quali le italiane “Gene-rali”... - accusandole di aver... compiuto irregolarità supolizze sulla vita contratte tra il 1920 e il 1945. L’azionelegale punta ad ottenere risarcimenti-danni per un am-montare di diversi miliardi di dollari...”. (“La Stampa”,1 aprile 1997, pag. 13).

Conclusione della vertenza: “Il fondo di 12 milionidi dollari costituito dalla società di assicurazione Gene-rali di Trieste in memoria dei suoi assicurati scomparsinell’olocausto è stato presentato ieri a Gerusalemmenel corso di una cerimonia che si è svolta alla Knes-set...” (“La Stampa”, 12 novembre 1997, pag. 14).

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L’ARTE DI UTILIZZARELE PROPRIE COLPE

don Curzio Nitoglia

Introduzione

Èstato ristampato un prezioso libricino,di padre Tissot, che spiega come utiliz-

zare le nostre miserie, per arrivare alla san-tità, alla luce dell’insegnamento di S. Fran-cesco di Sales. Ne proponiamo qui in breve ipassaggi più importanti.

Non turbarsi davanti alle proprie colpe

Il peccato ha una malizia infinita, poichéoffende una Persona infinita: Dio. Esso èl’unico vero male, che solo può mandarciall’inferno. Perciò dobbiamo cercare, conl’aiuto della grazia divina, di non commet-terlo, ma la vita spirituale è lunga, lenta enon priva di aspre lotte e certe volte anchedi cadute, anche per i santi (per esempioDavid e S. Pietro).

Dopo il peccato, il male più grave è ilturbamento dell’anima che ci impedisce diavere un rapporto di amore filiale o di ami-cizia con Dio, che ci ha creati per la felicitàperfetta del Paradiso, e vuole che viviamoserenamente, in pace e con grande fiducia, ilnostro cammino spirituale, malgrado gliostacoli o le cadute. Dio non vuole vederciturbati, in continua pena, affannati per i no-stri difetti; tutto ciò ci renderebbe insoppor-tabile la vita spirituale, ci porterebbe alloscoraggiamento e a ‘gettare la spugna’, men-tre la vita spirituale deve darci la tranquillitàd’animo, anche in mezzo alle tempeste. La-sciarsi inquietare dalle proprie cadute rap-presenta perciò l’inganno più astuto che ildiavolo, il mondo o il nostro orgoglio eamor proprio, ci possano tendere.

S. Francesco di Sales diceva: «Turbarsi,scoraggiarsi, quando si è caduti in peccato,significa non conoscere se stessi». Questonon significa che dobbiamo restare indiffe-renti davanti alle nostre colpe; no, anzi dob-biamo detestarle in quanto offesa a Dio.

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S. Paolo nella sua epistola ai Romaniscrive: “Cosa diremo? Continuiamo a restarenel peccato perché abbondi la grazia? È as-surdo! O forse dobbiamo commettere peccatiperché non siamo più sotto l’antica legge, masotto la grazia di Cristo? Non sia mai!”.

Ma spesso dopo una caduta ci si rattristanon tanto per l’offesa recata a Dio, quantoperché vediamo che siamo ancora deboli,fragili e questo ci infastidisce e ci umilia. Diqui nasce lo scoraggiamento: invece di accet-tare l’umiliazione per rialzarci più ferventi,umili e prudenti, rischiamo o di vivere nega-tivamente la vita spirituale, quasi fosse unatortura, mentre invece è una gioia, oppure dinegare che il peccato sia un male, giustifican-doci: “l’uomo non ha il libero arbitrio quindinon sono io che pecco ma Dio pecca in me”(Lutero). Altre volte l’uomo cerca di far pas-sare la melma del peccato per oro zecchino:“Mediante la trasgressione dei comanda-menti il superuomo si autodivinizza, egli è aldi là del bene e del male, ciò che per il volgoè peccato per l’iniziato è autodivinizzazione”(Nietzsche, Evola e esoteristi vari).

Il cristiano, invece, imita il buon contadi-no, che quando vede le erbacce nel suo ortonon si meraviglia, non si deprime ma armatodi zappa le sradica. Perciò due cose sono ne-cessarie a chi vuole percorrere l’itinerariodella perfezione spirituale: 1°) rassegnarsi avedere crescere cattive erbe nel nostro giar-dino, 2°) armarci di coraggio sereno e fidu-cioso e sradicarle con buona lena.

“Scrupoli e malinconia fuori di casamia!” diceva don Bosco. Infatti non vi è cosatanto funesta per il progresso spirituale chel’orgogliosa sorpresa nel constatare i proprilimiti e le proprie deficienze, che porta alloscoraggiamento triste e malinconico e all’as-suefazione letale.

Questa attitudine sbagliata si manifestapressappoco così: dopo una caduta, appare iltorbido; anche se ci si confessa si continuaad osservarsi, ad esaminarsi ansiosamente, avoler cancellare più perfettamente e profon-damente di quanto abbia fatto la grazia divi-na, le cicatrici e le reliquie del peccato. Si di-venta impazienti e indispettiti con se stessi,in breve si perde la pace che è un frutto del-lo Spirito Santo; eppure “non v’è nulla checonservi tanto i difetti, come l’inquietudine ela fretta di toglierli” (S. Franceso di Sales).Certo bisogna detestare le proprie colpe, macon un pentimento tranquillo, solido, corag-

Vita Spirituale

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gioso, calmo, e mai inquieto, turbato, indi-spettito e scoraggiato.

La falsa umiltà

La causa del turbamento dell’anima è daricercarsi nell’amor proprio ferito, e nella ri-cerca di se stessi anche nella vita spirituale(orgoglio spirituale).

Infatti ci turbiamo perché non siamo an-cora perfetti. Quindi non detestiamo il pec-cato in quanto offesa fatta a Dio, ma inquanto attentato alla stima esagerata cheabbiamo della nostra persona.

La nostra salvezza ha due nemici princi-pali: 1°) la presunzione, quando si è inno-centi, 2°) la disperazione, dopo la caduta.

Bisogna dunque che ci convinciamo checiò che può perderci, più che il peccato con-fessato è l’abbattimento, la sfiducia. Se riusci-remo a non cadere in queste sabbie mobili,andremo di gran carriera verso la nostra santi-ficazione. Se osserviamo coloro che apprendo-no a sciare, vediamo che lo fanno grazie a in-numerevoli capitomboli, ma non per questo siscoraggiano, anzi provando e riprovando, trauno scivolone e l’altro, cominciano pian pianoa sciare su una lieve pendio e solo dopo aver“toccato il suolo” parecchie volte, potrannolanciarsi a tutta velocità su una pista ripida.

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È necessario perciò odiare le nostre col-pe in quanto offendono Dio, ma accettarlecon serenità in quanto ci fan toccare conmano il nostro nulla.

Attenzione alle abitudini

“Alcune cadute gravi, se non sono ac-compagnate da acquiescenza nel male, ossiase non diventano abitudini o vizi, oltre a nonlasciare traccia di sé, non impediscono, dopoil perdono, che l’anima possa recuperare ilposto che aveva raggiunto prima” (S. Fran-cesco di Sales).

Ma anche coloro che fossero vissuti alungo nel male e lontani da Dio non devonodisperare; certo il loro stato è molto gravema non è irreparabile (vedi S. Agostino, S.Maria Maddalena...). Queste anime dovran-no aumentare la loro fiducia nell’aiuto onni-potente e misericordioso di Dio, poiché“nulla è impossibile a chi sa lottare e pre-gare” (S. Agostino). Occorre quindi temeredi diventar superbi a causa dell’innocenza, esperare nell’onnipotenza ausiliatrice di Dioper uscire dalla colpa.

Non tutti i mali vengono per nuocere

Dio permette il male per trarne un benesovrabbondante. Perciò se Dio permettequalche colpa (il rinnegamento di Pietro peresempio) lo fa per umiliarci, utilizzando a talfine le nostre colpe.

S. Bernardo osserva che il letame è unamateria schifosa e rivoltante, tuttavia i con-tadini se ne servono per far produrre agli al-beri frutti più buoni o per far cresere fioriolezzanti. Allo stesso modo, Dio si servedelle nostre colpe, per far produrre alla no-stra anima i frutti delle buone opere.

S. Agostino, commentando S. Paolo chescrive: “Tutto coopera al bene di coloro cheamano Dio”, spiega: “Tutto, anche i peccati,affinché l’uomo possa rialzarsi più umile, piùprudente e più fervoroso”.

Occorre perciò evitare due scogli, quellodei quietisti, secondo i quali “la morale famale” e quello dei perfezionisti che non vo-gliono ammettere neanche l’ombra del mini-mo difetto in sé.

Occorre che la nostra condotta riproducaciò che la nostra bocca confessa, altrimentisaremmo dei “sepolcri imbiancati”, o “mora-listi ipocriti” che predicano bene e razzolano

S. Maria Maddalena penitente (Caravaggio)

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PAPA LIBERIO, S. ATANASIO E GLI ARIANI

don Giuseppe Murro

Molte persone affermano che il S. Ponte-fice può sbagliare. A sostegno di

quest’idea viene spesso chiamato in causa Pa-pa Liberio che secondo costoro avrebbe erra-to nella fede. Prima di studiare il fatto stori-co, ricordiamo che il caso di Liberio venne ci-tato, per negare la giurisdizione suprema el’infallibilità del S. Pontefice, da protestanti,conciliaristi, gallicani e anti-infallibilisti. Sitrova quindi in buona compagnia chi oggivuol riproporre questo esempio per sostenerela tesi secondo la quale il Papa può sbagliare.

L’Editto di Costantino nell’anno 313aveva chiuso il periodo delle grandi persecu-zioni per i cristiani; ma se essi erano ormailiberi di professare la loro fede, sopravven-nero comunque altre difficoltà ad ostacolarela Chiesa. Tra di queste, vi fu il sorgere delleeresie e l’ingerenza del potere temporalenelle cose spirituali.

L’arianesimo

Uno dei dogmi della fede cristiana è ladottrina della Trinità, un solo Dio in tre per-sone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Già nelIII sec. la Chiesa aveva dovuto combatterecontro le eresie trinitarie: alcuni affermava-no che Nostro Signore era un semplice uo-mo, investito dalla potenza di Dio con un’in-tensità eccezionale; altri affermavano che inrealtà Gesù è il Padre stesso, per cui non viera più distinzione personale tra il Figlio e ilPadre. Nel condannare tali eresie, la Chiesaaveva insegnato che Gesù è una persona di-vina, distinta dal Padre. Non fu determinatodal Magistero quale fosse il rapporto precisofra la divinità del Figlio e quella del Padre.Noi sappiamo che sono uguali, hanno lastessa sostanza, hanno gli stessi attributi(onnipotenti, onniscienti, eterni…) benchéle persone restino distinte.

In seguito si era diffusa la tendenza a su-bordinare in qualche modo, pur senza ne-garne la divinità, il Figlio al Padre. Il notopresbitero di Alessandria d’Egitto, Ario,non si limitò solo ad affermare la dipenden-za di natura del Figlio dal Padre, ma giunseperfino a negare al Figlio la natura divina e

male. quindi la morale fa bene, e “la fedesenza le opere è morta” (S. Giacomo).

Invece il perfezionismo blocca ogni atti-vità o sforzo ascetico per pusillanimità opaura di sbagliare.

Le nostre colpe sono dei fari che portano al-la luce le nostre miserie

I nostri peccati si possono tramutare inun’arma potente contro il nostro principalenemico, l’orgoglio. Essi diventano così occa-sione (e non causa) di salvezza e santifica-zione. È per questo che essi vengono para-gonati a dei fari che illuminano l’anima e lefanno vedere la sua miseria.

S. Agostino dice che “Dio sopporta me-glio le azioni cattive accompagnate dal-l’umiltà, che non le opere buone infettatedall’orgoglio”. S. Gregorio Nisseno aggiun-ge: “Un carro di buone opere, ma tirato dal-la superbia, conduce all’inferno, mentre uncarro di peccati, ma condotto dall’umiltà, ar-riva in paradiso”.

In breve la via per giungere all’umiltà so-no le umiliazioni e non c’è umiliazione piùgrande che quella di vedere le nostre mise-rie e di toccarle con mano.

La Madonna “rifugio dei peccatori” e “spe-ranza dei disperati”

Per quanto miserabili siamo, per quantodisperato possa essere lo stato della nostraanima, se ci rifugiamo sotto la protezione diMaria, lei ci adotterà come suoi malati, e sic-come non esistono, su questa terra, malattiespirituali che siano incurabili, e Maria è on-nipotente per grazia, nessuna piaga spiritua-le potrà resisterle, e una volta guariti Mariaci aiuterà ad ottenere la santa perseveranza.

Preghiamo dunque la Madonna, dicen-dole:

“Ricordatevi o piissima Vergine Maria,che non si è mai sentito dire che qualcunoche è ricorso a voi sia stato abbandonato;animato da tale confidenza, io ricorro a voi,non vogliate disprezzare le mie preghiere maascoltatele propizia ed esauditele. Così sia”.

Un libro tutto da meditare!

JOSÉ TISSOT, L’arte di trarre profitto dai nostripeccati, ed. Grafite, Napoli (v. Alcide DeGasperi 55) 1999, pagg. 151, L. 18.000.

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bo): eran questi gli anomei dissimilisti, oanomei aperti, rappresentati da Ezio, Eu-dossio e Acacio.

Coloro che accettavano la formula ho-moios (simile), ma non homoiousios (similenella sostanza): il Verbo era simile al Padresolo in senso relativo e accomodato, comel’immagine riflessa nello specchio è simile achi vi si specchia. “Evidentemente giocavanocon le parole, specialmente dopo che l’ano-meismo aperto fu condannato anche dall’im-peratore” (1); ad essi aderirono gli eusebianie gli acaciani: erano questi chiamati anomeidissimulati o psuedo-similisti o omeisti.

Infine vi erano i similisti, detti comune-mente semi-ariani: ritennero l’homoiousios,cioè che il Verbo è simile nella sostanza alPadre. Rifiutavano la formula del “consu-stanziale”, temendo che inducesse alla sop-pressione della distinzione delle tre Personedivine. “In fondo era un errore di formula enon di fede”, afferma Benigni (1). Certa-mente tra costoro vi furono anche alcuni cheebbero un concetto inesatto di questa somi-glianza, e non avevano pertanto la fede cat-tolica; “ma altri erano cattolici e furono ri-conosciuti dallo stesso intransigente Atana-sio (De synodis, XII) come cattolici ingan-nati da un equivoco di formula e da un equi-voco di opportunismo” (1). Proclamavanol’homoiousios ma non osavano affermarel’homoousios; e così per uno “iota” non af-fermavano integralmente la fede. Come ve-dremo, i vescovi cattolici si sforzarono perfar rientrare questi ultimi nella comunionedella Chiesa cattolica.

Alla corte di Costantino lavorarono consuccesso gli ariani, appoggiati soprattuttodalla sorella dell’imperatore, Costanza. Nel328 gli esuli poterono rientrare in patria ealcuni furono reintegrati da Costantino nelleloro sedi episcopali, da dove erano stati al-lontanati a causa della loro eresia; e così inbreve tempo gli ariani riuscirono a cacciaredalle sedi episcopali i capi del partito “nice-no”, cioè i vescovi cattolici, tra cui Atanasio,divenuto vescovo di Alessandria, mandatoin esilio a Treviri. Addirittura Costantinoaveva già predisposto la solenne riammissio-ne di Ario, senonché quest’ultimo morì im-provvisamente.

Dopo la morte di Costantino, ci furono fa-si alterne nella lotta contro l’eresia: l’Imperovenne diviso tra i figli di Costantino, Costanteche reggeva l’Occidente e Costanzo II

gli attributi divini, come l’eternità e l’essereex Deo, da Dio. Così si esprimevano dueformule principali della dottrina ariana aproposito del Figlio: “Vi fu un tempo in cuiEgli non era” e “Egli è dal non essere”. PerArio il Verbo (Logos) è una creazione delPadre (che l’ha creato dal nulla), creaturaprima o più eminente destinata ad esserestrumento per la creazione degli altri esseri,ma non è Dio. Ario iniziò a diffondere lesue dottrine nel 315 ad Alessandria d’Egitto;il vescovo della città, tenne un grande sino-do nel 318, lo espulse dalla comunione ec-clesiastica e comunicò al Papa Silvestro taledecisione. Ario dovette lasciare la città.

La controversia assunse proporzionisempre più grandi; vi intervenne anche l’im-peratore Costantino il Grande ma in manie-ra indebita e infelice. Venne finalmente ce-lebrato il concilio di Nicea, in Bitinia, nel325, dove fu redatto il famoso Simbolo (oCredo) che viene recitato durante la SantaMessa, in cui si afferma che il Verbo è dellastessa natura del Padre (consustanziale):“Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da veroDio, generato, non creato, della stessa so-stanza del Padre; per mezzo di lui furonofatte tutte le cose in cielo e in terra”. Furonocolpite con l’anatema le principali tesi diArio, e i vescovi a lui favorevoli furono sco-municati e mandati in esilio.

Ma l’arianesimo era stato solo respinto,non vinto. Si era diviso in varie sette e Ario,dopo il suo esilio, aderì a quella degli euse-biani, i quali dichiaravano di non essere av-versi al Concilio di Nicea, ma rifiutavano il“consustanziale”: come se fosse possibile fa-re una cernita nel Magistero della Chiesa. Ilpunto comune di tutte queste sette era l’av-versione al “consustanziale” e la lotta adAtanasio, paladino della fede cattolica. Mase gli ariani erano uniti nell’opporsi al con-sustanziale, come spiegavano il rapporto traPadre e Figlio? “Se il Verbo non è uguale alPadre nella sostanza (homoousios), gli è al-meno simile (homoios) o dissimile (ano-moios)? Il bizantinismo non poteva perderequesta occasione per lavorare di sofismi e disottintesi” (1). Per questo motivo le posizionidi coloro che negavano che la sostanza delVerbo fosse simile a quella del Padre eranodivise in tre fazioni.

Coloro che negavano recisamente ognisimilitudine tra le due sostanze (divina quel-la del Padre, umana e creata quella del Ver-

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l’Oriente, e per alcuni anni vi fu pace. Maquando Costanzo, che aveva in gran simpatiagli ariani, divenne unico imperatore in seguitoalla morte del fratello, la lotta si riaccese e co-minciarono le persecuzioni. “Di mano in ma-no che i pericoli dello stato sce-mavano, in Costanzo ri-prendeva forza la smaniadei concili e delle contro-versie teologiche” (2). Nel351 si tenne un Sinodo aSirmio (l’attuale Mitrovic-za) in Pannonia, dove risie-deva allora l’imperatore, evenne stabilito un simbolodi fede (prima formula sir-miana) nel quale si tacevache il Padre e il Figlio sonodella stessa sostanza. Ursa-cio e Valente, i due vescoviariani più faziosi, divenne-ro i consiglieri teologicidell’imperatore: i vescovifedeli alla fede di Nicea fu-rono privati delle loro sedi,S. Paolo di Costantinopolivenne esiliato ed ucciso.

Ma il nemico di sempreera Atanasio: bisognavacacciarlo dalla sua diocesi.Morto Giulio I nel 352, gliariani fecero pressioni sulnuovo Papa, Liberio, affin-ché scomunicasse Atana-sio. Liberio esaminate leprove, non solo rifiutò, madichiarò Atanasio inno-cente da ogni colpa; chiesequindi all’imperatore diriunire un concilio genera-le ad Aquileia. Ma Costan-zo fece svolgere il Concilionel 353 nella città dove luirisiedeva in quel momen-to, Arles, con l’evidenteintento di dirigerlo con lasua influenza. Furono con-vocati anche i vescovi del-le Gallie, ma il sinodo eraguidato praticamente dai vesco-vi ariani: non fu presentata nes-suna delle questioni teologiche allora discus-se, ma solo un decreto già preparato checonteneva la condanna di Atanasio. I legatipapali cercarono di opporsi inutilmente: Va-

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lente, uno dei due vescovi ariani consiglieridell’imperatore, riuscì a presentare con de-strezza il documento, e l’imperatore minac-ciò di destituire ed esiliare i vescovi occiden-tali se non avessero firmato le decisioni del

sinodo. Così tutti i vescovi,l’uno dopo l’altro, firmaro-no, compreso il legato pon-tificio, Vincenzo da Capua,ingannato e malmenato; sirifiutò invece Paolino diTreviri, che venne esiliatoin Frigia dove in seguitomorì. Il papa Liberio rima-se addolorato per la defe-zione dei vescovi e del suolegato (3). Quindi inviò al-l’imperatore una lettera incui ribadiva con fermezzal’innocenza di Atanasio, idiritti della Chiesa, la sco-munica per gli ariani, e lanecessità di riunire un con-cilio.

Nel frattempo Costan-zo fece uccidere suo cugi-no Gallo, che governaval’oriente, per timore chevolesse rendersi indipen-dente da lui. Quando giun-se la notizia della morte diGallo, la corte si rallegròcome di una vittoria, adulòl’onnipotenza dell’impera-tore e Costanzo stesso sifirmava con i titoli di si-gnore del mondo e eterno.“I vescovi ariani, che nega-vano questa qualità al Fi-gliolo di Dio, non si vergo-gnarono di darla al vano eridicolo Costanzo” (4).

Il Concilio di Milano

Nel 355 Costanzo volleriunire un Concilio a Mila-no, presenti oltre trecento

vescovi d’occidente. “Conquesto sinodo ebbe inizio unaumiliante tragedia che macchiò

assai gravemente l’imperatore, il quale nontollerò la minima opposizione alla sua vo-lontà e si lasciò trasportare da misure semprepiù dure” (5). Liberio convinse S. Eusebio di

Sant’Atanasio

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Vercelli a parteciparvi, nella speranza di fartrionfare la fede cattolica. Ma a Milano, gliariani fecero attendere per dieci giorni siaEusebio che i legati pontifici, senza iniziare ilconcilio, per organizzare meglio le loro mac-chinazioni. Difatti all’apertura del Concilio,essi vollero che si cominciasse con la condan-na di Atanasio; i cattolici guidati dai vescoviS. Eusebio, Lucifero di Cagliari e S. Dionigidi Milano risposero che bisognava prima sot-toscrivere il simbolo di Nicea, per assicurarsidella cattolicità dei presenti. Ne uscì fuori ungran trambusto: il popolo udendo il chiassoaccorse, e scandalizzato cominciò a deplorarela mancanza di fede dei vescovi ariani. Questiultimi temendo il peggio, si rifugiarono nelpalazzo dell’imperatore. Costanzo decise al-lora di trasferire le sedute successive nel suopalazzo, invece che nella chiesa ove era ini-ziato, e con le minacce ottenne lo stesso risul-tato di Arles. Gli ariani lessero un editto diCostanzo pieno zeppo delle loro eresie. Nonessendo riusciti a farlo accettare, Costanzofece venire i tre oppositori, Lucifero, Eusebioe Dionigi e chiese loro, in nome della sua au-torità di imperatore, di firmare la condannadi Atanasio. Ma i tre vescovi si rifiutaronofermamente, anche se minacciati di morte.Costanzo allora li mandò in esilio, mentreUrsacio e Valente fecero picchiare il diaconoIlario che accompagnava Lucifero. Così lamaggior parte dei vescovi firmò per debolez-za o per sorpresa la condanna di Atanasio.Chi non firmò, fu calunniato, cacciato subitodalla sua sede o poco tempo dopo (6).

Eusebio fu mandato in Palestina, Lucife-ro in Siria, Dionigi in Cappadocia. Papa Li-berio scrisse loro una lettera: “Quale confor-to posso darvi, diviso come sono tra il doloredella vostra assenza e la gioia della vostragloria? La miglior consolazione che possaoffrirvi è quella che vogliate considerarmiesiliato con voi. Oh quanto avrei desiderato,dilettissimi fratelli, di essere immolato io pri-ma di voi! (…) Io supplico dunque la vostracarità di credermi presente con voi, e di pen-sare che il mio maggior dolore è di vedermiseparato dalla vostra compagnia” (7). Questodesiderio di Liberio si realizzerà poco tempodopo. Gli ariani infatti sapevano che peravere un successo definitivo, bisognava cer-care di strappare il suo consenso.

Nel frattempo dei messi imperiali furonoinviati presso i vescovi assenti per ottenere inqualsiasi modo la loro firma: ma nelle Gallie

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trovarono una forte opposizione con a capoS. Ilario di Poitiers. Per aggirarla, venne riu-nito un sinodo a Béziers nel 356, e S. Ilariofu costretto a parteciparvi: la firma alla con-danna di Atanasio fu carpita con la violenzae le minacce alla maggioranza dei vescovi. Sirifiutarono solo S. Ilario e Rodanio di Tolo-sa, che furono esiliati in Frigia (8).

Liberio e Costanzo

L’imperatore pensò quindi di inviare aLiberio un suo messo, l’eunuco Eusebio, condei doni per ottenerne il favore e nel con-tempo per chiedergli di aderire alla condan-na di Atanasio ed essere in comunione congli ariani. Al rifiuto dei doni, Eusebio siadirò e addirittura minacciò aspramente Li-berio; quindi andò nella chiesa di S. Pietro evi depose i suoi doni. Quando Liberio loseppe, s’indignò con il guardiano che li ave-va accettati, e fece gettare fuori quell’offertaprofana.

Tornato Eusebio a Milano, Costanzoscrisse al governatore di Roma, Leonzio, af-finché conducesse Liberio a Milano con lebuone o con le cattive. Un gran terrore sisparse per Roma: molte famiglie furono mi-nacciate, parecchi dovettero fuggire, le por-te della città erano sorvegliate, insomma, sivolle isolare il Pontefice. Anche Roma co-nobbe la violenza degli ariani, di cui fino adallora aveva soltanto sentito parlare. InfineLiberio venne rapito di notte, per timore delpopolo che l’amava.

Giunto a Milano, Costanzo gli diedeudienza o piuttosto l’interrogò, davanti al suoconcistoro ed in presenza di stenografi che neregistravano le parole. «L’imperatore volevache Liberio sancisse ad occhi chiusi la condan-na di Atanasio. Ma Liberio mantenne saldoquel principio romano che la Sede Apostolicanon condanna se non i processati e giudicatida lei… Nel suo colloquio con il cesare, il pa-pa chiese un processo ecclesiastico per Atana-sio, “poiché non può farsi che noi condannia-mo uno di cui non si è fatta la causa”. Costan-zo replicò una verità ufficiale: che “tutto ilmondo lo ha condannato”. Liberio rispose:“Quelli che sottoscrissero la sua condanna,non guardarono alle cose fatte, ma soltanto altuo favore da conquistare o al tuo corruccio oalmeno alla cattiva fama da sfuggire presso dite” (…). Allora il tiranno stringeva: “Questosolo ti si domanda (di condannare Atanasio);

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perciò pensa alla pace, e sottoscrivi perché tupossa tornare a Roma”. Eroica fu la rispostadi Liberio: “A Roma ho già detto addio ai fra-telli; importa più osservare le leggi della Chiesache abitare a Roma”» (9). Costanzo gli lasciòtre giorni per riflettere, ma due giorni dopo,visto che il Pontefice non mutava parere, lomandò in esilio a Berea nella Tracia. Era l’an-no 356. Appena uscito Liberio, Costanzo glifece pervenire 500 soldi d’oro per le sue spe-se, ma Liberio rispose a chi le portava: “Ren-dile all’imperatore, che ne ha bisogno per isuoi soldati”. Lo stesso fece l’imperatrice e Li-berio nel dare al latore la medesima risposta,aggiunse che se l’imperatore non ne aveva bi-sogno, li donasse ai vescovi ariani che lo cir-condavano, i quali certamente ne avevano bi-sogno. Anche l’eunuco Eusebio gli offrì deldenaro, ma Liberio gli disse: “Tu hai rese de-serte tutte le chiese del mondo e m’offri un’ele-mosina come ad un condannato! Và, e comin-cia con il farti cristiano” (10).

La persecuzione

Appena partito il papa, Costanzo fecemettere al suo posto come vescovo di RomaFelice II, antipapa. Nonostante questi accet-tasse il Concilio di Nicea, per il solo fattoche era in comunione con gli ariani il popoloromano non volle entrare nella chiesa di cuiaveva preso possesso.

La persecuzione cominciò in tutto l’im-pero. Gli ariani convinsero Costanzo che oc-correva che il vecchio Osio (3) firmasse an-che lui la condanna di Atanasio. Dopo unoscambio di epistole, ove Osio affermò la fe-de nicena e ricordò come Atanasio era statosempre riconosciuto innocente da tutte lefalse accuse mossegli dagli ariani, l’impera-tore lo mandò in esilio a Sirmio. Quindi fu-rono inviati dappertutto dei ministri di Co-stanzo con ordini minacciosi: ai vescovi, af-finché firmassero la condanna di Atanasio ecomunicassero con gli ariani, sotto pena dibando, prigionia, castigo corporale e confi-sca dei propri beni; ai giudici, affinché faces-sero eseguire tali ordini ai vescovi. Per dipiù, i ministri di Costanzo erano accompa-gnati da chierici di Valente e Ursacio, chedenunciavano i giudici più negligenti. Cosìavvenne che molti vescovi furono condottidavanti ai giudici per firmare la condanna diAtanasio. Chi si rifiutava di firmare, dopoun po’ di tempo era accusato di un qualsiasi

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delitto (calunnia, bestemmia…) e quindimandato in esilio, mentre il suo posto erapreso da un ariano.

Nel frattempo Costanzo inviò delle trup-pe ad Alessandria con l’ordine di prendereAtanasio: queste entrarono a mezzanotte nel-la chiesa dove Atanasio celebrava un officionotturno della vigilia di una festa. Il vescovonon volle muoversi finché tutti i fedeli non sifossero messi in salvo, ed allora - quando or-mai la maggior parte fu al riparo - alcuni deisuoi chierici lo presero con la forza e lo fece-ro fuggire. Atanasio si nascose per parecchiotempo, dapprima ad Alessandria e poi nel de-serto. Al suo posto venne nominato Giorgiodi Cappadocia, mentre in tutto l’Egitto co-minciava la persecuzione dei vescovi cattolici.Giorgio, il nuovo vescovo di Alessandria, sicomportava con tal crudeltà, che anche i pa-gani se ne lamentarono con l’imperatore. Icattolici di Alessandria si riunivano ormaifuori della città: accadde una volta che men-tre erano riuniti in un cimitero, vi giunse uncapitano, Sebastiano, con tremila uomini ar-mati mandato dagli ariani, e questi fece ac-cendere un gran fuoco minacciando di farvibruciare chi non volesse seguire la fede degliariani. Poiché le minacce non atterrirono icattolici, Sebastiano li fece battere con ver-ghe uncinate, così che molti morirono per lesofferenze e i loro corpi furono gettati ai cani;i fedeli onorarono questi confessori della fedecome martiri. Giorgio, a causa della sua cru-deltà, dovette andar via da Alessandria unaprima volta; in seguito, ritornatovi, venne uc-ciso durante una sollevazione di pagani.

Costanzo a Roma: liberazione di Liberio

Nell’aprile del 357 Costanzo, che nonaveva mai visto Roma, vi fece il suo ingressosolenne. Le matrone romane di nobili e ric-che famiglie supplicarono insistentementel’imperatore di restituire a Roma il suo pa-store: Felice comunicava con gli ariani, glidissero, e nessun romano entrava in chiesaquando lui vi si trovava. Ma Costanzo“adottò un provvedimento assai bizantino”:dopo aver promesso che le avrebbe esaudi-te, diede poi ordine che a Roma vi fosseroallo stesso tempo Liberio e Felice. Al che ilpopolo, “che non era bizantino e non volevabizantinerie”, venutone a conoscenza, men-tre era nel circo ad assistere ai giochi, gridò:“Un solo Dio, un solo Cristo, un solo vesco-

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vo!” (11). Quando in seguito Liberio potétornare a Roma, il popolo l’accolse trionfal-mente e poco dopo cacciò Felice.

Papa Liberio proclamò esclusi dalla co-munione ecclesiastica quelli che non ammet-tevano una totale somiglianza, nella sostanzae in tutto il resto, del Figlio con il Padre, riaf-fermando così la fede cattolica integralmente.

La “caduta” di Osio

Il vecchio Osio ormai centenario, trovan-dosi in esilio a Sirmio, maltrattato e ferito,venne nuovamente avvicinato dagli ariani nel357. Si dice che fu convinto a firmare una for-mula di fede (seconda formula sirmiana), nel-la quale non solo si taceva del consustanziale,ma anche del “simile”; tuttavia egli rifiutò disottoscrivere la condanna di Atanasio. Que-st’ultimo afferma di Osio: “Cedette agli aria-ni un istante, non perché credeva che noi era-vamo colpevoli, ma solo perché non sopportòi maltrattamenti a causa della debolezza dellasua vecchiaia” (12). S. Febadio, vescovo diAgen, ne stigmatizzò il fatto, per mostrare aicattolici di non farsi impressionare da questacaduta tanto vantata dagli ariani: “…Ci op-pongono il nome di Osio, il più antico di tuttii vescovi, quegli la cui fede fu sempre tantosicura; ma rispondo che non si può usare l’au-torità di un uomo che ora si inganna o si èsempre ingannato… Se ora difende ciò checondannò in passato, la sua autorità non vale;infatti se egli ha creduto male per quasi no-vant’anni, io non stimerò che creda bene do-po novant’anni… L’autorità del giusto non losalverà s’egli cada una volta nell’errore” (13).

Non si può affermare con certezza cheOsio abbia ceduto: occorre tenere presenteche il fatto della sua caduta fu raccontatodagli ariani che lo tenevano prigioniero epoi fu ripreso dai discepoli di Lucifero diCagliari e Gregorio di Elvira, di tendenza ri-gorista, che raccontarono poi delle leggendecontro Osio (14). Comunque, se egli firmòveramente la seconda formula sirmiana, lofece in un momento in cui la sua volontànon era libera, trattandosi di un uomo quasicentenario, maltrattato ed esiliato.

Divisione fra gli ariani

L’ala estrema della fazione ariana, i dis-similisti, tennero un concilio ove venne con-dannata l’espressione di simile nella sostan-

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za (tenuta invece dai similisti), con il prete-sto che così era stato affermato nella secon-da formula sirmiana. Contro di loro i simili-sti (o semi-ariani) tennero un concilio adAncira, in cui scomunicarono chi negava cheil Figlio è simile al Padre nella sostanza, macondannarono il termine “consustanziale”.Inviarono poi una deputazione guidata daBasilio d’Ancira ed altri a Sirmio, ove eral’imperatore, per presentargli questa profes-sione di fede, privata però dell’articolo checondannava il consustanziale. L’imperatore,che aveva appena approvato i dissimilisti, siritrattò, diede nuovi ordini e minacciò gravipene per chi non si fosse ricreduto come lui.Questo dimostra la faciloneria e la leggerez-za con cui Costanzo trattava di argomentigravissimi.

Inoltre convocò un altro concilio a Sirmionel 358, in cui prevalsero i semi-ariani: il con-cilio ebbe un carattere anti-ariano, vennecondannata la seconda formula di Sirmio,venne escluso il termine “simile nella sostan-za”, come pure il termine “consustanziale”(terza formula di Sirmio). In questo conciliodunque si fece un passo in avanti nella con-danna dell’arianesimo, anche se la dottrinacattolica non era esposta pienamente.

S. Ilario che si trovava in esilio, scrisse inquesto periodo il De Synodis, in cui lodava ipartecipanti al Concilio d’Ancira, chiamando-li dilettissimi fratelli, per aver condannato laseconda formula di Sirmio. Spiegava loro chenon dovevano aver paura del termine “consu-stanziale”, poiché esso non toglieva la distin-zione tra le persone divine ed il Concilio diNicea l’aveva utilizzato. S. Ilario sperava divenire ad un chiarimento con i semi-ariani.

L’epilogo

A questo punto Costanzo volle riunireun nuovo concilio, ma gli ariani dissimilistilo convinsero a farne due, separando i ve-scovi occidentali dagli orientali. Si trattavadi concili convocati dall’imperatore (chenon era neanche battezzato ma catecume-no), e in cui il papa non era stato interpella-to. Nel 359 si riunirono dunque a Riminiquasi cinquecento vescovi rappresentantil’occidente e a Seleucia circa centottanta perl’oriente. Gli ariani si erano già riuniti a Sir-mio per preparare i documenti: là venne ste-sa la quarta formula sirmiana, in cui si ban-diva il termine di “sostanza” e si diceva che

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il Figlio è simile al Padre in tutto. Aperto aRimini il concilio, dopo varie dispute i ve-scovi rigettarono questa formula e riconfer-marono i decreti di Nicea; Ursacio e Valen-te, che non volevano firmare i decreti, furo-no condannati e deposti. Il concilio inviòdieci legati all’imperatore, ma questi, circon-dato com’era solo da ariani, tergiversò fin-ché giunse a far firmare agli stessi legatiun’altra formula (a Nice in Tracia, città scel-ta espressamente per farla confondere conNicea della Bitinia), che ricalcava la quartaformula sirmiana (sopprimendo “in tutto”)e la fece portare a Rimini per essere accetta-ta. I Vescovi ormai stanchi di essere là dapiù mesi, l’accettarono in gran maggioranza,certuni apponendo delle aggiunte alla lorofirma. Ma il popolo insorse per la prevarica-zione avvenuta ed allora, nella chiesa dove ivescovi erano riuniti, fu fatta una professio-ne di fede generale ad alta voce, ma soloorale: in essa l’errore ariano era condanna-to, tuttavia la fede cattolica non era afferma-ta in modo tale che l’errore fosse completa-mente smentito. Valente e Ursacio, spergiu-ri, non ebbero difficoltà ad unirsi a questaprofessione di fede orale, facilitati anchedalle formule ambigue: in realtà la loro pro-

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fessione era fatta solo con le labbra. PapaLiberio condannò il concilio di Rimini.

Il concilio di Seleucia era stato dominatodai semi-ariani; ma gli omeisti se ne separa-rono e ricorsero all’imperatore che imposeloro la stessa formula di Rimini. La protestadei semi-ariani fu vana, anzi molti di essi fi-nirono in esilio.

Costanzo era deciso a riportare ad ognicosto entro l’anno 360 la pace religiosa; per-ciò inviò l’ordine ai vescovi di firmare la for-mula di Rimini, soprattutto nell’oriente.Questa formula doveva ormai sostituirequella di Nicea, la fede ariana era l’unicaconfessione cristiana ammessa. Anche letribù germaniche cominciarono a convertirsiall’arianesimo omeista. Fu allora che S. Gi-rolamo esclamò: “Il mondo, gemendo, stupìdi trovarsi ariano”.

Fine della persecuzione

Dopo aver condannato il concilio di Ri-mini, Papa Liberio offrì ai vescovi, che ave-vano firmato la formula, di poter ritrovare lacomunione ecclesiastica a condizione di ri-trattare: molti di loro erano stati vittime diinganni; ma il Papa non fece tale offerta agliautori del testo, conoscendo la loro malafe-de. L’occidente fu più risparmiato dalla per-secuzione dell’oriente, dato che nel 360 S.Ilario poté riunire un sinodo dei vescovi del-le Gallie a Parigi, ove fu condannata la for-mula di Rimini, e in Spagna Gregorio d’Elvi-ra non aveva aderito alla formula di Rimini.

Furono gli avvenimenti politici ad arre-stare il trionfo dell’arianesimo. Costanzomorì nel 361, dopo aver ricevuto il battesi-mo da un vescovo ariano; suo cugino Giulia-no l’apostata aveva preso il potere, e pergettare maggior confusione (sperava chenuove lotte tra ariani e non-ariani avrebberofavorito il paganesimo) aveva fatto rientrarenelle loro sedi tutti i vescovi esiliati. AncheS. Atanasio tornò ad Alessandria ove nel362 tenne un sinodo che approvò il credo diNicea, condannò gli ariani, ma usò clemenzaverso i semi-ariani (cosa che provocò la di-sapprovazione di Lucifero di Cagliari, il qua-le in seguito sembra che fece scisma) (15).

Morto Giuliano, Valentiniano I divenneimperatore d’occidente (364-375), e suo fra-tello Valente, che favorì gli ariani dissimilisti,fu imperatore in oriente (364-378): nuova-mente furono mandati in esilio i cattolici, tra

L’imperatore Costanzo II

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cui Atanasio, ed anche i semi-ariani; una dele-gazione di questi ultimi andò a Roma, dove fuaccolta da Papa Liberio. Egli chiese e ottenneda loro il ripudio della formula di Rimini, laprofessione della fede di Nicea, e quindi li ac-cettò in comunione. Molti vescovi semi-arianiritornarono così nell’unità con Roma.

Liberio morì nel settembre del 366, Ata-nasio nel 373. Dopo la morte di Valente lafede di Nicea trionfò anche in oriente difesadai tre grandi Cappadoci: S. Basilio, S. Gre-gorio di Nazianzo e S. Gregorio di Nissa.Durante l’impero di Teodosio il Grande(379-395), sotto il pontificato di S. Damaso sitenne nel 381 a Costantinopoli il ConcilioGenerale dell’Oriente, che in seguito fu rico-nosciuto come secondo Concilio Ecumenico.La fede di Nicea fu riconfermata, l’arianesi-mo e le eresie affini vennero definitivamentecondannate. L’arianesimo sopravvisse anco-ra qualche tempo presso le tribù germaniche,come religione nazionale, osteggiata da S.Ambrogio, finché tramontò quando la tribùgermanica dei Franchi aderì al cattolicesimo.

La “caduta” di Papa Liberio: il racconto deitesti

In seno alle controversie tra cattolici, se-miariani, ariani, si colloca il problema della“caduta” di Papa Liberio: se risultasse vera,proverebbe che un Papa non è infallibile,dando ragione agli anti-infallibilisti. Moltiautori affermano che il papa sarebbe statoliberato dall’esilio a causa di una sua conces-sione: avrebbe firmato una formula di fede odecisamente ariana o ambigua, o avrebbeaccettato di essere in comunione con gliariani, o avrebbe condannato S. Atanasio.

L’episodio della caduta di Liberio è di-scusso dagli storici: abbiamo visto che gliariani e Costanzo avevano tutto l’interesse afarlo cedere, e perciò lo mandarono in esi-lio. È vero che capitolò per ottenere la sualibertà? “Molte e molto diverse sono state lesoluzioni date a questa domanda, nelle qua-li, è giusto dirlo, appare molte volte la ten-denza dei rispettivi storici” (16). Ogni storicodeve oggettivamente ricercare i fatti e i do-cumenti, provarne l’autenticità, e poi fareuna critica che non forzi ciò che è conformealla sua opinione, né tacere ciò che la con-traddice. Inoltre deve, per quanto può, dareuna risposta a tutte le questioni e i dubbi; làdove non può, deve onestamente dire che,

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allo stato attuale, non è in grado di sapernedi più. Vediamo innanzitutto i fatti, comesono illustrati dall’Enciclopedia Cattolica.

“S. Atanasio nell’Apologia contra Aria-nos, scritta nel 350 e ampliata verso il 360,menziona Liberio tra i vescovi a sé favorevo-li; però aggiunge che non ha sopportato sinoalla fine le privazioni dell’esilio (cap. 8);nell’Historia arianorum ad monachos, scrittaverso la fine del 357, dice che Liberio dopodue anni di esilio, vinto dalle minacce di mor-te, vacillò e sottoscrisse (cap. 41). Ambedue ipassi sembrano indicare, nel loro contesto,che la colpa consistesse nell’abbandono diAtanasio. S. Ilario, nell’invettiva lanciata nel360 contro Costanzo, scrive di non sapere sel’Imperatore commise maggior empietànell’esiliare Liberio o nel rimandarlo [a Ro-ma] (Contra Costantium, cap. 2). S. Girola-mo, sia nel Chronicon (Ad an. Abr., 2365 =352) che nel De viris illustribus (cap. 97), par-la di sottoscrizione di una formula eretica. Ilprimo documento della Collectio Avellananel riportare la risposta di Costanzo alle ri-chieste dei Romani: “Avrete Liberio miglioredi come è partito”, commenta: “Ciò indicavail consenso con cui aveva ceduto alla perfi-dia”. Rufino finalmente riferisce, senza farsua l’una o l’altra, le due versioni correnti; delritorno comprato da Liberio con l’acquie-scenza alla volontà imperiale, o dovuto all’ac-condiscendenza di Costanzo alle richieste delpopolo romano (Hist. eccl. I, 27).

È evidente che al momento del ritornodi Liberio a Roma correva la voce che Libe-rio avesse ceduto in qualche cosa a Costan-zo. Lo storico greco Sozomeno, che scrive subuone informazioni nel sec. V, dice che Li-berio avrebbe acceduto ad una delle formu-le di Sirmio, d’accordo con Basilio d’Anciraper rimettere la pace in Oriente e ritornarea Roma (17).

Rimangono però quattro lettere che Li-berio avrebbe scritto dall’esilio e sono con-servate nei Fragmenta di S. Ilario di Poitiers;in esse Liberio si mostra preoccupato di scin-dere la sua responsabilità da quella di S.Atanasio e di ottenere a qualunque costo ilritorno a Roma. La disputa sulla loro auten-ticità è tutt’altro che chiusa, e recentementefu notato che “la mancanza del cursus veloxe delle altre caratteristiche proprie del perio-dare di Liberio rendono molto improbabilel’opinione di coloro i quali sostengono che lequattro lettere aritmiche furono dettate dal

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Papa” (18)… Merita di essere ricordata l’os-servazione di P. Battiffol: “Liberio ed Ilarioavevano tesa la mano a Basilio d’Ancira;nessuno ne fece rimprovero ad Ilario; dovre-mo trattar meno bene Liberio?” (19).

Vediamo le ipotesi prospettate dagli au-tori ecclesiastici.

Prima ipotesi: non vi fu caduta

Gli storici che difendono Liberio, affer-mando che non ci fu nessuna caduta, addu-cono i seguenti argomenti.

1) La caduta di Liberio può essere statainventata dagli ariani: la calunnia infatti erail loro sistema preferito per eliminare gli av-versari. Più volte l’utilizzarono contro S.Atanasio e contro i vescovi che non firmava-no le loro formule di fede o la condanna diAtanasio (nascosero in un convento il vesco-vo Arsenio, e poi accusarono il santo diaverlo fatto uccidere; fuggito dal convento,il vescovo si mostrò pubblicamente, congrande confusione degli ariani).

A conforto di questa ipotesi vi è il fattoche se Liberio avesse veramente ceduto, gliariani si sarebbero imbaldanziti, avrebberosbandierato la notizia ai quattro venti: comemai si comportarono diversamente dalle lo-ro abitudini? Anche da parte cattolica vi sa-rebbero state condanne, lamentele, ramma-rico, come fece S. Febadio per la caduta diOsio. Non troviamo praticamente nulla diquesto.

Inoltre se si ammette che la caduta diOsio fu così ben inventata dagli ariani che S.Atanasio vi credette, è possibile che il santoabbia creduto erroneamente anche alla ca-duta di Liberio.

2) La “caduta” di Liberio narrata da S.Ilario, S. Atanasio, S. Girolamo e Filostor-gio può essere stata: o qualcosa di contrarioalla fede o qualcosa di ambiguo.

Nel 401 circa, il Papa S. Anastasio I scri-ve a Venerio vescovo di Milano e affermache l’Italia vincitrice conservava integra lafede trasmessa dagli Apostoli, mentre Co-stanzo vincitore otteneva il dominio delmondo. Fu conservata immacolata la fede diNicea, egli dice, dai vescovi che sopportaro-no l’esilio, quali Dionigi, Liberio di Roma,Eusebio di Vercelli, Ilario della Gallia emolti altri pronti ad essere crocifissi piutto-sto che affermare che N. S. Gesù Cristo èuna creatura (20).

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L’affermazione di Anastasio è conferma-ta dai fatti. Se Liberio avesse accettato qual-cosa di contrario alla fede, ad esempio laprima o la seconda formula di Sirmio, gli al-tri vescovi cattolici avrebbero protestato, sisarebbero rammaricati o l’avrebbero ammo-nito: non abbiamo la minima notizia di qual-cosa del genere, neanche dai più “duri” qua-li Lucifero di Cagliari o Gregorio di Elvira.

Quanto all’ipotesi che Liberio abbia ac-cettato un testo ambiguo, come ad esempiola terza formula di Sirmio (ciò è affermatoda Sozomeno) (21), o qualcosa del genere, leeventuali condanne - se sono autentiche -dei suoi contemporanei S. Ilario e S. Atana-sio dobbiamo riconoscere che furono esage-rate e intempestive. Infatti il primo lodò, co-me abbiamo visto, Basilio di Ancira (22) acausa della stessa formula, e il secondo ac-cettò in seguito formule simili a questa, conparole meno esplicite di “consustanziale”,per ricondurre alla fede i semi-ariani. È giu-sto il commento di P. Battiffol, che pure eraun modernizzante: “Liberio ed Ilario aveva-no tesa la mano a Basilio d’Ancira; nessunone fece rimprovero ad Ilario; dovremo trat-tar meno bene Liberio?”.

I testi

I difensori di Papa Liberio aggiungonopoi altri argomenti.

Non si è certi dell’autenticità e veridicità dimolti testi che parlano della caduta di Liberio.

Vi sono seri dubbi sulle quattro lettereriportate da S. Ilario (Opus historicum, Li-bro II, frammenti IV e VI): in esse Liberio siritirerebbe dalla comunione con S. Atana-sio, chiederebbe la fine dell’esilio, indirizze-rebbe una petizione a Valente e Ursacio, eaddirittura avviserebbe un vescovo del suocambiamento di atteggiamento. Come si ègià visto, in esse la mancanza del cursus ve-lox mostra la non-autenticità dell’Opus.Inoltre dell’Opus historicum esistono soloalcuni frammenti sparsi in disordine: “Tuttiquesti frammenti sono stati estratti dal-l’Opus historicum prima della fine del IVsec., e molti hanno potuto subire un’interpo-lazione, specialmente le lettere di Liberio(Libro II), la cui autenticità è lungi dall’esse-re certa” (23). Ma anche il testo è inverosimi-le: se Liberio era veramente così cambiato,come mai i romani poterono accettarlo, loroche rifiutavano Felice perché in comunione

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con gli ariani? Come mai Liberio non venneinvitato al Concilio di Rimini? Se la prigio-nia era stata capace di piegarlo una volta,perché gli ariani non ritentarono di convin-cerlo nuovamente con le stesse “maniere”?Con qual coraggio poteva in seguito Liberioscrivere ai vescovi d’Italia, trattando con fer-mezza quelli che avevano ceduto a Rimini?

S. Atanasio parla della caduta di Liberioin due opere, nell’Apologia contra arianosscritta nel 348 e nell’Historia arianorum admonachos, scritta verso la fine del 357. Laprima fu dunque scritta circa dieci anni pri-ma dell’esilio di Liberio. Si afferma che vi èstato un ampliamento dell’opera da partedell’autore; ma si può anche pensare ad in-terpolazioni da parte ariana. La seconda fuscritta addirittura prima della supposta cadu-ta di Liberio! Il falso è stato scoperto da undettaglio: si parla infatti dell’ariano Leonziocome vivente. Invece si sa che già da tempo,da quando Costanzo era passato per Roma,la notizia della sua morte era pervenutaall’imperatore, cioè molto tempo prima chevenisse dato l’ordine di liberare il papa (24).

Quanto a S. Girolamo, vissuto qualcheanno dopo, può essere stato vittima di erro-re o nel riportare ciò che gli ariani avevanodiffuso o nel ritenere giusti i giudizi affretta-ti di S. Ilario e S. Atanasio. Difatti affermache Liberio firmò una formula eretica: mal’assenza di una reazione da parte ariana ecattolica, esclude questa possibilità. Questoè ammesso dagli storici più recenti.

Quanto alla testimonianza di Filostorgio,essa non ha valore: era infatti un ariano fa-zioso che raccontò molte storie inventate di

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sana pianta, specie contro Atanasio, dicendoche avrebbe comperato il favore di Costantecon regali, avrebbe causato la ribellione diMagnenzio contro di lui e avrebbe istigatol’assassinio di Giorgio di Alessandria… (25).

Altre prove dell’innocenza di Liberio

La caduta di Liberio venne sostenuta dagliavversari del Papato, ugualmente da Bossuetnella Difesa della dichiarazione gallicana, incui si negavano il privilegio della giurisdizioneuniversale e dell’infallibilità del S. Pontefice.Ma Bossuet nell’ultima revisione di quell’ope-ra tolse tutto ciò che si riferiva a papa Liberioperché non ne aveva le prove (26).

Socrate e Teodoreto attribuiscono la finedell’esilio di Liberio alle insistenze dei ro-mani, i quali accolsero poi trionfalmente Li-berio a Roma, il che sarebbe in contraddi-zione con una eventuale sua caduta.

Lo storico Rufino, discepolo di Origene,scrisse verso la fine del IV sec.: “Liberio ve-scovo della città di Roma, ritornò in patriaquando Costanzo era ancora in vita; ma nonso con certezza se Costanzo glielo consentìperché aveva sottoscritto, o per compiacereal popolo romano che l’aveva supplicato inpunto di partenza” (27). Ora Rufino era diAquileia, e certamente aveva conosciuto ilvescovo di quella città, Fortunanziano, a cuisi attribuisce la caduta di Liberio. Nonostan-te questo, Rufino non ha notizie certe, am-mette di dover conservare lui stesso il dub-bio. Se Liberio avesse ceduto, vi sarebberostate testimonianze di ariani; se avesse poifatto una ritrattazione, non sarebbe passatasotto silenzio. Rufino non avrebbe avutodifficoltà a trovare prove: invece, dopo ap-pena quaranta anni, non ne trova alcuna perrisolvere il suo dubbio.

Gli orientali considerarono Liberio comecolui che aveva sempre conservata pura lafede: così S. Basilio, S. Epifanio, S. Siricio. S.Ambrogio lo chiama pontefice di beata esanta memoria. Fu onorato come santo dagliantichi martirologi latini, che fissarono la fe-sta il 23 o il 24 settembre; i greci, i copti e glietiopi la fissarono al 27 agosto (28).

Seconda ipotesi: Liberio accettò un compro-messo

I sostenitori di questa posizione afferma-no che considerate le testimonianze concor-

Papa Liberio

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di di S. Ilario, S. Atanasio, S. Girolamo, cuisi aggiunge la Collectio Avellana, non si puònegare la caduta di Liberio: vinto dalle sof-ferenze dell’esilio finì per cedere. Probabil-mente fu una breve caduta perché, rientratoa Roma, protestò nuovamente la fede catto-lica. Però la sua reputazione ne fu sminuitatanto che, finché Costanzo visse, non lo si vi-de più, essi dicono, al centro della polemicaariana (29).

Per la maggior parte degli autori, affer-ma Llorca-Villoslada-Laboa, egli firmò laterza formula di Sirmio, come aveva ipotiz-zato Sozomeno: “Liberio cedette ai suoi av-versari ammettendo la formula che gli pre-sentarono. Questo supponeva che non ab-bandonava in nessuna maniera la causa dife-sa con tanto ardore; però era uno zoppicarenella fede… Lo stesso Atanasio, poco piùtardi, usò lo stesso sistema con il fine di at-trarsi i semi-ariani e avere con loro un ac-

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cordo” (30). Ma queste parole sembrano darragione a P. Battifol: nessuno ha mai rim-proverato per un simile accordo né S. Ilario,né S. Atanasio, campione della fede: perchéper Liberio costituirebbe una caduta?

Quanto all’opinione che Liberio fu mes-so da parte, dopo il ritorno a Roma, per cuinon compì più nulla di rilevante nella lottaall’arianesimo, essa è per lo meno discutibi-le. Difatti rientrato a Roma, scomunicò chinon riconosceva la somiglianza in tutto traPadre e Figlio; in seguito condannò il Conci-lio di Rimini e accettò poi i Vescovi nella co-munione. Ed anche a proposito di questoconcilio, inizialmente i vescovi, finché furo-no liberi, in gran maggioranza (quattrocentocontro ottanta) confessarono la fede di Ni-cea e condannarono Ario. Se Liberio fossecaduto, come poté l’episcopato resistere confede ferma, proprio quell’episcopato che inprecedenza ad Arles e a Milano aveva cedu-to? Infine non bisogna dimenticare che inquel momento infieriva la persecuzione, tut-ti i cattolici erano ostacolati e la libertà diazione di Liberio era senza dubbio limitata.

Terza ipotesi: Liberio cadde nell’eresia

Le parole del Papa S. Anastasio che ab-biamo riportato ci danno la certezza che Li-berio conservò sempre la fede (31). Tuttaviapotrebbe aver firmato una formula eretica,ingannato in buona fede, oppure spinto dal-la violenza, senza aderirvi interiormente: sitratterebbe quindi di un’eresia materiale,oppure una mancanza nella testimonianzadella fede da parte di Liberio.

Si è già visto che sono gli anticattolici, se-guendo la testimonianza di S. Girolamo, asostenere che Liberio avrebbe sottoscritto laprima o la seconda formula di Sirmio. D’al-tra parte abbiamo visto che il silenzio degliariani, le poche testimonianze cattoliche etutto quanto detto per le due ipotesi prece-denti sembrano a più forte ragione esclude-re anche quest’ultima.

Soluzione del caso

La sana filosofia insegna che ogni attoumano ha valore se è compiuto liberamente,cioè se è scelto dalla volontà del soggetto. Cipossono essere a volte degli ostacoli che im-pediscono il libero esercizio della volontà,per cui la responsabilità dell’atto è diminuita

Il sogno di papa Liberio

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o completamente tolta: più un atto è impor-tante e grave, tanto più richiede ampia li-bertà per la sua validità. Un contratto firma-to perché si è minacciati di morte, non hanessun valore.

Un atto del Magistero della Chiesa, peressere tale, richiede il massimo della libertàdel soggetto che lo promulga, dato che è unatto di estrema importanza. Infatti insegnaquali sono le verità da credere per ottenerela salvezza, questione di gravissima impor-tanza per la vita degli uomini sulla terra. Undocumento pontificio estorto con la forzanon ha nessun valore.

Il Papa Liberio si trovava in esilio nel358 quando ottenne la libertà. Senza volerentrare nel dettaglio delle ipotesi viste so-pra, qualunque cosa egli abbia fatto o detto,o sotto la pressione dei persecutori o co-munque in stato di prigionia, non ha nessunvalore per la Chiesa, non è un “atto del S.Pontefice”.

A questo punto la questione della cadutaappare come di secondaria importanza. IlPapa difatti non ha usato del suo Magistero.Vera o non vera la caduta, se ha firmato ono cose eretiche o ambigue, poco importa: ilPapa non era libero e qualunque cosa abbiapotuto dire o fare, impegnava solo se stesso,la sua coscienza, la sua persona, non la Chie-sa universale. Il Papa difatti non ha il privi-legio dell’impeccabilità, e può commettereatti contrari alla legge di Dio: ma ciò può ac-cadere quando agisce in tanto che personaprivata, come uomo, non quando insegnaper mezzo del Magistero rivestendo l’auto-rità di Sovrano Pontefice.

Se Liberio sia caduto in quanto uomo èdifficile dirlo vista la discordanza dei testi.Ma certamente Liberio in quanto Papa nonè caduto: prima dell’esilio egli affermò chia-ramente la fede (come nel colloquio con Co-stanzo), al punto che finì prigioniero, e dopol’esilio ugualmente riaffermò la fede, con-dannando l’errore di chi non accettava laformula “simile nella sostanza e in tutto alPadre”. Questo ci basta per risolvere la que-stione. Comunque siano andate le cose inBerea nella Tracia, esse riguardano la perso-na e la coscienza di Liberio. Anche in queglianni terribili di eresie e di persecuzioni laChiesa di Nostro Signore Gesù Cristo di-morò pura e senza macchia, e il SovranoPontefice conservò l’infallibilità per confer-mare i suoi fratelli nella fede.

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Note

1) U. BENIGNI, Storia Sociale della Chiesa, vol. II DaCostantino alla caduta dell’Impero romano Tomo I,Vallardi Milano 1912, pagg. 239-40.

2) ROHRBACHER, Storia Universale della Chiesa Cat-tolica, vol. 3°, libro 33°, Torino 1859, pag. 734.

3) Liberio si lamentò di queste defezioni con vari ve-scovi, tra cui l’anziano Osio, vescovo di Cordoba, cheaveva partecipato al Concilio di Nicea.

4) ROHRBACHER, op. cit., pag. 738.5) KARL BAUS, EUGEN EWIG, Storia della chiesa,

L’epoca dei Concili, diretta da H. Jedin, Jaca Book1980, pag. 45.

6) ROHRBACHER, op. cit., pag. 739-740.7) LIBERIUS, Epist. VII, Patrologia, Migne t. VIII, p.

1356. ROHRBACHER, op. cit., pag. 741.8) KARL BAUS, EUGEN EWIG, op. cit., pag. 46.9) U. BENIGNI, op. cit., pag. 241-3.10) ROHRBACHER, op. cit., pag. 744-745.11) U. BENIGNI, op. cit., pag. 244-5, che cita: SOCRA-

TE, l. 2 c. 37. TEODORETO, H. E., II, 17; SULP. SEV. II,XLIX. Vedi anche: ROHRBACHER, op. cit., pag. 789.

12) S. ILARIO, De syn. 11, 43, 8. SOZOM. Hist. Eccl. 4,12. Citati da LLORCA, VILLOSLADA, LABOA, Historia dela Iglesa Catolica, I Edad Antigua, B.A.C. 1990, pag. 414.

13) Bibl. Patrum, t. 4. Citato da ROHRBACHER, op.cit., pag. 790.

14) LLORCA, VILLOSLADA, LABOA, op. cit., pag. 414.15) Gli autori non sono daccordo se lo scisma venne

iniziato da Lucifero oppure dai suoi seguaci dopo la suamorte.

16) LLORCA, VILLOSLADA, LABOA, op. cit., pag. 411.17) Cfr. nota 21): si tratterebbe della terza formula

di Sirmio.18) FR. DI CAPUA, Il ritmo prosaico nelle lettere dei

papi, Roma 1937, pag. 240.19) Enc. Cattolica, voce “Liberio” col. 1270-120) Epist. “Dat mihi”, D. S. 209.21) SOZOMENO, HE 4, 14-15. Citato da KARL BAUS,

EUGEN EWIG, op. cit., pag. 49-50.22) Ilario nel Trattato “De Synodis” chiama i semi-

ariani “fratelli” e “uomini santissimi”.23) F. CAYRÉ, A. A., Patrologie et Histoire de la

Théologie, Tome I, Desclée 1953, pag. 412.24) ROHRBACHER, op. cit., pag. 788 e 790.25) U. BENIGNI op. cit., pag. 234-241. Filostorgio è

autore di una storia ecclesiastica, di cui ci restano fram-menti scelti da Fozio.

26) ROHRBACHER, op. cit., pag. 789.27) RUFINO, Hist. Eccl. I, 127. Citato a P. ALBERS S. J.,

Manuel d’histoire ecclésiastique, Paris 1919, T. I, pag. 189.28) ROHRBACHER, op. cit., pag. 745; vol. 4°, libro 35°,

pag. 27.29) KARL BAUS, EUGEN EWIG, op. cit., pag. 49.30) LLORCA, VILLOSLADA, LABOA, op. cit., pag. 412-3.31) Per un cattolico, l’insegnamento del Papa signifi-

ca certezza assoluta, per cui ogni fedele è tenuto ad ab-bracciare anche in foro interno la dottrina insegnata.

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Ho letto con attenzione, anzi, ho centelli-nato l’ultimo numero di “Sodalitium”;

come spesso accade, molto non mi tornadi quanto vi si afferma e può essere un li-mite mio di comprensione, mi scuso. Maquesta volta una cosa mi ha particolarmen-te colpito e mi spinge a scriverLe in propo-sito. Nell’articolo di P. Torquemada sullavicenda di Alleanza Cattolica e dintorni,viene citato, tra gli autori “bestia nera” cheispirarono l’esoterismo di Cantoni & C, an-che il nome di Donoso Cortes (pp. 19ss)accomunato tra gli altri a quello di de Mai-stre, la cui affiliazione peraltro era gia’ statadenunciata da don Curzio.

Ora, non che io sia uno sfegatato so-stenitore del Cortes (l’unica cosa che neconosco e’ quanto riportato da Cammilleriin “Elogio del Sillabo”), ma la stima di moltiamici sacerdoti nei suoi confronti mi haspinto a cercare nell’articolo i motividell’opposizione verso questo autore daparte di P. Torquemada; certamente la se-de non era quella adatta per dimostrarel’intrinseca malizia degli scritti di Cortes(pesante e’ a questo proposito quanto det-to a p. 23!), ma non ho trovato proprio nul-la che giustificasse una simile ostilita’.

Lettera firmata

DONOSO CORTES Padre Torquemada

Caro amico,non mi stupisco della sua stima

incondizionata per D.C. se lo conosce soloattraverso Rino Cammilleri, uno scrittoreper tanti versi lodevole, ma legato stretta-mente ad Alleanza Cattolica.

Nel pensiero di Donoso Cortes si possonodistinguere due periodi, quello liberale equello cattolico. Dò per scontato che non siapprovi il liberalismo: oggetto del contendereè, dunque, il pensiero cattolico posteriore al1848, espresso soprattutto col famoso Saggiosul liberalismo, il cattolicesimo e il socialismo.

Questo Saggio, secondo l’enciclopediacattolica, “risente delle idee della scuola tra-dizionalista di De Maistre e De Bonald, che

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tanto influì col processo interiore del Cortesal momento della sua conversione” (voceDonoso Cortes). Alla voce “Tradiziona-lismo”, la stessa enciclopedia include il D.C.tra gli autori “tradizionalisti”. Loro tesi èche “una rivelazione primitiva fu assoluta-mente necessaria al genere umano, non soloper acquisire le verità di ordine sovrannatu-rale, ma anche delle verità soprasensibili, cioèdelle verità fondamentali di ordine metafisi-co, morale e religioso: esistenza di Dio e con-cetto di essere, spiritualità e immortalitàdell’anima, vita futura, legge morale obbliga-toria, ecc. Tale rivelazione giunge ad ogniuomo per tradizione, cioè attraverso l’inse-gnamento orale e sociale, che deve essere ac-cettato per fede: la società è l’organo della ri-velazione primitiva. Indipendentemente dallarivelazione divina, l’uomo non può averenessuna vera conoscenza”. Queste tesi furo-no condannate da Gregorio XVI e Pio IX, epoi dal Vaticano I, da S. Pio X (Pascendi egiuramento antimodernista) e Pio XII (Hu-mani generis).

Il Saggio di D.C. fu corretto - su doman-da dell’autore - da un monaco di Solesmes,Padre Du Lac. “Questi - scrive Allegranell’introduzione al Saggio - vi aveva trovatoaffermazioni che dal punto di vista stretta-mente cattolico potevano essere interpretatecome estreme se non proprio erronee, e inuna lettera all’autore, consigliò di corregger-le” (p. 30). “Il pensiero di D.C. non sarà capi-to - scriveva il benedettino -; verrà accusatodi abbracciare i sistemi condannati di de laMennais e di Bautain, di sopprimere ogni di-stinzione tra fede e ragione, tra ordine natura-le e ordine sovrannaturale” (p. 52, nota 9).

A torto? Leggiamo D.C., anche dopo lesuddette correzioni! Quanto alla confusionetra naturale e sovrannaturale: “il sopranna-turale è sopra di noi, fuori di noi, dentro dinoi. Il soprannaturale abbraccia da ogni par-te il naturale, e lo penetra in profondità” (p.124). Quanto all’incapacità della ragione aconoscere le verità anche naturali: “c’è in-compatibilità tra l’uomo che ha perduto lasua condizione di grazia e la verità. Tra laverità e la ragione umana, a partire dalla ca-duta dell’uomo, Dio ha posto una ripugnan-za, una avversione invincibile. (...) Tra la ra-gione umana e l’assurdo, invece, esiste unaaffinità segreta, una parentela strettissima. Ilpeccato li ha uniti in un matrimonio indisso-lubile” (p. 106). Lutero allo stato puro!

✍ Lettere

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Senza la ragione, ogni conoscenza puòvenire solo dalla rivelazione primitiva, dellaquale si trova traccia in tutti i popoli: “Dioera unità nell’India, dualismo nella Persia,varietà in Grecia, moltitudine a Roma. Il Diovivo è uno nella sua sostanza, come quelloindiano; molteplice nella sua persona, comequello persiano; diverso negli attributi, comegli dèi greci; infine, per la varietà degli spiritiche lo servono (dèi) è moltitudine, alla ma-niera degli dèi romani. (...) le teologie umanealtro non erano che frammenti mutili dellateologia cattolica e che gli dèi delle nazionialtro non erano che la deificazione di alcunedelle proprietà essenziali del vero Dio, quellodella Bibbia” (pp. 66-67).

Purtroppo, D.C. fu attaccato da un certoabbé Gaduel, messo avanti dal vescovo libe-rale Dupanloup. I buoni lo difesero, perchépapalino e antiliberale, i cattivi lo attaccaro-no, per lo stesso motivo; ma anche gli amicidella Civiltà Cattolica dovettero ammettereche qualche volta l’autore “non recò nei suoiscritti quella aggiustatezza e precisione di vo-caboli che toglie agli avversari ragionevolepretesto di cavilli e di censura” (anno IV, vol.II, p. 187).

Terminerò citando ampiamente un am-miratore di D.C., Menéndez Pelayo, nellagiustamente celebre Historia de los hetero-doxos espanoles (libro VIII, cap. III, pp.384-386 ed. 1951): “Nessuno si ricorda ormaidegli attacchi esagerati dell’abbé Gaduel cheobbligarono Donoso a ricorrere reverente-mente alla Sede Apostolica. Però anche am-messa la esagerazione e cattiva volontà delcritico, non è neppure possibile canonizzare(e non lo difende neppure nessuno dei suoistessi ammiratori e amici) le audaci novità diespressione usate da Donoso trattando deli-catissimi punti di teologia, come neppure lesue opinioni ideologiche apprese da unascuola che non è certamente quella di sanTommaso o quella di Suarez, bensì un’altrascuola sempre sospettata, e per molti da evi-tare, che la Chiesa non ha fatto altro - al mas-simo - che tollerare richiamandola all’ordineripetutamente, in un modo così chiaronell’ultimo Concilio [Vaticano I] che ormainon sembra più lecito difenderla se non congrandi attenuazioni. Insomma, DonosoCortès era discepolo di de Bonald, era ‘tradi-zionalista’, nel più rigoroso senso della paro-la, sembrando in lui detto tradizionalismoancora più crudo a causa delle sue esagera-

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zioni d’espressione tipiche dei meridionali.Incidit in Scyllam, cupiens vitare Charibdym.Per lo stesso modo che precedentemente ave-va idolatrato la ragione umana, adesso giun-se a farsene beffe e vilipenderla, rifugiandosiin uno scetticismo mistico. Dall’estremo diaccordare alla ragione lo scettro del mondo,giunse in seguito all’altro estremo di negarel’efficacia d’ogni discussione, fondandosi nelsofisma che l’intelletto umano è fallibile, co-me se la fallibilità, cioè il potersi ingannare,porti con sé l’ingannarsi sempre forzatamen-te e necessariamente. Saranno sempre intolle-rabili nella penna di un filosofo cattolico, an-che se prese come figure retoriche e licenze dilinguaggio, frasi come queste (e non sono leuniche): ‘Tra la ragione umana e l’assurdoc’è una segreta affinità, una strettissima pa-rentela... L’uomo prevaricatore e caduto nonè stato fatto per la verità, né la verità per l’uo-mo prevericatore e caduto. Tra la verità e laragione umana, dopo la prevaricazionedell’uomo, Dio ha messo una ripugnanazaimmortale e una repulsione invincibile’. Cio-nonostante, a scusante di Donoso, bisognadire che forse la sua parola lo trascina dove ilsuo pensiero non avrebbe voluto arrivare, eche quando in maniera così rude disprezza eabbatte la nostra povera ragione, non cercaaltro che aumentare le nebbie e le cecità, ladebolezza e la miseria che caddero su di essadopo il primo peccato. È però certo che, pre-se le frasi come suonano, esse fanno capireche Donoso Cortès negava in assoluto le for-ze della ragione per cogliere e comprenderele verità dell’ordine naturale. Dire che ‘la ra-gione segue l’errore ovunque vada, come unamadre affezionata segue, ovunque vada, fos-se pure nell’abisso più profondo, il figlio delsuo seno’ significa oltrepassare i terminid’ogni ragionevole licenza oratoria, fino a in-giuriare il Sommo Autore che ordinò la ra-gione alla verità e non all’errore. Forse che,quando un filosofo Gentile giungeva conl’uso della ragione a riconoscere la spiritua-lità dell’anima o l’esistenza di Dio, la sua ra-gione andava dietro all’assurdo con affinitàinvincibile? Dove andremmo a finire perquesta strada!? Per quanto le orgie parla-mentari e i giornaletti proudhoniani possanoaver eccitato Donoso contro la discussione,non gli era lecito e conveniente (ne quid ni-mis) riprendere le desolate tristezze di Pascalo la tesi di Mons. Huet de imbecillitate mentishumanæ.

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Altre cose suonarono male nel Saggio.Erano improprietà nel linguaggio teologico,sempre scusabili nella penna di un laico nonabituato a trattare materie così alte, o alzate digenio e disinvoltura di stile, e pertanto perico-lose da imitarsi. Alcune volte diceva: ‘[vedi fra-se già citata pag. 61 primo §]’. Altre volte so-steneva che ‘Gesù Cristo non ha vinto il mon-do con la santità della sua dottrina, coi miraco-li o con le profezie, bensì malgrado tutte questecose’. Disastro dello stile oratorio che va dietroa una immagine, a una espressione originale,al paradosso o all’ingeniosità, e che per fare ef-fetto non teme di sacrificare l’esattezza e la pre-cisione alla brillantezza. Parlando di uominidella statura di Donoso si può dire senza infin-gimenti tutta la verità. La parte metafisica, laparte di filosofia prima, non è la parte più feli-ce del Saggio. Si può e si deve metterla in di-scussione quasi interamente, e probabilmentenon esiste tra i cattolici spagnoli una personache la difenda e la professi integralmente. An-che la stessa dottrina della libertà umana vieneesposta da Donoso in termini peregrini chepossono indurre in errore il lettore poco atten-to. Donoso si mantenne quasi estraneo alla re-staurazione della scolastica: la sua educazioneera francese, le sue principali letture (erano) dipubblicisti di quella nazione; da quì la man-canza di rigore del suo linguaggio. Ciò cherende immortale il suo libro è la parte (dedica-ta) alla filosofia sociale. (....) Completanol’opera cattolica di Donoso la sua polemica colduca de Broglie e la sua lettera al cardinal For-nari sulla parentela e i collegamenti esistenti trale moderne eresie. Ma mi esprimo male, non lacompletano; la miglior corona di quella vita,troncata prima di giungere al tramonto, la mi-glior opera ed il miglior esempio di Donoso fula sua santa morte avvenuta a Parigi il 3 mag-gio 1853. Dio ci conceda di morire così, pursenza aver scritto il Saggio”.

Oggi, possiamo forse portare un giudiziopiù severo di quello di Menendéz Pelayo sul-la dottrina (non sulla persona) di D.C.; laconfusione tra naturale e sovrannaturale - ri-proposta da de Lubac - la negazione del valo-re della ragione umana sostenuta dal moder-nismo, il mito della “tradizione primitiva”rinnovato dal Guénon e dai suoi emuli ren-dono gli errori di D.C. più attuali e quindi piùpericolosi che nel passato. Ancora una volta,quindi, si conferma che le edizioni Rusconi diCattabiani & Zolla avevano avuto buon fiu-to... (dal loro punto di vista!). Cordiali saluti.

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IL CASO PRIEBKE

Introduzione

Mario Spataro ha scritto un interessantelibro, ben documentato, sul caso

Priebke. Nel presente articolo porgerò allettore qualche elemento di tale opera, invi-tandolo allo studio attento del libro (2 tomidi 1300 pagine complessive) e specialmentedelle sue numerose e dettagliate note.

L’attentato

A Roma, il 23 marzo del 1944, alle 14,30,i partigiani comunisti fanno scoppiare unabomba mentre passa un battaglione di poli-ziotti altoadesini, che ha il compito di man-tenere la quiete pubblica, nell’Urbe occupa-ta dai tedeschi.

Al momento della deflagrazione, muoio-no 25 poliziotti e, successivamente, durantela notte, ne muoiono altri 12, e poi altri an-cora cosìcche il totale dei morti sale a 46.

Hitler

Il Führer viene informato del fatto il 23marzo alle ore 16, e alle 16,30 dà l’ordine difucilare 50 italiani per ogni poliziotto uccisoe di far saltare in aria il quartiere Tiburtinodi Roma. Alle 19,45 del 23 marzo Hitler dàun nuovo ordine, che siano fucilati 10 italia-ni per ogni poliziotto ucciso (33 fino alle ore20 del 23 marzo). La fucilazione avviene nel-la notte tra il 24 e il 25 marzo.

La conta dei morti

Il mattino del 25 marzo ci si accorge chesono state fucilate 335 persone, e non 330, co-me era stato stabilito, ma siccome nel frattem-po i morti sono saliti a 46, i tedeschi non riten-gono opportuno di passare la notizia al tribu-nale militare per accertare eventuali responsa-bilità. Queste risultarono poi essere da attri-buire agli italiani, in quanto il commissario Al-lianello aveva preparato una lista di 50 nomi,mentre i secondini consegnarono 55 persone.

Recensioni

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Priebke poteva disobbedire?

In Germania sin dal 2 agosto del 1934 gliimpiegati statali e i militari dovevano presta-re giuramento di obbedienza incondizionataa Hitler, mentre le SS (di cui faceva partePriebke) dovevano prestar giuramento diobbedienza usque ad mortem.

Ora l’efficienza di un corpo armato con-siste nell’esecuzione degli ordini, infatti nonsi può fare una guerra con l’intenzione divincerla, se gli ordini non vengono eseguiti.

Inoltre quando Kappler chiamò gli uffi-ciali tedeschi per l’esecuzione disse che chinon voleva obbedire poteva mettersi nellefila di coloro che dovevano esser fucilati.

Il processo Kappler

Nel 1948 ebbe luogo il processo; Kapplervenne condannato per aver fatto fucilare 5persone in più (335 e non 330), anche se laresponsabilità non era stata sua.

Tutti i sottoposti di Kappler, compresoPriebke, vennero assolti il 21 luglio 1948,per la circostanza attenuante di aver obbedi-to ad un ordine.

L’assurdo giuridico del processo aPriebke consiste nel fatto che venne condan-nato nel 1996 per tutti i 335 fucilati mentreera stato assolto nel 1948, e inoltre vennecondannato a una pena superiore a quellainflitta al suo comandante Kappler.

L’estradizione dall’Argentina

In Italia il reato di genocidio non cade inprescrizione, ma ciò vale solo a partire dal1967, grazie ad una legge non retroattiva diquell’anno. Perciò il fatto delle fosse ardea-tine del 1944 non poteva essere giudicatocome genocidio non prescrittibile in Italia.Priebke, in breve, non poteva essere giudi-cato per genocidio in Italia, poiché il suo“crimine” risaliva al 1944 e la legge sul ge-nocidio datava al 1967. Quindi doveva esser-lo per omicidio.

Allora siccome in Argentina, ove risiede-va Priebke sin dal 1948, il genocidio non ca-deva in prescrizione sin dalla seconda guerramondiale, mentre il reato di omicidio cadein prescrizione dopo 15 anni dal fatto, l’Ar-gentina concesse l’estradizione per genoci-dio (imprescrittibile in Argentina) e non peromicidio (che era caduto in prescrizione in

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Argentina 15 anni dopo il 1944). Nonostanteciò l’Italia non lo processò per genocidio,reato per il quale era stato estradato, ma peromicidio plurimo che in Italia non cade inprescrizione e per il quale è previsto l’erga-stolo, se non vi è nessuna circostanza atte-nuante, per esempio un ordine ricevuto. Ta-le attenuante, che fu riconosciuta a Norim-berga e a Roma nel 1948, non lo è stata perPriebke nel 1996!

L’attentato di via Rasella

Persino il tribunale che condannò Kap-pler nel 1948, non riconobbe la legittimitàdell’attentato di via Rasella. Infatti la con-venzione internazionale dell’Aja (1907) ri-conosce come combattenti legittimi gli ap-partenenti alle forze armate o le personeche portino almeno chiari segni distintivi diguerra, come, ad esempio, armi ben visibili.

Ora la bomba nascosta in un carretto del-la spazzatura da un partigiano vestito da net-turbino non è un’arma visibile. Perciò l’atten-tato di via Rasella è illegittimo, secondo il tri-bunale militare, poiché compiuto di nascosto.

Militarmente la rappresaglia doveva averluogo, altrimenti quanti altri attentati terroristi-ci ci sarebbero stati dopo il 23 marzo del 1944?

Ogni comandante che deve presidiareuna città occupata, deve salvaguardare i suoisoldati da eventuali attentati provocati dacombattenti non legittimi. La rappresaglia èuna triste, crudele necessità di guerra. Altri-menti il comandante dovrebbe attendereche i terroristi uccidano tutti i suoi soldati epoi anche lui!

Il diritto internazionale

Secondo il diritto internazionale la rap-presaglia non è illegittima, anche se si ri-sponde ad un’ingiustizia con un’altra ingiu-stizia (qualora la rappresaglia sia fatta su de-gli innocenti).

Solo un eccesso di rappresaglia costitui-sce una violazione del diritto internazionale.

La convenzione dell’Aja (1907) prevedela rappresaglia, ma non la regolamenta, valea dire non dà un esempio di proporzioni darispettare. Nel diritto internazionale si stabi-lisce perciò che non ci deve essere una spro-porzione evidente tra il numero delle vitti-me e il numero dei giustiziati, ma non si dàun criterio che regoli la proporzionalità.

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Il diritto internazionale e via Rasella

1°) Le vittime della rappresaglia non fu-rono soltanto soldati, ma anche civili, anchese la maggior parte di essi erano detenuti perreati comuni o politici, in quanto partigiani.

Ma, secondo la convenzione dell’Aja(1907) uno stato belligerante (nel caso no-stro l’Italia) è responsabile per tutti gli atticommessi dalle sue forze armate. Ora il con-cetto di forza armata deve essere inteso nelsenso più vasto, quindi i volontari di un mo-vimento di resistenza, anche non riconosciu-to, rappresentano le forze armate.

Perciò la stato italiano, secondo la con-venzione dell’Aja, è responsabile di questacategoria di “forze armate” che furono ipartigiani.

2°) Si disputa se semplici cittadini di unostato nemico (l’Italia), non coinvolti in atti-vità belliche, possano essere oggetto di rap-presaglia. Secondo le leggi allora in vigore larisposta è sì. Il diritto internazionale ammetteil concetto di responsabilità collettiva. Perciòil singolo cittadino può essere, secondo il di-ritto internazionale vigente nel 1944, oggettodi rappresaglia, in quanto per il concetto diresponsabilità collettiva ogni singolo cittadi-no (nel caso nostro, italiano) è responsabile.

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I 5 ostaggi fucilati in eccedenza

Sappiamo già, che per errore dell’auto-rità italiana, furono consegnati ai tedeschi 55ostaggi e non 50, dimodoché i fucilati furono335 e non 330.

Però nella notte tra il 24 e il 25 marzo,morirono altri poliziotti altoadesini, e il gior-no successivo (25 marzo) ne morirono altriancora, per cui il totale dei morti fu di 46, ilche avrebbe dovuto comportare una rappre-saglia di 10 a 1, secondo gli ordini di Hitler,e vi sarebbero stati 460 fucilati alle ardeatinese Kappler non avesse tenuta nascosta lacifra reale a Hitler.

Ora secondo il diritto internazionale, larappresaglia non è regolamentata quanto al-la proporzione, occorre solo non giungeread un’evidente sproporzione rispetto al nu-mero delle vittime dell’attentato.

Quindi ammesso e non concesso che vifurono 5 fucilati in più, ciò non costituisceun’evidente sproporzione, infatti avremmosu 33 morti 335 fucilati, ma il diritto interna-zionale non dice che la proporzione debbaessere di 1 a 10.

L’eccidio delle ardeatine fu davvero disumano?

Il diritto di guerra è, per forza di cose, uncompromesso tra i principii della necessitàmilitare e il senso di umanità. Una leggemarziale fondata solo sul senso di umanitàsarebbe bellicamente inefficace.

Alle ardeatine fu trovato un modo diesecuzione il meno disumano possibile; in-fatti la fucilazione non avvenne in pubblico,ma “intra muros”. Gli ostaggi furono sceltitra militari o civili già detenuti, in quantoappartenenti alla resistenza. Si calcola chegli innocenti rastrellati in via Rasella dopo ladeflagrazione furono 10-12. Secondo il dirit-to inglese, per fare un esempio, la rappresa-glia deve colpire gli innocenti per essere effi-cace (anche se è moralmente colpevole), seinvece colpisce solo dei colpevoli equivalead una condanna a morte.

Le proporzioni applicate dai vincitori dellaseconda guerra furono di 25 a 1 per la Fran-cia, di 50 a 1 per l’URSS, di 200 a 1 per gliUSA. Perciò la rappresaglia nazista in via Ra-sella, messa a confronto con quelle fatte daivincitori, non rappresenta un eccesso evidentedi proporzionalità, ammesso che la matemati-ca non sia un’opinione anche per gli sconfitti.

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Quindi Erich Priebke è vittima di unaevidente ingiustizia giuridica.

Un caso scottante: il “nazi-gold”

L’avvocato Taormina ebbe a dire: “Cosasi cela dietro questa improvvisa riaperturadel caso Priebke?”.

Ebbene il libro di Mario Spataro, dimo-stra con fatti e documenti, che dietro la per-sona Priebke , scelta come capro espiatorio,si celano dei fini diversi che fanno capo aduna manovra internazionale.

Infatti alcune organizzazioni internazio-nali (B’nai B’rith, Anti Defamation League,il Congresso Ebraico Mondiale, i centri Wie-senthal) si sono messi in moto nel 1994, per-ché entro il 31 gennaio del 1999, i patrimonisequestrati dai nazisti agli ebrei e finiti, pro-babilmente, nelle banche svizzere, se non so-no reclamati dagli eredi o da qualche associa-zione che abbia credito, possono essere inca-merati definitivamente dalle banche svizzere.Ora mancando gli eredi, è necessario trovaredelle organizzazioni che li rappresentino, eche godano di credito presso l’opinione pub-blica; esse sono soprattutto i centri Wie-senthal e il Congresso Mondiale Ebraico.

Ecco spiegata la vastità della manovraper colpire, cinquanta anni dopo l’eccidiodelle ardeatine e di via Rasella, Priebke (cheera stato assolto nel 1948) non in quantoPriebke, ma per mettersi in mostra, median-te un processo di vasta risonanza e accredi-tarsi così come associazione che rappresentigli interessi delle vittime ebree.

Ecco spiegata la tragicomica campagna distampa che presentava Priebke come coluiche possedeva il “nazi-gold”. Il Corriere dellaSera del 27 luglio 1997 intitolava, senza il mi-nimo pudore: “Cercate l’oro di Priebke; se-condo Wiesenthal è nelle banche svizzere”.

Ecco cosa si nasconderebbe dietro que-sta assurda, incomprensibile riapertura delcaso Priebke: il culto del dio Quattrino.

don Curzio Nitoglia

MARIO SPATARODal caso Priebke al nazi gold. Storie diingiustizie e di quattrini2 tomi, pagg. 1300, ed. Settimo Sigillo 1999,Roma, v. Sebastiano Veniero 74, L. 110.000.

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LA CONGIURA DELLEPOLVERI

Ancora ai nostri giorni, nei paesi anglo-sassoni, si usa festeggiare il 5 novembre

la Bonfire Night, detta anche Pope Day oGuy Fawkes Day. Alla luce dei falò, si snodauna processione di uomini che reggono dellecroci infuocate - che a noi ricordano quellepiù famose del Ku Klux Clan - alla fine dellaquale un fantoccio, che rappresenta il Papao Guy Fawkes, viene dato alle fiamme. Machi era Guy Fawkes?

Dei burloni amano ripetere che egli fu“l’unico uomo che sia mai andato in Parla-mento con le intenzioni giuste”. Infatti, se ilnostro D’Annunzio rovesciò dal cielo un pi-tale sul Parlamento, Guy Fawkes, più seria-mente, fu arrestato sotto il Parlamento in-glese, il 5 novembre 1605, con una miccia intasca. La miccia serviva a dar fuoco a 36 ba-rili di polvere da sparo, per far saltare in ariail Parlamento inglese con il Re, Giacomo I,la corte ed il Governo al completo!

Ancor oggi, dopo 400 anni, gli storici di-scutono su quell’oscuro episodio. Per l’ani-ma nera del governo protestante, Sir RobertCecil (un parvenu che fece fortuna col san-gue dei cattolici), la congiura era stata orditaa Roma dal Papa in persona ed eseguita inInghilterra dai Gesuiti. Non potendo impic-care il Papa, si accontentò di far impiccare esquartare ancor vivo il superiore dei gesuitiinglesi, Padre Henry Garnet, il 3 maggio1606. All’estremo opposto, il Padre gesuitaFrancis Edwards, nostro contemporaneo,pensa che non esistette altra congiura chequella del governo protestante: l’attentatosarebbe stato ideato da degli agenti provo-catori (Catesby, Percy, Fawkes...). Vi sonodei protestanti che si sono avvicinati a que-sta posizione. Antonia Fraser si distanzia daentrambe queste versioni. Per lei (ma que-sto è sostanzialmente anche la posizionedell’Enciclopedia cattolica) il complotto cat-tolico ci fu, ma dietro i 13 cospiratori - chepagarono tutti la loro ribellione con unamorte atroce - non c’era nessuno, tranne ladisperazione dei cattolici inglesi. I Padri ge-suiti, che per sfuggire all’arresto e alla mortedovevano rifugiarsi in nascondigli ove nep-pure si poteva - a volte - star seduti, dissua-sero i congiurati, ma dovettero conservare ilsegreto appreso in confessione. Roma - da

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parte sua - invitava alla resistenza passiva.La Spagna aveva appena concluso un tratta-to di pace con l’Inghilterra.

Cosa spinse allora quegli uomini a unadecisione così grave? La disperazione. PerCatesby, l’ideatore della congiura, “la natu-ra del male richiedeva un rimedio tanto for-te”; Percy, uno dei 13, disse: “vogliamo dun-que continuare a parlare e non fare mai nul-la, signori?”. I cattolici, ricorda la Fraser,erano ancora numerosi in Inghilterra, mauscivano dalla lunga e crudele persecuzionedi Elisabetta: la messa era proibita e nascon-dere un prete comportava la pena di morte;battesimi, matrimoni e sepolture dovevanosvolgersi, obbligatoriamente, davanti al mi-nistro protestante; se non si assisteva al cul-to, si dovevano pagare gravose ammendeche non dispiacevano certo al fisco elisabet-tiano, ma strangolavano economicamente lefamiglie “non conformiste”. Per accedere auna carriera qualsiasi, anche per laurearsi,bisognava sottoscrivere il giuramento di fe-deltà, col quale si riconosceva il Re o la Re-gina come capo della Chiesa d’Inghilterra. Eogni famiglia cattolica contava un parenteincarcerato o martirizzato di fresco, o avevavisto il suo sacerdote squartato nella pubbli-ca piazza per “alto tradimento”.

Paradossalmente, la disperazione fu laconseguenza di una speranza disillusa. Allamorte di Elisabetta salì al trono il figlio diMaria Stuarda, Giacomo VI di Scozia, dive-nendo Giacomo I: un Re “teologo” che di-sputerà col Cardinal Bellarmino a propositodel potere del Re rispetto a quello dellaChiesa. Era stato educato nel calvinismo,ma si staccava visibilmente da quella chiesasovversiva per il trono. Era protestante, mala moglie Anna (da lui amatissima, malgra-do la sua - di lui - omosessualità) si era con-vertita dal luteranesimo al cattolicesimo... Ilfiglio stesso di Maria Stuart, quando le suesperanze di succedere a Elisabetta erano mi-nacciate da una dubbia legittimità, avevafatto capire a Roma, alla Spagna e ai Paricattolici inglesi che la sua conversione eranell’aria o che, perlomeno, avrebbe accorda-to ai cattolici la tolleranza che Enrico IVaveva assicurato - in Francia - ai protestanti.

Ben presto i cattolici inglesi si accorserodell’inganno subito dall’astuto Re Giacomo:quel 5 novembre 1605 il Parlamento dovevavarare - anzi - un inasprimento delle leggianticattoliche. Fu così che alcuni gentiluomi-

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ni inglesi (uno solo era un fedele servitore)decisero che era meglio morire nell’impresapittosto che vivere in quello stato.

Il libro della Fraser si legge come un li-bro giallo, tutto d’un fiato, fino alla tragicaconclusione. Sullo sfondo, molte interessantiquestioni teologiche e politiche dalla scrittri-ce non pienemente sviscerate. L’attentatofallito del 1605 solleva infatti numerosi pro-blemi: il potere della Chiesa in temporalibus(oggetto della disputa tra Bellarmino e Gia-como), la legittimità di un governo stabilito,ma eretico; la liceità della resistenza attiva(rivoluzione, colpo di stato) e del tirannici-dio; l’obbligo di conservare il sigillo dellaconfessione anche a dispetto delle leggi del-lo Stato; il diritto - per il perseguitato - diusare la restrizione mentale... Nel caso inquestione poi, il problema morale era piùcomplesso, giacché con un termine modernoun po’ infelice - come altri riferimenti ai no-stri giorni - l’autrice definisce la congiura(almeno nelle intenzioni, giacché fallì) un at-to di terrorismo (in quanto avrebbe coinvol-to anche degli innocenti): la Fraser ha il me-rito allora di abbordare (seppur con unaconfusione comprensibile in un laico) la dot-tina dell’azione a doppio effetto e del volon-tario indiretto.

Il fallimento della congiura fu dovuto -tra l’altro - alla ingenuità dei congiurati: tradi loro non vi furono agenti provocatori - di-ce la Fraser - ma essi non si accorsero che apartire da un certo momento, essi erano di-venuti involontarie pedine dei servizi segretidi Cecil, che si servì di loro per trovare unpretesto ad una nuova - radicale - persecu-zione dei cattolici.

La storia della Congiura è piena di inse-gnamenti. Il Re credette di aver vinto; nulladi più sbagliato: suo figlio Carlo I verrà de-capitato proprio dai calvinisti puritani chelui involontariamente favorì, i quali signifi-cativamente mantennero la festa “monarchi-ca” del 5 novembre (non a caso è sempre il 5novembre che l’olandese Guglielmo d’Oran-ge invase l’Inghilterra coi soldi dei Marranidetronizzando l’ultimo re cattolico d’Inghil-terra, Giacomo II, nipote del Giacomo I del-la nostra storia). Si ingannò il Re; si ingan-narono anche i congiurati, che si gettaronoin una impresa che - a parte la sua incertamoralità - era senza speranza di successo. Cichiediamo però cosa sarebbe accaduto se icattolici, che erano ancora così generosi e

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decisi, fossero riusciti a tornare al potere inInghilterra: la storia del mondo sarebbe sta-ta completamente diversa! Infine, i Gesuitipagarono cara la loro fedeltà - oltre che allafede e al Papa - al pensiero politico di sanTommaso d’Aquino. Se, nella pratica, in In-ghilterra come in Francia, invitarono i laicicattolici alla prudenza, tuttavia i Re videronella dottrina politica medioevale di SanTommaso un attentato alle loro prerogative.Così, il secolo seguente le Corti “cattoliche”chiesero ed ottennero la soppressione deiGesuiti: la Storia rispose con la Rivoluzioneche spazzò via i Troni e le Corone. Eppure,l’esempio di Carlo I, lo sventurato figlio diGiacomo, che fu ucciso nella prima Rivolu-zione, quella inglese, avrebbe dovuto avver-tirli che i veri conguirati, i veri cospiratori, iveri nemici del Trono, non erano i Papi conla loro ‘Teocrazia’ o i ‘Gesuiti’ con la dottri-na della Summa tomista, ma i falsi lodatoridi un assoluto ‘diritto divino dei Re’, i quali,dopo averli sciolti dai loro doveri verso laChiesa ed il popolo (il bene comune) li han-no condotti alla mannaia o alla ghigliottina.Ancor oggi paghiamo le conseguenze diquell’errore di prospettiva. Quanto ai catto-lici, i 13 congiurati del 1605 si sono certosbagliati (non fosse altro perché le polverierano bagnate e le uniche che esploseroustionarono gli stessi congiurati!), ma li pre-feriamo di gran lunga (e sotto sotto li ammi-ra un po’ anche l’autrice) a quelli di oggi chechiedono perdono ai persecutori della Fede.E se, provocatriamente, celebrassimo anchenoi - ma al contrario - un Guy Fawkes Day?

don Francesco Ricossa

ANTONIA FRASERLa congiura delle polveriMondadori Milano 1999, L. 35.000.

SIONISMO E FONDAMEN-TALISMO

Dalla Shoah allo stato d’Israele

La storia esige una continua revisione. Es-sa è revisionista, oppure non è che pro-

paganda contraffatta. Anche in Israele, scri-ve UgoTramballi sul supplemento culturalede Il Sole 24 ore del 16 aprile 2000, la cor-rente revisionista non ha risparmiato alcun

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capitolo del passato; ha scovato ogni angolooscuro di una storia che sembrava perfetta.Zeev Sternhell con Nascita d'Israele: miti,storia, contraddizioni (Baldini & Castoldi,1999) non ha solo messo in discussione le ra-dici socialiste ed egualitarie d'Israele: hasmontato la figura mitica del pioniere fonda-tore del Paese. In The Seventh Million (Hilland Wang, New York, 1993),Tom Segevracconta che il milione di ebrei di Palestinasapeva ciò che stava accadendo agli altri seimilioni nei campi nazisti. Ed ora in un librosulla Palestina del Mandato inglese, non an-cora tradotto dall'ebraico, Segev smentisceun'altra certezza: non è vero che gli inglesistavano dalla parte degli arabi; gli ebrei,piuttosto, non avrebbero potuto trovare unsostenitore migliore della loro causa.

Su tutta questa storia “siamo solo all'ini-zio, sostiene Eyal Navè, uno storico non re-visionista dell'Università di Tel Aviv - Ilprossimo passo potrebbe essere uno studiopiù complesso e meno tradizionale dell'Olo-causto. Ma forse non siamo ancora maturiper questo, altro tempo deve passare”.

In Italia don Curzio Nitoglia, con questosuo studio, delinea la storia del sionismo, chesi intreccia e si sovrappone, anche se non sem-pre, a quella degli ebrei dell'ultimo secolo delsecondo millennio, e che risulta essere il fon-damento e la miscela esplosiva dello Statoisraeliano; esso muove pure la propagandadebilitante e paralizzante del mondialismo, acui i popoli fieri della loro identità continuanoad opporsi. Sionismo e Fondamentalismo èun altro duro col-po ai luoghi co-muni, alla propa-ganda e alle men-zogne che conti-nuano a segnarela nostra epoca eche allignano an-che in territori eambienti inso-spettabili.

270 pagg.L. 25.000

Disponibile pres-so la nostra reda-zione

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CRISTINA CAMPO: quale tradizione?

IN PREPARAZIONE presso il Centrolibrario Sodalitium - DON FRANCESCO RICOSSA

Grazie alla casa editrice Adelphi, che dal1987 ad oggi ne ha pubblicato l’opera

omnia, Cristina Campo (1923-1976), scrittri-ce e poetessa, ha conosciuto dopo la morteun grande successo di pubblico e di critica.Sembrano averla dimenticata solo i cattolici“tradizionalisti”, dei quali pure essa fu unapersonalità di primo piano.

Tra i fondatori di “Una voce-Italia”, Vit-toria Guerrini (questo il vero nome di Cri-stina Campo) ha dato un contributo decisivoalla redazione del “Breve esame critico” delnuovo messale, presentato a Paolo VI daiCardinali Ottaviani e Bacci. Attorno a Cri-stina Campo, in quegli anni, troviamo Mons.Lefebvre e Padre Guérard des Lauriers,Mons. D’Amato e Mons. Pozzi e, dallaFrancia, Jean Madiran e l’abbé de Nantes...in modo tale che il lettore scoprirà forse perla prima volta buona parte della storia dellaopposizione alla riforma liturgica - quandotutto era ancora possibile - dal 1965 al 1970.

Nello stesso tempo, seguendo le tracce diCristina Campo, ci si può perdere nei meandridi un’altra “tradizione” ben diversa da quellacattolica! Da Simone Weil alla psicanalisi jun-ghiana, dal manicheismo all’esicasmo bizanti-no, dal Vedanta al cabalismo di Abraham J.Heschel, Cristina Campo percorse le vie tene-brose dell’esoterismo “cristiano”, guidata inquesto da un maestro indiscusso quale Elémi-re Zolla, con il quale condivise la vita.

Qual’é dunque il vero volto di CristinaCampo, una donna che visse veramente “sottofalso nome”? Nella natìa Bologna, ai piedidella Madonna di San Luca alla quale l’avevaconsacrata la madre, riposa l’intrepida ammi-ratrice della Messa romana o una inquietanteiniziata? L’autore cerca di risolvere questo di-lemma al quale solo Dio potrà dare l’ultima ri-sposta. Lo storico - da parte sua - non può faraltro che affidarsi ai documenti. Oltre alle fon-ti edite, don Ricossa ha potuto avvalersidell’archivio di uno dei protagonisti della no-stra storia - Padre M.L. Guérard des Lauriers -e delle testimonianze orali di una amica di Cri-stina, la dott. Elisabeth Gerstner, e dell’ultimosuo confessore, il Cardinale Augustin Mayer...

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GIOVANNI XXIII E ILMODERNISMO

Alcuni lettori saranno delusi nel consta-tare che anche in questo numero di So-

dalitium è stata omessa l’attesa puntata dellabiografia roncalliana, proprio ora che siamoalle porte della “beatificazione” del “papabuono”. Per stemperare la delusione, offroquesta breve recensione dell’ultimo (ultimo?nel frattempo il prolifico autore ne avràscritti altri!) libretto del senatore Andreotti:I quattro del Gesù. Storia di un’eresia. Il tito-lo allude a quattro seminaristi che all’iniziodel Novecento si riunivano ogni sera pressola chiesa romana del Gesù, stretti in intimaamicizia: don Angelo Roncalli, futuro Gio-vanni XXIII, don Giulio Belvederi, zio dellamoglie di Andreotti e nipote del cardinalRespighi, don Alfonso Manaresi e don Er-nesto Buonaiuti. L’eresia della quale An-dreotti traccia la storia - con lo stile facile,clericalmente arguto e anedottico che gli ècongeniale - è il modernismo, del quale gliultimi due del quartetto furono esponenti, ei primi due simpatizzanti.

Non è la prima volta che il Divo Giulio ciparla del legame che univa Buonaiuti a Ron-calli, giacché scrisse (e lo riferii nelle primedue puntate della biografia di GiovanniXXIII apparsa su Sodalitium) che quest’ulti-mo “aveva molto imparato da don Ernesto”,il quale ebbe l’unico torto di non aver sapu-to aspettare “l’evolversi dei tempi” (A ognimorte di Papa, Rizzoli, 1982). Oggi però, nelclima di “purificazione della memoria”dell’attuale Giubileo, Andreotti si fa più au-dace. Come il liberale Galli della Loggia, co-sì il democristiano Andreotti - tanto lodatoda Giovanni Paolo II - suggerisce esplicita-mente alla Chiesa di chiedere perdono per lacondanna del modernismo e di “rivedere ilgiudizio su uomini che furono fino a tempirecentissimi ingiustamente perseguitati”.

Andreotti traccia così le vicende deiquattro amici, chè tali rimasero fino alla fi-ne. Buonaiuti, si sa, fu l’ultimo scomunicatovitando della storia. Manaresi, censurato,abbandonò il sacerdozio. Roncalli e Belve-deri si salvarono perché fecero “appena intempo a mettersi sotto una cappa protettivacome addetti alle segreterie particolari: donAngelo Roncalli del Vescovo di Bergamo,Giacomo Radini Tedeschi, e don Giulio Bel-

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vederi del cardinale di Bologna, DomenicoSvampa” (p. 15). Quel che impressiona, in-fatti, sono le protezioni delle quali essi go-dettero, alla faccia di san Pio X: Buonaiutifu aiutato a lungo dal Maestro dei sacri Pa-lazzi, il domenicano Padre Lepidi (per inci-so, proprio quello che sostenne a spada trat-ta il segreto di la Salette) (pp. 22, 25, 28-29);Belvederi, dai cardinali Respighi (suo zio),Svampa e Dalla Chiesa (futuro Papa); e Ma-naresi lo fu dal Belvederi...

I modernisti furono i pionieri del Conci-lio, fa capire Andreotti, citando l’autorevo-lissimo GiovannI XXIII il quale, tre giorniprima dello storico annuncio dell’indizionedi un Concilio, gli disse che “molte delle an-ticipazioni di allora [del modernismo] eranopoi divenute feconde realtà. Il Concilio leavrebbe costituzionalizzate” (p. 104). Giànel 1935 don Belvederi mostrò ad Andreottil’altare della sua cappella rivolto al popolo“in contraddizione a una norma ‘per un po-co ancora vigente’ nella Chiesa latina” (p. 9).E se la FUCI dove militava il giovane stu-dente universitario Andreotti sotto la guidadi Mons. Montini e di don Vannutelli (unsacerdote a suo tempo sospeso a divinis per-ché modernista, cf p. 33) veniva messa sottoosservazione dalla Segreteria di Stato (p. 18)era solo perché - spiegò rassicurante Monti-ni - “i tempi non erano ancora maturi”.

Grazie a Giovanni XXIII, che seppe at-tendere giorni migliori, i tempi sono ormaimaturi... Giovanni Paolo II - secondo il desi-derio di Giovanni XXIII - ha canonizzato ilcard. Ferrari, “vittima” di San Pio X (pp.151-153) e si accinge a beatificare GiovanniXXIII stesso. Del “Santo Uffizio è rimastasolo la menzione nella targa stradale” (p.65). La “Chiesa” di oggi sembra davvero la“nuova chiesa cristiana ecumenica” con laquale si sentiva “partecipe in speranza e co-munione”, nel suo testamento spirituale, Er-nesto Buonaiuti (p. 44), scomunicato dallavecchia Chiesa cattolica. Tutto si può diredel vecchio senatore democristiano, ma nonche, in questo libro, egli non sia stato since-ro sul suo modernismo e su quello dei“quattro del Gesù”...

don Francesco Ricossa

GIULIO ANDREOTTII quattro del Gesù. Storia di una eresiaRizzoli, Milano, 1999, L. 24.000

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SEGNALIAMO AI LETTORI ALCUNI LIBRI,RISERVANDOCI EVENTUALE ULTERIORE

RECENSIONE:

ENNIO INNOCENTICritica alla psicoanalisiGrafite, Napoli, 2000 (quinta edizione),L. 25.000

MARIO SPATAROQuando il padre non c’èSettimo Sigillo, Roma, L. 20.000

M. D’AMICOGiordano BrunoPiemme, Casale Monferrato, L. 42.000

DON LUIGI VILLASi spieghi Eminenza! (sul card. Martini)Civiltà, Brescia, 2000, L. 20.000

Libri utili per una critica al movimentocatecumenale:

DI PADRE ENRICO ZOFFOLIVerità sul cammino neocatecumenaleSegno, Udine , 1995, L. 29.000Eresie del movimento neocatecumenaleSegno, Udine, 1995, L. 14.000Il neocatecumenato nella Chiesa cattolica.Lettera al clero italiano

Segno, Udine, L. 3000

GINO CONTIUn segreto svelatoSegno, Udine, 1997, L. 29.000

DON LUIGI VILLAEresie nella dottrina neo-catecumenaleCiviltà, Brescia, 2000, L. 10.000

A complemento dell’articolo di P. Torque-mada sull’esoterismo cristiano (Sodalitium,n. 50, pp. 16-35):

ATTILIO MORDINI (a cura di MARIA CAMICI)Passi sull’acqua. Dai quaderni d’appunti(1954-1961)Settimo Sigillo, Roma, 2000, L. 12.000

PIERLUIGI ZOCCATELLILe lièvre qui rumineArchè, Milano, 1999, L. 35.000

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“Seminario” San Pietro Martire. L’annoaccademico 1999-2000 si è concluso a

giugno, quando i cinque seminaristi del pri-mo anno hanno ricevuto l’abito ecclesiasti-co. Un anno calmo e soddisfacente, con lasperanza di ricevere nuovi candidati per ilmese di settembre.

Belgio. Don Geert Stuyver ha finalmen-te realizzato il suo sogno, e nella festa di Na-tale è stata celebrata per la prima volta laSanta Messa nel nuovo oratorio. I lavoriperò continuano, e le offerte sono sempre lebenvenute. Oltre a Dendermonde, donGeert celebra la santa Messa anche in Fran-cia: a Lille - nell’oratorio della famiglia Bra-bant - ed a Commercy nella cappella delrimpianto abbé Petit. Per l’estate è previstoun pellegrinaggio a Briella, dove furono uc-cisi dai protestanti i martiri di Gorcum.

Francia. Da Verrua Savoia, ogni settimana,i nostri sacerdoti passano le Alpi per assicurarela Messa ed i sacramenti alla Maison Saint-Jo-seph di Serre-Nerpol (convento e scuola) e,ogni 15 giorni, a Lione, Cannes e Annecy. Par-ticolarmente soddisfacente lo sviluppo delgruppo lionese. Don Giuseppe Murro ha potu-to tenere nella capitale delle Gallie tre confe-renze dottrinali: il 20 novembre sul tema Fuoridalla Chiesa non c’è salvezza, il 5 febbraio suLa libertà religiosa e il 20 maggio su L’infallibi-lità del Papa e della Chiesa. Il 7 e 8 maggio uncentinaio di persone hanno partecipato al pel-legrinaggio a piedi dalla Maison Saint-Josephal santuario mariano di Notre-Dame de l’Osier(10 chilometri) organizzato dalle religiose diCristo Re e dal signor Lauzier, e diretto dadon Murro. Sempre don Giuseppe segue leriunioni del Cercle Saint Barnard di Romans,mentre il sacerdote che a turno celebra a Ser-re-Nerpol assicura anche - a partire dal 5 mar-zo - il corso di catechismo per adulti che erastato iniziato, a suo tempo, da Padre Vinson.

A Tours, invece, risiede stabilmente unnostro sacerdote ospitato dall’AssociazioneForts dans la Foi, diretta da Padre Barbara:fino a maggio, si è trattato di don Giugni, so-stituito in seguito da don Ercoli (mentre donGiugni è tornato a Verrua). Don Giugni haapprofittato del suo soggiorno a Tours pervisitare il nostro confratello Don Stuyver e inostri amici belgi; si è recato anche a Limo-ges per visitarvi alcuni fedeli. Essendo sulposto, il sacerdote residente a Tours può as-sicurare una maggiore assistenza ai fedeli lo-cali. La domenica pomeriggio, però, assicurala santa Messa per le religiose di Crezan(provvisoriamente prive di cappellano) ed ifedeli della regione, rimanendo poi nella no-stra casa di Raveau, che è rimasta apertatutto l’anno (grazie anche alla presenza diMlle Mandon). Naturalmente le speranzeper un fruttuoso apostolato in Francia si vol-gono alle nuove leve che studiano a Verruae che ci permetteranno, in caso di perseve-ranza, di assicurare una presenza più effica-ce nel paese.

Pellegrinaggio. Nella storia della resi-stenza cattolica al modernismo, ci sono statidei pellegrinaggi a Roma per opporsi alleriforme conciliari ed un pellegrinaggio orga-nizzato dalla Fraternità S. Pio X nel 1975per festeggiare l’anno santo di Paolo VI. Inquesto anno 2000 la stessa Fraternità preve-de di recarsi a Roma “in primo luogo per lu-crare le indulgenze” concesse da GiovanniPaolo II; ecco perché il loro pellegrinaggio“non sarà innanzi tutto, una manifestazionedi rivendicazione contro le attuali autoritàdel Vaticano” (editoriale di Fideliter n° 135maggio-giugno 2000). Non è con questo spi-rito che Don Ercoli, coadiuvato da Don Me-dina ha organizzato un pellegrinaggio per igiovani che ha avuto luogo dal 24 al 28 apri-le. 36 giovani (e meno giovani) dalla Franciae dal Belgio si sono dati appuntamento aVerrua Savoia il sabato santo e sono partitiper la città eterna il lunedì di Pasqua, fer-mandosi a Siena per venerarvi il miracoloeucaristico. Molti hanno consumato le suole(autentico!) per venerare le principali chiesedi Roma, in spirito di riparazione e non perguadagnare le indulgenze di un anno giubi-lare che non è stato legittimamente Indetto.I nostri pellegrini sono rientrati a Verruapassando da Orvieto e Firenze. Un nuovopellegrinaggio è previsto per le famiglie inautunno.

RENÉ GUÉNON (a cura di P.L. ZOCCATELLI)Autour de RegnabitArché, Milano, Nino Aragno, Torino,1999 (nella festa dei Quattro Coronati!),L. 41.000.

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Vita dell’Istituto

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K.O. al Centro Librario Sodalitium perl’opuscolo di don Nitoglia Dalla Sinagoga al-la Chiesa. “La vivacità dei missionari cattolicinon diminuisce - scrive Actualité Juive - Laloro missione di evangelizzazione e conver-sione massimale tocca dei limiti ineguagliabiliin vista dei 2000 anni dalla nascita di Gesù. Ilpopolo ebraico è un bersaglio privilegiato.Sembra, leggendo un opuscolo inviato duran-te il riposo estivo da una misteriosa organiz-zazione che ha sede in Italia, il Centro Libra-rio Sodalitium, che un ebreo è buono solo seconvertito al cristianesimo. ‘Si possono bat-tezzare lecitamente i figli degli infedeli, anchecontro la volontà dei loro genitori, quando, acausa dello stato di salute in cui si trovanoquesti bambini, si prevede che moriranno pri-ma di aver raggiunto l’età di ragione’. Piùl’anima è malleabile, più gli spiriti sono pococritici, più la conversione è facile. Vigliacca-ta?! Tutti questi argomenti per presentare ilcaso di tre ebrei convertiti (Edgardo Mortara,Giuseppe Stanislao Coen ed Eugenio Zolli),come esempi supremi da imitare. Il proseliti-smo di questi movimenti millenaristi è inten-so. State attenti, all’incrocio delle strade, daParigi a Gerusalemme passando da Roma eNew York, a quanti vorranno, per la salvezzadelle vostre anime, denigrare la vostra essen-za giudaica: il petrolio dei missionari è menoraffinato di quel che sembra”. L’articoletto diA.J. si inserisce in una campagna giornalisti-ca (e non solo) che tenta di convincere le au-torità del pericolo di non meglio precisate“sette” cristiane che si scatenerebbero in oc-

La nuova cappella del’Istituto a Dendermonde (Belgio)

Italia. Il 25 aprile si è svolto a Loro Ciuf-fenna (Arezzo) un incontro del direttore diSodalitium con i lettori della regione: picco-la conferenza sull’Istituto, Messa cantata(con una prima comunione), seguita dopopranzo da una riunione per decidere le pos-sibilità di apostolato futuro. Lo scopo è, ag-giungendo un impegno agli altri, di assicura-re una messa domenicale mensile in questazona della Toscana. Per il resto, è stato assi-curato il consueto ministero negli otto centrinei quali siamo stati finora presenti: da se-gnalare un aumento di presenze a Roma, al-cuni lavori di restauro alla chiesa di Ferrara,e le sempre bellissime cerimonie della Setti-mana Santa svoltesi a Verrua, seguite, neltempo pasquale, dalla benedizione delle ca-se; segnaliamo inoltre la pubblicazione di unarticolo sulla Messa che celebriamo a Val-madrera di Massimo Marinaccio (La Gaz-zetta di Lecco e provincia, 31 dicembre 1999,p. 27). Numerose le Conferenze tenute daDon Curzio Nitoglia: a Barletta (il 18-19-20novembre), a Torino il 25 febbraio (presen-tazione dei libri di E. Ratier e B. Lazare), aMilano il 16 marzo su Le origini dell’Islam.Con lo scrittore Mario Spataro, ha tenutodelle conferenze a Brescia (il 10 marzo) e aVicenza (l’11 marzo), presentando il libro diLazare e quello sul caso Priebke di M. Spa-taro, e due a Trieste il 25 aprile sulle foibe.Le conferenze di Vicenza e Trieste hannoavuto eco sulla stampa locale. Sempre donNitoglia ha accolto a Verrua per una giorna-ta di studio, il 14 maggio, i militanti di unaassociazione genovese. Don Ricossa ha te-nuto una sola conferenza il 2 dicembre a To-rino con Duccio Mallamaci ed Antonio Pa-gano su “Questione settentrionale, questionemeridionale: questione italiana”.

Centro Librario Sodalitium. Due novitànel nostro catalogo: a febbraio è finalmenteuscita la richiestissima prima traduzione ita-liana del classico di Bernard Lazare, L’Anti-semitismo. A disposizione dei lettori ancheun ottimo opuscolo di un grande teologo ita-liano dal titolo: Come provare l’esistenza diDio. Infine, le ristampe: dopo ‘Misteri e se-greti del B’nai B’rith’ di Emmanuel Ratier,anche ‘Storia ebraica e giudaismo’ di IsraelShahak è giunto alla seconda edizione.

Il settimanale della comunità ebraicafrancese, Actualité Juive, ha una rubrica inti-tolata O.K. (per il “buoni”) e K.O. (per i“cattivi”). Il n. 622 (9/9/99, p. 5) attribuisce il

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casione del 2000. Si vede che A.J. ci hascambiato per dei fondamentalisti americanio dei Testimoni di Geova, oppure ha paura,in realtà, dei Juifs pour Jésus... Quanto alcomplotto cristiano per il 2000, A.J. ci è o cifa? [Sempre su A.J., n. 623, vanno K.O. iBattisti del Sud. Il loro delitto? Pregare perla conversione degli Ebrei: “quando gliEbrei cercano Dio, i Battisti pregherannoperché trovino il Suo figlio”].

L’Autre histoire (La licorne bleu, 3 bisrue Jules Vallès, 75011 Paris) è, come sugge-risce il titolo, una rivista revisionista (seppurcon discrezione). Tuttavia il n. 14 (marzo2000) è un numero speciale, dedicato al te-ma “massoneria e paganesimo”, tema pre-scelto in seguito alla lettura del libro diArthur Preuss Ètude sur la maçonnerie amé-ricaine pubblicato in francese (e prossima-mente tradotto in italiano) dalla nostra casaeditrice (p. 2). Del Preuss è pubblicato perintero appunto il capitolo dedicato ai rap-porti tra massoneria e paganesimo (pp. 3-

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11); la rivista apre poi un dibattito sul temapubblicando i contributi di un massone tra-dizionalista pagano (pp. 15-21), di un “drui-dizzante” bretone (pp. 23-26) e di un sacer-dote cattolico (pp. 29-31; solo quest’ultimoarticolo è condivisibile). L’Autre histoire de-dica anche due colonne alla nostra rivista ecasa editrice (p. 43). Ringraziamo L’Autrehistoire per la notevole attenzione dedicataal nostro lavoro, anche se non possiamo nonmettere in guardia i nostri lettori dalle chia-re tendenze neo-pagane della rivista in que-stione. Lectures françaises (n. 515, marzo2000, p. 37) segnala nuovamente Sodalitium,e in particolare i due supplementi: la Rasse-gna stampa e il Buon Consiglio.

Animadversiones. A distanza di sette an-ni dalla pubblicazione, mi è capitato di legge-re il libro di don Gérard Herrbach (sacerdo-te della Fraternità San Pio X) intitolato Desvisions sur l’Evangiles. Si tratta di un attacco- che in gran parte possiamo condividere - al-le “rivelazioni private” di Maria d’Agreda,Anna Caterina Emmerich e Maria Valtortasulla vita di Gesù. A pag. 136, l’autore criticai “sedevacantisti” di Sodalitium per avere so-stenuto che Padre Roschini - un fautore dellerivelazioni di Maria Valtorta - fu un “mario-logo di grande fama”. Non vedo come si pos-sa negare questa qualifica a Padre Roschini,che fu Consultore della Suprema Congrega-zione del Sant’Offizio e della Sacra congre-gazione dei Riti, commissario della SacraCongregazione dei Religiosi, Decano dellafacoltà Teologica Marianum e direttore delCentro Internazionale Mariano di Roma, Vi-ce presidente della Pontificia Accademiadell’Immacolata, membro del Consiglio Ac-cademico della Pontificia Accademia Maria-na Internazionale, Procuratore Generale delsuo ordine (serviti) e collaboratore dell’Enci-clopedia Cattolica pubblicata dal Vaticano.

Non per questo lo seguiamo nel suo so-stegno a Maria Valtorta o nella sua difesadell’ortodossia del nuovo messale (l’abbéHerrbach lo ignorava, altrimenti non avreb-be mancato di rimproverarcelo). Non condi-videre una o più posizioni di un autore nonautorizza certo a negargli delle qualità incon-testabili. Come non neghiamo le qualità in-contestabili di fede, fervore e bontà del pri-mo direttore spirituale di Ecône - verso ilquale conserviamo un debito di eterna grati-tudine - che di Maria Valtorta fu convintoestimatore (cosa che l’abbé Herrbach, l’abbé

L’altare della cappella di Dendermonde

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La professoressa Cecilia Gatto Trocchi ciha scritto il 12 dicembre con preghiera dipubblicazione. “Caro don Ricossa - scrive lanostra corrispondente - leggo con stupore sulnumero 5, pag. 76 della sua interessante rivi-sta una ‘messa in guardia’ nei miei confronti.La vicenda si riferisce ad un mio articolo su‘Massoneria Oggi’ (riguardava la fiaba dimagia) e alla partecipazione al convegno distudi su Giordano Bruno. Voi siete liberi dimettere in guardia chi volete, ma mi appelloal diritto di descrivere i fatti. Come antropo-loga ho il dovere scientifico di verificareall’interno di gruppi e sette esoteriche i realiaccadimenti, le teorie e le dottrine. Già dal1992, come ho pubblicato nel testo ‘Magia edesoterismo in Italia’, ho preso contatto e hofrequentato le logge e i convegni massoniciper rendermi conto dei rapporti con l’esoteri-smo e l’occultismo vero e proprio. Ciò fa par-te del mio lavoro. Ho così incontrato colleghi,studiosi, giornalisti, editori ed ho verificato levarie posizioni, da quelle di Padre Espositoche parla di uno stesso DNA dei massoni edei cristiani, a quelle dei più ferventi giacobi-ni, presenti nei maggiori giornali italiani. Ne-gli USA ho potuto accedere a varie bibiotechee controllare le riviste massoniche ‘New Age’e ‘Gnosis’. È chiaro che le mie posizioni per-sonali restano quelle del cattolicesimo, pur-chè non sia venato di fobie e paranoie. Pensoche la mia ricerca sia conclusa. Ciò non toglieche continuerò a frequentare chi voglio. Ri-tengo che la libertà sia il dono più preziosoche Dio ci ha conferito, con tutti i rischi checomporta. SalutandoLa caramente in Cristo,attendo la gentile pubblicazone della mia ‘di-fesa’. Cecilia Gatto Trocchi”.

Alla lettera della Prof. Gatto Trocchi, ri-sponde don Ricossa. La Professoressa parladi frequentazione “all’interno” della Masso-neria e delle sette esoteriche, ed ammette diaver frequentato le logge: un capo di accusapiù grave di quello da noi presentato su So-dalitium - e confermato dalla nostra interlo-cutrice - riguardante la sua participazione adun convegno massonico su Giordano Brunoe la sua collaborazione (con un articolotutt’altro che neutro) alla rivista del GrandeOriente.

Di fronte a questi fatti gravissimi per unacattolica (che per giunta partecipa a conve-gni ‘antimassonici’), la Professoressa GattoTrocchi oppone un presunto ‘dovere scienti-fico’ dell’antropologo. Poiché si tratta della

Emily e Mons. Tissier fingono di ignorarenel libro in questione...). Uno scrittore mille-narista, Vincent Morlier, ha pubblicato unanuova edizione di un suo libro in difesa diquesto errore già condannato dalla Chiesa.In appendice, ha pubblicato anche una corri-spondenza con don Ricossa - sollecitata dalMorlier - senza chiedere alcuna autorizzazio-ne e senza inviare - come gli era stato richie-sto - una copia della nuova edizione del libroa don Ricossa. Non sappiamo quindi dire co-sa esattamente sia stato pubblicato a nomedi don Ricossa. Un lettore ci ha segnalato -con perplessità - un testo diffuso da una sedi-cente Union missionaire de S.E. Mgr Pierre-Martin Ngo-Dinh-Thuc, nel quale il nostroIstituto è incluso in una lista di “Ecclesiasticie Comunità postulanti o no all’unione chepossono autenticamente rifarsi all’Opera diMons. P.-M. Ngo-Dinh-Thuc”. Già in altreoccasioni abbiamo dovuto smentire ognicontatto con associazioni di questo genere:siamo costretti a ricordare la nostra totaleestraneità a questo “mondo”. Approfittiamoanche dell’occasione per ribadire che a no-stro parere non tutte le consacrazioni fatteda Mons. Thuc sono da considerarsi lecite,vista l’attuale situazione della Chiesa. Perquel che dipende da noi, riconosciamo solole due consacrazioni del 1981 (P. Guérarddes Lauriers, P. Carmona e P. Zamora) e al-cune (non tutte) delle consacrazioni derivateda questi tre prelati. I fedeli sono invitati allamassima prudenza, poiché alcuni “vescovi”che hanno ricevuto (realmente o no, non ciinteressa) una consacrazione episcopale chederiverebbe da Mons. Thuc appartengono acomunità non cattoliche.

Gli esercizi per i sacerdoti ed i seminaristi a Verrua Savoia

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stessa giustificazione data a suo tempo daMassimo Introvigne e Christian Bouchet,rinviamo la Gatto Trocchi ed i lettori alla ri-sposta che Padre Torquemada diede al “so-ciologo” Introvigne e all’“etnologo” Bou-chet nell’articolo intitolato ‘La smentita diMassimo Introvigne’ (Sodalitium, n. 39, no-vembre 1994, pp. 22-24); in breve: il fine (uf-ficialmente ‘scientifico’) non giustifica i mez-zi (la collaborazione con la Massoneria, an-zi: l’affiliazione ad essa). La ProfessoressaGatto Trocchi si dichiarava d’accordo con lacritica di Sodalitium a Massimo Introvigneper la sua “osservazione partecipante o di-retta” ai lavori massonici, mentre adessoscopriamo che Ella in nulla si differenzia, inquesto, da Massimo Introvigne. E allora,chi ci assicura - tra l’altro - che la sua partici-pazione ai riti cattolici “tradizionali” non sia“un dovere scientifico” dell’antropologa?

Alla fine della sua lettera infine la Pro-fessoressa Gatto Trocchi invoca la libertà difrequentare chi vuole, dichiarandosi, se nonlibera pensatrice almeno libera frequenta-trice... Se Ella vuole sottolineare la sua indi-pendenza dai ‘veti’ dell’Istituto Mater BoniConsilii, non possiamo che concordare conLei, giacché non abbiamo nessuna autorità.Ma se la signora Gatto Trocchi si dichiaralibera di frequentare chi vuole anche indi-pendentemente dai precetti della Chiesa -che vieta l’affiliazione alla Massoneria - al-lora non possiamo più seguirla in questaesaltazione della libertà, che è un dono cheDio ci ha fatto per fare il bene e non per fa-re il male. Ci dispiace pertanto di doverconfermare quanto scritto nel precedentenumero di Sodalitium e di dover metterenuovamente in guardia i cattolici dalla Pro-fessoressa Gatto Trocchi, esattamente come

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abbiamo fatto e faremo col Professor Massi-mo Introvigne.

Esercizi spirituali. Continuando (inde-gnamente) l’opera di Padre Vinson, abbia-mo dato a Serre Nerpol tre turni di esercizidi sant’Ignazio: dal 26 dicembre al 31 dicem-bre (13 persone, uomini e donne, diretti dadon Murro e don Giugni), dal 28 febbraio al4 marzo (4 uomini, diretti da don Giugni edon Cazalas), dal 1 al 6 maggio (7 donne, di-retti da don Murro e don Ricossa). Iscrivete-vi di già ai prossimi turni, a Serre-Nerpol,Raveau o Verrua.

Battesimi. 22 gennaio, a Annecy, FreddyWaizenegger, secondo figlio di Alexandre eCarole, da don Murro. Il 29 gennaio, EulalieCazalas da parte di suo zio don Thomas Ca-zalas; il 29 gennaio a Sabbioncello San Pie-tro, Virginia Fabbri; il 19 febbraio nellachiesa di san Luigi ad Albarea (Ferrara)Agnese Baroni. Il 2 marzo, a Torino, LouisFostier da parte di don Ricossa. Il 27 maggioa Tours Clotilde Marie Charat da don Erco-li. Il 17 giugno i cuginetti Giulio Frangioni eDorotea Lazzarotto a Rosta da parte di donCazalas.

Prime comunioni. La domenica di Pa-squa a Tours, tre prime comunioni; il 25 apri-le a Loro Ciuffenna, Vittorio Canosci dallemani di don Ricossa; il 30 aprile a Serre-Ner-pol Eric Ferlin da parte di don Murro.

Matrimonio. Il 12 maggio a Dendermon-de don Stuyver ha benedetto il matrimoniodi Didier De Wilde e Els Willaert.

Defunti. Il 26 marzo scorso è deceduto aLille il signor Etienne Brabant. Di famigliacattolica e padre di sei figli, insieme alla mo-glie fu uno dei primi a rifiutare la nuova mes-sa cercando con costanza di assistere allaMessa di S. Pio V. Aveva conosciuto il P.Guérard quando questi celebrava la Messa aLille per conto dell’Associazione S. Pio V:quando quest’ultima volle separarsi dal P.Guérard, la famiglia Brabant lo invitò a cele-brare la S. Messa nella loro casa. Misero asua disposizione un locale, che venne trasfor-mato in cappella, ove ancora oggi, tre volteal mese don Stuyver e don Medina celebranola S. Messa. Nel frattempo l’amicizia della fa-miglia Brabant con P. Guérard diveniva piùstretta. Nel 1986, in occasione della consacra-zione di Mons. McKenna, essi trascorsero tresettimane a Raveau prestandosi ad ogni ge-nere di lavori per i preparativi della cerimo-nia. Ogni anno poi si recavano a Raveau ren-

Pellegrinaggio a Roma per i giovani la settimana dopo Pasqua

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Possiamo dire che nel 1999 l’Associazio-ne ha registrato delle entrate per i poveripari alla somma di L. 5.897.000; le uscite so-no state di L. 19.439.000, con un disavanzodi L. 13.541.000. Non facciamo entrare inquesto conto i doni in natura, quali viveri evestiario che abbiamo distribuito. Ricordia-mo a tutti i lettori che le offerte fatte “per ipoveri” vengono devolute unicamente aquesto scopo. Dal rendiconto delle entrate edelle uscite, vediamo purtroppo che le ne-cessità da affrontare sono ben superiori alleentrate e non sempre riusciamo a soccorreretutti quelli che ne hanno bisogno.

Anche il bilancio dei nostri bollettini, So-dalitium e Il Buon Consiglio, è tutt’altro chein pareggio.

Ci siamo permessi di esporvi questi pro-blemi, confidando nel vostro buon cuore; viringraziamo fin d’ora per tutto quello chepotrete fare, sapendo che Nostro Signore hapromesso che Egli considererà come fatto aSé stesso ciò che vien fatto al più piccolo deisuoi fratelli.

Pellegrinaggio a Nostra Signora de l’Osier

dendosi utili in tanti modi, con grande gene-rosità e buon cuore: tanto che sono numero-se le cose che ricordano ancora oggi il loro“passaggio”. Il signor Brabant era uomo diorazione, aveva una grande fede e pietà;ogni anno faceva gli esercizi di S. Ignazio e siadoperava perché tutta la famiglia perseve-rasse nella fede e si santificasse. Ed anche aldi là della famiglia, se era necessario sacrifi-carsi per il bene spirituale di qualcuno, nonesitava a farlo. Sempre interessato ai proble-mi della religione, aveva una mente apertaed ogni cosa lo appassionava. Di buona com-pagnia, a tutti faceva piacere conversare conlui, anche perché non faceva mai sfoggio del-le sue virtù. Colpito da un ictus nel dicembredel ’99, è rimasto diversi mesi a letto senzapoter parlare, con sofferenze fisiche e mora-li. Il giorno prima di morire, improvvisamen-te, riuscì di nuovo a deglutire e così poté ri-cevere la S. Comunione, che desiderava datanto tempo, dalle mani di don Stuyver (chegli aveva dato l’Estrema Unzione all’iniziodella sua malattia). I funerali sono stati cele-brati da don Medina il 30 marzo nella cap-pella di famiglia a Lille. Che il Signore vogliaaccogliere per l’eternità questa bella e raraanima, che sulla terra si è tanto adoperataper la gloria di Dio e la salvezza delle anime.Che il Signore voglia accogliere per l’eternitàquesta bell’anima che sulla terra si è tantoprodigata per la gloria di Dio e la salvezzadelle anime. Ricordiamo anche alle vostrepreghiere Maître Max Girardot, 85 anni,morto il 23 febbraio, di cui don Murro ha ce-lebrato i funerali ad Annecy il 25 febbraio. Il30 aprile è mancata (a 101 anni) all’ospedaledi Gap Mme Clementine Lauzier nata Lafay,che aveva ricevuto tutti i sacramenti il 14aprile da don Murro. Quest’ultimo ne ha ce-lebrato i funerali il 4 maggio nella nostracappella di Lione, ed è stata sepolta nel cimi-tero di Loyasse. Sodalitium presenta le suecondoglianze ai famigliari, specialmente al fi-glio, Robert Lauzier. Requiescant in pace!

Nota dell’economo

L’Associazione Mater Boni Consilii siadopera il più possibile per aiutare ogni ge-nere di persone e famiglie che si trovino inqualsiasi necessità. Ci è difficile comunqueenumerare i singoli interventi dei membridell’Associazione a tal fine, nel corso di unanno intero.

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Oh se intendessimo l’amore, che arde nel Cuore di Gesù verso di noi! Egli ci haamato tanto che se si unissero tutti gli uomini, tutti gli angeli e tutti i santicon tutte le loro forze, non giungerebbero alla millesima parte dell’amore che

ci porta Gesù. Egli ci ama immensamente più che noi stessi. Egli ci ha amato sinoall’eccesso: Parlavano dell’eccesso che avrebbe compiuto in Gerusalemme (Luc. 9,31). E qual maggior eccesso che un Dio muoia per le sue creature? Egli ci ha amatosino all’estremo: Avendo amato i suoi… li amò sino alla fine (Giov. 13, 1). Poiché,dopo averci amato questo Dio da un’eternità, sicché non vi è stato momento

nell’eternità che Iddio non abbia amato ciascuno di noi: In charitate perpetua di-lexi te; egli per nostro amore si è fatto uomo ed ha eletta una vita penosa ed una

morte di croce per noi. Ond’è che egli ci ha amato più del suo onore, più del suo riposo,e più della sua vita, avendo sacrificato tutto per dimostrarci l’amore che ci porta. E que-

sto non è eccesso di carità, che farà stupire gli angeli e il paradiso per tutta l’eternità?Quest’amore l’ha indotto ancora a restarsene con noi nel SS. Sacramento, come in trono di amore; poiché ivi

se ne sta in vista di poco pane, chiuso in un ciborio, dove par che rimanga in un pieno annientamento della suamaestà, senza moto e senza uso dei sensi, sicché ivi par che non faccia altro ufficio che amare gli uomini. L’amo-re fa desiderare la continua presenza della persona amata; questo amore e questo desiderio fece restare Gesù Cri-sto con noi nel SS. Sacramento. Parve troppo breve a questo innamorato Signore essere stato per soli trentatréanni con gli uomini su questa terra; onde, per contentare il suo desiderio di stare sempre con noi, stimò necessariodi fare il più grande di tutti i miracoli, quale fu l’istituzione della santa Eucarestia. Ma l’opera della redenzioneera già compiuta, gli uomini già erano stati riconciliati con Dio; che serviva a Gesù il restare in terra in questoSacramento? Ah! egli se ne resta, perché non sa separarsi da noi, dicendo che con noi trova le sue delizie.

Quest’amore ancora l’ha indotto a farsi cibo delle anime nostre, per unirsi con noi, e fare dei cuori nostri edel suo una stessa cosa. Chi mangia la mia carne… rimane in me ed io in lui (Giov. 6, 57). O stupore! O eccessodell’amor divino! Diceva un servo di Dio: Se qualche cosa potesse smuovere la mia fede circa il mistero dell’Eu-carestia, non sarebbe già il dubbio, come il pane diventi carne, e come Gesù stia in più luoghi, e tutto ristretto insì poco spazio, perché risponderei, che Dio può tutto. Ma se mi si chiede, com’egli ami tanto l’uomo, da giungerea farsi suo cibo, altro non ho che rispondere, se non che questa è verità di fede superiore alla mia intelligenza, eche l’amore di Gesù non può comprendersi. Oh amore di Gesù, fatevi conoscere dagli uomini, e fatevi amare.

Affetti e preghiereO Cuore adorabile del mio Gesù, Cuore innamorato degli uomini, Cuore creato apposta per amare gli uo-

mini deh come potete essere dagli uomini così mal corrisposto, e vilipeso? Ah! me miserabile, che anch’io sonostato uno di questi ingrati, che non vi ho saputo amare! Perdonatemi, o Gesù mio, questo gran peccato di nonaver amato voi che siete così amabile, e tanto avete amato me, che non avete più che fare per obbligarmi adamarvi. Vedo ch’io, per avere un tempo rinunziato al vostro amore, meriterei d’essere condannato a non poter-vi più amare. Ma no, mio caro Salvatore; datemi ogni castigo, ma non questo. Concedetemi la grazia d’amar-vi, e poi datemi qualunque pena volete. Ma come posso temere di tal castigo, mentre sento che voi seguitate aintimarmi il dolce, il caro precetto di amare voi mio Signore e Dio? Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuocuore. Sì, mio Dio, voi volete essere amato da me, ed io voglio amarvi; anzi, non voglio amare altri che voi, chetanto mi avete amato. O amore del mio Gesù, voi siete l’amore mio, o Cuore infiammato di Gesù, infiammateancora il cuore mio. Non permettete ch’io per l’avvenire abbia neppure per un momento da vivere privo del vo-stro amore; uccidetemi prima, distruggetemi, non fate vedere al mondo quest’orrenda ingratitudine, ch’io cosìamato da voi, dopo tante grazie e lumi da voi ricevuti, abbia di nuovo a disprezzare il vostro amore. No, Gesùmio, non lo permettete. Spero nel sangue che avete sparso per me ch’io sempre vi amerò, e voi sempre mi amere-te; e quest’amore fra me e voi non si scioglierà mai più in eterno.

O Madre del bell’amore, Maria, voi che tanto desiderate di vedere amato Gesù, legatemi, stringetemi alvostro Figlio, ma stringetemi tanto, che io non abbia più a vedermene separato.

Tratto da: Via della salute, Novena del Sacro Cuore di Gesù, Meditazione II. Paoline 1963.

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L’amore del Cuore di Gesùdi S. Alfonso Maria de’ Liguori

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DISPONIBILE LA Rassegna Stampa n° 8

Una miniera di informazioni su Massoneria, mondialismo, sionismo, ecc., pubblicataormai in un opuscoletto a parte, che potete procurarvi scrivendo in redazione oppu-re tramite versamento di L. 6.000 (spese postali comprese) sul CCP. 35310101, spe-cificando il motivo nella causale.

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Bernard Lazare

L’AntisemitismoStoria e cause

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E. RATIER I Guerrieri d’Israele 400 L. 40.000

G. CRISOSTOMO Omelie contro gli ebrei 192 L. 19.000

I. SHAHAK Storia ebraica e giudasimo 264 L. 30.000

C. NITOGLIA Dalla Sinagoga alla Chiesa. 32 L. 7.000

F. RICOSSA Don Paladino e la Tesi… 36 L. 7.000

B. LAZARE L’Antisemitismo 320 L. 30.000C. NITOGLIA Sionismo e fondamentalismo 270 L. 25.000

RASSEGNA STAMPA di Sodalitium n. 8 L. 6.000

Rispedire la cedola all’indirizzo Tot.indicato qui sotto Spese post.

Autore Titolo N. pag. prezzo copie Tot.

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Spese di spedizione: Tramite versamento sul CCP 35310101 intestato al C.L.S. aggiungere L. 2.500 al prezzo di copertina Per invio in contrassegno: L. 5.500 di spese postali.

Ristampa

È uscito

Il Buon Consiglio n. 5

Se non l’avete ricevuto e siete interessatiscrivete in redazione per riceverlo su offer-ta libera (anche modesta) per coprire lespese.

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ATTIVITÀ ESTIVE

- Campo S. Giovanni Bosco: per i giovani a partire dai 16anni, avrà luogo nelle Alpi Marittime (Francia). Dal mar-tedì 1° al mercoledì 9 agosto.

- Colonia S. Luigi Gonzaga: per bambini tra 8 e 13 anni, dalmercoledì 12 al mercoledì 26 luglio a Raveau in Francia.

- Colonia per ragazzine: dagli 8 ai 16 anni in montagna,dal lunedì 10 al venerdì 28 luglio, sulle Alpi francesi.

- Pellegrinaggio a Roma: per le famiglie, dal lunedì 30ottobre al venerdì 3 novembre.

Esercizi Spirituali di S. Ignazio a Verrua Savoia

- Per gli uomini:dal lunedì 21 agosto ore 12, al sabato 26 agosto ore 12

- Per le donne:dal lunedì 28 agosto ore 12, al sabato 2 settembre ore 12

Per ogni informazione, mettersi in contatto con l’Istituto a Verrua Savoia

ISTITUTO MATER BONI CONSILIILOC. CARBIGNANO, 36

10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel : 0161.839.335 - Fax : 0161.839.334 - e-mail: [email protected]

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SS. MESSE

COME AIUTARCI

- Non si fanno abbonamenti a “Sodalitium”. Il nostro periodico viene inviato gratuitamente atutti coloro che desiderano riceverlo.- Preghiamo tutti coloro che, per qualsiasi motivo, non desiderano ricevere “Sodalitium” di co-municarlo gentilmente alla nostra redazione.- Il nostro Istituto Mater Boni Consilii ed il suo periodico “Sodalitium” non hanno altri introitiche le vostre offerte senza le quali non possono vivere.

Offerte:• Sul Conto della Banca CRT Ag. di Brusasco Cavagnolo, conto 1802189/26 intestato all’Asso-ciazione Mater Boni Consilii.• Sul Conto Corrente Postale numero 24681108 intestato a “Sodalitium”, periodico dell’Asso-ciazione Mater Boni Consilii.

IN CASO DI MANCATA CONSEGNA SIPREGA DI RINVIARE AL MITTENTECHE SI IMPEGNA A PAGARE LARELATIVA TARIFFA:

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RESIDENZE DEI SACERDOTI DELL’ISTITUTO

ITALIA: Verrua Savoia (TO) Casa Madre. Isti-tuto Mater Boni Consilii - Località Car-bignano, 36. Tel. 0161.83.93.35. Nei giorni fe-riali, S. Messa alle ore 7,30. Tutte le domeni-che S. Messa ore 18,00. Benedizione Eucari-stica tutti i venerdì alle ore 21. Il primovenerdì del mese, ora santa alle ore 21.

FRANCIA: Mouchy Raveau 58400 - La Charitésur Loire. Per ogni informazione telefonare:(+33) 03.86.70.11.14.

Tours: presso l’associazione Forts dans la Foi.Cappella St Michel, 29 rue d’Amboise. S.Messa tutte le domeniche alle ore 10,30. Tel.:(+33) 02.47.64.14.30. o (+33) 02.47.39.52.73.(R. P. Barbara).

BELGIO: Dendermonde. don Geert Stuyver: Ka-pel O.L.V. van Goede Raad (cappella N. S. delBuon Consiglio) Koning Albertstraat 146 - 9200Sint-Gillis Dendermonde. Messa tutte le dome-niche alle ore 9,30. In settimana: Sint-Christia-nastraat 7 - 9200. Tel.: (+32) (0) 52/21 79 28. S.

ALTRE SS. MESSEITALIA

Ferrara: Chiesa S. Luigi, Via Pacchenia 47 Alba-rea. S. Messa tutte le domeniche alle ore 17,30.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Firenze: Via Ciuto Brandini, 30, presso laProf.ssa Liliana Balotta. Per ogni informazio-ne rivolgersi a Verrua Savoia.

Maranello (MO): Villa Senni - Strada perFogliano - Tel. 0536.94.12.52. S. Messa tuttele domeniche alle ore 11. La 1ª domenica delmese S. Messa alle ore 9.

Milano: Oratorio S. Ambrogio. Via Vivarini 3. S.Messa tutte le domeniche alle ore 10,30. Perinformazioni Tel.: 02.6575140 oppure rivolgersia Verrua Savoia.

Roma: Oratorio S. Gregorio VII. Via Pietrodella Valle 13/b. S. Messa la 1ª, la 3ª e la 5ªdomenica del mese, alle ore 11.

Torino: Oratorio del S. Cuore, Via Thesauro3 D. S. Messa il primo venerdì del mese alleore 18,15 e confessioni dalle ore 17,30. Tuttele domeniche, confessioni dalle ore 8,30, S.Messa cantata alle ore 9,00; S. Messa letta alleore 11,15. Catechismo il sabato pomeriggio.

Valmadrera (CO): Via Concordia, 21- Tel. 0341.58.04.86. SS. Messe la lª e la 3ª domenica delmese alle ore 17,30, e confessioni dalle ore 17.

FRANCIAAnnecy: 11, avenue de la Mavéria. SS. Messe la 2ª

e la 4ª domenica del mese alle ore 10 e confes-sioni dalle ore 9,00. Tel.: (+33) 04.56.72.44.85

Cannes: N.D. des Victoires, 4, rue Fellegara. S.Messa la 2ª e 4ª domenica del mese alle ore 18h.

Lione: (2ème) 17, cours Suchet. S. Messa la 2ª e la4ª domenica del mese alle ore 17, e confessionidalle ore 16,30. Tel.: (+33) 04.77.33.11.24.