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FANHS Rivista elettronica mensile, singola uscita trimensile, “Phanes”, num. 5, Febbraio 2012, Roma. Tutti i diritti riservati al sito www.phanes.jimdo.it, Roma 7 Febbraio 2012. N. 5 Rivista di cultura e religiosità pagana BLODEUWEDD IL MAGO NELLANTICHITÀ CLASSICA LA MUCCA DEL KERRY LE MAGHE DELLA TESSAGLIA Personaggio del Mese: Machig Labdrön

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FANHS

Rivista elettronica m

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. 5, Febbraio 2012, Roma.

Tutti i diritti riservati al sito ww

w.phanes.jim

do.it, Rom

a 7 Febbraio 2012.

N. 5

Rivista di cultura e religiosità pagana

BLODEUWEDD IL MAGO NELL’ANTICHITÀ CLASSICA

LA MUCCA DEL KERRY LE MAGHE DELLA TESSAGLIA

Personaggio del Mese: Machig Labdrön

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PHANES rivista di cultura e religiosità pagana

rivista mensile elettronica

(singola uscita trimensile)

Redazione:

Caporedattore

Jonathan Righi. [J.R.]

Redattore

Lorenzo Abbate. [L.A.]

Contributi

Flavia Costadoni. [F.C.]

Recapiti

www.phanes.jimdo.com

[email protected]

Tutti i diritti sono riservati agli autori dei singoli contributi ed al sito www.phanes.jimdo.com. Ogni violazione del copyright e dei diritti di riproduzione saranno perseguiti a norma di legge. La riproduzione è vietata, anche se parziale, se non previo accordo con il sito, che si occuperà di contattare gli aventi diritto.

Roma 7. Febbraio 2012.

Phanes n.5

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Editoriale Tutti i diritti riservati a www.phanes.jimdo.com

Phanes n.5

Ben più di un mese è passato dall’ultima uscita di questa rivista, ed in primis vogliamo scusarci con i lettori per il clamoroso ritardo. Tuttavia svariati problemi e logistici e personali ci hanno obbligato a produrre per Febbraio questo numero che di fatto è un’uscita “trimensile”.

Imbolc e Brighit ci hanno raggiunto ormai nella ruota annuale, e la neve, proprio lo stesso giorno di questa festività, ha imbiancato l’Italia e, con grande sorpresa, persino Roma. Per questo quinto numero di Phanes abbiamo avuto il piacere di accogliere un articolo di una vecchia preziosa amica, che ci ha parlato delle streghe di Benevento, ed in effetti tutto il numero è incentrato sul tema della “magia” e di coloro che la operarono. Non è stato un compito semplice, infatti cercare di strutturare una serie di articoli attorno ad un argomento simile mette davanti al grande pericolo della “generalizzazione”. Per questo abbiamo cercato di giostrarci agilmente per illustrare il più possibile la visione che ogni popolo considerato ed ogni “paese” in esame, svilupparono a riguardo. Un’altra specifica va spesa riguardo alla scelta degli esorcismi come attinenti al tema generale; secondo il mio personale parere la Magia è costituita da un insieme di “atti” volti ad ottenere un effetto più o meno specifico, perciò le pratiche dell’esorcismo, essendo loro stesse un insieme di “azioni” e “pratiche” finalizzate al controllo ed all’esilio di entità sovra-umane, sono state giustificatamente messe in parallelo e quindi ivi inserite.

Fra i futuri propositi di questa redazione è compresa l’uscita a breve di un fascicolo che conterrà brevi ma curiosi articoli; il lettore lo consideri come un nostro “presente” per scusarci della mancata frequenza di questi mesi.

Detto questo, rinnovando come sempre l’invito a partecipare attivamente al nostro blog Vox Media, vi auguro a nome mio e della redazione tutta, una buona e fruttifera lettura.

Jonathan Righi

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Pagina 1 Phanes n.5

INDICE:

Machig Labdrön 2

Blodeuwedd 5

La mucca del Kerry 9

Il mago nell’antichità classica 12

Le maghe della Tessaglia 15

Incantesimi eclatanti del mondo antico.

La Strega ed il Noce 20

L’esorcismo di Leone XIII 23

Iscrizioni funerarie romane 29

Una piccola selezione.

Si sedes non is 31

La croce di San Benedetto 40

Recensioni 42

Bibliografia generale 44

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Pagina 2 Phanes n.5

“Potresti pensare che gli Dei sono

coloro che ti recano benefici, e che i Demoni causino danno; ma potrebbe

essere il contrario. Coloro che causano dolore ti insegnano ad essere paziente

e coloro che che ti donano regali ti allontanano dalla pratica del Dharma.

Quindi se essi sono Dei o Demoni dipende dall’effetto che hanno su di

te.”

Dopo aver tanto pensato a quale “celebrità” dedicare il quinto numero di Phanes, ho avuto una sorta di lampo ispirato. Il personaggio di questo mese non brilla come gli altri, né nello scibile comune, né nella rete, eppure ha prodotto in chi lo ha letto una tale sorpresa, che infine ho deciso di renderLe omaggio.

La grande Machig Labdrön era una tantrista che presumibilmente nacque nel 1055 e morì nel 1149. Il suo contributo nella spiritualità ormai mondiale rimane indiscusso, e la via alla quale fornì fondamenta e stabilità, ossia il Chöd, rimane ancora oggi insegnata e praticata in ogni parte del globo. Ho avuto modo di conoscerla grazie ad un amico che mi prestò la sua biografia, e ne rimasi estremamente colpito. Trattare questi argomenti è sempre faccenda molto delicata, per questo mi scuso in caso dovessi commettere imprecisioni.

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MACHIG LABDRÖN

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Pagina 3 Phanes n.5

Le pratiche di Machig rappresentano una fusione innovativa fra buddismo tibetano e sciamanesimo tradizionale, e con il termine Chöd si intende la disciplina del “tagliare” gli attaccamenti umani partecipi del dualismo, e quindi relativi alla materia. Il praticante è uso offrire il “mandala del suo corpo” durante i propri riti, sacrificandolo ai demoni che egli stesso invoca perché vengano a divorarlo. Ogni atto è compiuto tramite la forza della visualizzazione, persino le offerte; alla fine dei ragionamenti della sua dottrina si arriva alla consapevolezza che non solo i demoni sono il prodotto della mente, bensì la mente stessa è demone impalpabile, che deve essere reciso.

Come per ogni grande pensatore, è necessario partire dalle radici “biografiche”: mentre il primo insegnante di Machig fu Grwa-pa, il Maestro che ebbe più influenza sulla sua futura “fioritura” fu Phadampa Sangye. Fu lui che le suggerì di “abbandonare gli studi” e di praticare nei campi di cremazione, e la obbediente allieva abbandonò famiglia e società per seguire questi consigli. Fra i vari aneddoti sulla sua vita, rimangono famosi i rapporti carnali, che la differenziano da quei praticanti che decisero di perseguire la castità. La più famosa delle sue “unioni” è quella con il Lama Thod-pa Bhara, che fu suo maestro durante la permanenza nel monastero di Grwa-thang. Da questo Lama ebbe tre figli, due maschi e una femmina, tutti iniziati successivamente all’arte del Chöd. Machig viene venerata diffusamente in quanto ritenuta incarnazione di Yeshe Tsogyal, ed iniziata direttamente dalla suprema Dea Arya Tara. Questa venerazione diviene comprensibile se si osservano le raffigurazioni che vengono fatte della tantrista, nell’iconografia questa è dipinta in foggia di dakini(1): ha la pelle bianca, presenta tre occhi, nella mano destra mantiene il tamburo damaru, ed indossa i sei Ornamenti. Similmente alle grandi anime confluenti nelle dottrine buddiste tibetane, si pensa che Machig si sia più volte reincarnata: prima nel 1248 in Jomo Menmo, poi in Khyungchen aro Lingua nel 1886.

Come fare a comunicare il profondo “sconvolgimento” che si percepisce dopo la lettura delle sue parole? Mi trovo ad ammettere la mia incapacità e espressiva e professionale.

Perciò questo breve articolo vuole essere un’umile invito ad approfondire gli insegnamenti di Machig Labdrön, che potete trovare in un bellissimo libro pubblicato dalla Adelphi: Ma gcig, Canti Spirituali, Piccola Biblioteca Adelphi, 1995. Avremo potuto inserire questo testo nelle Recensioni, eppure quelli che fra i lettori seguiranno il nostro consiglio, capiranno che tanta visibilità non è stata data casualmente. [J.R.]

NOTE:

1. La dakini è una divinità tantrica, rappresenta l’incarnazione femminile dell’energia illuminata.

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Pagina 4

A cura di

Jonathan Righi

SEZIONE CELTICA

BLODEUWEDD

LA MUCCA DEL KERRY

Phanes n.5

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«“Ebbene” disse Math “con l’aiuto della nostra magia e dei nostri incantamenti, cerchiamo di far scaturire per lui una donna dai fiori.”»

Lleu Llaw Gyffes, figlio di Arianrhod, è il pupillo del mago Gwydyon presentato nel Quarto Ramo del Mabinogi gallese. A causa dell’odio che la madre provava nei suoi riguardi, fu maledetto dalla stessa per tre volte. Ognuna di queste maledizioni fu astutamente infranta grazie all’aiuto del saggio Gwydyion: il primo anatema consisteva nel non avere un nome, ma il mago la circuì facendola rivolgere al giovane con l’appellativo di Lleu; il secondo anatema prevedeva il non poter indossare armi se non fossero state donate dalla stessa Arianrhod; il terzo infine che il giovane Lleu non avrebbe mai avuto una sposa mortale. Una volta costretta la madre con l’inganno ad infrangere la maledizione delle armi, Gwydyon si consultò con suo zio Math ap Mathonwy, Signore del Gwynedd. I due, entrambi

dotati di straordinari poter i , decisero di fabbricare una donna unendo nove fiori , ovviando così alla terribile u l t ima malediz ione . Ebbene da quercia, ginestra e Regina dei prati (Spirea Ulmaria) nacque Blodeuwedd (tr. “viso di fiori”), colei dalle dita più bianche della nona onda del mare. La ragazza, forgiata esclusivamente per divenire moglie di L l e u , d i m o s t r ò rapidamente la sua natura mutevole innamorandosi di Grown, il Forte signore del Pennlyn. Una volta adescatolo lo sedusse, e dopo aver giaciuto con lui diverse notti, iniziò ad

architettare un piano per liberarsi del suo legittimo marito. Grazie a diverse scuse, fingendo preoccupazione, chiese a Lleu di mostrarle in che modo potesse essere ucciso (ricordiamo che Lleu Llaw era un essere dalla nascita soprannaturale). Il giovane le spiegò che solo un giavellotto modellato per un anno intero e solo durante le domeniche avrebbe potuto ferirlo, e non solo: “Te lo dirò: bisogna

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BLODEUWEDD

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prepararmi un bagno sulla riva di un fiume, costruire sopra la tinozza un’incannucciata a volta, poi coprirla ermeticamente, portare un capro e metterlo accanto alla tinozza; bisognerebbe ch’io ponessi un piede sulla groppa del capro e l’altro sul bordo della tinozza: chiunque mi raggiungesse in tale situazione mi potrebbe dare la morte.”(1)

Blodeuwedd convinse Lleu a mostrarle la dinamica precisa della improbabile eventualità, ed essendosi accordata precedentemente con l’amante, lo spinse ad uccidere suo marito con un giavellotto lanciato da dietro la Collina del Combattimento.

Lleu colpito, volò via sotto forma di uccello, ed i due amanti traditori poterono unirsi.

Non appena Math e Gwydyon vennero a sapere dell’accaduto, si organizzarono e decisero che Gwydyon stesso si sarebbe messo in cerca del pupillo. Giunto nei pressi della dimora di un porcaro la cui scrofa ogni giorno scappava verso un luogo ignoto, chiese al vecchio allevatore di poterla seguire per vedere dove si dirigesse. Il giorno seguente l’enigma fu risolto: la scrofa andava a mangiare ai piedi di un enorme albero, dal quale un’aquila marcescente scrollandosi le penne lasciava cadere carne putrefatta e vermi. Gwydyon riconosciuto nell’orrido uccello lo spirito del giovane Lleu, iniziò a cantare un englyn(2):

Quercia che cresci tra due rive,

il cielo e il vallone son cupi e oscuri:

s’io dico il vero,

questa è la carne di Lleu.

Allora l’aquila scese a metà dell’albero, quindi Gwydyon cantò un secondo englyn:

Quercia che cresci su questa alta terra,

né la pioggia ti bagna né il calore ti scioglie;

nove volte venti tempeste hai sopportato,

sulla tua cima è Lleu Abile Mano.

Allora l’aquila scese al ramo sottostante, e Gwydyon cantò un terzo englyn:

Quercia che cresci sul pendio,

santuario d’un signore gentile,

s’io dico il vero,

Lleu poserà nel mio grembo.

L’uccello alla fine si posò fra le braccia del mago e venne da lui ritrasformato e curato. Un anno intero passò prima che Lleu potesse riacquisire le piene forze. Gwydyon furioso, terminata la guarigione del giovane, marciò con tutte le truppe del Gwynedd verso l’Ardudwy, in cerca della bella Blodeuwedd. La ragazza fuggì attraverso un fiume, e le ancelle che la accompagnavano colte da terrore, affogarono in quelle stesse acque. Una

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volta raggiuntala, il mago la maledì: ella non avrebbe più potuto mostrare il suo viso ai puri uccelli del giorno, e s a r e b b e s t a t a costretta a rimanere in vita nascondendo l a s u a c o l p a n e l l ’ o s c u r i t à notturna, sot to forma di gufo.

Poi fu il turno di Grown, al quale Lleu chiese soddisfazione per il torto subito. Il pavido, dopo aver c e r c a t o d i convincere Lleu con oro e doni, accettò di essere trafitto con un giavellotto nelle stesse condizioni durante le quali aveva attentato alla vita del giovane. Un espediente tuttavia gli permise di porre fra se e l’esecutore, un’enorme pietra. Tanta era la forza di Lleu, e tanto giusta la sua mano, che la punta di ferro trapassò la dura roccia spezzando la schiena del traditore. Quella roccia forata si trova ancora lì, e viene chiamata Llech Rown. Così Lleu Llaw Gyffes divenne Re del Gwynedd.(3)

A questo complesso mito possono essere date differenti interpretazioni: la vicenda del tradimento di Blodeuwed richiama

l’inganno operato da Ištar ai danni dell’eroe Gilgameš, o anche la storia di Sansone e Dalila. Praticamente ogni personaggio del racconto si rivela essere una divinità celtica mascherata dall’avvicendarsi delle simbologie. La Dea celeste Arianrhod (arian tr. “argento; rhod tr. “ruota”), madre del dio solare Lleu L l a w G y f f e s ( c o n t r o p a r t e g a l l e s e dell’irlandese Lugh S a l m i d a n a c h ) , o p e r a p e r rinnegarlo assieme

alla dimensione patriarcale da lui simboleggiata. In questo quadro Gwydyon Dio della Magia (a cui è sacra la Via Lattea, chiamata Caer Gwydyon tr. “il Castello di Gwydyon”), assieme a Math l’Antico (ultimo esponente delle Antiche Tribù e quindi degli antichi culti), dopo aver magicamente “risvegliato” la Dea della primavera Blodeuwedd, tentano di costringerla a sposare Lleu. Solo il matrimonio con la Regina di Maggio legittima il Re a governare giustamente sulla terra. Avendo ricevuto il suo

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diniego, gli Dei confinano Blodeuwedd nell’oscurità dei suoi domini, sorpassando la sua approvazione, come Yahweh Elohim esilierà la Dea acquatica Tehom, prendendo possesso delle sue acque e riordinandole. Altra similitudine può essere tessuta con Marduk il quale taglierà la grande Tiamat in due parti, dividendo le acque superiori da quelle inferiori.

Gli ultimi cenni vanno fatti riguardo alla scrofa “fatata” che permette a Gwydyon di trovare Lleu sotto forma di aquila: questa infatti altro non è che la bianca Dea scrofa Cerridwen, la signora delle metamorfosi e della trasformazione. Non a caso è presentata ne l l ’a t to di m a n g i a r e a v i d a m e n t e materiale “corrotto”, poiché solo lei può “riordinarlo” e sublimarlo per dargli una nuova utilità nella creazione. Si spiega perché a lei fossero sacri i maiali. Infine un rimando a Robert Graves, il quale sottolinea la similarità fra la morte nel fiume delle ancelle di Blodeuwedd e il s u i c i d i o d i c i n q ua n t a sacerdotesse pallantidi che i n v e c e c h e s o t t o s t a r e all’avvento del patriarcato, decisero di gettarsi e morire in un fiume.(4) [J.R.] NOTE:

1. ROSS 1967.

2 . U n e n g l y n un b r e v e componimento metrico tipico del Galles.

3. MAC CANA 1983.

4. GRAVES 1992.

SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:

-ROSS 1967: A. ROSS, Pagan Celtic Britain, Londra 1967.

-MAC CANA 1983: P. MAC CANA, Celtic Mythology, Londra 1983.

-GRAVES 1992: R. GRAVES, La Dea Bianca, Milano 1992.

Immagini:

p.5, Blodeuwedd, Christopher Williams.

p.7, Blodeuwedd and Gronw, E. Wallcousins.

p.8, Alan Lee 1984.

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In Irlanda non è raro poter raccogliere racconti ed aneddoti della tradizione popolare riguardanti streghe e fattucchiere. La loro azione malefica si esplicava prevalentemente in relazione ad uno dei beni di consumo più utilizzati e preziosi, il burro. Varie storie narrano di come queste donne magiche potessero rubare latte e derivati dalle case dei vicini, spesso per invidia o per pura sincera malvagità. Fra le tante storie che potremmo citare Yeats(1) ci propone quella de “Il burro stregato (Donegal)”(2): vicino a Rathmullen vivevano due famiglie, quella degli Hanlon e quella dei Dogherty. Entrambe erano benestanti e prospere, tuttavia gli Hanlon possedevano una mucca proveniente dal Kerry che produceva una quantità smisurata di latte, dal quale Moiley Hanlon ricavava il burro più denso e giallo che si fosse mai visto. Grace Dogherty, in parte curiosa, ed alquanto invidiosa, si presentò alla porta di Moiley chiedendole con varie scuse di poter mungere la sua specialissima mucca, tuttavia la signora Hanlon rifiutò gentilmente, insospettita dalla strana richiesta. Giorno dopo giorno Grace continuò a presentarsi dalla vicina, ogni volta ripetendo di voler provare a tirare il latte dalle mammelle della mucca dirimpettaia. Passata una settimana, esausta, Moiley cedette e permise alla

giovane Grace di soddisfare il suo desiderio. Dacché il burro non era mai mancato in casa Hanlon, la mucca del Kerry non produsse più una sola goccia di latte. La padrona disparata si rivolse ad un certo Mark Mac Carrion, il quale diagnosticò un caso di malocchio evidentissimo, fatto al prezioso bovino da qualche vicina un po’ troppo invidiosa. Le consigliò quindi di sbarrare la porta, prendere nove spilli nuovi e di bollirli in una casseruola con una pinta di latte che Moiley avrebbe dovuto cavare con fatica dalla affatturata mucca. Appena il latte iniziò a bollire, si udì una supplica stridula

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LA MUCCA DEL KERRY

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provenire da fuori l’uscio degli Hanlon, era Grace che gridava: “Fatemi entrare, signora Hanlon!”, ed ancora “Togliete quella pentola crudele! Togliete quegli spilli che mi si conficcano nel cuore, e non cercherò mai più di toccare il vostro latte.”

Da quel momento gli Hanlon ebbero nuovamente il latte più bianco ed il burro più giallo di tutta la contea.

Il racconto è indicativo della visione popolare della “strega”, una donna di qualsiasi età, che una volta toccato o comunque “entrata in contatto” con l’oggetto della sua invidia, poteva modificarne la rendita e la bellezza in favore della propria o semplicemente a scopo distruttivo. Queste storie probabilmente avevano un fine pedagogico per le nuove generazioni, infatti quasi tutte terminano con svariate indicazioni con le quali si può ovviare al malocchio ricevuto, vendicandosi allo stesso tempo su chi l’ha lanciato. Lo stesso Yeats, a termine del racconto, inserisce una nota entro parentesi quadre; il lessico che utilizza e la spontaneità del testo ci permettono di capire quanto fosse addentro al folklore irlandese, e quanta fede in esso abbia posto:

“In Irlanda è difficile trovare un villaggio in cui non si creda che il latte sia stato rubato in questo modo un gran numero di volte. Ci sono molte controfatture. In certi casi si arroventa il vomere di un aratro, e la strega arriva di furia gridando che sta bruciando. Un ferro di cavallo nuovo, o un ferro d’asino, reso

incandescente e messo sotto la zangola, se è possibile con tre fili di paglia rubati a mezzanotte da sopra la porta delle streghe, è praticamente infallibile.”(3) [J.R.]

NOTE:

1. per maggiori informazioni su W.B. Yeats si veda l’articolo “W. B. Yeats” in Phanes

n.1 p. 39 e sgg.

2. W. YEATS 1973.

3. W. YEATS 1973, p. 140 e sgg.

SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:

-W. YEATS 1973: W. YEATS, Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry, Coline Smith, 1973. Racconto raccolto da Yeats sotto la dizione: “di Letizia Maclintock, Dublin University Magazine, 1876.”

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A cura di Lorenzo Abbate

SEZIONE GRECO ROMANA

IL MAGO NELL’ANTICHITÀ CLASSICA

LE MAGHE DELLA TESSAGLIA

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Magia, maghi, incantesimi, sparizioni e misteri: sono tutti concetti che restano associati in maniera inconscia al passato, come se tutto fosse stato possibile in quell'epoca, come se i sogni avessero avuto allora maggior modo di prendere forma e vita. Il filtro di secoli di

stacco, un differente occhio critico, una sensibilità così lontana dalla nostra resero r e a l e o g n i m a n i f e s t a z i o n e dell'immaginazione, ed ogni sogno. Ma quali erano i meccanismi che permettevano ad un greco o ad un romano di attribuire ad un uomo capacità soprannaturali? Il termine “mago” (greco magos) compare per la prima volta in Grecia alle porte del periodo classico, quando Erodoto ci racconta di come venissero così chiamati in Persia dei sacerdoti specializzati nell'analizzare e gestire il rapporto tra divinità e uomo(1). I primi maghi erano dunque sacerdoti, uomini in collegamento diretto tra la propria realtà materiale e l'immanente mondo divino. Tutte le fonti più antiche attribuiscono al “magos” un collegamento ed una discendenza diretta dalla tradizione persiana, come a sottolineare che queste tendenze religioso culturali fossero estranee alla società greca. “Il capo di costoro […] gli insegna la magia di Zoroastro […] cioè il culto degli Dei”(2) leggiamo nell'Alcibiade primo dello p s e u d o - P l a t o n e a p r o p o s i t o dell'educazione dei regnanti persiani. Rapporto con gli Dei, sacerdozio, culto, le fonti sembrano concordi ad attribuire a questi “maghi” null'altro che le doti e le

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IL MAGO NELL'ANTICHITÀ

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capacità di un sacerdote, capace di sfruttare la potenza divina in terra. La situazione e la considerazione di questi specialisti del rapporto uomo-divinità muta radicalmente colla speculazione platonica. Difatti nella Repubblica leggiamo: “Ciarlatani e indovini si presentano alle porte dei ricchi e li convincono che con sacrifici e incantesimi hanno ottenuto dagli Dei il potere di rimediare con giochi e feste all'eventuale ingiustizia di uno, sia che l'abbia commessa lui in persona o uno dei suoi antenati; e che se uno vuol fare del male a un nemico, potrà con poca spesa nuocere al giusto come all'ingiusto a mezzo di determinate evocazioni e magici legami, perchè, dicono, persuadono gli Dei a servirli” (3). Il grande passo era segnato. La figura del mago aveva subito una pericolosa virata da sacerdote a stregone: la via per la mistificazione e per l'accumulo di competenze straordinarie era aperta. Il bacino di competenze dei maghi divenne molto più ampio, e da un tipo di magia sacra si passò a quella nera. Le capacità dei maghi erano innumerevoli, ma la loro primaria occupazione, molto ben retribuita, era quella di maledire le persone, invocando l'intercessione divina per questi atti bassi e puniti dalla legge. Le defixiones(4) erano uno strumento formidabile: permettevano al mago di maledire chi si volesse, grazie al primario dono degli Dei, la scrittura. Per uno strano concetto ciò che era fissato con la scrittura rimaneva, mentre si cercava di far scomparire chiunque venisse iscritto. Il primo autore a parlare

di arti magiche, di pratiche occulte e pericolose è Euripide (5); ma nonostante una denuncia così autorevole, davanti ad un uditorio gremito come poteva essere quello del teatro di Dioniso ad Atene, le malefiche azioni dei maghi non vennero mai sottoposte ad atti di regolamentazione giuridica. Lo stesso Platone, così duro contro i “ciarlatani magici” nella Repubblica tiene a cuore la causa dei “ver i” maghi , i s t i tuendo uno sdoppiamento della categoria: da un lato i kathartes (i purificatori) e dall'altro i maghi neri : “selvaggi come animali, oltre che al non credere negli Dei ed al ritenerli corruttibili e non propensi, con il loro disprezzo degli uomini si impadroniscono dell'anima di molti di quelli che sono vivi e si gloriano di essere in grado di evocare i morti e si permettono di invocare gli Dei in maniera irriverente, con sacrifici, preghiere e scongiuri; inoltre continuano a distruggere dalle basi sia persone che famiglie intere e paesi solo per avidità di ricchezza”(6). A Roma questa bipartizione non venne mai recepita e la figura del mago fu sempre caratterizzata da una valenza tra il misterico ed il negativo. Le prime attestazioni del termine risalgono al De divinatione di Cicerone (7), e ricostruiscono la derivazione del termine dalla solita genealogia persiana. La legislazione romana d'altronde tese a limitare gli atti di magia da molto presto, segno di una diffusa e fondata credenza verso questi atti. Le dodici tavole infatti cercano di impedire che con atti magici si potesse ledere al diritto alla proprietà altrui: proprio in questo infatti risiedeva

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secondo i romani la differenza tra carmina mala e carmina benefici. I carmina mala, dei veri e propri sortilegi, erano puniti non in quanto tali, ovvero atti magici, ma solo qualora ledessero dei diritti e delle libertà altrui in maniera palese. I carmina di carattere benefico apportavano un miglioramento alla condizione di chi li pronunciava o di chi ne era oggetto, senza per questo implicare la sciagura o la disgrazia per qualcuno. Catone ce ne attesta uno molto interessante: “Luxum si quod est, hac cantione sanum fit”: “Se si produce una lussazione, essa verrà guarita da quest'incantesimo”. Quello che segue è un incantesimo vero e proprio: «prendete una canna verde di quattro o cinque piedi di lunghezza, spaccatela in due nel mezzo, e che due uomini la tengano contro le anche; iniziate l'incantesimo fino a quando le metà si congiungano: “MOETAS UAETA DARIES DARDARIES ASIADARIES UNA PETES”. Brandite un ferro al di sopra. Dopo che le due metà si saranno unite e saranno in contatto, prendete in mano la canna e tagliatene l'estremità a destra e a sinistra; fissatele con un legaccio sulla lussazione o la frattura: essa guarirà. Tuttavia, ogni giorno fate l'incantesimo in questa maniera: “HUAT HAUAT HUAT ISTA PISTA SISTA DANNABO DANNAUSTRA” oppure: “HUAT HAUT HAUT ISTASIS TARDIS ARDANNABOU DANNAUSTRA”» (8).

Abbiamo voluto ripercorrere in questo articolo i sentieri più “luminosi” intorno al termine mago, senza affrontare tutti gli incantesimi di maleficio, proprio per ridonare il suo originario valore ad un nome troppo spesso avvicinato al male, al

mistero, al danno ed alla paura. [L.A.]

NOTE:

1. Erodoto, Storie I, 101; VII, 43, 113 f, 191.

2. Pseudo-Platone, Alcibiade primo 122b.

3. Platone, Repubblica 364 b. traduzione di Franco Sartori.

4. Sull'argomento si veda l’articolo “Maledizioni greche: defixiones graecae” in Phanes n.1, pp. 28 e sgg.

5. Euripide, Oreste 1495 e sgg.

6. Platone, Leggi X, 909b.

7. Cicerone, De divinatione I, 19.

8. Catone, De agricoltura 160.

Immagini:

p.12, Ritratto di Zaratustra, Doura Europos (Siria), III sec d.C.

Phanes n.5

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Leggenda o storia? Quando si parla di maghi e di magie ci si ritrova sempre a camminare su un pericoloso limite, esagerazione, finzione e suggestione da un lato, e dall'altro i r a c c o n t i , l e testimonianze e le attestazioni. Nel caso delle streghe della Tessaglia nessuna fonte antica ha mai dubitato della loro esistenza. La loro potenza era tale da terrorizzare greci e romani in egual misura, tanto da spingere, chi potesse, ad evitare di attraversare la regione. La Tessaglia è una regione della Grecia peninsulare, delimitata ad ovest dalla catena montuosa del Pindo, a nord dal massiccio del monte Olimpo e ad est è bagnata dal mare Egeo. Le maghe della Tessaglia furono eternate nel romanzo antico meglio conservato: Le Metamorfosi di Apuleio. Il primo libro ci racconta proprio di come Lucio “diretto in Tessaglia per affari” venisse ad imbattersi nelle temibili maghe, descrivendo le loro

scellerate pratiche, la loro potenza, e gli accorgimenti che il popolo cercava di prendere in propria difesa. Il primo libro delle metamorfosi è per la nostra indagine quello più succoso, e quello che leggeremo a spezzoni in questo articolo.

Lucio, come visto, è in viaggio per affari; il suo viaggio è lungo, e il cavallo n o n r i e s c e a sopportare il suo peso molto a lungo, costringendolo ad

alternare passi a piedi a passi al trotto. Unitosi ad una coppia di amici in viaggio Lucio presta attenzione alle storie che uno dei due raccontava(1) . La prima storia è sulle maghe tessale. Un tale Socrate, che si credeva morto(2), era stato vittima di un raggiro della fortuna: caduto in disgrazia si era impelagato in una nottata d'amore con una donna, che si scoprirà essere una maga(3). “Una maga, un'indovina, insistette, capace di far crollare la volta celeste e di sollevare la terra, di far

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LE MAGHE DELLA TESSAGLIA Incantesimi eclatanti nel mondo antico.

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diventare le fonti di pietra e squagliare le montagne, di riportare alla luce gli Dei infernali e far sprofondare quelli celesti, di spegnere le stelle, e di illuminare persino il Tartaro!” (4). Le azioni della maga erano eclatanti: “Ha trasformato un oste che era suo vicino e le che le faceva concorrenza, in un rospo: ora quel povero vecchio sguazza in una botte del suo stesso vino, immerso nella feccia fino alla gola” (5); e ancora “Alla moglie di un suo amante, che le aveva rivolto un insulto, ha tappato l'utero e poiché quella era gravida le ha bloccato il feto nel corpo, condannandola ad una gravidanza perpetua. La gente ha fatto i conti, dice che sono otto anni ormai che la povera donna si porta dentro quel peso ed è gonfia come se dovesse partorire un

elefante.” (6). Il pover'uomo ed il suo amico progettano di fuggire dalla regione della Tessaglia, sperando di seminare l'amante magica, ma nel pieno della notte prima della fuga, Meroe, questo il nome della donna, irrompe nella loro stanza spezzando i chiavistelli, ribaltando i mobili che erano stati posti come impedimento all'accesso di chiunque (7). Quello che i due amici vedono è terrificante: due donne entrano nella stanza, l'una brandendo una spada sguainata ed una spugna, e l'altra una lucerna. La maga disse: “Eccolo qui, sorella Pantia, il mio Ganimede, quello che giorno e notte ha abusato della mia innocenza e che ora non soltanto mi diffama vigliaccamente ma si accinge a scappare!”. I due amici sono

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completamente in balia delle donne, uno immobilizzato sotto il suo stesso letto divelto, l'altro semplicemente bloccato a terra. Il primo dei due viene sgozzato, ed il suo sangue raccolto in un barilotto, poi spinge la mano dentro la ferita e ne estrae il cuore: l'uomo è ancora vivo; l'altro se la cava ricevendo in faccia l'orina delle due donne (8). Il sopravvissuto, terrorizzato, decide di scappare: tuttavia le donne andandosene, avevano con un incantesimo rinserrato la porta nei cardini e chiusa la serratura (9). Il portinaio non apre la porta, sospettoso che quest'uomo potesse aver ucciso l'amico e volesse fuggire. Rientrato in camera il pover'uomo decide di impiccarsi, ma senza successo. All'arrivo del portinaio però l'amico sgozzato si ridesta, come se nulla fosse (10). I due amici si mettono in viaggio, convinti di aver bevuto troppo la sera precedente. Appena però Socrate si avvicinò ad una fonte, la ferita del collo ricomparse, lasciandolo morto(11); l'altro amico non potè fare altro che fuggire.

Questo che abbiamo riportato si potrebbe dire un “caso limite”, dovuto all'azione spregiudicata di una maga dotata di poteri decisamente fuori dalla norma. Ma era così strano nel mondo antico essere vittima di malefici, maledizioni e incantesimi? La risposta è tutt'altro che positiva. Il maleficio poteva essere di due tipi: palese o occulto. Il primo tipo si manifestava più chiaramente a chi era vicino alla persona oggetto dell'azione magica, mentre il secondo era constatato dall'auto analisi della persona oggetto delle “attenzioni” magiche.

Convincersi di essere oggetto di azioni magiche era alquanto comune, essere additati come maledetti era piuttosto raro.

Libanio, un retore della seconda sofistica, ritenne di essere stato fatto oggetto di una maledizione e ce ne tramanda le sensazioni ed il racconto dei fatti. Durante la sua sfolgorante carriera infatti Libanio venne colpito da un mal di testa di una tale forza che pensò seriamente di essere vicino alla morte: “Mi allontanai dalla lettura dei libri che hanno raccolto i lavori degli antichi, cessai di scrivere e di comporre i miei discorsi, cessai di parlare: eppure i miei allievi lo reclamavano a gran voce”. Si aggiunse a questa malattia un altro sintomo, quello di una artrite dolorosissima, capace di impedire anche il benché minimo movimento. Ma cosa diede a Libanio la certezza di essere vittima di una maledizione? Come spesso in questi casi un sogno, emanazione divina, venne a soccorrere il fedele, conducendolo alla diagnosi e quindi indicandone la possibile cura. Libano, benché non volesse credere di essere vittima di una maledizione, dovette arrendersi all'evidenza dei fatti: “C'era però stata la scoperta di un camaleonte, venuto non si sa da dove, nella mia sala per le riunioni. Era un camaleonte molto vecchio, ed era morto da parecchi mesi, ma abbiamo visto che la sua testa era poggiata tra le zampe posteriori, e che una delle zampe anteriori mancava, mentre l'altra chiudeva la sua bocca per invitarlo al silenzio”(12). Non fu trovata nessuna tabella di defissione, eppure la

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maledizione era palese. La bocca tarpata e la zampa mancante rendevano palese l'intento della maledizione: immobilizzare e azzittire il retore. Alla luce della scoperta la guarigione non tardò ad arrivare, seguita da riti di purificazione. Il camaleonte era stato posto in casa come tramite della maledizione oppure era un segno divino per avvertire e proteggere Libanio? La magia quindi agiva solo se non palese e riconosciuta: una volta presa coscienza dell'azione i rimedi erano a portata di mano, ma bisognava capire perfettamente quali fossero gli ambiti di azione della stessa per poterla debellare. Con questo articolo abbiamo ripercorso assieme i principali ambiti di azione delle maghe e delle magie più forti, manca solo di conoscere come difendersi da questi artifici...ma per questo bisognerà aspettare il prossimo numero di Phanes! [L.A.]

NOTE:

1. Apuleio, Metamorfosi, I, 2.

2. Apuleio, Metamorfosi, I, 5-6.

3. Apuleio, Metamorfosi, I, 7.

4. Apuleio, Metamorfosi, I, 8.

5. Apuleio, Metamorfosi, I, 9.

6. Apuleio, Metamorfosi, I, 9.

7. Apuleio, Metamorfosi, I, 11.

8. Apuleio, Metamorfosi, I,13.

9. Apuleio, Metamorfosi, I,14.

10. Apuleio, Metamorfosi, I, 17.

11. Apuleio, Metamorfosi, I,19.

12. Libanio, Discorsi, I, 243-50.

Immagini:

p.16, visione panoramica della Tessaglia.

p.18, Medea uccide i figli, E. Delacroix, 1862.

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A cura di Lorenzo Abbate

SEZIONE MISCELLANEA

LA STREGA ED IL NOCE

Phanes n.5

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L’ESORCISMO DI

LEONE XIII

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La storia delle maghe di Benevento è forse una delle più famose leggende sulle streghe che si conosca in Italia. Si è diffusa in Europa intorno al XII secolo e ha donato non poca fama alla città

sannita. Queste donne furono considerate “fantastiche” fin quando una certa Matteina da Todi, che fu processata per stregoneria nel 1428, ammise che sotto un grande noce le streghe celebravano i loro sabba. Si credette che tale albero fosse il noce che fu estirpato dal famoso San Barbato(1) nella seconda metà del V secolo dopo Cristo. Tuttavia secondo altre svariate testimonianze di presunte streghe, l’albero era più spesso indicato come un altro sempreverde dalle qualità nocive.

Nella leggenda non si esclude che il noce potesse essere più di uno e che si trovasse sulla Ripa delle Janare(2), la riva del Sabato. Pietro Piperno(3)

smentisce questa diceria dando la sua ipotesi di ubicazione dell’albero a circa “due miglia

da Benevento, non distante dalla riva meridionale del fiume Sabato, nella proprietà del nobile Francesco di Gennaro, su quel terreno Ottavio Bigotta

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LA STREGA ED IL NOCE

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fece esporre un’inserzione che ricordasse l’opera di San Barbato”, lo studioso inoltre inserì una piantina con le indicazioni in uno dei suoi saggi. Altre versioni sostengono che il noce si troverebbe nella gola detta Stretto di Barba, nella strada per Avellino.

Riguardo al Noce, la tradizione italiana lo vorrebbe albero sacro di Satana, tanto che quando i cristiani cercarono di sradicare quel noce, dalle sue radici uscì un serpente, metamorfosi del diavolo stesso.

Le famose streghe spesso citate nella leggenda, appaiono come donne normali di giorno, mentre alla sera, dopo essersi spalmate del famoso “unguento delle streghe” e aver recitato la famosa formula, divengono maghe:

“Unguento, unguento portami al noce di Benevento sopra l'acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo.”

Tale formula viene spesso citata durante i processi.

Sempre la leggenda ci dice che le streghe beneventine si lanciavano in volo da un ponte ben preciso che prese nome di ponte delle Janare, il quale andò distrutto durante la seconda guerra mondiale. Le donne che prendevano parte al rituale sotto il noce si prodigavano in banchetti, danze ed orge, in alcuni resoconti dell’Inquisizione questi incontri presero il

nome di Giochi di Diana(4). Dopo di ciò le streghe davano il peggio di loro portando nel paese molti malesseri, fossero questi un aborto causato ad una giovane donna o un dono di deformità ai nascituri.

Vuole la tradizione che le Janare fossero capaci, dopo essersi cosparse del famoso unguento, di prendere una consistenza incorporea, tanto da essere capaci di passare sotto gli usci per compiere le loro malefatte, tanto che la gente per precauzione lasciava sulla porta del sale od una scopa, in modo tale che la strega sarebbe stata costretta a contare i grani di sale o i fili della saggina, tanto che si sarebbe fatto giorno e la strega sarebbe stata costretta a scappare.

Da ciò si dice che se si fosse stati perseguitati da una janara, si sarebbe dovuto dire: “Vieni domani a prendere il sale!” come forma di scongiuro.

Le Janare non sono le uniche streghe conosciute a Benevento, vi sono anche le Zucculare(5), zoppe, che infestavano la zona intorno a teatro romano, chiamata Triggio, queste streghe guadagnarono l’appellativo perché indossavano zoccoli rumorosi. Le Manalonghe invece erano streghe che vivevano nei pozzi e tiravano giù la gente che vi passava vicino; ed Infine le Urie, molto simili ai Lari della tradizione pagana romana.

Nella tradizione popolare, la leggenda della streghe sopravvive ancora oggi

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donando a Benevento un’aura di mistero e magia, che è impossibile non percepire. [F.C.]

NOTE:

1. San Barbato secondo la leggenda fu arcivescovo di Benevento nominato dal Duca Romualdo dopo che Benevento fu assediata da Costante II, Imperatore bizantino. Barbato, a patto di una rinuncia al paganesimo da parte del Duca Romualdo, avrebbe mandato via le truppe dell’Imperatore tramite intervento divino. Ma la leggenda che lega Barbato al famoso Noce è quella che tratta dei rituali pagani longobardi che venivano fatti in onore del Dio Wotan: consistevano nell’appendere una carcassa di caprone, la quale veniva bastonata dai partecipanti che correvano intorno all’albero a cavallo.

2. La Janara è una delle tante streghe che popolano il folklore beneventino. Si pensa che tale parola derivi da Dianara, ovvero sacerdotessa di Diana. Ma è piuttosto riconducibile alla parola latina janua ossia “porta”, proprio per la sua facoltà di strisciare sotto gli ingressi.

3. Pietro Piperno, protomedico beneventino scrisse nel 1635 un’opera chiamata De nuce maga beneventana la quale fa risalire la leggenda del noce all’idolo longobardo, la vipera d’oro, chiamata anfesibena poiché aveva due teste.

4. I Giochi di Diana sono descritti in alcuni testi medievali come vari cortei di donne dedite al “ludum”. Nei resoconti inquisitori

Diana è chiamata anche Domina Ludum, in quanto ludum è inteso come luogo in cui si apprende ma ci si diletta anche. Questi “giochi” hanno un forte legame con l’ideale comune del sabba con fine orgiastico.

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È a Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, ovvero Leone XIII, che dobbiamo la pubblicazione nel 1886 del famoso Esorcismo Maggiore contro Satana e gli angeli ribelli. Le voci e le testimonianze intorno a questo testo sono intricate e parlano di un pontefice repentinamente “terrorizzato” e allarmato durante lo svolgimento di una normalissima messa. A pochi minuti da questa messa di ringraziamento avrebbe

comandato ai suoi responsabili di far pervenire il testo dell’esorcismo ad ogni chiesa del mondo.

Il testo qui di seguito riportato, sia in latino che in traduzione italiana, sarebbe stato ampiamente utilizzato dai fedeli anche laici, sino a che la Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Inquisizione) nella lettera Inde ab aliquot annis, ordinariis locorum missa: in

mentem normae vigentes de exorcismis revocantur(1), non decise che: “ai fedeli non è neppure lecito usare la formula dell’esorcismo contro satana e gli angeli ribelli, estratta da quella pubblicata per ordine del sommo pontefice Leone XIII, e molto meno è lecito usare il testo integrale di questo esorcismo.” Perciò dal 1985 solamente presbiteri autorizzati da un vescovo e vescovi stessi hanno potuto utilizzare questa preghiera(2).

La storia dell’esorcismo è complessa e spesso poco chiara, quindi si rimanda ad una successiva trattazione l’analisi dei dettagli. La natura di questo articolo è di analizzare le forme “cristiano-cattoliche” di “operazione magica”: riteniamo infatti che l’allontanamento di entità maligne grazie all’invocazione della divinità e

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L’ESORCISMO DI LEONE XIII

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dei suoi eserciti celesti, siano assimilabili nel termine che abbiamo scelto per incentrare questo numero della rivista.

Qui di seguito il testo:

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ad S. Michaëlem Archangelum precatio: Princeps gloriosíssime cœlestis milítiæ, sancte Michaël Archangele, defende nos in prœlio adversus principes et potestates adversus mundi rectores tenebrarum harum, contra spiritualia nequitiæ, in cœlestibus. Veni in auxilium hominum: quos Deus ad imaginem similitudinis suæ fecit, et a tyrannide diaboli emit pretio magno. Te custodem et patronum sancta veneratur Ecclesia; tibi tradidit Dominus animas redemptorum in superna felicitate locandas. Deprecare Deum pacis, ut conterat satanam sub pedibus nostris, ne ultra valeat captivos tenere homines, et Ecclesiæ nocere. Offer nostras preces in conspectu Altissimi, ut cito anticipent nos misericordiæ Domini, et apprehendas draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus et satanas, et ligatum mittas in abyssum, ut non seducat amplius gentes.

Exorcismus:

In nomine Iesu Christi Dei et Domini nostri, intercedente immaculata Virgine Dei Genitrice Maria, beato Michaële Archangelo, beatis Apostolis Petro et Paulo et omnibus Sanctis, et sacra ministérii nostri auctoritate confisi, ad infestationes diabolicæ fraudis repellendas securi aggredimur.

Psalmus 67 (da recitare in piedi):

Exsurgat Deus, et dissipentur inimici eius, et fugiant qui oderunt eum, a facie eius. Sícut deficit fumus, defíciant: sicut fluit cera a facie ignis, sic pereant peccatores a facie Dei.

V - Ecce Crucem Domini, fugite, partes adversæ;

R - Vicit Leo de tribu Juda, radix David.

V - Fiat misericordia tua, Domine, super nos.

R - Quemadmodum speravimus in Te.

Exorcizamus te, omnis immunde spíritus, omnis satanica potestas, omnis incursio infernalis adversarii, omnis legio, omnis congregatio et secta diabolica, in nomine et virtute Domini nostri Iesu + Christi, eradicare et effugare a Dei Ecclesia, ab animabus ad imaginem Dei conditis ac pretioso divini Agni sanguine redemptis +. Non ultra audeas, serpens callidissime, decipere humanum genus, Dei Ecclesiam persequi, ac Dei electos excutere et cribrare sicut triticum. + Imperat tibi Deus Altissimus +, cui in magna tua superbia te similem haberi adhuc præuumis; qui omnes homines vult salvos fieri, et ad agnitionem veritatis venire. Imperat tibi Deus Pater +; Imperat tibi Deus Filius +; Imperat tibi Deus Spiritus Sanctus +. Imperat tibi Christus, æternum Dei Verbum caro factum +, qui pro salute generis nostri tua invidia perditi, humiliavit semetipsum factus obediens usque ad mortem; qui Ecclesiam suam ædificavit supra firmam petram et portas ínferi adversus eam numquam esse

Phanes n.5

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prævalitúras edixit, cum ea ipse permansurus omnibus diebus usque ad comsummationem sæculi. Imperat tibi sacramentum Crucis +, omniumque christianæ fidei Mysteriorum virtus +. Imperat tibi excelsa Dei Genitrix Virgo Maria +, quæ superbissimum caput tuum a primo instanti immaculatæ suæ Conceptionis in sua humilitate contrivit. Imperat tibi fides sanctorum Apostolorum Petri et Pauli ceterorumque Apostolorum +. Imperat tibi Mártyrum sanguis, ac pia Sanctórum et Sanctarum omnium intercessio +. Ergo, draco maledicte et omnis eegio diabolica, adjuramus te per Deum + vivum, per Deum + verum, per Deum + sanctum, per Deum, qui sic dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret, ut omnis, qui credit in eum, non pereat, sed habeat vitam æternam; cessa decipere humanas creaturas, eisque æternæ perditionis venenum propinare: desine Ecclesiæ nocere et eius libertati laqueos inicere. Vade, satana, inventor et magister omnis fallaciæ, hostis humanæ salutis. Da locum Christo, in quo nihil invenisti de operibus tuis: da locum Ecclesiæ unæ, sanctæ, catholicæ et Apostolicæ, quam Christus ipse acquisívit sanguine suo. Humiliare sub potenti manu Dei; contremisce et effuge, invocato a nobis sancto et terribili Nomine Iesu, quem inferi tremunt, cui Virtutes cœlorum et Potestates et Dominationes subiectæ sunt; quem Cherubim et Seraphim indefessis vocibus laudant, dicentes: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.

V - Domine, exaudi orationem meam.

R - Et clamor meus ad te veniat.

Oremus:

Deus cœli, Deus terræ, Deus Angelorum, D e u s A r c h a n g e l o r u m , D e u s Patriarcharum, Deus Prophetarum, Deus Apostolorum, Deus Martyrum, Deus Confessorum, Deus Virginum, Deus qui potestatem habes donare vitam post mortem, requiem post laborem: quia non est Deus præter Te, nec esse postest nisi Tu, creator omnium visibilium et invisibilium, cuius regni non erit finis: humiliter maiestati gloriæ tuæ supplicamus, ut ab omni infernalium spirituum potestate, laqueo, deceptione et nequitia nos potenter liberare, et incolumes custodíre dignaris. Per Christum Dominum nostrum. Amen. Ab insidiis diaboli, libera nos, Domine.

V - Ut Ecclesiam tuam secura tibi facias libertate servire,

R - Te rogamus, audi nos.

V - Ut inimicos sanctæ Ecclesiæ humiliare digneris,

R - Te rogamus, audi nos.

—————————————————-

“In nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, Amen.

Invocazione a San Michele Arcangelo:

Gloriosissimo reggente delle milizie celesti, tu o San Michele arcangelo, difendici durante le battaglie contro tutte le potenze delle tenebre e la loro crudeli azioni spirituali. Vieni in aiuto degli uomini i quali Dio a sua immagine e somiglianza ha creato, ed ha riscattato

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dall'impero del demonio a caro prezzo. Tu che sei venerato dalla Chiesa quale custode e difensore; a te il Signore ha affidato le anime dei redenti destinati ad occupare le sedi celesti. Prega, il Dio della Pace affinchè trattenga Satana sotto i nostri piedi, così che non possa continuare a tenere gli uomini come schiavi e danneggiare la Chiesa. Presenta all'Altissimo le nostre preghiere, perché discendano tosto su di noi le Sue divine misericordie, e tu possa incatenare il drago, l'antico serpente, che è il diavolo e Satana, e una volta incatenato (tu possa) ricacciarlo negli abissi, donde non possa piú ammaliare le anime.

Esorcismo:

In nome di Gesú Cristo, nostro Dio e Signore, e con l' intercessione dell'Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, e di San Michele Arcangelo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi, e fiduciosi nella potenza dei nostri ministri, intraprendiamo la battaglia per scacciare gli attacchi e le insidie diaboliche.

Salmo 67 (da recitare in piedi):

Sorga il Signore e siano dispersi i suoi nemici; fuggano dalla sua vista di lui coloro che lo odiano. Svaniscano come svanisce il fumo: come scorre la cera al fuoco, cosí periscano i peccatori dinanzi alla vista di Dio.

V - Ecco la Croce del Signore, fuggite nemici.

R - Vinse il Leone della tribú di Giuda, il discendente di Davide.

V - Che la tua misericordia, Signore, sia su

di noi.

R -Proprio come noi abbiamo sperato in Te, ti esorcizziamo, spirito immondo, potenza satanica, invasione del nemico infernale, con tutte le tue legioni, riunioni e sette diaboliche, in nome e potere di nostro Signore Gesú + Cristo: sii sradicato dalla Chiesa di Dio, allontanati dalla anime riscattate dal prezioso Sangue del divino Agnello +. D'ora innanzi non ardire, perfido serpente, d'ingannare il genere umano, di perseguitare la Chiesa di Dio, e di scuotere e crivellare, come frumento, gli eletti di Dio. + Te lo comanda l'Altissimo Dio +, al quale, nella tua grande superbia, presumi di essere simile; Te lo comanda Dio Padre +; Te lo comanda Dio Figlio +; Te lo comanda Dio Spirito Santo +; Te lo comanda il Cristo, Verbo eterno di Dio fatto carne +, che per la salvezza della nostra razza perduta dalla tua gelosia, si è umiliato e fatto ubbidiente fino alla morte; che edificò la sua Chiesa sulla ferma pietra, assicurando che le forze dell'inferno non avrebbero mai prevalso contro di Essa e che sarebbe con Essa restato per sempre, fino alla consumazione dei secoli. Te lo comanda il segno sacro della Croce + e il potere di tutti i misteri di nostra fede cristiana. Te lo comanda la eccelsa Madre di Dio, la Vergine Maria +, che dal primo istante della sua Immacolata Concezione, per la sua umiltà, ha schiacciato la tua testa orgogliosa. Te lo comanda la fede dei santi Pietro e Paolo e degli altri Apostoli +. Te lo comanda il Sangue dei Martiri e la potente intercessione di tutti i Santi e Sante +. Dunque, dragone maledetto, e

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tutta la legione diabolica, noi scongiuriamo te per il Dio + Vivo, per il Dio + Vero, per il Dio + Santo; per Iddio che tanto ha amato il mondo da sacrificare per esso il suo Unigenito Figlio, affinché, chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna; cessa d'ingannare le umane creature e di propinare loro il veleno della dannazione eterna; cessa di nuocere alla Chiesa e di mettere ostacoli alla sua libertà. Vattene Satana, inventore e maestro di ogni inganno, nemico della salvezza dell'uomo. Cedi il posto a Cristo, sul quale nessun potere hanno avuto le tue arti; cedi il posto alla Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, che lo stesso Cristo conquistò col suo sangue. Umíliati sotto la potente mano di Dio, trema e fuggi all'invocazione che noi facciamo del santo e terribile Nome di quel Gesú che fa tremare l'inferno, a cui le Virtú dei cieli, le Potenze e le Dominazioni sono sottomesse, che i Cherubini e i Serafini lodano incessantemente, dicendo: Santo, Santo, Santo il Signore Dio Sabaoth.

V - O Signore, ascolta la nostra preghiera.

R - E il nostro grido giunga fino a Te.

Preghiamo:

O Dio del cielo, Dio della terra, Dio degli Angeli, Dio degli Arcangeli, Dio dei Patriarchi, Dio dei Profeti, Dio degli Apostoli, Dio dei Martiri, Dio dei Confessori, Dio delle Vergini, Dio che hai il potere di donare la vita dopo la morte, e il riposo dopo la fatica, giacché non v'è altro Dio fuori di Te, né ve ne può essere, se non Tu, Creatore eterno di tutte le cose visibili e invisibili, il cui regno non avrà

fine; umilmente supplichiamo la tua gloriosa Maestà di volerci liberare da ogni tirannia, laccio, inganno e infestazione degli spiriti infernali, e di mantenercene sempre incolumi. Per Cristo nostro Signore. Amen. Liberaci, o Signore, dalle insidie del demonio.

V - Affinché la tua Chiesa sia libera nel tuo servizio,

R - Ascoltaci, Te ne preghiamo, o Signore.

V - Affinché ti degni di umiliare i nemici della santa Chiesa,

R - Ascoltaci, Te ne preghiamo, o Signore.” (tr. Jonathan Righi) [J.R.]

NOTE:

1. Inde ab aliquot annis, ordinariis locorum missa: in mentem normae vigentes de exorcismis revocantur, 29 Settembre 1985, prot. n. 291/70: AAS 77(1985), pp. 1169-1170.

2. Ad ogni segno “+” è prevista l’esecuzione del segno della croce senza proferire parola alcuna.

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A cura di Jonathan Righi

SEZIONE OMNIA ALTERA

ISCRIZIONI FUNERARIE ROMANE

SI SEDES NON IS

LA CROCE DI SAN BENEDETTO

RECENSIONI

Phanes n.5

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Riporto una piccolissima selezione di iscrizioni funerarie romane, tratte dall’edizione a cura di Lidia Storoni Mazzolani, pubblicate per la BUR, Milano 1991.

D. M. S.

L. ANNIVS OCTAVIVS VALERIANVS.

Euasi, effugi, Spes et Fortuna valete,

nil mihi uobiscum est, ludificate alios.

SACRO AGLI DEI MANI

LUCIO ANNIO OTTAVIO VALERIANO.

Sono fuggito. Sono fuori. Speranza, Fortuna, vi saluto. Non ho più niente da spartire con voi. Prendetevi gioco di qualcun altro.

CLE 1498; CIL VI 11743.

——————————

VITALIS M. VERATI CLARI ANN. V HIC S. EST.

Inspexi lucem, subito quae erepta est mihi

Ita neque domino liquit e me gaudia

Percipere nec me scire quid natus forem.

QUI GIACE VITALE DI ANNI 5 FIGLIO DI MARCO VERAZIO CLARO.

Avevo appena intravista la luce e subito mi fu tolta.

Così, nessun padrone potè godere di me, né a me fu dato di

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ISCRIZIONI FUNERARIE ROMANE Una piccola selezione.

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sapere perché fossi nato.

CLE 78; CLI XII 912.

——————————

Daphnis ego Hermetis coniunx sum libera facta;

Cum dominus uellet primu Hermes liber ut esset,

Fato ego facta prior, fato ego rapta prior.

Quae tuli quod gemui, gemitus uiro saepe reliqui,

quae domino inuito uitam dedi proxime nato.

Nunc qui alet natum? Quis uitae longa ministrat?

Me Styga quod rapuit tam cito eni(m) a superos.

PIA VIXIT ANNIS XXV H. S. E.

Sono Dafne, sposa di Ermete, libera ormai: eppure, il padrone avrebbe voluto che per primo fosse libero Ermete. Il destino che mi fece nascere per prima, mi portò via per prima. Le pene sofferte, le lacrime tanto spesso versate le ho lasciate al marito, poiché contro il volere del padrone, da pochi giorni ho messo al mondo un bambino. Chi lo nutrirà ora, chi provvederà a lui per tutta la vita, poi che lo Stige m’ha rapito tanto presto agli Dei?

PIA VISSE 25 ANNI. QUI È SEPOLTA.

CLE 2115; CIL VIII 24734.

——————————

Sol me rapuit.

Mi ha rapito il sole.

CIL VI 29954. [J.R.]

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Nell’ormai stranamente frequentato giardino di Piazza Vittorio a Roma, si erge la Porta del Cielo, o anche chiamata Porta Alchemica. Turisti, romani stessi vi passano accanto senza fare tanto caso alle minuscole scritte della descrizione, sia per la loro sbiadita definizione, sia per l’infelice grata che divide questo “monumento” dall’osservatore. Il Marchese Palombara intorno al 1680 la fece costruire per la sua Villa, assieme ad altre cinque porte simili, tutte con uno scopo preciso. Questi frequentò le regali compagnie di Cristina di Svezia, ed accanto a lei si introdusse negli ambienti esoterici. La Regina era un amante delle scienze occulte, ed in particolare dell’alchimia, basti pensare che sovvenzionò un laboratorio nel quale operarono celebri nomi come Antonio Flag, Francisco Giuseppe Borri, Francesco Maria Santinelli e Giovanni Cassini. Questo “studio” si trova a Palazzo Corsini già Riario. La storia raccontataci da Francesco Girolamo Cancellieri descrive Francesco Giustiniani Bono mentre di notte passeggia per i giardini di Villa Palombara in cerca di un erba capace di “produrre” oro ex novo. Si dice poi che scomparve attraverso la famosa porta, lasciando tuttavia dietro di se delle

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pagliuzze d’oro a testimonio della riuscita produzione della Pietra Filosofale, e quindi della Grande Opera alchemica. Oltre ai frammenti d’oro egli si dice abbia lasciato degli appunti cifrati contenenti le direttive per la creazione di una ulteriore Pietra. Palombara trascrisse i documenti e li fece trasferire su cinque porte (delle quali una sola rimane, appunto la Porta Alchemica), nella speranza che qualcuno sarebbe prima o poi riuscito a decifrarle(1). Moltissimi studiosi si sono affaccendati a scoprire il segreto di queste iscrizioni, ed in effetti alcuni ragionamenti possono essere fatti: alcuni dei simboli appaiono esattamente identici a quelli riportati sul Aureum Seculum Redivivum scritto da Henricus Madatanus (pseudonimo di Adrian Von Mynsicht). I segni grafici sono identificabili con quelli di pianeti e metalli, i quali sono vicendevolmente assegnati in corrispondenze: Giove-stagno, Saturno-piombo, Venere-rame, Mercurio-mercurio, Marte-ferro, Luna-argento. Inoltre oltre a vari altri simboli ritroviamo facilmente sul frontone il Sigillo di Salomone, nonché diversi motti ermetici collegati ai vari pianeti. Qui di seguito riportiamo le epigrafi ancora osservabili, ed anche quelle ormai scomparse(2):

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Epigrafi scomparse della villa :

-VILLAE IANUAM TRANANDO RECLUDENS IÀSON OBTINET LOCUPLES VELLUS MEDEAE. 1680

Oltrepassando la porta dell'edificio, lo scopritore Giasone ottiene il ricco vello di Medea. 1680.

-AQUA A QUA HORTI IRRIGANTUR NON EST AQUA A QUA HORTI ALUNTUR

L'acqua dalla quale i giardini sono annaffiati non è l'acqua dalla quale sono alimentati.

-CUM SOLO SOPHORUM LAPIS NON SALE ET DATUR SOLE SILE LUPIS

Assieme alla terra, al sale ed al sole tu taci,

La pietra dei saggi non è data ai lupi.

-NATURAE ARCANA EMITUR SPURIA REVELAT NOBILITAS SED MORTEM NON LEGITIMA QUAERIT SAPIENTIA

Colui che svela i segreti della natura rivela solo un vano guadagno.

La nobiltà non richiede una saggezza non legittima bensì la morte.

-HOC IN RUBE, CAELI RORE, FUSIS AEQUIS, PHYSIS AQUIS,

SOLUM FRACTUM, REDDIT FRUCTUM, DUM CUM SALE NITRI,

AC SOLE, SURGUNT FUMI SPARSI FIMI. ISTUD NEMUS, PARVUS

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NUMUS, TENET FORMA SEMPER FIRMA, DUM SUNT ORTAE SINE

ARTE VITES, PYRA, ET POMA PURA. HABENS LACUM, PROPE,

LUCUM, UBI LUPUS NON, SED LEPUS SEPE LUDIT; DUM NON

LAEDIT MITES OVES, ATQUE AVES; CANIS CUSTOS INTER

CASTOS AGNOS FERAS MITTIT FORAS, ET EST AEGRI HUJUS

AGRI AER SOLUS VERA SALUS, REPLENS HERBIS VIAS URBIS.

SULCI SATI DANT PRO SITI SCYPHOS VINI. [2] INTROVENI,

VIR NON VANUS. EXTRA VENUS. VOBIS, FURES, CLANDO FORES.

LABE LOTUS, BIBAS LAETUS MERI MARE, BACCHI MORE. INTER

UVAS, Sl VIS, OVAS, ET QUOD CUPIS, GRATIS CAPIS. TIBI PARO,

CORDE PURO, QUICQUID PUTAS, A ME PETAS. DANT HIC APES

CLARAS OPES DULCIS MELLIS, SEMPER MOLLIS. HIC IN SILVAE

UMBRA SALVE TU, QUI LUGES, NUNC SI LEGES NOTAS ISTAS,

STANS HIC AESTAS, VERA MISTA; FRONTE MOESTA NUNQUAM

FLERES, INTER FLORES SI MANERES, NEC MANARES INTER FLETUS,

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Pagina 35 Phanes n.5

DUM HIC FLATUS AURAE SPIRANT, UNDE SPERANT MESTAE

MESTES INTER MONTES, INTER COLLES, INTER GALLES, ET IN

VALLE HUJUS VILLAE, UBI VALLUS CLAUDIT VELLUS. [3] BONUM

OMEN, SEMPER AMEN ETIAM PETRAE DUM A PUTRE SURGUNT

PATRE, ITA NOTAS, HIC VIX NATUS, IN HAC PORTA, LUTO

PARTA, TEMPUS RIDET, BREVI RODET.

In questo rovo dalla rugiada celeste, dai piani arati e dalle acque correnti,

il suolo dissodato dà frutto; mentre che, che col salnitro

e col sole, dallo sparso letame s'alza fumo. Questo povero bosco

conserva sempre identico il suo aspetto; mentre sono nati senza accorgimenti

i tralci delle viti, i peri e i meli puri. Vicino al lago v'e un boschetto,

dove spesso gioca non già il lupo, ma la lepre senza

ferire le miti pecore e gli uccelli. Il cane custode

tra i puri agnelli, caccia le fiere; e la sola aria di questa

campagna ridà la salute all'infermo, riempiendo di erbe le vie della città.

I solchi coltivati producono, per la sete, coppe di vino. Entra,

uomo modesto! Venere stia lontana! A voi, ladri, chiudo le porte.

Bevi allegramente, a profusione, vino puro, a mo' di Bacco. Gioisci

tra i vigneti, se vuoi, e prendi liberamente ciò che più ti aggrada.

A te preparo con cuore puro quanto mi chiedi. Qui le api producono

in abbondanza dolce miele, sempre fresco. Salute a te, che piangi

all'ombra della selva! Ora, se ti sono note queste regole,

essendo qui l'estate mescolata alla primavera, non staresti qui a piangere mestamente.

Se tu restassi qui, in mezzo ai fiori, non staresti a piangere,

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perché qui spira l'effluvio dell'aria. Perciò le anime melanconiche sperano

tra i monti, tra i colli, tra i sentieri

e nella valle di questa tenuta, dove l'ovile recinge le pecore. Ti faccio

un buon augurio: Che sia sempre così! Ma tu, appena ti sarai alzato,

scrivi qui, su questa porta, partorita dal fango,

dacché le pietre nascono dalla sozzura,

che il tempo scherza, che in breve consuma.

Epigrafi sul rosone:

-TRIA SUNT MIRABILIA DEUS ET HOMO MATER ET VIRGO TRINUS ET UNUS

Tre son le cose mirabili: Dio e uomo, Madre e vergine, trino e uno.

-CENTRUM IN TRIGONO CENTRI

Il centro (è) nel trigono del centro.

Epigrafi sull'architrave :

-רוח אלהים

(RUACH ELOHIM) Spirito divino

-HORTI MAGICI INGRESSUM HESPERIUS CUSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHICAS DELICIAS NON GUSTASSET IASON

Il drago delle esperidi custodisce l'entrata al giardino magico,

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Senza Alcide Giasone non avrebbe potuto assaporare le delizie colchidiche.

Epigrafi sulla soglia :

-SI SEDES NON IS

Il motto è un palindromo:

Se siedi non procedi

Se non siedi procedi.

-EST OPUS OCCULTUM VERI SOPHI APERIRE TERRAM UT GERMINET SALUTEM PRO POPULO

È opera occulta del vero saggio aprire la terra, affinché germogli la salvezza per il popolo.

Epigrafi sullo stipite:

-FILIUS NOSTER MORTUUS VIVIT REX AB IGNE REDIT ET CONIUGIO GAUDET OCCULTO

Nostro figlio, morto, vive, torna re dal fuoco e gode del matrimonio occulto.

-SI FECERIS VOLARE TERRAM SUPER CAPUT TUUM EIUS PENNIS AQUAS TORRENTIUM CONVERTES IN PETRAM

Se avrai fatto volare la terra al di sopra della tua testa con le sue penne tramuterai in pietra le

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acque dei torrenti.

-DIAMETER SPHERAE THAU CIRCULI CRUX ORBIS NON ORBIS PROSUNT

Il diametro della sfera, il tau del circolo, la croce del globo non giovano ai ciechi.

-QUANDO IN TUA DOMO NIGRI CORVI PARTURIENT ALBAS COLUMBAS TUNC VOCABERIS SAPIENS

Quando nella tua casa neri corvi partoriranno bianche colombe, allora sarai chiamato sapiente.

-QUI SCIT COMBURERE AQUA ET LAVARE IGNE FACIT DE TERRA CAELUM ET DE CAELO TERRAM PRETIOSAM

Colui che sa come bruciare col l'acqua e bagnare con il fuoco, fa della terra il cielo, e la terra preziosa attraverso il cielo.

-AZOT ET IGNIS DEALBANDO LATONAM VENIET SINE VESTE DIANA

Azoto e Fuoco: sbiancando Latona, verrà Diana senza veste.

I due “nani”, rappresentanti il Dio egizio delle Porte Bes, si trovano lungo i due assi verticali dell’entrata magica. Che sia leggenda o reale lascito mistico, rimane un interessante piccolo gioiello di Roma. [J.R.]

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NOTE:

1. CARDANO 1990.

2. Traduzione dal latino a cura di Lorenzo Abbate.

SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:

-CARDANO 1990: N. CARDANO, La Porta Magica: Luoghi e memorie nel Giardino di Piazza Vittorio, Roma 1990.

Immagini: p.31, da sinistra verso destra: pilastro sinistro; pilastro destro. p.32, rosone della porta. p.39, base della porta.

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Tra Norcia e Montecassino si dipanano i fili d e l l ’ e n o r m e devozione che viene da secoli riservata al fu San Benedetto. Tra l e m i l l e informazioni sul suo conto, vorrei concentrarmi su u n a d e l l e devozioni a lui rivolte, quella della Croce di San Benedetto, chiamata anche Medaglia di San Benedetto. La sua ideazione non può essere con certezza attribuita al santo, tuttavia vari indizi ci portano a considerare questi insiemi di preghiere come molto attinenti alla tradizione benedettina. San Gregorio Magno riporta alcuni avvenimenti che possono essere collegati alle iscrizioni presenti sulla medaglia. Innanzitutto bisogna ricordare che Benedetto durante i suoi viaggi ebbe molte volte l’occasione di trovarsi dinnanzi al demonio, non solo oniricamente, ma soprattutto fisicamente; ogni volta trovò il modo di scacciarlo ed umiliarlo. Vari testimoni, dice Gregorio Magno, sostennero di aver udito terribili voci gridare “Benedetto!, Benedetto!” e dopo poco “Maledetto non Benedetto!”, dalle sue stanze personali(1). Altro racconto riporta la scena della benedizione di un contenitore di vetro offerta al Santo Benedetto, la quale era stata precedentemente riempita di un veleno mortale da alcuni monaci traditori: dopo che il santo vi impose il segno della croce, questa caraffa si spezzò come se vi fosse stata scagliata contro una pietra. Ebbene in uno degli esorcismi riportati sulla medaglia è contenuta una sigla per l’ “estinzione” dei veleni(2). Persino durante la permanenza di Benedetto a Subiaco si vide il demonio prodigarsi nel rompere oggetti(3), frustrare monaci e tentarne altri(4), ogni volta ovviamente scacciato dalle preghiere del santo monaco. La scoperta della medaglia di San Benedetto come la conosciamo ora, risale alla Baviera del 1647, durante un processo condotto contro un gruppo di “streghe”: queste confessarono di non aver potuto nulla contro

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LA CROCE DI SAN BENEDETTO

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l’abbazia benedettina di Metten, a causa di una croce potentissima ivi contenuta. Dopo varie ricerche furono ritrovati degli affreschi raffiguranti i due visi della medaglia di Benedetto, che tuttavia rimasero senza decifrazione sino alla scoperta di alcuni documenti esplicativi delle sigle puntate, nella stessa biblioteca abbaziale di Metten(5). La vera e propria diffusione delle iscrizioni tra i fedeli avvenne nel XIX secolo ad opera di Leon-Papin Dupont (chiamato Santo Uomo Tours).

Qui di seguito riportiamo l’immagine della medaglia, e successivamente lo svolgimento delle sigle e quindi la loro traduzione in italiano:

C. S. P. B. Crux Sancti Patris Benedicti Croce del santo padre benedetto

C. S. S. M. L. Crux Sacra Sit Mihi Lux Croce sacra sii la mia luce

N. D. S. M. D. Non Draco Sit Mihi Dux Che il dragone non sia il mio duce

V. R. S. Vade Retro Satana Allontanati Satana

N. S. M. V. Non Suade Mihi Vana Non mi persuaderai di cose vane

S. M. Q. L. Sunt Mala Quae Libas Ciò che mi offri è cattivo

I. V. B. Ipsa Venena Bibas Bevi tu i tuoi stessi veleni

Il “rito” prevede, dopo la recitazione delle sette preghiere, la pronuncia della formula:

In nomine patri et filii et spiritui sancto. (quindi si pratichi il segno della croce tradizionale).

[J.R.]

NOTE:

1. San Gregorio Magno, Dialoghi, II c.8.

2. San Gregorio Magno, Dialoghi, II c.3.

3. San Gregorio Magno, Dialoghi, II c.1.

4. San Gregorio Magno, Dialoghi, II c.2.

5. GUERANGER 1879.

SCIOGLIMENTO DELLE SIGLE:

-GUERANGER 1879: P. GUERANGER, Essai sur l’origine, la signification el les privilèges de la Medaille ou Croix de Saint Benoit, Parigi 1879.

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Il volume che presentiamo in questa recensione è decisamente un classico dello studio archeologico ed antropologico. Uscito per la prima volta nel 1997 il testo di Torelli presenta un panorama completo della civiltà degli etruschi: percorrendo le tappe storiche del cammino evolutivo etrusco l’autore ci illustra la civiltà, le usanze e le abitudini di una civiltà misteriosa eppure così vicina a noi. “Il più completo profilo di storia e civiltà etrusche, dai secoli bui della protostoria all'età romana. Partendo dal discusso problema delle origini”, Torelli racconta la formazione e le vicende dell'assetto sociale e politico, l'evoluzione del sistema economico e dei rapporti commerciali e infine il progressivo tramonto della potenza e della cultura etrusche di fronte all'affermarsi della leadership romana sulla penisola. In un quadro così storicamente articolato, l'arte, la letteratura, la religione, i costumi e tutto ciò che ancora ci affascina di quell'antico popolo acquistano un risalto particolare, grazie anche alle numerose illustrazioni. D'altronde un'opera simile non sarebbe stata possibile per nessuno se non per Mario Torelli, archeologo insigne di Perugina: egli è stato professore e Soprintendente alle Antichità dell'Etruria meridionale. Questo volume non è decisamente una lettura scorrevole, ma è la base imprescindibile, assieme al volume di Pallottino, per approcciarsi alla cultura ed alla storia degli Etruschi. [L.A.]

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Mario Torelli, Storia degli Etruschi, Laterza, Bari 2007. pp. 300 (10 euro).

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In questa recensione vogliamo proporre ai lettori di Phanes un volume a metà strada tra la filologia ed il romanzo. Luciano Canfora ci presenta, con una competenza inarrivabile, la storia di questo misterioso papiro, di 35 centimetri di altezza ed una lunghezza impressionante di oltre due metri. Falso moderno, falso d'autore o originale misterioso? Questi sono gli interrogativi ai quali il libro cerca di rispondere. La posta in gioco non è da poco: il papiro antico meglio conservato al mondo, con schizzi pittorico miniaturisti di foggia inspiegabile, ed un testo, la geografia di Artemidoro, inedito e ritenuto a lungo perduto. Non vogliamo anticipare altro, non volendovi privare di una lettura tanto piacevole e tanto scientifica allo stesso tempo. Canfora riesce infatti a tenere l'attenzione del lettore alta e costante, rendendolo partecipe di un cammino contorto alla scoperta delle mistificazioni e delle verità palesi, sempre con un acume critico, ironico e scientifico. Buona lettura. [L.A.]

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Luciano Canfora, La meravigliosa storia del falso Artemidoro, Sellerio, Palermo 2011. pp. 251 (14 euro).

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BIBLIOGRAFIA GENERALE:

IL MAGO NELL’ANTICHITÀ CLASSICA

-J. BIDEZ, F. CUMONT, Le mages hellénisés, Parigi 1938.

LE MAGHE DELLA TESSAGLIA

-W. BURKERT, Ancient Mystery Cults, Harward university press, Londra 1987.

LA STREGA ED IL NOCE

-PAOLO GALLONI, Sigfrido e il noce di Benevento, distribuito su richiesta dall’autore.

-VANNA DE ANGELIS, Le streghe, Piemme, 1999.

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