N° 3/2010 - FIGC Settore Tecnico Coverciano 18° uefa course a coverciano formatori for coach ......

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N° 3/2010 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB ROMA A COVERCIANO IL 1 ° CORSO PER ALLENATORI DEI PORTIERI A COVERCIANO IL 1 ° CORSO PER ALLENATORI DEI PORTIERI

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N° 3/2010

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IL SITO UFFICIALE DEL SETTORE TECNICOwww.settoretecnico.figc.it

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SOMMARIO

DirettoreAzeglio Vicini

Direttore ResponsabileFranco Morabito

Hanno collaborato a questo numeroFelice Accame, Giuseppe Annino, Davide Ballardini, Claudio Bozzetti,Massimo Cacciatori, Alessia Castagnetti, Isabella Croce, Pasquale DeRisi, Stefano d’Ottavio, Franco Ferrari, Luca Gatteschi, Paolo Giordani,Maeva Gotti, Roberto Guidotti, Gianfranco Laperuta, Paolo Piani,Maria Grazia Rubenni, Carlo Salvadori, Vanni Sartini, Massimo Tell,Gennaro Testa, Mauro Testa, Nazzareno Tozzo, Marco Viani.

Impaginazione, disegni e stampaTipografia Facciotti S.r.l.Vicolo Pian Due Torri, 7400146 Roma

FotografieArchivio Settore Tecnico FIGCAS fotoFoto SABEGMTMaurizio PittiglioAntonio SabattiniAntonio TroguUefa photosUfficio Stampa FIGC

Poste Italiane s.p.a. Sped. in abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB ROMA

Registrazione del Tribunale di Firenze del 20 maggio 1968 n. 1911

Il n. 3/2010 del Notiziario è stato chiuso in tipografia il 30 giugno 2010

Tutto il materiale inviatonon verrà restituito.La riproduzione di articoli odi immagini è autorizzata acondizione che ne vengacitata la fonte.

EDITORIALE di Azeglio Vicini 4

SCUOLA ALLENATORI SI È CONCLUSO CON SUCCESSO IL PRIMO CORSO PER ALLENATORI DEI PORTIERI di Massimo Cacciatori 5

SCUOLA ALLENATORI GLI ABILITATI DEI CORSI MASTER E PREPARATORI ATLETICI a cura della Redazione 7

18° UEFA COURSE A COVERCIANO FORMATORIFOR COACH EDUCATORS DI ALLENATORI DI TUTTA EUROPA di Vanni Sartini 9

FINALE INTER, UN’IMPRESACHAMPIONS LEAGUE E LA REALIZZAZIONE DI UN SOGNO di Franco Ferrari 11

ALLENATORI ALLO MARIO BERETTA SPECCHIO, L’INTERVISTA “LA COERENZA PRIMA DI TUTTO” di Isabella Croce 16

SCUOLA ALLENATORI LA DIDATTICA DELLA DIFESA A TRE di Davide Ballardini 19

CENTRO STUDI E RICERCHE LA VIDEO ANALISI: POSSIBILITÀ E LIMITI di Mauro Testa, Pasquale De Risi 29

SEZIONE MEDICA NEUROIMAGING E SPORT di Maria Grazia Rubenni 35

SEZIONE MEDICA IL TEST DEL QUADRATO di Claudio Bozzetti, Paolo Giordani, Maeva Gotti, Alessia Castagnetti. Introduzione di Luca Gatteschi. 37

SEZIONE PER LO SVILUPPO STUDIO SPERIMENTALE DELLE VARIAZIONI DEL CALCIO GIOVANILE BIOMECCANICHE E NEUROMUSCOLARI DEL di Stefano D’Ottavio,E SCOLASTICO COLPO DI TESTA IN FUNZIONE DELLE VARIE Nazzareno Tozzo, TIPOLOGIE DI PALLA IN BAMBINI IN ETÀ SCOLARE Massimo Tell, Giuseppe Annino 40

SEZIONE PER LO SVILUPPO DEL CALCIO GIOVANILE SOCIOLOGIA DELLO SPORTE SCOLASTICO E IL GIOCO DEL CALCIO di Gennaro Testa 44

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EDITORIALE

Q uesto numero del Notiziario esce quando il campionato del mondo è ancora in svolgimento; pertanto l’avvenimento che ci

avvince per passione ed interesse sarà trattato come merita alla prossima uscita sperando di raccontarvi cose belle.

Rendiamo ora il dovuto riconoscimento all’Inter che, partita favoritissima, ha sofferto nel finale del campionato che poi, sul

filo di lana, ha vinto sulla Roma con pieno merito. I nerazzurri hanno fatto il pieno collezionando, negli ultimi venti giorni della

stagione sportiva, campionato, Coppa Italia e Champions League: un traguardo che prima d’ora non era mai stato centrato

da nessun’altra squadra italiana. Complimenti a Moratti e Mourinho. Il tecnico, dopo tutti questi trionfi se ne è andato al Real

Madrid: più di così non poteva vincere! Lo seguiremo con attenzione anche in questa sua nuova sfida.

Pure per il Settore Tecnico è stato un periodo di importanti avvenimenti che hanno tenuto il Centro Tecnico Federale sem-

pre colmo di corsi e di iniziative per i quali voglio ringraziare i docenti della Scuola allenatori per la passione e la profes-

sionalità con i quali hanno soddisfatto gli impegni. Anche l’Uefa ha scelto ancora una volta il nostro Centro Federale per

uno dei suoi tanti eventi, il 18° corso per “Coach educators” cui hanno preso parte circa 160 tecnici formatori in rap-

presentanza di 53 nazioni.

Nel frattempo si è concluso il Master – Uefa Pro con corsisti di valore che hanno seguito con impegno e disciplina i pro-

grammi della Scuola allenatori. È iniziato, ed è in pieno svolgimento, il corso di seconda categoria – Uefa A che ha avuto

una richiesta di partecipazione di oltre 500 tecnici per 40 posti.

Si è svolto invece per la prima volta il corso di specializzazione per allenatori dei portieri di prima squadra e di settori gio-

vanili. Nella stagione 2010/2011 ne metteremo altri tre in cantiere per soddisfare tutte le richieste. È una specializzazione

che è molto sentita dagli ex portieri per il loro ruolo molto speciale.

E si è appena concluso il corso per preparatori atletici – anche qui oltre 500 le richieste per i soliti 40 posti -: un corso

ambito e qualificante.

Nel mese di settembre si svolgerà anche il primo corso di specializzazione per allenatori di calcio femminile che inaugu-

rerà una serie di incontri che si svolgeranno periodicamente con la collaborazione della Divisione femminile.

Infine, almeno per ora, in autunno inizieranno dei corsi Uefa C per giovani e giovanissimi dal 6 ai 16 anni. Si comincia

con due corsi sperimentali a Firenze e a Roma; in seguito avranno un iter di ammissione simile a quello già in atto per i

corsi di base Uefa B e secondo le necessità del Settore giovanile.

Nella stagione sportiva 2010/2011 si terrà altresì un corso speciale per Direttori sportivi riservato a coloro che già svolgo-

no attività nella gestione sportiva di una Società della Lega Nazionale Professionisti e della Lega Pro.

*Presidente Settore Tecnico FIGC

di Azeglio Vicini*

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Dall’8 al 12 marzo 2010, traendo spunto dalla recente istituzio-

ne di un Elenco speciale degli allenatori dei portieri, il Centro

tecnico di Coverciano ha ospitato il primo corso di specializzazione

per allenatori di portieri di prima squadra e settore giovanile.

Organizzato dal Settore Tecnico e riservato ad allenatori diplomati,

il corso è solo il primo di una serie in programma in un prossimo

futuro.

Moltissime sono state le richieste di partecipazione al corso per la

cui ammissione si è tenuto conto dello stesso criterio già in uso

negli altri corsi di abilitazione. Secondo i criteri espressi nel bando,

i primi quaranta in graduatoria hanno avuto accesso al corso.

Molti ed illustri sono stati i relatori con i quali si è cercato di toccare

tutti i punti più importanti in relazione al tema specifico. A tale

proposito un vivo ringraziamento va ai colleghi impegnati nelle

varie rappresentative nazionali (A e Under): Ivano Bordon,

Luciano Castellini, Andrea Pazzagli, Angelo Peruzzi, che oltre

alla grandissima competenza ed esperienza, hanno partecipato con

passione ed entusiasmo. Ferretto Ferretti ha portato il suo contri-

buto illustrando le principali capacità condizionali richieste e le

metodiche generali di allenamento. Antonio Rocca, dall’alto della

sua lunga esperienza in ambito generale, ha fornito spunti molto

interessanti riguardo ai giovani, con punti di osservazione nella

scelta e nell’indirizzo specifico al ruolo. Franco Ferrari, coordina-

tore della Scuola allenatori e docente di tecnica e tattica calcistica

ai corsi Master, ha invece parlato dell’interazione tecnico-tattica

portiere-squadra: tema, questo, molto importante nel calcio

moderno nel quale il portiere è protagonista non solo in fase difen-

siva ma anche in quella offensiva. Pietro Battara, il decano dei

preparatori dei portieri, ha ripercorso con il suo intervento uno spa-

zio temporale molto ampio, dalla nascita della figura del prepara-

tore specifico ad oggi: una evoluzione raccontata con eleganza,

misura e competenza. Riguardo alla medicina sportiva il dottor

Luca Gatteschi ha parlato dei traumi e delle patologie più fre-

quenti nei portieri nonché dei tempi e delle modalità chirurgiche e

fisioterapiche di recupero. Rispetto al passato, infatti, i traumi di

natura muscolare nei portieri sono nettamente aumentati rispetto

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SI È CONCLUSO CON SUCCESSO IL PRIMO CORSO PER ALLENATORI DEI PORTIERI

di Massimo Cacciatori*

SCUOLA ALLENATORI

*Docente Settore Tecnico FIGCI corsisti in aula; in prima fila il consigliere del Settore Tecnico Azelio Rachini e il coordinatore dellaSezione medica Luca Gatteschi

Andrea Pazzagli con Pietro Battara

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SCUOLA ALLENATORI

al passato. Felice Accame ha trattato con la solita competenza il

comportamento nel rapporto preparatore-portiere e preparatore-

tecnico responsabile, e illustrato le varie forme di comunicazione

considerato il rapporto molto più stretto e particolare rispetto ad un

rapporto di squadra. Vittorio Tubi ha infine parlato degli aspetti

generali del ruolo sotto il profilo psicologico.

Come si può notare da questa breve sintesi degli interventi, si è

cercato di dare al corso una panoramica il più ampia possibile. Si è

anche discusso del lavoro fatto con i giovani, sotto tutti i profili,

nelle varie fasce di età, per arrivare al lavoro con gli adulti nelle

forme e nei contenuti più appropriati. In ciò si è confermato il fatto

che il lavoro con i giovani, soprattutto dagli 8 ai 14 anni, è comple-

tamente diverso da ciò che si andrà a proporre dopo, e questo

richiede e merita una preparazione di base da parte dell’allenatore

specifico il più approfondita possibile.

La partecipazione attiva, la discussione ed il confronto da parte dei

corsisti con i vari relatori è stata ampia e costruttiva. Tutti hanno

contribuito al successo di questa iniziativa: i corsisti col loro impe-

gno, i relatori con la competenza e l’entusiasmo, ed il Settore

Tecnico che logisticamente ha messo tutti nelle migliori condizioni

per poter operare ed apprendere.

Unica nota negativa, le condizioni del tempo, quasi proibitive nei

giorni del corso ma che non hanno comunque impedito i lavori sul

campo come da programma.

Un ringraziamento, infine, per la fattiva e preziosa collaborazione

offerta, vanno al presidente del Settore Tecnico e direttore della

Scuola allenatori Azeglio Vicini che ha inserito nei programmi

futuri del Settore ulteriori corsi; al segretario del Settore Tecnico e

direttore del Centro di Coverciano Paolo Piani; e al responsabile

organizzativo dei corsi della Scuola allenatori Antonio Acconcia.

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Da sinistra: Antonio Acconcia, Luciano Castellini, Massimo Cacciatori, Angelo Peruzzi,Andrea Pazzagli

GLI ALLIEVI DEL CORSO ISCRITTI NELL’ELENCO

DEGLI ALLENATORI DEI PORTIERI

Abrescia Saverio, Baldanzi Graziano, Baroncini Piero, Berarma

Nacereddine, Berlese Vanni, Bertaccini Davide, Berti Gianluca,

Boccafogli Fabrizio, Bordoni Paolo, Bravi Enzo, Brivio Pierluigi,

Caniato Massimiliano, Casazza Fabrizio, Ciucci Stefano, Cortinovis

Silvio,DefidioGiuseppe, Dibitonto Nicola, Doardo Domenico, Eberini

Sergio, Fassoli Pietro, File Antonio, Leonardi Giancarlo, Lorieri

Fabrizio, Lucetti Angelo, Mancini Francesco, Mercuri Roberto, Nappi

Alessandra, Pacchiarotti Gian Luca, Perri Domenico, Quironi Davide,

Ragini Marco, Roccati Marco, Santinelli Pietro, Sardini Andrea,

Sonnino Fabrizio, Taibi Massimo, Terrani Francesco, Tosti Cristian,

Valenti Francesco, Viviani Paolo, Zancopé Adriano, Zuccher Marco.

Gli allievi del corso durante la lezione del professor Felice Accame

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CORSO MASTER

C on l’esame finale sulle varie materie del corso e la discussione delle tesi

si è concluso al Centro tecnico federale di Coverciano il Master per l’a-

bilitazione ad Allenatori professionisti di prima categoria – UEFA Pro - indetto

dal Settore Tecnico della Federcalcio, che era iniziato il 16 novembre 2009.

Durante lo svolgimento del corso gli allievi hanno sostenuto anche due sessio-

ni al di fuori del Centro tecnico di Coverciano dove si è svolta la maggior parte

delle lezioni: a Milanello ed a Palermo, dove hanno potuto assistere rispettiva-

mente agli allenamenti del Milan e della squadra rosanero.

Tutti promossi gli allievi che hanno sostenuto l’esame: Roberto Alberti

Mazzaferro, Alessandro Altobelli, Gianluca Atzori, Lorentino Beoni,

Abdellah Boudouma, John Buttigieg, Roberto Cevoli, Leonardo De

Araujo, Marco Delvecchio, Paolo Di Canio, Raffaele Di Pasquale,

Massimiliano Favo, Giuseppe Ferazzoli, Angelo Galfano, Lamberto

Magrini, Amedeo Mangone, Giacomo Modica, Gaetano Musella,

Maurizio Neri, Carmine Nunziata, Claudio Ottoni, Giuseppe Pancaro,

Claudio Pellegrini, Maurizio Pellegrino, Carlo Perrone, Antonio Porta,

Florin Valeriu Raducioiu, Fabio Rossitto, Marco Savini, Giuseppe

Signori, Dejan Vasiljev, Walter Viganò, Sergio Ariel Zanetti.

Eusebio Luca Di Francesco, Carlo Sabatini e Giuseppe Sannino, impe-

gnati con le rispettive squadre nei play-off e play-out di serie B e di Lega

Pro, sosterranno l’esame nel prossimo mese di settembre.

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GLI ABILITATI DEI CORSI MASTER E PREPARATORI ATLETICI

a cura della Redazione

SCUOLA ALLENATORI

Foto di gruppo degli allievi del Master sul 'centrale' di Coverciano insieme ad alcuni docenti

I docenti col segretario del Settore Tecnico Piani; da sinistra: Felice Accame, Maria GraziaRubenni, Paolo Piani, Vittorio Tubi, Franco Ferrari, Ferretto Ferretti

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SCUOLA ALLENATORI

CORSO PREPARATORI ATLETICI

Sono stati tutti promossi i partecipanti al corso per l’abilitazione a

Preparatore atletico organizzato dal Settore Tecnico e svoltosi a

Coverciano dall’1 marzo al 25 giugno 2010.

Questi gli iscritti con tale qualifica nei ruoli: Albarella Nicola,

Amati Luca, Arrigotti Enrico, Basile Michele, Belenkiy Gennady,

Berti Elia, Bozzetti Angelo, Bresciani Marco, Castellani Andrea,

Consiglio Marco, Consorti Saverio, Crispoltoni Marcello, De Risi

Pasquale, Fabbrizzi Yuri, Ferrini Franco, Folletti Simone,

Freghieri Cristian, Ibba Gianfranco, Iodice Pierpaolo, Marcattilii

Marcattilio, Mistai Tiziano, Moranda Matteo Mario, Nervi Daniele,

Nocera Antonino, Orrù Natalino, Perazzolo Daniel, Pescosolido

Carlo, Petrucci Marco, Ricci Luca, Schiavone Domenico, Sciurti

Cristian, Siclari Domenico, Spaggiari Alessandro, Spedicato

Mirko, Tafani Fabrizio, Tamburini Marco, Tognaccini Daniele,

Torrisi Antonio, Trentin Fabio, Vecchio Valentino.

Nel corso del programma i corsisti hanno sostenuto anche uno

stage presso il centro sportivo del Milan dove hanno incontrato lo

staff tecnico della società rossonera, visitato il Milan Lab e assistito

agli allenamenti della squadra.

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Gli allievi del corso per Preparatori atletici con Ferretto Ferretti (prima fila, al centro) ed Elena Castellini (terza fila, a destra)

Un gruppo di allievi in aula

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Dal 12 al 16 aprile il Centro tecnico di Coverciano ha ospitato il 18°

Corso Uefa per Coach Educators, il più importante appuntamento

europeo di formazione tecnica, organizzato ogni due anni dalla

Confederazione continentale e rivolto agli istruttori delle scuole allenatori

dei paesi membri.

Per cinque giorni, quindi, Coverciano ha ospitato oltre 150 tecnici in rap-

presentanza delle 53 Federazioni dell’Uefa più alcuni allenatori invitati da

altre Confederazioni.

Il tema dominante del corso è stata la filosofia secondo la quale la Uefa

crede che la formazione degli allenatori debba essere improntata, il

Reality Base Learning, ossia l’apprendimento da situazioni che riprodu-

cano il più possibile situazioni realistiche con le quali gli allenatori si tro-

veranno di fronte una volta ottenute le qualificazioni ed una volta iniziata

l’attività di tecnici.

In questo senso si sono posizionate le varie sessioni formative, sia in

campo che in aula. Durante le lezioni in aula, coordinate dal Direttore

Tecnico dell’Uefa Andy Roxburgh, si è data molta importanza all’aspet-

to psicologico e comunicazionale del ruolo dell’allenatore ed alla

fondamentale qualità di interfacciarsi con il proprio gruppo di calciatori.

Di questo argomento si è dibattuto prima con ex calciatori di grande suc-

cesso, come l’inglese Greame Le Saux (Blackburn Rovers, Chelsea,

Nazionale inglese) e l’italiano Lorenzo Amoruso (Fiorentina, Glasgow

Rangers), che hanno riportato la loro esperienza con i diversi allenatori

avuti, e poi con allenatori di altissimo livello. Inizialmente è stato il turno

di Marcello Lippi, che ha spiegato come la costruzione di un gruppo di

calciatori e la capacità di interagire con loro sia alla base della filosofia del

suo modo di intendere il calcio; poi è stata la volta di Howard

Wilkinson, ex allenatore di Leeds United e Nazionale inglese, e dello sve-

dese Lars Lagerbäck, Commissario tecnico della Nigeria dopo esserlo

stato per quasi dieci anni della Nazionale scandinava, che hanno dibattu-

to sulla difficoltà del ruolo dell’allenatore nelle diverse fasi del rapporto

con i calciatori, portando anche loro le personali esperienze.

Anche dal punto di vista tecnico-tattico le lezioni del corso sono state

improntate secondo la filosofia del Reality Base Learning, ossia dell’appren-

dimento in situazioni più realistiche possibili. Per questa ragione, grazie

anche al contributo dei partecipanti olandesi e, soprattutto a quello di Chris

Van der Werden, ex difensore del PSV Eindhoven attualmente impegnato

nel corso per allenatori di giovani di alto livello organizzato dalla KNVB, che

ha effettuato una parte del suo esame di fronte alla platea dei partecipanti,

è stata organizzata una unità didattica in due sessioni formative sul campo,

effettuate ad un giorno di distanza l’una dall’altra.

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A COVERCIANO FORMATORIDI ALLENATORI DI TUTTA EUROPA

di Vanni Sartini*

18° UEFA COURSE FOR COACH EDUCATORS

*Centro Studi Settore Tecnico FIGCI partecipanti al corso durante una lezione nell’Aula magna del Centro tecnico di Coverciano

Foto di gruppo

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18° UEFA COURSE FOR COACH EDUCATORS

Nella prima sessione, si è simulata una vera e propria partita di calcio, in

cui Van der Werden impersonava il ruolo dell’allenatore di una squadra

ed in cui i docenti della scuola allenatori olandese lo valutavano in tutte

le fasi di lavoro connesse, dalla preparazione alla gara, alla spiegazione

tattica dei compiti da effettuare, al comportamento in panchina, a quello

durante l’intervallo e all’analisi al termine della gara. Nella seconda ses-

sione, effettuata il giorno successivo, l’allievo olandese doveva invece

organizzare una seduta di lavoro tecnico-tattico con la propria squadra

per poter sottolineare eventuali errori o comportamenti da migliorare

rilevati nella partita giocata il giorno prima. Secondo i docenti orange,

questa tipologia di esame è molto importante per capire se un allenatore

abbia appreso alcuni concetti fondamentali insegnati durante il corso.

Nico Romejin, tutor di Van der Werden in questo corso, ha affermato

che l’obbiettivo dei corsi allenatori non è quello di “insegnare calcio” agli

aspiranti tecnici, bensì che i tecnici siano in grado di trasmettere le pro-

prie conoscenze ai calciatori, e l’analisi di questa capacità durante una

partita (seppur preparata appositamente per l’esame stesso) e l’allena-

mento successivo a questa, è quanto di più realistico e produttivo ci

possa essere.

Di fondamentale importanza è stato il contributo offerto dai giovani

dell’ACF Fiorentina, che ha partecipato con la propria squadra allievi

alle sessioni di campo, e di alcuni ex-calciatori italiani che, insieme ad

Amoroso e Le Saux, si sono prestati a completare il pacchetto dei venti-

due in campo. Questi giocatori, tra cui Pazzagli, Antognoni, Sorbi, Di

Biagio, Di Canio, Di Livio, Eranio, Bortolazzi, Iacobelli, Davide

Lucarelli, Semplici, hanno partecipato anche all’ultima sessione di

campo, in cui Franco Ferrari, docente dei corsi Master Uefa Pro del

Settore Tecnico, ha presentato alcune esercitazioni abitualmente effet-

tuate nei corsi di massimo livello della scuola italiana, anch’esse appron-

tate sulla filosofia del Reality Base Learning, come i movimenti della dife-

sa a zona e le esercitazioni per le uscite della difesa contro gli attacchi

schierati secondo vari moduli di gioco.

Nell’ambito del corso Uefa si è tenuta anche la riunione della Uefa Jira

Panel, la speciale commissione della Uefa che, tra le varie competenze,

ha quella di accertare e di garantire il rispetto della Coaching Convention

presso tutte le Federazioni europee.

La Uefa Coaching Convention è incentrata su un sistema generale di

riconoscimento dei programmi nazionali di formazione e di allenamento

professionali nel calcio al fine di favorire l’integrazione europea e, in par-

ticolare, la libera circolazione dei lavoratori. Il Protocollo d’intesa, firmato

a Gand il 18 gennaio 1998, prevede il mutuo riconoscimento dei diplomi

di allenatore presi nei diversi Paesi europei; al momento attuale tutte e

53 le federazioni europee hanno aderito al Protocollo originariamente fir-

mato dalle associazioni nazionali di Germania, Danimarca, Spagna,

Francia, Italia ed Olanda.

Il rappresentante dell’Italia nella Uefa Jira Panel è Paolo Piani, segretario

del Settore Tecnico della Federazione Italiana Giuoco Calcio e direttore

del Centro tecnico di Coverciano; questi gli altri componenti: Packie

Bonner (Repubblica d’Irlanda), ex portiere Eire, Ivan Hašek (Repubblica

Ceca), ct Repubblica Ceca, Gérard Houllier (Francia), ex allenatore della

Nazionale francese, del Lione e del Liverpool, Emil Kostadinov (Bulgaria),

ex giocatore del Porto, Lars Lagerbäck (Svezia), ex ct della Svezia ed

attuale ct della Nigeria, Piotr Maranda (Polonia), Ginés Meléndez Sotos

(Spagna), Dag Riisnaes (Norvegia), Nico Romeijn (Olanda), Dany Ryser

(Svizzera), Michel Sablon (Belgio), Howard Wilkinson, ex ct

dell’Inghilterra (Inghilterra), Frank Wormuth (Germania).

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Andy Roxburgh

La Uefa Jira Panel

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FINALE CHAMPIONS LEAGUE

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L’EVENTO

Madrid, sabato 22 maggio 2010, finale di Champions League:

splendida vittoria dell’Inter che batte il Bayern Monaco (2-0, dop-

pietta Milito) e conquista una Coppa inseguita e sognata da 45 anni

(Milano 1965, Inter-Benfica 1-0, Jair).

La stagione 2009/10 rimarrà nella storia del calcio italiano non solo per

la conquista di questo trofeo; per la prima volta un club riesce a conqui-

stare i tre principali titoli nella stessa annata (Campionato - Champions

League - Coppa Italia): la famosa “tripletta” da molti considerata un’im-

presa difficilmente realizzabile in Italia a causa dell’eccessivo carico psico-

fisico sugli atleti.

Inoltre l’Inter durante l’anno solare avrà a disposizione ulteriori tre trofei per

esaltare il ciclo magico: Supercoppa Europea, Coppa Intercontinentale e

Supercoppa Italiana (persa all’inizio stagione a Pechino contro la Lazio).

La finale di Champions si è presentata con due squadre di altissimo pedi-

gree, entrambe rispettive vincitrici sia del Campionato che della Coppa

nazionale; quindi oltre alla prestigiosa “Coppa con le orecchie”, in gioco

c’era la Storia.

Il risultato finale non era solo importante per le due squadre ma indiret-

tamente diventava fondamentale anche per le due nazioni in quanto in

caso di vittoria tedesca l’Italia avrebbe perso una posizione nel ranking

europeo e quindi dalla stagione 2011-12 solo 3 squadre avrebbero potu-

to partecipare alla Champions (perso un posto a vantaggio della

Germania).

Un’altra curiosità: la finale si è giocata per la prima volta di sabato, al

INTER, UN’IMPRESA E LA REALIZZAZIONE DI UN SOGNO

di Franco Ferrari*

*Coordinatore della Scuola allenatori del Settore Tecnico FIGC e docente di Tecnica e tattica calcistica ai corsi per allenatori

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FINALE CHAMPIONS LEAGUE

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posto del consueto mercoledì: ottima decisione per il pubblico, specie

quello proveniente dall’estero.

Per le due squadre il cammino di avvicinamento alla finale è stato un

crescendo di risultati e prestazioni: l’Inter dopo un farraginoso girone

di qualificazione (in cui si era piazzata al 2° posto dietro il Barcellona),

ha superato nei successivi turni ad eliminazione diretta: Chelsea 2-1, 1-

0 (ottavi); CSKA Mosca 1-0, 1-0 (quarti); Barcellona 3-1, 0-1 (semifinali)

stabilendo e consolidando nel frattempo il proprio sistema di gioco.

Stessa cosa per il Bayern: 2° nel girone eliminatorio dietro il Bordeaux

(sconfitta in entrambi gli scontri diretti); negli ottavi sconfitta a stento

la Fiorentina, la quale può lamentarsi dei clamorosi errori arbitrali nella

gara di andata (2-1, 2-3); nei quarti ha proseguito splendidamente bat-

tendo Manchester United (2-1, 2-3) e nella semifinale ha escluso il

Lione (1-0, 1-0).

PRESENTAZIONE DELLA PARTITA

Di fronte ad un pubblico festante, con lo stadio Bernabeu pieno di musi-

ca, incitamenti e colori si allineano le due squadre.

Entrambe hanno una defezione per squalifica: Inter (Thiago Motta),

Bayern (Ribery).

I sistemi di gioco sono confermati e noti

L’Inter presenta il 4:2:3:1, che si realizza col n. 10 Sneijder a fare da

trait d’union tra il centrocampo e l’attacco, aiutando nella fase

difensiva e sempre pronto ad eventuali inserimenti; due mediani

bassi di contenimento, equilibrio e costruzione; due ali offensive, ma

sempre disposte e pronte a coprire e ripartire; una punta tecnica che

sa difendere la palla, lavora in ampiezza e rappresenta il terminale

ultimo; due terzini sui diretti avversari, di cui uno (Maicon) pronto a

sganciarsi ed attaccare con e senza palla.

Una squadra che si è consolidata in queste posizioni, compiti e fun-

zioni nel prosieguo della stagione: infatti dall’inizio dell’anno ha

alternato vari moduli (4:3:3 - 4:4:2 col centrocampo a rombo -

4:3:2:1 - 4:2:4) sempre in funzione dell’avversario e del risultato

contingente, finché si è deciso di puntare e fissare questo sistema,

ritenuto più idoneo ed elastico.

Una compagine molto equilibrata: la fase difensiva è stata il punto

di forza della stagione (squadra che ha subito meno reti in campio-

nato) pur disponendosi con quattro giocatori d’attacco; la linea di

quattro difensori, impressionante nel blocco centrale, esaltata dal

portiere e sempre protetta dai due c/c, difficilmente ha dato segni di

sbandamento.

INTER

ALL. MOURINHO

BAYERN MUNICH

ALL. VAN GAAL

Arbitro: Webb (Inghilterra)

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Ma non bisogna trascurare anche l’aiuto sulle fasce basse dato dalle ali e

dai rientri centrali di Sneijder. In questo modo la squadra, forte fisicamen-

te, densa, con i giocatori tutti attenti ed abili nel non farsi superare dai

diretti avversari e pronti a coprire il compagno, molte volte si è rivelata un

ostacolo insormontabile per gli avversari.

La motivazione a sacrificare il proprio “io” a favore della squadra è stato

l’elemento mentale più appariscente della stagione. La squadra spesso è

sembrata un blocco monolitico e molte volte dalla riconquista palla si

sono verificati pericolosi contrattacchi.

La fase offensiva è stata altrettanto significativa (maggior numero di reti

realizzate in campionato). Le due ali in partenza larghe, molto tecniche e

di movimento, abili nella difesa della palla e nell’1:1, determinavano

ampiezza, tempi di risalita alla squadra, pericolosissimi contropiedi ed

inserimenti centrali, poiché “entravano” in continuazione, anche per

liberare lo spazio per gli inserimenti da dietro.

La mezza punta Sneijder si è rivelato l’unico giocatore non intercambia-

bile: tecnico, rapido, abilissimo nelle due fasi e dotato di tiro dalla distan-

za; abile ad attaccare gli spazi liberi e pronto ad innescare pericolosissimi

contropiedi con assist, cambi di gioco o finalizzazioni.

La punta Milito, con 35 presenze e 22 reti in campionato, si è rivelato il

terminale offensivo ideale per questa squadra, non solo per le reti realiz-

zate ma per come riusciva a far scorrere il gioco. Molto tecnico, abile

nella difesa della palla, altruista, mobile ed implacabile sotto porta.

Ma la fase offensiva non si limita ai movimenti di questi quattro giocatori:

da dietro sulla fascia destra si propone in continuazione uno straripante

Maicon e le combinazioni d’attacco sono spesso supportate dai due c/c

sempre in appoggio arretrato, ma pronti ad inserirsi negli spazi. Una

squadra completa e sempre motivata alla vittoria.

Il Bayern propone il solito 4:4:1:1 con quattro difensori a zona; Lahm ter-

zino destro sempre in avanzamento e disposto a partecipare alla manovra

mentre quello sinistro Badstuber più portato al contenimento; i due cen-

trali, alti, forti fisicamente e quindi un po’ lenti, ma sempre pronti al giro

palla e ad iniziare la manovra da dietro.

Il centrocampo in questa gara si presenta con due esterni (ali) diversi per

caratteristiche; a destra il mancino Robben, pericolosissimo dribblatore,

assist-man e finalizzatore in quanto portato a rientrare verso il centro sul

piede sinistro, quindi pronto sia alla rifinitura sia alla conclusione, dotato

di un tiro forte e preciso; a sinistra Altintop (che sostituisce lo squalificato

Ribery, assenza molto importante in quanto giocatore tecnico ed abile

nell’1:1 che poteva dare un’alternativa a sinistra allo sviluppo finale della

manovra e pronto a svariare sul fronte; una potenziale minaccia), gioca-

tore tattico, ottimo a coprire lo spazio ed a fare da perno alle manovre

sulla fascia, destro e dotato di buon tiro, ma non abilissimo nel saltare

l’uomo.

In questo modo in fase di possesso la squadra è sbilanciata a destra, con

la coppia Lahm-Robben sempre pronta ad attaccare ed affondare, men-

tre sulla fascia sinistra la coppia Badstuber-Altintop è per caratteristiche

portata più all’appoggio ed alla creazione di spazio piuttosto che

all’affondo.

A centrocampo due mediani interni molto bravi nelle due fasi di gioco;

due metronomi che sanno distribuire il gioco e mantenere gli equilibri

della squadra.

In avanti due punte poste in verticale; la più avanzata Olic, tutto sinistro,

rapido, veloce, insidioso e mobile, che si muove in ampiezza; e quella

arretrata, Muller, alto, tecnico, sempre pronto al raccordo ed a infilarsi sia

centralmente sia negli spazi.

A questo punto, dopo aver analizzato le formazioni di partenza, sta per

iniziare la gara: l’attesa è eccitante: “Come si svilupperà il gioco? Quale

strategia per entrambe? Quale spettacolo?”.

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FINALE CHAMPIONS LEAGUE

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LA GARA

Il terreno si presenta scivoloso, malgrado 28° di temperatura: è stato

bagnato (usanza classica spagnola) troppo?

La partita inizia a ritmi bassi, il Bayern fa uno sterile e lento possesso palla

favorito dal fatto che l’Inter si racchiude nella propria metà campo e cerca

l’uscita solo con palle lunghe nello spazio, piuttosto che con la solita

manovra.

Questo è dovuto alla posizione dei due mediani (Zanetti-Cambiasso)

sempre bassi e stretti davanti alla linea difensiva, preoccupati di chiudere

e limitare le giocate del 3/4 Muller (se lo passano a zona) che agisce tra

le linee ma pronto ad infilarsi su qualsiasi palla.

Questo comporta alcune conseguenze (volute?):

• a centrocampo non c’è pressione sugli avversari centrali per cui il pos-

sesso palla per il Bayern nella propria metà campo è semplice, dato

che le ali nerazzurre e Sneijder si ritirano per coprire lo spazio e Milito

rimane solo; si evidenzia così una netta superiorità numerica tedesca

fino a centrocampo. Per tale strategia nerazzurra l’azione tedesca

nasce sempre dal basso ed arriva fino ai centrocampisti facilmente;

questo determina che il possessore palla avversario, seppur lontano,

abbia sempre il tempo per la giocata e quindi la difesa Inter non abbia

il tempo per risalire fino a metà campo (altrimenti rischia di subire la

palla nello spazio dietro);

• la posizione molto interna di Cambiasso (mediano sinistro) comporta

molta distanza tra lui e Chivu, costretto da Robben a giocare quasi sulla

linea laterale; questo comporta la mancanza di raddoppi interni su

Robben (Cambiasso non fa in tempo a scivolare a sinistra), per cui

Chivu si trova in difficoltà a contrastare la pericolosa ala avversaria che,

essendo mancina contro un mancino, rientra spesso internamente

(anche se Chivu è aiutato sempre dai rientri sulla fascia dell’ala Pandev,

ma le cui caratteristiche difensive non brillano per forza fisica e la saga-

cia tattica: è sempre un attaccante).

Il Bayern manovra con sicurezza, senza fretta, ma è sterile; non trova var-

chi in avanti e torna spesso indietro per girare il fronte, con padronanza

tecnica (non c’è pressione da parte dei centrocampisti nerazzurri) ma

senza preoccupare l’Inter poiché la trasmissione palla è lenta (non trova-

no mai spazio utile e gli unici momenti potenzialmente più pericolosi ven-

gono solo dalle iniziative personali di Robben).

I tedeschi perdono molto tempo nella ricerca dello spazio profondo (che

non c’è quasi mai per la densità davanti alla linea difensiva e l’attenzione

dei difensori sugli attaccanti) e cercano così (inutilmente) il prevedibile

cambio di fronte; la manovra sembra avvolgente mentre in realtà è poco

produttiva: l’Inter riesce sempre a rimanere sotto la linea della palla.

L’Inter comunque sembra subire, seppur senza pericoli, la superiorità ter-

ritoriale degli avversari; non riesce (o non vuole) manovrare, cerca solo le

”imbucate” lunghe. Il suo gioco non è piacevole, la manovra non si

manifesta con un possesso palla, col fraseggio (cosa di cui è maestra);

sulle fasce non si sviluppa niente: sia le ali, sia i terzini sembrano “timidi”,

rimangono spesso fuori dal possesso palla anche perché il gioco sembra

piuttosto tendere nell’imbuto centrale avversario con palle profonde.

Sembra una gara molto tattica da parte nerazzurra mentre il Bayern con-

tinua a macinare gioco sulla zona centrale del campo; entrambe sembra-

no in attesa di un qualcosa…

Improvvisamente la fiammata: al 34’ rinvio lungo di sinistro del portiere

Julio Cesar da retropassaggio dalla fascia destra; saltano sulla 3/4 destra

Milito e Demichelis: l’interista difende palla, appoggia verso 1/2 sinistro

a Sneijder e scatta internamente al proprio marcatore in verticale;

Sneijder controlla e restituisce la palla rasoterra in profondità sulla corsa

del compagno che, solo, fredda il portiere, …1-0!

Tre passaggi consecutivi, di cui un rilancio del portiere; bellissima azione

tecnico-tattica; ma gli avversari?

Nota personale per gli allenatori: in fase difensiva, con la difesa schierata,

su un rilancio lungo avversario e con un compagno che va a saltare:

come ci si deve comportare? Quali coperture preventive?

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Ed al 42’ altra occasione: Milito da 1/2 sinistro rientra e mette central-

mente a Sneijder che si infila in area e tira sul portiere!

In un 1° tempo in cui l’Inter sembra non giocare ha avuto due occasioni

(di cui una rete) contro un potenziale fallo di mano in area nerazzurra

(non rilevato direttamente in campo…).

All’inizio del 2° tempo subito due occasioni per entrambe le squadre nei

primi 2’: Milito va sul fondo sinistro e tocca indietro corto per Pandev, tiro

sporco; Muller liberato in area, tira sul portiere!

Sembra un inizio pirotecnico ma è solo un momento; la gara continua col

solito refrain: possesso sterile Bayern, densità Inter; pericoli solo dalle ini-

ziative di Robben, ricerca di contropiedi profondi Inter.

Al 62’ cambio tattico del Bayern, entra Klose per Altintop; Klose va 3/4 e

Muller si sposta all’ala sinistra: stesso sistema di gioco ma più offensivo,

Muller è più punta di Altintop.

Al 67’ esce Chivu (crampi) per Stankovic, che va mediano destro e Zanetti

si sposta terzino sinistro su Robben (stesso sistema).

Al 70’ altro contropiede veloce: palla profonda che arriva a Milito fuori

area in posizione di 1/2 sinistro (su palla centrale a 1/2 campo si è allar-

gato, smarcandosi ed aprendo lo spazio). Ha di fronte il diretto marcato-

re; lo punta, finta di rientrare centralmente col destro e poi “sterza” col

destro a sinistra, saltando l’avversario, entra in area e piazza: 2-0! Altro

contropiede, palla lunga e magnifica azione personale.

• 73’ altro cambio: entra Gomez per Olic (stessa posizione);

• 77’ entra Muntari per Pandev (stessa posizione);

• 91’ entra Materazzi per Milito (la gara è finita e si vuol rendere tributo

al campione italiano).

La gara termina col trionfo nerazzurro.

Alcune considerazioni: il Bayern ha avuto un netto possesso palla (67%),

ma ogni giocatore è stato molto lento nella trasmissione, perdeva molto

tempo prima del passaggio, causa la densità e l’ottima prestazione difen-

siva avversaria; poca profondità e poco movimento produttivo senza

palla nello spazio.

Al contrario l’Inter ha avuto poco possesso palla (33%) ma ogni giocatore è

stato molto veloce nel liberarsene, anche a causa della pressione avversaria:

la ricerca immediata della profondità è stato il motivo ricorrente.

Lo stesso motivo viene dall’analisi del comportamento dei portieri: Butt

quasi sempre ha rimesso la palla ai compagni per iniziare il gioco mentre

Julio Cesar ha rilanciato quasi sempre.

Il risultato premia la squadra più forte individualmente e collettivamente.

Complimenti a José Mourinho, terzo allenatore nella storia (dopo E.

Happel e O. Hitzfeld) a vincere la Champions con due squadre diverse e,

…grazie Inter!!!

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ALLENATORI ALLO SPECCHIO, L’INTERVISTA

Breve curriculum professionale

“Dopo aver preso la maturità al

Liceo scientifico mi sono diplo-

mato all’Isef. Per quanto riguar-

da la formazione da allenatore,

oltre ad aver frequentato il

corso di base, quello di seconda

categoria ed il master, ho segui-

to il corso istruttori per giovani

calciatori”.

Come e quando è nata l’idea di diventare allenatore?

“Penso di avere sempre avuto dentro di me, fin da bambino, un

amore particolare per l’istruzione, una sorta di corsia preferenziale fra

me e l’insegnamento. Già alle scuole medie avevo le idee chiare sul

fatto che avrei voluto fare l’Isef. Se l’insegnamento è stata una pas-

sione innata, l’idea di voler diventare allenatore è stata una naturale

conseguenza. Giocavo a pallone e, a 21 anni, ho iniziato ad allenare.

Ho incominciato con i pulcini per continuare nei settori giovanili in

ambito dilettantistico. Quando sono arrivato alla squadra juniores la

mia massima aspirazione era quella di arrivare ad allenare la

Primavera di una società professionistica. Sarebbe stato il coronamen-

to dei miei due grandi interessi: il calcio e la formazione. Tutti, invece,

mi dicevano che sarebbe stato difficile perché non avevo un passato

da grande calciatore. Alla fine mi hanno proposto di allenare in serie

D, una squadra composta da diversi giovani. L’obiettivo della società

era proprio quello di lanciarli nel migliore dei modi. Mi sono trovato

di fronte ad un bivio. Ho accettato perché era un’ottima possibilità

per sperimentarmi in un altro ambito. In fondo, avevo provato a me

stesso che nei settori giovanili ci sapevo stare bene. Se l’esperimento

fosse fallito sarei tornato con serenità a lavorare con i miei ragazzi. La

cosa è andata bene ed è arrivata la C2.

Non sono, però, fra quelli che sostengono che una volta provata la

prima squadra è più difficile tornare nei settori giovanili. Secondo me

dipende da come uno valuta il proprio lavoro. Io ho fatto coincidere

le mie passioni con il mio lavoro e magari tornerò proprio a lavorare

con i giovani. Non ho vissuto i settori giovanili come trampolino di

lancio per poter arrivare ai grandi”.

Come definiresti il ruolo dell’allenatore?

“Lo definirei come un ruolo che deve comprendere tre aspetti.

L’allenatore lo vedo come un istruttore. Una persona, cioè, che deve

conoscere a fondo la sua materia e deve saperla trasmettere ai propri

giocatori. Come secondo aspetto deve essere un gestore di risorse

umane. Di solito ci si trova di fronte ad un’ampia rosa di persone:

bisogna farle lavorare e farle rendere al meglio delle loro possibilità.

Infine l’allenatore deve essere un comunicatore. Deve sapersi con-

frontare con tante persone differenti: con persone che vengono da

culture diverse, da generazioni diverse, con il proprio staff tecnico, il

ds, vari dirigenti, il presidente, i giornalisti ed i tifosi.

Sono convinto, inoltre, che nella vita avere una certa cultura serva

sempre. Oltre che per una soddisfazione personale serve anche per

avere maggiore forza e carisma. Questo concetto vale ancora di più

se si allena nei settori giovanili. In questo caso, infatti, l’obiettivo è

quello di fare crescere i ragazzi ed è importante conoscere le varie fasi

di accrescimento, sia fisiche che psicologiche. Come dicevo prima,

bisogna capire e farsi capire dalle differenti generazioni”.

Quali a tuo avviso i punti forti e i punti deboli di questa figura

al giorno d’oggi?

“Come punti di forza indicherei la competenza e la capacità di saper

gestire le diverse situazioni, anche quelle più complicate. Come punti

deboli, invece, penso che in Italia non si abbia la possibilità di lavorare

in prospettiva futura. Tutto è legato al risultato immediato e su que-

sto punto l’allenatore è l’anello debole. Abbiamo la responsabilità di

dirigere venti persone ma non veniamo considerati come accade per

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MARIO BERETTA “LA COERENZA PRIMA DI TUTTO”

di Isabella Croce*

*Psicologa, specializzata in Psicologia dello sport

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i dirigenti di tutti gli altri ambiti lavorativi. Noi allenatori abbiamo

minori tutele. Inoltre, sapere che il proprio lavoro è così strettamente

legato al risultato toglie serenità e non sempre è facile nascondere la

tensione. Indubbiamente questo si riflette nella qualità del lavoro

quotidiano.

Spostando il discorso ad un livello più ampio, direi che in altri paesi la

cultura sportiva è più avanti rispetto alla nostra. Lo dico da istruttore

Isef. Da noi non ci si preoccupa molto dello sviluppo motorio dei

bambini. Nell’ambito sportivo non c’è l’abitudine a lavorare tenendo

conto degli obiettivi a lungo termine, ad investire nel futuro. Credo

che ci vorrà ancora molto tempo per vedere dei cambiamenti e dei

miglioramenti in questo senso”.

Come si dovrebbero impostare i rapporti con gli altri ruoli?

“Semplicemente; parto dal presupposto che ogni componente di una

società deve esprimere le sue competenze senza invadere quelle

altrui. Questo vale per tutti i ruoli.

Una volta stabilito questo, se poi si va oltre e si riesce ad instaurare

un rapporto di amicizia, tanto di guadagnato. Prima di tutto, però, ci

deve essere la stima. Sarebbe più bello e utile se la stima fosse anche

a livello umano ma non è poi così facile conoscersi in maniera

approfondita. Per questo, quando parlo di stima mi riferisco a quella

professionale. Tendenzialmente, ho avuto la fortuna di lavorare con

persone che hanno cercato di avere un certo rispetto dei diversi ruoli.

Quando questo non succede non transigo, a costo di andare in netto

contrasto, perché non permetto a nessuno di invadere il mio campo”.

Quali sono le caratteristiche fondamentali che dovrebbe avere

un allenatore?

“È fondamentale avere un grande equilibrio. Avendo un lavoro a sca-

denza ravvicinata non possiamo permetterci di lasciarci andare a

grandi entusiasmi o a momenti di sconforto.

Bisogna che ci sia una certa coerenza fra quello che diciamo e quello

che facciamo. È sicuramente utile avere una buona capacità di dialo-

go. Infine, come dicevo prima, è importante avere rispetto delle per-

sone e dei diversi ruoli che ricoprono”.

Quali sono stati gli allenatori che sotto il profilo della gestione

tattica e umana hanno influenzato il tuo modo di allenare?

“Per la mia generazione Arrigo Sacchi è stato l’allenatore che ha

avuto l’influenza maggiore sul nostro modo di lavorare e di pensare

al calcio. Basti pensare a quello che ci ha dato dal punto di vista tat-

tico e della metodologia di lavoro. Poi è normale prendere tante o

piccole cose da tutti gli altri colleghi. Studiare quello che fanno gli

altri allenatori è un bel modo per migliorare ed aggiornarsi continua-

mente”.

Che cosa ti ha colpito maggiormente del loro modo di porsi?

“Non avendo un passato da giocatore mi è difficile rispondere a que-

sta domanda. Per poterlo fare mi servirebbe avere avuto un vissuto

all’interno di uno spogliatoio come calciatore. Solo in quel caso, infat-

ti, è possibile analizzare in maniera approfondita le dinamiche che si

vengono a delineare all’interno di uno spogliatoio”.

Qual è la tua filosofia calcistica?

“Lavorare favorendo la consapevolezza e la partecipazione dei gioca-

tori. Per fare questo è importante coniugare il lavoro tecnico/tattico

quotidiano con il dialogo costante. I giocatori devono sapere come

mai si fanno determinate cose. Devono conoscere i motivi e gli obiet-

tivi del lavoro che stanno portando avanti. Non è sufficiente dire: “fai

questo perché te lo dico io”. In questo modo si dà carattere ad una

squadra che gioca in una determinata maniera perché alle spalle c’è

una filosofia di lavoro. Avere delle persone che agiscono perché

ragionano su quello che fanno è sempre utile, soprattutto nei

momenti di difficoltà”.

Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate finora nel tuo

percorso formativo?

“Non sono stato un calciatore e per questo c’è voluto del tempo

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ALLENATORI ALLO SPECCHIO, L’INTERVISTA

prima di capire le dinamiche dello spogliatoio di una prima squadra.

Chi invece è stato calciatore ha già vissuto certi sviluppi ed ha espe-

rienza non solo delle diverse situazioni ma anche di squadre diverse.

All’inizio non è stato certo facile. Oltre all’esperienza mi è stato utile

anche cambiare caratterialmente. Prima ero molto più rigido nel mio

modo di pormi con i ragazzi rispetto a come sono ora”.

Attualmente quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi del

processo formativo di un allenatore?

“Parto sempre dal presupposto che tutti i corsi sono utili. Io farei un

corso specifico per gli allenatori dei settori giovanili. Rispetto ai corsi

esistenti sarebbe utile potenziare gli stage nelle varie società ed il

confronto con più allenatori che hanno esperienza nelle diverse cate-

gorie, anche con i giovani. Nell’ambito dei tre corsi (di base, di secon-

da categoria e master), tenendo conto di come si stanno modificando

le esigenze degli allenatori, si potrebbe dare maggiore spazio a mate-

rie come comunicazione, inglese ed informatica.

Un aspetto negativo della formazione, a volte, è l’atteggiamento un

po’ presuntuoso degli allenatori stessi. C’è l’idea che chiedere, il fare

vedere di non sapere le cose sia un segnale di debolezza. In realtà è un

brutto segnale perché non porta a migliorare le proprie conoscenze”.

Se tu dovessi elencare per ordine di importanza le competenze

specifiche di un allenatore…

“Direi la competenza, seguita dalla capacità di comunicare in maniera

efficace, seguita a sua volta dall’abilità di gestire le varie situazioni.

Queste competenze si dovrebbero integrare con una buona organiz-

zazione del club. Sono i dirigenti e, in particolare, il presidente a

dover definire le linee guida e gli obiettivi da raggiungere. In questa

maniera tutti sanno cosa devono fare e quali sono i confini delle com-

petenze di ogni ruolo”.

A tuo avviso come dovrebbe essere la formazione di un allena-

tore dei settori giovanili? In che cosa dovrebbe essere maggior-

mente supportato?

“Chi lavora con i giovani dovrebbe avere una formazione abbastanza

ampia ed approfondita. Prima di tutto deve essere una persona che ha

giocato a pallone, anche se non ad alto livello, ed essere competente

sullo sviluppo motorio e la metodologia dell’insegnamento sportivo.

L’Isef è un ottimo modo per iniziare a costruire la propria competenza.

Chi vuole lavorare con i giovani deve capire che è importante mettere

le proprie capacità al servizio dei ragazzi e non viceversa. L’obiettivo è

quello di farli crescere e non quello di avere successo. È anche impor-

tante mettere in conto che l’aggiornamento deve essere continuo per

poter comunicare e comprendere meglio le diverse generazioni. Il mag-

gior supporto dovrebbe andare nella direzione di favorire il più possibile

dei momenti di confronto e di scambio di idee”.

18

STAGIONE SERIE RUOLO POS.

1985-86 MONZA Allenatore Squadre Giovanili1986-87 MONZA Allenatore Squadre Giovanili1987-88 MONZA Allenatore Squadre Giovanili1988-89 MONZA Allenatore Squadre Giovanili1989-90 COMO Allenatore Squadre Giovanili1990-91 COMO Allenatore Squadre Giovanili1991-92 MONZA Allenatore Squadre Giovanili1992-93 MONZA Allenatore Squadre Giovanili1993-94 MONZA C1 Allenatore in II1994-95 CORSICO D Responsabile Prima Squadra 2°1995-96 PRO PATRIA C2 Responsabile Prima Squadra 5°1996-97 SARONNO C1 Responsabile Prima Squadra 4°1997-98 COMO C1 Responsabile Prima Squadra 10°1998-99 LUMEZZANE C1 Responsabile Prima Squadra 3°1999-00 VARESE C1 Responsabile Prima Squadra 4°2000-01 VARESE C1 Responsabile Prima Squadra 10°2001-02 VARESE C1 Responsabile Prima Squadra 6°2002-03 TERNANA B Responsabile Prima Squadra 7°2003-04 TERNANA B Responsabile Prima Squadra Es.2004-05 CHIEVO A Responsabile Prima Squadra Es.2005-06 PARMA A Responsabile Prima Squadra 7°*2006-07 SIENA A Responsabile Prima Squadra 15°2007-08 SIENA A Responsabile Prima Squadra 13°2008-09 LECCE A Responsabile Prima Squadra Es.2009-10 TORINO B Responsabile Prima Squadra Es.

LA SCHEDA

MARIO BERETTA

nato il 30 ottobre 1959 a Milano

CURRICULUM ALLENATORE

Es = Esonerato* = a seguito del cambiamento della classifica dopo le sentenze di “Calciopoli”.

Dati aggiornati al 20 giugno 2010

Diploma ISEFCorso Istruttore di Calcio Settembre 1984Corso Allenatore Terza Categoria Dicembre 1984Corso Uefa A Aprile 1992 - Votazione 91/120Corso Uefa Pro Luglio 1999 - Votazione 107/110

CURRICULUM STUDI

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PREMESSA

Prima di affrontare nello specifico la didattica della difesa a tre, occorre

ricordare alcuni aspetti importanti che l’allenatore deve tenere presente

per intervenire sia a livello individuale che collettivo:

• i principi e gli obiettivi di tattica individuale del difensore (tabella 1);

• i principi della difesa con modulo a zona (tabella 2).

Tabella 1

Capacità del difensore di difendere su avversario con palla:

a) Frontalmente;

b) Di lato;

c) Con avversario girato;

A seconda della distanza dalla porta.

Capacità del difensore di difendere su avversario senza palla:

a) Con palla vicino;

b) Con palla lontano;

c) Con palla oltre il difensore;

A seconda della distanza dalla porta.

Capacità del difensore di difendere su palla inattiva:

a) Su corner e punizioni laterali;

b) Su punizioni dalla tre quarti;

c) Su rimessa laterale;

d) Su rinvio del portiere.

Obiettivi tattici individuali:

a) Massima attenzione sempre;

b) Chiara lettura della situazione;

c) Essere veloci nel posizionarsi (sia rispetto all’avversario che con il pro-

prio corpo);

d) Ridurre tempo e spazio al portatore di palla;

e) Scegliere quando anticipare, contrastare, temporeggiare o correre veloce-

mente dietro;

f) Tenere conto della posizione della palla, del compagno, dell’avversario e

dello spazio;

g) Sentirsi ed essere sicuri nell’uno contro uno.

Tabella 2

Principi della difesa a zona:

a) Difesa della propria porta rispetto alla palla, ponendo più linee di copertura;

b) Restringere spazio e tempo al portatore di palla;

c) Tenere conto della posizione della palla, degli spazi, dei compagni e degli

avversari;

d) Conoscere i concetti di pressione, copertura, diagonale;

e) Conoscere i movimenti di elastico difensivo;

f) Pressing;

g) Fuori gioco;

h) Scivolamenti, movimenti a scalare, scambio della marcatura;

i) Collaborazione e raddoppi di marcatura;

j) Equilibrio e distanze tra i reparti.

19

SCUOLA ALLENATORI

LA DIDATTICA DELLA DIFESA A TREdi Davide Ballardini*

*Tesi finale del Corso Master 2000-2001 per l’abilitazione ad Allenatore professionista di Prima categoria

LEGENDA:

• Palla:

• Difensori, compagni:

• Avversari:

• Movimento della palla:

• Movimento dei giocatori senza palla:

• Giocatore in guida della palla:

• Allenatore:

• Portiere:

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SCUOLA ALLENATORI

20

Nella didattica della difesa a zona a tre difensori la differenza sostanziale

rispetto a quella a quattro è che vi è una sola linea di copertura.

La collaborazione tra i tre difensori dovrebbe essere più semplice che

a quattro, ma è ancora più importante un’attenzione costante che

impedisca errori.

Nella difesa a tre, è sì importante fare reparto, ma il comportamento dei

tre difensori è maggiormente condizionato dal movimento degli attaccanti

avversari, quindi oltre al lavoro iniziale sui principi di base (sia individuali che

collettivi) da svolgere senza avversari, è molto importante lavorare sulle

situazioni che si verificano maggiormente in partita; infatti l’aspetto difen-

sivo della difesa a tre ha molte più varianti rispetto alla difesa a quattro,

varianti che andranno viste ed analizzate di volta in volta.

L’allenatore quindi dovrà essere molto attento nell’analisi, nel consigliare

le soluzioni migliori, e necessariamente nel proporre con continuità, alle-

namenti contro uno o più avversari tramite: situazioni di gioco, partite a

tema, partite a settori e partite a gioco libero, in spazi proporzionali a

quelli delle situazioni della gara.

La scelta di difendersi a tre è spesso determinata dal fatto che la maggior

parte delle squadre si schiera con due attaccanti e quindi la superiorità

numerica è già assicurata, mentre si guadagna un uomo a centrocampo

o in attacco. Nel caso ci si confrontasse con squadre che schierano tre

attaccanti dall’abbassamento di alcuni giocatori l’equilibrio, in certe

situazioni ed in certe zone di campo, sarà assicurato.

LE CARATTERISTICHE DEI DIFENSORI

È indispensabile, nella scelta di utilizzare questo modulo difensivo, valutare

le caratteristiche essenziali dei difensori a disposizione.

In particolare, dovrebbero essere dotati di grande attenzione, di sempli-

cità e chiarezza nel conoscere ed interpretare i principi della fase difensiva.

Vediamo nello specifico cosa dovrebbero evidenziare per qualità fisiche,

tecniche e tattico situazionali.

• Il centrale: deve essere un giocatore di grandi capacità d’attenzione

e di lettura della situazione. Un leader in grado di guidare tutto il

reparto e tutta la squadra, interpretando le situazioni, ad esempio,

di palla libera o coperta. Veloce soprattutto nell’anticipazione dei

movimenti degli avversari, dotato dal punto di vista tecnico di un

buon calcio con entrambi i piedi, di buone doti nel gioco aereo e

anche nella marcatura. Deve avere grande personalità e trasmettere

fiducia e sicurezza ai compagni.

• I laterali: devono essere molto abili nella marcatura, molto forti

nell’uno contro uno in fase difensiva o per qualità fisiche o situaziona-

li. Devono essere bravi nel gioco aereo, determinati e coraggiosi, a

livello fisico possedere forza e buona rapidità.

LA DIDATTICA DELLE DUE FASI

FASE DIFENSIVA (didattica)

1) Elastico difensivo:

Cominciamo ad esercitare i difensori a muoversi in maniera coordinata tra loro:

in riferimento alla posizione ed alla condizione della palla, senza avversari.

Quando la palla è “scoperta” e il portatore di palla può effettuare un

lancio alle spalle dei difensori, si corre velocemente all’indietro a coper-

tura della porta; quando la palla è coperta, si sale guadagnando campo

e togliendo spazio agli attaccanti avversari.

L’allenatore spiega il movimento da fare a palla scoperta (a), e a palla

coperta (b), i giocatori cominciano a leggere la “palla“.

Il lavoro viene impostato eseguendo i movimenti lentamente e senza

avversari curando soprattutto i tempi e le posizioni dei difensori.

2) Slittamenti orizzontali:

Quando la palla passa da una posizione centrale ad una laterale o da una

laterale all’altra, il reparto difensivo si sposta per linee orizzontali verso la

zona della palla, riducendo lo spazio di gioco agli avversari.

Da tenere presente che, difendendosi a tre, lo spazio da coprire per ogni

giocatore è più ampio che nella disposizione a quattro.

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In questo caso ci avvaliamo della collaborazione di due appoggi esterni e

facciamo girare palla lentamente, curando tempi e posizioni dei difensori

rispetto alla posizione e alla conduzione della palla.

3) Azione di temporeggiamento e pressione sul possessore di palla

che punta verso la porta:

a) L’allenatore punta in guida della palla verso la porta, in questo caso vi

è un’azione di temporeggiamento correndo all’indietro. Nei pressi del

limite dell’area (b) il difensore di fronte alla palla esce a contrastare e

gli altri due danno copertura.

4) Marcamento e copertura su attaccante in possesso di palla in

posizione centrale:

L’allenatore spiega:

il difensore centrale affronta il possessore di palla, i difensori laterali si dispon-

gono a copertura in diagonale, formando una sola linea di copertura.

5) Marcamento e copertura su attaccante in possesso di palla in posi-

zione laterale:

L’allenatore spiega:

il difensore esterno affronta il possessore di palla. Il centrale e l’altro difensore

esterno si pongono a copertura formando una sola linea di copertura.

6) Movimenti difensivi su taglio di un attaccante:

L’allenatore ha la palla e fa muovere un attaccante:

a) Taglio di un attaccante dietro alle spalle di un difensore laterale dal centro

verso la fascia: il centrale accompagna l’attaccante verso l’esterno, il difen-

sore di destra corre velocemente a coprire la zona che si è scoperta, il

difensore di sinistra stringe;

b) Taglio di un attaccante dietro alle spalle del difensore centrale: qui è molto

importante la comunicazione verbale e la collaborazione tra difensore

esterno e centrale per chiudere tempestivamente nella zona di pericolo.

Nei casi a) e b) si affronta una situazione nella quale non si possa usare

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SCUOLA ALLENATORI

il fuori gioco; per es. il possessore di palla ha libertà di giocata e l’attac-

cante ha preso bene il tempo per lo smarcamento in profondità.

Nel caso c) l’allenatore è con la palla, l’attaccante taglia dietro al difensore

laterale e i difensori accompagnano il movimento dell’attaccante; l’allena-

tore (es. viene chiuso e perde il tempo del passaggio o la punta non va a

tempo) non passa la palla, ma la guida verso l’interno, i difensori non

seguono più la corsa in profondità dell’attaccante e, cambiando direzione,

salgono e stringono verso la zona della palla, lasciandolo in fuori gioco.

Nel caso d) la didattica che si propone è simile, si accompagna se la palla

può arrivare; si cambia direzione e senso di corsa, se l’attaccante va oltre, e

la palla non può arrivare. Si può verificare una variante: es. se un difensore

accompagna l’attaccante oltre alla linea dei compagni può effettuare il fuori

gioco a livello individuale; in questo caso serve meno collaborazione, ma

tempismo e decisione nel singolo per scegliere il momento per salire.

Esempio

7) Movimento difensivo su sovrapposizione al portatore di palla:

Il difensore centrale comunica per tempo il comportamento che il difen-

sore laterale deve assumere, quindi in questo caso il difensore laterale

destro prende l’avversario che va in sovrapposizione, il centrale accorcia

a pressione sul portatore di palla e l’altro difensore laterale stringe verso

il centro.

8) Movimento difensivo su uno-due o triangolo degli avversari:

a) uno-due verso l’esterno:

Il difensore laterale è sul portatore di palla che sta per effettuare il triangolo

con l’attaccante centrale, in questo caso, appena l’avversario gioca la palla

e va, deve velocemente correre dietro per non farsi attaccare alle spalle.

Il difensore centrale è a pressione sull’avversario nella propria zona di com-

petenza (bravo in caso di anticipo per evitare la chiusura del triangolo).

Il difensore laterale dalla parte opposta si avvicina verso il centro per aiu-

tare e coprire. Il difensore laterale destro, se vede che la palla di ritorno

non arriva, e l’attaccante che ha chiesto l’uno-due, va in profondità oltre

la linea dei difensori, lo lascia e sale.

b) uno-due verso l’interno del campo:

L’attaccante con la palla fa un uno-due verso l’interno del campo, l’at-

taccante di sponda restituisce la palla e fa una corsa ad allargare.

22

a)

b)

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In questo caso il difensore centrale esce sulla palla, il difensore esterno

destro va in copertura velocemente, il difensore esterno sinistro copre;

ristabilendo così pressione sulla palla e copertura.

FASE DIFENSIVA (in situazione)

Per allenare la fase difensiva in situazione, proponiamo una progressione

di situazioni di gioco con:

• superiorità o inferiorità numerica;

• varie disposizioni che possono assumere gli attaccanti avversari;

• velocità ed intensità di gara;

• presenza della porta da difendere e del portiere.

• 1 : 1 con allenatore a sostegno dell’attaccante fig. 1/1bis

• 1 : 1 centralmente e lateralmente fig. 2/2bis

• 1 : 2 fig. 3

• 2 : 1 fig. 4

• 2 : 2 fig. 5

• 2 : 3 fig. 6

• 3 : 2 fig. 7

• 3 : 3 fig. 8

• 3 : 4 fig. 9

• 3 : 6 (partita difensori contro attaccanti e centrocampisti) fig. 10

• 5 : 6 (partita difensori + 2 c.c. contro att. e c.c.) fig. 11

• 7 : 10 (partita difensori + 4 c.c. contro squadra schierata) fig. 12

1 : 1 con allenatore a sostegno dell’attaccante

Nella figura 1 a) allenatore con palla libera (può calciare la palla alle spalle

del difensore), il difensore si preoccupa di non farsi attaccare alle spalle,

quindi si posiziona ad una distanza di sicurezza tra l’avversario e la porta.

Nella figura 1 b) allenatore con palla chiusa (non può calciare lungo) , il

difensore in questo caso va in marcatura aggressiva, quindi si posiziona

ad una distanza che gli permetta, nel caso ci sia un passaggio, di antici-

pare o di chiudere l’avversario mantenendolo a spalle girate (pressione).

Nella figura 1 bis sempre in forma didattica, allenatore che ha tempo e

spazio di gioco, quindi il difensore con avversario dovrà preoccuparsi di

non farsi attaccare alle spalle.

Nella fase successiva, allenatore a cui viene ridotto il tempo e lo spazio

(da avversario passivo), in questo caso il difensore si avvicina per togliere

tempo e spazio all’attaccante (cerca l’anticipo o pressione).

1 : 1 centralmente e lateralmente

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SCUOLA ALLENATORI

Come principio il difensore che affronta l’avversario con la palla (fig. 2)

deve assumere una posizione del corpo con baricentro abbassato, in divari-

cata antero posteriore, appoggi sugli avanpiedi e sguardo sulla palla.

Deve coprire la porta.

Deve inoltre mantenere una distanza dall’avversario tale da non farsi supe-

rare (non si deve fare attaccare).

Quando l’attacco è centrale, b), deve essere con il corpo a protezione della

porta, cercando di essere veloce nel posizionarsi e nell’orientare il proprio

corpo a seconda della guida dell’avversario; cercare di forzare il gioco sul

piede debole dell’attaccante, essere deciso e tempista in caso di contrasto

di un tiro o di un assist dello stesso.

Quando l’attacco è laterale, a) e c), cerca di accompagnare l’avversario

verso l’esterno e impedirgli di rientrare verso l’interno del campo.

L’allenamento viene organizzato dividendo il campo in settori verticali e

facendo partire gli attaccanti dalle diverse posizioni (lateralmente e central-

mente) per andare al tiro.

Come principio, il difensore sull’attaccante senza palla, deve sempre

essere collocato tra l’avversario e la propria porta con il corpo orientato

di lato, per poter correre velocemente sia in avanti che indietro.

Vedere sempre palla e avversario.

La distanza fra se stesso e l’avversario deve essere tale da non farsi attac-

care alle spalle ed è determinata dalla condizione (palla libera o coperta)

e dalla distanza dalla stessa (vicina o lontana).

L’allenamento viene organizzato, come nel caso precedente, suddividen-

do il campo in settori verticali.

La palla viene giocata da alcuni giocatori posti a centrocampo sugli attac-

canti che si smarcano con corse a tagliare verso la porta es. a) o ad allargarsi

es. c), oppure verso un attaccante che si stacca dall’avversario es. b).

L’allenatore deve osservare che il difensore sia già posizionato corretta-

mente quando la palla arriva all’attaccante.

1 : 2

Il difensore in questa situazione di chiaro svantaggio deve:

cercare di rallentare l’azione dei due attaccanti fig. 3 a);

oppure cercare di forzare la guida della palla di uno dei due verso l’ester-

no (lasciandogli più spazio) e scegliere il momento giusto per chiuderlo

velocemente, “isolandolo” fig. 3 b);

o ancora in caso di passaggio forzato all’indietro fig. 3 c), o di guida della

palla difettosa da parte dell’attaccante (ha perso il tempo del passaggio),

fig. 3 d) fare il fuori gioco.

L’allenamento viene organizzato facendo partire due attaccanti contro

un difensore.

2 : 1

Nella figura 4 a) l’attaccante guida la palla in diagonale e il difensore lo

accompagna fino a quando il compagno non gli dice lascia, a questo punto

va in copertura del compagno che esce sul portatore di palla.

Nella figura 4 b) i due difensori si scambiano l’avversario con palla lontana.

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Vale sempre il principio accompagno, lascio e copro.

In entrambi i casi l’esercizio viene svolto prima in forma didattica.

2 : 2

Nel 2 : 2 i difensori devono collaborare e leggere in maniera chiara e velo-

ce i movimenti degli attaccanti.

Nelle figure qui esemplificate, vediamo il comportamento che devono assu-

mere, nei confronti di alcuni movimenti che si possono verificare in partita.

Fig. 5 a): su due attaccanti posti orizzontalmente un difensore è in mar-

catura, l’altro è in copertura. Al momento del passaggio il difensore che

era in copertura va in marcatura sul nuovo possessore di palla l’altro strin-

ge e copre velocemente in diagonale.

A seconda della distanza del primo difensore dal portatore di palla, l’altro

difensore può stare più o meno in posizione di anticipo.

Fig. 5 b): nel caso di una sovrapposizione i difensori si cambiano l’attaccante.

L’allenatore dovrà curare le distanze e i tempi dello scambio.

Fig. 5 c) e 5 d): nei casi di taglio o di corsa ad allargare dell’attaccante, il

difensore può seguire o (come in figura) accompagnare e poi lasciare in

fuori gioco l’avversario.

Il ripetersi di queste situazioni dà la possibilità di allenare la scelta dei

tempi da parte dei difensori.

L’allenamento viene organizzato con l’allenatore o un giocatore di cen-

trocampo che gioca palla a due attaccanti che devono giocarsi la palla e

andare a fare goal.

2 : 3

In questa situazione di inferiorità numerica, i difensori temporeggiano

correndo all’indietro e stringendosi a difesa della porta fig. 4 a); oppure

cercano di forzare un passaggio dall’esterno verso l’interno dietro, per

uscire velocemente ad attaccare il possessore di palla e lasciare in fuori

gioco gli altri due attaccanti.

L’allenamento viene organizzato facendo partire i tre attaccanti contro i

due difensori con palla centrale o laterale, oppure con rinvio del portiere

sugli attaccanti che iniziano l’azione.

3 : 2

In questa situazione valgono i principi che abbiamo visto nelle precedenti

(non farsi attaccare alle spalle, marcare, coprire, usare il fuori gioco); con

la differenza che se si è attenti si ha sempre una superiorità numerica,

quindi maggior sicurezza e più possibilità di anticipo sugli attaccanti .

L’allenamento viene organizzato con l’allenatore che gioca palla a due

attaccanti che si smarcano contro tre difensori. Se i difensori conquistano

palla la devono rigiocare all’allenatore.

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SCUOLA ALLENATORI

3 : 3

Nella situazione di tre contro tre i difensori temporeggiano, marcano e

coprono a seconda della zona in cui si trova la palla, e se vi è la possibilità

sfruttano la tattica del fuori gioco.

L’allenamento viene organizzato con l’allenatore che gioca palla ai tre

attaccanti, cercando di variare il tipo di passaggio (con palla lunga, corta,

laterale, centrale, scoperta o coperta).

3 : 4

Nella figura 9 a) tre difensori contro quattro attaccanti, con palla ad

un attaccante largo che può crossare liberamente. In questo caso i

difensori marcano gli avversari in area di rigore (3 contro 3).

Nel caso l’attaccante guidi palla verso la porta, come in figura 9 b), i

tre difensori scaleranno: il più vicino sul portatore di palla, e gli altri

sugli avversari più vicini al portatore di palla.

N.B. Le linee tratteggiate che partono dai pali e passano dagli spigoli

dell’area ci danno i limiti dell’imbuto difensivo entro i quali ci si deve

chiudere.

N.B. Nella figura 9 a) l’allenatore, a chiare lettere, dice ai difensori:

“Non è la palla che va in rete, ma sono gli avversari vicino alla

porta che fanno goal“ .

3 : 6 (partita difensori contro attaccanti e centrocampisti)

Figura 10. Esercitazione di tre contro sei. Si schierano i tre difensori contro i cen-

trocampisti e gli attaccanti avversari a seconda del modulo tattico della squadra

avversaria. Si gioca la partita nella metà campo facendo cominciare i centrocam-

pisti avversari. Quando l’azione termina, oppure è intercettata dai difensori, si

riprende con palla a metà campo. Vale il fuori gioco.

5 : 6 (partita dif. + 2 centr. contro centrocampisti e attaccanti)

La partita si gioca con le regole di quella precedente, ma vengono inseriti

i due centrocampisti centrali.

Variante: quando i difensori intercettano la palla, devono giocare la palla

a un centrocampista che la deve fare arrivare all’allenatore posto oltre la

metà campo.

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7 : 10 (partita dif. + centrocampo contro squadra avversaria schierata)

Terminiamo questa progressione con una partita difensori più centrocam-

pisti (in questo esempio, quattro ) contro la squadra avversaria schierata.

Disponiamo gli avversari con il modulo che interessa, e facciamo partire

l’azione dai difensori avversari.

La squadra che difende gioca a un tocco e la squadra che attacca a tocco

libero; questo per creare situazioni di difficoltà nell’uscita con la palla, e

forzare i difensori a prepararsi sempre alla fase difensiva susseguente.

Da queste esercitazioni passiamo alle partite (condizionate, a tema, a

settori ecc. ed infine libere).

Inserendo così anche le fasi di transizione (attiva e passiva), e la collabo-

razione fra i reparti.

Dal gioco e dalla sua analisi deve partire il nostro intervento didattico.

Ecco alcuni esempi di partite con le quali possiamo esercitare i nostri

difensori a comportarsi in diverse situazioni di gioco.

Situazioni in cui sono presenti sempre sia la fase difensiva che quella

offensiva.

Partita 1. In questa partita a settori alleniamo contemporaneamente sei

difensori, tre in una squadra tre nell’altra, in situazione di tre contro uno.

Svolgimento : tre difensori contro un attaccante in ogni settore, i difensori

quando conquistano palla devono girare e giocarla al proprio attaccante.

Partita 2. Partita a settori come la precedente con la differenza che un

difensore può seguire l’azione portando sostegno all’attaccante, trasfor-

mando la situazione in un tre contro uno più sostegno.

Partita 3. Partita a settori con lo svolgimento simile al precedente, ma con

due attaccanti. In questa partita possiamo variare la disposizione degli

attaccanti, sia in fase difensiva che offensiva, per abituare i nostri difen-

sori a giocare contro diversi schieramenti.

Partita 4. Partita come nella 3, ma con uno dei difensori che può soste-

nere gli attaccanti, dal tre contro due al tre contro due con sostegno.

Nelle partite 3 e 4, vediamo anche il comportamento che assumono i

difensori a seconda della disposizione degli attaccanti. In particolare,

nella partita 4 quando gli attaccanti sono vicini e posti in posizione verti-

cale, l’uno rispetto all’altro, il difensore di destra viene dentro a pressione

sull’attaccante che riceve palla, il centrale e l’altro difensore esterno rista-

biliscono la superiorità numerica e la copertura dietro.

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SCUOLA ALLENATORI

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In queste due ultime partite a settori arriviamo a giocare delle situazioni di tre

contro tre e nel caso di sostegno di uno dei difensori, tre contro quattro.

In queste partite possiamo disporre gli attaccanti a tre larghi, tre stretti, due

attaccanti e una mezza punta ecc.

FASE OFFENSIVA (didattica e in situazione)

Di notevole importanza per i tre difensori è anche l’aspetto riguardante

il possesso di palla. Oltre alle qualità tecniche sono fondamentali soprat-

tutto due principi per questa fase.

Il sostegno e l’appoggio in ampiezza al portatore di palla.

Quando la palla è in possesso ai difensori:

(a) Palla al difensore laterale, il difensore centrale va a sostegno, cioè dà la

possibilità al compagno se è in difficoltà o è chiuso di girare palla dietro.

L’altro difensore si avvicina verso l’interno in caso di perdita di possesso,

si allarga in caso di cambio di gioco. Solitamente al difensore centrale il

sostegno è quello effettuato dal portiere.

(b) Palla al centrale, i difensori laterali si dispongono come punto di rife-

rimento in appoggio. Si possono smarcare più o meno larghi a secon-

da della disposizione e del numero degli avversari.

Giocando a tre, quando la palla è in possesso ad un centrocampista, i

difensori devono muoversi per essere di sostegno al gioco.

Es. c) Cambio gioco del centrocampista centrale su centrocampista ester-

no sin., il difensore di sinistra si avvicina a sostegno del possessore di

palla, il centrale ed il difensore di destra stringono verso il centro per dare

equilibrio al reparto.

Possiamo allenare i nostri difensori alla fase offensiva partendo da eser-

citazioni di tecnica individuale e di reparto, fino ad esercitazioni in situa-

zione con avversari (prima uno poi due), per il mantenimento del posses-

so di palla, per il possesso di palla finalizzato al superamento di una linea,

per il possesso di palla finalizzato ad un passaggio o ad un lancio verso

un compagno. Come abbiamo già visto per la fase difensiva terminiamo

con partite di vario genere.

CONCLUSIONI

La didattica (dal greco didasko = insegnamento) è l’arte dell’insegnamento.

L’allenatore quindi necessita di una cultura multidisciplinare assimilata da

conoscenze biologiche, pedagogiche e naturalmente tecniche mediate

dalla propria esperienza.

Detto ciò penso che nel calcio moderno l’allenatore debba essere bravo

a trasferire ai giocatori una ampia cultura di gioco sia in fase offensiva

che difensiva affinché essi siano in grado di interpretare in maniera cor-

retta il maggior numero di situazioni, e ad avere padronanza nel gioco.

La forza dell’allenatore, e della squadra, è capire i punti deboli dell’avver-

sario e quindi sapersi adattare a ciò senza snaturare troppo la propria

fisionomia.

La scelta di giocare a tre è dettata dalle caratteristiche tecniche, fisiche e

mentali dei giocatori a disposizione, dalla maggiore copertura nella zona

centrale nei confronti della maggioranza delle squadre che schierano due

attaccanti, ed avendo la possibilità di proporre ripartenze veloci in attac-

co, se noi ci schieriamo con tre attaccanti.

Giocando in questo modo, si è più deboli sulle fasce e per questa ragione

i tre difensori necessitano dell’aiuto dei centrocampisti di fascia; con l’u-

tilizzo di questo modulo quindi non è detto che si sia votati ad affrontare

la gara con mentalità offensiva.

Inoltre la scelta di giocare in questa maniera può essere fatta in base

anche all’andamento della partita o a seconda del risultato.

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CENTRO STUDI E RICERCHE

LA VIDEO ANALISI: POSSIBILITÀ E LIMITIdi Mauro Testa*, Pasquale De Risi**

L a ricerca continua della prestazione e l’aumento degli impegni nel calcio

privano spesso gli addetti del tempo utile alla ricerca di nuove metodiche

e strumenti necessari al modificarsi delle situazioni connesse alla gara, alla

velocità di gioco ed alla frequenza con cui le stesse gare si tengono nell’arco

della stagione.

Si è detto spesso, ed è anche profondamente vero, che gli atleti di un Club

rappresentino il suo patrimonio.

Gli interessi in gioco relativi ad una vittoria, purtroppo ormai unica ragione

per fare sport, rendono indispensabile l’esigenza di proteggere e tutelare l’in-

tegrità fisica degli atleti per tutelare in questo modo anche gli interessi di chi

li ha tesserati.

Inoltre è risaputo che mentre un atleta in fase evolutiva, come allenatore, lo

posso eventualmente modellare, ad un atleta maturo dal punto di vista

motorio posso “solo” chiedere miglioramenti. Le virgolette attorno alla

parola “solo”, sottolineano che anche un semplice miglioramento dell’atle-

ta professionistico può giovare alla sua performance ed alla protezione dal

trauma-non-da-contatto. Inoltre agli scettici di tali miglioramenti ricordo che

ciò è possibile, altrimenti non si spiegherebbe come soggetti anche non più

giovanissimi imparino a giocare a tennis, pattinare, sciare, ballare ecc., tutte

attività che richiedono notevole abilità coordinativa motoria, quindi se ciò è

possibile per chi è a “digiuno” di tali sport e non è un atleta, con micro cicli

di allenamento settimanale, non si spiegherebbe perché non potrebbe esse-

re possibile migliorare il gesto anche di un campione affermato senza ovvia-

mente alterarne gli equilibri motori.

Ma la domanda che spontaneamente nascerebbe se fossimo a chiacchierare

attorno ad un tavolo è: come si può rendere possibile questo? Abbiamo già

citato i problemi connessi al poco tempo a disposizione dei tecnici e dei pre-

paratori e a questi aggiungiamo gli stress derivati dall’ottenimento del risul-

tato e il fatto che spesso ai giocatori non piace molto la parola “test”; essere

analizzati e disporre tempo e collaborazione in quel senso spesso non è né

possibile né gradito.

Però questo stato delle cose va nella direzione opposta a quella che tutti auspi-

cano, cioè un atleta in forma, pronto e ben preparato per la gara, che sia anche

tutelato dai traumi o da eventi imprevisti durante la competizione così da non

comprometterne l’integrità preservandolo per una carriera più lunga e proficua

per tutte le parti con lui coinvolte.

È sulla base dell’elaborazione di tali ragionamenti che nasce questa nuova pro-

posta di valutazione dell’atleta, dell’ambiente che lo circonda, delle sue capa-

cità tecnico-tattiche e di tutte le componenti condizionali e coordinative che il

sistema di analisi è in grado di raccogliere, relativamente al gesto atletico e alla

performance.

Il primo grande vantaggio della video analisi è che non richiede la collaborazio-

ne dell’atleta, in altre parole l’allenamento avviene senza che esso venga distur-

bato da interruzioni di qualunque sorta, è solo richiesto allo staff di concordare

protocolli allenativi che siano in grado di rilevare pattern motori o dati del sog-

getto. Quindi all’interno, ad esempio, di un circuito allenante, si possono rile-

vare, come vedremo, dati utili allo staff tecnico del Club e al giocatore stesso.

Un altro notevole vantaggio sta nell’analizzare l’atleta in un momento di

“vera” espressione del gesto, in

una condizione per lui abituale e

normale senza sentirsi sotto test e

quindi senza veder alterato o arte-

fatto il movimento. Vedi, ad esem-

pio, foto 1. In questa foto appare

evidente che l’atleta stia saltando

stando attento a non cadere fuori

dall’area di prova.

Il movimento del capo per guar-

darsi i piedi ci indica questa sua

esigenza legata anche alla gestione dell’equilibrio ed al voler eseguire

bene il test.

Ma questo gesto è ripetibile in gara? O meglio: quale atleta salterà

in gara guardandosi i piedi?

Ma cos’è la video analisi e come funziona?

Si tratta di uno strumento che permette di analizzare lo stesso gesto da

*Consulente, ricercatore biomeccanico, **Preparatore atletico

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più angolazioni e con differenti velocità per evidenziare il particolare che

quasi sempre sfugge ad una analisi ad occhio nudo.

A chi è utile? L’allievo di turno, principiante o professionista che sia, trae

grande vantaggio nel vedersi sullo schermo rendendosi conto di aspetti

posturali, prendendo coscienza di schemi corporei talvolta sconosciuti.

Il principiante accelera i processi di apprendimento. Il giocatore

intermedio/giocatore di club migliora e corregge errori e cattive abitudini.

Nel lavoro svolto con giocatori agonistici e giocatori professionisti la video

analisi individua e corregge il particolare in grado di fare la differenza.

La video analisi sfrutta i pixel del video per attaccarci un marker che permet-

te di vedere anche in movimento il dato, ad es. angolo, relativo al soggetto.

Il programma software è in grado di elaborare tabelle che possono essere

esportate con tutti i dati su un programma di calcolo (Excel) per le elabora-

zioni di tipo scientifico o statistico (Fig. 2).

L’elaborazione video può essere trasformata in file immagine, potendo facil-

mente inserirla in presentazioni, documenti report, schede dell’atleta ecc.

Inoltre il programma permette di trasformare il video dell’analisi dell’atleta o

della squadra in momenti chiave facilmente ritrovabili, con commenti scritti e

sonori e costruito già in modalità flash quindi utile all’esportazione tramite

internet e visibile con qualunque browser. In questo modo l’immagazzinamen-

to dei dati è semplificato e ridotto, così come la condivisione degli stessi.

Nella mia esperienza d’uso di questi strumenti mi sono reso conto della

loro utilità, in queste aree della pratica sportiva:

1. Analisi del gesto senza collaborazione dell’atleta;

2. Valutazione della capacità condizionali dell’atleta; forza, resistenza e

velocità sono facilmente analizzabili anche senza che l’atleta sappia di

essere ripreso;

3. Valutazioni di alcune capacità coordinative, ad es. orientamento spa-

zio-temporale, capacità cinestetica e di trasformazione ed equilibrio;

4. Valutazioni funzionali di tipo posturale sia statico che dinamico legate

all’elasticità di alcuni distretti corporei;

5. Metodo utilissimo in ambito riabilitativo, soprattutto se avevamo già

dati sull’atleta precedente al trauma;

6. Metodo per il miglioramento tecnico del gesto, posture, atteggia-

menti ecc.;

7. Metodo per l’analisi tattica della gara;

8. Metodo per lo scouting ed il match analisi;

9. Utile all’allenamento del soggetto in fase evolutiva;

10. Utile all’allenamento ideomotorio e degli schemi motori.

Ritengo l’allenamento ideomotorio e quello legato all’automatizzazione

degli schemi motori, un aspetto spesso trascurato nell’ambito degli sport

di situazione come il calcio.

Il vedersi e il capire come ci si muove, anche al rallentatore in un effetto

moviola, aiuta l’atleta ad avere una diversa consapevolezza di sé e di come

gestiamo il gesto nello spazio, aiuta la ricostruzione e l’analisi dei propri

schemi motori, quelli che precedono l’esecuzione dei gesti, ottimizzando il

movimento e rendendolo più congruo e versatile alla diverse situazioni pro-

poste dalla gara.

Dal sito www.portieridicalcio.it riprendo quanto scritto sull’allenamento ideo-

motorio incoraggiando il lettore a non pensarlo solo come riferito al portiere e

ad applicarlo a più ruoli grazie all’uso di queste nuove tecnologie:

Con l’allenamento ideomotorio, si parte dal presupposto che alcuni proble-

mi che si manifestano in ambito sportivo, possono essere corretti e miglio-

rati immaginando le stesse situazioni tecnico-tattiche con un risultato posi-

tivo. La mente non fa differenza fra una esperienza realmente vissuta e una

immaginata. Gli impulsi nervosi, che circolano nel cervello quando si vive o

si immagina una esperienza, formano una sorta di traccia del percorso, ren-

dendo più facile il richiamo dello stesso programma o pensiero in un

momento successivo; questa traccia viene influenzata dalla quantità dei

30

CENTRO STUDI E RICERCHE

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passaggi dello stimolo nervoso, cioè, più ci si esercita, maggiormente si

apprende. Pertanto, quando si ripetono mentalmente delle azioni è come se

si svolgesse un allenamento.

Affinché l’allenamento ideomotorio sia realmente efficace, ci vuole pre-

disposizione psicologica, ripetizione e una visualizzazione ricca di sensa-

zioni: visiva, muscolo-articolare, uditiva, tattile, organica.

Questo processo di immaginazione, può avere un carattere riproduttivo

riguardo a esperienze precedenti; creativo quando si anticipano degli

eventi possibili; programmatico riferito all’azione da compiere; regola-

torio in relazione al controllo e all’azione dei movimenti; allenante volto

al miglioramento del gesto.

Rappresenta un’altra variante dell’allenamento mentale, che interviene

sulla psiche dell’atleta; deve fare parte integrante, senza sostituire ma

completare, dell’allenamento tradizionale. In uno sport come il calcio,

che viene definito psicologico e di situazione, si pensi quale importanza

può assumere questo aspetto che, purtroppo, in Italia, viene ancora poco

considerato. Prima di procedere a questo tipo di allenamento mentale, è

sempre utile praticare alcuni esercizi di rilassamento, per fare diminuire

la tensione muscolare e acquisire un livello di concentrazione tale, da per-

mettere il pieno assorbimento delle tecniche ideo-motorie.

La seduta non deve durare più di 30 minuti (compreso il rilassamento).

Il metodo consiste nel riprodurre e visualizzare mentalmente azioni di

gioco, interventi tattici e correzioni tecniche che hanno lo scopo di aiu-

tare il portiere a viverle in partita in maniera positiva, vincente, con mino-

re ansia, maggiore freddezza e sicurezza. Un esempio pratico può essere

la rappresentazione mentale di un'uscita su gioco aereo; la rappresenta-

zione esatta di un'azione tecnica e tattica che deve essere migliorata.

Ogni esercitazione viene proiettata mentalmente tre-quattro volte per

poi passare alla prossima.

Queste esercitazioni possono essere fatte negli allenamenti, prima e durante

la gara riducendo ovviamente la loro durata.

Da quanto sopra descritto possiamo quindi desumere un miglioramento

anche della concentrazione!

Come precedentemente descritto le possibilità di analisi del Sistema sono

legate alla capacità del software di analisi e del tipo di macchina fotogra-

fica/video (e delle sue impostazioni) in uso dell’Analista Biomeccanico

durante le riprese a scopo di analisi.

Attualmente il software maggiormente affidabile e preciso è un software

svizzero (Dartfish) nato per l’analisi del golf e successivamente evoluto in

diversi ambiti sportivi.

Attualmente gli sport che maggiormente usano, già da tempo, tale stru-

mento sono: lo sci, il tennis, il golf, l’atletica, l’hockey e il ciclismo.

I metodi d’uso ovviamente variano a seconda dello sport a cui ci si riferi-

sce, nel calcio ci piacerebbe proporvi alcune possibilità.

ANALISI DEL GESTO:

31

Fig. 3 e 4 Teoria sull’apprendimento motorio a livello neuronale

Gesto del calcio, analisi posturale

Analisi della corsa, le spalle

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CENTRO STUDI E RICERCHE

Rinvio del portiere e traiettoria di tiro

Velocità, accelerazione, angoli del gesto

Posizione dei piedi e distanze

VALUTAZIONE DEL GESTO:

Avendo le distanze percorse dal punto materiale ed il tempo è semplice calcolare velocità in m/sed accelerazione in m/s2

Tempi di reazione, altezze

Lunghezza falcata, tempi di con-tatto, altezza e movimento delbaricentro corporeo, traiettoriadel capo nella corsa

Sovrapposizione del gesto tra prove diverse

Analisi di due gesti simili

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L’analisi del tempo è molto affidabile, il programma sfrutta i frame del

video che sono 30 in un secondo o di più nei video con effetto moviola.

Quindi a velocità normali, non rallentate, il tempo è preciso al millesimo.

Il vantaggio consiste anche nel poter prendere un tempo considerando il

cambio di direzione, o meno, contando il numero di passi nei 10 metri,

utilizzati per l’accelerazione e il numero di passi usati per la decelerazione

prima del cambio di direzione. Avendo tempo e spazio si può calcolare la

velocità. L’analisi è dunque più affidabile e completa di quella che si può

ottenere con le fotocellule tradizionali.

L’analisi della velocità e del tempo ci permette in un circuito di valutare

la Resistenza.

Analisi posturale; es. la flessibilità della colonna:

Il programma ci permette di mettere delle linee, una o più, sulle parti che

vogliamo verificare come “parti non in movimento” oppure una grata a

rete a simulare lo scogliosometro.

Nella foto si verifica la non rotazione del bacino e l’atleta si flette su un

paletto, il programma misura la distanza minima da terra della mano.

33

CAPACITÀ CONDIZIONALI:

Appare evidente la asimmetria e la differenza di forza tra lato sinistro e destro del corpo, inoltre èpossibile l’analisi del cambio di direzione

FORZA:

Movimento preparatorio del capo (in viola) prima del salto, analisi della forza esplosiva e delgesto atletico

Capacità di utilizzo pliometrico della muscolatura da parte dell’atleta, valutazione della forza esplo-siva. In serie con ripetizioni maggiori sia in questo esercizio che nel precedente può manifestarsi undecadimento della prestazione dovuta a fatica, si può dunque analizzare la resistenza alla forza oforza resistente

Il programma può essere usato come se ci fossero due o più fotocellule in campo

VELOCITÀ:

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CENTRO STUDI E RICERCHE

Analisi del gesto nella gara:

Queste immagini o video aiutano a memorizzare schemi o movimenti;

va sottolineato che le riprese sono state fatte dagli spalti senza la richie-

sta di collaborazione ad alcun atleta.

CONCLUSIONI

Quelli presentati sono solo alcuni esempi delle possibilità del pro-

gramma; la creazione di protocolli di lavoro, la standardizzazione

delle posizioni di ripresa eviteranno errori di misurazione.

Inoltre consentiranno la sovrapposizione di video o foto contenenti

gesti compiuti in tempi diversi o da atleti diversi.

Ridotto l’indice di errore attraverso un protocollo rigoroso, la video

analisi diventa un valido strumento per avere dati relativi agli atleti

tesserati dal club senza richiedere agli stessi tempo o collaborazione.

L’importanza per il Club di possedere una banca dati relativa ai propri

tesserati è semplice da intuire; infatti oltre a creare per ogni atleta

uno standard ottimale di forma, è possibile informare i nuovi staff in

caso di cambio tecnico, conoscere meglio i propri atleti formando una

sorta di Carta d’identità sportiva, conoscere l’obbiettivo da raggiun-

gere per il singolo atleta in caso di riatletizzazione post traumatica,

condividere con i giocatori i loro risultati motivandoli a superare se

stessi tramite sedute di allenamento intense e ben vissute.

Si potrebbe costituire una nuova figura professionale legata al Club o

allo staff tecnico incaricata di raccogliere i dati degli atleti con stru-

menti non invasivi condividendoli con il medico del club, il preparato-

re e l’allenatore. Tale figura potrebbe delinearsi come l’Analista

Biomeccanico.

I risparmi del Club legati alla riduzione degli infortuni dei tesserati e

a quelli derivati da migliori prestazioni con incremento di valore del

patrimonio giocatori, servirebbe a pagare questa nuova figura, crean-

do inoltre socialmente un ritorno positivo per i molti Laureati in

Scienze Motorie in cerca di occupazione.

Ricordiamo che l’unica cosa richiesta al normale programma di alle-

namento della squadra è quella di identificare tra i lavori “allenanti”,

scelti dal preparatore, alcuni utili a raccogliere ciò che al preparatore

serve allo scopo di programmare meglio il suo lavoro futuro.

Oppure avere dall’allenatore l’indicazione di cosa riprendere e quan-

do durante una gara al fine di fare una match analisi completa anche

dell’aspetto motorio.

La condivisione di questi protocolli di lavoro serviranno all’Analista

per scegliere la migliore posizione di ripresa.

Siamo convinti che visto l’aumentare della frequenza con cui si gioca-

no le gare, visto l’aumento della velocità di gioco del calcio e visto che

il metodo di valutazione non richiede nulla all’atleta, l’uso di questi

sistemi si debba ritenere come utile e come una possibile innovazione

da inserire nella standardizzazione del lavoro di ogni Club, professio-

nistico e non.

Attacco e difesa, analisi dei movimenti

Movimenti della squadra su calcio d’angolo, traiettoria del pallone

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SEZIONE MEDICA

NEUROIMAGING E SPORTdi Maria Grazia Rubenni*

L e neuroscienze studiano il sistema nervoso centrale e periferi-

co nelle sue componenti strutturali, funzionali, biochimiche,

farmacologiche e patologiche.

Lo studio biologico dell'encefalo è un campo interdisciplinare che

coinvolge molti livelli, da quello molecolare, a quello cellulare

(neuronale) fino ai grandi sistemi della corteccia cerebrale e del

cervelletto.

Il cervello è costituito da miliardi di cellule specializzate che sono

i neuroni e da cellule che fino a poco tempo fa si riteneva avessero

solo un ruolo di sostegno, protezione e nutrizione dei neuroni, ma

per le quali si è scoperta invece una implicazione nella interazione

tra i neuroni, e cioè le cellule gliali.

Le cellule nervose sono connesse tra di loro e con gli organi peri-

ferici tramite quelle che si definiscono sinapsi. Attraverso queste,

l’impulso nervoso viaggia da un neurone all’altro o da un neurone

all’organo periferico come ad es. la fibra muscolare.

Ogni neurone può avere fino a centomila connessioni sinaptiche,

per un totale di migliaia di miliardi di connessioni.

Il cervello è il centro di comando e controllo di tutte le funzioni del

corpo ed insieme al midollo spinale costituisce il SNC. Riceve gli

input sensoriali interni/esterni e risponde ad essi con comandi

verso gli organi effettori (muscoli, ghiandole, ecc.), genera e con-

trolla la motricità, oltre ad essere la sede degli stati mentali, delle

emozioni e dei sentimenti.

Le strutture, ma anche la funzione del cervello, possono oggi esse-

re studiate attraverso quelle che si chiamano tecniche di “neuroi-

maging”.

Fra queste, la tomo-

grafia computerizza-

ta (TC) e la risonanza

magnetica (RM) for-

niscono informazioni

dettagliate sulla

struttura del cervello,

mentre la risonanza

magnetica funziona-

le (fRM), la tomogra-

fia computerizzata a

emissione di fotoni

singoli (SPECT), e la

tomografia ad emis-

sione di positroni

(PET), sono in grado di analizzare la funzionalità del cervello. La

SPECT e la PET sono due tecniche diagnostiche tomografiche che

consentono di ottenere, in vivo e in modo non invasivo, immagini

di distribuzione di un tracciante radioattivo, somministrato in

genere per via endovenosa. La SPECT e la PET hanno molte analo-

gie, ma differiscono per i radionuclidi e radiotraccianti utilizzati e

per i sistemi di rivelazione delle radiazioni.

Nel caso di esami della funzionalità, alla PET si preferisce tuttavia

sempre di più la risonanza magnetica funzionale (fRM), che ha un

potere risolutivo temporo-spaziale migliore e non richiede l'uso di

composti radioattivi.

Con questa metodica si evidenziano le aree cerebrali “attive” rile-

vando il maggior consumo di ossigeno a questo livello. Ciò con-

sente di “mappare” quali aree cerebrali si attivano durante l’ese-

*Sezione Medica Settore Tecnico FIGC

Esempio di PET: il colore rosso evidenzia una elevata attivitàa livello della corteccia cerebrale e del cervelletto, mentre icolori verde e blu evidenziano una minore attività dellestrutture più profonde.

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SEZIONE MEDICA

cuzione di un determinato compito, come parlare, muovere una

mano e così via.

Va comunque detto che le immagini non sono immagini dirette,

ma il risultato di una elaborazione statistica che trasforma i dati in

una immagine a 3D.

Questo pone ovviamente dei limiti interpretativi e quindi appare

difficile dire se l'aumento o la riduzione di attività in una partico-

lare regione del cervello debba essere considerata “migliore” o

“anormale”, così come non possiamo assumere che singole aree

cerebrali siano responsabili unicamente di funzioni mentali speci-

fiche, facendo sì che l'attivazione di quelle regioni ci dica cosa una

persona stia ad esempio pensando.

A questo punto ci si chiederà come il mondo dello sport si trovi

ad entrare in contatto con questa complessa materia, al di fuori

di eventuali patologie.

Eppure si è aperto da tempo un dibattito tra gli addetti ai lavori

proprio riguardo l’uso delle metodiche citate in precedenza nel

soggetto sportivo come mezzo per analizzare l’abilità atletica.

Uno strumento quindi nato per la diagnosi, utilizzato invece per

programmare strategie di allenamento, come è successo ad

esempio per la squadra di nuoto olimpica canadese.

In un articolo pubblicato nel 2008 su Brain Imaging and Behavior

si osserva che in nuotatori a cui veniva fatto visionare il video di

una loro cattiva prestazione si evidenziava un’aumentata attività

in aree cerebrali associate alla depressione, correlando tale stato

depressivo con una ridotta attività nelle aree della corteccia

essenziali per la pianificazione del movimento.

I risultati di tale ricerca portarono ad una variazione nella strate-

gia della squadra focalizzando l’attenzione su interventi mirati

alla rimozione delle negatività, fra i quali ad esempio la visualiz-

zazione di migliori prestazioni o esercizi di salto, entrambi apparsi

in grado di avere effetti positivi su umore e prestazione.

Ciò che solleva preoccupazione in alcuni studiosi, come la

Dott.ssa Judy Illes, Direttrice del Programma in Neuroetica allo

Stanford Center for Biomedical Ethics, la cui Lettura nell’ambito

di una serie di Conferenze intitolate “Il Muscolo Intellettuale” è

alla base del presente articolo, è tuttavia il fatto che tecniche

votate ad interventi medici siano utilizzate al solo scopo di

aumentare la prestazione.

Le domande che al momento si presentano al mondo sportivo

riguardano essenzialmente l’eventuale pericolosità di una tale

applicazione, ed il suo aspetto “etico”.

Tuttavia, qualcuno ha anche avanzato un’ulteriore domanda e

cioè, potrebbero queste tecniche in un futuro essere in grado di

mostrare alterazioni legate all’uso di sostanze vietate ed essere

pertanto utilizzate come drug-test?

Ed inoltre, potrebbe questa essere considerata una violazione

della privacy non essendoci niente di più personale che un’imma-

gine funzionale del nostro cervello, molto di più del campione di

sangue o di urina?

Ed ancora, se non si mettono limiti alle applicazioni delle nuove

metodiche, si potrebbe arrivare ad esempio alla stimolazione elet-

trica quale quella utilizzata per alleviare i tremori del morbo di

Parkinson o la depressione cronica, solo per migliorare la presta-

zione, visto che alcuni studi dimostrano che tale stimolazione nei

primati migliora la coordinazione motoria e la velocità di movi-

mento?

Quanto già in atto e, soprattutto le eventuali implicazioni future,

obbligano tutti ad una estrema cautela e tanto per finire citando

la Dott.ssa Illes, “dobbiamo procedere con molta attenzione se

vogliamo portare queste tecnologie fuori del campo medico e

portarle nel campo dello sport”.

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SEZIONE MEDICA

IL TEST DEL QUADRATOdi Claudio Bozzetti, Paolo Giordani, Maeva Gotti, Alessia Castagnetti*

Sebbene la letteratura medico-sportiva sia cospicua per la valutazione da

campo per gli atleti (per quanto riguarda la valutazione della forza, della

velocità, della resistenza della VO2 Max…), l’idea di questo Test sperimentale

nasce dalla carenza di una vera e propria prova dinamica sui cambi di direzione.

Il Test è stato ideato da Claudio Bozzetti, il cui studio pilota condotto presso il

CPR di Parma ha trovato largo impiego nella riatletizzazione sul campo, inizial-

mente a seguito della ricostruzione di LCA, e successivamente nel recupero di

altre patologie.

Il Test del Quadrato è un test funzionale innovativo, che nell’ambito della ria-

bilitazione dell’atleta post infortunio, consente di creare situazioni sport-specifi-

che e di forte stimolo alle componenti capsulo-legamentose, tendinee, musco-

lari dell’arto inferiore in toto e alle componenti prestazionali.

Il Test si sviluppa su un tracciato a forma di quadrato (da qui il nome “Test del

Quadrato”), i cui lati sono di 10 metri di lunghezza ciascuno. Il punto di parten-

za e il punto di arrivo del percorso coincidono; in questo punto vengono posi-

zionate due fotocellule ad alta precisione per cronometrare alla perfezione il

tempo che impiega l’atleta nel percorrere tutto il quadrato. Il Test è massimale

e quindi deve essere svolto ad alta velocità e ad ogni angolo del quadrato si deve

effettuare il cambio di direzione per la convalida della prova.

L’atleta deve percorrere il circuito sia in senso orario che in senso antiorario, per

tre volte, con un recupero di 2’30”. Grazie alle fotocellule l’atleta è in grado di

partire nell’istante che desidera (nei limiti del recupero), le fotocellule si chiudo-

no nel momento in cui viene compiuto un giro completo, fornendo un tempo

inconfutabile come non può essere invece con cronometraggio manuale.

Il controllo dell’andamento del recupero funzionale dell’atleta è un’esigenza

tra le più sentite da tutti coloro che lavorano in ambito riabilitativo. La pos-

sibilità di avere a disposizione un mezzo di valutazione pratico, rapido ma

allo stesso tempo affidabile e ripetibile è quindi particolarmente importante.

L’informazione che può arrivare da test di valutazione della forza muscolare,

da quelli eseguibili su semplici macchine per muscolazione a quelli su appa-

recchiature isocinetiche, ha il difetto di valutare una sola componente del

recupero, e in particolare non considera la capacità globale, fisica e mentale,

di eseguire uno schema motorio complesso, che rappresenta in definitiva

l’informazione funzionale per noi più importante. Il test proposto nell’artico-

lo ha proprio questo obiettivo, senza nessuna altra presunzione: quello cioè

di fornire un’indicazione globale della recuperata capacità dell’atleta di

muoversi a elevata velocità. Chi conosce la persona che è dietro alla nascita

ed elaborazione del test del quadrato può capire meglio come, senza nes-

suna pretesa di offrire qualcosa di unico, il test riesca ad associare praticità

ed affidabilità: Claudio Bozzetti, per anni fisioterapista del Parma e della

Nazionale maschile, e attualmente a prestare le sue “preziose mani” a quel-

la femminile, ha sempre saputo coniugare le esigenze di chi lavora in campo

con quelle di chi lavora in un centro di riabilitazione di alto livello come il suo.

Praticità, scientificità e modestia, niente di più ma può bastare.

Luca Gatteschi, Coordinatore Sezione Medica Settore Tecnico FIGC

*Autori dello studio pilota progettato da CPR, Centro Parmense Riabilitativo

Immagine stilizzata del percorso del Test delQuadrato. Lo svolgimento qui raffigurato è in direzio-ne anti-oraria, quindi con arto sinistro versol’interno

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SEZIONE MEDICA

Le forze eccentrica ed esplosiva che predominano nel cambio di direzione sot-

topongono l’arto inferiore (soprattutto quello posto all’interno del percorso) ad

un forte stress torsivo. Uno stress in grado di testare caviglia, ginocchio, anca,

apparato muscolare coinvolti nel gesto motorio riproposto. L’alta intensità

richiesta dall’esecuzione testa la stabilità e l’equilibrio nello svolgimento di

movimenti veloci e repentini, tipici degli sport situazionali, oltre che il condizio-

namento fisico raggiunto nelle differenti fasi di recupero post infortunio.

Il Test è un’ottima chiave di lettura, per fisioterapista e preparatore atletico,

delle condizioni raggiunte dall’atleta, ma è altresì un eccellente espediente per

l’atleta stesso nel superare paura e insicurezza (giustificati dall’infortunio) nel

compiere ancora determinati movimenti ad alta intensità, propedeutici alle

situazioni di allenamento successive.

Il Test ha diversi vantaggi:

- È economico, infatti occorrono solamente pochi cinesini;

- È riproducibile, è sufficiente mantenere la medesima superficie;

- È versatile, poiché può essere effettuato in superfici indoor o outdoor;

- È specifico, in quanto va a valutare le strutture interessate nell’ambito del

cambio di direzione ad alta velocità;

- Ha un protocollo semplice.

Per contro abbiamo riscontrato qualche svantaggio:

- Non tiene conto della destrezza dell’atleta, poiché non viene considerato se

l’atleta è destrimane o mancino;

- La disponibilità delle fotocellule (ma eventualmente si può ricorrere al crono-

metraggio manuale);

- Disponibilità di una superficie ampia.

Andiamo ora ad analizzare le singole componenti dell’arto inferiore che par-

tecipano attivamente all’esecuzione del Test e che possono essere effettiva-

mente valutate.

GINOCCHIO: è l’articola-

zione che si presta più facil-

mente al Test. Il suo intero

apparato capsulo-lega-

mentoso, fondamentale

per il controllo della flessio-

ne e della rotazione artico-

lare mediante un’azione di

stabilizzazione delle componenti ossee, nel cambio di direzione è alta-

mente sollecitato.

• Il sistema di unione centrale o “pivot centrale” costituito da due lega-

menti crociati (LCA e LCP).

• Il sistema periferico, formato da un compartimento interno e un

compartimento esterno. Nel compartimento interno, o mediale, troviamo

il legamento collaterale mediale (L.C.M.) e in quello esterno, o laterale, il

legamento collaterale-laterale (L.C.L.).

• Il meccanismo estensore del ginocchio, o compartimento anteriore

del ginocchio. In particolar modo il LCA viene spesso richiamato nell’azio-

ne di questa particolare situazione, infatti le sue funzioni sono:

- stabilità sul piano sagittale;

- stabilità sul piano frontale;

- rotazione esterna automatica in estensione;

- controllo dell’iperestensione;

- meccanismo di rotolamento-scivolamento;

- propriocezione.

Il Test trova largo spazio nella valutazione delle condizioni fisiologiche e della

stabilità di questa articolazione dopo un infortunio (frequenti sono le distor-

sioni, le fratture parziali o totali dell’apparato capsulo-legamentoso e la con-

seguente riparazione soprattutto del LCA).

Se nelle fasi successive del movimento le forze che si manifestano sull’arto,

vengono assorbite inopportunamente per diversi fattori interni o esterni, il

sistema capsulo legamentoso che coadiuva alla stabilità dell’articolazione

viene messo seriamente in pericolo.

C’è da sottolineare come l’improvviso cambio di situazione (tipico del calcio)

di allenamento o di gioco provochi a livello dei sistemi stabilizzatori, muscolari,

propriocettivi e cinestesici, modificazioni improvvise. Questo aspetto deve

essere quindi considerato nel protocollo di recupero e nella programmazione

dei successivi allenamenti, in quanto il non rispetto di questo aspetto provo-

cherebbe rischi alla ritrovata stabilità del neolegamento e dell’articolazione,

legato a forze, carichi e sollecitazioni non prevedibili ed esterni.

Qui sotto riportiamo un’immagine dell’articolazione del ginocchio nella dina-

mica di lavoro con forze che esercitano su di esso particolari carichi, per dimo-

strare quanto questa debba utilizzare i giusti angoli di lavoro per evitare solle-

citazioni che altererebbero la salute del ginocchio e soprattutto non permet-

terebbero una potenzialità e un utilizzo delle forze ottimali (esempio sovrac-

carico del tendine rotuleo).

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CAVIGLIA: il Test può esse-

re particolarmente indicato

anche nella valutazione fun-

zionale di un atleta che ha

subìto un trauma a livello

dell’articolazione della tibio-

tarsica, legata ad eventi torsivi, distorsivi e lesivi. In effetti nell’esecuzione

del test la struttura articolare viene sollecitata nelle fasi di accelerazione,

nelle fasi di decelerazione, e quindi di frenata, e nella fase di preparazione

al cambio direzionale, a carico del legamento laterale, del legamento del-

toideo, del tendine d’Achille e dei legamenti posti nella parte tibiale-collo

piede, e a livello muscolare a carico dei gastrocnemi e del soleo.

APPARATO MUSCOLARE:

il Test può essere indicato

per una valutazione della

condizione muscolare lega-

ta a problematiche derivan-

ti da lesioni di tipo diretto e

indiretto.

In particolare riferimento ai

muscoli retto femorale nella

fase di accelerazione ai muscoli ischio-crurali nelle fasi di spinta e nella dina-

mica della corsa, e nella componente eccentrica della muscolatura quadrici-

pitale nelle fasi di frenata.

Analizzando i risultati ottenuti dallo studio pilota del Test, si possono trarre alcu-

ne importanti considerazioni: la positività/negatività del Test e la sua utilità. La

positività o negatività vengono riscontrate alla luce del confronto tra la media

dei tempi delle prove in senso orario, con quella dei tempi delle prove in senso

anti-orario. Se la variazione tra le due medie è superiore agli 0.5 sec., supera

quindi il differenziale considerato fisiologico, il Test è negativo. Ciò indica che

occorrono ulteriori sedute di allenamento prima di consentire all’atleta il ritorno

all’attività agonistica. In caso contrario il nostro Test è positivo.

Il Test è utile, in quanto è complementare alla batteria di test che effettuiamo

prima del pieno ritorno dell’atleta alla sua normale attività agonistica: artrome-

trici, isometrici, di forza, di reattività, aerobici.

I risultati suggeriscono che sarebbe interessante inserire sempre il Test tra quelli

considerati di routine, poiché nella sua specificità vi sono altre componenti che

intervengono oltre al cambio di direzione: la corsa, la frenata, la reattività, l’e-

quilibrio muscolare, la forza esplosiva.

CONCLUSIONI

Il Test del Quadrato quindi può essere utilizzato in molteplici situazioni.

La più rilevante, secondo noi, è nella valutazione intermedia e finale nel recu-

pero e nella fase di riatletizzazione, successiva alla ricostruzione del legamento

crociato anteriore, come valore di effettiva sicurezza in un movimento reimpo-

stato totalmente dopo l’intervento come il cambio di direzione e come compa-

rativo tra la prestazione dell’arto operato con quello sano; è indice quindi tem-

porale (legato ad una prestazione) ed emozionale-situazionale (legato a paura

o alla nuova ricerca di appropriarsi di un movimento sport-specifico preceden-

temente acquisito e successivamente perso).

Il Test può essere anche indicatore importante nei traumi discorsivi gravi nell’ar-

ticolazione tibio-tarsica, riguardo sia alla fase di spinta del piede a terra, nel riu-

tilizzo elastico al contatto e dal tempo di contatto del piede, sia nell’effettiva

preparazione tecnica al cambio di direzione, ossia quando la caviglia deve esse-

re pronta a ricevere un carico importante ed attiva per una successiva riparten-

za in un angolo di spinta diverso.

Anche in ambito di recupero muscolare ci offre la possibilità di valutare se la

condizione ottimale è stata conseguita, questo offrendo valori migliori a livello

temporale e soprattutto con l’assenza di dolori muscolari nei movimenti dove

lo stress muscolare (fase eccentrica) può essere particolarmente delicato in un

post recupero.

Possiamo quindi affermare che il Test del Quadrato è un ottimo strumento di

valutazione nel recupero dell’atleta infortunato.

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W = peso del corpo, P = potenza del quadricipite, R = risultante

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SEZIONE PER LO SVILUPPO DEL CALCIO GIOVANILE E SCOLASTICO

INTRODUZIONE

Èinsito che nella pianificazione didattica, per quanto riguarda le atti-

vità motorie e le abilità sportive in particolare, le condizioni ambien-

tali che si devono creare per un efficace apprendimento, in special modo

quando si tratta di bambini in età scolare, devono essere indiscutibilmen-

te facilitate. Ciò è vero in quanto gli impedimenti dovuti ad una eccessiva

richiesta di prestazione, per esempio proponendo esercizi troppo com-

plessi, potrebbero influenzare negativamente la crescita tecnica distur-

bando i fenomeni ed i processi di adattamento dei fattori tecnico-coordi-

nativi e psicologici. Relativamente a quest’ultimo aspetto, se un percorso

di apprendimento non è accompagnato anche da una relativa motivazio-

ne da parte dell’allievo, si rende senza dubbio più difficile qualsiasi per-

corso pedagogico.

Per giocare a calcio, a diversi livelli, occorre disporre sul piano motorio di

abilità tecniche specifiche, e di saperle utilizzare nel contesto di allena-

mento ed in partita. In altre parole maggiori risorse si possiedono sul

piano tecnico, più soluzioni saranno disponibili alle richieste di gioco rela-

tivamente dettate anche dalle strategie tecnico-tattiche dei giocatori

avversari.

Tra le risorse del giocatore di calcio, il colpo o gioco di testa è una abilità

tecnica un po’ particolare poiché non permettere di controllare la palla

mediante un contatto continuo, ma solo di respingerla o indirizzarla

verso una zona precisa del campo, come per esempio nel tiro in porta. Di

fatto tale abilità si caratterizza per un tempo di contatto con il pallone

brevissimo tale da non permetterne il controllo come avviene nell’esecu-

zione con i piedi. Il colpo di testa, inoltre, si caratterizza da deviazioni con

impatti diretti ed improvvisi cambiamenti di traiettoria della palla limitan-

do i processi anticipatori da parte dell’avversario a causa di una informa-

zione percettiva relativamente scarsa.

Questa complessità che contraddistingue in genere il gioco aereo, risulta

assai utile soprattutto negli spazi stretti che solitamente si vengono a

creare nelle diverse zone del campo durante il gioco, e dal fatto che un

buon utilizzo di questo fondamentale, per i motivi sopracitati, determina

una maggiore possibilità di vanificare le azioni di difesa attuate dagli

avversari.

Premesso ciò, nell’insegnamento del calcio ai bambini, occorrerebbe

tener sempre presente che le attività didattiche programmate debbano

presentare esercizi semplici per facilitare l’apprendimento. Tale assunto

non può non prescindere evidentemente dalle coordinate spazio tempo-

rali e biomeccaniche dell’esercizio e dagli attrezzi che vengono utilizzati.

Se ci siamo battuti per anni a sostenere l’opportunità di campi e di porte

ridotte per i bambini in età prepuberale, con la stessa convinzione rite-

niamo che palloni troppo duri e pesanti non facilitano l’apprendimento

del colpo di testa a causa di possibili impatti che potrebbero, se ovvia-

mente ripetuti, provocare traumi e conseguentemente limitazioni psico-

logiche all’apprendimento. Difatti, lo scopo di questo studio è quello di

verificare se effettivamente l’uso del pallone di cuoio o di gomma può

creare delle diverse sollecitazioni a carico della muscolatura impiegata e

nei parametri cinematici, dinamici ed elettromiografici che vengono eser-

citati all’impatto.

Materiali e Metodi

Soggetti

Presso il Trial Applied Research Lab (Pallandia srl, Forlì, Italia), otto bam-

bini di età compresa fra 6 e 12 anni, dietro consenso firmato dai genitori

sono stati divisi un due gruppi di età differente (Tab. 1). Successivamente

40

STUDIO SPERIMENTALE DELLE VARIAZIONI BIOMECCANICHE E NEUROMUSCOLARI DEL COLPO

DI TESTA IN FUNZIONE DELLE VARIE TIPOLOGIE DI PALLA IN BAMBINI IN ETÀ SCOLARE

di Stefano D’Ottavio 1,2, Nazzareno Tozzo 1, Massimo Tell 2 e Giuseppe Annino 1

1. Human performance Lab “C. Bosco” Corso di laurea in Scienze Motorie, Facoltàdi Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Italia

2. Sezione per lo sviluppo del calcio giovanile e scolastico FIGC

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sono stati istruiti sull’esercizio da eseguire e dopo aver mostrato familia-

rità con il compito loro richiesto sono state eseguite le registrazioni dei

parametri cienematici, dinamici ed elettromiografici delle prove.

Studio sperimentale

Le prove consistevano nell’esecuzione di colpi di testa con palloni di dif-

ferente qualità di materiale e di pressione atmosferica. Al fine di standar-

dizzare le variabili cinematiche relative alla traiettoria, il lancio della palla

veniva effettuato dallo stesso operatore, precedentemente allenato allo

scopo e con un coefficiente di variazione tra i lanci raggiunto inferiore al

5%. Ogni bambino per ciascun tipo di palla eseguiva 5-6 prove delle

quali, esclusi i valori più alti e più bassi, veniva considerato per l’analisi

statistica il valore medio di tutti i colpi di testa per ciascun tipo di palla. I

palloni utilizzati in questo studio presentavano diverse caratteristiche

come presentato in tabella 2.

Misurazione della forza all’impatto con il pallone

Per la misurazione della forza generata dall’impatto con le diverse tipo-

logie di pallone sono state utilizzate due strisce dinamometriche sottilis-

sime e dotate di circuito stampato nell’area sensibile di misurazione,

posta ad una estremità della striscia, con diametro di 0,375 cm.

(FlexiForce, Tekscan inc, Boston, USA) (Fig. 1). Il sensore attiva un resistore

variabile in un circuito elettrico. I valori di resistenza elettrica decrescono

proporzionalmente al crescere della forza applicata. I valori di resistenza

vengono acquisiti a 8 bit e trasformati in segnale digitale attraverso un

A/D coverter. Prima delle misurazioni sperimentali il sistema è stato tarato

con carichi esterni di massa nota. L’area sensibile di misurazione dei due

sensori veniva posizionata sulla fronte, sull’ipotetico punto di impatto

con la palla. L’altra estremità dei sensori veniva collegata a due scatole

elettroniche per l’invio dei dati in telemetria e posizionate sulla parete

occipitale e fissate tramite taping elastico e coperte da cuffia elastica di

sostegno (Fig. 2).

Accelerazione

Per la rilevazione dell’accelerazione antero-posteriore del capo al

momento dell’impatto con il pallone è stato utilizzato un accelerome-

tro monoassiale (Type ET-Acc-02, Ergotest Technology, Langesund,

Norway) interfacciato con un A/D converter e trasformato in segnale

digitale con frequenza di campionamento a 100Hz (Muscle-Lab,

Boscosystem, Rieti, Italia). L’accelerometro, dopo opportuna taratura,

veniva posizionato sull’estremità superiore del capo e fissato con

taping elastico e coperto dalla medesima cuffia elastica descritta pre-

cedentemente.

Elettromiografia di superficie

L’attività elettromiografica è stata registrata usando elettrodi di super-

ficie bipolari (distanza interelettrodo: 1,2 cm) fissati longitudinalmente

sul ventre muscolare. Il segnale preamplificato veniva convertito in

scarto quadratico medio (Root Mean Square) e campionato a 100 Hz.

I valori di RMS medi sono espressi in millivolts in funzione del tempo.

I muscoli analizzati in questo studio sono stati i muscoli trapezi dx e sx

e gli sternocleidomastoidei dx e sx. I valori di EMG sono sincronizzati

ai valori dell’accelerazione. I dati analizzati riguardano la frazione di

tempo relativa all’impatto con il pallone.

41

Pulcini Esordienti

Età 6.7±0.5 12.3±0.6

Peso (kg) 22.7±0.5 47.4±6.8

Altezza (cm) 126.2±2.1 156.7±10.4

Tab. 1: Caratteristiche antropometriche e fisiologiche dei partecipanti allo studio (media±DS)

Materiale Tipologia (n) Peso (g) Pressione Diametro (cm) (atmosfere) (g/cm2)

Gomma doppio strato 3 280 0,27 270 18Gomma doppio strato 4 370 0,33 330 20,5Cuoio 4 420 0,42 420 21,5Cuoio 5 450 0,70 700 22Cuoio duro 5 450 1,10 1100 22

Tab. 2: Tipologia dei palloni utilizzati

Fig. 1: Strisce dinamometriche FlexiForce Fig. 2: Esempio di una prova sperimentale

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SEZIONE PER LO SVILUPPO DEL CALCIO GIOVANILE E SCOLASTICO

Statistica

I valori del presente studio sono espressi come media ± deviazione standard.

Risultati

Forza d’impatto con il pallone

I picchi di forza di impatto con i vari palloni utilizzati dal presente studio

mostrano valori uguali in entrambi i gruppi con i palloni di gomma 3 e 4,

mentre per i palloni di cuoio le forze sviluppate all’impatto risultano note-

volmente maggiori. Anche relativamente ai due gruppi di età le differenze

risultano marcatamente superiori nel gruppo degli esordienti. Inoltre, i valori

di forza osservati mostrano una proporzionalità diretta con la maggiore stiff-

ness dei palloni di cuoio utilizzati (Fig. 3).

Elettromiografia di superficie

I valori elettromiografici registrati su entrambi i muscoli trapezio e sternoclei-

domastoideo (SCM) in ciascun soggetto durante la fase di impatto con i dif-

ferenti tipi di pallone mostrano un’attività muscolare media superiore nei

soggetti appartenenti al gruppo esordienti (Fig. 4 e 5). Relativamente ai pat-

terns di attivazione in funzione del pallone utilizzato, il muscolo trapezio

sembra maggiormente utilizzato in entrambi i gruppi rispetto al muscolo

SCM ad eccezione del pallone di cuoio di tipo 5 duro nel gruppo pulcini

dove l’intervento muscolare sembra invertirsi (Fig. 4).

Analizzando il timing di attivazione neuromuscolare nel confronto con il pal-

lone più leggero e quello più pesante si nota come nel primo caso al ridursi

dell’attività del muscolo trapezio, l’attività dello SCM aumenti durante l’im-

patto con il pallone. Tale pattern di attivazione risulta invertito nel caso di

impatto con il pallone di cuoio 5 duro dove l’attività del trapezio addirittura

nella fase di impatto aumenta notevolmente come l’attività dello SCM.

Accelerazione

Dall’analisi dei picchi di accelerazione si nota come fra i due gruppi il com-

portamento sia notevolmente opposto. I grandi mostrano valori maggiori

con il cuoio, al contrario dei piccoli che “frenano” l’impatto al contatto del

pallone più duro (Fig. 6). Tale andamento potrebbe essere interpretato dal

fatto che nei bambini più piccoli, essendo il pallone di gomma più conge-

niale, riescono ad esprimere una certa intensità di accelerazione all’impatto

poiché esso non viene percepito come traumatico. Nei bambini più grandi

tale fenomeno risulta indifferente. Con il pallone di cuoio i bambini nati nel

2002, probabilmente a causa di una maggiore forza d’impatto (vedi dati

precedenti) che potrebbe influire negativamente sul potenziale d’accelera-

zione, tendono ad inibire tale espressione.

Analizzando i patterns di attivazione dei muscoli in oggetto, si nota come

durante l’esercizio con il pallone più leggero i muscoli degli sternocleidoma-

stoidei si attivano nella prima fase dell’impatto mentre i trapezi si attivano

42

17,3

140,0

120,0

100,0

80,0

60,0

40,0

20,0

0,0Gomma n° 3 Gomma n° 4 Cuoio n° 4 Cuoio n° 5 Cuoio n° 5 duro

Forz

a di

impa

tto

(uni

tà a

rbitr

arie

)

13,017,3

Esordienti

19,5

60,3

Media dei valori registrati per fasce di età

36,3

71,0

53,0

128,3

71,0

Pulcini

Fig. 3: Valori medi delle forze (unità arbitrarie) esercitate all’impatto con i differenti tipi di pallone

Fig. 4: Valori EMGrms dei muscoli trapezio e sternocleidomastoideo del gruppo pulcini durante lafase di impatto con i diversi tipi di pallone

Fig. 5: Valori EMGrms dei muscoli trapezio e sternocleidomastoideo del gruppo esordienti durantela fase di impatto con i diversi tipi di pallone

Fig. 6: Picchi di accelerazione nei diversi tipi di pallone per le due classi di età

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nella seconda fase (Fig. 7). Analizzando invece il comportamento neuromu-

scolare durante l’impatto con il pallone più pesante (cuoio tipo 5 duro) si

osserva come l’attività dei trapezi si innalza già nella prima fase in risposta

ad una necessità di co-contrazione al fine di stabilizzare il collo durante un

impatto percepito dal soggetto essere più impegnativo (Fig. 8).

La figura 9 mostra in termini comparativi due esempi di tracciato acce-

lerometrico che mette in relazione lo stesso soggetto della categoria

“pulcini” che esegue un colpo di testa prima su pallone di gomma (Fig.

9a) e dopo su pallone di cuoio (Fig. 9b). Come si può osservare, pur

partendo da una fase negativa identica nei valori, cioè partendo dagli

stessi angoli di flessione dorsale, dopo l’impatto la spinta in avanti con

il pallone di cuoio risulta dimezzata rispetto al pallone di gomma. È da

notare come dopo l’impatto con il pallone di cuoio l’accelerometro rile-

va una maggiore perturbazione dei muscoli del collo dato che la linea

di ritorno alla normalità risulta più articolata disegnando un’area inter-

na (zona compresa fra il tracciato accelerometrico e la linea “0”) deci-

samente maggiore.

Discussioni e conclusioni

Dai dati emersi nel presente studio si evince come i palloni di gomma

non presentano differenze sia nell’impatto che nella strategia neuromu-

scolare rilevanti nei due gruppi di età. Diversamente, il pallone di cuoio

mostra impatti sempre crescenti proporzionalmente alla diversa tipolo-

gia utilizzata con comportamento neuromuscolare uniforme osservato

solo nel gruppo esordienti mentre valori disomogenei si osservano nel

gruppo pulcini. Inoltre, la maggiore attività dei muscoli trapezi osservata

all’impatto con i palloni di cuoio, evidenzia un interessamento importan-

te della muscolatura cervicale che potrebbe ripercuotersi durante l’im-

patto anche sulle regioni inferiori della colonna vertebrale. La forza uti-

lizzata all’impatto con le diverse modalità di tiro risulta, come era lecito

aspettarsi, quindi indiscutibilmente più alta durante le esercitazioni con

palloni di cuoio più “duri”. Ciò si evidenzia ovviamente nei bambini più

piccoli a causa di una minore esperienza tecnica e relativi limiti struttu-

rali a carico dell’apparato muscolo scheletrico. Tale ipotesi è sostenuta

anche dall’analisi delle registrazioni dell’accelerazione del capo all’im-

patto che risulta assai diversa nelle due modalità.

Per concludere, visti i risultati e le specifiche risposte tecniche dei bam-

bini sottoposti a test, si evince come nel rispetto di una graduale proce-

dura didattica siano da consigliare inizialmente i palloni di gomma

rispetto ai palloni che presentano una maggiore rigidità e massa.

Affinché, quindi, non si ricorra in un “blocco” per l’apprendimento del

colpo di testa appare opportuno aspettare una maturazione funzionale

e strutturale più avanzata prima di pianificare allenamenti che preveda-

no ripetuti colpi di testa con palloni di cuoio. Risulta ovvio ma comun-

que importante sottolineare che la qualità dei materiali e le caratteristi-

che attuali del pallone (per es. superfici intrise d’acqua, fango etc.) pos-

sono attenuare o rendere più complesse e difficili le condizioni di

apprendimento.

43

Fig. 7: Valori EMGrms dei muscoli trapezio e sternocleidomastoideo e dell’accelerazione durantel’impatto con il pallone di gomma tipo 5

Fig. 8: Valori EMGrms dei muscoli trapezio e sternocleidomastoideo e dell’accelerazione durantel’impatto con il pallone di cuoio tipo 5 duro

Fig. 9: Valori dell’accelerazione durante l’impatto con il pallone di gomma tipo 5 (9a) e con il pallonedi cuoio duro di tipo 5 (9b) nel gruppo di pulcini

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SEZIONE PER LO SVILUPPO DEL CALCIO GIOVANILE E SCOLASTICO

PREMESSA

È ormai evidente che nella valorizzazione del talento e nella gestione del-

l’attività giovanile è indispensabile agire affinché formazione e valori

abbiano pari opportunità e pari dignità dei risultati e delle classifiche.

Risulta quindi indispensabile, nei settori giovanili, porre attenzione agli aspetti

mentali e relazionali dei giovani calciatori con allenatori e famiglie, oltre agli

elementi di tecnica di base, di tecnica applicata e di preparazione fisica.

In questa ottica si sono create negli ultimi anni iniziative serie ed innovative sia

da parte della Figc, con vari progetti quali il “Progetto formativo integrato” ed

“I valori scendono in campo”, sia da parte di alcuni prestigiosi club tra i quali

la Juventus “Formazione Juventus”, l’Inter “Inter Campus”, il Milan “Progetto

giovani”, il Parma “Scuole calcio”.

Le informazioni contenute nel presente articolo sono anche la sintesi di presen-

tazioni e di lavori già utilizzati per la realizzazione di alcuni progetti, di cui

sopra, con il fine di contribuire al percorso di formazione permanente degli alle-

natori, che sono attivi in ambito giovanile.

Tutte le iniziative innovative sono rivolte ai giovani calciatori, affinché vivano lo

sport con equilibrio, sono progetti che mettono al centro i ragazzi, proponendo

momenti e strumenti di riflessione sulla voglia di vincere e sulla capacità di

accettare la sconfitta.

L’attività di formazione e di ricerca del talento, si è detto, non può essere svi-

luppata solo attraverso aspetti tecnici e fisici, qualsiasi attività umana non è sol-

tanto un impegno meccanico e anche l’attività calcistica ha necessità di svilup-

pare e fortificare i valori.

Il 24 marzo del 2009 la Figc ha aderito alla Uefa Grassroots Charter e attraverso

questo programma, l’Uefa promuove, protegge e sviluppa il calcio di base in

tutte le sue forme e adotta la migliore pratica nelle Federazioni nazionali ed

incoraggia tutte le Federazioni ad aspirare ad ottenere il marchio UEFA.

Il 13 e 14 giugno 2009 a Coverciano si è svolto il primo Festival Uefa

Grassroots, iniziativa a prosieguo del “Sei bravo a scuola di calcio”, iniziata nel

1991 e del quale si riportano la copertina e l’elenco delle scuole calcio parteci-

panti alla prima manifestazione nazionale perché, come ci ha insegnato

Giovanni Paolo II, “non c’è futuro senza memoria”.

Nel corso del convegno, organizzato per l’occasione, è stata presentata la

ricerca del Settore Giovanile e Scolastico della Figc rivolta alla Scuole di Calcio

(aspetti tecnici, fisici e sociali). Ho avuto il piacere e l’onore di collaborare

all’indagine conoscitiva per le esperienze di sociologo in ambito sportivo ed

universitario e in tale circostanza ho esposto i primi dati, emersi dai questio-

nari (i risultati potranno essere oggetto di un prossimo articolo), con l’analisi

delle risposte date dai giovani calciatori (ragazzi e ragazze), dai genitori, dagli

allenatori e dai dirigenti delle scuole calcio, per l’area sociologica.

L’area sociologica della ricerca ha “fotografato” l’universo del calcio di base

in rapporto:

• alla scuola;

• alla famiglia;

• all’attività calcistica (risultati e/o formazione);

• alla relazione con i media (giornali e televisione) e con il calcio professionistico;

• al confronto con le devianze (violenza) e con i valori (fair play, rispetto,

educazione);

• alle qualità dei tecnici (preparazione tecnica, fisica, clima positivo, gestio-

ne del gruppo).

44

SOCIOLOGIA DELLO SPORT E IL GIOCO DEL CALCIO

di Gennaro Testa*

*Coordinatore Sezione Sviluppo Calcio Giovanile e Scolastico Settore Tecnico FIGC

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Per i tecnici che già svolgono attività nelle scuole calcio e per quelli che hanno

intenzione di avvicinarsi alle problematiche del calcio di base mi è sembrato utile

fornire le informazioni organizzative inserite nel Comunicato Ufficiale n. 1 del

2009/2010, pubblicato dal Settore Giovanile e Scolastico, in sintonia con il

Settore Tecnico, attraverso la propria Sezione per lo Sviluppo nel Calcio Giovanile

e Scolastico (prospetto allegato).

A più riprese sono state già presentate indicazioni a chi è attento alle problema-

tiche del calcio giovanile di base e questo lavoro non ha la pretesa dell’insegna-

mento, ma ha il solo obiettivo di accendere negli allenatori almeno un dubbio “…

forse qualcosa, nei settori giovanili, si può cambiare…”, tale da sollecitare ulteriori

personali attenzioni, riflessioni, considerazioni e valutazioni su “cosa fare” e su

“come fare”.

È importante ricordare che il giovane calciatore, come d’altra parte l’atleta di alta

espressione, ha la necessità di avere e mantenere al massimo le capacità e le qua-

lità nelle seguenti aree:

• tecnica e tattica;

• fisica e motoria;

• mentale e relazionale.

Tutti gli allenatori, di ogni disciplina sportiva, conoscono bene la necessità di coin-

volgimento dell’atleta nella completa interezza dell’essere.

Un calciatore che abbia solo qualità atletiche, ma è carente di tecnica e/o di senso

tattico non potrà mai sperare di essere un atleta di successo.

Ugualmente un giovane fisicamente e tecnicamente “ben impostato” non può

essere allenato solo dalla “testa in giù”.

L’essere umano non è un sommergibile con divisori rigidi e comparti-

menti stagni

Al tempo stesso quel tecnico che esegue la preparazione fisica “misurando solo

la quantità di corse e di esercizi senza il pallone”, che realizza la tecnica e la tattica

“solo quando c’è la palla”, che costruisce la socializzazione ed il fare squadra

“solo quando si va tutti assieme in pizzeria”, non agisce da “mister”.

Un tale comportamento ha buoni motivi di riflessione per valutare se questa posi-

zione sia più vicina a quella di un “allevatore” piuttosto che di un “allenatore”.

Proprio perché il giovane calciatore deve essere considerato ed “allenato sempre”

nella sua completezza, i ragazzi sono i protagonisti del proprio processo formati-

vo, con l’assistenza degli adulti preparati attraverso i valori della militanza (espe-

rienza di campo) con in più i valori della conoscenza (esperienza di formazione e

di continui aggiornamenti).

La famiglia e l’attività sportiva sono importanti nella formazione del

giovane

Gli argomenti, certamente, non possono esaurire tutte le problematiche relative

alla vita sociale del ragazzi, degli adulti e della squadra, ma saranno in linea con

la visione globale della crescita e della valorizzazione del giovane calciatore se la

preparazione potrà essere valorizzata con attività coinvolgenti e attraverso un rin-

novato ruolo rivolto ai valori.

Sociologia dello sport e il gioco del calcio

Il termine “sociologia” nel calcio ed in particolare in quello giovanile sembra quasi

“come il cavolo a merenda”, ma se si riflette sul modello di prestazione, risulta

chiaro che il calcio è un “gioco di squadra” e vissuto come tale per raggiungere

i massimi traguardi.

Ecco che, traducendo gli aspetti sociologici nel pratico, ci si rende conto che essi

sono l’amicizia, il fare squadra, la forza di volontà, di carattere, di sacrificio, le

emozioni comuni ecc., cioè, tutto quello che necessita per esaltare e rendere pro-

duttivo il “gioco di squadra”.

Lo sforzo degli adulti di riferimento è far capire ai giovani che il gioco del calcio

non è solo… il tiro, il passaggio, l’attacco, il gol, lo stop, la parata, muscoli e pol-

moni ecc. La realtà non è solo “il visibile, cioè quello che si vede”, ma è necessario

“far vedere e far vivere l’invisibile”.

Tutti quegli aspetti invisibili e necessari per dare il massimo, come il coraggio,

la volontà, il sacrificio, il rispetto di sé e degli altri, la forza di far squadra, lo

“stringere i denti”, che non si vedono e non si possono “misurare”, ma sono

presenti e indispensabili in tutta l’attività giovanile ed in particolare nella valo-

rizzazione dei talenti.

La chiave di volta è comprendere che anche nel gioco calcio, come in tutte le

altre realtà quotidiane della vita, “in ogni cosa ci sono mille cose”.

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SEZIONE PER LO SVILUPPO DEL CALCIO GIOVANILE E SCOLASTICO

È già presente nel patrimonio culturale degli allenatori la convinzione che i

ragazzi sono bravi per quello che sanno fare ma la squadra ottiene il top e vince

se tutti sono capaci di dare il massimo di sé e tutti insieme raggiungere gli stessi

obiettivi.

Si sente spesso parlare dei modelli di riferimento e dei modelli di comportamen-

to (dell’esempio in parole povere) che gli adulti nelle società sportive devono

sempre testimoniare in campo e fuori dal campo, infatti i loro comportamenti

ed il rispetto della cultura della legalità (i valori) condizionano in maniera inde-

lebile l’attività e la formazione dei ragazzi.

Le premesse per una sana attività fisica sono nella famiglia. È nel rapporto con

i genitori che i ragazzi acquisiscono la fiducia di base, se manca questa fiducia

di base sorgono problemi per il loro inserimento nel mondo e per la pratica di

una qualsiasi attività sportiva a livello agonistico.

È nel rapporto con i genitori che i ragazzi acquisiscono la stima di sé: ciò si veri-

fica perché si sentono stimati, apprezzati dai loro genitori e se questo non si

verifica, non è possibile la stima degli altri, quindi risulta più difficile il rapporto

con le persone esterne alla famiglia, la collaborazione, il coordinamento, il

rispetto degli altri.

Il gioco del calcio soddisfa i bisogni nell’età evolutiva

Per prima cosa il calcio, in particolare a livello giovanile di base, deve soddisfare

il bisogno di giocare.

I ragazzi - ma non soltanto i ragazzi - giocherebbero sempre: sono naturalmen-

te attratti verso il piacere, seguono spontaneamente il principio del piacere.

Sono gli adulti che, giustamente, ricordano loro (o a volte impongono) il prin-

cipio di realtà e la sua “durezza”.

Il calcio giovanile può avere la funzione di mediazione fra il principio

del piacere e il principio della realtà

Lo sport può essere piacevole, ma non sempre lo è: impegna a uno sforzo

costante e quindi non permette di seguire soltanto l’umore del momento.

Nel calcio, inoltre, ci sono delle regole e, a dire il vero, le regole sono presenti

in ogni contesto, ma nello sport è ben visibile a tutti una cosa: chi va oltre e

non rispetta le regole viene emarginato, richiamato, allontanato.

È necessario, quindi, l’adattamento ed il rispetto alle regole, agli ambienti, agli

altri individui.

Attraverso il gioco del calcio il ragazzo entra in un gruppo, con tutto ciò che di

positivo - e a volte di negativo - ciò comporta. Fa amicizia con i coetanei, si

coordina con loro, impara a tenere conto dei bisogni degli altri (oltre che dei

propri), partecipa alla costruzione del gioco e della prestazione, impara dunque

ad assumersi delle responsabilità.

In tutti i gruppi esistono i leader e i gregari; esistono purtroppo anche i mecca-

nismi di emarginazione e di formazione di capri espiatori e si deve stare attenti

ai rimbalzi emotivi di tali situazioni, dal momento che la realtà competitiva

nell’attività giovanile va spesso nel senso di sottolineare le vittorie, il successo e

i buoni piazzamenti, ma anche di marcare negativamente le sconfitte, piuttosto

che evidenziare i progressi della crescita calcistica ed umana.

Lo sport permette l’inserimento e la conoscenza di una certa realtà, crea una

cultura specializzata, diversa da sport a sport, una cultura magari implicita,

sedimentata in abitudini, comportamenti, regole.

Il ragazzo si mette alla prova, si misura, prende coscienza di sé e degli altri, delle

proprie possibilità e di quelle degli altri, apprende anche che, allenandosi

costantemente, migliora le sue capacità tecniche e fisiche, apprende che le

situazioni si modificano.

L’agonismo è positivo, l’antagonismo è negativo

Il calcio portato agli eccessi, in particolare a livello giovanile, fa parte di una realtà

che spinge a competere con tutto e con tutti e in questo senso non sempre è

positivo, dal momento che può creare tensioni eccessive.

Nella fase dell’età evolutiva è opportuno che prevalga l’aspetto ludico (ossia di

gioco), nel quale - comunque vadano le cose - tutti si divertono.

È giusto esaltare, comunque, tutti gli aspetti positivi dell’agonismo (dare il massi-

mo per vincere nel rispetto di sé e degli altri), ma l’attenzione deve essere alta per

non travalicare, in nessun momento, nell’antagonismo (vincere ad ogni costo,

non importa come).

Non dobbiamo aver paura dell’agonismo, è l’antagonismo che uccide lo sport ed

i suoi valori.

La scelta dello sport come distinzione dovrebbe venire fatta solo in una fase suc-

cessiva, nella quale l’adolescente, in collaborazione con gli adulti, può decidere

di praticare il calcio con sempre maggiore continuità, frequenza e professionalità.

Se in questo capitolo ci si interessa dello sport nell’età evolutiva, è perché si ritiene

che valga la pena di sottolineare quanto sia importante che prevalgano gli aspet-

ti educativi e ludici.

È importante che attorno ai ragazzi venga creato un ambiente emo-

tivamente protetto

La società sportiva deve collaborare con i genitori affinché tutti gli aspetti

dell’agonismo e della competizione siano elaborati, discussi, fatti propri e

diventino per i ragazzi motivo e stimolo per crescere ed emanciparsi e non

per stare male e sentirsi emarginati, scartati, colpevolizzati.

È la sconfitta o la prestazione scadente che va elaborata: i ragazzi vanno

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sempre bene, hanno fatto quello che potevano. Bisogna analizzare la pre-

stazione per verificare come si può ottenere un miglioramento. Ma i ragazzi

vanno sempre sostenuti. L’errore va analizzato affinché non venga ripetuto;

ma non è il caso che il ragazzo venga colpevolizzato e accusato.

Si deve distinguere la prestazione dai ragazzi: la prestazione può essere

negativa, i ragazzi no!

Proprio perché la personalità dei ragazzi è in formazione, è molto importan-

te la collaborazione fra famiglia e allenatore.

È lontana anni luce da me l’ipotesi, che spesso sui campi sportivi ho sen-

tito dire da chi gestisce i giovani calciatori: “Sarebbe meglio avere tutti cal-

ciatori orfani”.

La famiglia è fondamentale nella costruzione dell’identità di base, così come

l’allenatore nella costruzione dell’identità del calciatore.

Non è un rapporto facile quello fra famiglie e allenatore, come non lo è

spesso quello fra genitore e figlio come quello fra allenatore e calciatore.

Come tutti i compiti educativi, questo è un obiettivo “ricorrente”, nel senso

che non ha mai termine: è un processo di costante evoluzione.

Un collegamento fra famiglia e allenatore ci deve sempre essere. Questo

non significa che l’allenatore debba entrare nel merito delle questioni edu-

cative interne alla famiglia, a meno che in questo senso venga interpellato.

Né, viceversa, che il genitore debba entrare nel merito di come si allena la

squadra o di quale formazione è utile che giochi, se non nel caso che gli sia

richiesto direttamente.

Non interferire nell’ambito dell’altro è già una bella forma di colla-

borazione

La famiglia, però, può sostenere indirettamente l’allenatore elaborando

insieme al figlio una serie di atteggiamenti e idee che sono alla base di una

buona prestazione sportiva.

Il rispetto per l’autorità, per esempio, è centrale: non si squalifica il genitore,

non si squalifica l’allenatore, così come non si squalifica l’arbitro.

Se, quindi, l’avere subito una scorrettezza da parte di un avversario o l’essere

andato incontro a un errore di valutazione da parte dell’arbitro può creare

frustrazione e rabbia, è anche vero che reagire impulsivamente contro l’av-

versario o insultare l’arbitro diventa un comportamento negativo per sé e

soprattutto per la squadra e la società che si rappresenta.

L’amarezza emersa per l’ingiustizia subita va canalizzata nel gioco; il ragazzo

potrebbe dire mentalmente a se stesso: “Ora dimostro che cosa sono capa-

ce di fare” e fa vedere nel gioco corretto tutte le abilità di cui è capace.

In queste occasioni risulta determinante, per il comportamento del ragazzo,

l’esempio (in termini di l’atteggiamento) tenuto in questa o altre circostanze

similari dagli adulti di riferimento.

Sottolineare la centralità della squadra rispetto all’individuo

Benché succeda spesso che i mass media (e anche certi atteggiamenti di chi

fa parte dell’ambiente) sottolineino la bravura del singolo, il calcio rimane

uno sport di squadra.

Ciò non significa che il singolo non sia importante: il rapporto singolo -

squadra è dinamico; più la squadra è forte, più le individualità possono

esprimersi al meglio; più sono forti i singoli, più diventa forte l’insieme. Forse

il detto dei moschettieri sintetizza bene la situazione: “Uno per tutti, tutti

per uno”.

Sviluppare la capacità di lavorare in squadra è un obiettivo di alto profilo. Il

lavoro di équipe, in tutti gli ambiti, anche laddove è prescritto, spesso non

viene pienamente attuato per un eccesso di individualismo e per l’incapacità

di ascoltare e di accogliere il punto di vista altrui.

Esiste una notevole differenza tra fare gruppo e fare squadra

Il gruppo è composto da un numero di persone che interagiscono su

basi anonime e impersonali, spesso i componenti non si conoscono

personalmente e la relazione è solo formale, anziché come persone

nella loro completezza. Solitamente conseguono finalità emotivamen-

te poco impegnate, come ad esempio nelle aziende o nelle burocrazie,

possono al massimo aderire a progetti o a percorsi spesso decisi e

attuati solo da altri.

La squadra è invece composta da persone che interagiscono per un

periodo di tempo relativa-

mente lungo, sulla base di

rapporti faccia a faccia con

un obiettivo condiviso

(famiglia, comunità, attività

sportiva). Non si aderisce sol-

tanto ad un progetto o ad un

percorso, ma lo si condivide, la

differenza è che nel secondo caso (condivisione) c’è la partecipazione attiva, il

massimo impegno di idee e di attività di ciascun componente, si gioisce e si soffre

per raggiungere gli obiettivi comuni, dando il massimo delle proprie potenzialità

e possibilità.

“Fare squadra, è una forza aggiuntiva”.

A volte si pensa di essere nati con certe caratteristiche e che tali caratteristi-

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SEZIONE PER LO SVILUPPO DEL CALCIO GIOVANILE E SCOLASTICO

che siano del tutto immodificabili.

L’atteggiamento più opportuno è quello di pensare che è sempre possibile

migliorare, che le caratteristiche in ballo nel gioco del calcio sono talmente

tante e complesse da rendere possibile uno sviluppo senza limiti sia dei sin-

goli che della squadra.

Non è il caso che si crei per

questo uno stato di ansia,

come non è il caso che si

giunga a pensare di essere

già arrivati. Nell’età evolu-

tiva, ma anche nel resto

della vita, nessuno è mai

arrivato: nella vita l’impor-

tante è svilupparsi continuamente, andare avanti sempre alla ricerca di risultati

sempre migliori, “ad maiora“, come dicevano i latini.

Nel mondo del calcio (e, più in generale, negli sport di squadra) si usano di fre-

quente espressioni come “siamo uniti come una grande famiglia”, o anche “stia-

mo creando un clima familiare”. Già questo sta a indicare come alla base di una

squadra unita e positiva ci siano i legami familiari. È per questo che atleti in diffi-

coltà fanno spesso fatica ad interagire con gli altri.

I modi per dimostrare queste difficoltà sono di diverso tipo: parlare poco, isolarsi,

farsi emarginare, ma anche avere un eccessivo controllo sugli altri, strumentaliz-

zarli per fini individuali, imporre le proprie idee senza ascoltare le opinioni altrui.

Il leader positivo è accettato perché fa gli interessi della squadra

Una squadra di calcio offre la possibilità di ampliare le proprie capacità in un con-

testo comunitario. Mentre si cerca di aiutare ciascun giocatore - come individuo

- a scoprire le proprie identità di calciatore, il gruppo di atleti inizia a ricercare la

propria identità come squadra.

Alcuni possono vivere lo sviluppo personale e quello d’insieme come se fossero

in contrapposizione; in realtà le due cose non si escludono a vicenda, ma si raffor-

zano l’una con l’altra: più la squadra è unita e forte, più è possibile esprimersi

individualmente, e viceversa.

Da questo punto di vista l’autocontrollo in partita è importante.

Se un atleta - specie se pratica uno sport individuale - decide di non dare il mas-

simo o (come si dice) “di tirare i remi in barca”, si può anche pensare che, al limite,

sono fatti suoi e solo suoi, ma se si tratta di un calciatore che lo fa nel corso di

una partita, costui coinvolge anche i compagni e questo non è accettabile per l’i-

dentità e la validità della squadra.

Il gioco del calcio è uno sport di squadra, fondamentale, quindi, l’acquisizione di

una coscienza comune e risultano determinanti la coesione, l’unità, l’identifica-

zione degli obiettivi, ossia in tutto ciò che si fa, negli scopi e nelle norme comuni.

Tutto ciò che interferisce nel raggiungimento degli obiettivi di squadra va affron-

tato, elaborato, superato. Realizzare tutto questo non è certo facile: richiede

tempo ed implica l’espressione e la risoluzione di problemi in modo che si possa-

no costruire nuovi schemi, nuove tattiche e nuove idee.

Anche i giocatori più timidi gradualmente si sbloccano e diventano orgogliosi

della scoperta di una identità comune (il senso di appartenenza) e quando questa

comincia a legare i vari atleti in un insieme perfettamente funzionante, diventa

un vero piacere vederli; gli avversari temono questa unità.

È opportuno credere che esista un modo perfetto di utilizzare tutto il potenziale

e l’abilità a disposizione della squadra, così come è opportuno essere convinti che

questo processo di evoluzione della squadra sia costante.

“Fare squadra” è una forza aggiuntiva, ho già evidenziato precedentemente,

perché permette di vincere su avversari tecnicamente o fisicamente prevalenti

individualmente, ma che non si integrano e non riescono a sviluppare nell’insie-

me la superiorità. L’unità viene dall’autocontrollo, dalla fiducia, dalla comprensio-

ne, dall’attenzione a sé e agli altri, dalla possibilità di comunicare, anche dal clima

positivo. Si tratta chiaramente di un qualcosa che non si può imporre, ma che si

può costruire giorno per giorno.

Il mondo del calcio è molto ricco di esempi di squadre costituite da giocatori che,

presi uno per uno, sono formidabili, ma che - non avendo dato origine a un com-

plesso sinergico - non ottengono risultati brillanti; così come è altrettanto ricco

l’elenco di squadre costituite da elementi assai meno validi, ma che sono riusciti

a raggiungere mete insperate - grazie al fatto che tutti hanno remato dalla stessa

parte, come la perfetta coordinazione di un equipaggio di canottaggio, grazie

all’entusiasmo, all’altruismo, alla perfetta sincronia di gioco di chi scendeva di

volta in volta in campo, grazie agli schemi di gioco applicati con convinzione.

In una squadra possono comparire due tipi di leader: strumentale ed

espressivo

Il primo è un leader strumentale, una persona che si prende la responsabilità di

orientare il gruppo, una persona che esprime opinioni e dà suggerimenti; nel cal-

cio sono leader di questo tipo i giocatori che puntano al risultato e al buon gioco,

che puntano ad attivare sé e gli altri.

Il secondo leader è espressivo: è la persona ritenuta più simpatica del gruppo,

quella dalla battuta facile. Spesso il leader strumentale e quello espressivo non

entrano per niente in competizione l’uno con l’altro, ma anzi si appoggiano a

vicenda. Ciò suggerisce un modello di leadership a due: c’è uno specialista che

provvede al lavoro di gruppo e un altro alle esigenze emotive.

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Alcuni studiosi sono dell’avviso che entrambi gli aspetti siano importanti ai fini del

successo del gruppo. Tutti i gruppi devono venire a patti con la necessità che

siano presenti entrambi i tipi di leader.

Il rapporto che il singolo giocatore ha avuto con il padre può essere importante;

sull’allenatore vengono spesso trasferiti sentimenti derivati da tale rapporto. I

componenti della squadra desiderano che l’allenatore sia efficiente e che stimi in

modo identico tutti i calciatori. Grazie a questo interesse proveniente da una

grande figura paterna, tutti i membri sono sul medesimo piano e si trattano tra

loro in modo cameratesco e disinteressato. L’allenatore non è un padre, è un

manager che deve fare gli interessi di tutti, giocatori e dirigenti; a nessun padre

reale, in effetti, viene di solito chiesto di escludere dei figli. Soltanto il vero padre

vuole bene totalmente e completamente al proprio figlio. È bene non fare con-

fusione: per quanto un allenatore possa sostenere tutti i membri della squadra,

alla fine il criterio per comporre la formazione è di tipo “obiettivo risultato”, è

interesse di tutti i giocatori che la squadra giochi bene e vinca.

Sono opportune riunioni con la squadra al fine di creare l’unità e di

capire i bisogni

L’allenatore può organizzare vari tipi di riunioni; gli possono servire da una parte

per creare l’unità della squadra, dall’altra per capire quello di cui hanno bisogno

i giocatori per migliorare. Un esempio di riunione è quella che viene fatta dopo

la gara per rivedere e valutare la prestazione effettuata e per programmare le

gare successive.

L’allenatore può proporre al gruppo qualunque tipo di argomento che, a suo

parere, possa essere utile affrontare al fine della crescita della squadra: si può trat-

tare di un problema tecnico, tattico, mentale, relazionale, sociale, alimentare,

educativo ecc. Le riunioni prima della partita e nell’intervallo di essa possono esse-

re molto importanti dal punto di vista emozionale e per la sottolineatura di alcuni

aspetti importanti della prestazione; in questi casi, ovviamente, non c’è tempo

per far parlare tutti: possono essere sufficienti gli interventi di due - tre giocatori,

dopo i quali l’allenatore tira le somme; è importante che l’ultima parola spetti

all’allenatore: egli deve togliere i possibili dubbi, fare chiarezza, dal momento che

è necessario che per i giocatori sia del tutto palese ciò che deve essere fatto.

Per gestire nel miglior modo le riunioni di squadra è necessario ricordare:

• più la disposizione dei giocatori assomiglia a un cerchio, più è facile comunica-

re; da tale punto di vista è abbastanza buona la disposizione a quadrato o a

rettangolo tipica degli spogliatoi;

• è bene che gli obiettivi della riunione siano scelti accuratamente; tali obiettivi

devono risultare chiari e comprensibili;

• si ottengono risultati migliori se, oltre a parlare, si fa uso della lavagna o se

a ciascun giocatore vengono consegnati documenti scritti in modo chiaro e

sintetico;

• è bene essere sintetici e variare gli argomenti e le domande; ciò eviterà la noia

e aumenterà l’attenzione;

• è importante che venga fatta emergere un’idea comune di squadra, un’idea

sulla quale tutti i giocatori possono essere d’accordo; la squadra va guidata

verso una determinata decisione;

• vanno ascoltate le opinioni di tutti e va dunque fatto il giro completo dei gio-

catori; è bene che l’allenatore respinga le richieste della sua opinione fatte già

all’inizio; il giro va rispettato: il tecnico si deve esprimere solo alla fine;

• non vanno permesse le polemiche, le dispute, le chiacchiere, il dialogo a due;

sono utili (e vanno rispettati) gli interventi di tutti; nessuno deve prendere lo

spazio agli altri;

• è importante fare attenzione alle tematiche emergenti: bisogna seguire, inca-

nalare, capire quello di cui il gruppo ha bisogno per evolversi;

• vanno scoraggiate le tendenze a generalizzare: ognuno deve parlare per sé e

di sé, anche se parla della squadra;

• si deve evitare di rispondere direttamente alle domande (è bene ricordare che

nella maggior parte dei casi dietro a una domanda c’è un’affermazione); è il

caso di far sì che il gruppo trovi la sua risposta, risposta che l’allenatore confer-

merà o modificherà alla fine del giro delle opinioni;

• la riunione va ogni volta portata ad una conclusione positiva; è opportuno

che l’allenatore esprima apprezzamenti per la capacità del gruppo di risol-

vere i problemi.

La concentrazione è un elemento vincente

La concentrazione è una particolare forma dell’attenzione. È il fattore che orga-

nizza, disciplina e orienta l’attenzione; fa in modo che questa rilevi e organizzi il

proprio rapporto con mondo esterno ed il mondo interno.

L’aumento della concentrazione è favorito da molti fattori, per esempio dal livello

della maturità; dal livello di allenamento dell’attenzione; da impulsi provenienti

da una profonda motivazione; da un volontario orientamento dell’attenzione e/o

da una restrizione cosciente dell’area dell’attenzione.

Vari fattori fisiologici possono influire sulla concentrazione:

• la resistenza alla fatica; è importante “tenere bene” le partite dal punto di

vista atletico;

• il recupero dalle fatiche precedenti; alle partite, infatti, si deve arrivare fre-

schi e carichi;

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• l’equilibrio ormonale e l’efficienza funzionale del sistema nervoso centrale

(è per questo che qualcuno suggerisce l’importanza delle tecniche di rilas-

samento).

Vari fattori sociali possono influire sulla concentrazione:

• gli interessi, le opinioni; se, per esempio, si ritiene che una certa azione ci riguar-

da, questo aumenta sensibilmente la nostra concentrazione;

• le tradizioni; se si condivide la “filosofia” dell’allenatore, ci si sforzerà di seguire

nel migliore dei modi le tattiche da lui suggerite;

• lo stato di saturazione: se gli impegni sono troppi, il livello della concentrazione

può diminuire;

• le circostanze situazionali.

La concentrazione è la condizione ideale per il massimo rendimento del pensiero

e dell’azione.

È evidente che esiste un rapporto stretto fra concentrazione e motivazione indi-

viduale e di squadra. Più un giocatore è motivato ed è felice di giocare, più la sua

concentrazione è buona e più il suo comportamento diventa al contempo fermo

e flessibile.

La stessa cosa vale per la squadra: più è motivato, più viene a costituire un

insieme di persone che stanno bene assieme; la concentrazione, di conse-

guenza, si accresce.

Anche l’adesione ai programmi dell’allenatore influisce sul livello di concentrazio-

ne: più ci si identifica in questi obiettivi, più si cerca di attuarli, più aumenta la

motivazione e, quindi, il livello di concentrazione.

Si può immaginare quale bassa concentrazione possa avere un giocatore che sia

poco motivato, che sia poco integrato nel gioco di squadra, che non aderisca alla

“filosofia” e agli schemi dell’allenatore.

Anche l’eccessiva ansia può interferire nella qualità, nel livello e nell’orientamento

della concentrazione. Con la paura si tende a difendersi piuttosto che ad attac-

care; è probabile perciò che chi ha paura neanche si accorga delle opportunità

che ha di attaccare, le lascia cadere o aspetta che siano altri a prendersi queste

responsabilità.

Sia nello sport che nella vita non si può vincere se non si hanno coraggio, deter-

minazione, obiettivi da perseguire. Quando ci si ritira non si può vincere nulla.

La concentrazione è un prerequisito essenziale per la prestazione

ottimale

È la determinata coscienza di certi aspetti della realtà con esclusione temporanea

di qualsiasi altro aspetto. Essa può variare in intensità. Esistono forme di concen-

trazione “profonda” così come esistono forme di rilassamento “profondo”, essa

varia anche in termini di durata, è un modo rilassato di essere sempre pronti e

differisce in questo da qualsiasi stato mentale puramente volontario: la concen-

trazione può cambiare di pari passo con il progredire della gara.

È opportuno ricordare che esiste una concentrazione di breve durata e concen-

trazione di più ampia durata, ad esempio tirare un calcio di rigore richiede un’at-

tenzione di breve durata; creare un’azione complessa, invece, richiede un’atten-

zione di più lunga durata.

La concentrazione può definirsi interna se focalizza le sensazioni, i sentimenti e i

pensieri, si definisce esterna se focalizza ciò che ci circonda, ciò che è fuori da noi

stessi. Sia la concentrazione interna sia quella esterna possono essere di breve o

di lunga durata.

Qualunque sia il tipo di concentrazione (interna o esterna; di breve o di lunga

durata), qualunque sia l’oggetto di essa, l’atleta più dotato della capacità di con-

centrarsi è colui che riesce a trovare un’armonia fra i vari elementi del proprio

essere (fisici, emozionali, mentali, relazionali) e a determinarli su quello che deve

fare. Gli atleti devono essere in grado di mantenere la piena consapevolezza di

tutte le informazioni (in continuo cambiamento) relative allo svolgimento della

gara; e devono altresì fare in modo che le più rilevanti fra tali informazioni arrivino

a essere focalizzate al momento giusto e a spese di tutte le altre. Solo allora essi

potranno reagire adeguatamente e con la massima efficacia, raggiungendo in tal

modo il proprio obiettivo.

Se si analizza sistematicamente come varia la propria concentrazione, si può

anche imparare a capire dove è rivolta davvero l’attenzione e perché. Per l’atleta

sarà così possibile capire quali aspetti della prestazione sono sotto controllo e sarà

altresì possibile eliminare i fattori di distrazione e di preoccupazione che derivano

da ciò che sta al di fuori del proprio controllo.

Come ho già avuto modo di affermare nella pubblicazione “Formazione

Juventus”:

“Non è il risultato a tutti i costi a cui dobbiamo mirare, ma il risultato che porta

in sé il senso del percorso che abbiamo svolto, che porta i segni della fatica, del-

l’impegno che ci abbiamo messo per raggiungerlo e che è la prova tangibile del

nostro lavoro.

È opportuno ricordare sempre ai ragazzi il messaggio che la squadra, rappresen-

tata dallo stemma sulla propria maglia, vale sempre di più ed è sempre più impor-

tante del proprio nome, anche quando, ad alti livelli, lo si porta scritto sul retro

delle stesse maglie. L’attività calcistica coinvolge non solo muscoli e polmoni:

bisogna pensare e credere che vincere con stile, rispetto, educazione è vincere

due volte. È indispensabile che i giovani calciatori possano testimoniare questi

valori sempre e comunque, in campo e fuori dal campo”.

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FORZAAZZURRI

Un gruppo di azzurrini col tecnico Massimo Piscedda in preparazione per i campionati europei Under 19 - Foto Alberto Sabattini