n. 20 - milli-lyceum.it · Rivista degli studenti del Liceo Statale “G. Milli” di Teramo •...

28
n. 20 Maggio 2016 Rivista degli studenti del Liceo Statale “G. Milli” di Teramo • Liceo Linguistico, Liceo Economico Sociale, Liceo delle Scienze Umane

Transcript of n. 20 - milli-lyceum.it · Rivista degli studenti del Liceo Statale “G. Milli” di Teramo •...

n. 20Maggio 2016

Rivista degli studenti del Liceo Statale “G. Milli” di Teramo • Liceo Linguistico, Liceo Economico Sociale, Liceo delle Scienze Umane

2

SommarioLIBERAMENTE - TRA PASSATO E PRESENTE

I volti della scuola pag. 3-4

Gli anni della ribellione 5

Umanità matrigna, natura figliastra 6

Sessant’anni di penne e antenne 7

Lo schermo di Pandora 8

Equilibrio tra opposti 9

Quale famiglia? 10

Lo spettacolo deve continuare 11

Una sfilata lunga sessant’anni 12

Corsi e ricorsi artistici 13

Remusition 14

Ciak (ST)Azione 15

Stoicismo o terrore? 16

Diari dall’università 17

Criticamente: Libri - Film - Dischi 18-19-20

ATTIVAMENTE... AL MILLILaboratorio teatrale 21

Laboratorio lettura 22

Una chiacchierata con l’Imam 22

Alternanza scuola-lavoro 23

Attivamente al Milli... in breve 24

Ironicamente... al Milli 25

Ciao Preside... 26-27

Redazione

Chaima Batzami 2°AL

Fiammetta Capasso 4°CL

Noemi Cardelli 4°CL

Arianna Cavacchioli 3°CL

Dalila Delli Compagni 4°AL

Marisa Di Carlantonio 5°BES

Umberto D’Orazio 3°BES

Alessia Furii 5°BES

Desideria Mazzocchetti 4°CL

Lorenza Paolone 4°AL

Alessia Scipione 4°CL

Francesca Sgueglia 5°BES

Hanno collaboratoa questo numero

Eleonora LucianiAlessia D’AndreaLorenzo FabbiocchiSara TenerelliGiada Ruggieri

Lisa Delli Compagni

Referenti alternanza scuola-lavoro prof.sse Giusy Di Gregoli e Maria Forti

Docenti di scienze motorie

Laboratorio teatrale:Davide Lupacchini

Laboratorio lettura

Vogliamo inoltre ringraziare:Prof.ssa Lucia Sciannella e prof. Andrea Sangiovanni della facoltà di Scienze della comunicazione di TeramoFilippo Flocco

Prof. Claudio Mazzaufo

Mustapha Batzami

I docenti e gli alunni che hanno voluto ricordare il Preside

Roberto Croce che compare sulla copertina

Alessandra Cavacchioli per le foto di Bruxelles

Victoria De Rugieriis

Stampa: Giservice srl - Teramo

In questo spazio non troverete, quest’anno, la consueta presentazione del nostro Preside. Sì, ormai si dovrebbe dire “Dirigente”, ma per noi Giovanni Di Giannatale era il Preside. È facile sconfinare nella retorica, ma credo che per tutti noi sia an-

cora inverosimile la sua assenza, abituati alla sua presenza assidua lì, dietro a quella scrivania, tra le sue amate carte, tra i fogli segnati da una grafia decisa e spesso difficile da decifrare, chino con gli occhiali alzati sulla fronte, intento a sottolineare, annotare, correggere, la penna nera sempre tra le dita consumate.Visceralmente legato alla scuola, alla nostra scuola, entrava dalle porte secondarie all’alba, per lavorare indisturbato. Aveva più volte manifestato la sua insofferenza per la burocrazia ormai asfissiante, per le ultime riforme, per la direzione in cui sta andando l’istituzione scolastica, esprimendo la sua volontà di andare in pensione, troppo legato a quella “scuola che fu” da lui tanto studiata.Brusco nei modi - la sua voce risuonava per i corridoi mentre ci chiamava per cogno-me, quasi mai preceduto dal titolo - e parco di complimenti o convenevoli, ma solo perché poco incline ad una socialità formale ed alle chiacchiere. A volte sembrava quasi in imbarazzo persino in occasione degli auguri di Natale o di Pasqua, come se gli risultasse difficile camminare su un terreno non scolastico. Chissà quante volte il pudore con cui proteggeva la sfera più intima ha fatto sì che non mostrasse la sua commozione nel salutare i nostri colleghi pensionandi. Adesso nella nostra scuola tutto sembra in attesa... cambiamenti ce ne saranno, ed è anche giusto che sia così, ma non dovevano arrivare in questo modo. Quasi a sot-tolineare il passaggio, i collaboratori scolastici hanno pulito, lucidato, fatto ordine, messo via i tanti articoli che il Preside faceva affiggere …ma non c’è nulla di quello sfaccendare alacre e festoso di quando aspettiamo ospiti, non c’è la leggerezza… la sensazione è di assistere ad un’operosità quasi inopportuna in questo momento in cui ci sentiamo piccoli e attoniti. Certo quest’anno il nostro Pegaso vede la luce in un clima molto malinconico, ma ci auguriamo che possiate trovare interessante il lavoro dei ragazzi, che si sono impegnati per onorare il giornale di cui il Preside era fiero. monica Casaccia

Il numero 20 di Pegaso esce in un’edizione di 28 pagine anzichè 24, perchè abbiamo voluto dare spazio al ricordo del nostro Preside. Il tema scelto

dalla redazione è il confronto tra passato e presente e abbiamo individuato diversi argomenti, tra i quali i mass media, l’ambiente, le arti, cercando di portare alla luce i cambiamenti che hanno caratterizzato gli ultimi 50-60

anni. In alcuni casi abbiamo constatato un’evoluzione, in altri un inaridimento ed un impoverimento. Apriamo la nostra carrellata con la scuola, di cui si parla attraverso una ricostruzione storica e sociale che, ne siamo sicuri, sarebbe piaciuta anche al nostro Preside.

La redazione

NNegli anni 50, i primi giorni di ot-tobre, mentre la brezza autunnale

collezionava foglie ormai secche, due bambini corre-vano sotto il sole dorato del mattino: il maschietto in-dossava un grembiule nero con un fiocco blu sistemato sotto il colletto, la femmi-nuccia un grembiule bianco e un fiocco rosa. Si avviava-no frettolosi verso la scuola, cercando di arrivare prima delle 8, orario di inizio delle lezioni. Nelle loro piccole mani dondolavano delle car-telle di cartone: all’interno vi erano qua-derni dalle copertine nere, sillabari, un astuccio in cuoio con pennini dal tratto sottile, dei fogli di carta assorbente, una gomma per cancellare e matite colorate in legno. Le aule odoravano d’inchiostro dopo che la bidella, come ogni mattino, aveva riempito i piccoli vasetti disposti sui banchi formati da lunghi piani incli-nati e sedili uniti gli uni agli altri. In inver-no il fumo di una piccola stufa riempiva le aule, ma il freddo pungente portava spesso ad indossare il cappotto anche in classe. Gli allievi più indisciplinati veniva-no mandati dietro la lavagna o costretti a sedere al banco “dell’asino”, o ancora si poteva udire una bacchetta percuotere la schiena e le mani degli allievi. Ai primi banchi sedevano spesso i piccoli bene-stanti e gli studenti migliori per cui i mae-

stri avevano sempre un oc-chio di riguardo. Giunte le 10, era il momento della ri-creazione, che si svolgeva in classe: alcuni gustavano una pizzetta acquistata la mattina al forno prima del-le lezioni, altri due fette di pane con della mortadella. Infine, alle dodici e venti-cinque, la maestra dava il comando di preparare le cartelle e indossare il cap-potto. Negli anni 50, lo studio

era povero e semplice, le lezioni duravano quattro ore e si andava a scuola sei giorni alla settimana; in quinta elementare terminava l’obbligo scolastico, ma molti per aiutare le loro famiglie abbandonavano gli studi già in terza elementare;  pochi proseguivano frequentando le scuole medie o di avviamento professionale, le scuole superiori, fino all’università. Il carattere rigido dell’istituzione scolastica comincia a mostrarsi inefficiente in particolare negli anni 60, durante i quali il benessere indotto dal “boom economico” portò ad una più sentita rivendicazione del diritto allo studio. Il mondo politico rispose con dei provvedimenti volti a mitigare la struttura selettiva della scuola: furono, ad esempio, aboliti gli esami intermedi nella scuola elementare, l’esame di ammissione alla scuola media e l’esame alla fine della quinta classe ginnasiale (la seconda superiore). Il sistema scolastico risultava, dunque, organizzato in cinque classi elementari, tre classi medie e i tre licei scientifico, classico e artistico. C’erano anche gli istituti tecnici, di durata quinquennale, e l’istituto magistrale, di quattro anni. Nel 1962, inoltre, venne abolita la scuola di Avviamento professionale e ci fu l’istituzione di una sola scuola media unificata attraverso la quale era possibile accedere a tutte le scuole superiori. Aumentarono le

classi miste, che progressivamente andranno a sostituire le classi composte esclusivamente da alunni dello stesso sesso e, per quanto riguarda il Latino, in seconda media veniva studiato obbligatoriamente insieme all’Italiano, mentre nel terzo anno diventava facoltativo, ma comunque necessario per accedere al liceo. Nel 1969 la grande azione di rivolta dei movimenti studenteschi portò alla liberalizzazione dell’accesso agli studi universitari che, fino ad allora, erano riservati solo a chi

possedeva un diploma di liceo classico. Inoltre, vennero apportate delle modifiche all’esame di maturità che fu organizzato in due prove scritte (una di italiano, e l’altra che variava a seconda del tipo di istituto) e una prova orale che riguardava due materie: una scelta dallo studente e un’altra dai professori, fra un insieme di quattro materie scelte, a seconda del tipo di scuola, dal Ministero. La struttura dell’esame di maturità fu dichiarata sperimentale, ma persisterà immutata per quasi trent’anni. Credo che all’insorgere di desideri come la mobilità sociale, l’istruzione sia realmente l’unica possibilità per destare il giusto cambiamento, per intervenire sull’inerzia delle istituzioni e che le riforme di questi anni siano state varate con il giusto intento di migliorare la scuola.Per quanto riguarda gli anni 70, le

Vi PRESENT ia mo il PASSATO

I vo lt i de ll a scu o l a

3

segue

LiberamenteScuola

Liberamente Scuola

innovazioni nel mondo didattico derivarono da un’importante discussione sulla scuola pubblica. Scuola e società erano entrambe coinvolte in un processo di trasformazione e la scuola divenne un importante strumento di lotta per i ceti meno agiati. Questi furono gli anni durante i quali ci si oppose fermamente alla scuola come strumento a disposizione solo di pochi e si lottò per un’istruzione rivolta in primo luogo ai bisogni e alle aspirazioni degli studenti. Negli anni 70 nacque la scuola a tempo pieno, vennero introdotti gli insegnanti di sostegno nelle classi con alunni portatori di handicap, furono aboliti gli esami di riparazione nella scuola media, dove vennero rivisitati i programmi, con la scomparsa del latino e l’estensione dell’insegnamento dell’educazione musicale per tutta la durata dei tre anni, portando così l’orario settimanale a 30 ore. Il motivo ricorrente nei provvedimenti degli anni 70 era sempre quello del fatidico cambiamento, ma orientato, in particolare, a far sì che la scuola non guardasse al ceto sociale. L’idea di una scuola svincolata dall’influenza del prestigio o del reddito è stata davvero un prerequisito del progresso, anche se le nuove leggi avrebbero potuto reificare più compiutamente questa idea; è anche vero, però, che le istituzioni tendono a metabolizzare il cambiamento molto più lentamente della società. La scuola degli anni 80, invece, fu caratterizzata da un approccio interculturale dovuto all’arrivo di alunni stranieri. L’istituzione scolastica assunse una maggiore flessibilità nei percorsi formativi, con una tendenza all’educazione interculturale volta a prevenire l’insorgere di pregiudizi e stereotipi etnocentrici. Ad esempio, molti dei programmi rivolti alla scuola elementare emanati nel 1985 contenevano riferimenti all’identità culturale dei bambini e alla sua valorizzazione. Inoltre, nel corso degli anni ottanta, si parlò più volte di elevare l’obbligo scolastico, tuttavia senza mai varare nuove leggi a riguardo e fu significativa per la scuola elementare l’introduzione della pluralità dei docenti

per la stessa classe. Il mondo scolastico, in questo tratto della sua evoluzione, si trovò dinanzi ad una realtà diversa dalle precedenti e reagì adattandosi. A mio parere, perché la scuola possa unirsi alla società nel suo mutare, le leggi che ne dettano l’organizzazione dovrebbero essere eclettiche, in grado di vivere la nascita del cambiamento, accompagnarlo e non venire formulate in seguito, come meccanismo di adattamento. Il rischio è quello di perdere l’efficienza della scuola inseguendo la società con riforme pensate per intervenire su un solo fronte, o comunque su pochi, di problematiche più estese.Negli anni 90 il governo si pose grandi obiettivi nel campo dell’istruzione, come quello di innalzare l’obbligo scolastico, che venne portato a 16 anni, e riformare l’esame di maturità. Quest’ultimo si articolava in tre prove scritte e un colloquio orale: la prima prova riguarda l’Italiano, la seconda una delle materie che caratterizzano l’indirizzo di studio e la terza è una serie di quiz interdisciplinari a risposta multipla. La prova orale è anch’essa interdisciplinare; il punteggio di valutazione viene portato dai sessantesimi ai centesimi e si introduce il credito formativo. Questa riforma venne avviata con l’anno scolastico 1998/1999. Tuttavia, nell’estate 2006, l’esame di Stato fu ulteriormente modificato con la decisione di non ammettere studenti con debiti formativi non recuperati e di ritornare alle commissioni miste. Furono, inoltre, reintrodotti i rimandi estivi che erano stati aboliti nel 1995. Nel 2008, con il decreto proposto dal ministro Gelmini, si modificano il metodo di valutazione degli studenti nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, e viene nuovamente introdotto il maestro unico nella scuola elementare, riaccendendo il dibattito su questa figura. La riforma attualmente in vigore è quella del governo Renzi: la “Buona Scuola”. Questa riforma si propone di garantire agli studenti un ampio piano formativo attraverso un maggiore

studio delle lingue, della musica, del diritto e dell’economia, dell’arte e delle scienze motorie. Introduce, inoltre, il sistema dell’alternanza scuola lavoro: gli studenti svolgono esperienze lavorative in aziende o enti pubblici anche in estate, per 400 ore nel triennio di istituti tecnici o professionali e 200 nei licei. La riforma intende, anche, incrementare l’assunzione di docenti e fornire alle scuole del personale per coprire cattedre vacanti. È stato disposto, inoltre, un processo di digitalizzazione delle scuole attraverso la raccolta dei dati online, l’istituzione di un registro nazionale dei docenti, piani di investimento per portare la banda larga nelle scuole e la diffusione di competenze di tipo digitale nella scuola secondaria. Tuttavia, penso che la diagnosi dell’odierno sistema scolastico non sia ottimale, come suggerito anche da fenomeni quali la “fuga di cervelli”. Nonostante l’importanza che detiene, la scuola è lenta nel suo sviluppo e lo sono anche le riforme nell’essere prontamente attuate. È anche vero, però, che tutto ciò è l’eco di un mondo politico che risponde goffamente all’insorgere delle crisi e questo comporta che la scuola parli con la stessa voce confusa e incerta con cui la politica risponde ai cittadini. Il mondo della scuola ha affrontato numerosi cambiamenti nel tempo e continuerà ad affrontarne, modificandosi al passo della società che educa. L’identità originale di questa nobile istituzione, però, non dovrebbe essere riformata perché si addice ad ogni epoca e sfondo sociale. La scuola è un luogo dove nobilitare il valore della cultura, educare all’ambizione dello sviluppo personale e affinare l’interesse per la conoscenza, materia prima indispensabile al progresso. “Si può insegnare a uno studente una lezione al giorno; ma se gli si insegna la curiosità, egli continuerà il processo di apprendimento finché vive.” (Argilla P. Bedford)

Chaima Batzami

4

Un vento di ribellione in-vade le irrequiete menti universitarie, turbate dall’assenza di democra-

zia, dall’aumento delle tasse e dall’inesistenza delle assemblee studentesche.Ci troviamo nel Novembre del 1967, le più prestigiose università italiane vengono occupate dagli studenti che daranno inizio al tanto discusso ’68, l’anno del cambiamento.Le città erano un ribollire di idee, si respiravano il bisogno e la voglia di ribellarsi al potere, qualunque forma avesse: quello cattolico, quello politico, economico o semplicemente il potere dei docenti nelle scuole e nelle università. Questi ideali accomunavano la componente giovanile dell’epoca, quella generazione di studenti liceali ispirati dalle letture di Camus, Sartre, Pavese e Baudelaire.La prima università ad essere occupata nell’autunno 1967 fu quella di Trento, seguita poco dopo dalla Cattolica di Milano e dalla facoltà di lettere di Torino, dove per la prima volta furono messi in discussione i metodi di insegnamento, il contenuto dei corsi e degli esami.Il rifiuto totale delle proposte di riforma universitaria unificò il corpo studentesco durante tutte le occupazioni.Dal Dicembre 1967 al Febbraio 1968 il movimento si diffuse per tutto il Paese, finché anche le università più addormentate delle province e del meridione furono coinvolte nella lotta.A Torino e Trento gli studenti adottarono la nuova tattica di interrompere le lezioni e di costringere i professori ad un confronto sui

problemi dibattuti alle assemblee studentesche, ma purtroppo pochissimi docenti si dimostrarono in grado di affrontare un tale dibattito.A caratterizzare questo periodo storico è l’atmosfera che, come in tutti i momenti di ribellione improvvisa, era di una fraternità surreale. Le mura delle città vennero sommerse di graffiti; gli studenti cambiarono il loro modo di vestire, era arrivata l’ora di sotterrare la seriosità delle giacche, delle cravatte, dei vestiti scuri e dei capelli corti sostituendoli con i jeans, la barba e i capelli lunghi. Per le donne addio trucco, vestiti eleganti e tacchi a spillo, a favore di jeans, maglioni larghi e stivali. Era il momento di rinnovarsi. Era il momento di creare un futuro migliore.La gioventù che rappresenta la rivoluzione del ’68 non pecca di determinazione ed è guidata da una gran sete di diritti e da un forte interesse per la vita politica. Ci sono state solo due rivoluzioni mondiali, una nel 1848, l’altra nel 1968. Entrambe hanno fallito. Entrambe hanno trasformato il mondo, almeno così afferma lo storico Marco Revelli.Il 1968 è stato molto più che una protesta contro il mal funzionamento della scuola e dell’università, è stato un tentativo di ribaltare i valori che

dominavano la società di quel periodo.Ora, nel XXI secolo, gli antichi valori di Liberté, Egalité e Fraternité, per cui i nostri antenati hanno lottato, rischiando perfino la morte, si sono persi tra i social network, trasformandosi in passività totale.Un gregge giovane, è

così che si può definire la nuova generazione, una mandria di adolescenti disinformati e completamente distaccati dalla realtà. Perché è meglio vivere nella sicurezza del virtuale piuttosto che nell’incertezza del reale, giusto?La gioventù pare annientata dalla situazione attuale, ma invece di avere una reazione di ribellione verso   una società che non

garantisce nessun futuro, pretende che il mondo cambi senza il loro impegno.Il passaggio dalla generazione i cui idoli erano Marx, Mao Tse Tung e Che Guevara alla generazione i cui idoli sono Fedez, Belen e Maria De Filippi è demoralizzante, così come lo sono le rilevazioni statistiche dell’ultimo anno: alla domanda “rischieresti la vita per difendere le idee in cui credi?” il 38% dei giovani risponde probabilmente no, il 13% certamente no: uno schiaffo morale alle rivolte giovanili. A malincuore si annuncia anche la scomparsa del patriottismo, dato che il tasso di emigrazione è in aumento e quattro ragazzi su dieci vorrebbero fuggire dall’Italia.Ma i risultati più critici sono quelli riguardanti l’interesse politico, infatti tre ragazzi su quattro dichiarano di non seguire affatto la politica, oltre la metà non si identifica come di destra o di sinistra e solo uno su tre saprebbe chi votare; inoltre il 27% dei giovani afferma di non essere interessato al voto, basti pensare all’ultimo referendum sulla trivellazione: la maggior parte dei ragazzi non era affatto interessata ad esprimere il proprio parere a riguardo. E’ ora di rivolgere l’attenzione alla politica, perché siamo parte integrante del Paese ed è grazie al nostro disinteressamento se l’Italia è diventata un paese per vecchi. Basta essere passivi nei confronti di una società in decadimento, basta avere un atteggiamento di menefreghismo verso la società italiana, basta fuggire all’estero per evitare una realtà amara che di questo passo non cambierà mai. Recuperiamo i valori perduti e proviamo a creare un futuro migliore.

Noemi Cardelli

Gli anni della ribellione

5

Giovani Liberamente

Uno scoppio f r a g o r o s o , la paura e,

all’improvviso, una grandissima nube nera coprirono il cielo di Chernobyl, nota città ucraina, nella notte del 26 Aprile del 1986. Ciò è quanto accadde alla centrale nucle-are V.I. Lenin, all’in-terno della quale avvenne la rottura di alcune tubature del sistema di raf-freddamento del reattore: l’in-contro dell’idrogeno con la grafite incandescente provocò una violen-tissima esplosione e l’immediata diffusione di materiale radioattivo che contaminò tutto il territorio. Le conseguenze furono terribili, forse le più significative della sto-ria. Infatti, oltre al luogo dell’inci-dente, furono inquinati numerosi paesi confinanti e non con l’Ucrai-na, tra i quali anche parte dell’Ita-lia. Da un rapporto ufficiale dell’O-NU la stima delle vittime calcolate è tra le 30.000 e le 60.000 persone. Quel giorno la natura fu vittima tra le altre, quel giorno essa rimase ir-rimediabilmente offesa, ferita.Ma a ben vedere l’insorgere del processo di deterioramento dell’ambiente fu già manifesto nella metà del ‘700 con la rivolu-zione industriale, seguita nel 1870 dall’introduzione dell’ elettricità, di prodotti chimici e petrolio i qua-li, usati impropriamente dall’uo-mo, hanno contribuito ad un pro-gressivo e ingestibile incremento dell’ inquinamento. A tal proposito Giovan Battista Vico ci suggerisce che: “Lo scor-rere del tempo é pieno di corsi e ricorsi storici, quello che cambia è l’atteggiamento dell’uomo nei suoi confronti.” E in effetti ciò che è cambiato nel tempo non è di certo la Natura in sè, bensì la con-

cezione che l’uomo ha di essa. Em-blematica in tal senso è la visione romantica che vede l’uomo quasi in simbiosi con l’ambiente circo-stante per cui la natura diviene un rifugio dove ripararsi lontano dall’affollata e iniqua società urba-na, dunque un luogo da preservare e proteggere.Lo stesso vale per le antiche civiltà mediterranee, che popolarono la natura di divinità al fine di nobili-tarne gli ecosistemi e i fenomeni atmosferici. L’uomo moderno, in-vece, ha una visione totalmente diversa rispetto al passato: l’am-biente diventa funzionale alle sue necessità e conferma la sua arbi-traria imposizione di superiorità comunque e ovunque.D’altra parte, si potrebbe obietta-re, l’uomo si distingue dagli altri

esseri viventi per la sua ineguagliabile intelligenza, che gli ha permesso di adat-tare l’ambiente alle sue esigenze, ren-dendolo uno spazio più consono alla sua sopravvivenza. Que-sto, però, non giu-stifica né l’abuso né la violenza che tutti i giorni vengono in-flitti alla Terra che da sempre ci ospita condividendo con noi i suoi frutti e i

suoi privilegi. La parola chiave, al-lora, è “rispetto”, uno di quei valori che l’uomo ha iniziato a perdere in modo direttamente proporzionale alla sua evoluzione. Se il rispetto non fosse mai stato abbandonato, oggi non servirebbe alcun referendum per impedire la trivellazione dei nostri mari, non ci sarebbe bisogno di riparare ai danni causati dagli scarichi illeciti, dal carburante dei nostri mezzi e da altre sostanze tossiche che han-no contribuito alla formazione del buco nell’ozono. E non ci sarebbe-ro ancora persone a lottare tra la vita e la morte per le conseguenze che, a distanza di trent’anni, “mac-chiano” terra, acqua, cibo e aria, tuttora altamente radioattivi. 

Francesca Sgueglia

Umanita’ matrigna, natura f igliastra

6

Liberamente Ambiente

Ho sempre tro-vato qualcosa alla radio. Pro-

prio come i treni e le campane, era parte della colonna sonora della mia vita’: così il cantautore Bob Dylan descrive uno dei mez-zi di comunicazione di massa più diffusi nella società. La tra-smissione di conte-nuti sonori alla gente è definita ‘broadca-sting’, che indica una diffusione d’infor-mazioni da un sistema trasmittente ad un insieme di sistemi riceventi. In Gran Bretagna venne trasmesso il primo re-golare servizio radiofonico della storia (nel 1920) e sarà decretata monopolio assoluto dello Stato. La gente si recava nei bar e nei locali pubblici, non poten-do permettersi di acquistarla, e verrá poi diffusa in tutte le scuola d’Italia per approfondire la conoscenza della lingua madre. Nel 1948 questo mezzo di comunicazione assume il nome di RAI (Radio Audizioni Italiana) entrando nelle case della stragrande maggioran-za degli italiani, grazie alla discesa dei prezzi. Essendo la radio monopolio dello Stato, vigeva una commissione di controllo su ció che veniva trasmes-so, definita ‘commissione di ascolto’, che censurava temi inerenti alla sfera sessuale e politica, ostili alla patria, ir-riverenti nei confronti della religione e della chiesa. Fabrizio De Andrè, ammi-rato dai giovani rivoluzionari del ‘68, era definito un ‘autore proibito’ a causa delle sue canzoni, che sfioravano spes-so e volentieri i suddetti temi. Negli anni ‘60 l’atmosfera rivoluzionaria por-terà ad un cambiamento nel linguaggio radiofonico e a trasmissioni dedicate ai giovani. Negli anni ‘70 il monopolio del-la RAI sulla radiodiffusione s’infrange, e inizia l’era delle radio libere (o radio pirata): emittenti di piccole dimensioni che conquistano il pubblico giovanile, poichè avviano la diffusione di concetti che prima sarebbero stati immediata-mente censurati. Il loro punto di forza è quello di trasmettere nel proprio ter-ritorio, creando un collegamento quasi affettivo tra emittente e ascoltatore. Negli anni ‘90 si diffondono i networks, che permettono alla radio di allargare il proprio territorio di trasmissione (come Radio Capital o Radio Deejay) e a cui si

adeguano le principali emittenti. Verrá poi registrato un calo di ascolti a causa della concorrenza televisiva, ma la dif-fusione di internet e l’entrata delle web radio permetteranno di rinnovare ulte-riormente questo strumento, il mezzo più compatibile con internet. Al giorno d’oggi la radio si avvale anche dei social networks, che aumentano l’interazio-ne con gli ascoltatori e incrementano spunti e argomenti per le discussioni, oltre ad accrescere la notorietá dell’e-mittente stessa. La radio permette una comunicazione più ‘concreta’ con il pub-blico, poichè gli ascoltatori condividono storie ed emozioni. È un media che ha sempre saputo adattarsi a qualunque vicenda, storica, politica o religiosa. La censura sempre più impotente ci per-mette di trovare una varietà sconfinata di trasmissioni e temi affrontati, adatti a stimolare i gusti di ogni persona. Un altro dei maggiori strumenti informa-tivi è il quotidiano: una pubblicazione periodica che nacque in Italia nel 1664. Solo dopo l’Ottocento si ebbe una pro-gressiva diffusione del giornale, grazie all’aumento dell’alfabetizzazione e all’avvento della società di massa dal Novecento in poi. Negli anni ‘60 il quo-tidiano adoperava un linguaggio più violento e diretto, mutamento dovuto alla rivoluzione giovanile, mentre verso il ‘70 la stampa presenterà due sfac-cettature: una piú aggressiva e l’altra

oppressa dal terrori-smo caratteristico di quel periodo. A causa di tutte le tensioni sociali e politiche i giornali iniziano a dif-ferenziarsi, la libertà di critica aumenta e si diffonde il coinvol-gimento politico-ide-ologico di alcuni gior-nalisti. Verrà fondato il ‘Corriere della Sera’, con lo slogan ‘la liber-tà delle idee’. Giunti

negli anni ‘80, con la scolarizzazione, si ha una maggiore diffusione dei giorna-li, e alla fine del decennio la stampa pre-senterà una forte crisi. Il giornalismo on-line nasce negli anni ‘90 negli Stati Uniti, senza peró riscuotere successo, poichè era a pagamento e il contenuto era lo stesso della versione cartacea. Il ‘sexgate’, lo scandalo politico-sessuale di Bill Clinton (presidente degli USA), coinvolto in un tradimento extraconiu-gale, porterà le testate giornalistiche ad anticipare gratuitamente le notizie, per timore della concorrenza, e dal 2000 in poi tutte le maggiori case gior-nalistiche avranno un sito web. A causa dello sviluppo tecnologico, della diffu-sione di internet e dei social networ-ks, i lettori ricercano maggiormente le notizie sul web, poichè gratuito ed im-mediato. Alcune testate (Corriere del-la Sera, Repubblica, New York Times) hanno dichiarato che il numero dei lettori on-line supera quello dei lettori tradizionali. I quotidiani in rete possono contenere file audio, immagini e video, il lettore non è vincolato dalla succes-sione delle pagine. Si puó scegliere la tipologia di notizie privilegiata, inoltre il contenuto on-line è aggiornato in tempo reale e non ogni 24 ore come la versione cartacea. Internet garantisce la libera informazione poichè è diffici-le limitare i contenuti in rete, essendo impossibile impedire a tutti gli utenti di pubblicarli. Offre la possibilità di cerca-re dei numeri arretrati, informazioni su temi non trattati a sufficienza nel carta-ceo (come informatica, lavoro, ambien-te), dei forum con discussioni e chat, possibilità di contattare la redazione. Una vera e propria svolta per l’informa-zione!

Fiammetta Capasso, Lorenza Paolone

Sessa nt’a n ni di penne e a ntenne

7

Informazione Liberamente

8

Nel 1954 in Italia scoppia una rivoluzione che cambierà totalmente lo stile di vita

di intere famiglie: la televisione entrerà prepotentemente nelle case mutando radicalmente l’in-formazione e l’intrattenimento.Veniva definita come una “scato-la magica”, in grado di riprodurre suoni ed immagini simultanea-mente, una cosa mai vista prima, un passo verso il futuro. Averne una in casa era un vero e proprio privilegio, tutti i vicini si raduna-vano nell’abitazione del fortuna-to proprietario di uno di quegli aggeggi per bearsi delle sue inno-vative capacità.Grazie ad essa il piccolo pubblico si divertiva ed imparava, si infor-mava e scopriva un mondo nuo-vo oltre le strette mura di casa. Quello schermo cubico sembrava essere il nuovo migliore amico dell’uo-mo, e per anni lo è effettivamente sta-to.Pochi canali, poche trasmissioni, ma quasi ogni programma possedeva il proprio bagaglio etico-culturale, più o meno evidente, che offriva agli spet-tatori allora assetati di conoscenza. Persino quiz come “Lascia o raddop-pia”, condotto dall’ormai iconico Mike Bongiorno dal ’55 al ’59, offrivano al pubblico un assaggio di cultura, facen-do passare il messaggio che chi studia vince sempre.I bambini si divertivano e apprendeva-no con programmi fatti a loro misura, anch’essi impregnati di buoni valori, nobili ideali ed una morale sempre presente.

La nascita di tale strumento prodigio-so è stata, quindi, un successo inaudi-to, tanto da sostituire la radio, a lungo unica fonte d’informazione. La sua dif-fusione fu tale da far crollare gli incassi nei cinema, intrattenendo i telespetta-tori con quiz, serie tv che rispecchiava-no la società italiana contemporanea e telegiornali che raccontavano gli avve-nimenti con sequenze di immagini che li rappresentavano.La realtà televisiva era strettamente fedele a quella del mondo “vero”: i protagonisti delle telenovelas erano ricchi di virtù invidiabili e grandi valori, novelli Ulisse o Enea, veri esempi posi-tivi che caratterizzavano gli italiani di quel tempo. Mike Bongiorno e i coniugi Vianello ri-scuotevano un grandissimo successo di pubblico senza mai cadere nel ridi-

colo.Ma, come nella maggior par-te dei casi, più si va avanti e più si retrocede: con lo scor-rere degli anni il pubblico ha smesso di cercare cultura, si annoia a vedere sempre gli stessi programmi, chiede qualcosa di più coinvolgen-te. Ed è così che la TV abban-dona il suo scopo primario - l’educare - per dedicarsi all’intrattenimento, quello puro, senza alcun messaggio edificante fra le righe.Si apre il ventunesimo secolo e con esso nascono gli anni dell’evoluzione tecnologica che fa risultare anormale non possedere un televiso-re; il colosso SKY arriva nelle

case italiane nel 2003 e sconvolge il pubblico con la sua vastissima varietà di canali e trasmissioni: dai telegiornali stranieri allo sport europeo, fino a dedicare un inte-ro canale all’interesse della sola fascia adulta. Finalmente l’italiano medio ha trovato ciò che cercava: program-mi piatti, finti ed interamente costruiti su realtà fittizie in cui si muovono personaggi mal stereoti-pati, anch’essi irreali. Cosi lo spet-tatore passa i propri pomeriggi vuoti e pigri, facendo zapping da “Uomini e donne” a “Ciao Darwin”.Se prima “Non è mai troppo tar-di” aveva incrementato il numero di licenze elementari fra gli adul-ti analfabeti negli anni ’60 e ’70, adesso stiamo avendo l’effetto completamente opposto, causa-to da tronisti disperati e senza

dignità e da bambole di plastica che starnazzano verbi coniugati secondo nuove regole grammaticali scono-sciute.E il pubblico ride, ride e copia questi comportamenti ridicoli per trasferirli nel suo mondo, convinto che assume-re certi atteggiamenti o utilizzare de-terminate espressioni possa risultare divertente e “swag”, senza capire che tutto ciò risulta solamente degradante. Lo schermo ora piatto dei nostri tele-visori sta ipnotizzando sempre più in-dividui, coinvolgendo anche i bambini, catturati grazie a programmi che pro-muovono ideali negativi come violen-za, disonestà e volgarità.Pare che con il ridimensionamento di questi apparecchi si siano snelliti an-che i programmi, ormai dominati della superficialità e, a loro volta, anche le menti umane, prive di stimoli e voglia di scoprire, stanno dimagrendo a vista d’occhio.La televisione, al giorno d’oggi, sta compiendo un vero e proprio brain whashing nelle abitazioni italiane, al fine di creare persone tutte uguali, pri-ve di personalità propria. Siamo una generazione comandata da schermi LED e dai decoder, delle peco-re guidate da pastori elettronici.Non sarà forse ora di staccare letteral-mente la spina e di riprenderci i nostri cervelli per ricominciare a vivere una vita che non sia come quella del Gran-de fratello?O forse è già troppo tardi?

alessia Scipione

Lo schermo di Pandora

Liberamente Televisione

9

Un giorno un giovane musulmano entra in un bar e si siede al bancone. Non se ne accorge subito, ma ac-canto a lui c’è una vecchia zitella e a giudicare dall’ac-

cento doveva avere origini sovietiche. Così ...’Inizio insolito per una storia. È improbabile che questi due personaggi entrino nello stesso bar e si siedano al bancone, sono troppo diversi e per di più la vecchietta non si reggerà nemmeno in piedi da sola, figurarsi se riuscirà a reggere un bicchierino di vodka! Ma cosa avranno in comune per essere nella stessa storia? Nulla, direte voi, eppure sono entrambi accomunati dal ruolo che la religione ha avuto e continua ad avere nella loro vita. Prendiamo la vecchietta per esempio. Ha un fazzoletto che le copre i capelli, occhi colmi di un vissuto doloroso e pelle segnata dal tempo, letteralmente . Ha piccole cicatrici qua e là sulle braccia, ma una in particolare cattura subito l’atten-zione: un piccolo segno a forma di croce sul petto, probabil-mente il ciondolo di una collanina che era solita portare, ma è come se quella croce le avesse bruciato la pelle. Sarà stata solo una bambina quando fu emanata la Costitu-zione Sovietica del ‘36, in cui si dichiarava implicitamente che la religione, detta anche “puro narcotico per le masse popo-lari”, era vietata dallo Stato e che chiunque sorpreso a pro-fessarla, a insegnarla, a mescolarla con celebrazioni come il matrimonio, perfino a portarne i simboli, sarebbe di lì a breve scomparso senza motivo. Ma c’era una spiegazione, una che nessuno aveva il coraggio di dire ad alta voce: l’amatissima NKVD, altrimenti conosciuta come polizia segreta sovietica o commissariato del popolo per gli affari interni. Tra il 1917 e il 1941 vennero fucilati 150.000 membri del clero, mentre i restanti vennero destinati ai gulag o esiliati, chiuse tutte le chiese a eccezione di due, una a Mosca e una a San Pietrobur-go (la vecchia Leningrado), e venne creata una nuova mate-ria scolastica: l’ateismo. Tutto perché, secondo Stalin e il suo successore Kruscev, la religione era inconciliabile con la scien-za ed era necessaria un’educazione scientifica, perciò l’unica soluzione ragionevole per questi due personaggi fu estirpare la religione dal territorio dell’URSS. Per quasi un secolo il po-polo sovietico ha vissuto credendo in nient’altro che la Madre Russia, vagando alla deriva senza la propria fede e guidato da “compagni” che volevano un popolo smarrito perché più facile da governare. Non ci sono dubbi che la catenina, che una volta era al collo della vecchietta, avesse un enorme peso, un ciondolo tanto prezioso quanto pericoloso, che bruciava con una tale in-tensità da lasciare un segno indelebile come promemoria del coraggio avuto nel portarlo durante quel periodo di ter-rore, nascosto sotto un maglione o un vestito, simbolo non di una religione ma di speranza.Ora parliamo del ragazzo islamico. Pelle scura con un accen-no di barba, occhi neri e classici tratti medio-orientali, alto e snello, ha indosso una casacca bianca tipica dei musulmani e tra le mani ha un libro intitolato ‘Al-Quran Al Karim’, cono-sciuto anche come ‘Il Corano’. È chiaro che la religione dev’essere una presenza costante nella sua vita, chiunque abbia anche solo un’idea di cosa sia l’islam sa che ha dei pilastri, delle fondamenta su cui poggia, che dividono letteralmente ogni giorno del ragazzo e che prefissano degli obbiettivi e dei doveri ai quali adempiere.

Forse non sarà già stato alla Mecca per la Hajj, ma fidatevi, lo farà sicuramente almeno una volta entro la fine dei suoi giorni e forse sta contando i mesi che mancano al prossimo Ramadan, 30 giorni durante i quali purificherà il proprio spi-rito digiunando dall’alba al tramonto. Ciò di cui la vecchietta è sicura guardandolo è che appena tornerà a casa probabilmente pregherà e terrà fede così all’obbligo di pregare cinque volte al giorno. Tuttavia il più bel dovere imposto da uno dei pilastri della religione isla-mica è sicuramente quello di aiutare i più poveri dando una percentuale dei propri guadagni a chi ne ha più bisogno.La religione aleggia tutto intorno a lui ed è presente in tutto ciò che fa, riesci quasi a respirarla standogli vicino. L’islami-smo insegna valori importanti come un’assoluta devozione e l’importanza di essere in pace con se stessi e il prossimo ed insegna anche ad avere la capacità di trascurare la pro-pria persona per prendersi cura di un’altra in difficoltà. Questo è il ramo dell’islam che non molti conoscono, quello moderato.Chissà, magari la vecchietta è invidiosa del ragazzo che ha di fronte: lui ha la possibilità di credere liberamente in ciò che vuole e di poterlo manifestare senza rischiare la vita, una possibilità che lei non ha avuto. O magari è proprio il con-trario: il ragazzo è invidioso della vecchia perché lei non ha vissuto una vita già del tutto organizzata dalla propria fede. Nessuno sa come stanno veramente le cose.

Arianna Cavacchioli

Equilibrio tra opposti

Religione Liberamente

10

Icomponenti della famiglia Toscano, conosciuti come “I Malavoglia”, erano disposti

come le dita della mano: prima c’era Padron ‘Ntoni, poi venivano suo figlio Bastianazzo e la moglie ed infine c’erano i nipoti ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Il patriarca della famiglia aveva dedicato tutta la sua esistenza ai valori autentici, all’umile lavoro della pesca e avrebbe voluto che tutti i suoi nipoti avessero nel cuore gli stessi suoi principi e che li preservassero ad ogni costo. Tuttavia ognuno di loro, abbandonato il nucleo familiare, sarà travolto dalla “fiumana” inarrestabile del progresso fino ad esserne sconfitto. Il capolavoro di Verga, ”I Malavoglia”, descrive perfettamente alcune delle dinamiche che saranno alla base della famiglia fino alla metà del Novecento circa: l’autorità del cosiddetto patriarca ed il ruolo marginale della donna all’interno del nucleo familiare. Vi era, infatti, una profonda distinzione tra la figura maschile e quella femminile, soprattutto per quanto riguarda i ruoli da ricoprire. Il più anziano della famiglia, naturalmente di sesso maschile, era il patriarca, portatore di valori fondamentali che non dovevano essere traditi in alcun modo, primo fra tutti il lavoro. Fin dalla tenera età figli e nipoti maschi erano legati a questi valori cardine e, quindi, al mestiere che da generazioni svolgeva la famiglia a cui appartenevano. Diverso il futuro delle donne, generalmente indirizzate verso attività che avessero come obiettivo la gestione della casa e l’educazione della prole.La famiglia patriarcale, dunque, non prevedeva alcuna collaborazione tra

moglie e marito nell’educazione dei figli; al contrario, le tappe fondamentali e più delicate della vita di un individuo, come l’infanzia e l’adolescenza, erano nella maggior parte dei casi calpestate e con esse ogni forma di creatività.Padron ‘Ntoni incarna quindi perfettamente la figura del patriarca nel suo attaccamento al nido familiare, mentre il nipote ‘Ntoni, l’emblema del cambiamento e del progresso, sembra già preannunciare la svolta che subirà la famiglia in seguito all’industrializzazione.Da una famiglia numerosa e di tipo patriarcale si passerà, infatti, ad una famiglia “ristretta”, il ruolo della donna crescerà a dismisura fino ad eguagliare quello dell’uomo e non vi sarà più alcuna differenza riconosciuta dalla legge.Naturalmente tutti questi importanti cambiamenti hanno radici storiche, culturali, economiche e politiche, e definiscono il nuovo assetto sociale che si viene a creare dopo il boom economico in Italia. Il mondo del lavoro cambia radicalmente con la diffusione delle grandi industrie ed apre finalmente le porte anche alle donne che, grazie all‘istruzione

accessibile a tutti, hanno la possibilità di rivendicare quei diritti fondamentali fino ad allora negati e di raggiungere grandi conquiste come il diritto di voto nel 1946.I cambiamenti sociali si ripercuotono in modo significativo anche all’interno della famiglia: nel rispetto d e l l ’ u g u a g l i a n z a , entrambi i genitori

partecipano alla crescita dei figli e con la nascita di nuove discipline, come la pedagogia, viene garantita una maggiore tutela dell’infanzia e della stessa educazione, non più inculcata attraverso rigidi sistemi.Negli ultimi anni, però, si è parlato di “crisi della famiglia”.La libertà, che sicuramente è aumentata, ha prodotto, secondo alcuni sociologi, egoismo ed individualismo. Non avendo più ruoli definiti da imposizioni forti, ognuno tende

unicamente a soddisfare le proprie esigenze e tutelare i propri interessi piuttosto che sacrificarli in nome di valori più alti che, un tempo, erano le colonne portanti della vita dell’uomo.A questo proposito è importante sottolineare che il sentimento religioso sta venendo meno in un’epoca che alla dimensione spirituale preferisce quella

materiale, nella quale viene coltivato soprattutto l’individualismo. Di questo non può non risentirne il matrimonio, non più considerato indissolubile. Ecco perché si sono diffuse nuove tipologie di famiglia come le famiglie allargate e le famiglie di fatto, massima espressione di una nuova visione culturale.Il libero accesso della donna all’ambito lavorativo, inoltre, ha portato, in alcuni casi, un mutamento del rapporto genitore-figlio e, di conseguenza, un sostanziale distacco. Il cambiamento che incarnava il giovane ‘Ntoni ne “I Malavoglia” sembra, dunque, essersi realizzato; i valori da cui il ragazzo si era distaccato seguendo il flusso incontrollabile del progresso sono stati definitivamente sostituiti dalla capacità di adattarsi ad ogni nuova situazione ed hanno abbandonato per sempre la casa del nespolo.

alessia Furii VBES

Qua le fa miglia ?

Liberamente Società

11

“The show must go on” é il celebre titolo della can-zone dei Queen, citata da una delle più grandi

figure sportive presenti a livello re-gionale e nazionale, il prof. Claudio mazzaufo, che ne fa il suo motto. Nel teramano nessuno meglio di lui può raccontare la metamorfosi subi-ta dallo sport nell’ultimo trentennio, avendola vissuta in prima persona e avendo adeguato la sua metodolo-gia di allenamento per stare al pas-so coi tempi. Per metodologia si intende, nello specifico, lo studio di regole e principi che permettono ad un allenatore, attraverso gli al-lenamenti, di preparare nel miglio-re dei modi il proprio atleta ad un evento sportivo. Nel corso degli anni ha subito continui cambiamenti e ad affermarlo è lui stesso: “La metodo-logia necessita di aggiornamento, pro-prio perchè l’essere umano, in questo caso l’atleta, é in continua evoluzione’’.Proprio l’allenamento è uno dei temi principali dell’intervista, dato che, a detta di molti, è la fase più importan-te nella vita di un atleta o di chi voglia diventare tale. ”L’allenamento deve es-ser fatto in maniera razionale, curando tutti gli aspetti della vita, che vanno da un’alimentazione corretta e salutare, fino all’alternanza di veglia-sonno, che é di un’importanza fondamentale”. Nel corso degli anni il cambiamento che ha colpito di più il professor Mazzau-fo è la pressione psicologica, perché una volta veniva preso tutto con più rilassatezza, mentre oggi si vive in un mondo in cui si può passare dalla glo-ria alle critiche pesanti in un amen e in quei casi bisogna essere mentalmente forti per potersi rialzare. Un esempio citato dal professore è Alex Schwazer, il quale, nonostante abbia portato a casa un oro olimpico, è stato vittima di offese e critiche di qualsiasi genere per un errore, quello del doping, trop-po comune in questi ultimi anni nello sport. Il doping, appunto, il più grande male presente nello sport. Ormai ne sentiamo parlare quasi ogni giorno, è come se stesse contagiando qualsiasi disciplina e potrebbe riuscirci, perché case farmaceutiche e medici lavora-no proprio per raggirare l’antidoping, tenendo all’oscuro l’atleta che spesso

e volentieri viene costretto a pren-dere farmaci dalle persone di cui più si fida. Pensare ad uno sportivo che agisce in maniera vigliacca e si sente, nella maggior parte delle volte, un vero vincitore nonostante abbia pre-so la scorciatoia, è un vero pugno in faccia all’etica sportiva, che è stata da sempre il fiore all’occhiello dello sport in generale. Purtroppo al momento il doping è molti anni avanti rispetto all’antidoping e le più grandi inchieste ci sono state solo con l’ammissione stessa da parte degli atleti che hanno denunciato l’accaduto, dimostrando di poter superare indenni i vari con-trolli e gareggiare in tutta tranquillità, come avvenuto con Lance Armstrong, a cui sono poi stati annullati alcuni dei tanti successi, tra cui un tour de Fran-ce. Il doping è una macchia indelebile nella storia dello sport, ma i progressi su come prevenire e cercare di elimi-narlo ci sono e ci saranno, assicurano gli esperti, con la speranza di torna-re a vedere lo sport come un’attività pura e non con il solito scetticismo davanti a nette vittorie degli atleti. La più grande differenza che c’è tra lo sport di oggi e quello di ieri è la forte, e talvolta ingombrante, presenza dei media. ‘’Una volta’’, dichiara il profes-sor Mazzaufo, “non esisteva tutta que-sta pressione mediatica che c’è adesso attorno ad un evento sportivo. Prima si adorava stare in fila per il biglietto o riu-scire a vedere i propri beniamini dal vivo, adesso, invece, l’evento ti viene portato a casa in tutti modi, delle volte si preferisce addirittura viverlo dal divano!”. Quest’a-

nalisi aiuta sicuramente a riflettere su come l’uomo abbia modificato lo sport e il modo di viverlo e, ora che è più spettacolarizzato, si stanno pian piano perdendo quei solidi principi olimpici che c’erano nella prima metà del ‘900. Con l’avvento della pubblici-tà, e quindi degli sponsor, è cambiata in particolar modo la considerazione che si ha degli atleti, diventando pen-siero comune che essi gareggino solo per soldi piuttosto che per passione. Il professore, che ha avuto la fortuna ed il privilegio di sedersi allo stesso tavolo di atleti del calibro di Kobe Bryant, Ronaldinho e Bolt, giusto per citarne alcuni, afferma che la ‘’molla’’ che ti porta a migliorare e ad arriva-re in alto è proprio la passione e non

esiste cosa più bella che guadagnare facendo ciò che più ti piace, perchè “la persona che nasce con l’idea di far sol-di non farà mai l’atleta.” A tutti coloro che oggi aspirano alla fama, Mazzaufo lancia questo monito: “la vita va vissu-ta ardentemente, ma senza bruciarsi”.

Umberto D’orazio iiiBES

Lo spetta colo deve contin u a re

Sport Liberamente

Un salto nelmondo dello sport

A parlarci di sport e di come sia cambiato nel tempo è stato il prof. Claudio mazzaufo, che vanta un prestigioso cur-

riculum. Lo ricordiamo soprattutto per essere stato il preparatore di Andrew Howe, con cui ha partecipato ai Gio-chi Olimpici di Pechino del 2008 e ad altre prestigiose gare, ma il suo con-tributo al mondo sportivo è molto più consistente: collaboratore della Fidal (Federazione italiana di atletica legge-ra), preparatore atletico della Teramo basket, docente presso le università di L’Aquila e Chieti-Pescara, consulente e preparatore anche nel settore calcisti-co, allenatore dell’ Atletica Gran Sasso, docente di educazione fisica presso la scuola media Savini e molto altro. Abbiamo avuto modo di apprezzare la sua disponibilità, la chiarezza e la ca-pacità di interagire con i giovani, con i quali ha sempre lavorato.

La redazione

Parigi 2016: Gabrielle Chanel esce dalla sua Maison. Passeg-giando per gli Champs Èlysèes

osserva vetrine e si guarda intor-no...scruta attentamente signore e ragazze con sguardo cupo ed un sorriso metà perplesso metà soddi-sfatto. Nonostante la lunga carriera stilistica, non aveva mai visto una va-rietà così sfaccettata di stili e fanta-sie muoversi nello stesso viale: don-ne vestite di tutto punto con tubini ed abiti sensuali e a pochi passi da esse ragazze con larghi jeans strap-pati e altrettanto anonimi maglioni, forse sottratti a padri o fidanzati, che, invece, vediamo passeggiare in pantaloni non molto virili, piegati accuratamente quasi sino al ginocchio. In questo allettante mix che sembra la soluzione ottenuta mescolando alcu-ne gocce contenenti l’essenza di stili diversi ed epoche contrastanti, Cha-nel constata con grande meraviglia qualcosa che lei stessa aveva cercato di ottenere, ovvero che la novità dell’ odierna moda è che non ci sono novità. Proprio con queste parole aveva rispo-sto sorridendo ai giornalisti dopo una sfilata, come ci racconta Filippo Floc-co, poliedrico stilista teramano che vanta preziose collaborazioni con mar-chi di prestigio, tra cui proprio Cha-nel. Nessuna novità in quella vecchia sfilata e nessuna novità nella moda contemporanea, se non un’ origina-le fusione e miscuglio di tendenze. In un periodo come questo, tra conflitti, guerre ed attentati, forse non si ha più il tempo di privilegiare uno stile piut-tosto che un altro, come non si avver-te la necessità di accantonare niente, per cui la minigonna aderente impara a convivere accanto all’ampia gonna lunga, alternandosi a jeans e leggins. Tutto torna utile ed apprezzabile, a patto che privilegi ed esalti le nostre forme, ma anche qualora questo non dovesse accadere, non ha importanza, perché in un’era in cui ci si veste sem-pre più per essere e sempre meno per coprirsi, come ci fa notare giustamen-te il nostro stilista, la cosa essenziale è sentirsi a proprio agio. Nel tentativo di passare in rassegna le diverse inclina-zioni affermatesi nel corso dei decen-ni, più che analizzare tecnicamente gli aspetti stilistici e quindi le peculiarità dei capi che hanno invaso e dominato gli armadi di un’ intera nazione, cer-cheremo di sintetizzare gli scenari che

hanno determinato l’evoluzione della moda.Prima di ripercorrere brevemente le tappe fondamentali, bisogna chiarire che la moda, proprio come il linguag-gio verbale e corporeo, costituisce un grande canale di comunicazione: è uno strumento per esprimere sentimenti, emozioni o appartenenza ad un grup-po. Partendo da questo presupposto, volgendo uno sguardo al passato, an-diamo a rinvenire una delle epoche più significative in cui si avverte una grande esigenza di rinnovamento e di bellezza: parliamo del periodo suc-cessivo alla guerra, gli anni ‘50, fase di grande ispirazione, in cui si era poveri di risorse ma ricchi di idee. Negli anni della dolce vita si assiste alla diffusio-ne di capi che sono facilmente fruibili ed alla nascita delle fashion weeks ad opera di Giovan Battista Giorgini, che contribuì alla diffusione dell’ alta moda in Italia. Ma dopo il periodo della rilassatezza e della fantasia ci pensano gli studenti ribelli degli anni ‘60 a pro-vocare un sovvertimento della moda, che non arriva più dall’alto, ma diven-ta, attingendo alla definizione di Filip-po Flocco, “Street Way” : le ragazze iniziano a pretendere autonomia nelle scelte degli indumenti e si comincia a desiderare qualcosa di diverso, meno ricercato. Ci avviciniamo alla nostra epoca, siamo a ridosso degli anni ‘70, durante i quali più che mai l’abbiglia-mento corrisponde all’esigenza di rappresentare uno stato d’animo: non a caso i figli dei fiori e gli hippy fanno del loro look un’espressione di anti-conformismo e ribellione. Chissà come appariva in quell’epoca il nuovo mil-lennio, forse si pensava che nel 2000 si sarebbe vissuti sui dischi volanti…E

arriviamo agli anni ‘80, in cui si assi-ste ad un’esaltazione dell’ immagine anche secondo un gusto talvolta so-pra le righe, fatto di spalline, colori fluo, capelli cotonati e molti acces-sori, senza dimenticare le scintillanti paillettes per le serate in discoteca. Questa esasperazione del look ri-sente anche del legame tra mondo dell’arte e droghe, spesso usate dagli artisti per amplificare e poten-ziare la loro percezione della realtà. Siamo agli anni ’90, fecondi per il mondo della moda più sotto il profi-lo economico che creativo, in quan-to si ottenevano grandi guadagni; in molti si lasciarono attrarre dai facili successi, ma in pochi, per una sorta

di selezione naturale, sopravvissero a quel boom.Così, attraverso corsi e ricorsi stilisti-ci, giungiamo agli anni nostri, in cui la crisi economica e sociale si ripercuo-te anche nel nostro modo di vestirci. Il livello dei prodotti scende, le gran-di aziende decentrano la produzione per diminuire i costi, a scapito della qualità. Le più famose catene di ne-gozi frequentati dai giovani - e non solo - propongono capi alla moda che spesso durano una stagione, quasi usa e getta. Il nostro merito maggiore è forse quello di recuperare tutto ciò che è stato caratterizzante dei perio-di precedenti, ridando vita ad abiti precedentemente archiviati e grande dignità e valore ad alcuni accessori, ad esempio le scarpe del modello Con-verse, che i nostri genitori ricevevano in omaggio acquistando del detersivo.Il capo più antiquato è rientrato nel guardaroba di tutti, un guardaroba che nel corso del tempo è diventa-to quasi totalmente unisex, per cui la tanto desiderata parità a livello sociale e culturale si é riflessa direttamente nell’abbigliamento, annullando quasi totalmente le differenze. A riprova di questo, nella prossima collezione, Guc-ci sfilerà una sola volta, rinunciando, quindi, alla classica separazione dell’ab-bigliamento dei due sessi. Nel tempo in cui tutto é bello e nulla è di moda non si fanno più discriminazioni tra tessuti, materiali e fantasie, forse con la consa-pevolezza che la moda è un qualcosa di limitato e relativo e che un abito di-venta apprezzabile nel momento in cui decidiamo di dargli valore accettando prima il nostro corpo.

marisa Di Carlantonio

Una sf ilata lu nga se ssa nt’a n ni

12

Liberamente Moda

13

Le facce dell’arte, e degli artisti, sono molteplici. C’è chi la fa per passione, chi per noia e chi per

denuncia. Ognuno ha i suoi motivi, ma di certo se ponessimo lo sguardo indietro nel tempo, scopriremmo che il modo di concepire l’opera d’arte ha subito numerose trasformazioni. Un grande cambiamento si può far ri-salire agli anni ‘30 - ‘40, anni in cui la guerra porta molti intellettuali alla ricerca dell’ispirazione lontano dalla brutalità dell’Europa, e quindi in Ame-rica. Infatti il centro culturale si sposta da Parigi a New York, dove l’idea di “self made man” e la visione pragma-tica del mondo contribuiscono alla preparazione di un terreno fertile per il progresso.Tra le numerose tendenze artistiche presenti in quegli anni possiamo sicu-ramente rintracciare il nucleo centra-le: l’Informale.L’automatismo surrealista, portato da-gli artisti europei in America, che pre-vedeva la trasmissio-ne su tela del proprio inconscio, diventa ra-dicale e assume, nella corrente dell’informa-le, il valore di “gesto” o “segno materico”. Che sia l’action pain-ting di Pollok con i suoi schizzi sulla tela, che siano le linee net-te, infantili e negati-ve di De Kooning, si tratta comunque di quadri che testimonia-no l’incomunicabilità dell’artista, disorien-tato dalle circostanze storiche appena conclusesi.Tale incomunicabilità, tale disappunto, sfocia nella “Pop Art”, movimento più

importante degli anni 60 che, nono-stante il nome di “arte popolare”, non vuole essere espressione della creati-vità del popolo, ma della non creatività della massa.Gli artisti si ostinano a far passare il messaggio che l’unico significato del quadro è quello di non averne uno.

Rappresentando ver-sioni ingigantite di banalissime oggetti comuni (un gelato, un telefono, un barattolo di fagioli in scatola) e usando una saturazio-ne eccessiva, sottoli-neano la loro rabbia nei confronti della società del consumo. Andy Warhol, ad esempio, denuncia la superficialità della massa nell’assorbire le notizie, la cosiddet-ta “obsolescenza”: ba-

sta un segno rosso per far pensare alla bocca di Marilyn o stelle rosse e blu per definire l’America, non esiste uno sguardo critico profondo negli occhi della massa, tutto è già servito al ban-chetto della nausea.Procedendo oltre, sulla scia dell’arte concettuale, negli anni 70 si diffonde “l’arte povera” che rappresenta il pun-to di rottura definitiva tra l’artista e la società, tra l’artista e la sua arte, da lui vista come un oggetto, una merce che può essere fonte di ricchezza e, quindi, di potere e crudeltà.Solo con il tempo l’arte riuscirà a cu-rare le sue ferite. Tra gli anni 80 e 90 riacquista valore e con la corrente

Happenings si ha un tentativo di fu-sione tra le diverse forme espressive quali musica, video, pittura, scultura e fotografia.Oggi, invece, cosa emoziona l’uomo del XXI secolo sotto l’aspetto cultura-le? Com’è concepito l’artista? È visto ancora come il ritrattista di strada, un po’ anticonformista ma con la voglia di raccontare e trasmettere qualcosa? O come uno di noi, un uomo confor-me alla massa che butta giù pensieri e opinioni come un fanatico conoscitore del mondo, che poi alla fine ha il solito lascito malinconico che lo rende ancor più “Personaggio”? Ebbene sì, nono-stante l’andamento negativo del si-stema in generale, questo mondo sba-razzino sembra sopravvivere, seppur in affanno, con personalità di spicco. I nuovi materiali contribuiscono al pro-gresso in questo tipo di settore, l’inge-gno si aguzza. Questa è una generazione di giovani fragili e bisognosi di sfogarsi con le più

disparate forme di arte, basti pensare al grande successo della Body Art e di tutta la simbologia che ne deriva, della Street Art, della Sand Art: realizzazio-ne di storie animate dalla sabbia.Ai giorni nostri, da una parte ci si av-vale delle nuove risorse e dall’altra c’è una rivalutazione delle forme  prece-denti.Oggi non fa tendenza la qualità del prodotto, ma l’immagine e la presen-tazione dello stesso.

Dalila Delli Compagni

Corsi e ricorsi a rtistici

Arte Liberamente

14

Era l’anno 1945 e in tutte le strade, piaz-ze e vie d’Italia si

sentiva cantare e fischiet-tare l’amata “Bella ciao”, canzone manifesto dei partigiani, simbolo della lotta contro fascisti e na-zisti, entrata per sempre nel cuore degli italiani.Il 1960 musicale inizia all’insegna della band di quattro ragazzi di Liverpool che trasfor-meranno il loro quartetto in un gruppo di fama mondiale nel quale milioni di gio-vani si potranno rispecchiare. I Beatles danno il via ad una reazione planetaria, con l’intento di rivoluzionare sessualità, diritti politici, libertà di espressione, eco-logia, religione ed uso delle droghe, affi-dando i loro messaggi alla musica.L’umorismo dissacrante nei confronti delle istituzioni fa emergere John Len-non come il “più rivoluzionario” dei Beat-les, tanto che nel marzo del ‘69, insieme alla moglie Yoko Ono, dalla loro stanza d’albergo, danno vita ad un evento di protesta contro la guerra del Vietnam e creano “Give peace a chance”, ancora oggi inno del movimento pacifista inter-nazionale insieme ad “Imagine”. La storia musicale degli anni sessanta è scritta dall’esordio di molti cantanti, mu-sicisti e band divenuti vere e proprie “ico-ne”, come il chitarrista Jimi Hendrix, per-former simbolo del pensiero pacifista di quegli anni, Jim Morrison, frontman dei Doors, uno dei maggiori esponenti del-la rivoluzione culturale, e ancora Janis Joplin con “Piece of my heart”, Santana, Bob Dylan; tutti loro prendono parte al mega evento di Woodstock.Il primo Woodstock, quello storico, si svolge a Bethel, nello stato di New York, nel 1969 ed è, forse, il più emblematico e influente festival del ventesimo secolo, caratterizzato da uno spirito pacifista e “hippie”: la musica si impone come arma per protestare e denunciare. Non c’e-ra, però, solo la pace nelle intenzioni di quella generazione, ma la libertà nella sua essenza più profonda, perseguita anche attraverso l’assunzione di droghe, soprattutto cannabis e LSD, che, secon-

do il parere dei più, servi-vano ad “aprire la mente”.Negli anni settanta i pal-coscenici e le anime si illuminano con la musica “reggae” di Bob Marley, il profeta del Terzo Mon-do che vuole cambiare il pianeta Terra con l’amore attraverso la musica: egli si schiera contro il capi-talismo perché corrotto,

vuole combattere miseria, odio, razzi-smo, schiavitù con la musica che “colpi-sce e non fa male”. Marley contribuisce ad evitare la guerra civile in Giamaica e diventa il punto di riferimento per tut-ta la cultura afroamericana: lui, che con “Redemption song” scalda anche i cuori più gelidi, parla della tratta degli schiavi in Africa e racconta che, pur non avendo mai avuto nessuna ricchezza, possiede la sua musica che è anche la sua salvezza. Con poche righe riesce a trasmettere dolore, pace, tranquillità, amore; non è facile spiega-re come una semplice can-zone con voce e chitarra possa essere così potente.Negli stessi anni si affer-ma, in Italia, uno dei mag-giori esponenti della can-zone d’autore, Fabrizio De Andrè. Profondamente in-fluenzato dalla “scuola” di Bob Dylan, è tra i primi ad infrangere i dogmi nazio-nal-popolari della melodia italiana, cantando di prostitute, emargi-nati, ribelli; con la sua ironia frantuma ogni convinzione e con la sua cultura trasforma i brani in poesie. Il messaggio che trasmette è teso a generare un for-te anelito di libertà e di riscatto contro l’arroganza dei poteri sociali, politici ed economici.E con il disco “Nuntereggae più”, nel 1978, c’è la svolta di Rino Gaetano, altro cantautore italiano che rapisce mente, cuore ed orecchie dei connazionali con la sua voce ruvida, la sua estrema e sfac-ciata ironia e i testi caratterizzati da non-sense che, attraverso allegorie, trasfor-mano concetti apparentemente leggeri e spensierati in efficaci denunce sociali. Sicuramente indimenticabili “Gianna”, “A mano a mano”, “Berta filava” e “Il cielo è sempre più blu”. Oltreoceano, un altro grande esponente rivoluzionario, fra gli anni ‘80 e ‘90, purtroppo uno degli ulti-mi, è Tupac, o anche 2Pac, uno dei più

influenti rapper di ogni tempo, che rie-sce a far conoscere, ascoltare, compren-dere ed amare questo genere musicale non considerato a buon diritto “musica” perché non si avvale, solitamente, di una voce eccellente. Tenendo accesi i riflet-tori sulla “Black America”, grazie al suo atteggiamento e al suo idealismo, incen-tra i suoi brani sulla vita newyorkese, sul razzismo e la conseguente emarginazio-ne sociale, sull’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine e sulla violenza.Inizia il secondo millennio e si esaurisce la musica dei grandi gruppi rivoluzio-nari; nasce Internet, spopolano i social network e la musica viene trasmessa tramite fili elettrici in tutto il mondo. Non c’è più bisogno di farsi conoscere di città in città: basta creare una pagina su Facebook, caricare un video o un brano su YouTube e aspettare che qualcuno lo noti. Nascono i tormentoni: canzoncine

che, al primo ascolto, han-no un ritmo piacevole, ri-mangono in mente, si scari-cano sullo smartphone e si ascoltano per giorni interi, fino a quando le orecchie non “iniziano a sanguinare” e si comincia a detestarle.Negli ultimi anni la qualità della produzione musicale scende di livello a causa degli enormi e influenti interessi economici: ora le case discografiche non hanno più l’ obiettivo di trovare dei veri talenti, ma solo di ottenere incas-

si stratosferici. Chi, anni fa, era riuscito a guadagnare fama in modo assoluta-mente originale, ora canta testi banali e scontati: a proposito basterà citare “Ma-ria salvador” di J-Ax, che un tempo face-va scintille negli Articolo 31; chi invece, come PSY, diventa conosciutissimo per una “canzone” tormentone grazie alla moltitudine di parodie sui social: “Gan-gnam style” si impone col video dal mag-gior numero di visualizzazioni di sempre su YouTube (due miliardi e mezzo circa). A seguire sono dello stesso tenore “Bai-lando” di Enrique Iglesias o “Roma - Ban-gkok” di Giusy Ferreri e Baby K, brani dal ritmo contagioso e un testo facile da ricordare, che lasciano il segno per tre mesi e vengono dimenticati nel giro di una stagione. Allora, cos’altro scrivere di questi ultimi anni, se non esiste più chi si crea una piccola parte nella storia della musica, ma persegue solo grandi incassi?

Desideria mazzocchetti

Remusition

Liberamente Musica

15

La leggenda vuole che il 6 gennaio 1896, a Pari-gi, un’intera sala fuggì

a gambe levate davanti al treno dei fratelli Lumière. Pensateci, ciò che rende il cinema una delle arti più amate è il suo rapporto em-blematico con la realtà.La fruibilità di un mondo di-verso eppure tanto simile al nostro, la possibilità di entra-re dentro un sogno che fini-sce solo con i titoli di coda, e spesso con un happyending, questo ci affascina: un gran-de schermo e la possibilità di godere dello spettacolo di noi stessi.Da quel giorno turbolento a Parigi la pellicola ne ha fatta di strada, è arri-vata a noi uguale e diversa, plasmata da esperti sì, ma anche dalla storia, dal tempo, da uomini comuni che, molto probabilmente, non sanno di aver partecipato alla crescita e al cambiamento di un simile spettacolo. Non è un caso che quest’arte nasca ge-mella della psicoanalisi e che crei, a sua volta, una nuova pista, pronta ad unire l’inconscio individuale con quello col-lettivo.In quella che viene definita “la Goldena-ge”, dagli anni 30 ai 50, dire cinema era dire Hollywood.Ogni storia era un’immagine, e ogni im-magine era una possibilità, un sogno, una speranza da vendere ad anime af-famate di novità e, poco dopo, spezza-te dalla guerra. Cosa ci raccontano, allora, gli occhi di Bette Davis, la gioventù bruciata di Ja-mes Dean o il vento di Clark Gable?Sicuramente la ricerca di modelli che possano raggiungere un pubblico più vasto e differenziato, ma che soprat-tutto ci immergono nella vita che, a quei tempi, costituiva il sogno italiano. E così ci riconosciamo dentro miti pas-sati, arrabbiati o felici, ma comunque amati, e che non possono far a meno di tornare. Il cinema è sempre un’arte collettiva, non solo perché anche nel cosiddetto “cinema d’autore” la fotografia, il mon-taggio, la scenografia, la regia, sono co-munque il frutto di un lavoro condiviso, ma anche perché l’ultimo, e il primo, collaboratore è il pubblico.Ad esempio, negli anni della Golde-nage, il cinema, checché ne dicano gli

esperti più pignoli, era di fatto diviso in alcuni generi fondamentali: il melo-dramma, il noir, il western, e il musical.Il pubblico sapeva cosa aspettarsi, era dentro il labirinto tecnico cinematogra-fico senza sapere di conoscerne i segre-ti più profondi.La tensione davanti alla presenza osses-siva di specchi, o in genere di superfici riflettenti che mostrano i personaggi secondo prospettive strane, incerte, o quella davanti a giochi di inquadratu-re che combinano realtà e apparenza, sono una perfetta analisi figurativa del noir. Individuare l’eroe melodrammati-co con il suo amore impossibile e tor-mentato già dai primi minuti, schierarsi dalla sua parte e aspettarsi avventure e prove difficili da superare, è l’analisi narrativa del melodramma.Tutto questo perché nel cinema, ora come 50 anni fa, vediamo noi stessi.Il western? Cos’è se non la figura im-mediata dell’imperialismo americano, il suo militarismo nevrotico e la sua solita battaglia per la difesa della libertà (o presunta tale)? Il tutto, s’intende, mai disgiunto da un senso di fascino e di mistero garantito da contrasti di luce e ambientazione.Nulla può sintetizzare questo aspetto del cinema se non la scuola italiana de-gli anni 50.Quello di quegli anni voleva essere un cinema della strada, un cinema vero, senza partiti presi, senza manipolazioni e maschere: un cinema Neoralista, per chi ama i titoli.Ogni buon film -diceva Truffault- deve saper esprimere insieme una conce-zione della vita e una concezione del cinema. “Roma città aperta (1945)” con l’intensità struggente di Anna Magna-

ni, ci racconta di un’Italia spezzata che camminava con lo sguardo assente e pieno di ricordi impossibili da cancellare, ci racconta il suo dolore, i suoi paradossi macabri e inquietanti; ep-pure, allo stesso tempo, ci parla di un cinema che sente l’urgenza di adottare nuovi modelli, di rinascere scoprendo le radici del proprio paese con la loro genuinità viscerale e, più tardi, ironica.Con il tempo il cinema ri-uscì a seguire l’evoluzione

della società nel passaggio dal dopo-guerra al boom economico, sciacquò via le ombre tetre del conflitto ed ebbe così l’opportunità di concentrarsi su se stesso.Il risultato? Il cinema “moderno”, quello dagli anni sessanta fino ai novanta, un cinema in continua evoluzione, che sfi-da se stesso e si distrugge per ricreare la sua immagine con strutture lontane dai paradigmi tradizionali.Vengono abbandonati l’intreccio ro-manzesco, il personaggio a tutto tondo e ogni autore si inoltra ver-so nuove tecniche, nuove visioni. Fellini con la sua strana e bellissima Dolce Vita, Mario Bellocchio con la sua visione diversa del terrorismo in “Buon-giorno, Notte”, Pasolini che sperimenta un “cinema poesia” riflettendo sui suoi aspetti linguistici e semiotici. Facce della stessa medaglia, complessa e compiaciuta della sua complessità.In quello che viene definito periodo “post-moderno”, il peso massiccio di un nuovo spettacolo visivo, sicuramente più fruibile, come la televisione, ha por-tato grandi cambiamenti nel mondo del cinema.Non più al centro, non più diva, l’ar-te cinematografica ha dovuto ri-trovare se stessa e tornare alle sue origini, meno sperimentali sicura-mente, ma forse per questo anco-ra più vicine alle emozioni di massa. Non so se è vero che quella sala fuggì davanti a quel treno, ma mi piace crede-re che siamo capaci di stupire noi stessi, mi piace pensare che una novità possa essere un treno  che cambia all’improv-viso le direzioni previste, ma che è anche il ricordo di un passato felice.

Eleonora Luciani

Cia k (ST)Azione

Cinema Liberamente

16

Ore 8:00. Aeroporto di Zaventem, Bruxelles. Sei in coda per imbar-

carti al Terminal A e non vedi l’ora di salire su quell’aereo, di tornare a casa e rivedere la tua famiglia, di racconta-re gli eventi più comici della tua fantastica vacanza in Eu-ropa. Ti guardi intorno e vedi famiglie che si affrettano, uomini d’affari impegnati in conversazioni di vitale im-portanza, gruppi di amici che si godono gli ultimi o i primi momenti di vacanza. Poi un’esplosione. Vieni sbalzato in aria. Cadi a terra. Un mucchio di detriti ti cadono addosso mentre cerchi di proteggerti. Silenzio. Un silenzio talmente assordante da far male e mentre ti rendi conto di cos’è appena accaduto, piano piano cominci a sentire i lamenti, poi i pianti e infine le grida delle persone che hai intorno. Urla disperate. Non si capisce più nulla nei momenti che seguono quello scoppio fragoroso e di-struttivo. Sono tutti presi dal panico e vedi davanti a te una fiumana di perso-ne ferite, sporche e terrorizzate correre come se non ci fosse un domani verso la via d’uscita più vicina. Terrorizzate. Terrorismo. Terrore. È que-sto il loro gioco, sempre lo è stato, sem-pre lo sarà. E non cambierà mai. Ci sono stati nel corso della storia nume-rosi periodi di terrore, così come atti di terrorismo, e i terroristi, ora più che mai, sono considerati i ‘most wanted’ del ven-tunesimo secolo. Sono raggruppati in piccole cellule sparse in tutto il mondo, apparentemente dormienti, al servizio del gran capo, pronti a combattere e morire per la jihad. Questa situazione va avanti da anni ormai. Fatah al-Islam, Hezbollah, Jaljalat, Hamas, Al-Qaeda e ISIS, tutte organizzazioni terroristiche più o meno conosciute: sappiamo tutti di cosa è stata capace Al-Qaeda nel 2001, sappiamo tutti di cosa sta dando prova l’ISIS ora.

E molti di noi credono ancora che questi uomini, con una profonda propensione per il nichilismo umano e culturale, pro-vengano da una sola parte del mondo, ma la cruda verità è che non è più così da molto. Ogni giorno ci sono persone di ogni nazionalità che si convertono all’i-slam e si arruolano nelle truppe di Abu Bakr al-Baghdadi. Alla fine, però, sono tutti uguali: fondamentalisti, estremisti religiosi che si battono in guerra nascon-dendosi dietro versetti del Corano com-pletamente estrapolati dai testi sacri, il cui significato viene stravolto e strumen-talizzato. Chi segue alla lettera la Sura IX del Corano, detta Il Pentimento o La Disapprovazione, che recita “quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, cattu-rateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e

pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada…”, allora ignora completamen-te il versetto della Sura II in cui si dice “Non c’è costrizio-ne nella religione. La retta via ben si distingue dall’errore”.Secondo il mito e la religio-ne islamica, il Corano è stato dettato a Maometto diret-tamente da Allah e questo dà al musulmano il diritto di interpretare letteralmente tutto ciò che vi è scritto.Ma allora perché esiste un islam moderato oltre a quel-lo fondamentalista? Perché ci sono musulmani che non

vanno in luoghi storici a distruggere patrimoni dell’umanità e non attaccano persone di fede diversa? Evidentemente alcuni credenti, più di al-tri, hanno ritenuto opportuno mantene-re una mente aperta al cambiamento e alla diversità, riconoscendo le differenze tra i tempi antichi e l’età moderna, senza stravolgere il loro credo e tenendo sem-pre presente, come dice l’imam Batzami, capo della comunità musulmana abruz-zese, che ‘chi non conosce la lingua delle sacre scritture può facilmente cadere in errore’ e afferma anche “il Corano invita ad affrontare la vita, non ad usare la vio-lenza”.Purtroppo, però, dopo tutti gli attacchi subiti, i colpi incassati e le continue mi-nacce, è difficile non andare in giro senza pregiudizi, senza agitarsi immediatamen-te nel vedere un uomo con pelle scura, barba e zaino nero in spalla, senza pensa-re subito al peggio, ma come dice l’imam “se l’abito non fa il monaco, allora nemme-no abito e barba fanno il musulmano”.E come si può non soccombere agli estremisti dopo Parigi e Bruxelles, dopo che hanno attaccato, più vicini che mai, così tante volte in così poco tempo? Non stando al loro gioco.

arianna Cavacchiolifoto di alessandra Cavacchioli

Stoicismo o terrore ?

Liberamente Attualità

17

Entrare in una facoltà scientifica dopo aver ri-cevuto una formazione

di tipo letterario-linguistico (fortemente voluta) è un po’ come mangiare un ottimo gelato. Ghiacciato. D’inver-no. Con i denti sensibili. E con la lingua ustionata che ti impedisce di capire bene che cosa stai facendo. E poi magari ti viene anche il mal di testa.Questo non vuol dire che sia impossibile, che non sia meraviglioso, che non arrivi mai l’estate, che il dolore ai denti, alla testa e alla lingua non passi; vuol dire soltanto che avete fatto la scel-ta difficile… e probabilmente quella giu-sta, dal momento che se le scienze non vi piacessero non vi sareste mai sognati di cambiare percorso di studi.Quindi quello che voglio dire è: buttate-vi. Sarà difficile, avrete dei dubbi, ma col passare dei mesi saprete che ne è valsa la pena.Nel frattempo, per sopravvivere alla giungla delle università scientifiche (o per capire se è il tipo di vita che fa per voi), ci sono alcune cose che dovreste sapere.Postilla: alcune di queste valgono anche per le facoltà umanistiche, Eleonora ve lo potrà confermare.Uno: partirete in svantaggio. Sempre. Il 70% dei vostri compagni di corso ha frequentato lo scientifico, o, peggio, un istituto tecnico. Risponderanno alle domande dei prof, passeranno i parzia-li tutti e subito, sfoggeranno le proprie esperienze di laboratorio e voi vi senti-rete come pesci fuor d’acqua. Però voi dalla vostra avrete l’entusiasmo che vi ha spinti fuori dal liceo, e poi due: sap-piate che le vanterie altrui non valgono niente. Quasi tutti gli studenti che mi sembravano più svegli o preparati di me hanno dato meno esami e/o con risultati inferiori ai miei, anche quelli che in pro-porzione studiavano molto più di me.Tre: preparatevi le ginocchiere, perché state per cadere. Chi più, chi meno, chi prima, chi dopo; l’università è adatta-mento e molto probabilmente vi costerà tempo, sacrificio e qualche fallimento (trascurabile rispetto al bilancio dei suc-cessi, ma comunque necessario e istrut-tivo). Quattro – e questa è una di quelle dritte valide a prescindere dal corso di laurea: cercate di farvi furbi e di essere veloci nelle faccende burocratiche. Baz-

zicate l’edificio nei primi giorni per sape-re dove sono i servizi più utili – non fate come me, che ho scoperto dove fossero i bagni delle ragazze solo dopo due set-timane di figuracce uscendo da quelli dei ragazzi.Cinque: avrete degli orari massacranti ,probabilmente, fra corsi, laboratori e tu-torato. Avrete poco tempo per studiare e ancor meno per divertirvi, ma non agi-tatevi: cercate di studiare volta per volta -senza ansie se non superate i parziali- e di ritagliarvi dei momenti liberi per ri-posarvi. Organizzatevi: quando studiare cosa e quali esami dare a quali appelli. Trovate un metodo che vi faccia stare sereni rispetto a risultati e tempistiche.Sei: amate follemente la vostra materia. Se quando ne parlate vi brillano gli occhi come a Eleonora quando parla di lettera-tura o a me quando parlo di chimica, se quando la spiegate vi entusiasmate tan-to da far entusiasmare gli altri insieme a voi, allora siete sulla strada giusta. Ogni caduta sarà un po’ più sopportabile e ogni traguardo molto più gratificante, e sapre-te che tutte le difficoltà sulla vostra stra-da saranno una gioia in più al momento di raggiungere il traguardo… Dopotutto, a noi scienziati le sfide fanno gola.

Filosofi, letterati, cultori delle belle arti, linguisti, storici, accademici e folli di ogni genere: noi siamo quelli della scelta apparentemen-

te coerente, anche se, vi assicuro, il gela-to freddo non ci viene risparmiato.Per nostra natura, ostinata e riflessiva, ci sono cose di cui siamo certi quando ci troviamo, membra e cuore, al centro di uno di quei tanti bivi che la vita ci pro-pone.Ad esempio tu, amante di Leopardi, Nietzsche e Van Gogh, sei certo che aver scelto la tua strada non significhi altro che trovarsi, poco dopo, con le ginocchia

a terra, sbucciate, sul terriccio ai piedi di quella che è un’infinita parete che tu, solo tu, devi iniziare a scalare.È proprio quello il momento in cui crede-rai (e ne sarai certo) di non essere abba-stanza. Crederai di aver capito che non basta più essere e sognare, che ora devi fare, correre, raggiungere, arrivare pri-mo, afferrare e ricominciare. Da idealista (e insicuro) che sei, sarai con-vinto che tutti i tuoi colleghi di corso (ol-tre ad essere latinisti, critici d’arte e chis-sà cos’altro) siano anche sempre pieni di idee e risorse.Non crederci.Non crederTi.Non credere che i freddi paradigmi uni-versitari siano sempre in rima con i tuoi amati versi, la vita sarà anche arte ma l’u-niversità può diventare un luogo ostile per qualsiasi mente, soprattutto per le più sensibili (quindi vai con il tuo amico di scienze a comprare un bel paio di gi-nocchiere e mettile anche tu)L’università non è una gara, lo studio, so-prattutto il nostro, non è una corsa.Parziali uno dopo l’altro, lezioni infinite ed estenuanti, tu non sarai costretto a sopportare tutto questo! Le lezioni sa-ranno relativamente brevi e magari, se saprai organizzarti, tra un esame e l’altro potrebbero passare settimane! Ma non illuderti mio caro artista in erba, in tutto questo tempo che avrai a dispo-sizione dovrai nasconderti dietro molte, molte, molte pagine in più. Gli studi umanistici hanno la stessa stof-fa degli autori che tanto ami, sono spes-so incompresi, ma incredibilmente affa-scinanti e tutto dipende dal tuo modo di leggerli. Aspettati grandi cose da te, ma non aver mai paura di fallire, e se fallisci ricordati chi sei.Ricordati della luce (la stessa di cui vi par-lava Alessia) che solo in pochi vedono nei tuoi occhi se qualcuno recita Dante, ri-cordati che solo tu puoi, sotto una piog-gia sottile, immerso nell’intenso profu-mo del pino, cercare Ermione.Pensa che pochi vedranno quello che tu vedi in una pianta di Limoni, in un vaso di girasoli o nelle rovine di un tempio greco. Tieni a mente come in ogni parola saprai trovare un mondo così lontano e così vicino, crederai di non riuscire mai ad afferrarlo quel mondo, ma, fidati, an-che solo amandolo, è parte di te. Ricorda tutto questo e non dimenticarlo per un’inutile corsa al 30, dentro di te ci sono la bellezza e la grandezza della sto-ria, non tradire te stesso.

Eleonora Luciani, alessia D’andrea

Scienze e lettere : due mondi, una passione

Diari dall’università

“il vecchio e il mare” di E. Hemingway“Il mare è femmina per coloro che lo amano, è un qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane era perché non poteva evitarle”: cosí Santiago, un vecchio pescatore cubano, ritrae l’oceano, verso il quale nutre una sconfinata ammirazione ed assoluto rispetto. Ernest Hemingway, celebre autore statunitense, pubblica questo capolavoro nel 1952, nel quale narra con eleganza e semplicità l’imprevedibilità

del mare e la fiducia indissolubile di Santiago nei suoi confronti, nonostante siano passati ottantaquattro giorni dall’ultima volta che ha preso un pesce. La sua caparbietà, il suo zelo e la sua sconfinata esperienza nella pesca, faranno abboccare un marlin di dimensioni mastodontiche che trascinerá la barca fino al largo. Inizierà cosí una lotta psicologica e fisica tra il pesce e il vecchio, accompagnata dalla meraviglia che Santiago prova nei confronti di un animale tanto forte e nobile. L’intera opera è un quadro che si avvale di colori freddi e tratti spigolosi per rappresentare la spietatezza e la durezza del mare, non tralasciando però la felicità e la soddisfazione di vivere ogni giorno l’oceano, con la sua mutevolezza continua, sottolineando con calore l’emozione che concede a chi riesce ad amarlo. 

Fiammetta Capasso

“Il linguaggio segreto dei fiori” di Vanessa DiffenbaughQuesta è la storia di Victoria, una ragaz-za cresciuta in un orfanotrofio, continua-mente trasferita di famiglia in famiglia perché nessuno voleva tenerla con sè.I continui cambiamenti e rifiuti sembrano aver trasformato Victoria in una ragazza spaventata, fragile, perché ha paura di tutto: del contatto fisico, delle parole, ma soprattutto ha paura di amare e lasciarsi

amare. Le cose iniziano a migliorare quando Victoria viene af-fidata ad Elizabeth, che le insegna il linguaggio dei fiori: è con esso che Victoria riesce ad esprimersi e a comunicare le sue emozioni dando una svolta alla sua vita.Questo libro è davvero coinvolgente, il lettore rimarrà incan-tato dalla coraggiosa evoluzione della protagonista e dalla sua crescita emotiva, che avviene attraverso un linguaggio non verbale e universale. Vanessa Diffebaugh, nonostante tratti un tema difficile come l’affidamento famigliare, lo fa con uno stile delicato, semplice e raffinato, riuscendo a creare una sto-ria dalla forza appassionante, profonda e potente, che mostra come sia possibile cambiare un destino avverso con la forza di volontà. Sicuramente la lettura è adatta ad un target adole-scenziale, in quanto la caratterizzazione della protagonista è tale da permettere una immedesimazione maggiore presso un pubblico molto giovane e di sesso femminile. Consigliato a tutte quelle ragazze un po’ introverse che vogliono trovare un racconto che le ispiri a diventare migliori e a cercare un modo per esprimersi.

Lisa Delli Compagni

“Come un fiore ribelle”di Jamie FordNell’orfanotrofio del Sacro Cuore, il piccolo William Eng trascorre la sua infanzia in una gelida e severa disciplina, senza alcun calore od affetto materno, senza la voce della ma-dre che lo culli con canzoni tradizionali can-tonesi. Durante il suo compleanno, nell’anno 1939, William pone alle suore la domanda più faticosa della sua vita: che fine ha fatto sua madre? Sua madre, Liu Song, è morta.

William si rifiuta di accettare quella devastante verità, in cuor suo sa che è ancora viva e che lo sta aspettando lì fuori, fuori da quel terribile orfanotrofio.Così scappa via da quel posto freddo con Charlotte, una ragaz-zina dalla chioma fiammante, e intraprende la faticosa ricerca che lo porterà ad una nuova felicità.Fra le pericolose strade di Seattle e i suoi pub luminosi ed intri-si di alcool, William incontra la celebre Willow Frost, una can-tante orientale dallo sguardo e la voce indimenticabili.I sentimenti del piccolo William sono incredibilmente teneri, ma caratterizzati da un’intensità tale da colmare il cuore del lettore di speranza ed aspettativa. La dolce narrazione lo fa immergere negli ambienti “vintage” degli Stati Uniti degli anni ‘40, ammirati dagli occhi a mandorla di un bambino cinese. Le pagine dell’ulti-mo romanzo di Jamie Ford sono impregnate di un forte amore sempre reciproco che unisce il figlio e la madre, nonostante la distanza e l’abbandono. “Come un fiore ribelle” è un inno alla vittoria dell’affetto incondizionato, della speranza e della forza di volontà, che rendono l’uomo onnipotente in qualsiasi momento della propria vita.

alessia Scipione

“Se una notte d’inverno un viaggiatore” di italo CalvinoLa lettura di un romanzo diventa per un lettore anonimo l’inizio di una ricerca incessante: tutto comincia quando il protagonista con grande sorpresa scopre che il libro che ha appena iniziato a leggere si interrompe bruscamente a causa di un errore di stampa. In realtà, è solo il primo dei dieci romanzi incompleti che il lettore si troverà davanti. Una fitta rete di romanzi apocrifi, infatti, ostacolerà la sua lettura per ben dieci volte, dieci storie diverse scorreranno davanti ai suoi occhi

insieme a menzogne e fantasie, ma niente di tutto ciò riuscirà ad impedirgli di trovare una fedele compagna di viaggio e ad allontanarlo dal piacere della lettura che riempie il suo animo. Ogni libro sarà per il protagonista l’inizio di un viaggio interiore, ogni storia che leggerà diventerà un po’ anche la sua e in ogni personaggio che incontrerà troverà sempre una parte di sé, anche la più nascosta. Il valore profondo che Italo Calvino intende attribuire alla lettura sembra, dunque, emergere chiaramente: un libro nasce sempre in presenza di altri libri e il groviglio che attanaglia il lettore, simboleggiato in questo caso dall’intersecarsi di romanzi apocrifi, non può essere oltrepassato se non attraverso la ricerca di un piacere autentico e puro: la lettura.

alessia Furii

LiBri...

18

Ieri...

...oggi

Criticamente

-...FiLm

19

“Sciuscià”

di Vittorio De SicaIl film ‘’Sciuscià’’ del 1946, diretto da Vittorio De Sica, è uno dei primi capolavori del cinema italiano, vincitore anche del premio Oscar come miglior film straniero. È ambientato nella capitale italiana durante il dopoguerra e tratta le vicende e le avventure che sono costretti ad affrontare gli sciuscià, termine napoletano in disuso, che sta ad indicare i lustrascarpe. Protagonisti della storia sono Pasquale e Giuseppe,

due furbi ragazzini con la passione per i cavalli, che li porta a spendere circa 300 lire a settimana per affittarne uno, chiamato Bersagliere. Per racimolare qualche soldo in più, vengono coinvolti in una truffa che li condannerà al carcere minorile dove verranno rinchiusi in celle separate; con un trabocchetto da parte del commissario, Pasquale confessa che l’artefice della truffa è il fratello di Giuseppe, condannandolo al carcere e rompendo il forte legame con l’amico. I due, durante un piano di uno dei detenuti, riusciranno ad evadere ma, con la polizia alle calcagna, litigheranno violentemente su un ponticello che diventerà luogo di una tragedia. Il film è drammatico, ma racconta nel migliore dei modi le difficoltà e le esperienze che vivevano i giovani italiani durante il periodo della guerra.

Umberto D’Orazio

“Intelligenza Artificiale” di Steven SpielbergDavid è un “Mecha”, l’ultima generazione di robot che si tro-va in circolazione, e fra le tante caratteristiche, compresa la somiglianza indistinguibile con gli umani, è anche in grado di amare.È stato regalato a Monica, una donna che sta passando un periodo difficile a causa della malattia di suo figlio, che è stato

ibernato in attesa di una cura. Nonostante le difficoltà iniziali, David riesce a farsi amare dal-la sua nuova famiglia, ma questa vittoria sarà messa di nuovo in discussione dal ritorno del figlio di Monica. A questo punto il robot non è più necessario alla famiglia e l’unica soluzione è abbandonarlo nel bosco per evitare la sua distruzione. Qui incontrerà un robot/gigolò con il quale comincerà il suo viag-gio alla ricerca della “fata turchina” in grado di trasformarlo in un bambino vero e farsi finalmente amare dalla sua mam-ma. Questo film ci proietta nell’ipotetico e futuristico mondo dei robot e del loro avanzamento scientifico, accompagnato dal rapporto simbiotico formatosi tra essi e l’essere umano. Spielberg ci fornisce una storia originale ma che trae spunto da classici come Pinocchio , E.T., Ben Hur, e che si chiude con un finale del tutto inaspettato, a coronamento delle numerose sorprese di questo fantascientifico film. 

Francesca Sgueglia

“Nuovo cinema paradiso”

di Giuseppe TornatoreUn piccolo paese siciliano, la miseria del dopoguerra, una sala cinematografica parrocchiale che rappresenta l’unica fonte di distrazione e divertimento per i cittadini. È questo il contesto in cui nasce il piccolo Salvatore, un bambino cresciuto a pane e pellicole ,che occupa una posizione privilegiata nella stanzetta del proiettore. Salvatore fa presto amicizia con il proiezionista Alfredo, colui che diventerà una guida fondamentale

per il protagonista, attraverso il percorso travagliato dell’adolescenza: lo esorterà ad intraprendere la carriera militare e non fare più ritorno nel paese nativo, un paese oppresso dall’ignoranza, in cui non c’è posto per l’acutezza delle giovani menti. Salvatore farà ritorno nella sua terra all’età di circa cinquant’anni e troverà degli spiacevoli cambiamenti. La geniale colonna sonora di Ennio Morricone caratterizza varie scene, emozionando lo spettatore. Tornatore, il regista di “Nuovo cinema Paradiso”, riesce a suscitare amarezza e nostalgia verso la patria natia, contrapposte al desiderio di fuggire per realizzare le proprie ambizioni, anticipando un fenomeno ben noto come “sogno estero”, che in seguito si diffonderà in tutta Italia.

Noemi Cardelli

“Super Size me” di morgan SpurlockSuper Size Me è un film documentario del 2004, diretto ed interpretato da Morgan Spurlock. Tratta di un uomo che decide di fare da prova vivente per il caso di due adolescenti che accusano la catena di fast food più famosa al mondo, Mc Donald’s, per la loro grave obesità. Ha intenzione di sostenere una dieta alimentare fatta di solo cibo del Mc Donald’s, esclusivamente “Super size”: colazione, pranzo e cena per trenta giorni.

Fino a qualche decennio fa in Italia era difficile pensare di poter sostenere una dieta alimentare costituita da solo cibo precotto, surgelato e fritto, grazie alla nostra dieta mediterranea, che consiste in frutta e verdura fresche, olio extravergine d’oliva e tanto pesce e carne dei nostri mari e allevamenti. Ma a causa della globalizzazione di queste catene di fast food anche i paesi più salutari vengono contagiati.Fritto, precotto, preconfezionato, imbottito di conservanti e grassi ma veloce e buono, relativamente buono, come ci dimostrerà questo documentario. Assurdo credere come un BigMac possa sottomettere e portare alla dipendenza miliar- di di bambini, ragazzi, intere famiglie. Con questo film capi- rete come l’alimentazione “fastfoodiana” potrebbe cambiare la salute e lo stile di vita di ognuno di noi.

Desideria mazzocchetti

Ieri...

...oggi

Criticamente

“Head full of dreams” ColdplayI Coldplay tornano a dominare la scena mondiale con il nuovo al-bum uscito nel 2015: “Head full of dreams”.È sicuramente un bell’album, ma per certi aspetti risulta deludente. Questo probabilmente è dovuto al fatto che il loro stile si è evoluto, perdendo la brillantezza dei dischi

precedenti e fondendosi con il “commerciale” degli ultimi anni.In “Colour spectrum” la magia si crea con gli strumenti, non con la voce, poiché qui si colgono note e tonalità frizzanti che emozionano l’ascoltatore anche solo a livello acustico e appunto per questo si può dire che è un album che rende protagonista a 360° l’intera band.Alcuni dei testi deludono, ma lasciano spazi a brani che lo rendono comunque un album di qualità.Esempi eclatanti sono: “Everglow” e “Fun”, pezzi emblematici del disco. Dai critici è stato considerato prematuro, poiché nasce solo a distanza di un anno da “Ghost Stories”, pur essendo dischi con caratteristiche lontane.I testi scritti da Chris, in due momenti diversi della vita, rappresentano la malattia e la cura, di conseguenza l’al-bum è caratterizzato da un forte ottimismo.

Dalila Delli Compagni

“X” Ed SheeranEd Sheeran è un giovane cantautore britannico, autore di una musica poliedrica e originale, quasi un poeta che canta i suoi versi, protagonista di un successo dalle note diverse dal solito. Il segreto del suo ultimo album, “X”, si legge nei testi: semplici immagini costruite con poetici accostamenti di parole ed evocate

da ritmi a volte audaci, a volte romantici. Sicuramente gli appartiene l’abilità di destreggiarsi nelle sue canzoni fra stili di musica molto diversi, senza perdere la poesia e il fascino dei suoi testi. Questo album mostra un artista e la sua ambizione istintiva di “fare musica” in modo eclettico. È proprio il talento di Ed Sheeran nell’assumere vari stili ad essere al centro dell’album: “X” si apre con “One”, caratterizzata dal suono dolce e mite della chitarra e da una vena romantica che tocca l’emotività di chi ascolta, come anche in “I’m A Mess” , “Photograph”, “Tenerife Sea” e “Thinking Out Loud”, dal ritmo quasi idilliaco. In altre canzoni come “Sing” e “Don’t”, invece, il suono è molto più audace e lo stile decisamente pop. Ad ogni canzone Ed Sheeran rivela uno dei molteplici aspetti della sua arte, ma la costante che caratterizza l’intero album è il ricorso alla musica per evocare, dare un suono alle emozioni e permettere loro di parlarci.

Chaima Batzami

“a Night at the opera” QueenÈ uno dei lavori che meglio rappresenta la band inglese che ha fatto la storia del rock ed è il loro primo disco di platino. È l’espressione di un personaggio che ha lasciato questo mondo da icona. Ci ha servito successi come The Prophet’s Song, Love of My Life e una cover dell’inno nazionale

britannico, God Save the Queen, un magnifico assolo alla chitarra di Brian May. E non scordiamoci dell’azzardato ma grandioso mix tra opera e rock di Bohemian Rhapsody, considerato l’outing di Freddie Mercury, brano che ha tutto attorno a sé un alone di mistero, persino per il resto dei Queen, a cui il cantante non ha mai rivelato interamente il significato del testo. ‘Mama, just killed a man, put a gun against his head, pulled my trigger, now he’s dead’, parole che hanno un significato piuttosto chiaro, anche se in mano non abbiamo tutti i pezzi del puzzle, e raccontano l’uccisione del vecchio Freddie.A Night at the Opera è stato oggetto di un ampio numero di critiche ed è uno dei dischi chiave di questa band che del rock ha fatto una religione. È un album ambizioso e visionario che dimostra la capacità di questo gruppo musicale londinese di andare oltre il convenzionale, alla ricerca dell’originalità.

arianna Cavacchioli

“The Doors” The Doors4 gennaio 1967: i Doors debuttano con il loro primo album “The Doors”.Il gruppo, composto dal leader Jim Morrison insieme a Ray Manzarek, Robby Krieger e John Densmore, dà inizio ad una vera e propria ribellione interiore, aprendo ai loro seguaci le porte della percezione

(da qui il nome del gruppo).L’album presenta una sequenza di undici tracce. Il brano di apertura è Break on through (to the other side) in cui le urla di Jim ipnotizzano l’ascoltatore colpendolo a ritmo di basso.Diretti verso le porte tanto amate dai Doors, si giunge a Soul Kitchen, più tranquilla della precedente, per poi arrivare alla sesta traccia, Light My Fire, dove si può avvertire un ritmo più sciolto e danzante.Finalmente eccoci davanti alle porte della percezione. Lo stupore è quasi come quello di Dante giunto alle porte dell’inferno, però qui si trova The End al posto dei gironi.Morrison infatua l’ascoltatore con un monologo quasi come se fosse posseduto, accompagnato da un ritmo sempre più crescente e concludendo con drammaticità: “…this is the end”.

Lorenza Paolone

DiSCHi

20

Ieri...

...oggi

Criticamente

21

Quest’anno il laboratorio tea-trale del nostro istituto ha messo in scena uno spetta-colo a dir poco toccante dal

titolo “Le musiciste di Auschwitz”, libe-ramente tratto dal diario di Fania Fén-elon “Ad Auschwitz c’era un’orchestra”. Forse non è noto a molti, ma presso il campo di Birkenau fu messa su un’or-chestra esclusivamente femminile, l’unica mai esistita in tutti i campi di concentramento, e il nostro saggio è incentrato proprio sulle vicende di quelle giovani artiste, tra le quali spic-ca, oltre a Fania, Alma Rosé, direttrice dell’orchestra.Io interpreto due ruoli completamen-te diversi, quello di un disumano uffi-ciale tedesco, in grado di commuover-si all’ascolto della Madama Butterfly e subito dopo di mandare dei prigio-nieri alle camere a gas, e quello di un soldato dell’esercito britannico con un compito decisamente più ammi-revole, ossia quello di porre fine ad ogni assurdità liberando il campo di Bergen-Belsen il 15 aprile 1945.Sono state due le occasioni per rap-presentare questa lezione di vita, il 12 marzo presso la Sala Polifunziona-le della Provincia, evento organizzato dall’associazione femminista terama-na Se Non Ora Quando, e il 6 maggio nell’accogliente Teatro Saliceti pres-so Ripattoni di Bellante, in una serata dedicata al nostro amato Preside, che

proprio in quei giorni lottava per la propria vita.Posso affermare con immenso orgo-glio che in entrambi i casi la nostra performance ha riscosso grande suc-cesso, merito del pubblico, che ha saputo cogliere il messaggio, e del grande impegno con cui tutti abbia-mo minuziosamente preparato lo spettacolo in tutte le sue sfaccetta-ture, guidati ed istruiti con intensa dedizione dalla professoressa Anna Colaiacomo. Ed è proprio a lei che rivolgo un rin-graziamento speciale ora che, a ma-

lincuore, devo salutare il laboratorio teatrale di questa scuola dopo un’av-ventura durata troppo poco, appena due anni. Vorrei poter riavvolgere il nastro del-la mia vita e intraprendere questa fantastica esperienza con un po’ di anticipo, così da poter esplorare an-cora più a fondo l’intrigante mondo del teatro. Sebbene il tempo a dispo-sizione non sia stato molto, la prof.ssa Colaiacomo è riuscita comunque a trasmettermi facilmente la sua pas-sione e il suo entusiasmo, e a questo ha contribuito in maniera significativa l’eccezionale gruppo di ragazzi che ho avuto la fortuna di incontrare in questo mio percorso.Fino a qualche anno fa quella che nu-trivo nei confronti del teatro era una misteriosa ammirazione, ma, vivendo tale esperienza in prima persona e non più come semplice spettatore, ho imparato ad amare questo mondo con tutto me stesso. Grazie al teatro è possibile essere chiunque e dovun-que, vivere momenti unici ed irripeti-bili. Custodirò gelosamente tutti i perso-naggi per il resto della mia vita, nel corso della quale non cesserò mai di recitare, perché, come ci insegna Shakespeare, “Tutto il mondo è un pal-coscenico, e tutti gli uomini e le donne sono soltanto attori.”

Davide Lupacchini

Le musiciste di AuscwitzUn solo invito: siamo umani

Laboratorio Teatrale

Attivamente al Milli

22

Una chia cchierata con l’Ima m

Troppe perso-ne pensano che leggere sia semplicemente

“sfogliare” un libro, sen-za rendersi conto che invece, attorno ad una semplice storia stam-pata, possono ruotare così tante idee, giochi, rebus, indovinelli e tante altre attività che vorremmo condividere con voi! Per concretiz-zare tutto quello che nel corso di un anno ab-biamo discusso, critica-to, immaginato, inven-tato… abbiamo deciso di esprimerci con una sorpresa che sarà di-sponibile nei prossimi giorni. È destinata a chi come noi desidera parlare, conoscer-si, condividere le proprie opinioni e idee, criticare e appassionarsi… per il momen-to le veterane dell’attività, in procinto di

terminare il loro percorso scolastico, vi lasciano i loro migliori auguri! i ragazzi del Progetto Lettura: Luca Brandimarte, Monica Timperii, Valeria Bucci Mascetti, Maria Colomba, Nicoletta di Ottavio del III ALL; Claudia Chiavone,

Martina di Antonio, Giada Mancini, Bljerta Seljami del IV SU; Alessia Emilia Romual-di, Solomiya Zakharko, Andrea Dalila No-tarini, Sabina Tagirova del V ALL e i prof Maria Antonietta Quartapelle e Nicola Scarpone.

Laboratorio di lettu raAttivamente... al Milli

Alla luce degli attenta-ti terroristici verificatisi nell’ultimo periodo e del-le rivendicazioni dell’Isis,

la redazione ha invitato a scuola e intervistato l’imam della provincia di Teramo, il signor Mustapha Ba-tzami, per comprendere meglio il rapporto che c’è tra la religione mu-sulmana e le sue frange più estreme.Il signor Batzami, in Italia dal 1989, dal 1996 imam della nostra provin-cia, ci racconta un Islam pacato e ben lontano dai folli eccessi dei ter-roristi: “Il Corano invita a difendere la vita, non dice di usare la violenza, ma il dialogo”, afferma. Il problema è che i terroristi storpiano passaggi del Corano, utilizzandoli per dare un fondamento religioso alla guerra con-tro l’Occidente, colpevole di essere intervenuto più volte nei loro territo-ri o in ambito politico, o sfruttando le loro risorse minerarie, o bombardando. Ma in questo modo si innesca un circo-lo vizioso in cui la guerra genera altra guerra e coloro che perdono la casa e i propri cari sono facilmente manipola-bili dalle organizzazioni terroristiche. Ma dietro tutto ciò c’è l’Isis, non l’Islam. Batzami, rispondendo alle nostre do-

mande, ha parlato di una religione ben diversa da come molti la immaginano. La donna, ad esempio, non è quella coperta da capo a piedi, privata della sua libertà: anche in quel caso si tratta di un estremi-smo, quello talebano. In Marocco, invece, le donne possono intraprendere qualsia-si tipo di carriera, come gli uomini, per-ché ‘la ricerca del sapere è obbligo per ogni musulmano e musulmana’. Ci ha chiarito le idee anche sulla poligamia, ormai sem-

pre meno diffusa: un uomo può (non deve!) sposare fino a 4 mogli, ma la Shari’a (la legge islamica) lo obbliga a comportarsi ugualmente con tutte, e questo, ha affermato sorridendo Ba-tzami, è sicuramente un deterrente.Un altro concetto distorto è quello di Jihad, che letteralmente significa “sforzo”, comunemente interpretata come “guerra santa”, ma spesso in contesti in cui di santo c’è ben poco.Batzami ci ha spiegato anche il Rama-dan, di cui tutti abbiamo sentito par-lare: è il 9°mese del calendario islami-co lunario, durante il quale i fedeli os-servano il digiuno dall’alba al tramon-to ed è uno dei 5 pilastri dell’Islam, insieme alla dichiarazione di fede, la preghiera, la Zakat o imposta corani-ca, che consiste nel donare il 2,5% di ciò che si è guadagnato in ecceden-

za nel corso dell’anno, il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.Rispettare questi pilastri è un interesse del fedele, perché il Corano stesso re-cita “non vi è costrizione nella religione”. Le parole dell’imam ci hanno fatto ben comprendere quanto sia importante non essere prigionieri di luoghi comuni e conoscere e capire prima di giudicare.

La redazione

23

Il percorso di alternanza scuola la-voro ha visto impegnati nel corso dell’anno scolastico 2015/2016 circa 130 alunni delle classi terze degli in-

dirizzi Linguistico, Scienze Umane ed Economico Sociale per 70 delle 200 ore totali previste dalla legge sulla “Buona Scuola”. Questa l’articolazione del pro-getto: lezioni di formazione propedeu-tica in aula, immissione in un ambien-te di un’impresa formativa simulata (Economico Sociale); stage nella casa di

riposo “De Benedictis” (Scienze Umane) e nelle scuola dell’Infanzia e Primaria Zippilli-Noè Lucidi (Linguistico). Gli alun-ni stanno apprendendo tre diversi profili professionali: operatore sociale, consu-lente finanziario e docente di lingua in-glese. Il percorso ASL per il liceo lingui-stico prevede, inoltre, la partecipazione all’  Interamnia World Cup, in cui gli stu-denti avranno l’occasione di esercitare le conoscenza della lingua inglese con gli organizzatori, atleti e accompagnatori.

La terza e ultima fase si svolgerà in aula e gli studenti, sotto la guida dei Tutor interni, Maria Forti e Giusy Di Gregoli, rifletteranno sull’esperienza fatta, evi-denziando i lati positivi e negativi, propo-nendo eventuali miglioramenti, e sotto-ponendosi a prove di verifica finale, per valutare il grado di profitto conseguito nell’attività.

Prof.sse Giusy Di Gregolimaria Forti

Quest’anno per noi alunni del terzo liceo sono iniziati i per-corsi di alternanza scuola-la-voro, resi obbligatori dalla leg-

ge 107/2015. Il percorso di noi ragazzi del liceo economico sociale è stato segui-to dal consulente finanziario Giustino di Dalmazio, con il quale abbiamo iniziato il corso “economic@mente - metti in con-to il tuo futuro” organizzato dall’ANASF, l’associazione rappresentativa dei pro-fessionisti che svolgono l’attività di of-ferta fuori sede e di consulenza finan-ziaria. Il corso ha avuto principalmente

lo scopo di far conoscere a noi studenti gli strumenti del mondo del risparmio ed è stato articolato in 70 ore distribuite in tutto l’anno scolastico. Partendo dalle nostre esperienze, sono stati analizzati il ciclo di vita e gli eventi che scandiscono le principali fasi di transizione, l’investi-mento e l’indebitamento, la protezione e previdenza e la necessità di creare un piano finanziario per salvaguardare il fu-turo. Inoltre, partendo da come è nata e cos’è la moneta, siamo arrivati a mettere a fuoco i principali strumenti di paga-mento del giorno d’oggi, come l’assegno

bancario e circolare, le carte di debito e di credito, le prepagate e il bonifico. La parte teorica è stata consolidata grazie ad una serie di esercitazioni pratiche per verificare le competenze acquisite, che si sono dimostrate essere discrete. Oltre a questo progetto, insieme alla professor-essa Foschini abbiamo appreso cosa sia una start up, immergendoci in questo nuovo tipo di business per poi crearne una partendo dalle nostre innovative idee.

Lorenzo Fabbiocchi iiiBES

Grazie al progetto dell’alternan-za scuola-lavoro, a partire da quest’anno, le classi terze dei vari licei hanno potuto inserirsi

nel mondo lavorativo, integrando così, oltre alla preparazione teorica, anche un’esperienza diretta sul campo.La nostra classe, la III A Scienze Umane, ha svolto quest’attività presso la casa di riposo “G. De Benedictis”.Siamo stati divisi in due gruppi per po-ter conoscere la realtà sia degli anziani ospitati nella casa di riposo, sia di quelli che risiedono al residence. Durante le giornate passate in entram-be le strutture, abbiamo contribuito al lavoro svolto abitualmente dalle anima-trici, finalizzato a rendere più piacevole il soggiorno di quest’ultimi, con attività ricreative, giochi da tavola e musica.Nel periodo natalizio abbiamo organiz-

zato tombolate e gruppi per poter lavo-rare insieme agli anziani a delle decora-zioni da sistemare nel salone principale della struttura.La stessa attività è stata svolta anche durante il periodo pasquale.Abbiamo trascorso alcune giornate du-rante le festività proprio per far sentire agli anziani il calore famigliare e la gioia dello stare insieme, fattori che molto spesso in ambienti simili, purtroppo, vengono a mancare.Tutti gli anziani hanno dimostrato en-tusiasmo e partecipazione durante questo percorso, quasi considerandoci dei “nipoti” e condividendo con noi la loro storia e le loro esperienze, talvolta ricordandole con un sorriso, altre volte con una lacrima.Inizialmente, non appena ci hanno par-lato di questo progetto alla casa di ri-

poso, le nostre reazioni non sono state delle migliori, poiché consideravamo il percorso troppo forte e pesante per ra-gazzi della nostra età; con il passare del tempo, però, ci siamo ricreduti: le pas-seggiate nel giardino, le lunghe chiac-chierate con gli anziani e i loro sorrisi ci sono arrivati dritti al cuore.Questa esperienza è stata per la clas-se di grande importanza, significativa e determinante per la nostra crescita, non solo come studenti, ma soprattut-to come cittadini di un mondo fondato sul lavoro.Abbiamo imparato cosa vuol dire dav-vero avere delle responsabilità e rispet-tare un impegno lavorativo, senza giu-dicare le difficoltà e le diversità di ogni ospite, anzi cercando sempre di eviden-ziare le loro qualità e capacitàSara Tenerelli, Giada ruggieri iiiaSU

Altern a nza scu ola-lavoro

Liceo economico socia le

Liceo de lle scienze u ma ne

Durante l’anno scolastico 2015-2016 è partito il progetto “Scuola Lavoro” per tutte le classi terze del liceo. Per

quanto riguarda l’indirizzo linguistico, è stato organizzato un percorso for-mativo in collaborazione con le scuole

dell’infanzia ed elementari al fine di insegnare ai ragazzi l’affascinante arte dell’insegnamento. Siamo entrati in contatto con bambini dai 3 ai 10 anni, aiutandoli a seguire le lezioni e inseg-nando loro a rispettare le regole più semplici di comportamento. Questa

esperienza ci ha insegnato a interagire nella maniera più giusta con i bambini, a capire come confrontarsi con loro nel miglior modo e far sì che ti vedano come una figura in grado di insegnare loro qualcosa.

arianna Cavacchioli iiiCL

Liceo Lingu istico

Attivamente... al Milli

Il giorno 19 Febbraio 2016 gli alunni frequen-tanti le classi 3CL 4CL e 4ASU, accompagnati

dai professori Anna Bran-diferro, Maria Donata Ricci e Sergio Censasorte si sono radunati presso il santuario di San Gabriele dell’Addolorata.La mattinata è iniziata con una lezione tenuta dallo storico, professore e pre-side Giovanni Di Gianna-tale, che ha trattato con passione e dedizione il tema dell’amore per il prossimo ricostruendo un percorso storico che ha inizio con i più grandi auto-ri latini, acquisisce più importanza con la nascita del Cristianesimo fino a giunge-re ai nostri giorni. In seguito gli studen-ti hanno assistito ad una presentazione

della storia del santuario dal punto di vista artistico e architettonico tenuta dal Prof. Censasorte, notando le differenze tra il vecchio e il nuovo santuario ed altri particolari che caratterizzano il luogo.Inoltre padre Roberto Facchinei ha dato agli studenti l’opportunità di osservare diversi libri risalenti al 1500, tra cui una

copia originale della Bib-bia di Borso d’Este.A metà mattina padre Francesco Di Feliciantonio ha coinvolto i ragazzi con riflessioni sul fondamento delle scelte etiche nella società odierna e sull’im-portanza del “bene” nelle vite dei giovani; lo stesso padre Francesco al ter-mine della mattinata ha guidato gli studenti nei luoghi più emblematici del santuario.

Grazie a quest’incontro i ragazzi han-no avuto l’occasione di arricchire il loro bagaglio culturale in un luogo diverso dall’ordinario ambiente scolastico e di apprezzare le ricchezze che il territorio abruzzese ha da offrire.

Noemi Cardelli

Pur assistendo increduli all’impor-tante ed ennesimo taglio che anche quest’anno il Miur ha effet-tuato ai fondi destinati all’attività

sportiva, costringendo molte scuole a limitare le attività sportive rivolte agli studenti, le attività di atletica, pallavo-lo, ginnastica proposte agli alunni han-no visto una partecipazione assidua e un impegno rilevante. Nella pallavolo la squadra ha superato la fase del girone

di eliminazione per l’accesso alla finale provinciale, nell’atletica i nostri studenti hanno ben figurato sia nelle gare di cor-sa campestre sia in quelle su pista. Per quanto riguarda la ginnastica, le alunne hanno mostrato un grande entusiasmo nell’approccio alle diverse offerte nel mondo del fitness come l’aerobica, lo step, i circuiti di tonificazione, il lavoro con gli elastici e i manubri. Inoltre all’i-nizio dell’anno scolastico molti studenti

hanno aderito al corso di Difesa Perso-nale con il desiderio di mettere in prati-ca almeno i rudimenti dell’autodifesa e anche ad un incontro con un’associazio-ne di paracadutismo che ha offerto loro l’occasione per conoscere un’attività spesso poco nota e spesso oggetto di luoghi comuni. Prof.ri Lucia Giannandrè, m. Gabriella

Salvatore, roberto Di Nicola

Quest’anno la redazione di Pegaso ha avuto modo di ampliare il bagaglio d’esperienza “assaggiando” un metodo più universitario, grazie alla disponibilità della prof.ssa Lucia Sciannella, docente di Diritto dei Media

di Scienze della Comuncazione e del prof. Andrea Sangiovanni, docente di Storia Contemporanea e Presidente del Corso di Lau-rea in Scienze della Comunicazione. Gli incontri si sono tenuti o

nella nostra scuola o in facoltà e abbiamo avuto la possibilità di esercitarci nella scrittura giornalistica e di fare domande sulla storia dei media. La collaborazione continuerà, molto probabil-mente, anche il prossimo anno, con l’intenzione di far partecipa-re la redazione ad attività organizzate dall’università, proiettan-doci così verso un’altra tappa del nostro percorso.

La redazione

Sa n Gabrie le

Sportiva mente a l Milli

La boratori u niversita ri

24

Attivamente... al Milli

Per l’articolo sulla moda abbiamo intervistato lo stilista teramano Filippo Flocco, che non ci ha solo guidato attraverso la moda degli ultimi 60 anni, ma ci ha anche raccontato un po’ di sé con mode-stia ed ironia. Ha cominciato a tagliare e cucire già da piccolo e si

è formato presso vari atelier, visto che ancora non c’erano vere e proprie scuole. Attualmente lavora per vari brand internazionali sostenuto da uno staff competente e poliedrico e vive tra Parigi e Teramo, che con-serva sempre un posto nel suo cuore nonostante abbia conosciuto città ben più ricche e stimolanti. Dalla nostra piacevole chiacchierata è emersa la grande passione che ancora lo anima ed è proprio quello che servirà anche a noi per raggiungere i nostri obiettivi.

La redazione

F ilippo F locco a l Milli

25

Ironicamente... al Milli

Dal

ila D

elli

Co

mp

agni

26

Caro Preside, non c’è nulla di più rumoroso del silen-

zio, il silenzio della sua assenza che ci lascia attoniti

e increduli. Se n’è andato di corsa, con il suo passo de-

ciso e la risolutezza di sempre, ma l’eco della sua voce

e del suo ricordo rimarrà sempre nei nostri cuori.

Prof. ssa Annalisa Di Gennaro

Mi mancheranno a lungo quei colloqui mattutini su un articolo o sul Suo ultimo libro, momenti pre-ziosi di comunione culturale e spirituale… Non mi resta che dire “Solo il GRAZIE e l’ONORE”.Prof. ssa Maria Donata Ricci

Ci sono episodi della vita che rimangono così impressi e vivi nella mente che quando ci ripensi sorridi e ti com-muovi al pensiero che il protagonista del fatto non c’è più. E’ quello che mi capita quando mi torna alla memoria la mia richiesta fatta al Preside di un permesso, incerto nel “quando”, per l’assistenza al parto di mia figlia. Curiosa la sua domanda, da cui traspariva la paura per una inde-siderata gravidanza “baby”: “Ma perchè… è incinta? Ma quanti anni ha?” - “quasi ventitrè, Preside” - “Aaah, ma allora è grande…” ed affettuosamente e teneramente si in-teressò del futuro genero e del fatto di diventare nonna così presto. Aveva un’ espressione da padre attento e preoccu-pato. Non l’ho più dimenticata.Prof.ssa Maria Gabriella Salvatore

“Sto andando in biblioteca! perchè sai, sono uno

storico ... questa è la mia passione!” e me lo disse

entusiasta lungo via Milli, i primi di marzo... aveva

una luce negli occhi, un brio che mi colpì.

Un’ altra la pronunciò dopo l’ultimo collegio, sempre

incontrandolo in strada: “...hai visto che bel collegio?

hanno applaudito tutti!” Prof.ssa Monica Pezzoli

Amatissimo Preside,oggi ha combattuto la Sua battaglia più importante e, nonostante tutto, ha vinto. Nel nostro pensiero rimarrà, infatti, l’im-pronta forte del Suo insegnamento, che ci ha aiu-tato a costruire il nostro liceo come un gioiello di preziosa fattura. Sappiamo anche che Lei non ci ha mai lasciato davvero e che, dall’alto, ci proteg-gerà sempre. Noi la conserveremo nel cuore no-nostante ora ci sembri che questo lutto non debba finire e l’affetto che noi proviamo non potrà mai essere cancellato dal tempo.Prof.ssa Angela Panaccione

Un abbraccio inconsueto e inaspettato e poche pa-

role: “Lucia come stai? Tutto bene? Tuo marito? Ve-

drai, vedrai, andrà sempre meglio!”Prof.ssa Lucia Giannandrè

Merci pour l’enseignement de la RigueurProf.ssa Martine Foucaud

Caro Preside, sentiamo una grande mancanza ma non un vuoto:

la sua eredità resterà un patrimonio per tutti noi. Carolina e Nicoletta

Cia o Preside...

27

Vogliamo dedicare questo pensiero al nostro Presi-de per la sua improvvisa scomparsa che ci ha toc-cati profondamente. E’ difficile esprimere il dolore e il vuoto che ha lasciato in così poco tempo: siamo tristi nel cuore ma gioiosi nella Fede. È stato per noi una sicura guida nella vita scolastica, ma so-prattutto nella vita quotidiana; attraverso la sua fermezza ci ha trasmesso saldi valori che soprav-viveranno per sempre in noi. Di lui ricorderemo la sua laboriosità, il suo continuo studio e soprattutto la sua presenza e attenzione all’interno della scuo-la. Noi, che abbiamo avuto il piacere di conoscere tutte le sue qualità, la sua forza, la sua gioia di vi-vere, proprio per la riconoscenza e il rispetto che gli dobbiamo, cercheremo di fare un modello del suo incancellabile ricordo. Un’ altra stella è salita in cielo, è festa nella casa del Padre, un altro ange-lo è entrato a far parte della sua schiera. Da lassù proteggerà la sua famiglia, la sua e nostra amata scuola. Rimarrà per sempre nei nostri cuori, gli vo-gliamo bene.Arrivederci Preside!

IV B Scienze Umane

Il nostro Preside era un uomo che amava la sua scuola

e i suoi studenti, che faceva di tutto per portare in alto

il nome del suo Milli e, senza ombra di dubbio, ci è riu-

scito pienamente. Perché, se il nostro istituto ha guada-

gnato la reputazione che ha oggi, gran parte del merito

va sicuramente a lui, la mente del Milli, un uomo ri-

spettato da tutti, sempre ricco di idee e davvero disponi-

bile nei confronti dei suoi studenti, che erano per lui un

po’ come dei figli.

Era anche un grande appassionato della ricerca e della

storia, come dimostrano le innumerevoli iniziative da

lui organizzate nel corso degli anni, che hanno contri-

buito ad arricchire ulteriormente il bagaglio culturale

dei ragazzi della nostra scuola.

Ciao Preside, sappia che i giovani che hanno avuto il

piacere e l’onore di incrociare la sua strada non la di-

menticheranno mai, pronunceranno sempre il suo

nome con grande orgoglio.Davide Lupacchini 5B Linguistico

Ho sempre creduto che ogni sognatore abbia un porto sicuro e che a volte, magari durante una tempesta, senta il bisogno di tornare tra quelle conosciute navi. Le ricorda tutte. Quella che non usciva mai dal porto, quella di quel famoso marinaio, quella che aveva il legno che profumava di avventura o quella rimasta per troppo tempo senza vele...Ognuna diversa e con diverso valore, ma erano tutte piene d’orgoglio alla sua partenza e sono sempre lì, pronte ad accoglierlo al suo ritorno. Ciao preside.....la tua nave avrà sempre un posto nel mio porto.

Eleonora Luciani

Con questa breve lettera, vorremmo esprimere i più

sentiti ringraziamenti al nostro caro Preside, che si è

sempre dimostrato una persona cordiale e comprensiva

con noi alunni, pronto a risolvere qualsiasi problema si

fosse presentato nella nostra scuola. Siamo addolorati

per la sua scomparsa, ma dobbiamo ricordarlo sempre

con il sorriso che aveva nel compiere il suo lavoro, svolto

con amore e dedizione. Per quanto possa essere doloroso

il vuoto lasciato, adesso si trova sicuramente in un posto

migliore. Un caloroso e immenso abbraccio dai ragazzi

della 3°A del liceo linguistico. III A L

Isabel Allende ha detto: “Silenzio prima di nascere, silenzio dopo la morte, la vita è puro rumore fra due insondabili silenzi.” E davanti a un muro di silenzio ci schiantiamo oggi, privi di parole anche noi. Sembra così incongruo ritrovarci di colpo immersi nella totale assenza di suoni. Attoniti, riandiamo con la memoria al confortevole rumore che ci ha cul-lati per tanti anni. Era diventato scontato, come una parte immancabile di noi. Qualche volta, quando abbiamo tutti i giorni davanti una persona che lavora, la sua identità e il suo mestiere diventano un tutt’uno, l’uomo si confonde col ruolo, lo si pensa indefinitamente presente, non lo si guarda con attenzione, ci si dimentica della sua umana fragilità. E questo ci lascia ancora più storditi, adesso. Preside, lei c’era e basta.Impossibile pensare al Milli senza pensare a lei come se fosse parte integrante di quei muri, delle piccole tradizioni che strappavano un sorriso come quel caffè che spesso alle undici del mattino sottraeva le vicepresidi dalle nostre classi, o quell’ attenzione per i dettagli storici e burocratici che a volte ci faceva scuotere la testa con un sorriso metà divertito e metà ammirato. In questo momento la scuola fa silenzio, stordita anche lei. Eppure, anche i muri imparano certe cose. Le pareti che tanto amava conoscono l’esatta geografia della sua vita, e sono state permeabili, ora trattengono per sempre il suo ricordo. Anche noi studenti, che quelle mura le abbiamo imbrattate e percosse, amate e detestate, anche noi siamo incapaci di dimenticare. Di dimenticarla. Adesso per noi, preside, lei è parte di quella stessa storia che amava tanto, quella stessa scuola a cui ha dato tutto.

Alessia D’Andrea

Ale

ssia

D’A

ndre

a

Molti hanno parlato di Giovanni Di Giannatale nelle vesti di Preside, molti altri nelle vesti di un bravo cristiano devoto e molti altri ancora nelle vesti di un caro amico. Io ora, invece, a nome mio e di mia sorella, vorrei parlare di lui nelle vesti di padre, sebbene la riservatezza sia una delle mie caratteristiche da lui ereditate. Di nostro padre posso di certo dire che nessuna persona al mondo ci ha dato amore più di lui e ciò era così evidente che chiunque lo poteva percepire, dall’orgoglio nei suoi occhi quando ci guardava alla voce che cambiava tono quando parlava di noi. Ci ha insegnato che la famiglia è unità, è affetto, è casa. Ci ha insegnato che nella vita le cose si guadagnano con fatica, che l’onestà è fondamentale, che l’umiltà è basilare ed il rispetto essenziale. Ci ha insegnato che la determinazione è fondamenta delle più grandi soddisfazioni e che anche nelle piccole cose si possono riscontrare grandi traguardi. Ebbene sì, perché lui era il nostro più grande fan. I suoi incoraggiamenti ed i suoi preziosi consigli ci hanno guidate e supportate nei momenti più difficili. Attraverso la ricchezza dei valori che ci ha trasmesso vive dentro noi. Tutto il nostro amore e la nostra riconoscenza ad un grande padre.

Benedetta e Giorgia Di Giannatale