Musicoterapia per l'Inclusione - innobrain.it · 1 INTRODUZIONE MUSICA INSIEME - Musicoterapia per...

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Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles MUSICA INSIEME Musicoterapia per l’inclusione Scuola di Specializzazione: Musicoterapia Relatore: Dott.ssa Frison Roberta Contesto di Project Work: Scuola Secondaria di Primo Grado e Primaria Tesista Specializzando: Rossi Lanzoni Elisa Anno di corso: Secondo Modena: 3 settembre 2017 Anno Accademico: 2016/2017

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Istituto MEME

associato a

Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles

MUSICA INSIEME Musicoterapia per l’inclusione

Scuola di Specializzazione: Musicoterapia Relatore: Dott.ssa Frison Roberta

Contesto di Project Work: Scuola Secondaria di Primo Grado e Primaria

Tesista Specializzando: Rossi Lanzoni Elisa Anno di corso: Secondo

Modena: 3 settembre 2017 Anno Accademico: 2016/2017

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“Il fatto di aver trascurato i diritti del bambino, Di averlo tormentato e distrutto,

Di continuare ad ignorare il suo valore, Il suo potere e la sua natura,

Dovrebbe suscitare la più veemente Reazione dell’umanità”

M. Montessori

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Indice dei contenuti 1 Introduzione ................................................................................................................ 4

2 Le fasi di sviluppo del bambino ……..……………………………….……..……… 5

2.1 Jeant Piaget ………………………...………………………………………………. 5

2.2 Lev Vygotskij …………………………………………………...……………........ 10

2.3 Jerome Bruner ………………….…………………………………………….…… 13

3 Il gioco ……………………………..…………………………….…………….…… 17

4 Disabilità e psicopatologie ………………………………………….…….……….. 22

4.1 Disabilità Intellettiva ……………………………………………………….…….. 22

4.2 Disturbo dello spettro autistico …………………………………………….……... 25

5 Dall’esclusione all’inclusione nella scuola ………………………………….……. 28

6 Il progetto “Musica Insieme” …………………………………………………..... 37

6.1 Obiettivi ………………………………………………………………...………… 37

6.2 Tecniche …………………………………………………………………...……… 38

6.3 Materiali …………………………………………………………………………... 39

6.4 Setting …………………………………………………………………...………... 40

6.5 Metodi ……………………………………………………………...……………... 41

6.6 Incontri ……………………………………………………………………………. 44

7 Conclusione ……………………………………………………………..…………. 93

8 Bibliografia .………………………………………………………….…………..… 94

9 Sitografia ……………………………………………………………………..……. 95

10 Discografia ……………………………………………………….………..……… 95

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1 INTRODUZIONE

MUSICA INSIEME - Musicoterapia per l’inclusione, è il progetto che abbiamo sviluppato all’interno dell’Istituto Comprensivo 1 di Modena. Un percorso di musicoterapia, centrato sull’incontro, l’ascolto, il movimento, il gioco e la musica, promuovendo momenti di inclusione tra i bambini e i ragazzi del comprensivo. Gli obiettivi principali del progetto, sono stati definiti sulla base delle esigenze dei bambini e dei ragazzi, si sono concentrati su tre aree della persona:

l’area cognitiva, lo sviluppo/potenziamento della memoria e attenzione, l’imitazione e la concentrazione;

l’area motoria, come l’acquisizione di abilità ritmiche attraverso il movimento e uso degli strumenti;

l’area sociale, cercando di contribuire al miglioramento della socializzazione e l’interazione, creando momenti di attività a gruppi misti con i bambini della scuola.

Obiettivi che prendono in considerazione l’intera persona, vista da un punto di vista bio-psico-sociale, prendendo in considerazione tutti gli aspetti presenti, quindi sia quelli cognitivi, quelli motori e infine quelli sociali. La musica è stata utilizzata non come un fine ma come uno strumento, in quanto rende il bambino partecipe e protagonista, ed è proprio l’aspetto dell’attività e non della passività che lo rende capace di assimilare e trasformare questa esperienza in una propria abilità. Per raggiungere gli obiettivi del progetto sono state utilizzate numerose tecniche, differenti tra loro, come l’utilizzo di diversi oggetti, tra cui strumenti a percussione e foulard colorati. Si è preso spunto da diversi metodi, attingendo da ognuno di loro per poterne estrapolare ed utilizzare gli aspetti più funzionali e utili per lo svolgimento dell’attività. Alla fine di questo percorso sia i bambini e i ragazzi con disabilità, sia i loro compagni coinvolti si sono esibiti tutti insieme in una performance, il 24 maggio 2017, presso la scuola primaria Giovanni XXIII di Modena alla presenza dei genitori ed insegnanti.

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2 LE FASI DI SVILUPPO DEL BAMBINO 2.1 Jeant Piaget Uno degli studiosi che si è occupato dello sviluppo cognitivo dei bambini è Jeant Piaget. Piaget è stato tra i fondatori della psicologia genetica, ovvero quella branca della psicologia che indaga lo sviluppo psichico del periodo infantile e adolescenziale con lo scopo di avere una migliore comprensione della mente adulta. Piaget ha elaborato una teoria stadiale abbastanza fissa e strutturata in cui spiega la genesi dell’intelligenza nel bambino attraverso il modo in cui il soggetto viene in contatto con l’ambiente fisico. Lo studioso ha rivolto il suo interesse non tanto alle risposte giuste delle varie prove finalizzate alla misurazione dell’intelligenza, bensì a quelle errate, per scoprire i meccanismi qualitativi che sono alla base del funzionamento della mente. Piaget parte dall’ipotesi che l’intelligenza sia di natura biologica e che sia una forma di adattamento all’ambiente. Conoscere la natura dell’intelligenza significa saperne individuare l’origine e gli sviluppi. “L’intelligenza è una forma evoluta e complessa di adattamento, attraverso cui l’uomo conosce l’ambiente e interviene attivamente su di esso per modificarlo.”1 Per questo, Piaget ha una concezione attiva della conoscenza nel senso che, il bambino costruisce attivamente il suo sapere attraverso l’esperienza e il contatto diretto con l’ambiente. L’adattamento è un processo che prevede continui cambiamenti, in quanto l’esperienza pone al bambino bisogni nuovi da soddisfare e problemi nuovi da risolvere. Lo sviluppo e l’emergere della conoscenza avvengono tramite tre processi distinti ma complementari: Gli Schemi, l’assimilazione e l’accomodamento. Gli schemi “sono strategie messe in atto dal soggetto per conoscere il mondo e agire su di esso.”2 Essi possono essere delle semplici azioni, come il muovere o scuotere un oggetto, ma possono essere anche operazioni più complesse, come il raggruppare per categorie. L’assimilazione è quel processo in cui si fa esperienza della realtà esterna attraverso schemi o concetti già in nostro possesso, essa viene poi incorporata negli schemi mentali già presenti nel bambino, schemi che sono pronti per accogliere questi nuovi dati. Quando tuttavia questi schemi si rivelano inadeguati per la comprensione dei dati esterni, avviene una ristrutturazione cognitiva che porta ad un cambiamento e ad un miglioramento degli schemi mentali. Questo miglioramento viene definito accomodamento, ovvero la modificazione degli schemi e dei concetti derivanti dalle nuove esperienze che forniscono ulteriori informazioni, per cui lo schema o il concetto viene modificato. Questi tre processi si sviluppano nella crescita del bambino ma rimangono immutati e agiscono anche nella vita da adulti.

1 Luigi D’Isa, “Psicologia generale, evolutiva e sociale, temi-teorie-applicazioni”, Edizione Hoepli, 2013,

p. 93. 2 Luigi D’Isa, Franca Foschini, “I percorsi della mente, elementi di psicologia, sociologia e statistica”,

Edizione Hoepli, 2012, p. 201.

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L’adattamento rappresenta un equilibrio tra l’assimilazione e l’accomodamento, il bambino impara ed agisce attraverso entrambi questi processi. Un altro aspetto importante è l’organizzazione che consiste nella struttura assunta dalle strategie mentali nel progressivo adattamento alla realtà. L’organizzazione rappresenta un accordo del pensiero con sé stesso, in quanto la mente si riorganizza poiché deve modificare gli schemi che sono una rappresentazione mentale, una strategia e un modello di organizzazione del comportamento. Lo sviluppo mentale consiste quindi in una progressiva organizzazione di strategie sempre più complesse che consentono di adattarsi in modo più preciso alla realtà. Piaget, sostiene che nel corso dello sviluppo sono presenti degli stadi, di natura più o meno ampia in cui l’organizzazione mentale del bambino compie del “salti di qualità” nelle capacità di adattamento alla realtà. Innanzitutto è necessario specificare che gli stadi secondo Piaget, seguono una sequenza invariante, sono universali e ciascuno di essi raccoglie i frutti di quello precedente e getta i semi di quello futuro. Ciascun stadio di sviluppo prevede una particolare forma di organizzazione psicologica, con proprie conoscenze e interpretazione della realtà, essi sono qualitativamente diversi dal precedente e presentano forme e regole proprie. Piaget individua quattro stadi di sviluppo nel bambino, a cui corrispondono forme più evolute di adattamento: stadio sensomotorio, stadio preoperatorio, stadio delle operazioni concrete e stadio delle operazioni formali. Stadio sensomotorio Questo primo stadio va dalla nascita ai due anni circa del bambino che comincia a conoscere la realtà attorno a sé grazie ad azioni manifeste e fisiche che esercita sull’ambiente, utilizzando schemi basati sulla percezione e sul movimento. Inizialmente il neonato nei primi mesi di vita si avvia alla scoperta della realtà tramite i riflessi, ovvero risposte fisse attivate da stimoli particolari, ad esempio il riflesso di suzione e il riflesso di prensione. Una volta che essi sono stati avviati il bambino gradualmente li modifica e li affina, per far fronte anche alle necessità fisiologiche. Successivamente il bambino comincia a sviluppare le reazioni circolari (da 1 a 4 mesi), che sono movimenti che vengono sperimentati inizialmente in modo casuale e diventano via via sempre più intenzionali, in quanto tramite essi il bambino scopre piacevoli rinforzi. Per caso infatti il bambino può scoprire, dopo aver compiuto certe esperienze motorie piacevoli sensazioni sul proprio corpo: ecco allora che questi movimenti vengono ripetuti e diventano circolari. Queste reazioni che avvengono nei primi mesi di vita sono dette primarie, perché riguardano risposte centrate interamente sul corpo del bambino. Dai 4 agli 8 mesi il bambino sviluppa queste reazioni circolari che da primarie diventano secondarie; queste sono sequenze di azioni che non sono più dirette solo sul corpo del bambino ma riguardano scoperte interessanti nel mondo circostante. Proseguendo nella sua crescita (dagli 8 ai 12 mesi), il bambino giunge a combinare i suoi schemi in modo complesso; in particolare in questa fase sorgono le capacità di pianificazione ed intenzionalità che permettono all’infante di coordinare più schemi in vista di un fine. Un’importante acquisizione di questo periodo è la capacità di coordinare gli schemi della visione e della prensione, che consente al bambino di afferrare gli oggetti visti e di portare davanti agli occhi gli oggetti afferrati. In questo modo l’azione diventa

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pienamente intenzionale. Tra i 12 e i 18 mesi, il bambino si comporta come uno scienziato che sperimenta in modo attivo le potenzialità dell’ambiente circostante; è incuriosito da ogni tipo di oggetto e ne cerca di scoprire le potenzialità, espande i propri comportamenti e le proprie esplorazioni per prove ed errori arrivando così alla scoperta di nuovi mezzi per arrivare a certi fini. Il bambino imita sistematicamente gesti che per lui risultano essere nuovi, anche quelli che corrispondono a parti del suo corpo che non riesce a vedere. La comunicazione si è notevolmente affinata, infatti, il lattante indica gli oggetti, ma non capisce il gesto di indicare fatto da altre persone, egli inoltre utilizza anche alcune parole primitive ascoltate dall’adulto oppure inventate. Infine il bambino dai 18 ai 24 mesi, comincia a conoscere e a sperimentare il mondo in modo “sotterraneo”; l’esplorazione dell’ambiente che fino a quel momento è stata esterna e manifesta ora diventa mentale ed interna. Il bambino infatti comincia a rappresentare la realtà in modo simbolico. Una delle acquisizioni più importanti del periodo sensomotorio è la nozione di oggetto permanente: l’oggetto continua ad esistere anche quando non si può vederlo, udirlo o sentirlo. Il pensiero rappresentativo permette al bambino di tenere conto degli spostamenti invisibili degli oggetti e questo consolida l’idea della loro permanenza. Inoltre il pensiero rappresentativo permette l’imitazione differita, cioè l’imitazione di azioni a distanza di tempo. L’intelligenza rappresentativa rende possibile l’uso dei simboli, e l’attività simbolica più importante è l’uso del linguaggio in cui le singole parole e le loro combinazioni si riferiscono a cose o ad azioni e permettono di evocare oggetti, persone e azioni che non sono presenti. La prima attività ludica del periodo sensomotorio è il gioco di esercizio, dove il bambino si diverte a ripetere delle azioni per il puro gusto di farlo, nel contempo si mette alla prova e osserva il risultato delle proprie azioni, diventando sempre più abile. Con il pensiero rappresentativo compare il gioco simbolico con cui il bambino imita gli adulti mediante azioni simboliche, anche se i primi giochi simbolici si limitano ad azioni molto semplici. Stadio preoperatorio Questo secondo stadio va dai 2 ai 7 anni e viene chiamato così da Piaget poiché il bambino pur avvalendosi dell’immaginazione, non sa compiere operazioni ed azioni mentali reversibili. Questo stadio prevede degli importanti sviluppi sul piano della cognizione e dell’intelligenza. In questo stadio i bambini ricostruiscono le nozioni già apprese di oggetto, relazione, casualità, spazio e tempo in una struttura più organizzata grazie allo sviluppo della capacità di rappresentazione mentale. Le rappresentazioni mentali sono rese possibili dal raggiungimento della funzione semiotica, l’abilità di utilizzare un’oggetto, una parola, un gesto, un’immagine mentale o una situazione al posto di un altro; Si può usare un significante che si riferisce ad un significato. Il pensiero rappresentativo offre al bambino più possibilità e operazioni mentali più sofisticate: è più flessibile e più veloce, in quanto permette al bambino di ricombinare diverse sue esperienze e di riproporle in modo più originale e può avere a che fare con il passato, il presente e il futuro. Nonostante la capacità rappresentativa sia un’acquisizione importante rispetto al periodo precedente, essa non è ancora pienamente matura in questo periodo in cui è intenta a rafforzarsi e a consolidarsi attraverso l’esperienza dell’ambiente.

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Il pensiero rappresentativo si affina sempre di più, il bambino riesce ad immaginare diverse sequenze di azioni in vista dei propri scopi e riesce a risolvere problemi sempre più complessi; inoltre con l’acquisizione del linguaggio verbale, il bambino potenzia la comunicazione e apprende nuovi concetti. Quando adopera il linguaggio per riferirsi ad oggetti, persone o situazioni assenti, il bambino mostra di saper utilizzare schemi verbali per designare una realtà che si rappresenta mentalmente, che però sono schemi isolati, pensati uno alla volta. Il gioco tipico di questo periodo è il gioco simbolico con cui il bambino imita le attività degli adulti. Con il gioco simbolico il bambino tratta gli oggetti come se fossero qualcosa di diverso, così una scopa può diventare un cavallino o un treno. Essendo molto complesso il mondo degli adulti, il bambino cerca di adattarlo a sé stesso assimilandolo ai propri schemi e ai propri desideri, così oggetti semplici diventano simboli di realtà complesse. Il gioco simbolico ha anche una funzione catartica, ovvero una funzione di liberazione, in cui il bambino può liberarsi dalle emozioni negative e spiacevoli che ha vissuto proiettandole sull’oggetto del gioco. A partire dal gioco simbolico si sviluppa il gioco di costruzione che è considerato da Piaget un’attività che fa da tramite tra il gioco fine a sé stesso e le attività che hanno uno scopo pratico, infatti il bambino cerca di oltrepassare il piano della fantasia per creare e realizzare qualcosa di concreto. Quattro caratteristiche molto importanti del pensiero preoperatorio sono: l’egocentrismo, la rigidità di pensiero, il ragionamento semilogico e la cognizione sociale limitata. L’egocentrismo non è da intendersi come un aspetto con un’accezione negativa ma si riferisce alla tendenza del bambino a percepire e ad interpretare il mondo secondo il proprio punto di vista, in quanto ancora incapace di mettersi nei panni altrui. A causa dell’egocentrismo, il bambino tende a confondere la propria esperienza interiore con il mondo esterno e questo aspetto del pensiero infantile viene chiamato “animismo”; il bambino tende a vedere gli oggetti come viventi e dotate di intenzionalità. Collegata all’egocentrismo è la rigidità di pensiero, caratteristica che rende la lettura della realtà del bambino fissa e centrata; egli tende infatti a concentrare la propria attenzione solo su certe caratteristiche di un oggetto o di un evento, trascurando le altre, inoltre vi è la tendenza dell’analisi della realtà a focalizzarsi maggiormente sugli stati e sull’apparenza, piuttosto che sulla realtà. Il ragionamento semi logico caratteristico di questa fase conferisce al bambino pensieri semplici e legati tra loro in modo illogico talvolta secondo delle prospettive di “magismo”. Come ultimo aspetto le relazioni sociali di questo specifico stadio sono alquanto limitate e influenzate dall’egocentrismo del bambino e dalla lettura delle proprie esperienze personali, naturalmente svolta secondo i precedenti criteri della rigidità e della semilogicità. Inoltre limitato appare pure il giudizio morale dei bambini di questa età in quanto essi giudicano la scorrettezza di un atto in base a variabili esterne, come la gravità del danno o la punizione inferta piuttosto che sulle variabili interne, come le intenzioni personali.

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Periodo delle operazioni concrete Questo terzo periodo va dai 7 agli 11 anni circa e presenta notevoli progressi rispetto al periodo precedente, è in questa fase infatti che le relazioni, le funzioni, le entità e le identità sperimentate nel periodo precedente si trasformano in operazioni. Le rappresentazioni mentali costruitesi nella precedente fase ora non sono più isolate e senza relazione, ma si assemblano e si relazionano manipolando gli oggetti di pensiero e gli schemi mentali per arrivare a delle conclusioni logiche più formali. In questo stadio il bambino sa compiere operazioni mentali reversibili, in quanto riesce a mettere in relazione con il pensiero più azioni e riesce a ricostruire all’inverso i processi mentali messi in atto. Le nuove capacità operative permettono al bambino di compiere più classificazioni contemporaneamente e di variare intenzionalmente il modo di classificare gli oggetti. La capacità di compiere operazioni mentali reversibili permette al bambino di comprendere l’idea di serie. Grazie a queste nuove capacità il bambino è in grado di capire il concetto di numero ed imparare a contare e a compiere le operazioni aritmetiche. Un’acquisizione importante in questo periodo è la capacità di conservazione delle proprietà fisiche di un certo oggetto, perché permette di dare una certa stabilità al mondo fisico conosciuto, e che può essere sondata attraverso dei compiti di conservazione (ad esempio il famoso compito della conservazione della quantità dei liquidi). Piaget concentra molto il suo interesse su questa capacità, perché attraverso la sua analisi si può sondare la presenza o l’assenza delle operazioni mentali complesse: essa è quindi come uno strumento diagnostico che verifica le strutture cognitive. Il pensiero comincia a decentrarsi e a diventare dinamico e reversibile; il mondo infatti comincia ad essere visto secondo un’ottica logica e prevedibile che può essere studiato attraverso delle operazioni mentali più complesse e razionali. Tuttavia queste operazioni sono ancora “concrete” in quanto possono essere applicate solo ad oggetti fisici e visibili sia che essi siano presenti oppure rappresentati mentalmente. Anche la sfera sociale in questa fase si sviluppa e il bambino smussa via via il suo approccio egocentrico al rapporto con gli altri, comincia infatti a prendere in considerazione le intenzioni e i sentimenti altrui pur mostrando ancora alcune difficoltà. Il gioco di regole caratterizza il periodo delle operazioni concrete, è un tipo di gioco in cui i bambini mettono alla prova le loro abilità, seguendo delle regole precise che tutti sono tenuti a rispettare. Le regole del gioco devono essere comprese, condivise e accettate da tutti i partecipanti al gioco. I bambini di sette anni riescono a rispettare le regole ma si oppongono se qualcuno propone di modificare il gioco con una nuova regola, mentre i bambini più grandi riescono a capire che una regola del gioco può essere modificata, in quanto capiscono che essa è di accordo tra i giocatori. Il gioco di regole favorisce la socializzazione tra i bambini e pone le basi della comprensione delle regole morali. Il presupposto del comportamento morale è costituito dal fatto che le regole sono valide solo se comprese e accettate da tutti. L’esperienza all’interno del gruppo degli amici consolida una nuova idea dell’autorità, le regole non sono più qualcosa d’imposto dall’esterno, ma il risultato di un accordo.

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Stadio delle operazioni formali Durante l’ultimo stadio che va dagli 11 ai 15 anni, il pensiero del bambino diventa veramente logico, astratto e ipotetico. Le operazioni mentali sviluppate in questo periodo non sono più applicate solo sulla realtà tangibile ma anche su eventi, situazioni e pensieri astratti che il bambino vive tutti i giorni. Grazie allo sviluppo di questo pensiero complesso il bambino riesce a lavorare e ad analizzare i dati esperienziali e a utilizzarli per indagarne le relazioni logiche e per generare ipotesi. Il pensiero diventa finalmente formale e scientifico, e permette al bambino di analizzare gli eventi della realtà e conseguentemente generare ipotesi e prepararsi all’azione. Proseguendo il cammino avviato nello stadio precedente il bambino sviluppa sempre di più le proprie capacità logico matematiche arrivando a risolvere vari problemi e compiti in questo ambito. Un altro aspetto molto importante di questo ultimo stadio è la capacità di immaginare e progettare il futuro e di ragionare sulla propria identità, egli infatti può sperimentare alcuni ruoli sociali e lavorativi allo stesso modo in cui sperimenta con ipotesi eventi fisici; al contempo la capacità sociale si dispiega completamente in quanto l’adolescente è in grado di relazionarsi in modo corretto con gli altri e di lasciare spazio ai pensieri e alle emozioni altrui. Il pensiero non smette di svilupparsi con l’età adolescenziale ma continua ad affinare le proprie strutture cognitive e i propri schemi anche nell’età adulta creando così un unico sistema di pensiero rigorosamente organizzato. 2.2 Lev Semenovic Vygotskij Un altro psicologo che ha studiato lo sviluppo dell’intelligenza e della psiche nel bambino è stato lo psicologo russo Lev Semenovic Vygotskiy; egli lo ha fatto discostandosi dalla visione biologica e isolata dello sviluppo data da Piaget e approdando ad un approccio sostanzialmente diverso che considera ampiamente il peso delle variabili culturali e sociali nella genesi dell’intelligenza del bambino. Lo studioso, sotto l’influenza filosofica e sociologica di Karl Marx, dà origine ad un indirizzo di ricerca chiamato scuola storico-culturale; secondo gli psicologi di questa scuola, l’intelligenza, anche se ha una natura organica ed è un prodotto dell’evoluzione biologica, può essere compresa tenendo conto dei fattori storici, culturali e sociali che ne determinano le attuali caratteristiche. Gli studiosi della scuola storico-culturale affermano che i fenomeni psicologici abbiamo un’origine sociale, infatti secondo loro l’uomo realizza la vita attraverso l’attività lavorativa che richiede l’uso di strumenti, ed è proprio grazie a questi strumenti che l’uomo si differenzia dalle altre specie. Gli psicologi socioculturali considerano il bambino in un contesto, che prende parte ad un evento, non concentrandosi sull’idea del bambino piagetiano, che veniva visto come un individuo singolo. Il contesto si riferisce sia alla cultura più ampia in cui i bambini vivono sia ai suoi effetti nel contesto immediato, il bambino infatti non viene considerato come un organismo universale e costante che opera nel vuoto poiché la mente risulta essere di natura sociale.

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Nella prospettiva socio-culturale lo sviluppo del bambino dipende in ampia misura dal contesto storico e socioculturale in cui vive e da come viene messo in grado di padroneggiare gli strumenti della propria cultura. “L’animale agisce sull’ambiente circostante in modo diretto, l’uomo in modo mediato attraverso gli strumenti del proprio lavoro.”3 L’uomo in quanto essere dotato di capacità intellettive e razionalità si differenzia dagli altri animali; mentre infatti questi conoscono la realtà in modo diretto e relativamente passivo l’uomo nel corso della storia ha imparano ad agire sulla realtà in modo attivo e concreto creando e realizzando oggetti e strumenti che caratterizzano il patrimonio tecnico, simbolico e culturale dell’umanità. Questi strumenti vengono chiamati da Vigotskiy segni; essi sono il linguaggio verbale, i disegni, la notazione numerica, le mappe, la scrittura e tutti gli altri simboli culturali che danno origine a nuove forme di comunicazione e a nuove modalità di pensiero È bene sottolineare che i segni sono specifici per ogni cultura e che essi modificano ampiamente lo sviluppo, gli schemi di pensiero e la mentalità dei soggetti appartenenti a quella cultura. Il lavoro è un’attività collettiva che richiede collaborazione e comunicazione, l’uomo per poter comunicare ha creato degli speciali strumenti che vengono definiti segni. Questi segni sono stati inizialmente destinati a comunicare con le altre persone, poi sono stati utilizzati dall’uomo anche per comunicare con sé stesso dando origine alla comunicazione intrapsichica e quindi al pensiero. L’ambiente sociale fornisce i simboli e gli strumenti che permettono all’individuo di trasformare le potenzialità in capacità; con l’utilizzo dei segni cambiano la percezione, l’attenzione, la memoria e il ragionamento. Anche il bambino durante il suo sviluppo, scopre l’uso dei simboli, che vengono utilizzati come prima cosa per comunicare con gli altri ma poi vengono interiorizzati e utilizzati per parlare con sé stesso. Tra tutti i sistemi simbolici il linguaggio verbale ha un ruolo prevalente, infatti secondo Vygotskij i processi mentali più complessi sono molto influenzati dall’acquisizione del linguaggio, ed è questo che permette al bambino di organizzare la realtà secondo concetti generali o concetti scientifici. Secondo Vygotskiy le funzioni psichiche superiori come il ragionamento non potrebbero svilupparsi senza la presenza del linguaggio verbale. Per questo motivo secondo Vygotskij, è necessario che il bambino partecipi a esperienze comuni con altri bambini e adulti, immerso nei simboli e nei segni e nel linguaggio della propria cultura, poiché è proprio quest’ultimo che serve a dare ordine e logicità a tali esperienze. Secondo lo studioso il linguaggio verbale non è solo uno strumento che gli esseri umani usano per comunicare, ma è anche uno strumento per organizzare e comprendere la realtà. Lo studioso pensa che il fenomeno del linguaggio egocentrico vada interpretato non come un limite della vita sociale infantile, come crede Piaget, poiché quando il bambino utilizza il linguaggio egocentrico è perché sta pensando ad alta voce e solo successivamente imparerà a pensare silenziosamente attraverso il linguaggio interiore. Secondo Vigotskij il linguaggio nasce come linguaggio sociale, la sua funzione primaria è la comunicazione, il contatto sociale, solo con il passare del tempo esso diventa uno 3 Luigi D’Isa, “Psicologia generale, evolutiva e sociale, temi-teorie-applicazioni”, Edizione Hoepli, 2013,

p. 112.

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strumento del pensiero individuale, ossia il mezzo attraverso il quale esprimere pensieri. Fino all’età di tre anni è soprattutto l’adulto che, attraverso le sue parole, orienta i pensieri e le azioni del bambino, a partire dai tre anni fino ai quattro-sei circa, al linguaggio esterno dell’adulto si sostituisce il linguaggio egocentrico ad alta voce. In una fase successiva, che va dai quattro-sei per completarsi ai sette anni, il linguaggio egocentrico viene interiorizzato. Lo sviluppo mentale del bambino può essere determinato riferendosi ai due livelli: il livello di sviluppo effettivo e l’area di sviluppo potenziale. Il primo si caratterizza in un compito che il bambino è in grado di fare autonomamente e la seconda, invece, riguarda obiettivi cognitivi raggiungibili in un vicino futuro. Possiamo dire che Vigotskiy si concentra maggiormente su ciò che il bambino “sarà capace di fare” grazie all’aiuto di un adulto che lo sostiene e lo giuda; per questo lo studioso arriva a concettualizzare la zona di sviluppo prossimale. La zona di sviluppo prossimale, definisce la distanza tra il livello di sviluppo effettivo e il livello di sviluppo potenziale, consente cioè di valutare la differenza tra il livello dei compiti eseguibili in modo autonomo e con l’aiuto di un adulto competente. Il bambino, quindi può, risolvere grazie alla guida di un esperto, problemi e compiti che non sa ancora risolvere da solo ma che diventeranno presto parte delle sue abilità individuali. La nuova abilità o il nuovo compito devono essere comprensibili al bambino, benché egli non li sappia ancora padroneggiare autonomamente. L’adulto fornisce il supporto necessario affinché il bambino diventi capace di produrre abilità che sono ancora a livello potenziale. Se il bambino nel tempo dimostra di saper fare da solo quello che precedentemente era in grado di fare soltanto con la guida dell’adulto, dimostra che l’abilità è stata interiorizzata. Gli insegnanti e gli educatori possono modulare il proprio intervento, differenziando la quantità di supporto necessario in funzione della velocità di apprendimento degli allievi; infatti bambini con lo stesso livello di sviluppo effettivo ma che dispongono di una zona di sviluppo prossimale più o meno ampia, possono ricavare un vantaggio diverso dall’insegnamento. L’attività dell’insegnamento, quindi, non deve tenere conto solo dello sviluppo già avvenuto, ma deve considerare anche l’area di sviluppo potenziale; l’unico insegnamento valido, infatti, è quello che percorre lo sviluppo. Secondo la scuola storico-culturale, le funzioni psichiche complesse compaiono due volte nello sviluppo del bambino; la prima volta nelle attività collettive e sociali e successivamente esse vengono interiorizzate e il pensiero e il linguaggio si presentano nel bambino come attività interne. Le ricerche sullo sviluppo potenziale confermano questa ipotesi teorica, esse infatti, pongono l’accento sull’interazione tra il bambino e l’insegnante, sull’importanza della dimostrazione, della discussione e del confronto. Un altro concetto a cui Vigotskiy ha dato attenzione è quello relativo all’immaginazione nel bambino. “Per Vigotskij la funzione creatrice dell’immaginazione appartiene allo scienziato come al tecnico, all’artista come all’uomo comune.”4 Essa, infatti, come è essenziale nelle scoperte scientifiche e nella creazione di opere d’arte, è una necessaria condizione della vita quotidiana. Secondo lo psicologo russo la 4 Luigi D’Isa, “Psicologia generale, evolutiva e sociale, temi-teorie-applicazioni”, Edizione Hoepli, 2013,

p. 118.

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creatività si manifesta come immaginazione produttiva che, attraverso i processi di scomposizione, confronto e ricomposizione di esperienze passate, produce una nuova esperienza. L’immaginazione creatrice, in particolare, si manifesta e si allena nel gioco infantile; esso infatti non è un semplice ricordo di esperienze vissute, ma è una rielaborazione creativa, attraverso la quale il bambino combina tra loro i dati dell’esperienza per costruire una uova realtà, rispondente alle sue curiosità e ai suoi bisogni. Poiché l’immaginazione si costruisce solo con esperienze prese dalla realtà, è necessario che il bambino, per nutrire la sua fantasia, possa crescere in un ambiente ricco di impulsi e di stimoli, provenienti da ogni direzione. L’attività ludica del periodo prescolare si presenta già come attività sociale in cui sono presenti regole e ruoli precisi. I bambini, infatti, fingendo di essere determinati personaggi, sperimentano delle parti che richiedono un’azione intenzionale secondo le regole prescritte dal ruolo stesso. All’interno del gioco simbolico e di finzione sono le cose e gli oggetti a dettare le azioni del bambino; Sono questi infatti che grazie ad una loro somiglianza con altri oggetti stimolano i bambini a intraprendere il gioco “di far finta di”. Una cartolina non potrebbe mai rappresentare un cavallo. Nonostante questo limite, per cui il bastone non è ancora un simbolo arbitrario, il bambino riesce per la prima volta a staccare i significati dalle cose e questo costituisce un progresso importante per lo sviluppo della sua immaginazione. 2.3 Jerome Bruner Lo psicologo statunitense Jerome Bruner è stato influenzato dalla teoria storico-culturale di Lev Vygotskiy, ma anche dalla scienza cognitiva, alla quale aderisce evidenziando l’importanza dello studio dei processi della conoscenza rispetto che ai prodotti di essa, quindi ponendo l’attenzione sull’effettivo svolgersi degli atti mentali. Secondo lo studioso, l’organizzazione del comportamento può essere compresa meglio solo tenendo conto degli scopi e delle intenzioni che lo governano e delle funzioni che assolve. In questa ottica Bruner si è occupato sia di abilità molto semplici come la suzione e la prensione nei lattanti, sia di capacità avanzate come la soluzione di problemi e la formazione dei concetti. Bruner svolse anche ricerche sulla percezione dando origine a un nuovo movimento chiamato New look on perception, in cui sostiene la presenza di fattori motivazionali nei processi percettivi e la continuità tra percezione e attività concettuale. Egli e i suoi collaboratori scoprono la grande importanza dei fattori soggettivi della percezione, che invece, sono stati trascurati dagli psicologi che non aderivano al movimento del New look on perception. Bruner ritiene che la percezione non sia soltanto un processo fisiologico, ma che essa assuma sempre un significato in funzione della personalità del soggetto, dei suoi bisogni e dei suoi scopi. Lo psicologo statunitense, interrogandosi sulla natura dello sviluppo cognitivo, individua l’elemento fondamentale che interviene nel codificare l’informazione nella rappresentazione. Nel processo di acquisizione del pensiero maturo il bambino passa attraverso tre forme di rappresentazione. La rappresentazione è un processo mentale che si manifesta secondo tre modalità

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diverse: la rappresentazione esecutiva, la rappresentazione iconica e infine la rappresentazione simbolica, a seconda che si basi sull’azione, sull’immagine e sul linguaggio. La rappresentazione esecutiva è la prima ad essere acquisita dal bambino, che inizialmente, è in grado di elaborare solo rappresentazioni pratiche ovvero immagini concrete di cose o azioni. In questa prima rappresentazione, che caratterizza il primo anno di vita del bambino, la realtà viene codificata attraverso l’azione. Per il bambino che gioca con un oggetto, l’azione che compie diventa la sua rappresentazione interna dell’oggetto. La rappresentazione esecutiva continua ad essere presente anche dopo il primo anno di vita, per tutte quelle attività fisiche che impariamo facendo e che non rappresentiamo attraverso il linguaggio, come ad esempio l’andare in bicicletta o nuotare. La rappresentazione iconica, codifica la realtà attraverso le immagini, che possono essere immagini visive, uditive, olfattive o tattili. Essa permette di immaginare le cose indipendentemente dall’azione svolta con esse. L’immagine consente al bambino di evocare mentalmente una realtà assente ma non di descriverla verbalmente. Questa rappresentazione è il sistema di codifica più utilizzato fino ai sei-sette anni, anche se il linguaggio verbale compare verso la fine del secondo anno di vita. La rappresentazione simbolica, codifica la realtà attraverso il linguaggio e altri sistemi simbolici come il numero e la musica. Grazie al linguaggio il bambino dispone di un sistema di codifica più potente e flessibile delle forme di rappresentazione precedenti. Il linguaggio infatti è arbitrario e consente di ragionare in termini astratti, mentre l’immagine conserva una stretta somiglianza con la realtà che rappresenta. Grazie alla rappresentazione simbolica il bambino e l’adolescente sviluppano modi più evoluti e raffinati di trattare l’informazione, modi che vanno al di là dell’informazione data; formulano aspettative, costruiscono ipotesi, concetti e conoscenze che manipolano e trasformano la realtà o viene inserita in sistemi più grandi. Bruner considera il processo di categorizzazione come un processo molto importante e fondamentale nella vita del bambino, poiché esso costruisce la propria idea degli oggetti in base a categorie che apprende dall’ambiente, e quando percepisce un oggetto in base a determinate caratteristiche, lo identifica come appartenente a tale categoria. Le categorie con cui sono classificati gli oggetti possono essere di vario tipo ed avere un diverso livello di generalità. “Le categorie vengono applicate in modo immediato nei processi percettivi, ma consentono di compiere delle inferenze e di anticipare così gli avvenimenti. L’uso delle categorie permette di organizzare la realtà in modo gerarchico utilizzando concetti via via più generali.”5 Bruner ha condotto degli studi sullo sviluppo del linguaggio, in particolare ha esaminato come, mediante l’interazione con gli adulti, in particolare con la madre, il bambino imparai ad usare il linguaggio. Il bambino verifica l’efficacia dei suoi discorsi in relazione a determinati scopi; Bruner analizza questo aspetto partendo dalla teoria degli atti linguistici del filosofo inglese John Langshaw Austin, il quale sostiene che parlare equivale a compiere un’azione in vista di uno scopo, per cui non è possibile capire ciò che viene detto se non si 5 Luigi D’Isa, “Psicologia generale, evolutiva e sociale, temi-teorie-applicazioni”, Edizione Hoepli, 2013

p. 125.

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considerano le intenzioni di chi parla e la situazione in cui avviene la comunicazione. Ad esempio, la domanda che la madre fa al bambino: “Perché non giochi ora a pallone?”, non è una vera domanda, ma un’esortazione a compiere una determinata azione, mentre “Perché giochi ora a pallone?” risulta essere una vera domanda. Attraverso l’interazione con la madre, il bambino che apprende a parlare impara queste importanti distinzioni dell’uso del linguaggio. Secondo Bruner, perché avvenga l’acquisizione del linguaggio, tra madre e bambino devono realizzarsi delle modalità interattive che sono alla base dell’apprendimento. Lo studioso definisce tali modalità di interazione Sistema di Supporto per l’Acquisizione del Linguaggio, L.A.S.S. La madre all’inizio insegna al bambino a nominare gli oggetti, più tardi lo aiuta a imparare a chiedere oggetti, in questo modo, secondo Bruner, l’apprendimento del linguaggio viene facilitato. Nello spiegare le cause dello sviluppo, Bruner, riprende il punto di vista di Vygotsky, sostenendo che i processi mentali hanno un fondamento sociale e che la cognizione umana sia influenzata dalla cultura, attraverso i suoi simboli, artefatti e convenzioni. In altre parole, la cultura forma la mente degli individui, essa è intrinseca all’individuo e non è qualcosa che si sovrappone alla natura umana. L’influenza della cultura si realizza grazie alle relazioni sociali che il bambino stabilisce precocemente con chi si prede cura di lui e in cui il ruolo dell’adulto viene caratterizzato come scaffolding, letteralmente “fornire un’impalcatura”, cioè una struttura temporanea che viene rimossa appena si finisce di costruire l’edificio. Bruner osserva e analizza in questa ottica le interazioni precoci fra madre e figlio, nelle quali il bambino impara a padroneggiare episodi condivisi di azione e attenzione, che includono elementi sia verbali che non verbali. L’impalcatura fornita dall’adulto serve a compensare il dislivello tra le abilità richieste dell’episodio di gioco e le ancora limitate capacità del bambino consentendo a quest’ultimo di realizzare completamente l’episodio e facendolo progredire allo stesso tempo, verso livelli più avanzati di partecipazione. “La psicologia culturale spiega la mente delle persone partendo dal presupposto che la loro socializzazione avviene all’interno di gruppi culturali portatori di proprie credenze, valori e conoscenze.”6 Le persone cercano di attribuire un significato alla propria vita in base alle motivazioni e ai valori della cultura a cui appartengono che hanno fatto propri. Secondo Bruner la psicologia culturale non si basa sul pensiero scientifico tradizionale, non cerca quindi di spiegare la realtà umana secondo i concetti di causa ed effetto ma al contrario cerca di comprendere il significato che l’uomo dà ai propri sentimenti e alla propria esperienza di vita. Ci sono tanti modi con cui il comportamento dei genitori struttura e organizza l’ambiente esterno, creando dei vincoli a ciò che il bambino può fare, facilitando i suoi processi di crescita e di differenziazione. Il bambino, però, si sviluppa e apprende in un ambiente protetto, scandito da diverse fasi e dai compiti che gli adulti hanno selezionato per lui. Secondo lo studioso è proprio durante il primo anno di vita che si collocano le relazioni sociali del bambino con gli adulti, relazioni significative per lo sviluppo mentale nella prima infanzia. 6 Luigi D’Isa, “Psicologia generale, evolutiva e sociale, temi-teorie-applicazioni”, Edizione Hoepli, 2013,

p. 128.

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Le credenze e i valori della cultura vengono trasmessi attraverso il linguaggio, in particolare attraverso la narrazione che rappresenta lo strumento privilegiato nella trasmissione culturale; essa infatti consente di organizzare l’esperienza, di costruire e trasmettere significati. Gli individui che appartengono ad una determinata cultura condividono le narrazioni di quella determinata cultura; dai racconti individuali alle narrazioni storiche e religiose, alle concezioni del mondo e ai miti. Bruner ritiene che sia possibile ricostruire il significato della realtà personale, dando ad esso la forma di narrazione; le nostre esperienze assumono una forma attraverso le narrazioni che usiamo per descriverle, e i racconti sono il nostro modo di organizzare, interpretare e dare significato alle esperienze, assicurando loro un senso di comunità. Il pensiero narrativo è una forma di pensiero molto diversa dal pensiero razionale o logico-scientifico, poiché quest’ultimo costruisce teorie che spiegano la realtà fisica in termini di leggi e di ricerca della verità, mentre il pensiero narrativo riguarda la realtà psichica e si basa su una logica intrinseca alle azioni umane, come i desideri, le emozioni, gli affetti, e le interazioni tra gli individui, come le regole e le motivazioni sociali. Il pensiero narrativo segue una propria coerenza in quanto le esperienze raccontate sono organizzate seconde delle sequenze spazio-temporali. La sua efficacia però deriva dall’utilizzo di immagini, di metafore che rendono più vividi gli episodi narrati. Le esperienze raccontate, nel pensiero narrativo, non sono semplicemente una descrizione oggettiva dei fatti ma le varie parti del racconto si legano in base all’interpretazione, che dà ad essi un significato, che il narratore dà ai propri vissuti. Il desiderio di raccontarsi, o si sentire raccontata la propria storia, si riscontra anche nella curiosità e nell’interesse dei bambini, nell’ascoltare racconti che riguardano la loro vita e le storie di famiglia. I genitori spesso, usano i racconti e le narrazioni per introdurre i bambini nella propria cultura, così da renderli membri della stessa cultura quando arrivano a condividerne le credenze e gli atteggiamenti. La condivisione di esperienze e conoscenze, resa possibile dal linguaggio verbale tra i bambini e i genitori, da un lato rispecchia la forma mentale del pensiero narrativo, ma dall’altro funziona come un potente strumento di socializzazione e di formazione.

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3 IL GIOCO Giocare è un’esigenza che è presente durante l’arco di tutta la nostra vita, ovviamente in maniera differente, quando siamo piccoli ci divertiamo a giocare con le bambole e le macchine poi cresciamo e si inizia a giocare a nascondino, ai giochi ruolo e infine da adulti ci piace giocare a carte o a pallone. Grazie al gioco si è in grado di esprimere la nostra individualità e vengono “allenate” le nostre capacità cognitive e relazionali. Esso è un’attività che viene scelta liberamente dalle persone a cui si vuole dedicare, inoltre contiene un aspetto di gratifica in cui il piacere del giocare risiede nel gioco stesso e basa questa sola caratteristica per farci divertire. La dimensione del gioco è indispensabile sia per lo sviluppo biologico dell’individuo e sia dello sviluppo culturale della comunità. È vero che è governato da regole che sono necessarie al buon funzionamento del gioco ma è altrettanto vero che esso rappresenta un’attività libera, separata nello spazio e nel tempo dalla vita reale e permette al giocatore di mettersi alla prova, sia da solo che in compagnia di altri. Anche quando viene svolto in maniera solitaria, e quindi individuale da parte del soggetto, quest’ultimo viene comunque inserito in una dimensione sociale e culturale che gli permette di strutturare la propria personalità; gli permette infatti di mettere “in azione”, il proprio pensiero, le paure, i desideri irrealizzabili, attingendo sia dal mondo esterno sia dal mondo interno. Nel gioco ci sono sempre precise motivazioni che spingono la persona a fare quel tipo di gioco, e al tempo stesso, esso viene orientato da uno scopo. Il gioco corrisponde ad esigenze di carattere dinamico, a motivazioni che sostengono e migliorano le potenzialità individuali, come ad esempio la comunicazione, la socialità, il movimento, l’autoaffermazione, la costruzione, l’esplorazione, l’avventura, la fantasia, l’immaginazione e la creatività. Allo stesso modo, lo scopo che guida ed indirizza il gioco può essere più o meno esplicito e consapevole, ma é sempre presente, non è mai esterno alla situazione di gioco e di chi gioca. “È un potente motore dello sviluppo. Nello sviluppo affettivo e cognitivo, il gioco svolge la funzione di potente e prezioso elemento trainante e mediatore.”7 Infatti esso favorisce il processo di acculturazione e di socializzazione, attraverso una funzione metacomunicativa, che avviene attraverso i giochi di finzione e i giochi di ruolo, in cui i bambini “si mettono nei panni dei genitori”; oppure anche nei giochi di regole per i più grandi, in cui vengono “allenati” gli usi e i costumi del gruppo e della cultura di appartenenza. Questo processo è reso possibile grazie alle regole che i giocatori stabiliscono, scandendo determinati tempi, assegnando particolari ruoli, stabiliscono la possibilità di trasgredire e definiscono determinati spazi. Grazie al gioco è possibile creare una zona personale o di gruppo in cui simulare o sperimentare emozioni, in quanto attraverso il gioco di finzione si può rivivere o sperimentare una situazione che ci fa paura o che abbiamo vissuto e che ci ha 7 Laura Cerrocchi e Liliana Dozza, “Contesti educativi per il sociale”, Approcci e strategie per il

benessere individuale e di comunità”, Edizione Erickson, 2007, p. 141.

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particolarmente turbato. Allo stesso tempo possiamo anche mettere in scena i nostri pensieri, provare a dialogare, a discutere determinati temi in maniera attiva, temi che a volte possono fare paura o che possono essere stati vissuti in maniera negativa nella realtà. Durante il gioco si è grado di potenziare ed esercitare il pensiero produttivo in quanto il gioco è immaginazione in azione, permette di esplorare e sperimentare in prima persona un determinato oggetto, una particolare situazione o un problema. Esso funge anche da mediatore, tra il viaggio di andata e quindi quando l’immaginazione si scontra con la realtà e attraverso l’opera del gioco mentale, vengono ristrutturati o confermati i propri schemi mentali, e nel viaggio di ritorno, quando gli schemi mentali si misurano ed agiscono nella realtà attraverso il gioco, per cui il gioco diventa immaginazione in azione. Secondo lo psicologo Jean Piaget il gioco rientra nella teoria sullo sviluppo cognitivo, in particolare nel processo della formazione dei simboli. Il gioco rinforza la funzione simbolica in quanto giocando, il bambino si accosta ad una realtà immaginaria, che è legata alla realtà effettiva ma, che allo stesso modo si distacca da essa. Attraverso il gioco, i bambini esercitano l’attività mentale nel creare simboli che rappresentino eventi o situazioni che non sono presenti nella realtà; inoltre il gioco è guidato dal processo di assimilazione, processo che permette ai bambini di adattare e trasformare la realtà esterna in relazione alle proprie motivazioni e al proprio mondo interiore. Secondo Piaget il gioco svolge due funzioni: per prima cosa serve a consolidare le capacità che il bambino ha acquisito attraverso la ripetizione e l’esercizio, inoltre rafforza nel bambino il suo sentimento di avere un’influenza efficace sulla realtà poiché nel mondo di fantasia non si possono verificare degli insuccessi e inoltre non si è vincolati dalle caratteristiche degli oggetti o dalle situazioni reali. “Vygotskij, pur condividendo l’idea che il gioco implichi una rappresentazione mentale, considera limitante una visione del gioco in termini essenzialmente cognitivi e rivolge la propria attenzione agli effetti, alle motivazioni e alle circostanze interpersonali all’origine di questo.”8 Secondo Vygotskij, il gioco permette al bambino, durante il passaggio che egli compie dall’infanzia all’età prescolare, di sostenere il contrasto tra i suoi desideri e l’impossibilità di soddisfarli subito. Il gioco rappresenta una risposta innovativa e creativa rispetto ai bisogni non soddisfatti. Giocando è possibile svincolarsi dalle costrizioni situazionali, poiché durante il gioco il pensiero del bambino è separato dagli oggetti e l’azione che egli stesso compie nasce dalle idee più che dalle cose, così un bastone diventa un cavallo; il gioco, quindi, rappresenta una fase di transizione nel processo di separazione del significato dell’oggetto reale. Quando il bambino sarà più grande non avrà bisogno di un oggetto che faccia da supporto al suo processo di creazione e di immaginazione ma potrà inventare attraverso il linguaggio e le parole tutte le situazioni immaginarie che vorrà. Il gioco può aprire una zona di sviluppo prossimale, in modo che il bambino, giocando, si comporti al di sopra del suo comportamento quotidiano. Il gioco, infatti, è in grado di fornire al bambino e al ragazzo “l’impalcatura” di sostegno che gli permette di misurarsi con sé stesso e con gli altri e anche di alzare il suo livello potenziale di sviluppo. Mentre giocano sia il ragazzo che il bambino che

8 Emma Baumgartner, “Il gioco dei bambini”, Edizione Carocci Editore, 2002, p. 18.

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l’adulto, sono sempre al di sopra della loro età media, riescono ad alzarsi rispetto al loro comportamento quotidiano, riuscendo a tracciare un piano di vita, allargano lo spazio culturale e psicologico individuale. Per il bambino, ma anche per l’adolescente, il gioco è un’attività seria, e questa serietà consiste nei nuovi rapporti che si vengono a creare tra le situazioni immaginarie e quelle reali. Bruner invece, esamina il rapporto che c’è tra il gioco e le strategie di soluzione dei problemi. Da uno studio che è stato fatto dallo psicologo, è risultato che le attività strutturate erano più complesse dal punto di vista cognitivo e possono essere proposte ai bambini per motivarli alla ricerca e all’esercizio di strategie di soluzioni dei problemi; invece le attività meno strutturate, come ad esempio la lotta per finta, richiedevano abilità sociali come la coordinazione dei ruoli e l’alternanza dei turni, e sono quindi più indicate per rafforzare la competenza sociale. Il mondo infantile risulta essere sicuramente molto legato all’attività ludica, fin dai primi mesi di vita, infatti, attraverso il gioco il bambino inizia a conoscere e a sperimentare le capacità del proprio corpo, entrando in relazione con l’ambiente; ma il nostro bisogno di gioco si presenta anche nell’età adolescenziale e adulta, in forme diverse, più simboliche come i giochi simbolici o da tavolo. Sono stati individuati quattro elementi che caratterizzano il gioco, mettendo in luce il forte richiamo che il gioco ha su di noi. Gli elementi che caratterizzano il gioco sono quattro: ilinix ovvero la vertigine e il rischio, alea cioè l’incertezza e la possibilità, mimicry ovvero la finzione e il simbolismo e infine agon cioè l’agonismo e la competizione. Il gioco ha caratteristiche diverse a seconda dell’età della persona che gioca, ma ci sono giochi che sono comuni a tutte le età come il calcetto, le partite a carte, i giochi di società; essi riscuotono molto successo tra i bambini, gli adolescenti e gli adulti. Il nostro apprendimento migliora e si sviluppa attraverso il gioco, già a partire dall’infanzia, infatti ci sono quattro funzioni che si sviluppano e migliorano.

Le funzioni cognitive, che si sviluppano attraverso giochi percettivo-motori, giochi di risoluzione di problemi e giochi di strategia.

Le funzioni affettivo-cognitive che si sviluppano attraversi giochi di coraggio, giochi di scelta e giochi di fiducia.

Le funzioni sociali che si sviluppano attraverso i giochi di gruppo e i giochi di collaborazione.

Le funzioni motorie che si sviluppano attraverso i giochi sugli schemi motori, giochi di abilità e giochi di forza-opposizione.

Il gioco cambia e cresce con il bambino e l’adolescente, infatti nel corso del loro sviluppo il gioco cambia e si sviluppa, articolandosi in diverse categorie di gioco. Il gioco senso-motorio, è il gioco che prevale nei bambini ha hanno un’età compresa tra i 0 e i due anni, esso ha importanti funzioni psicologiche e non comporta solo uno sviluppo fisico ma anche uno sviluppo cognitivo e sociale. In questo periodo il bambino impara ad afferrare, gettare, dondolare oggetti, inoltre ripete numerose volte lo stesso gesto poiché prova piacere nel vedere il risultato. Si tratta infatti, di un piacere “funzionale”, legato al movimento e alla sensibilità dei

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recettori. Il bambino ha bisogno di percepire, sentire, sperimentare il proprio corpo in rapporto con gli oggetti e l’ambiente. Le prime manifestazioni sono i giochi di esercizio con il proprio corpo, ma poi, con l’acquisizione della locomozione autonoma, il gioco diventa il correre, il saltare, l’inseguire e l’arrampicarsi, esso può essere solitario e individuale oppure condiviso con altri bambini o con un adulto. In età prescolare il gioco senso-motorio, non serve solo a dare ai bambini la forza e vigore nella loro crescita ma, serve anche all’acquisizione del controllo dei movimenti, a dare consapevolezza e all’utilizzo accorto delle proprie energie. Tra i due anni e i sette il bambino gioca attraverso il gioco simbolico, che assieme al linguaggio costituiscono le prime manifestazioni delle precoci competenze simboliche dei bambini, inoltre permette la simulazione di diversi ruoli e di regole, infine allena ai rapporti sociali. Il bambino si diverte a ripetere le azioni che vede compiere dagli adulti, o imitare personaggi conosciuti. Attraverso la funzione simbolica il bambino utilizza e gioca con oggetti che diventano quello che lui immagina possano diventare e non li utilizza per quello che sono realmente; in questo modo può utilizzare un pezzo di legno come una spada oppure una scatolina come un telefono. Verso la fine del secondo anno di età, con il miglioramento delle abilità di simbolizzazione del bambino, anche le forme del gioco simbolico cambiano; nei primi giochi di finzione il bambino ha un ruolo attivo e gli altri giocatori, che siano reali o no, hanno un ruolo passivo, ma in breve tempo aumentano le capacità di operare trasformazioni simboliche e quindi diminuirà la necessità di utilizzare oggetti realistici poiché qualsiasi cosa potrà assumere diverse funzioni e potrà essere utilizzata in diversi modi. Le azioni saranno organizzate in sequenze coerenti e sarà possibile ritrovare il tempo del gioco espresso verbalmente negli atti del bambino. Grazie al processo di decentramento, il bambino trasferisce le azioni da sé stesso agli altri, passando da destinatari passivi a protagonisti attivi del gioco attraverso l’animazione realizzata dal bambino. Il gioco con regole invece, caratterizza il periodo dai setti anni in poi, in cui il bambino, inizia cercare il gioco con l’altro, superando il comportamento egocentrico. Si passa quindi da un’attività individuale alla ricerca di un’attività sociale; che però, per funzionare, ha bisogno di una normativa condivisa, quindi una regola, il bambino si organizza e decide insieme agli altri le regole del gioco. Il bambino ha bisogno di muoversi prediligendo i giochi di movimento in cui si corre, si salta, si lancia o si lotta. È in grado di rispettare le regole imposte dall’esterno poiché le ritiene importanti alla riuscita del gioco. Attraverso il gioco e al gruppo dei pari il bambino impara la cooperazione, che ha come obiettivo il raggiungimento di uno scopo comune e la competizione che viene guidata dall’agonismo e dal bisogno di confrontarsi con l’altro. I giochi che esistono sono moltissimi e diventa molto complicato classificarli, infatti esistono tante classificazioni, alcune riguardano l’origine dei giochi come i giochi tradizionali o popolari, altre lo spazio che serve per lo svolgimento come i giochi all’aperto oppure i giochi da tavolo, altri ancora gli obiettivi come i giochi a punti o ad eliminazione. Possiamo trovare giochi attivi che richiedono molta energia fisica come i giochi di

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movimento, oppure giochi poco attivi, che non richiedono particolare energia fisica come i giochi di società. Si possono avere giochi percettivo-motori, quelli di scoperta ed esplorazione, giochi di regole, giochi di strategia e di ruolo, perfino giochi di abilità e memoria. I giochi poi possono essere individuali, a coppie, giochi di gruppo, a squadre, di collaborazione e di arbitraggio. Il gioco è lo strumento che si usa per arrivare ad ottenere una relazione autentica con il bambino o il ragazzo. Il gioco libero, porta all’apertura e all’espressione simbolica, di pensieri o emozioni che altrimenti, sia l’adulto che il bambino, non esprimerebbero. Il bambino vive il gioco in maniera naturale, spontanea, in quanto le caratteristiche che per lui ha il gioco sono il divertimento e l’allegria; infatti attraverso il gioco il bambino esterna la sua iniziativa trovando il piacere nel gioco e sentendosi libero e sicuro nell’esprimere sé stesso e le sue idee. Attraverso il gioco spontaneo e simbolico del bambino, l’adulto può ascoltare e osservare il messaggio e le esperienze che il bambino fa, inoltre può comprendere e scoprire caratteristiche del comportamento del bambino, nuove o nascoste. Grazie al gioco, sia il bambino che l’adulto, riescono ad esprimere spontaneamente quello che hanno di più profondo, i sentimenti conflittuali, le proprie paure, i propri sogni e i propri desideri che altrimenti non verrebbero espressi. Tutti questi messaggi simbolici possono essere tradotti, codificati e compresi. Grazie al gioco è possibile avere una connessione più profonda ed intima con l’inconscio rispetto al linguaggio verbale, poiché esso non è in grado di far vedere così bene le emozioni e le sensazioni provate. Attraverso il gioco si riescono a fare analogie e metafore di oggetti, persone o situazioni provate, vissute o che si vorrebbe provare. Si va a lavorare su livello emozionale in quanto nelle emozioni si perdono le difese, infatti quando un’emozione è forte non può essere controllata razionalmente e quindi si esprimono cose più profonde. L’adulto è in grado di entrare nel gioco e di decodificare a livello verbale quello che il bambino sta facendo a livello simbolico, per riuscire ad entrare in relazione con il bambino e aprire una “finestra” in cui poter entrare attraverso il dialogo, attività strutturate e poterlo aiutare nella sua crescita, sia interiore sia esteriore.

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4 DISABILITÀ E PSICOPATOLOGIE

4.1 Disabilità intellettiva “La disabilità intellettiva è una patologia dello sviluppo caratterizzata da un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media, accompagnato da limitazioni rilevanti nel funzionamento adattivo, quindi è un deficit generale delle abilità cognitive che si ripercuote sulle capacità di adattamento della persona. La disabilità intellettiva è una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico ed è costituita soprattutto dalla compromissione delle abilità cognitive, linguistiche, motorie e sociali che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza.”9 Ci sono tre criteri fondamentali che permettono una diagnosi del disturbo intellettivo:

Un Qi circa uguale o inferiore a 70. Un carente funzionamento adattivo. Un esordio nell’età evolutiva.

Quando si parla di un Qi di 70 si fa riferimento alle scale di Wechsler o a test con la stessa deviazione standard, poiché sono presenti altri test e altre scale di valutazione che risultano avere diversi risultati. La diagnosi della disabilità intellettiva non può essere affidata solamente ad un punteggio di un test, ma deve essere frutto di un lavoro clinico che consideri numerosi elementi. È proprio per questo che si valutano anche le prestazioni di un bambino a livello socioculturale, poiché se risultasse avere bassi risultati al test, potrebbe significare non necessariamente che derivino da una “scarsa intelligenza” ma da carenze di insegnamento. La caratteristica principale del disturbo intellettivo è un funzionamento intellettivo che generalmente è significativamente al di sotto della media, che è accompagnato da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno due delle aree delle capacità di prestazione. Esse sono la comunicazione, la cura della persona, la vita in famiglia, le capacità sociali e interpersonali, l’uso delle risorse della comunità, l’autodeterminazione, la capacità di funzionamento scolastico, il lavoro, il tempo libero, la salute e la sicurezza. Il funzionamento intellettivo generale è definito dal quoziente di intelligenza, Qi, ottenuto tramite la valutazione con uno o più test di intelligenza standardizzati e svolti in maniera individuale. Un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media è definito come un Qi di circa 70 o inferiore, bisogna tenere conto che nella valutazione del Qi esiste un errore di misurazione di circa 5 punti, che però può variare a seconda dello strumento che si utilizza per calcolare il Qi. È possibile diagnosticare un disturbo intellettivo in soggetti che hanno un Qi tra i 70 e i 75 e che presentano significativi deficit nel comportamento adattivo. Allo stesso tempo però, non dovrebbe essere diagnosticato in

9 https://www.neuropsicomotricista.it/argomenti/597-tesi-di-laurea/valutazione-e-trattamento-del-bambino-con-disabilita-intellettiva/3063-disabilita-intellettiva-aspetti-generali.html

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soggetti con un Qi inferiore a 70 se non ci sono significativi deficit o compromissioni del funzionamento adattivo. “Il funzionamento adattivo fa riferimento all’efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la loro particolare età, retroterra socioculturale e contesto ambientale. Il funzionamento adattivo può essere influenzato da vari fattore che includono l’istruzione, la motivazione, le caratteristiche di personalità, le prospettive sociali e professionali, i disturbi mentali e le condizioni mediche generali che possono coesistere con il ritardo mentale. I problemi di adattamento sono più suscettibili di miglioramento con tentativi di riabilitazione di quanto non sia il Qi cognitivo, che tende a rimanere un attributo più stabile.”10 La scelta degli strumenti di valutazione e l’interpretazione dei risultati dovrebbe tener conto di fattori che possono limitare la prestazione, come ad esempio la lingua madre, i deficit di comunicazione, motori, sensoriali associati e anche la cultura di appartenenza e la rete sociale di cui fa parte. Possono essere specificati quattro diversi gradi di gravità, che riflettono il livello della compromissione intellettiva:

Lieve, se il livello del Qi è tra i 50-55 e i 70. Moderato se il livello del Qi è tra i 35-40 e i 50-55. Grave se il livello del Qi è tra i 20-25 e i 35-40. Gravissimo se il livello del Qi è inferiore a 20 o 25.

Disabilità intellettiva lieve La disabilità intellettiva lieve rappresenta la parte più ampia dei soggetti affetti dal disturbo intellettivo, costituisce cioè circa l’80/85%. Il disturbo intellettivo lieve nei bambini non è visibile immediatamente, questi bambini, che durante gli anni prescolastici sviluppano le capacità sociali e comunicative, hanno una compromissione minima nelle aree senso-motorie e spesso non si riesce a percepire e a capire se sono affetti dal disturbo intellettivo, cosa che invece si ha con l’ingresso alla scuola primaria. Prima dei 20 anni, i bambini con disabilità intellettiva, possono acquisire capacità scolastiche corrispondenti alla quinta classe primaria; intorno alla fine del percorso scolastico possono raggiungere competenze cognitive tipiche dei bambini che hanno tra gli otto e gli unici anni di età. Durante l’età adulta, normalmente acquisiscono capacità sociali e occupazionali adeguate per un livello minimo di autosostentamento, ma possono avere bisogno di un appoggio, di una guida che li assista, specialmente quando sono sottoposti a stress sociali o economici inusuali.

Disabilità intellettiva moderata La disabilità intellettiva moderata costituisce circa il 10/14% dell’intera popolazione dei soggetti con disabilità intellettiva. La maggior parte dei bambini con il disturbo intellettivo acquisisce il linguaggio e le abilità prescolastiche molto lentamente, possono

10 Renzo Vianello, “Disabilità Intellettive”, Edizione Junior, 2012, p. 19.

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avere minimi miglioramenti grazie all’esercizio sulle attività sociali e lavorative, ma difficilmente progrediscono oltre il livello della seconda classe primaria nelle materie scolastiche. Intorno alla fine del periodo scolastico riescono ad acquisire competenze cognitive tipiche dei bambini dell’età tra i quattro e i sette anni. Durante l’adolescenza le loro difficoltà nel riconoscere le convenzioni sociali possono interferire nelle relazioni con i propri coetanei; mentre durante l’età adulta i soggetti che soffrono del disturbo intellettivo moderato riescono a svolgere lavori non specializzati grazie alla supervisione di qualcuno, in ambienti di lavoro protetti o normali ma non riescono a sostenere ambienti di lavoro stressanti.

Disabilità intellettiva grave La disabilità intellettiva grave costituisce circa il 3/4% dei soggetti con disabilità intellettiva. Durante l’infanzia i bambini con disturbi intellettivi acquisiscono un livello minimo di linguaggio comunicativo, hanno difficoltà però nel lessico e nella costruzione della frase, la produzione verbale è costituita prevalentemente da singole parole o frasi semplici. Durante il periodo scolastico riescono ad imparare ed a padroneggiare, grazie all’esercizio, le attività elementari sulla cura della propria persona. Essi traggono un beneficio limitato dall’insegnamento delle materie scolastiche, ma possono acquisire capacità, ad esempio l’imparare a riconoscere a vista alcune parole per le necessità elementari. Durante la vita adulta sono in grado di svolgere compiti semplici in ambienti molto protetti e sorvegliati. La maggior parte delle persone affette da disabilità intellettiva grave, si adatta bene alla vita di comunità o alla vita famigliare, a meno che non abbia una disabilità associata che richieda assistenza specifica o altre cure.

Disabilità intellettiva gravissima La disabilità intellettiva gravissima costituisce circa l’1/2% dei soggetti affetti da disabilità intellettiva. La maggior parte di chi presenta questa diagnosi presenta una condizione neurologica diagnostica che spiega il disturbo. Durante la prima infanzia, i bambini che soffrono del disturbo intellettivo, mostrano una compromissione del funzionamento senso-motorio. Le abilità concettuali fanno riferimento al mondo fisico piuttosto che ai processi cognitivi simbolici. Il bambino riesce ad usare gli oggetti in modo finalizzato per la cura personale, il lavoro e lo svago; ha una comprensione molto limitata della comunicazione simbolica nell’eloquio o nella gestualità; può comprendere alcuni gesti o istruzioni semplici e comunicare attraverso il linguaggio non verbale. L’individuo è dipendente dagli altri in ogni aspetto della cura fisica, della salute e della sicurezza, anche se è in grado di partecipare ad alcune di queste attività. Alcune persone sono in grado di svolgere compiti semplici in ambienti molto controllati e protetti, mentre altre presentano comportamenti disadattivi. Ci sono diverse cause per la disabilità intellettiva, anche se il 30/50% dei soggetti affetti da questo disturbo non ha delle cause specifiche. Le cause possono essere biologiche, psicologiche oppure una combinazione di entrambi.

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I principali fattori predisponenti includono: Ereditarietà: questi fattori includono errori congeniti del metabolismo, anomalie

di un singolo gene e aberrazioni cromosomiche. Alterazioni precoci dello sviluppo embrionale: questi fattori includono

mutazioni cromosomiche o danni prenatali dovuti a sostanze tossiche. Influenze ambientali e altri disturbi mentali: questi fattori includono la mancanza

di accudimento e di stimolazioni sociali, verbali o di altre stimolazioni e disturbi mentali gravi.

Problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale: questi fattori includono la malnutrizione del feto, la prematurità, l’ipossia, infezioni virali o altre infezioni e traumi.

Condizioni mediche generali acquisite durante l’infanzia o la fanciullezza: questi fattori includono infezioni, traumi e avvelenamenti.

Anche se non sono presenti caratteristiche specifiche associate al disturbo intellettivo, esso frequentemente comporta carenze a livello dello sviluppo motorio e varie condizioni mediche negative. Se il disturbo intellettivo farà parte di una specifica sindrome, allora saranno presenti le caratteristiche cliniche di quella sindrome.

4.2 Disturbo dello spettro autistico Il disturbo dello spettro autistico è caratterizzato dalla presenza di disabilità in quattro livelli:

Deficit persistenti nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non per forza dovuti a dei generali ritardi dello sviluppo, ed evidenti in tutti e tre i seguenti aspetti: 1) Deficit nella sfera sociale-emozionale, che variano da anomalie nell’approccio sociale e difficoltà durante la conversazione con altre persone, ad una ridotta capacità di condivisone degli interessi, delle emozioni, dell’affetto, si può arrivare a non avere nemmeno un’interazione sociale. 2) Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali che sono utilizzati per l’interazione sociale, che variano da una scarsa integrazione tra comunicazione verbale e non verbale, ad anomalie nel contatto visivo e nel linguaggio corporeo, si può arrivare ad avere un deficit nella comprensione e nell’uso della comunicazione non verbale a tal punto di una mancanza di espressioni facciali o della gestualità. 3) Deficit nello sviluppo e nel mantenimento delle relazioni, che variano dalle difficoltà ad adattare il proprio comportamento ai differenti contesti sociali, alle difficoltà nella partecipazione al gioco immaginativo nel fare amicizia, fino ad un apparente disinteresse per le persone.

Modelli di comportamento ripetitivi e ridotti, o attività che si manifestano con almeno due delle seguenti caratteristiche: 1) L’uso di un linguaggio ripetitivo, di

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movimenti stereotipati o l’uso ripetitivo e stereotipato di oggetti. 2) L’uso eccessivo all’aderenza della propria routine, l’uso di comportamenti verbali e non verbali ritualizzati, l’uso di un’eccessiva resistenza al cambiamento. 3) Interessi ridotti e fissi, con anomalie nell’intensità o nella focalizzazione.4) Iper o ipo reattività verso gli stimoli sensoriali, interesse inusuale anche per gli aspetti sensoriali provenienti dall’ambiente.

I sintomi devono essere presenti già nella prima infanzia, anche se potrebbero non essere pienamente visibili e manifesti in quel periodo.

I sintomi, nel loro insieme, limitano e compromettono il funzionamento della realtà quotidiana.

I disturbi dello spettro autistico colpiscono prevalentemente la popolazione maschile rispetto a quella femminile. Si possono riconoscere i sintomi già verso i due anni di età, ma possono esserci dei segnali anche prima di un anno di età del bambino se il ritardo dello sviluppo risulta essere grave. Le caratteristiche comportamentali del disturbo dello spettro autistico iniziano a diventare evidenti già nella prima infanzia, alcuni bambini possono sperimentare anche fasi di regressione dello sviluppo, con un graduale o precoce deterioramento del comportamento sociale o dell’uso del linguaggio. I primi sintomi comportano un ritardo nello sviluppo del linguaggio, che spesso viene associato a ridotti interessi sociali o insolite interazioni sociali, strane modalità di gioco e tecniche di comunicazione insolite. Durante il secondo anno di età del bambino questi aspetti diventano più frequenti e più evidenti. Il disturbo dello spettro autistico è un disturbo dal quale non si può guarire, e su cui si può intervenire per migliorare la qualità delle relazioni sia personali che interpersonali. Il riuscire a identificare e a diagnosticare il disturbo in età precoce apre delle possibilità di un alto margine di miglioramento, in quanto alcuni processi di sviluppo possono ancora venire modificati e quindi migliorati. Il disturbo dello spettro autistico si può presentare con tre differenti livelli di gravità:

Richiesta di assistenza: dal punto di vista sociale il soggetto non è in grado da solo di iniziare una conversazione, e di sostenere l’interazione con altre persone. Esso è però capace di esprimersi se interpellato e di rispondere alle domande di routine che gli sono rivolte. Ha interessi ristretti e comportamenti ripetitivi, ha difficoltà a cambiare attività e resiste ai tentativi di interrompere queste attività.

Richiesta di assistenza sostanziale: sono presenti evidenti deficit nella comunicazione sociale, verbale e non verbale. Le difficoltà nei rapporti sociali sono presenti e visibili anche se c’è assistenza; le iniziative di interazione sociale sono limitate ed è ridotta la risposta dall’iniziativa di interazione che parte dagli altri. I comportamenti risultano essere ripetitivi e fissi, interferiscono in diversi contesti e sono ben visibili anche agli altri.

Richiesta di assistenza molto sostanziale: Risulta esserci una grave difficoltà nel funzionamento della persona causata da gravi deficit nella sfera della comunicazione sociale, verbale e non verbale; il soggetto non ha nessuna iniziativa sociale, se avviene, avviene in maniera casuale e anche la risposta all’iniziativa di interazione partita dagli altri è limitata e quasi nulla. Possiede

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molte difficoltà nell’adattarsi ai cambiamenti, i suoi comportamenti e le sue azioni sono molto ripetitive e interferiscono molto in tutte le sfere del funzionamento della persona. Il soggetto diventa molto stressato se i suoi rituali e la sua routine vengono interrotte; è molto difficile togliere il soggetto dal suo focus di interesse.

Possiamo sostenere che le cause dei disturbi dello spettro autistico sono molteplici poiché sono racchiusi differenti comportamenti, ed è proprio attraverso tali comportamenti che si può capire e formulare la diagnosi dei disturbi dello spettro autistico. Non esiste una vera propria causa per questo disturbo, ma entrano in gioco sia i fattori genetici sia quelli ambientali. I fattori genetici riguardano sia mutazioni nuove, sia mutazioni ereditate dai genitori. Un ruolo altrettanto importante sono i fattori ambientali, che risultano essere più di 50 quelli conosciuti; essi da soli non sono sufficienti a provocare il disturbo dello spettro autistico, ma possono fungere da eventi scatenanti. Si pensa che ci sia la possibilità di modificare l’espressione dei geni attraverso cambiamenti importanti nell’ambiente, come ad esempio lo stile di vita, la dieta, l’età dei genitori e altri fattori ambientali che potrebbero portare ad una modificazione dei geni grazie all’interazione gene-ambiente. Si pensa che il disturbo dello spettro autistico sia caratterizzato non solo da un deficit sociale-cognitivo che sta alla base dei sintomi ma anche da una difficoltà più generale nei sistemi responsabili del controllo e della pianificazione del comportamento, ovvero delle funzioni esecutive; esse infatti sono costituite da procedure generali che dovrebbero consentire di pianificare le azioni volte al raggiungimento di uno scopo mantenendo presente il contesto. Non si può individuare un intervento specifico per tutte le persone affette dal disturbo dello spettro autistico, proprio perché i sintomi sono complessi e variano da persona a persona. Il percorso terapeutico si evolve e si modifica in base all’evoluzione e ai cambiamenti che avvengo, durante la vita di una persona, del disturbo. È opportuno individuare obiettivi intermedi, ciascuno dei quali prevede determinati interventi per la sua realizzazione, in questo modo si va a lavorare sull’intera persona e su tutti i suoi aspetti cercando di migliorare la qualità della vita e la qualità delle relazioni, sia in famiglia che a livello extra famigliare.

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5 DALL’ESCLUSIONE ALL’INCLUSIONE NELLA SCUOLA In Italia l’insegnamento elementare e medio non derivava da un’istruzione pubblica bensì privata. Dalla seconda metà del 700 comparse una maggiore attenzione all’organizzazione della scuola pubblica, che fosse aperta a tutto il popolo e che quindi ponesse fine all’istruzione privata. I vari Stati italiani aderirono al nuovo concetto di scuola aperta al popolo, in quanto iniziarono a staccarsi al controllo ecclesiastico impostando una politica autonoma e riconoscendosi come Stato laico. Bisognava però fare i conti con la realtà di ogni singolo Stato, infatti il popolo era molto povero, non c’erano abbastanza maestri che potessero insegnare a tutti e gli insufficienti investimenti fatti dallo Stato insieme alla scarsa coscienza di cosa realmente voleva dire istruire ed essere istruiti, vennero resi vani i numerosi tentativi degli Stati di creare un popolo istruito. Grazie alla Rivoluzione francese, ai nuovi aspetti che si delineavano in Europa dopo il periodo napoleonico, alla rivoluzione industriale e al nuovo ruolo che l’istruzione ormai aveva acquisito nel resto degli Stati, anche in Italia venne ridefinito il quadro generale degli orientamenti dell’istruzione. Viene allargata la fascia scolastica che si estese dalla scuola infantile fino all’università, inoltre vennero definite meglio le funzioni della scuola elementare e quelle della scuola media, nella quale si differenziarono gli indirizzi professionali e quelli umanistici-letterari; si cercò anche di aumentare la partecipazione da parte del popolo utilizzando una didattica che facesse interessare agli studi e alla scuola. È proprio nel periodo giacobino che il concetto di educazione privata venne sostituito dal concetto di formazione sociale, in cui è lo Stato che se ne deve occupare e finanziare. Una delle opere che in Italia, riguardante l’organizzazione della Pubblica istruzione, ha avuto riscontri nella motivazione nella didattica proposta è stata l’opera di Vincenzo Cuoco. Secondo lui, infatti, la scuola doveva essere universale, essere pubblica ed essere uniforme, per far sì che essa fosse utile al popolo; inoltre propose una divisione dell’istruzione che si articolava in sublime, media ed elementare. Ma il popolo veniva considerato solamente come colui che doveva essere istruito per sottostare “ai sapienti” e poter trarre del “profitto” da essi. Chi viene istruito deve apprendere la maggior parte delle cose che gli vengono dette da chi istruisce poiché loro sono i sapienti ed è da loro che si può imparare. Dal 1848 si iniziò a discutere sulle condizioni delle classi sociali più povere e sul loro diritto all’istruzione pubblica; è proprio in questo periodo che si poté comprendere il rapporto che c’era tra il capitalismo, la borghesia e l’organizzazione scolastica. L’istruzione si confronta per la prima volta con l’economia, con i processi produttivi, con il ruolo dei lavoratori e con le classi sociali. La scuola che prima era differenziata per classi sociali ed era costituita dal concetto di subalternità, si trasformò in una scuola aperta anche al proletariato e alle classi più povere; un nuovo modello scolastico sperimentale che si affida però ai partiti e alle organizzazioni politiche. Prima bisognava gestire una società stratificata, ora invece bisognava gestire il confronto all’interno delle classi sociali e dei gruppi di impostazioni filosofiche ed

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ideologiche molto differenziate; bisognava controllare la società anche tramite il controllo dell’educazione scolastica. L’obiettivo principale del ceto egemonico era di quello di contenere e controbattere le ideologie diverse rispetto al sistema, questo è stato fatto attraverso una burocratizzazione del sistema scolastico, utilizzando molte leggi, circolari e norme che andavano a limitare gli spazi di libertà e di confronto. Con la legge Boncompagni del 1848, non ci furono cambiamenti importanti nel rapporto tra la società, la Chiesa, lo Stato e la scuola, ma rimase una legge che consentì allo Stato di controllare le istituzioni e le strutture che gestivano privatamente la scuola e l’istruzione. Furono poi portate delle modifiche a questa legge, anche in relazione alle nuove linee di unificazione dell’Italia, che portarono all’emanazione della legge Casati. Con la legge Casati del 1859, il sistema non venne modificato particolarmente, infatti non ci furono differenze sostanziali nel sistema amministrativo, giudiziario, militare dello Stato ma allo stesso tempo furono accentuati i compiti delle autorità costituite, venne giustificato ogni grado d’istruzione come preparazione a quello successivo. Il ministro segretario di Stato aveva il compito di promuovere il progresso del sapere, diffondere l’istruzione e conservare le “sane dottrine”. Le scuole sono dirette dal Consiglio universitario, dalla Commissione permanente per le scuole secondarie e dal Consiglio generale per le scuole elementari; era un sistema gerarchico in cui non c’era spazio per l’autogoverno, infatti nemmeno i professori universitari potevano eleggere il Rettore, anche se l’università era utilizzata come strumento per la gestione e per il controllo dei vari tipi di scuola. Se la scuola elementare, media ed universitaria erano sotto il controllo di vari Consigli, l’istruzione pre-scolastica veniva gestita unicamente dai privati e dalla chiesa. Il popolo venne visto sempre come una classe subalterna, a cui si doveva dare un’istruzione di base, sufficiente a formare dei “sudditi” che stessero sotto al potere del Re e della patria. Se la vita del popolo non era facile, nemmeno quella dei maestri e delle maestre lo era. Con le crisi agricole, le scarse innovazioni tecniche della produzione agricola, lo strano funzionamento del sistema finanziario, lo scarso riconoscimento giuridico all’istruzione, le maestre e i maestri erano costretti ad istruire classi affollate, costretti ad attività extrascolastiche, insegnando quello che sapevano, poiché non avevano una solida preparazione professionale e culturale. Essi sia nelle associazioni laiche che in quelle cattoliche, avevano delle battaglie da combattere, come lo stato giuridico, le garanzie d’impiego, i rapporti con le amministrazioni locali e statali, la retribuzione che per chi era donna veniva pagata un terzo rispetto agli uomini, la libertà di insegnamento e la rappresentatività degli organi collegiali. L’unificazione d’Italia e l’estensione dei provvedimenti normativi al resto della penisola non fecero migliorare il quadro generale per quanto riguarda l’istruzione, almeno durante i primi anni dell’Unità d’Italia. Lo Staro liberale, che non aveva doveri e responsabilità economica riguardo all’edilizia scolastica e alla retribuzione degli insegnanti, lasciava queste responsabilità in mano ai Comuni senza accertarsi della loro disponibilità economica e politica. Erano altissimi i livelli di analfabetismo, mancata frequenza, abbondoni e bocciature nella scuola elementare, anche se nella legge Casati c’era l’obbligo e la gratuità della scuola primaria, l’unione tra maschi e femmine e l’esigenza di una maggior preparazione da parte dei docenti.

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Per una ridefinizione dei criteri sull’obbligo scolastico si è dovuto aspettare la legge Coppino del 1877, dove c’era l’obbligo di tre anni, nel 1904 con la legge Orlando sono stati portati a sei mentre con la legge Gentile del 1923 si è arrivati ad otto anni. Grazie a questa legge ci furono importanti cambiamenti riguardo all’istruzione, oltre a rendere operativo il principio dell’obbligatorietà della scuola elementare, sono state fissate anche le sanzioni per chi non avesse rispettato questo obbligo, instaurando dei controlli statali. Coppino mira ad un intreccio tra scuola e lavoro, tra esercito e popolo, tra le scuole elementari, serali, festive e professionali, richiedendo la presenza dei maestri e delle maestre. Questa legge però portò con sé anche alcune criticità, come la differenziazione dei corsi e degli indirizzi delle scuole elementari superiori in rapporto all’attività lavorativa futura o al proseguimento degli studi. Lo Stato teneva conto delle difficoltà dei comuni nell’istituire nuove scuole e teneva conto anche della strada che la popolazione doveva fare per raggiungere la scuola, ma nonostante questi accorgimenti il tasso di ignoranza e analfabetismo rimaneva comunque molto elevato. Ci furono anche discussioni riguardo l’insegnamento religioso, in quanto non era stato esplicitamente eliminato ma non era presente nelle materie scolastiche, e questo creò numerosi dibattiti, soprattutto provenienti dall’opinione pubblica cattolica. Grazie al miglioramento delle condizioni economiche e politiche del Paese, durante l’era giolittiana, si aprì una nuova fase per la situazione scolastica. Durante questo periodo ci furono numerosi dibattiti e scontri tra i socialisti e i cattolici, supportati entrambi dalle proprie associazioni. Da questo scontro presero vita diversi provvedimenti legislativi:

Legge Orlando del 1904, che prevedeva il prolungamento dell’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, istituì le scuole serali e festive per gli analfabeti e la presa in carico da parte dei comuni per le spese scolastiche per i più poveri; inoltre venne fondata la Direzione generale per quanto riguarda la scuola elementare.

Legge del 1906, nella quale venne istituita una Commissione centrale per i paesi del centro Italia e venne fatta una lotta contro l’analfabetismo nelle isole e nelle provincie del sud Italia, avvenne un incremento delle scuole serali e festive così come nelle direzioni didattiche.

Inizio di un’inchiesta ufficiale per avere chiarimenti ed indagare sulle condizioni dell’istruzione primaria in Italia.

Legge Daneo-Credaro del 1911, che prevedeva la presa in carico da parte dello Stato delle scuole primarie, eccetto quelle dei comuni di capoluogo, una ristrutturazione dell’amministrazione istituendo nuovi circoli di direzione didattica, obbligo della presenza scolastica in tutti i comuni. Inoltre stanziò fondi per le biblioteche popolari, scolastiche e magistrali, per le scuole con disabili e per gli asili.

Per la prima volta, con la legge Daneo-Credaro, lo Stato si fece carico della scuola elementare; l’amministrazione scolastica provinciale fu affidata al Consiglio scolastico, alla Deputazione scolastica e alla Delegazione governativa per l’educazione elementare,

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costituita dal Prefetto, da un rappresentante del Ministro del tesoro e dal ragioniere capo della prefettura. Ma ancora la posizione degli insegnanti rimaneva problematica, non possedevano nessun tipo di potere nell’organizzazione e nelle procedure delle scuole elementari, infatti si continuò a controllare le amministrazioni comunali a livello di organizzazione scolastica, di gestione, di distribuzione di mutui, di preventivi di spesa e nelle impostazioni delle costruzioni scolastiche. Grazie alla legge del 1911 si riprese l’impostazione relativa all’obbligo scolastico, aumentano i fondi per le biblioteche popolari, scolastiche e magistrali, per i gli asili e i giardini d’infanzia. Con l’avvento della prima guerra mondale, molti interventi, molti miglioramenti e con essi i fondi, furono cancellati e si verificò un cambiamento volto a sostenere la guerra e il patriottismo; infatti la scuola durante la Grande Guerra divenne uno strumento per il sostegno patriottico, per l’eroismo militare cercando di far sì che aumentassero le persone volontarie al fronte. Le materie scolastiche vennero mutate, con programmi pedagogici legati al tema del conflitto e discussioni legate all’attualità. Molti bambini erano entusiasti di andare a combattere, di arruolarsi per la guerra e per la propria patria così l’ultimo anno di guerra furono arruolati molti di essi. La scuola doveva essere “un manifesto di guerra”, si doveva parlare di guerra e delle azioni belliche in modo da stimolare il senso patriottico al popolo. Con l’avvento al potere del fascismo, Gentile mise a punto una riforma della scuola, la quale, con i suoi precetti risultava essere un compromesso filosofico-politico tra l’idealismo che c’era attualmente e il fasciamo. Con la riforma Gentile del 1923, la scuola non sarebbe diventata una scuola fascista, ma sicuramente una scuola autoritaria affinché essa potesse funzionare. Con l’appoggio della Chiesa e con il ritorno dell’istruzione religiosa obbligatoria, prima alle scuole elementari poi allargata in tutti gli altri ordini scolastici, la scuola puntava alla conservazione di un buon livello culturale, classico e nazionalistico. La scuola di Gentile si basava molto come principio base quello del nazionalismo, che sarebbe stata la base della formazione delle nuove generazioni, risultava essere lo strumento principale per garantire la giusta preparazione ai ruoli specifici di governo e di orientamento delle classi medie e dirigenti. Assunse un ruolo molto importante il liceo, infatti esso fungeva da lasciapassare per coloro che fossero destinati ad alti ruoli sociali mentre fungeva da barriera per coloro che fossero destinati nell’immediato futuro ai lavori manuali o all’attività professionale. La riforma gentile aveva come obiettivo quello di popolarizzare la scuola ginnasiale e liceale, allargando l’obbligo dell’istruzione fino al quattordicesimo anno di età, e aumentando fino a cinque anni l’istruzione elementare. Si creò una scuola complementare, che poi venne trasformata in una scuola di avviamento professionale con indirizzi che corrispondevano alle attività lavorative dei settori produttivi; furono soppresse le scuole tecniche, si sottolineò la divisione tra i licei classici e gli istituti magistrali, con la creazione del liceo scientifico e del liceo femminile. Venne modificato anche l’esame di maturità e di abilitazione, rendendolo molto selettivo per salvaguardare la serietà degli studi e dell’accesso all’Università che spesso era riservata quasi esclusivamente agli studenti che provenivano dal liceo classico. L’obbligo scolastico, con la riforma Gentile venne esteso ai ciechi, ai sordi e a coloro che soffrivano di disturbi psichici, creando delle scuole speciali che erano situate in luoghi differenti rispetto alle altre scuole. Per chi, invece, soffriva di lievi ritardi, vennero create delle classi differenziali ospitate nei “normali” plessi scolastici.

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Per i casi più gravi erano previsti istituti speciali, in cui venivano tenuti per lunghi periodi separati anche dalle famiglie. Le classi differenziali erano, però, destinate anche agli allievi con problematiche di condotta o di disagio sociale o familiare. In ogni caso l’allievo con disabilità o deficit veniva separato dal resto degli studenti poiché veniva percepito come malato e come un elemento di distrazione che doveva essere affidato ad una persona che si occupasse di lui in maniera specifica. Più tardi le scuole elementari adottarono il testo unico di Stato e passarono sotto il diretto controllo dello Stato; ma questa nuova visione della scuola non risultò funzionale agli obiettivi e alle esigenze del regime, non favorì la fascistizzazione della gioventù e separò il mondo della scuola da quello del lavoro e della scienza. Gentile accentuò il forte carattere centralista, fiscale e burocratico della scuola, facendo sì che essa dipendesse dal potere esecutivo, anche Lombardo radice tentò una riforma ma in seguito all’omicidio di Matteotti si dimise e fu progressivamente emarginato dalla sfera politica riguardante l’istruzione. Durante il periodo fascista la scuola elementare ebbe numerosi cambiamenti in quanto era forte la presenza di organizzazioni politiche e paramilitari, infatti nacque l’opera nazionale Balilla e la Gioventù del Littorio. La riforma Bottai all’interno della carta della scuola del 1940 aveva l’obiettivi di facilitare l’entrata alla scuola superiore anche le classi più povere, rappresentava un altro tentativo di riorganizzare la scuola in base al sistema politico, ideologico, sociale ed economico. Il progetto di Bottai organizzava le scuole in base alla propria funzione sociale: le scuole professionali erano rivolte alle esigenze per la preparazione dei grandi centri, con l’integrazione di una scuola tecnica biennale per la preparazione agli impieghi minori e al lavoro specializzato delle grandi aziende industriali, commerciali ed agrarie. Il liceo classico, invece, prevedeva l’integrazione dello studio delle lingue e delle letterature antiche e moderne, per promuovere la coscienza alle tradizioni e alla modernità e anche una conoscenza pratica del lavoro con l’integrazione di insegnamenti scientifici. La divisione dei compiti si estendeva anche ai licei scientifici, agli istituti tecnici, a quelli professionali, all’istruzione artistica, alle scuole femminili, ai corsi per la formazione e per il perfezionamento dei lavoratori, infine anche ai centri per la formazione degli insegnanti. Purtroppo la riforma Bottai non si sviluppò come aveva progettato Bottai, ma negli anni del dopo guerra, favorì la continuità scolastica resa possibile grazie anche al nuovo panorama politico e sociale. Dopo la resistenza e la liberazione dell’Italia il dibattito tra la politica e la pedagogia rispecchiava una scuola strutturata come l’aveva ideata Bottai, all’interno della carta della scuola, stabilendo compiti, funzioni, competenze, ruoli culturali e professionali delle singole scuole e dei diversi cicli scolastici. Dopo la liberazione, con il Ministero Gonella, si aprì un periodo in ci furono molti insuccessi dal punto di vista di riforme scolastiche, non si riusciva a trovare idee tecniche, né politiche per portare avanti un progetto istituzionale partendo da i dati e dalle elaborazioni che erano pervenute attraverso una ricognizione statistica e informativa sulla scuola italiana. Questo periodo di non riforme durò fino agli anni 50’, che furono denominati “piccolo medioevo contemporaneo”, in cui, a causa dei forti cambiamenti economici e sociali, la cultura popolare e media dei cittadini era poco aperta e progressiva, ma piuttosto conservatrice e con ideali e valori rurali e contadini.

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Più si andava avanti nel tempo e più si iniziava a parlare della necessità di una profonda riforma nella società italiana, di potere legare la scuola alle strutture della società, di abolire i privilegi e di creare una formazione democratica, di poter avere un’evoluzione culturale e spirituale per tutti i cittadini, con lo stesso diritto all’istruzione almeno fino al quattordicesimo anno di età. Si insistette molto su una scuola media unica, su una scuola del lavoro e professionale, sulle funzioni delle scuole, sull’eccessivo affollamento delle università e si ragionava sulle scuole pubbliche e private. Si volle una formazione sulle capacità di esprimersi, di comunicare e di accostarsi al patrimonio culturale, si criticavano i programmi degli esami, il modo in cui essi venivano effettuati, la moltitudine di lavoro basato sull’imparare a memoria e quindi una mal acquisizione delle informazioni studiate. Si discusse il problema delle scuole private che venivano gestite dai cattolici, infatti il confronto tra i laici e i cattolici fu molto acceso soprattutto per quanto riguardava l’insegnamento della religione, oppure la possibilità di un insegnamento fatto a casa, e furono discussi altri temi. Gli anni 70’ furono caratterizzati da numerose iniziative legislative orientate a soddisfare i bisogni e le richieste emerse sia attraverso le manifestazioni studentesche, sia attraverso una riflessione espressa dalle varie componenti della società. Da questo grosso dibattito emersero due particolari esigenze: da una parte che la scuola si aprisse alla società, dall’altra che la società si impegnasse a sostenere l’azione formativa della scuola. Nacquero così l’istituzione del “tempo pieno” nelle scuole elementari, l’istituzione dei corsi sperimentali per i lavoratori, dopo un accordo tra il governo e i sindacati. La legge del 1971 prevedeva il totale inserimento degli allievi con disabilità nelle classi comuni della scuola dell’obbligo, ma senza l’utilizzo di una didattica speciale per migliorare il suo sviluppo, gli allievi furono integrati all’interno delle classi comuni in cui si dovevano adattare al nuovo ambiente. Nel 1974 vennero emanati i Decreti delegati in cui ci furono forme di flessibilità per andare incontro ai bisogni e alle richieste della società. L’abolizione definitiva delle classi differenziali si ebbe con la legge del 1977, la quale individuò dei modelli didattici flessibili in cui poter attuare delle forme di integrazione trasversali, esperienze ed attività organizzate in gruppi di alunni ed affidate a degli insegnanti specializzati. Con la legge 104 del 1992 si raggiunse una piena integrazione del disabile, che non si concentrava solo sull’assistenza ma anche sui loro diritti, infatti si cercò di promuovere la massima autonomia individuale. Inoltre con la legge 104 venne specificato che l’integrazione dei ragazzi con disabilità dovesse avvenire per tutti e per ogni ciclo, compresa l’università nelle classi comuni. Grazie a questa legge, fu possibile una programmazione coordinata tra i servizi scolastici, sanitari e socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi, poiché si potesse parlare di integrazione solo se si prendesse in considerazione anche centri extrascolastici preseti nel territorio per poter diventare sociale e professionale. Questa legge mira al far vedere e comprendere come la diversità sia un valore e non un peso, attraverso forme di inclusione portare il soggetto con disabilità ad essere il protagonista della propria vita, in ogni suo aspetto.

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In questo senso si iniziò a parlare di inclusione, ovvero far sì che sia il contesto ad adattarsi al ragazzo con disabilità per poterlo aiutare nel suo sviluppo attraverso una coordinazione di vari enti presenti nel territorio, la scuola e la famiglia con l’obiettivo principale del progetto di vita. Con la legge del 1999 venne introdotto l’accesso al collocamento mirato per le persone con disabilità, inserendole anche nel mondo del lavoro per far sì che potessero essere davvero protagoniste del loro futuro. Con la legge 170 del 2010 vengono riconosciuti i DSA, ovvero i disturbi specifici dell’apprendimento. La legge 170 non prevede per i DSA l’insegnante di sostegno come invece prevede la legge 104 del 1992. I DSA sono un disturbo neuro-biologico che hanno quindi fondamenti neurologici ma che hanno risvolti anche a livello fisico. I disturbi specifici dell’apprendimento sono la dislessia, la disgrafia, la discalculia, e la disortografia. Chi soffre di dislessia ha difficoltà a leggere velocemente e correttamente ma fa fatica anche a comprendere ciò che viene letto. Chi soffre di disgrafia ha difficoltà a riprodurre segni alfabetici, mentre chi soffre di disortografia ha difficoltà a trasformare il linguaggio parlato in linguaggio scritto e spesso confondono fonemi e grafemi simili tra loro. Chi soffre di discalculia ha problemi nel calcolo e nella scrittura numerica. La dislessia e la disgrafia possono essere diagnosticate e certificate non prima della seconda primaria e la disortografia come la discalculia possono essere certificate solo dalla terza primaria in poi poiché è necessario che sia terminato il normale processo di insegnamento delle abilità di lettura e scrittura. In un soggetto si possono verificare anche più disturbi insieme. Con la legge del 2012 vengono riconosciuti i BES. I BES o bisogni educativi speciali sono i bisogni di tutti quegli alunni che hanno difficoltà nel normale apprendimento e richiedo interventi individualizzati. I BES vengono valutati dal contesto educativo e non da un’equipe di medici e psicologi. Lo strumento che si usa principalmente come linea guida è l’ICF che descrive e classifica i funzionamenti delle disabilità e abilità dei soggetti, andando a descrivere le abilità di essi basandosi sulle competenze positive. Gli obiettivi e le attività per i BES possono variare nel tempo, infatti può andare da un minimo di un mese al massimo di un anno. I BES possono essere utilizzati sia per i soggetti con poche abilità sia per soggetti che hanno molte abilità e che eccellono in molti campi. Inoltre per aiutare maggiormente l’alunno si può produrre anche un PDP ovvero un piano didattico personalizzato dove le attività e gli obiettivi vengono proposti per il soggetto specifico e non fanno riferimento agli obiettivi dell’intera classe. Per aiutarsi e aiutare chi lavora nell’ambito educativo sono stati creati delle classificazioni diagnostiche che vengono consultante dagli insegnanti e dagli educatori. Il DSM, l’ICD10 e l’ICF sono strumenti per la classificazione diagnostica e sono usate nei vari ambiti educativi, spesso negli istituti scolastici. L’ICD 10 fornisce una diagnosi delle malattie e dei disturbi psichici e comportamentali facendo da modello di riferimento alle cause delle malattie, ed è stato pubblicato nel 2007. L’ICD 10 viene utilizzato come riferimento per produrre il pdf, ovvero un documento importante che definisce un profilo diagnostico funzionale che deriva da una diagnosi funzionale, dove vengono descritti gli aspetti comportamentali, cognitivi e sociali. È possibile trovare anche l’ICD 9 che è formulato per gli adulti.

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L’ICD 10 spesso viene utilizzato assieme all’ICF, che è una classificazione internazionale sul funzionamento delle disabilità e della salute, ed è stato pubblicato nel 2002 mentre la versione CY, che è utile per i bambini e gli adolescenti è stata pubblicata nel 2007. All’interno dell’ICF si va a descrivere le abilità di una persona e non fa riferimento ai deficit, ma soprattutto si distingue la performance che riguarda ciò che l’individuo fa nel suo ambiente, e le capacità che sono le abilità di un individuo di eseguire un compito, nell’ambito sociale e personale. Il Dsm-5 fa riferimento, invece, alle diagnosi in abito psichiatrico, quindi va a descrivere le diagnosi dei disturbi mentali, ed è stato pubblicato nel 2014. Il PTOF o piano triennale offerta formativa, che è stato pubblicato nel 2015, è “il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia. Il piano è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi, determinati a livello nazionale, e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell'offerta formativa. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, valorizza le corrispondenti professionalità.”11 È in questo contesto scolastico che le arti terapie si propongono come strumento per creare ulteriori esperienze di inclusione tra i ragazzi e gli insegnanti all’interno delle istituzioni scolastiche, per creare inoltre momenti di incontro tra ragazzi con disabilità e ragazzi normodotati e per migliorare la qualità delle relazioni che i ragazzi con disabilità hanno sia con i loro compagni di scuola sia con la famiglia, aiutandoli nel migliorare la qualità della loro vita. Le arti terapie, ma in particolare la musicoterapia vengono definite come un’esperienza relazionale ed estetica, che si avvale di tecniche maieutiche, educative e cliniche di relazioni multiple. Il principio base su cui la musicoterapia si basa è appunto la relazione, dove il terapeuta ha una funzione di stabilire un’interazione, creare delle esperienze attraverso attività ben definite per raggiungere gli obiettivi dati. La musicoterapia è un’esperienza anche estetica, in quanto attraverso i sensi attiva un processo che porta ad un prodotto. I processi possono essere di tipo cognitivo, affettivi, psicomotori e sociali. Il prodotto invece è la restituzione di qualcosa di quello che attraverso l’attivazione dei processi si è venuto ad acquisire come competenza base. La musicoterapia si avvale di tecniche maieutiche che si basano sulla relazione e sul dialogo, educative, e cliniche, come ad esempio l’empatia, la strutturazione del setting, il feedback e aspetti referenziali, di relazioni multiple poiché all’interno delle relazioni troviamo relazioni diadiche e triadiche proprio perché c’è un intreccio sia con le persone ma anche con le loro storie e il loro passato. L’obiettivo principale delle relazioni d’aiuto è l’epowerment, ovvero restituire competenze; un altro obiettivo importante è il progetto di vita, ovvero il vedere dei risultati pratici, osservare il soggetto da un punto di vista fenomenologico-esistenziale, quindi cercare di migliorare la qualità della relazione, anche intrecciate con quelle all’interno della famiglia. Chi lavora all’interno delle relazioni d’aiuto può essere considerato come un facilitatore in quanto facilita l’iterazione di gruppo, stimola lo sviluppo cognitivo, la concentrazione

11 http://www.csis03900l.gov.it/wp-content/uploads/2016/01/Indicazioni-per-la-predisposizione-del-PTOF.pdf

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e la memoria, e sviluppa la percezione e sensorialità. La musicoterapia si può definire come un’educazione con la musica, essa infatti viene vista come uno mezzo e non come il fine, in modo sviluppare obiettivi che non siano delineati al raggiungimento di sole nozioni musicali. Al contrario della didattica, la musicoterapia focalizza i suoi obiettivi nello sviluppo cognitivo, andando ad attivare i processi cognitivi come la memoria, l’attenzione, l’imitazione, la concentrazione l’ascolto e la creatività; inoltre punta ad obiettivi affettivi, nel miglioramento della relazione e obiettivi sociali nel miglioramento dell’interazione e della socializzazione, prendendo in considerazione tutti gli aspetti della persona, andando a restituire competenze e a migliorare la qualità di vita del ragazzo.

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6 IL PROGETTO “MUSICA INSIEME” L’attività si è svolta inizialmente presso la scuola secondaria Cavour e successivamente presso la Scuola Primaria “Giovanni XXIII” di Modena, svolgendosi con incontri a cadenza settimanale. La numerosa presenza di bambini ha reso necessario dividerli in piccoli sottogruppi. Questi gruppi si susseguivano uno dopo l’altro a distanza di mezz’ora, tranne per quanto concerneva due gruppi in particolare, uno più corposo che riusciva a partecipare per quarantacinque minuti, e uno composto da un solo bambino cieco e muto, che sosteneva l’attività per quindici minuti. 6.1 Obiettivi

Attivazione dei processi cognitivi come la memoria, l’attenzione, l’imitazione e la concentrazione.

Miglior consapevolezza dello spazio e del luogo che li circonda. Aumento della capacità di ascolto. Stimolazione della creatività. Stimolazione delle abilità motorie. Migliorare la socializzazione e l’interazione. Attivare momenti di inclusione con i compagni di scuola. Utilizzare il movimento come espressione e sviluppo della capacità di

coordinazione e anche come momento di socializzazione. Utilizzare la danza come correlazione tra il ritmo musicale e la capacità gestuale

per migliorare la consapevolezza e la coordinazione. Migliorare i tempi di attenzione e di partecipazione. Acquisizione di abilità ritmiche attraverso il corpo e gli strumenti.

Questi obiettivi sono stati stabiliti dopo un processo osservativo durante i primi incontri. Solitamente, infatti, questi primi incontri servono proprio per progettare l’esperienza di musicoterapia. Quando si pensa di progettare e programmare un’esperienza educativa bisogna sempre tenere a mente le cinque domande: chi, cosa, quando, come e perché. Queste domande sono fondamentali per aver sempre chiaro chi si ha davanti, cosa si vuole ottenere, quindi gli obiettivi che ci si è posti, in che tempi fare ciò, come poterlo attuare attraverso differenti tecniche e metodi, infine il perché si propone una determinata attività o gioco. In particolar modo per rispondere adeguatamente alla domanda “chi?” è bene prestare ascolto ed essere capaci di osservare, in quanto è unicamente il soggetto destinatario dell’intervento educativo che può suggerire la prospettiva nella quale è più utile agire. Solo in questo modo siamo sicuri di evitare di cadere in pregiudizi che possono riguardare determinate categorie di disabilità. Dobbiamo ricordarci che chi opera nelle relazioni d’aiuto, attraverso la musicoterapia, l’arteterapia e il couselling, svolge il ruolo di facilitatore per stimolare lo sviluppo cognitivo, aumentare il livello di integrazione di un gruppo, stimolare la concentrazione

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e la memoria e sviluppare la percezione e la sensorialità. Poiché il nostro ruolo è di essere dei “facilitatori”, è assolutamente necessario articolare il nostro operato offrendo ai bambini gli strumenti adatti per sviluppare indirettamente o direttamente le loro capacità cognitive.

6.2 Tecniche Durante le attività svolte in questo progetto si è utilizzato diverse tecniche e diversi metodi che mi sono stati utili per il raggiungimento degli obiettivi. È molto importante proporre attività che implichino l’utilizzo di oggetti che possono variare a seconda dello scopo. In questo modo il bambino prende confidenza dell’oggetto, che sia uno strumento o un oggetto che prima non conosceva, in modo da acquisire competenze che gli saranno utili al di fuori di quest’esperienza educativa. I “tutor” possono proporre attività uguali, in diversi gruppi di bambini e ragazzi, applicandole in modo differente, in base alle specifiche necessità di un determinato contesto, ricordando sempre che è necessario passo per passo avere sempre una risposta chiara e nitida delle cinque domande. Per questa ragione nel progetto si sono utilizzate attività musicali uguali tra loro per raggiungere differenti obiettivi; ad esempio si è proposta la canzone “la bella lavanderina” con lo scopo di migliorare le abilità motorie in un gruppo e sviluppare la creatività in un altro. Possiamo sostenere che è proprio attraverso la diversità che noi siamo in grado di apprendere, ed è per questo che si cerca di lavorare in gruppo: oltre a porre sempre attenzione alla dinamica che si crea, è importante sottolineare che è grazie al differente apporto che le varie persone offrono all’ insieme e alle loro differenti capacità che si arriva ad un apprendimento globale e condiviso da parte di tutti i partecipanti. La musica fa sì che la mente, il corpo e le emozioni vengano tutti coinvolti nello stesso tempo facendoli entrare in contatto tra di loro; essa inoltre è in grado di essere adattata alle richieste e alle esigenze di qualsiasi persona, ragazzo o bambino. La musica è in grado di trovare differenti canali di comunicazione grazie alle varie tecniche utilizzate e adattate ai bisogni dei soggetti con cui ci si trova a lavorare. Per questo progetto ho utilizzato delle musiche molto semplici, con una melodia con poche parole e che fosse facile da memorizzare. Per le esigenze di questi bambini e di questi ragazzi è infatti necessario utilizzare canzoni chiare e ripetitive per evitare che si perdano in un testo troppo complesso e difficile da memorizzare. Inoltre queste canzoni richiedevano dei movimenti semplici del corpo come saltare, alzarsi, abbassarsi e altri. “Noi dobbiamo capovolgerci e pensare invece che il bambino deve essere per noi una proposta e che non esiste bambino senza proposta. Molto spesso, dobbiamo riconoscerlo con molto realismo, esistono operatori e terapeuti che non sanno leggere una proposta. E spesso, a mio parere, questa impossibilità di lettura della proposta è determinata dall’essere legati alla norma, l’essere agganciati alla regola, a ciò che succede di solito ed essere bloccati sul piano dell’immaginario, sul piano di ciò che può accadere, sul piano di qualcosa che sia assolutamente privo di significato previsto e prevedibile.”12

12 Matteo Lorenzetti, “Quaderni di musica applicata, autismo percorsi infantili e musica”, Edizioni fonografiche e musicali PCC, 1983, p. 46.

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In relazione a questa citazione ci sono stati momenti in cui ai bambini è stati permesso di esprimersi in gesti e movimenti che solitamente in ambito scolastico non sono permessi. Questo si è verificato durante la realizzazione di un’attività musicale chiamata “la sveglia”, in cui alcuni bambini per mimare il gesto del dormire hanno preso l’iniziativa di sdraiarsi per terra su un tappeto che ricordava un materasso, mentre altri bambini spegnevano le luci nel momento del sonno e la riaccendevano quando suonava la sveglia rispettando il ritmo della canzone; in queste due occasioni è stata lasciata ai bambini la massima libertà di azione e di creatività, infatti nessuno degli educatori ha interrotto questi gesti spontanei. “Un altro aspetto che mi viene in mente contenuto nel libro <Alice attraverso lo specchio> di Louis Carrol, è l’incontro di Alice con Humpty Dumpty, che è un uovo in forma umana. Alice e Humpty Dumpty si raccontano poesie, discutono su ciò che possono significare. La conclusione è: il significato c’è sempre, basta saperlo trovare e si può dare significato alle poesie già fatte. E quando Humpty Dumpty si mette a cantare una certa filastrocca poetica, Alice ha sempre bisogno di intervenire, di sottolineare, e allora ad un certo punto le dice: <ma smettila con questi sciocchi commenti, stai rovinando l’atmosfera>. Ecco, io credo che qualcosa di simile succeda anche nel nostro rapporto con questi tipi di bambini. Dove noi abbiamo difficoltà a trovare dei significati e dove noi con certi interventi - <credo veramente abbastanza sciocchi> - come dice Humpty Dumpty, possiamo forse bloccare, inaridire qualcosa che il bambino con tutte le sue difficoltà, con tutta la sua limitata capacità “comunemente condivisa” di espressione, sta cercando di realizzare. Si deve raggiungere la possibilità di guardare il bambino in modo diverso.”13 Credo sia molto importante il messaggio che l’autore voglia trasmettere, poiché dobbiamo proprio imparare a guardare il bambino con occhi diversi, cercando di vedere e cogliere i momenti di espressione del bambino senza utilizzare filtri o paragoni. Ogni bambino è speciale nella sua unicità e come lui anche i suoi strumenti per esprimersi lo sono; pertanto dobbiamo cercare di osservarlo attivamente, entrando in relazione con lui, scoprendo il suo mondo e il modo in cui esso vive all’interno di questo suo mondo. Il regalo che ci viene donato si realizza nel momento in cui egli ci concede di poter farne parte, se sappiamo come guardarlo. Occorre osservare il bambino con deficit nel contesto globale della sua personalità, accentuandone e sviluppandone le abilità e le potenzialità. Tutto ciò deve avvenire pur tenendo conto del deficit, ma senza che esso diventi un ostacolo nel proporre attività che lo potenzino a 360 gradi. 6.3 Materiali Gli oggetti che ho utilizzato sono stati:

Il registratore, e lo cito come oggetto utile poiché in alcuni momenti mi è servito come mezzo per entrare in relazione con i bambini, infatti alcune volte mi chiedevano loro, oppure li esortavo io a premere il tasto per far partire la canzone oppure premere altri tasti, riuscendo così a creare un dialogo e una relazione.

Le maschere, sono state molto utili, in quanto permettevano a ciascun bambino di sentirsi partecipe dell’attività, inoltre creava una dinamica di gruppo in cui tutti

13 Ibidem, p. 47.

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decidevano chi dovesse indossare la maschera e chi sarebbe stato il prossimo a portarla e quindi ad assumere e ad intercalarsi nel ruolo della maschera.

Il lenzuolo è stato usato per creare il mare e per creare le onde su cui una balena navigava; i ragazzi si sono divertiti molto a creare il mare in tempesta o il mare calmo, ognuno teneva un pezzo del lenzuolo e tutti insieme lo facevamo muovere a seconda dell’andamento della canzone.

I foulard, di tanti colori diversi sono stati le code di cavalli al trotto, ma anche le ali di una farfalla e ancora, dei fazzoletti da lavare e infine del fuoco da spegnere. Sono una risorsa davvero utile per rappresentare qualsiasi tipo di cosa, e far sentire partecipi i bambini durante l’attività.

Gli strumenti musicali, in particolare quelli a percussione, che i bambini potevano scambiarsi durante le canzoni e sperimentare il loro utilizzo.

Palle di gomma piuma o palloncini in modo che se le avessero lanciate addosso a qualcuno non si sarebbero fatti male, e che durante l’attività fossero maneggiabili con facilità e che non creassero difficoltà nei passaggi.

6.4 Il setting “La capacità del ragazzo di operare attivamente può essere influenzata dall’ambiente che lo circonda. L’ambiente svolge un ruolo importante per quanto riguarda la libertà musicale che desideriamo offrirgli: la libertà di far rumore, di gridare, di muoversi, di sentirsi sicuro e non minacciato”. 14 Il progetto è iniziato alla scuola secondaria di primo grado Cavour a Modena. L’ora di musicoterapia si sviluppava in un’aula abbastanza grande e luminosa. Erano infatti presenti ben quattro finestre nella stanza che guardavano su un percorso nel prato dietro la scuola. La zona perciò era tranquilla e durante l’ora di musicoterapia i ragazzi non venivano distratti da quello che c’era fuori ma riuscivano a concentrarsi sulle attività che venivano proposte. In mezzo alla stanza c’erano tre tavoli rettangolari, che venivano spostati all’inizio delle attività per poter avere più spazio a disposizione, e alla fine dell’ora venivano rimessi al loro posto, poiché servivano ai ragazzi per fare la ricreazione e per fare i compiti dopo con i loro insegnanti di sostegno. Oltre a quei tavoli era presente un altro tavolo vicino alla porta e serviva per appoggiarci il computer e la stampante, ed essendo vicino alle prese di corrente io attaccavo lì anche il mio registratore per far ascoltare i cd che utilizzavo. Attorno alle pareti erano presenti degli armadi, e su un lato era appesa una lavagna lunga e stretta, mentre sull’altro lato c’era una scaffalatura piena di giochi, che a volte venivano tirati fuori dai ragazzi prima di iniziare le attività. Quando facevo attività in quell’aula radunavo le sedie in cerchio, andando a “rubare” sedie anche nelle aule vicine. A volte entravo e trovavo già il cerchio di sedie predisposto, poiché uno o due ragazzi che erano lì, mi aspettavano e mi preparavano di loro spontanea volontà il cerchio con le sedie in modo che io potessi giocare un po’ con loro mentre aspettavamo di iniziare l’attività con gli altri ragazzi.

14 J. Alvin, “La terapia musicale per il ragazzo autistico”, Armando, 1981, p. 18.

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Abbiamo poi utilizzato anche il corridoio per appendere il cartellone con le foto dei ragazzi che svolgevano le attività, in modo che anche gli studenti della scuola o loro stessi potessero riguardarsi nelle foto appese nel corridoio. La situazione cambia molto quando in gennaio si è cominciato a lavorare nella scuola primaria Giovanni XXIII; infatti l’aula utilizzata era veramente piccola, e quel poco di spazio che c’era era occupato da tavoli o giochi in quanto quella era la stanza deputata come stanza “relax”. In quella piccola stanzina cercavo di sistemare i tavoli in modo da aver più spazio possibile per muoversi e per svolgere le attività. Essendo una sala relax, spesso mantenere l’attenzione perché i bambini erano spesso attirati dai giochi presenti, infatti ogni tanto qualcuno di loro si allontanava per usarli. Quando abbiamo iniziato ad includere anche i compagni di classe, abbiamo utilizzato un’altra aula, molto più grande ma anche più fredda e non adatta perciò in inverno per svolgere le attività. Era anche questa molto luminosa poiché aveva molte finestre che purtroppo davano sul giardino e nel momento della ricreazione tutti i bambini che erano a fare l’attività di musicoterapia con noi vedevano i loro compagni giocare all’aperto con un bel sole e quindi spesso si distraevano o dicevano di voler andare a giocare fuori: questo in alcuni casi è risultato essere un problema. Anche in questa stanza erano presenti molti giochi e qualche bambino provava ad andare a prenderli ma essendo un gruppo più numeroso le attività erano più fluide e il coinvolgimento era maggiore, in questo modo solo poche volte si è notato bambini distratti. In tutte le stanze in cui sono state fatte le attività i bambini potevano urlare, cantare, ballare, suonare e muoversi liberamente nello spazio senza il rischio che si desse fastidio alle classi vicine.

6.5 Metodi In questo progetto ho utilizzato diversi metodi, i quali sono stati intrecciati sia tra di loro utilizzando differenti tecniche, sia con la mia esperienza. Principalmente ho utilizzato il metodo Orff, possiamo parlare non tanto di un metodo quanto di una metodologia, che utilizza gli strumenti a percussione, sia ritmica che melodica, per far fare esperienze nuove ai bambini. Scrive Carl Orff “musica elementare, strumentario elementare, forme verbali e motorie elementari. Cosa è elementare? Elementare, in latino elementarius, significa intrinseco agli elementi, alle sostanze primarie, primordiale, affine alle origini. Proseguendo, cos’è musica elementare? Musica elementare non è mai musica sola, essa è collegata a movimento, danza e parola, è una musica che ciascuno si fa da sé, nella quale si è implicati non come ascoltatori ma come co-esecutori. Essa è pre-intellettuale, non conosce grandi forme né architettonica, produce ostinati, piccole forme ripetitive e di rondò. Musica elementare è terrestre, innata, corporea, è musica che chiunque può apprendere e insegnare, è adeguata al bambino”.15 Carl Orff era uno dei più famosi compositori del ventesimo secolo che si interessò attivamente anche alla didattica musicale.

15 http://nonsolocultura.studenti.it/pedagogia-il-metodo-orff-260733.html#steps_7

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L’Orff-schulwerk non è un metodo ma una metodologia didattica in quanto non è una successione di esercizi che hanno come obiettivo quello di mirare ad acquisire determinate competenze ma mirano a rendere il bambino protagonista dell’azione formativa, cercando di fare scoprire loro attraverso attività pratiche, e non attraverso nozioni teoriche, conoscenze sugli strumenti suonati e provati. Secondo Orff infatti la conoscenza non passa solo attraverso il sapere ma riguarda anche il saper fare attraverso la propria esperienza; infatti egli propone un’esperienza musicale che parta prima di tutto dal corpo poi si estenda al suono vocale e infine all’uso degli strumenti. Lo strumentario Orff è costituito da strumenti a percussione ritmica e melodica; all’interno di queste due grandi sezioni sono inseriti tutti gli strumenti relativi a quella sezione. Ad esempio all’interno degli strumenti a percussione ritmica troviamo i tamburi, i legnetti, i piatti, le nacchere e altro; mentre nella sezione degli strumenti a percussione melodica troviamo i metallofoni, gli xilofoni, le piastre sonore e tanto altro. Durante il progetto questo tipo di metodologia è stato utilizzato principalmente nell’utilizzo dello strumentario Orff, dove i bambini hanno potuto sperimentare in prima persona vari tipi di strumenti a percussione, dai metalli ai legnetti, dai tamburi alle maracas. Spesso i bambini volevano usare più strumenti in una volta, e venivano ripetute più volte le canzoni suonate in modo che potessero usare diversi tipi di strumenti e acquisire le competenze su come suonarli. Oltre allo strumentario Orff ho utilizzato questo metodo per quanto riguarda l’utilizzo del corpo e del movimento, un movimento anche spontaneo in determinate canzoni. Prima di utilizzare gli strumenti, si partiva dalla body percussion, quindi dal corpo, facendo produrre suoni differenti a seconda dei toni della musica, sfruttando le diverse parti del corpo; in questo modo il bambino associava le caratteristiche della musica a suoni del proprio corpo riuscendo a sottolineare le differenze, per poi passare all’utilizzo degli strumenti e sottolineare con essi la struttura musicale del brano. Per fare ciò i bambini hanno utilizzato un ascolto della musica che fosse un ascolto attivo, ecco allora che ho utilizzato il metodo di Thomas Gordon. Thomas Gordon era uno psicologo clinico, fu uno stretto collaboratore con Carl Rogers, anch’esso psicologo statunitense. Gordon fece degli studi sull’efficacia della comunicazione, trovando due aspetti molto importanti di essa, che possono essere racchiusi in ascolto attivo ed il messaggio-io. Iniziò a studiare anche il rapporto tra genitori-figli, sviluppando una teoria e un proprio metodo, organizzando anche corsi per i genitori. Lavorando con Carl Roger, prese in considerazione la sua teoria sulla persona e sull’empatia, utilizzandola poi come una tecnica capace ed efficace per la comprensione dei soggetti e delle relazioni umane. Il concetto di ascolto attivo ideato da Gordon può essere applicato anche alla musica; infatti per ascolto attivo si intende il poter cogliere la struttura interna del brano che si sta ascoltando attraverso delle attività di mediazione. Queste attività possono essere diverse tra loro e comprendono altri aspetti e ambiti del “far musica”. Ci possono essere attività in cui si richiede di spiegare quali sentimenti o sensazioni si è provati ascoltando un tipo particolare di musica attraverso l’arte; oppure si potrebbero usare gli strumenti, creando una sovrapposizione alla melodia della base musicale utilizzata. Attraverso le attività di mediazione si arriva a capire la struttura interna del brano musicale. L’insieme di questa attività volte ad un ascolto attivo della musica

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vengono definite come una vera e propria pedagogia musicale. L’ascolto attivo è uno dei vari ambiti presenti del far musica, possiamo inoltre trovare l’uso della voce, il canto parlato oppure ritmico, individuale e collettivo, la mimica, la percussione corporea definita come body percussion, l’utilizzo degli strumenti musicali, l’ascolto attivo e l’uso del movimento. Esistono infatti, diverse danze, tra cui le danze didattiche, le danze folcloristiche e le contraddanze. Le danze didattiche sono utilizzate per raggiungere determinati obiettivi didattici, incominciano con un’introduzione per poi continuare con un’alternanza tra il tema A e il tema B, che caratterizzano la danza. Spesso la forma di danza non coincide con la forma musicale. Le danze folcloristiche rappresentano tutte le danze provenienti dai singoli paesi e dalle singole culture, esse, spesso, vengono fatte a coppie o in gruppo e si richiede un buon uso e controllo del proprio corpo. Le contraddanze, sono simili alle danze didattiche in quanto possiedono un’alternanza tra il tema A e il tema B ma non hanno un’introduzione. Esse presentano meno elementi all’inizio che aumentano durante la fine della danza. Tutti questi ambiti possono essere usati insieme oppure essere usati in maniera graduale a seconda dell’obbiettivo che si ha per quel determinato incontro. Grazie a determinate attività di mediazione, si è riusciti a far sì che durante il progetto, i bambini e i ragazzi abbiamo potuto sperimentare e far esperienza della musica attraverso un ascolto attivo e partecipato della musica. Si è proposto numerose attività che prevedessero l’ascolto dei toni e delle caratteristiche della musica per riprodurle attraverso una danza, l’utilizzo di oggetti come foulard o palle oppure l’utilizzo di strumenti per suonare ed interagire con la base musicale. Ho utilizzato in oltre il concetto che Delalande ha sull’interazione tra uomo-musica che allarga a uomo-ambiente. Delalande ritiene che, in quanto la musica sia presente in ogni società umana, allora la musica è un bisogno che ha l’uomo, la donna e il bambino; in oltre sostiene che, visto che i bambini giocano per conoscere l’ambiente che li circonda, così possono essere creati dei giochi musicali per aiutali a conoscere il mondo della musica e il mondo che li circonda. Lui ha notato come le modalità di rapportarsi all’ambiente, in relazione ai suoni, da parte dei bambini, adulti e musicisti, sono molto simili; quindi l’uomo si relaziona con i suoi comportamenti alla musica come all’ambiente, per questo ipotizza e crea degli orientamenti pedagogisti rivolti più che altro ai bambini piccoli che iniziano il loro percorso di conoscenza dell’ambiente. Sottolinea anche alcuni aspetti nell’utilizzo dell’ascolto, ovvero utilizzare i comportamenti che i bambini attivano spontaneamente per portare la loro attenzione su alcune caratteristiche del linguaggio musicale. Un altro aspetto riguarda la scelta del brano musicale, che supere l’idea “del valore” culturale e storico che ha ma allo stesso tempo possa portare a chiarire e a focalizzare il contenuto interno del brano. Secondo Delalande l’insegnante deve proporre l’ascolto assegnando una consegna al bambino e al ragazzo poiché in questo modo hanno una ragione per ascoltare la musica e sentirsi partecipi dell’azione, per arrivare ad analizzare gli aspetti strutturali del brano. Inoltre si sentono partecipi e coinvolti nel realizzare una determinata attività, come una coreografia, un canto oppure attività di ascolto. Ho preso spunto da questo concetto per realizzare le attività durante il progetto, infatti si

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proponevano attività che avevano un obiettivo ben preciso, che cambiava da musica a musica secondo le attività programmate. Si sono utilizzati molto gli spazi in cui si faceva il progetto, spesso venivano utilizzati anche oggetti inerenti alla canzone ma che fossero presi dai bambini spontaneamente. Si è prestata sempre molta attenzione al far capire ai bambini quale fosse l’obiettivo principale di ogni singola canzone e di ogni singola attività ma si è sempre lasciato libero il come arrivare a questo obiettivo, lasciando loro la possibilità di agire spontaneamente prendendo spunto dalla loro fantasia e creatività. 6.6 Incontri Alla scuola secondaria Cavour, gli incontri erano di un’ora e venivano fatti il martedì mattina dalle nove alle dieci. Il momento iniziale partiva con la canzone dell’accoglienza per salutare e coinvolgere tutti i ragazzi che partecipavano alle attività di musicoterapia. Dopo questo primo momento si partiva con le attività; in esse si sono utilizzate canzoni che riguardavano la body percussion, l’imitazione gestuale e l’uso del corpo, sia in movimento sia seduti sulle sedie, e infine l’uso di canzoni melodiche che venivano suonate con strumenti a percussione. Si cercava sempre di alternare una canzone di movimento con una canzone strumentale, in modo che avessero il tempo di riprendersi e di riposarsi. Infine si concludeva con la canzone del saluto, per congedarci e ridarci appuntamento alla prossima settimana. Alla scuola primaria Giovanni XXIII, gli incontri erano di quattro ore e si svolgevano i lunedì mattina dalle otto e mezza alle dodici e mezza, e i bambini divisi in piccoli gruppi ruotavano: ogni gruppo partecipava per mezzora. Anche qui la dinamica era la stessa; c’era il momento iniziale con la canzone dell’accoglienza, dove si salutavano tutti i bambini, poi si passava al momento centrale in cui si svolgevano le attività di canto, di movimento, di mimica e di produzione sonora. Arrivata la fine della mezz’ora ci si salutava con la canzone del saluto. Già da metà anno scolastico, e soprattutto nell’ultimo mese di scuola, i bambini e i ragazzi si sono preparati sotto la nostra supervisione per la realizzazione dello spettacolo finale. Per questo evento è stata proposta ai bambini una scaletta con le canzoni imparate nel corso dell’anno e di cui alcune di esse sono poi state inserite nel copione dello spettacolo. Si è deciso di far partecipare all’evento i ragazzi della scuola secondaria Cavour assieme ai bambini della scuola primaria, includendoli nelle attività da loro sperimentate durante il progetto. Continuando su questa linea inclusiva sono stati chiamati a collaborare in questa opera finale anche alcuni compagni di classe dei ragazzi con disabilità. Lo spettacolo ha avuto luogo il 24 maggio 2017 presso la scuola primaria Giovanni XXIII di Modena, a cui erano presenti i genitori. Il progetto si è concluso il cinque giugno in concomitanza con la fine della scuola. Un aspetto molto importante, che il “facilitatore” deve tenere conto è l’aspetto dell’ascolto; poiché è attraverso la crescita del bambino che cresce e si sviluppa anche l’ascolto conquistando abilità musicali e relazionali. Il bambino non apprende l’esperienza musicale in maniera passiva ma in modo attivo perciò noi dobbiamo essere dei facilitatori e sintonizzarci con la sua energia, ovvero

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dobbiamo cercare di entrare in relazione con lui e creare una relazione di fiducia. Oggi giorno le insegnanti e i genitori, spesso, non si sintonizzano con i bambini, ad esempio se il bambino piange io devo sintonizzarmi con la sua emozione e ristabilire l’equilibrio, il focus è sui bambini e non su di noi. Per sintonizzarsi con i bambini è necessario saper osservare in quanto attraverso l’osservazione si possono cogliere molto informazioni riguardo ai bambini; è importante anche entrare in relazione sia con il contatto visivo che con il contatto fisico. Nella vita dei bambini a volte, c’è un certo periodo in cui chiedono sempre le stesse cose, la stessa canzone, la stessa favola e altro ancora. Questo accade perché se una cosa è sempre uguale il bambino la conosce già, sa già cosa aspettarsi e non si preoccupa e non si destabilizza, proprio perché conosce già quello che succede. Quando di deve preparare un concerto o uno spettacolo, le canzoni che vengono ripetute non ripetute per far sì che i bambini le memorizzino ma perché essi stessi si possano rassicurare e fidare, dando un contributo spontaneo. Nella musica è presente un elemento che viene chiamato ostinato, ovvero qualcosa, che si ripete nel tempo e rimane uguale; è importante mantenerlo uguale proprio perché così il bambino si rassicura e si fida ma necessario creare e mettere sopra all’ostinato degli elementi nuovi, come una diversa melodia. Quando si fa un incontro è importante partire dalla canzone di accoglienza poiché prepara il bambino a quello che sta per accadere, inizia a sentirsi parte di qualcosa, inoltre avviene una prima relazione, che può essere agevolata con l’utilizzo di oggetti che vengono dati direttamente al bambino creando ed instaurando una più profonda relazione, creando un ambiente emotivo dove il bambino di possa sentire comodo. Bisogna creare una relazione con ognuno dei bambini che partecipano poiché il gruppo è fatto da individualità, da persone uniche, e ognuno dei quali è diverso. Devo aiutare i bambini ad organizzare quello che hanno dentro per poi portarlo fuori, per questo è importante non partire subito dagli strumenti perché loro hanno voglia di sperimentare e curiosare a modo loro, e non gli si può dire come suonare uno strumento in quanto hanno voglia di scoprire i vari modi con cui si può suonare. Dopo le attività c’è il momento del saluto con la canzone di saluto. Anche nella canzone di saluto ci deve essere un elemento di interazione, e un momento in cui il bambino si possa inserire per restituire qualcosa in maniera naturale, e questo diventa un elemento di scambio e di dialogo. È importante ricordare che il movimento non è mai disconnesso dall’espressione musicale che sia parlata o suonata. Ci deve essere un ascolto reciproco, i bambini ascoltano me e io però ascolto loro, non si può pretendere che loro ascoltino me se io non ascolto loro. Bisogna tenere conto anche dell’energia che c’è in un gruppo al momento dell’inizio, e creare un ponte con quello che succede a loro e che è esterno al momento della musica. Ci deve essere una connessione con la vita quotidiana e con il vissuto del bambino, bisogna cercare di trovare un equilibrio tra la mia energia e l’energia che trovo nel gruppo, nella classe. È importante utilizzare molti oggetti con i bambini, oggetti come fazzoletti di carta, foulard, teli che possano trasformarsi in tutto quello che serve durante l’attività. Occorre incentivare una trasformazione, ovvero un contributo spontaneo del bambino che rielabora quello che sto facendo io. I bambini devono avere confidenza con gli oggetti o con gli strumenti che gli vengono presentati. Bisogna scegliere una musica semplice e breve dove ci siano solo 1 o due strumenti che

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mettano in risalto la melodia poiché se la canzone è troppo complessa a livello melodico il bambino potrebbe perdersi. Possono esserci vari aspetti nelle canzoni, possiamo avere canzoni con aspetti di azione, di recezione e di interattività; assieme alla canzone possiamo legare attività di tipo ludico con il quale esprime determinati aspetti. È inoltre opportuno utilizzare materiale quotidiano poiché sono oggetti già conosciuti e che hanno un vissuto e che possono usarli anche a casa e quini possono entrare in contatto anche con la famiglia riproducendo ciò che hanno fatto a scuola.

Primo Incontro 29/11/2016 In questo primo incontro abbiamo iniziato con la “Canzone dell’accoglienza”, inizialmente proposta da noi per renderla più famigliare ai ragazzi, e poi li abbiamo coinvolti attivamente cantando tutti insieme; ognuno di loro poteva sentirsi protagonista perché veniva richiamato con il proprio nome. La seconda canzone proposta chiamata “Cichi Cichi Cià” è un’attività di body percussion che prevede l’utilizzo del corpo per produrre un determinato suono mentre si canta. Essendo il primo incontro abbiamo proseguito con la canzone “Angioletti”, nella quale seguendo la melodia suonata alla chitarra e cantata da noi, si riprendevano i nomi dei ragazzi in modo da memorizzarli. Nelle due attività “Canzone della felicità” e “Se sei felice” abbiamo coinvolto attivamente il corpo; i ragazzi erano disposti in cerchio in piedi, si proponeva la canzone e nel mentre noi educatrici li coinvolgevamo in gesti e movimenti semplici a ritmo di musica. Con la “Canzone di saluto” terminavamo l’incontro salutandoci e dandoci l’appuntamento per la volta successiva. In questo primo incontro l’obiettivo principale era quello di iniziare ad entrare in relazione con loro e di capire quali attività e obiettivi si potessero programmare. Abbiamo fatto canzoni principalmente corali e che prevedessero dei determinati movimenti. I ragazzi erano poco attenti e poco partecipi, c’è stata poca interazione sia tra loro sia con noi operatrici.

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Secondo incontro 06/12/2016 Per il secondo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Un’altra canzone proposta, è stata la canzone “Kamaludu”, proposta al pianoforte, in cui veniva cantato un ritornello, che è stato insegnato ai ragazzi prima di cantare la canzone, nel quale venivano date delle consegne che i ragazzi dovevano svolgere. Ad esempio venivano chiamati per nome e quando sentivano il loro nome dovevano fare un giro attorno al cerchio ballando, oppure si diceva: “chi ha i capelli corti” e tutti i ragazzi che avevano i capelli corti dovevano girare in mezzo al cerchio.

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Si è poi proposta una canzone di natale, che si è poi rivelata troppo difficile da insegnare ai ragazzi sia come testo che come melodia, quindi siamo riusciti a cantarla tutta. Con la canzone “Onci onci” si è lavorato su movimento e sulla coordinazione, infatti questa canzone cantata con la voce, prevedeva dei gesti e dei movimenti, come il salto e la corsa, da fare e da imitare insieme. Giunto al termine delle attività, ci siamo salutati con una nuova “Canzone del saluto”, suonata e cantata utilizzando il pianoforte. Gli obiettivi principali di questo incontro erano: stimolazione delle abilità motorie, migliorare la socializzazione e l’interazione e attivare momenti di inclusione con i compagni di scuola. Si è riscontato difficoltà nel cantare le canzoni proposte e quindi per un prossimo incontro bisogna utilizzare canzoni più semplici e che possano coinvolgere i ragazzi. Ci si è accorti che bisognava usare più gli strumenti e la tastiera, poiché usare solo la voce stancava e non permetteva ai ragazzi di mantenere l’attenzione. Non si è ancora creata una buona relazione tra i ragazzi e anche con noi operatrici. La loro attenzione e concentrazione è molto ridotta e si stancano in fretta, in quanto le canzoni risultano essere poco adatte alle loro esigenze e ai loro interessi.

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Terzo Incontro 13/12/2016 Per il terzo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Un’altra canzone che è stata proposta, è “Ma che razza”. La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di imparare il testo della canzone, ripeterlo assieme per poi cantarlo insieme alla canzone. Dopo questo primo passaggio abbiamo riascoltato la canzone utilizzando un telo, circolare in cui ogni ragazzo teneva un pezzo, e cantando insieme alla musica ondeggiavamo e ci muovevamo a ritmo. Dopo abbiamo suonato con la tastiera la melodia del “Trenino ciuffa ciuffa”, per far sì che prendessero confidenza con la canzone, in seguito abbiamo imparato le parole e i

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movimenti che si sarebbero dovuti fare durante la canzone. Questi movimenti riguardavano l’andamento e del trenino, quindi tutti in fila indiana che giravano per la stanza come un vero e proprio treno. Si è poi andati avanti con la canzone “il robot”, canzone suonata alla tastiera con la stessa metodologia della canzone del “Trenino ciuffa ciuffa”, quindi abbiamo fatto ascoltare loro la melodia, poi abbiamo imparato il testo e i movimenti da fare che richiamavano l’andamento a scatti di tutte le parti del corpo, proprio come fossimo dei robot. Infine ci siamo salutati con la canzone di saluto, cantata e suonata tutti assieme. Gli obiettivi di questo incontro erano: utilizzare la danza come correlazione tra il ritmo musicale e la capacità gestuale per migliorare la consapevolezza e la coordinazione e aumento della capacità di ascolto. In questo terzo incontro si è iniziato a capire quali canzoni erano più adatte, infatti utilizzando canzoni semplici, con un ritmo ben definito e con parole ripetitive ed onomatopeiche i ragazzi erano molto partecipi e collaborativi. Fanno fatica ad imparare il testo delle canzoni e non lo cantano. È risultato positivo l’utilizzo del telo nella canzone “Ma che razza”, infatti ai ragazzi è piaciuto molto e si sentiti molto coinvolti. Si è iniziato a creare un buon legame con alcuni ragazzi ma tra di loro ancora non si relazionano particolarmente.

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Quarto Incontro 21/12/2017 Per il quarto incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Visto che era l’ultimo incontro prima delle vacanze di natale abbiamo pensato di passare l’ultimo incontro a cantare le canzoni di natale per salutarci e per farci gli auguri di buon natale, per finire insieme con una merenda portata da noi operatrici. Come prima canzone di natale abbiamo proposto “Tu scendi dalle stelle”, suonata alla tastiera e cantata tutti insieme. Per sviluppare e migliorare la memoria e l’interazione tra di loro abbiamo riproposto “il Trenino ciuffa ciuffa”, che è stato ballato e cantato da tutti i partecipanti con un buon

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grado di coinvolgimento. In seguito abbiamo imparato le parole della canzone “Felis navidad”, cantandola tutti insieme più volte con la tastiera. Come canzone finale e di saluto abbiamo cantato “Jingle belles”, che ci ha permesso di salutarci in un’atmosfera di allegria e di gioia facendo tutti insieme la merenda di metà mattinata. Gli obiettivi per questo incontro erano: attivazione dei processi cognitivi come la memoria e l’attenzione, migliorare la socializzazione e l’interazione e migliorare i tempi di attenzione e partecipazione. Ci si è resi conto che i testi delle canzoni erano troppo complicati e anche la melodia delle canzoni era troppo articolata e lunga, infatti i ragazzi non sono stati particolarmente attenti e partecipi soprattutto riguardo la memorizzazione e la vocalizzazione dei testi.

Quinto Incontro 10/01/2017 Per il quinto incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Per riprendere da dove avevo lasciato prima delle vacanze di natale abbiamo ripreso la canzone “Il robot”, imparando il testo e cantandolo e muovendosi durante la musica suonata al pianoforte. Dopo abbiamo imparato una nuova canzone, intitolata “Il canto degli animali”, in cui

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c’era una melodia che riprendeva i suoni degli animali. Questa canzone è stata suonata e cantata al pianoforte. In seguito abbiamo ripreso anche la canzone che aveva fatto prima di Natale chiamata “I treni di calamarin”, canzone che abbiamo cantato e suonato al pianoforte. Per concludere abbiamo cantato la canzone di saluto, ci siamo salutati e dati appuntamento alla prossima settimana. Gli obiettivi di questo incontro erano: lavorare sul movimento come espressione e sviluppo delle capacità di coordinazione, sull’attivazione di processi cognitivi come la memoria e l’attenzione. Le canzoni erano molto complesse per loro, l’attenzione si era stata persa quasi all’inizio dell’incontro. Le direttive di quello che si deve fare non risultano essere chiare e i ragazzi sono spaesati su quello che devono fare. Quando si utilizza la tastiera è bene sapere a memoria i testi perché se no si perde la concentrazione dei ragazzi e loro non sanno a rivolgersi durante le attività Le attività risultano essere monotone e noiose, non in grado di stimolare e rendere partecipi i ragazzi.

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Sesto Incontro 17/01/2017 Per il sesto incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Come seconda canzone si è proposta la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. Dopo questa canzone che ha visto i ragazzi cambiare completamente il loro comportamento in positivo, abbiamo fatto una canzone chiamata “La palla che canta”, in cui, grazie all’ausilio di una palla, ce la passavamo a vicenda a seconda della canzone, una volta la dovevamo passare, un'altra farla saltare da una persona ad un'altra. Sempre con l’utilizzo della palla abbiamo fatto “La pallina”, che consisteva in un girotondo attorno a palle di varia dimensione che poi uno alla volta venivano prese e fatte girare. Infine ci siamo salutati con la canzone del saluto, per darci appuntamento al prossimo incontro. Gli obiettivi di questo incontro erano: la stimolazione delle abilità motorie, migliorare la consapevolezza dello spazio e del luogo che li circondava, aumento della capacità di ascolto e migliorare i tempi di attenzione e partecipazione. Le canzoni risultavano essere più semplici e con un testo ripetitivo che i ragazzi potevano cantare. Si è iniziato ad utilizzare il registratore con le basi musicali in modo che si potesse gestire al meglio le attività ed essere più presente nella direzione del gruppo. Si è inserito l’utilizzo anche di oggetti come la palla, i palloncini e del tessuto. I ragazzi erano più presenti e partecipi, la loro attenzione è migliorata e anche la loro capacità di movimento. Le canzoni proposte erano troppo di movimento, per il prossimo incontro quindi

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bisognava pensare ad una scaletta in cui ci fosse l’alternanza di canzoni di movimento e canzoni in cui i ragazzi potessero riposarsi fisicamente.

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Settimo Incontro 24/01/2017 Per il settimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Dopo la canzone di accoglienza abbiamo fatto la canzone “Fortissimo”, in cui attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. In seguito abbiamo imparato il testo di una canzone di nome “Nel mio viso”, in cui si parlava delle parti che sono presenti nel nostro viso, abbiamo cantato insieme alla base musicale facendo i gesti imparati precedentemente che venivano suggeriti dal testo. Dopo questa canzone cantata, ci siamo presi per mano formando un cerchio e abbiamo fatto degli esercizi di respirazione e di movimento con il sottofondo di una base musicale lenta e molto leggera. Infine ci siamo salutati con la canzone dell’accoglienza, per darci appuntamento alla prossima settimana. Gli obiettivi per questo incontro sono stati: Acquisizione di abilità ritmiche attraverso il corpo e gli strumenti, migliorare la socializzazione e l’interazione e l’attivazione di processi cognitivi come la memoria e l’imitazione e infine l’attivazione di momenti di inclusione con i compagni di scuola. Le canzoni sono state ben distribuite e ben equilibrate, sono presenti momenti di movimento e momenti di pausa dove i ragazzi suonano. Inizia a crearsi un bel rapporto sia tra i ragazzi che tra noi operatrici e loro. Sono più partecipi e più attenti, inoltre riescono a ricordare le parole delle canzoni già fatte. Sono stati attivati dei momenti di inclusione con i loro compagni di classe, che partecipano ad alcune attività con noi.

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Ottavo Incontro 06/02/2017 Per il ottavo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Dopo la canzone di accoglienza abbiamo fatto la canzone “Fortissimo”, in cui attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. In seguito abbiamo imparato il testo di una canzone di nome “Nel mio viso”, in cui si parlava delle parti che sono presenti nel nostro viso, abbiamo cantato insieme alla base musicale facendo i gesti imparati precedentemente che venivano suggeriti dal testo. Dopo questa canzone, abbiamo fatto una canzone chiamata “La palla che canta”, in cui,

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grazie all’ausilio di una palla, ce la passavamo a vicenda a seconda della canzone, una volta la dovevamo passare, un'altra farla saltare da una persona ad un'altra. Poi abbiamo fatto la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. La canzone “la bella lavanderina”, ha visto i bambini in una performance con foulard, in cui, dopo aver ascoltato e imparato il testo abbiamo lavato i fazzoletti in tutti i modi possibili. Mentre con la canzone “Animal Watchers” siamo andati in giro per “la foresta” e quindi per la stanza alla ricerca degli animali presenti, utilizzando una base musicale ci trasformavano negli animali di cui sentivamo il nome e il verso. Con la canzone “lo squalo” i bambini, grazie ad una maschera si sono trasformati in uno squalo, e uno alla volta rincorrevano i loro compagni di gruppo che risultavano essere dei pesci nel mare. La canzone successiva “I pompieri”, ha visto i bambini trasformarsi in abili pompieri per spegnere delle terribili fiamme grazie alla loro acqua. Per questa canzoni si è usati dei foulard rossi per il fuoco sparsi in punti precisi della stanza e n telo blu che rappresentava l’acqua e che spazzava via le fiamme grazie alla collaborazione di tutti. Infine ci siamo salutati con la canzone del saluto, che abbiamo cantato e ballato insieme.

Gli obiettivi principali di questo primo incontro con le scuole primarie erano: migliore consapevolezza dello spazio e del luogo che li circonda, stimolazione della creatività, migliorare la socializzazione e l’interazione e migliorare l’attenzione e la memoria. Questo è stato il primo incontro con i gruppi delle primarie, la scaletta era più ambia e alcune canzoni si ripetevano durante i vari gruppi. Come primo incontro è andata bene, i bambini sembravano coinvolti e partecipi, alcuni però durante le attività si mettevano da una parte e giocavano da soli con i giochi presenti nell’aula. Le canzoni sono risultate molto equilibrate tra loro.

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Nono Incontro 14/02/2017 Per il nono incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Dopo la canzone di accoglienza abbiamo fatto la canzone “Mani mani canto”, in cui con una maschera i ragazzi diventavano un indiano e tutti dovevano esortarlo utilizzando i gesti che suggeriva il testo della canzone. Abbiamo prima ascoltato la canzone, poi abbiamo imparato il testo e infine l’abbiamo eseguita. È arrivato il momento in cui abbiamo suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni ragazzo poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. Con la canzone “lo squalo”, invece i ragazzi, grazie ad una maschera si sono trasformati in uno squalo, e uno alla volta rincorrevano i loro compagni che risultavano essere dei pesci nel mare. Infine abbiamo concluso con la canzone di saluto, una nuova canzone imparata e cantata da tutti per salutarci e darci appuntamento al prossimo incontro.

Gli obiettivi per questo incontro erano: migliorare la socializzazione e l’interazione, utilizzare il movimento come espressione e sviluppo delle capacità di coordinazione, acquisizione di abilità ritmiche attraverso il corpo e la musica e migliorare i tempi di attenzione e partecipazione. I ragazzi sono stati molto partecipi, hanno migliorato l’attenzione e la memoria, ripetono le canzoni e le parole con i gesti. È risultata molto bene la prova di orchestrazione con gli strumenti, l’utilizzo anche di maschere. Si è creata una buona relazione tra di loro e con me, C’è stato un giusto equilibrio tra canzoni di canzoni di movimento e canzoni ritmiche.

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Decimo incontro 21/02/2017 Per il decimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Essendo periodo di carnevale, ho proposto numerose canzoni di carnevale, una tra queste era il “Trenino di carnevale”, che ha visto tutti i ragazzi in fila indiana ad imitare il treno facendo i gesti che suggeriva la canzone. Abbiamo suonato la canzone “Viva il carnevale” versione base, utilizzando vari strumenti. In seguito abbiamo fatto la canzone “Riccio Ciccione”, una danza in cui eravamo in cerchio e per il ritornello dovevamo seguire le parole della musica e fare i gesti che

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diceva. Poco dopo abbiamo fatto “la batteria”, utilizzando prima la body percussione per poi passare agli strumenti, e sottolineare le caratteristiche di questo brano. Infine abbiamo cantato insieme la nuova canzone del saluto imparata la volta precedente, e ci siamo salutati e dati appuntamento per il prossimo incontro. Gli obiettivi per questo incontro erano: Acquisizione di abilità ritmiche attraverso il corpo e gli strumenti, utilizzare la danza come correlazione tra il ritmo musicale e la capacità gestuale per migliorare la consapevolezza e la coordinazione e infine attivazione dei processi cognitivi come imitazione e la memoria. Le canzoni di carnevale sono risultate essere troppo lunghe e difficili per i ragazzi che si sono deconcentrati presto e partecipavano passivamente. I rapporti tra loro e noi operatori sono molto buoni ed è presente un buon grado di socializzazione.

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Undicesimo Incontro 27/02/2017 Per l’undicesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli Con la canzone “la sveglia”, i bambini dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui abbiamo suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. Con la canzone il “Trenino di carnevale”, tutti i bambini erano in fila indiana ad imitare il treno facendo i gesti che suggeriva la canzone. La canzone “Cinque tesori”, parlava dei cinque sensi che ognuno di ha, e li andava a descrivere in maniera ritmica e melodica attraverso dei gesti che venivano suggeriti dalla canzone e che insieme ai bambini abbiamo fatto. Si è imparato prima il testo della canzone per poi imparare i gesti e infine poterla effettuare correttamente. Grazie al “Riccio ciccione”, abbiamo potuto costruire una danza, attraverso una coreografia che è stata ballata da tutti i bambini. Una canzone in cui si utilizzava sia la body percussion sia il canto era “batti mano”, che ha i bambini cantare e fare body percussion insieme alla musica riuscendo a tenere il ritmo e la correttezza dei gesti. La stanza in cui eravamo si è trasformata in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. Grazie alla maschera da squalo i bambini con la canzone chiamata “squalo” hanno potuto entrare nei panni di uno squalo e correre, durante fasi ben precise della musica, a raggiungere i propri compagni che, come pesci, nuotavano nel mare.

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Infine con la canzone del saluto ci siamo salutati e ci siamo dati appuntamento al prossimo incontro. Gli obiettivi principali di questo incontro erano: stimolazione delle abilità motorie, utilizzare la danza come correlazione tra il ritmo musicale e la capacità gestuale per migliorare la consapevolezza e la coordinazione, migliorare ed aumentare la capacità di ascolto. In questo secondo incontro con le scuole primarie, si è compreso che le consegne devo essere più chiare e specifiche, inoltre bisogna avere chiara la scaletta mentalmente in modo che si possa modificare in qualunque momento. I bambini sono stati meno attenti e meno concentrati poiché conoscendo le canzoni hanno la tendenza a richiedere sempre le stesse e meno disposti a farne di nuove. Si è creata una buona relazione tra i bambini e le operatrici.

Dodicesimo Incontro 07/03/2017 Per il dodicesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. In seguito, con la canzone “Mani mani canto” grazie ad una maschera i ragazzi hanno potuto diventare dei veri indiani, e attraverso una base musicale compiere dei gesti e dei rituali che solo gli indiani facevano. Come terza canzone si è proposta la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato

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la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. Dopo questa canzone che ha visto i ragazzi cambiare completamente il loro comportamento in positivo, abbiamo fatto una canzone chiamata “La palla che canta”, in cui, grazie all’ausilio di una palla, ce la passavamo a vicenda a seconda della canzone, una volta la dovevamo passare, un'altra farla saltare da una persona ad un'altra. In seguito abbiamo fatto la canzone “Fortissimo”, in cui attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. Ad un certo punto, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Infine ci siamo salutati con la canzone di saluto, e ci siamo dati appuntamento alla prossima settimana. Gli obiettivi di questo incontro erano: l’attivazione di processi cognitivi come la memoria e la concentrazione, stimolazione della creatività, migliorare la socializzazione e l’interazione e acquisizione delle abilità ritmiche attraverso il corpo e li strumenti. C’è una buona partecipazione, ma essendo solo due ragazzi, l’attenzione diminuisce. Risulta positiva la relazione tra i due ragazzi e anche con noi operatori. Si è arrivati ad avere un giusto equilibrio tra le canzoni; inoltre i ragazzi hanno più memoria e vengono coinvolti molto grazie alle maschere o ad altri oggetti.

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Tredicesimo Incontro 14/03/2017 Per il tredicesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i ragazzi in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. Grazie alla maschera da squalo i ragazzi con la canzone chiamata “Squalo” hanno potuto entrare nei panni di uno squalo e correre, durante fasi ben precise della musica, a raggiungere i propri compagni che, come pesci, nuotavano nel mare. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui abbiamo suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni ragazzo poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo

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chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. In seguito, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Infine si è concluso l’incontro con la canzone del saluto, salutandoci e dandoci appuntamento per la volta successiva. Gli obiettivi per questo incontro erano: migliorare i tempi di attenzione e partecipazione, acquisizione di abilità ritmiche attraverso il corpo e gli strumenti e stimolazione della creatività. Ripristinato il gruppo di quattro ragazzi, si è vista attenzione e più partecipazione ma poco ascolto alle consegne. Si è creata una buona dinamica e una buona relazione tra i ragazzi e tra i ragazzi e gli operatori. Le attività sono piaciute molto, sono state equilibrate bene e tutti i partecipanti si sono sentiti coinvolti nel gioco che stavamo facendo. Stanno migliorando anche le capacità di ascolto musicale e di ritmo.

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Quattordicesimo Incontro 21/03/2017 Per il quattordicesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Subito dopo la canzone di accoglienza abbiamo fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i ragazzi. Subito dopo la stanza in cui eravamo si è trasformata in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i ragazzi si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. Dopo abbiamo suonato la canzone “Lo specchio”, in cui i ragazzi ascoltando la musica e i suoi improvvisi toni lenti o veloci, dovevano suonare gli strumenti seguendo il ritmo della base musicale. Infine ci siamo salutati con la canzone del saluto e ci siamo dati appuntamento al prossimo incontro. Gli obiettivi principali di questo incontro erano: Aumento delle capacità di ascolto e attivazione di processi cognitivi come la memoria e la concentrazione. I ragazzi hanno ascoltato di più e si sono molto concentrati sulle attività che stavamo facendo. Si sono divertiti molto ad utilizzare i foulard colorati e si sono ricordati bene le canzoni fatte. Si è creata una buona relazione tra di loro, infatti quando si trovano durante l’ora del progetto si abbracciano e stanno volentieri insieme. Attraverso le attività si è riusciti a sviluppare una buona capacità di ritmo, e di ascolto musicale; inoltre si è sviluppata la capacità di movimento e di imitazione.

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Quindicesimo Incontro 27/03/2017 Per il quindicesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. In seguito abbiamo fatto la canzone “Fortissimo”, in cui attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo.

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Grazie alla maschera da squalo i bambini con la canzone chiamata “squalo” hanno potuto entrare nei panni di uno squalo e correre, durante fasi ben precise della musica, a raggiungere i propri compagni che, come pesci, nuotavano nel mare. Poi abbiamo fatto la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. In seguito, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Infine si è concluso l’incontro con la canzone del saluto, salutandoci e dandoci appuntamento per l’incontro successivo. Gli obiettivi per questo incontro erano: attivazione di processi cognitivi come l’imitazione e la memoria, utilizzare il movimento come espressione e sviluppo delle capacità di coordinazione e acquisizione di abilità ritmiche attraverso il corpo e gli strumenti. C’è la possibilità di fare numerose attività anche complesse in cui i ragazzi riescono a sentirsi partecipi e coinvolti. È migliorata la loro memoria, e adesso riescono a cantare sia le canzoni di accoglienza che le canzoni fatte e ripetute negli incontri precedenti. Nell’ora del progetto c’è una bella atmosfera dove i ragazzi stanno insieme divertendosi ed interagendo gli uni con gli altri.

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Sedicesimo Incontro 03/04/2017 Per il sedicesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Subito dopo la stanza in cui eravamo si è trasformata in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui abbiamo suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. Una canzone in cui si utilizzava sia la body percussion sia il canto era “batti mano”, in cui i bambini cantavano e facevano la body percussion insieme alla musica riuscendo a tenere il ritmo e la correttezza dei gesti. Dopo abbiamo suonato la canzone “Lo specchio”, in cui i bambini ascoltando la musica e i suoi improvvisi toni lenti o veloci, dovevano suonare gli strumenti seguendo il ritmo della base musicale.

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Grazie al “Riccio ciccione”, abbiamo potuto costruire una danza, attraverso una coreografia che è stata ballata da tutti i bambini. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. Poi abbiamo fatto la canzone “Fortissimo”, in cui attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. Subito dopo abbiamo fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. Infine ci siamo salutati e abbiamo fatto la canzone del saluto, dandoci appuntamento alla prossima settimana. Gli obiettivi principali erano: migliorare i tempi di attenzione e partecipazione, utilizzare la danza come correlazione tra il ritmo musicale e la capacità gestuale per migliorare la consapevolezza e attivare momenti di inclusione con i compagni di scuola. Rispetto alle altre volte ho visto un miglioramento nella dinamica del gruppo, i bambini erano più partecipi e collaborativi. Bisogna lavorare ancora sull’ascolto in quanto si facevano riprendere spesso e si distraevano catturati dall’attenzione del giardino e dei giochi. Hanno una buona memoria e riescono a ricordarsi le canzoni fatte la volta scorsa, sono ancora “timidi” e c’è poca interazione di gruppo visto che sono stati inclusi nel progetto anche alcuni compagni di classe dei bambini con deficit che facevano parte del progetto.

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Diciassettesimo Incontro 10/04/2017 Per il diciassettesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Con la canzone “Fortissimo”, attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. Subito dopo la stanza in cui eravamo si è trasformata in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. Un’altra canzone in cui si utilizzava sia la body percussion sia il canto era “batti mano”, in cui i bambini cantavano e facevano la body percussion insieme alla musica riuscendo a tenere il ritmo e la correttezza dei gesti. Grazie al “Riccio ciccione”, abbiamo potuto costruire una danza, attraverso una coreografia che è stata ballata da tutti i bambini. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i

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vari ritmi presenti nella musica. Poi abbiamo fatto la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui abbiamo suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. Subito dopo abbiamo fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. Dopo abbiamo suonato la canzone “Lo specchio”, in cui i ragazzi ascoltando la musica e i suoi improvvisi toni lenti o veloci, dovevano suonare gli strumenti seguendo il ritmo della base musicale. In seguito, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Infine si è concluso l’incontro con la canzone del saluto, salutandoci e dandoci appuntamento per l’incontro successivo. Gli obiettivi per questo incontro erano: aumento della capacità di ascolto, attivare momenti di inclusione con i compagni di scuola, migliorare la socializzazione e l’interazione e miglior consapevolezza dello spazio e del luogo che li circonda. Abbiamo iniziato a creare la scaletta per lo spettacolo finale, quindi le canzoni proposte ai bambini era quelle che molto probabilmente sarebbe state inserite nello spettacolo, in questo modo loro avrebbe preso maggior confidenza con esse arrivando non spaesati al giorno dello spettacolo. Buona interazione e relazione tra i bambini di ogni gruppo, la concentrazione e l’ascolto sono migliorate.

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Diciottesimo Incontro 20/04/2017 Per il diciottesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Con la canzone “Fortissimo”, attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. Subito dopo la stanza in cui eravamo si è trasformata in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. Un’altra canzone in cui si utilizzava sia la body percussion sia il canto era “batti mano”, in cui i bambini cantavano e facevano la body percussion insieme alla musica riuscendo a tenere il ritmo e la correttezza dei gesti. Grazie al “Riccio ciccione”, abbiamo potuto costruire una danza, attraverso una coreografia che è stata ballata da tutti i bambini. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. Poi abbiamo fatto la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui abbiamo suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. Subito dopo abbiamo fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo

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lavare i fazzoletti. Dopo abbiamo suonato la canzone “Lo specchio”, in cui i ragazzi ascoltando la musica e i suoi improvvisi toni lenti o veloci, dovevano suonare gli strumenti seguendo il ritmo della base musicale. In seguito, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Infine si è concluso l’incontro con la canzone del saluto, salutandoci e dandoci appuntamento alla volta successiva. Gli obiettivi per questo incontro erano: Attivazione dei processi cognitivi come la memoria e la concentrazione, stimolazione delle abilità motorie, attivare momenti di inclusione con i compagni di scuola e migliorare i tempi di attenzione e partecipazione. Durante questo incontro abbiamo iniziato a fare le prove per lo spettacolo, come se fossimo sul palco, quindi spiegando ai bambini e ai ragazzi come posizionarsi sul palco e come guardare il pubblico durante le attività. Si è cercato di ripassare tutti i testi e i gesti delle canzoni che avremmo dovuto fare in vista dello spettacolo. Assieme ai bambini delle elementari si sono aggiungi anche i ragazzi delle scuole secondarie che prima partecipavano al progetto nella sede della scuola secondaria Cavour, attivando dei momenti di inclusione anche con loro. Si è notata una buona partecipazione e interazione tra i ragazzi delle scuole secondarie e i bambini delle scuole primarie.

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Diciannovesimo Incontro 08/05/2017 Per il diciannovesimo incontro abbiamo proposto la “Canzone dell’accoglienza”, dove abbiamo cantato insieme ai ragazzi per salutarci ed accoglierli. Con la canzone “Fortissimo”, attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. Subito dopo il palco su cui eravamo si è trasformato in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. Un’altra canzone in cui si utilizzava sia la body percussion sia il canto era “batti mano”, in cui i bambini cantavano e facevano la body percussion insieme alla musica riuscendo a tenere il ritmo e la correttezza dei gesti. Grazie al “Riccio ciccione”, abbiamo potuto costruire una danza, attraverso una coreografia che è stata ballata da tutti i bambini. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è

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stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. Poi abbiamo fatto la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui abbiamo suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. Subito dopo abbiamo fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. Dopo abbiamo suonato la canzone “Lo specchio”, in cui i ragazzi ascoltando la musica e i suoi improvvisi toni lenti o veloci, dovevano suonare gli strumenti seguendo il ritmo della base musicale. In seguito, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Grazie alla canzone “la palla che canta”, i bambini hanno potuto utilizzare la palla e compiere esercizi differenti a ritmo, suggeriti dal testo della canzone. Infine si è concluso l’incontro con la canzone del saluto, salutandoci e dandoci appuntamento al prossimo incontro, che sarebbe stato il penultimo prima del concerto. Gli obiettivi per questo incontro erano: utilizzare la danza come correlazione tra il ritmo musicale e la capacità gestuale per migliorare la consapevolezza e la coordinazione, migliorare i tempi di attenzione e partecipazione e miglior consapevolezza dello spazio e del luogo che li circonda. In questo incontro abbiamo fatto la prima prova nel teatrino della scuola primaria Giovanni XXIII, luogo in cui sarebbe poi effettivamente avvenuto il concerto. I bambini erano entusiasti e partecipi anche se ascoltavano poco le istruzioni che venivano date. I bambini erano suddivisi in due gruppi, ognuno dei quali avrebbe provato per due ore nel teatrino, alla fine di queste due ore, i bambini erano molto stanchi e poco collaborativi. Abbiamo notato come dovessimo cambiare la disposizione della scaletta e degli strumenti, aggiungere delle canzoni di entrata e di uscita per ogni gruppo.

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Inoltre abbiamo notato che il numero dei bambini e dei ragazzi era molto elevato e che non era possibile dividerli solamente in due gruppi poiché non ci sarebbero stati tutti sul palco, così abbiamo deciso di ridurre il tempo per ogni gruppo e di formare tre gruppi in modo che ognuno dei tre gruppi avesse a disposizione lo stesso tempo per l’esibizione.

Ventesimo Incontro 15/08/2017 Nel ventesimo incontro si è iniziato con la canzone di entrata, una base musicale che vedeva i bambini entrare dalla porta e salire sul palco, per poi raggrupparsi a coppia e iniziare con una danza il loro ingresso e la loro presentazione al pubblico.

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Si è continuato poi, con la canzone di benvenuto, una diversa per ogni gruppo, in modo che non fosse ripetitiva. Con la canzone “Fortissimo”, attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. Dopo, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. In seguito i bambini e i ragazzi sono scesi dal palco facendo in inchino, grazie all’aiuto della canzone di discesa, che permetteva al loro gruppo di finire e di scendere. Con l’entrata del nuovo gruppo, è partita la canzone di salita, che ha permesso ai bambini di salire sul palco e di danzare assieme. Dopo la canzone di salita, c’è stata la canzone di accoglienza, in cui i bambini hanno presentato il loro gruppo al pubblico. Subito dopo il palco su cui erano si è trasformato in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. In seguito si è fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. Con la canzone “Indiano”, i bambini e i ragazzi hanno danzato insieme sul palco come se fossero dei veri indiani, facendo i gesti e i versi che la canzone, insieme al suo ritmo, ci incoraggiava a fare. Poco dopo i bambini sono scesi dal palco facendo in inchino, grazie all’aiuto della canzone di discesa, che permetteva al loro gruppo di finire e di scendere. Con l’entrata del nuovo gruppo, è partita la canzone di salita, che ha permesso ai bambini di salire sul palco e di danzare assieme. Dopo la canzone di salita, c’è stata la canzone di accoglienza, in cui i bambini hanno presentato il loro gruppo al pubblico.

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Poi si è fatta la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui i bambini hanno suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. In seguito, con l’ausilio dei foulard, hanno fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. Essendo l’ultimo gruppo, è stata fatta la canzone di saluto insieme agli altri gruppi e quindi tutti i bambini e i ragazzi hanno salutato il pubblico, per ora costituito da sedie vuote con la canzone del saluto. Gli obiettivi per questo incontro erano: Attivazione di processi cognitivi come l’imitazione e la memoria, stimolazione della creatività e migliorare i tempi di attenzione e partecipazione. Essendo la loro seconda prova sul palco, erano più bravi negli spostamenti e nel ritornare nella loro posizione. Per terra si era messo dello scotch per delineare l’area in cui dovevano stare, alcuni bambini però facevano fatica a rispettare quella linea. Ogni prova è durava mezzora, e in questo modo l’attenzione e la partecipazione erano migliorate, anche se in alcuni li si doveva richiamare all’attenzione. Le canzoni sono state ben equilibrate, e anche la posizione dei foulard e degli strumenti risulta essere un’ottima posizione.

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Ventunesimo Incontro 22/05/2017 Nel ventunesimo incontro si è iniziato con la canzone di entrata, una base musicale che vedeva i bambini entrare dalla porta e salire sul palco, per poi raggrupparsi a coppia e iniziare con una danza il loro ingresso e la loro presentazione al pubblico. Si è continuato poi, con la canzone di benvenuto, una diversa per ogni gruppo, in modo che non fosse ripetitiva.

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Con la canzone “Fortissimo”, attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. Dopo, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. In seguito i bambini e i ragazzi sono scesi dal palco facendo in inchino, grazie all’aiuto della canzone di discesa, che permetteva al loro gruppo di finire e di scendere. Con l’entrata del nuovo gruppo, è partita la canzone di salita, che ha permesso ai bambini di salire sul palco e di danzare assieme. Dopo la canzone di salita, c’è stata la canzone di accoglienza, in cui i bambini hanno presentato il loro gruppo al pubblico. Subito dopo il palco su cui erano si è trasformato in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. In seguito si è fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. Con la canzone “Indiano”, i bambini e i ragazzi hanno danzato insieme sul palco come se fossero dei veri indiani, facendo i gesti e i versi che la canzone, insieme al suo ritmo, ci incoraggiava a fare. Poco dopo i bambini sono scesi dal palco facendo in inchino, grazie all’aiuto della canzone di discesa, che permetteva al loro gruppo di finire e di scendere. Con l’entrata del nuovo gruppo, è partita la canzone di salita, che ha permesso ai bambini di salire sul palco e di danzare assieme. Dopo la canzone di salita, c’è stata la canzone di accoglienza, in cui i bambini hanno ballato e cantato. Poi si è fatta la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle

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ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui i bambini hanno suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. In seguito, con l’ausilio dei foulard, hanno fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. Essendo l’ultimo gruppo, è stata fatta la canzone di saluto insieme agli altri gruppi e quindi tutti i bambini e i ragazzi hanno salutato il pubblico, per ora costituito da sedie vuote con la canzone del saluto. Gli obiettivi per questo incontro erano: acquisizione di abilità ritmiche attraverso il corpo e gli strumenti, migliorare i tempi di attenzione e aumento della capacità di ascolto. Essendo l’ultima prova che è stata fatta prima del concerto, si voleva provare tutto il programma in maniera fluida e senza interruzione, per i primi due gruppi è stato così, ma per l’ultimo abbiamo avuto delle difficoltà in quanto i bambini erano molto agitati e poco attenti. Abbiamo poi scoperto, poco dopo, che il loro problema era l’intervallo, non avendo fatto merenda e vedendo i loro compagni nel giardino a giocare avrebbero voluto essere là con loro e quindi questo era causa di agitazione e distrazione. Per questo ultimo gruppo ci siamo fermati dopo i primi 10 minuti e li abbiamo accompagnati alle loro classi. Le attività e le canzoni sono ricordate molto bene, anche le posizioni dei singoli bambini vengono rispettate.

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Ventiduesimo Incontro 24/05/2017 Nel ventiduesimo incontro, ovvero il giorno dello spettacolo si è iniziato con la canzone di entrata, una base musicale che ha visto i bambini entrare dalla porta e salire sul palco, per poi raggrupparsi a coppia e iniziare con una danza il loro ingresso e la loro presentazione al pubblico. Si è continuato poi, con la canzone di benvenuto, una diversa per ogni gruppo, in modo che non fosse ripetitiva. Con la canzone “Fortissimo”, attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. Dopo, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. In seguito i bambini e i ragazzi sono scesi dal palco facendo in inchino, grazie all’aiuto della canzone di discesa, che permetteva al loro gruppo di finire e di scendere. Con l’entrata del nuovo gruppo, è partita la canzone di salita, che ha permesso ai bambini di salire sul palco e di danzare assieme. Dopo la canzone di salita, c’è stata la canzone di accoglienza, in cui i bambini hanno presentato il loro gruppo al pubblico.

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Subito dopo il palco su cui erano si è trasformato in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. In seguito si è fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. Con la canzone “Indiano”, i bambini e i ragazzi hanno danzato insieme sul palco come se fossero dei veri indiani, facendo i gesti e i versi che la canzone, insieme al suo ritmo, ci incoraggiava a fare. Poco dopo i bambini sono scesi dal palco facendo in inchino, grazie all’aiuto della canzone di discesa, che permetteva al loro gruppo di finire e di scendere. Con l’entrata del nuovo gruppo, è partita la canzone di salita, che ha permesso ai bambini di salire sul palco e di danzare assieme. Dopo la canzone di salita, c’è stata la canzone di accoglienza, in cui i bambini hanno presentato il loro gruppo al pubblico. Poi si è fatta la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui i bambini hanno suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. In seguito, con l’ausilio dei foulard, hanno fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. Essendo l’ultimo gruppo, è stata fatta la canzone di saluto insieme agli altri gruppi e quindi tutti i bambini e i ragazzi hanno salutato il pubblico, per ora costituito da sedie vuote con la canzone del saluto.

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L’obiettivo principale era far vedere al pubblico, quindi hai genitori, fratelli e famigliari, il lavoro fatto dai bambini e dai ragazzi durante l’anno, e con quale impegno erano riusciti a portare a termine uno spettacolo di un’ora che comprendesse l’utilizzo di strumenti e di oggetti durante le varie attività. Lo spettacolo è venuto molto bene, i genitori e i bambini contenti sono stati molto contenti. A metà spettacolo ci siamo accorti che era effettivamente troppo lungo e né i bambini, dopo una giornata di scuola, né i genitori accaldati, avrebbero prestato ancora molta attenzione così abbiamo portato alcune modifiche alla scaletta, riducendo così le attività e diminuendo la durata dello spettacolo.

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Ventitreesimo Incontro 05/06/2017 Nel ventitreesimo si è iniziato con la canzone di benvenuto, per salutarci e cominciare il nostro ultimo incontro di quest’anno. Con la canzone “Fortissimo”, attraverso la tecnica della body percussion, abbiamo “suonato” il nostro corpo ascoltando le caratteristiche del brano e rispecchiandole con i gesti e i battiti sul nostro corpo. In seguito abbiamo suonato con gli strumenti la canzone “L’orchestra”, mentre facevo ascoltare per la prima volta la musica, distribuivo con l’aiuto di un ragazzo gli strumenti per poi poter suonare insieme alla base musicale e secondo le sue caratteristiche dei parametri della pausa, con i bambini. Dopo, con l’ausilio dei nostri foulard, abbiamo fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. La canzone “Nel mio viso”, descrive attraverso dei gesti le parti che compongono la faccia. I bambini hanno ascoltato la canzone una volta, in modo da entrare in confidenza con loro, poi abbiamo imparato il testo della canzone insieme, e infine l’abbiamo cantata e imitata come da suggerimento del testo. Subito dopo la stanza si è trasformata in una giungla e siamo andati alla caccia degli animali grazie alla canzone “Animal Watchers”, in cui i bambini si sono trasformati negli animali che la canzone ci suggeriva anche attraverso i loro versi. La canzone dopo è stata la canzone “Agarraditos”, in cui i bambini in fila indiana dovevano muoversi a ritmo di musica avanti se veniva suonato da me una maracas, indietro se suonavo un triangolo e liberi nello spazio se usavo il cembalo. La canzone è stata fatta un paio di volte in modo che ascoltandola potessero comprendere meglio le caratteristiche del brano ed entrare in confidenza con loro, l’ultima volta la canzone è stata fatta senza l’ausilio degli strumenti da parte mia ma semplicemente ascoltando i vari ritmi presenti nella musica. In seguito si è fatto la canzone “la bella lavanderina”, in cui ha visto i ragazzi “lavare” in vari modi e con varie parti del corpo i nostri fazzoletti colorati, la canzone è stata

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proposta due volte e insieme ai ragazzi si è deciso quali gesti e come potevamo lavare i fazzoletti. Con la canzone “Indiano”, i bambini e i ragazzi hanno danzato insieme sul palco come se fossero dei veri indiani, facendo i gesti e i versi che la canzone, insieme al suo ritmo, ci incoraggiava a fare. Poi si è fatta la canzone “Piano forte”, che consisteva in una canzone non cantata in cui veniva sottolineato attraverso la melodia i parametri della musica forte e piano. Prima l’abbiamo ascoltata senza fare nulla poi abbiamo utilizzato la tecnica della body percussion per sottolineare queste caratteristiche, siamo partiti dal battere le mani sulle ginocchia piano e forte ascoltando la canzone, poi siamo passati a battere le mani solo per il piano e i piedi per il forte per poi finire con lo stare in piedi per il forte e abbassarsi a terra per il piano. È arrivato il momento con la canzone “Viru” in cui i bambini hanno suonato, utilizzando fari tipi di strumenti come il triangolo, le maracas, il cembalo e il tamburello. Su questa canzone che era una base musicale abbiamo effettuato un’orchestrazione, in cui il direttore, in questo caso io dicevo quali strumenti dovevano suonare, in questo modo ogni bambino poteva trovarsi in un momento in cui doveva suonare solo lui oppure solo chi avesse un determinato strumento e per finire tutti insieme. In seguito, con l’ausilio dei foulard, hanno fatto una canzone chiamata “cavalli e farfalle”, dove, ascoltando una base musicale, ci veniva suggerito dal ritmo e dalla velocità della base se essere cavalli e correre nello spazio con la nostra coda o se fermarci ed essere delle farfalle con delle bellissime ali colorate che si muovevano. Con la canzone “la sveglia”, i ragazzi dovevano ripetere le azioni che si fanno dal momento in cui si svegliano al momento in cui vanno a scuola, ascoltando il ritmo della musica e compiendo i gesti nel giusto ordine. Infine ci siamo salutati e abbiamo mangiato due caramelle con la canzone del saluto. Gli obiettivi per questo incontro erano: Attivazione dei processi cognitivi come la concentrazione e la memoria, stimolare la creatività e utilizzare la danza come correlazione tra il ritmo musicale e la capacità gestuale per migliorare la consapevolezza e la coordinazione. Questo ultimo incontro è stato molto tranquillo, non sono stati chiamati i compagni di classe e abbiamo fatto le attività con solo i bambini che facevano parte del progetto di musicoterapia. Sono stati partecipi e attenti, erano ben integrati e in relazione tra di loro.

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7 CONCLUSIONI Alla fine di questo project work ritengo che si sia trattato di un bellissimo momento, una esperienza formativa che mi ha fatto crescere come persona e come futura musicoterapeuta, apprendendo sul campo le modalità di lavoro che meglio possono essere utilizzate nei vari ambiti educativi e che si fanno proprie solo attraverso l’esperienza, poiché è da essa che si estrapolano e si applicano le varie osservazioni e i vari insegnamenti. La maggior parte degli obiettivi si sono focalizzati sul miglioramento degli aspetti e delle capacità cognitive, come la memoria, la socializzazione, l’attenzione, l’imitazione e la concentrazione. Man mano che il tempo passava e si svolgevano gli incontri ho notato come l’attenzione era molto migliorata; i ragazzi e i bambini infatti riuscivano ad essere attenti e partecipi. Sono migliorati anche nelle capacità di memoria, infatti, riuscivano a imparare in fretta i testi delle canzoni e i movimenti ad esse collegati. Inoltre si sono mostrati sempre più interessati alle attività e infatti negli incontri successivi erano loro a chiedere quali canzoni avrebbero voluto fare. Alla fine del percorso si è creato un bel gruppo, ben affiatato in cui i bambini e i ragazzi si sono divertiti e si sono sperimentati nell’ambito della musica. Nonostante i successi e le soddisfazioni di questo progetto, ci sono state anche difficoltà e ostacoli; ho potuto sperimentare quanto sia complicato il tener conto dei diversi aspetti del progetto e del contesto, come le cinque domande già citate in precedenza, i processi messi in atto dai partecipanti, l’importanza della comunicazione, dell’osservazione e dall’ascolto, ma anche quanto sia utile averli ben chiari ed essere in grado di percepire sempre ciò che sta succedendo o ciò che è già avvenuto. Abbiamo potuto comprendere quanto sia necessario avere un piano che deve però poter essere cambiato in corso “d’opera”. È controproducente pensare di utilizzare una scaletta rigida e configurata a tavolino, ma è necessario invece avere una traccia ben chiara che possa essere modificata a seconda delle situazioni e dei contesti creatisi durante il project work. È di fondamentale importanza perciò trovare un equilibrio che ci permetta di lavorare sugli obiettivi stabiliti in origine. Considero ogni esperienza come un momento unico ma non fine a sé stesso, infatti tutti gli insegnamenti e le modalità apprese da questo project work fanno parte, da ora in poi, del mio bagaglio personale, che vorrò arricchire ancora di più, facendo nuove esperienze e mettendomi in gioco ancora una volta.

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8 BIBLIOGRAFIA

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Barone Lavinia, “Manuale di psicologia dello sviluppo”, Edizione Carocci Editore, 2009.

Baumgartner Emma, “Il gioco dei bambini”, Edizione Carocci Editore, 2002. Camaioni Luigia, Di Blasio Paola, “Psicologia dello sviluppo”, Edizione Il

Mulino, 2007. Cerrocchi Laura, Dozza Liliana, “Contesti educativi per il sociale”, Approcci e

strategie per il benessere individuale e di comunità, Edizione Erickson, 2007. De Luca Giuseppe, Zappella Michele, Deluca Marcella, “L’alba

dell’integrazione scolastica”, come i bambini esclusi diventarono uguali agli altri, Edizione Carocci Editore, 2013.

D’Isa Luigi, “Psicologia generale, evolutiva e sociale, temi-teorie-applicazioni”, Edizione Hoepli, 2013.

D’Isa Luigi, Foschini Franca, “I percorsi della mente, elementi di psicologia, sociologia e statistica”, Edizione Hoepli, 2012.

Frison Roberta (a cura di), “Teoria della tecnica sei linguaggi espressivi per le relazioni d’aiuto”, Dispense Scuola di specializzazione in Musicoterapia, Istituto MEME – Modena 2017.

Giorgetti Maria Giovanna, Focacci Paola, Orazi Umberto, “Conoscersi, Allenarsi, Proteggersi A 360°”, scienze motorie e sportive, Edizione A. Mondadori, 2012.

Ianes Dario, “La speciale normativa”, strategie di integrazione e inclusione per la disabilità e i Bisogni Educativi Speciali, Edizione Erickson, 2006.

Miller Patricia H., “Teorie dello sviluppo psicologico”, Edizione Il Mulino, 2002.

Perini Lanfranco, Spaccazzocchi Maurizio, “Noi e la musica 4”, Edizione Progetti Sonori, 2012.

Vianello Renzo, “Disabilità intellettive”, per studenti di laurea magistrale, Edizione Junior, 2008.

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9 SITOGRAFIA

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relazione-e-ridurre-i-comportamenti-problema-in-bambini-con-disturbi-dello-spettro-autistico/3218-i-disturbi-dello-spettro-autistico.html (14/07/2017)

http://studicognitivi.it/disturbo/disturbi-dello-spettro-dellautismo/ (14/07/2017) http://www.lettere.uniroma1.it/sites/default/files/868/5.%20STORIA%20DELL

A%20SCUOLA%20ITALIANA%20-%20Fabrizio%20Dal%20Passo.pdf (19/07/2017)

http://www.euritmus.com/documenti/brochure-ascoltoattivo.pdf (21/07/2017) http://www.progettisonori.it/wp-

content/uploads/2016/02/DidatticaAscolto_Introduzione.pdf (21/07/2017) https://musicaterapia.s3-external-3.amazonaws.com/06-Musica-e-terapia.pdf

(26/07/2017)

10 DISCOGRAFIA

P. Poggi, Cd audio contenuto nella dispensa della lezione Metodologia e didattica della musica: Buone pratiche del "fare musica" in contesti educativi, tenutasi presso l’Istituto MEME (MO) il 02/03/2014.

Lanfranco Perini, Maurizio Spaccazzocchi, Cd audio “Noi e la musica 4”, Edizione Progetti Sonori, 2012.

Lanfranco Perini, Maurizio Spaccazzocchi, Cd audio “Noi e la musica 5”, Edizione Progetti Sonori, 2013.

Lanfranco Perini, Maurizio Spaccazzocchi, Cd audio “Ora canto 1”, Edizione Progetti Sonori, 2014.

Maurizio Spaccazzocchi, Cd audio “In movimento”, Edizione Progetti Sonori, 2006.

Maria Cristina Caroldi, Elda Schiesari, Cd audio “Ma che musica, Maestra”, routine giocose, laboratori, danze e musica d’insieme dai 3 agli 8 anni, Edizione Erickson, 2013.

Nicola Cinquetti, Marco Padovani, Cd audio “Ballando con gli animali”, Edizione Mela Music, 2003.