Musica Leggera #13

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storie di artisti, dischi e canzoni #13 • dicembre 2010 • 7,00 ANGELICA LUBIAN e la generazione Demo GIANNI NAZZARO Buddy e l'affare dei dischi da bancarella TRIO PARA GUAI Ci manda Paolo Conte I RIBELLI Natale Massara: Io, Celentano e Stratos EUGENIO BENNATO Dalla Nuova Compagnia a Taranta Power

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storie di artisti, dischi e canzoni

#13 • dicembre 2010 • € 7,00

ANGELICALUBIANe la generazione Demo

Nada

GIANNINAZZAROBuddy e l'affare deidischi da bancarella

TRIOPARA GUAICi manda Paolo Conte

I RIBELLINatale Massara: Io,Celentano e Stratos

EUGENIOBENNATODalla Nuova Compagniaa Taranta Power

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e io ti dico KappaO eBuddy , tu cosa mi ri-spondi?Fratelli Esposito, Napoli![ride, nda]

Come, quando e perchései stato scritturato da questa eti-chetta?Per volere di Sandro Petti, forse. Era unarchitetto romano, che gestiva uno sto-rico locale notturno a Ischia, Il Castellod’Aragona. Erano i miei primi passi inquest’ambiente, avevo il mio gruppo e…Buddy… mi chiamavo Buddy. Mi eroscelto questo soprannome e il mio grup -po si chiamava i Bohemiennes. Ci esibi-vamo tutte le sere in questo locale. Unasera Sandro Petti ospitò un paio dei fra-telli Esposito (quelli che ti ho citatoprima), che erano quattro in tutto: dueerano lì con famiglia per passare una se-rata carina e sai com’è, da cosa nascecosa, e fui invitato al loro tavolo. Discu-temmo di un’eventuale mia partecipa-zione a questo loro progetto, che eraquello della pirateria del disco, in pra-tica.

Perché avevi scelto come pseudoni -mo Buddy?Mah, non saprei… forse me lo ha sug-gerito il pianista. Si chiamava Franco…

Chi erano i musicisti che suonavanoin quei dischi ? C’era il meglio dei turnisti dell’epoca:ricordo in particolare Emilio Desè, unbatterista straordinario che lavoravaanche nell’Auditorium quando c’eranoi programmi televisivi del sabato sera,lui era il batterista fisso, un po’ come ilRestuccia della RAI di qualche anno fa.

All’Auditorium di Napoli ti ricordiqualche altro musicista/percussioni-sta? Che so, te lo ricordi Pitone?No, Pitone non me lo ricordo. Mi ricordoCappellotto…

C’erano anche il padre e il fratello diTullio De Piscopo, e la famiglia Cicco(Tony Cicco, Formula Tre)…Sì, sì… poi c’era Desiderio, che era untrombettista molto bravo… Insomma,c’era il meglio dei turnisti napoletani…

Ti ricordi di qualcuno che nel tempo– come James Senese – avrebbe fattoparte di qualche gruppo?È molto, molto probabile che ci sia statoElio D’Anna, che era uno dei compo-nenti degli Showmen [poi Osanna, nda]e ha fatto qualche mia registrazione…Posso legarmi con una cosa che escefuori dal tema: Pino Daniele, per esem-pio, prima della Tazzulella ’e cafè, che èstato poi il suo disco “rompi-ghiaccio”,si trovava nella sala di registrazione di

Claudio Mattone, che è stato il mio pro-duttore esecutivo per quattro anni…

In che periodo?Era il 1975.

Mattone poi avrebbe avuto la EasyRecords…La Easy, sì esattamente, già ce l’aveva,forse… Insomma, io mi trovavo lì e cimancava una chitarra all’arrangia-mento di questo brano, che poi tra l’al-tro divenne pure un discreto successo –il titolo era Me ne vado…

Quindi siamo tra la fine del ’76 el’inizio del ’77…Giusto. E quindi Claudio Mattone disse:«Madonna, una chitarra… servirebbeuna bella chitarra… Pino, viene ’nu mo-mento…». E Pino era proprio lui, ilgrande Pino Daniele, un artista che ioammiro moltissimo. E questo Pino siprestò senza nessun problema, e mi fecel’introduzione della chitarra. Non fini-sce qui, perché dopo c’era bisogno deicori, e noi eravamo pochi per farli e nonc’era ancora il sistema di sovrapposi-zione, per cui più eravamo e più si ren-deva bene l’idea. Allora Claudio ri chia -mò Pino e gli disse: «Vieni un po’ qua,facci ’sto coretto». E lui lo fece, col suovocino… [ride, nda]. E quindi, come di -re, io sento come un fatto gratificantel’avere avuto la chitarra e la voce di PinoDaniele in uno dei miei dischi…

Me ne vado a me è sempre sembrataun po’ copiata da Io me ne andrei di Ba-glioni…Onestamente, dal punto di vista armo-nico, non mi pare. Insomma, Io me ne an-drei è una grande canzone, Me ne vadoinvece è una canzoncina – sono il primoa dirlo. Era un divertissement, una cosapoco impegnativa, una canzone nata inun momento di crisi, di crisi mia pri-vata, di separazione reale. E nello stessotempo anche dell’autore, che era Mim -mo Politanò: pure lui in quel momentosi separava, pure lui soffriva le danna-zioni della separazione. Insomma, ciriunimmo, ci scambiammo le idee sullacosa e a lui venne spontaneo scrivereuna canzone come Me ne vado, che parladella storia di una rottura… Io me ne an-drei invece è al condizionale: me ne an-drei!!!

Torniamo alla KappaO. Come avveni-vano i pagamenti? Siamo partiti con tremila lire a facciata,quindi siamo passati a seimila lire e ab-biamo chiuso là. Stop. Non c’erano per-centuali di nessun tipo. Siamo partitiquindi da tremila e siamo arrivati congran successo a seimila a facciata, percui dodicimila lire a disco.

Di cover ne hai incise tantissime:Nessuno mi può giudicare, È la pioggia cheva, La rivoluzione, La fisarmonica, Lei,L’ora dell’amore, Pietre, Se perdo anche te.Chi sceglieva il repertorio? Questo faceva parte di un processo disondaggi: i discografici “sondavano”(tra virgolette) quale era il successo delmomento, quindi poteva succedere chec’era Morandi con Se perdo anche te e LittleTony con Cuore matto. Due successi da re-plicare, che dovevano immediatamenteessere messi in macchina da me, dal“coverman”, dall’imitatore. Si sfruttavala scia del successo, quindi dell’origi-nale. Poi il disco veniva venduto sullebancarelle nei vicoletti di Napoli, a unterzo di quello che era il costo reale.

Le canzoni le sceglievi tu o avevateun ordine del giorno?No, no, io non c’entravo. Ripeto, mi ve-nivano commissionate dal discografico.

Non ti pesava il fatto di dover fare ilreplicante?No, perché per me era un inizio di car-riera. Io sapevo già che quello mi sareb -be servito come “gavetta”… Era unmodo per uscire da casa e di portare an -che dei soldi. Non dimentichiamoci cheerano periodi abbastanza bui a livelloeconomico. E io, essendo stato sempreeducato in questo senso, cioè “vai a la-vora’ e porta i soldi a casa”, lo facevo benvolentieri. Anche quello andava messoin conto. Poi io mi ci divertivo, a dirti laverità: l’istinto imitativo non mi man-cava. Mio padre è stato un imitatore disuoni e rumori: imitava mitragliatori,macchine da corsa, sirene della polizia,cavalli da corsa e cose del genere. Io in-vece imitavo le voci ma – tra virgolette –non è che “imitavo”, mi accostavo al-l’originale…

53

Conversazione con Gianni Nazzaro | di Christian Calabrese

A Napoli c’è un ragazzino di quattordici anni capace di imitare alla perfezione qualsiasi voce, da Gianni

Morandi a Enzo Jannacci. Diventerà la punta didiamante di un'industria abile a trasformare

un piccolo business in un affare da molti milioni. Ecco la storia di Buddy.

SGianni Nazzaro: trail 1966 e il 1969 haregistrato decine

di dischi-cover conlo pseudonimo di

Buddy.

Page 3: Musica Leggera #13

e io ti dico KappaO eBuddy , tu cosa mi ri-spondi?Fratelli Esposito, Napoli![ride, nda]

Come, quando e perchései stato scritturato da questa eti-chetta?Per volere di Sandro Petti, forse. Era unarchitetto romano, che gestiva uno sto-rico locale notturno a Ischia, Il Castellod’Aragona. Erano i miei primi passi inquest’ambiente, avevo il mio gruppo e…Buddy… mi chiamavo Buddy. Mi eroscelto questo soprannome e il mio grup -po si chiamava i Bohemiennes. Ci esibi-vamo tutte le sere in questo locale. Unasera Sandro Petti ospitò un paio dei fra-telli Esposito (quelli che ti ho citatoprima), che erano quattro in tutto: dueerano lì con famiglia per passare una se-rata carina e sai com’è, da cosa nascecosa, e fui invitato al loro tavolo. Discu-temmo di un’eventuale mia partecipa-zione a questo loro progetto, che eraquello della pirateria del disco, in pra-tica.

Perché avevi scelto come pseudoni -mo Buddy?Mah, non saprei… forse me lo ha sug-gerito il pianista. Si chiamava Franco…

Chi erano i musicisti che suonavanoin quei dischi ? C’era il meglio dei turnisti dell’epoca:ricordo in particolare Emilio Desè, unbatterista straordinario che lavoravaanche nell’Auditorium quando c’eranoi programmi televisivi del sabato sera,lui era il batterista fisso, un po’ come ilRestuccia della RAI di qualche anno fa.

All’Auditorium di Napoli ti ricordiqualche altro musicista/percussioni-sta? Che so, te lo ricordi Pitone?No, Pitone non me lo ricordo. Mi ricordoCappellotto…

C’erano anche il padre e il fratello diTullio De Piscopo, e la famiglia Cicco(Tony Cicco, Formula Tre)…Sì, sì… poi c’era Desiderio, che era untrombettista molto bravo… Insomma,c’era il meglio dei turnisti napoletani…

Ti ricordi di qualcuno che nel tempo– come James Senese – avrebbe fattoparte di qualche gruppo?È molto, molto probabile che ci sia statoElio D’Anna, che era uno dei compo-nenti degli Showmen [poi Osanna, nda]e ha fatto qualche mia registrazione…Posso legarmi con una cosa che escefuori dal tema: Pino Daniele, per esem-pio, prima della Tazzulella ’e cafè, che èstato poi il suo disco “rompi-ghiaccio”,si trovava nella sala di registrazione di

Claudio Mattone, che è stato il mio pro-duttore esecutivo per quattro anni…

In che periodo?Era il 1975.

Mattone poi avrebbe avuto la EasyRecords…La Easy, sì esattamente, già ce l’aveva,forse… Insomma, io mi trovavo lì e cimancava una chitarra all’arrangia-mento di questo brano, che poi tra l’al-tro divenne pure un discreto successo –il titolo era Me ne vado…

Quindi siamo tra la fine del ’76 el’inizio del ’77…Giusto. E quindi Claudio Mattone disse:«Madonna, una chitarra… servirebbeuna bella chitarra… Pino, viene ’nu mo-mento…». E Pino era proprio lui, ilgrande Pino Daniele, un artista che ioammiro moltissimo. E questo Pino siprestò senza nessun problema, e mi fecel’introduzione della chitarra. Non fini-sce qui, perché dopo c’era bisogno deicori, e noi eravamo pochi per farli e nonc’era ancora il sistema di sovrapposi-zione, per cui più eravamo e più si ren-deva bene l’idea. Allora Claudio ri chia -mò Pino e gli disse: «Vieni un po’ qua,facci ’sto coretto». E lui lo fece, col suovocino… [ride, nda]. E quindi, come di -re, io sento come un fatto gratificantel’avere avuto la chitarra e la voce di PinoDaniele in uno dei miei dischi…

Me ne vado a me è sempre sembrataun po’ copiata da Io me ne andrei di Ba-glioni…Onestamente, dal punto di vista armo-nico, non mi pare. Insomma, Io me ne an-drei è una grande canzone, Me ne vadoinvece è una canzoncina – sono il primoa dirlo. Era un divertissement, una cosapoco impegnativa, una canzone nata inun momento di crisi, di crisi mia pri-vata, di separazione reale. E nello stessotempo anche dell’autore, che era Mim -mo Politanò: pure lui in quel momentosi separava, pure lui soffriva le danna-zioni della separazione. Insomma, ciriunimmo, ci scambiammo le idee sullacosa e a lui venne spontaneo scrivereuna canzone come Me ne vado, che parladella storia di una rottura… Io me ne an-drei invece è al condizionale: me ne an-drei!!!

Torniamo alla KappaO. Come avveni-vano i pagamenti? Siamo partiti con tremila lire a facciata,quindi siamo passati a seimila lire e ab-biamo chiuso là. Stop. Non c’erano per-centuali di nessun tipo. Siamo partitiquindi da tremila e siamo arrivati congran successo a seimila a facciata, percui dodicimila lire a disco.

Di cover ne hai incise tantissime:Nessuno mi può giudicare, È la pioggia cheva, La rivoluzione, La fisarmonica, Lei,L’ora dell’amore, Pietre, Se perdo anche te.Chi sceglieva il repertorio? Questo faceva parte di un processo disondaggi: i discografici “sondavano”(tra virgolette) quale era il successo delmomento, quindi poteva succedere chec’era Morandi con Se perdo anche te e LittleTony con Cuore matto. Due successi da re-plicare, che dovevano immediatamenteessere messi in macchina da me, dal“coverman”, dall’imitatore. Si sfruttavala scia del successo, quindi dell’origi-nale. Poi il disco veniva venduto sullebancarelle nei vicoletti di Napoli, a unterzo di quello che era il costo reale.

Le canzoni le sceglievi tu o avevateun ordine del giorno?No, no, io non c’entravo. Ripeto, mi ve-nivano commissionate dal discografico.

Non ti pesava il fatto di dover fare ilreplicante?No, perché per me era un inizio di car-riera. Io sapevo già che quello mi sareb -be servito come “gavetta”… Era unmodo per uscire da casa e di portare an -che dei soldi. Non dimentichiamoci cheerano periodi abbastanza bui a livelloeconomico. E io, essendo stato sempreeducato in questo senso, cioè “vai a la-vora’ e porta i soldi a casa”, lo facevo benvolentieri. Anche quello andava messoin conto. Poi io mi ci divertivo, a dirti laverità: l’istinto imitativo non mi man-cava. Mio padre è stato un imitatore disuoni e rumori: imitava mitragliatori,macchine da corsa, sirene della polizia,cavalli da corsa e cose del genere. Io in-vece imitavo le voci ma – tra virgolette –non è che “imitavo”, mi accostavo al-l’originale…

53

Conversazione con Gianni Nazzaro | di Christian Calabrese

A Napoli c’è un ragazzino di quattordici anni capace di imitare alla perfezione qualsiasi voce, da Gianni

Morandi a Enzo Jannacci. Diventerà la punta didiamante di un'industria abile a trasformare

un piccolo business in un affare da molti milioni. Ecco la storia di Buddy.

SGianni Nazzaro: trail 1966 e il 1969 haregistrato decine

di dischi-cover conlo pseudonimo di

Buddy.

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questa specie di provino da MarianoDetto, per il quale naturalmente il fattoche qualcuno conoscesse la musica eraun elemento in più a favore dei singolimusicisti nel giudizio finale. In quelmomento nel gruppo suonavo il saxalto, mentre Mariano cercava un saxtenore, e allora mi feci prestare da unamico un sax tenore e visto che la tec-nica è la stessa ma cambia soltanto ilmodo di emettere il fiato e il tipo di boc-chino, mi presentai ugualmente. Ilprovino andò bene, fummo presi tutti edue, io e Giannino. E così, con Dal-l’Aglio alla batteria, Mariano al piano-forte e Gino Santercole alla chitarra,nacque il primo nucleo dei Ribelli,quello che ha accompagnato ufficial-mente Adriano nelle sue serate e il cuinome era stato scelto dallo stesso Ce-lentano, ispirandosi alla canzone cheaveva pubblicato l’anno prima, Il ribelle.Ma di quel primo disco non so molto, ioarrivai subito dopo, solo che i Ribelli ac-compagnarono per un breve periodo intournée Colin Hicks, un cantante in-glese che ebbe un certo successo ancheda noi, soprattutto negli spettacoli dalvivo. In quell’occasione si era unito aloro anche Ricky Gianco, e mi sembradi ricordare che oltre a Gianni e Gino glialtri due musicisti fossero Livio Paso-lini al basso e Nando De Luca al piano-forte, al posto di Mariano Detto.

Avete cominciato subito a suonareanche nei dischi?Sì, subito. Per quanto riguarda poi leserate dal vivo preparavamo il reperto-rio di Adriano e contemporaneamenteanche un nostro repertorio, perché inattesa che lui si liberasse dal serviziomilitare andavamo a fare qualche se-rata per conto nostro, giusto per tirargiù qualche lira e per non rimanerefermi, e in quelle occasioni cantavaGino Santercole. Così ci trovammo inuna strana situazione: da una parteeravamo coinvolti in un progetto digrande qualità e che a tutti piacevamoltissimo, però contemporanea-mente non potevamo fare le serate conlui perché era ancora militare. A uncerto punto cominciammo a prenderedei cantanti che cantassero al postosuo, mi ricordo di Clem Sacco e di unagiovane cantante che si chiamava Mi-rella Rini e cantava un po’ come Mina.E il cartellone recitava così: I Ribelli diAdriano Celentano con Clem Sacco eMirella Rini: facevamo sia i pezzi nostriche quelli di Adriano. In questo modoavevamo quattro soldi da portare a casanell’attesa che lui tornasse con noi.

Dicevi che cominciaste a fare dischicon Celentano quando lui faceva ilmilitare. Ma quelle sedute di regi-

strazione le dirigeva già MarianoDetto o c’era ancora Giulio Libano?C’era ancora Libano, e in qualche occa-sione anche Ezio Leoni. Incidevamo inuno studio che stava in via San Mar-tino, a Milano.

Il vostro secondo 45 giri, Duecento al-l’ora/Enrico VIII, fu pubblicato nel 1961dalla Celson.Che era comunque un’etichetta di Gür-tler: ormai noi eravamo il gruppo uffi-ciale di Celentano, che incideva per luicon la Jolly e che aveva cominciato conun’altra delle sue etichette, la Music.Era un periodo in cui andava molto lamusica strumentale, tipo Apache degliShadows o Tequila dei Champs, tantoper fare un esempio, o ancora King Cur-tis, che ad esempio io ascoltavo perchéero un sassofonista come lui. DuaneEddy aveva in repertorio dei pezzi aiquali Duecento all’ora o La cavalcata – che in-sieme a Serenata a Vallechiara faceva partedel nostro quarto singolo – potevano inqualche modo riallacciarsi.

Il terzo 45 giri, il primo su Clan, fuAlle nove al bar, che sul retro ripren-deva un classico tradizionale del fol-klore anglosassone, piùprecisamente irlandese, Danny Boy.Quel pezzo risulta accreditato a te,in una curiosa dicitura, Natale Befa-nino e i Ribelli.Questa è una storia interessante. I chi-tarristi e i sassofonisti americani di al-lora erano formidabili, e lo sono ancoraoggi, e quando li ascoltavo mi rendevoconto che quello era un modo di suo-nare completamente diverso, e la cosami piaceva molto. Una volta mi capitòdi ascoltare una versione per sax di Sep-tember Song fatta con una leggerezzamolto elegante, con grande gusto, esiccome conoscevo bene Danny Boy mivenne in mente di farla proprio inquello stile, durante i nostri spettacoli,e piaceva, piaceva a tutti. E infattiAdriano, quando si riposava un attimodurante il suo spettacolo, magari perbere un bicchier d’acqua, ci diceva difare Danny Boy. Finché una volta midisse che sarebbe stato bello anche in-ciderla, oltre che suonarla dal vivo,però poi la cosa finì lì. Qualche temposuonavamo dalle parti di Rimini evenne a sentirci Flavio Carraresi, chelavorava alla RCA come compositore eanche come produttore, e che alla finedella serata venne a propormi di inci-dere per la RCA proprio Danny Boy, cheavevamo suonato anche quella sera. Michiese se ero libero contrattualmente,e io in effetti lo ero perché con il Clannon avevamo nessun contratto uffi-ciale e in esclusiva, però gli dissi cheero in parola con Adriano e che quindi

non potevo accettare la sua offerta. Poiraccontai questa cosa ad Adriano, ilquale subito disse: «No, no, Danny Boy laincidete subito per il Clan!». A questopunto io e Mariano ci mettemmo a la-vorare insieme sull’arrangiamento: iovolevo utilizzare gli archi, e ad Adrianovenne in mente di accreditare l’inci-sione a Natale Befanino, un sopran-nome scherzoso che lui mi avevaappioppato. Alla fine venne fuori unabella versione, devo dire anche suonatamolto bene da me.

Terminato il servizio di leva diAdriano e nato il Clan anche comeetichetta, per voi il lavoro cominciòad aumentare…Esatto, proprio così. Nel frattempocambiava la formazione: fino al 1963,cioè fino al disco di Alle nove al bar, albasso c’è Giannino e c’è anche GinoSantercole alla chitarra e al canto. Poi,quando si trattò di incidere Danny Boy,Adriano ebbe un’idea: «Facciamo su unlato del disco Danny Boy suonato da Na-tale e sull’altro un pezzo strumentaledi chitarra suonato da Gino». La cosa inrealtà non si fece più, però è proprio dalì che nacque l’idea di staccare Gino dalgruppo e di farlo diventare un solista.Più tardi Adriano gli fece fare Stella d’ar-gento, che era la cover di South Of The Bor-der, uno standard americano degli anniQuaranta, rivisitato per l’occasione.Tra l’altro proprio in quei giorni Ma-riano aveva avuto problemi di salute emi chiese di aiutarlo nell’arrangia-mento e nella registrazione, e a me fecemolto piacere avere quel tipo di oppor-tunità, perché in realtà io già da alloraavevo bene in mente che proprio quellovolevo fare, cioè arrangiare i pezzi e di-rigere l’orchestra – del resto già nel 1963mi ero diplomato al Conservatorio,anche se poi continuai a studiare, siapianoforte che composizione, fino al1972.

Così quella fu la tua prima seduta diregistrazione da arrangiatore?La prima: registrammo alla Philips dipiazza Cavour, nel Palazzo dellaStampa, con il fonico Berlinghini. Erauno degli studi più attrezzati in quelperiodo a Milano, Adriano ci registròtantissimi dischi, a cominciare da Stailontana da me. Nel frattempo Gianninoera andato via e al basso entrò GiorgioBenacchio, che in realtà nasceva chi-tarrista e che poi quando Gino se neandò riprese la chitarra, mentre persei-sette mesi venne a suonare il bassocon noi Gianfranco Lombardi, il futuroarrangiatore e direttore d’orchestra,che all’epoca seguiva un gruppo napo-letano nel quale suonava suo fratello eche si chiamavano i Campanino, dal

L’esordio discografico dei Ribelli av-viene nel 1960, in un quarantacinquegiri Italdisc diviso a metà con RickyGianco. In quel periodo eravate già ilgruppo che accompagnava Adrianonelle serate e nei dischi?Sì. Io personalmente ho cominciato conlui all’inizio del 1960. Adriano giravagià con una specie di complesso, conGianni Dall’Aglio, Gino Santercole eMariano Detto, il quale a un certopunto era stato incaricato da Adrianostesso di creare un vero e propriogruppo che potesse essere pronto nelmomento in cui lui, che in quel mo-mento stava facendo il militare,avrebbe potuto ricominciare a suonarein giro una volta finito il servizio dileva. Io, come tutti i ragazzi della miagenerazione, al di là del fatto che avevodeciso di studiare la musica in manieraseria, come poi ho fatto, volevo crearmiuna mia autonomia, ma i mezzi eranoquelli che erano e allora entrai in ungruppo con cui riuscivo a suonare eanche a lavorare un po’ nelle varie ba-lere, e qualche lira ce la davano. Era ungruppo legato a un cantante-pianista,Dany Selva. Contemporaneamente miero iscritto al Conservatorio a Milano,dove studiavo clarinetto.

E come arrivasti a Celentano?Il bassista di Dany Selva, Giannino Zin-zone, a un certo punto venne a sapereche Celentano stava cercando dei musi-cisti e così andammo insieme a fare

Cinquant’anni fa uscivail primo disco dei

Ribelli, punto inizialedi un viaggio duratotutto il decennio dei

Sessanta, dapprima alfianco di Adriano

Celentano e poi di unafra le voci più

straordinarie dellascena musicale italiana,

Demetrio Stratos. Unpercorso in cui i

viaggiatori cambiavanodi continuo, per unadelle formazioni più

influenti e instabili delgiovane rock italiano.

Conversazione con Natale Massara /

di Luciano Ceri

REBEL

REBELREBEL

REBEL

Prove di un concertodi Adriano Celentanoall’Olympia. Oltre al

Molleggiato e aNatale Massara (al

sax), si riconosconoGiorgio Benacchio e

(seduto) GinoSantercole.

Parigi, 1963.

Prove di un concertodi Adriano Celentanoall’Olympia. Oltre al

Molleggiato e aNatale Massara (al

sax), si riconosconoGiorgio Benacchio e

(seduto) GinoSantercole.

Parigi, 1963.

Prove di un concertodi Adriano Celentanoall’Olympia. Oltre al

Molleggiato e aNatale Massara (al

sax), si riconosconoGiorgio Benacchio e

(seduto) GinoSantercole.

Parigi, 1963.

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questa specie di provino da MarianoDetto, per il quale naturalmente il fattoche qualcuno conoscesse la musica eraun elemento in più a favore dei singolimusicisti nel giudizio finale. In quelmomento nel gruppo suonavo il saxalto, mentre Mariano cercava un saxtenore, e allora mi feci prestare da unamico un sax tenore e visto che la tec-nica è la stessa ma cambia soltanto ilmodo di emettere il fiato e il tipo di boc-chino, mi presentai ugualmente. Ilprovino andò bene, fummo presi tutti edue, io e Giannino. E così, con Dal-l’Aglio alla batteria, Mariano al piano-forte e Gino Santercole alla chitarra,nacque il primo nucleo dei Ribelli,quello che ha accompagnato ufficial-mente Adriano nelle sue serate e il cuinome era stato scelto dallo stesso Ce-lentano, ispirandosi alla canzone cheaveva pubblicato l’anno prima, Il ribelle.Ma di quel primo disco non so molto, ioarrivai subito dopo, solo che i Ribelli ac-compagnarono per un breve periodo intournée Colin Hicks, un cantante in-glese che ebbe un certo successo ancheda noi, soprattutto negli spettacoli dalvivo. In quell’occasione si era unito aloro anche Ricky Gianco, e mi sembradi ricordare che oltre a Gianni e Gino glialtri due musicisti fossero Livio Paso-lini al basso e Nando De Luca al piano-forte, al posto di Mariano Detto.

Avete cominciato subito a suonareanche nei dischi?Sì, subito. Per quanto riguarda poi leserate dal vivo preparavamo il reperto-rio di Adriano e contemporaneamenteanche un nostro repertorio, perché inattesa che lui si liberasse dal serviziomilitare andavamo a fare qualche se-rata per conto nostro, giusto per tirargiù qualche lira e per non rimanerefermi, e in quelle occasioni cantavaGino Santercole. Così ci trovammo inuna strana situazione: da una parteeravamo coinvolti in un progetto digrande qualità e che a tutti piacevamoltissimo, però contemporanea-mente non potevamo fare le serate conlui perché era ancora militare. A uncerto punto cominciammo a prenderedei cantanti che cantassero al postosuo, mi ricordo di Clem Sacco e di unagiovane cantante che si chiamava Mi-rella Rini e cantava un po’ come Mina.E il cartellone recitava così: I Ribelli diAdriano Celentano con Clem Sacco eMirella Rini: facevamo sia i pezzi nostriche quelli di Adriano. In questo modoavevamo quattro soldi da portare a casanell’attesa che lui tornasse con noi.

Dicevi che cominciaste a fare dischicon Celentano quando lui faceva ilmilitare. Ma quelle sedute di regi-

strazione le dirigeva già MarianoDetto o c’era ancora Giulio Libano?C’era ancora Libano, e in qualche occa-sione anche Ezio Leoni. Incidevamo inuno studio che stava in via San Mar-tino, a Milano.

Il vostro secondo 45 giri, Duecento al-l’ora/Enrico VIII, fu pubblicato nel 1961dalla Celson.Che era comunque un’etichetta di Gür-tler: ormai noi eravamo il gruppo uffi-ciale di Celentano, che incideva per luicon la Jolly e che aveva cominciato conun’altra delle sue etichette, la Music.Era un periodo in cui andava molto lamusica strumentale, tipo Apache degliShadows o Tequila dei Champs, tantoper fare un esempio, o ancora King Cur-tis, che ad esempio io ascoltavo perchéero un sassofonista come lui. DuaneEddy aveva in repertorio dei pezzi aiquali Duecento all’ora o La cavalcata – che in-sieme a Serenata a Vallechiara faceva partedel nostro quarto singolo – potevano inqualche modo riallacciarsi.

Il terzo 45 giri, il primo su Clan, fuAlle nove al bar, che sul retro ripren-deva un classico tradizionale del fol-klore anglosassone, piùprecisamente irlandese, Danny Boy.Quel pezzo risulta accreditato a te,in una curiosa dicitura, Natale Befa-nino e i Ribelli.Questa è una storia interessante. I chi-tarristi e i sassofonisti americani di al-lora erano formidabili, e lo sono ancoraoggi, e quando li ascoltavo mi rendevoconto che quello era un modo di suo-nare completamente diverso, e la cosami piaceva molto. Una volta mi capitòdi ascoltare una versione per sax di Sep-tember Song fatta con una leggerezzamolto elegante, con grande gusto, esiccome conoscevo bene Danny Boy mivenne in mente di farla proprio inquello stile, durante i nostri spettacoli,e piaceva, piaceva a tutti. E infattiAdriano, quando si riposava un attimodurante il suo spettacolo, magari perbere un bicchier d’acqua, ci diceva difare Danny Boy. Finché una volta midisse che sarebbe stato bello anche in-ciderla, oltre che suonarla dal vivo,però poi la cosa finì lì. Qualche temposuonavamo dalle parti di Rimini evenne a sentirci Flavio Carraresi, chelavorava alla RCA come compositore eanche come produttore, e che alla finedella serata venne a propormi di inci-dere per la RCA proprio Danny Boy, cheavevamo suonato anche quella sera. Michiese se ero libero contrattualmente,e io in effetti lo ero perché con il Clannon avevamo nessun contratto uffi-ciale e in esclusiva, però gli dissi cheero in parola con Adriano e che quindi

non potevo accettare la sua offerta. Poiraccontai questa cosa ad Adriano, ilquale subito disse: «No, no, Danny Boy laincidete subito per il Clan!». A questopunto io e Mariano ci mettemmo a la-vorare insieme sull’arrangiamento: iovolevo utilizzare gli archi, e ad Adrianovenne in mente di accreditare l’inci-sione a Natale Befanino, un sopran-nome scherzoso che lui mi avevaappioppato. Alla fine venne fuori unabella versione, devo dire anche suonatamolto bene da me.

Terminato il servizio di leva diAdriano e nato il Clan anche comeetichetta, per voi il lavoro cominciòad aumentare…Esatto, proprio così. Nel frattempocambiava la formazione: fino al 1963,cioè fino al disco di Alle nove al bar, albasso c’è Giannino e c’è anche GinoSantercole alla chitarra e al canto. Poi,quando si trattò di incidere Danny Boy,Adriano ebbe un’idea: «Facciamo su unlato del disco Danny Boy suonato da Na-tale e sull’altro un pezzo strumentaledi chitarra suonato da Gino». La cosa inrealtà non si fece più, però è proprio dalì che nacque l’idea di staccare Gino dalgruppo e di farlo diventare un solista.Più tardi Adriano gli fece fare Stella d’ar-gento, che era la cover di South Of The Bor-der, uno standard americano degli anniQuaranta, rivisitato per l’occasione.Tra l’altro proprio in quei giorni Ma-riano aveva avuto problemi di salute emi chiese di aiutarlo nell’arrangia-mento e nella registrazione, e a me fecemolto piacere avere quel tipo di oppor-tunità, perché in realtà io già da alloraavevo bene in mente che proprio quellovolevo fare, cioè arrangiare i pezzi e di-rigere l’orchestra – del resto già nel 1963mi ero diplomato al Conservatorio,anche se poi continuai a studiare, siapianoforte che composizione, fino al1972.

Così quella fu la tua prima seduta diregistrazione da arrangiatore?La prima: registrammo alla Philips dipiazza Cavour, nel Palazzo dellaStampa, con il fonico Berlinghini. Erauno degli studi più attrezzati in quelperiodo a Milano, Adriano ci registròtantissimi dischi, a cominciare da Stailontana da me. Nel frattempo Gianninoera andato via e al basso entrò GiorgioBenacchio, che in realtà nasceva chi-tarrista e che poi quando Gino se neandò riprese la chitarra, mentre persei-sette mesi venne a suonare il bassocon noi Gianfranco Lombardi, il futuroarrangiatore e direttore d’orchestra,che all’epoca seguiva un gruppo napo-letano nel quale suonava suo fratello eche si chiamavano i Campanino, dal

L’esordio discografico dei Ribelli av-viene nel 1960, in un quarantacinquegiri Italdisc diviso a metà con RickyGianco. In quel periodo eravate già ilgruppo che accompagnava Adrianonelle serate e nei dischi?Sì. Io personalmente ho cominciato conlui all’inizio del 1960. Adriano giravagià con una specie di complesso, conGianni Dall’Aglio, Gino Santercole eMariano Detto, il quale a un certopunto era stato incaricato da Adrianostesso di creare un vero e propriogruppo che potesse essere pronto nelmomento in cui lui, che in quel mo-mento stava facendo il militare,avrebbe potuto ricominciare a suonarein giro una volta finito il servizio dileva. Io, come tutti i ragazzi della miagenerazione, al di là del fatto che avevodeciso di studiare la musica in manieraseria, come poi ho fatto, volevo crearmiuna mia autonomia, ma i mezzi eranoquelli che erano e allora entrai in ungruppo con cui riuscivo a suonare eanche a lavorare un po’ nelle varie ba-lere, e qualche lira ce la davano. Era ungruppo legato a un cantante-pianista,Dany Selva. Contemporaneamente miero iscritto al Conservatorio a Milano,dove studiavo clarinetto.

E come arrivasti a Celentano?Il bassista di Dany Selva, Giannino Zin-zone, a un certo punto venne a sapereche Celentano stava cercando dei musi-cisti e così andammo insieme a fare

Cinquant’anni fa uscivail primo disco dei

Ribelli, punto inizialedi un viaggio duratotutto il decennio dei

Sessanta, dapprima alfianco di Adriano

Celentano e poi di unafra le voci più

straordinarie dellascena musicale italiana,

Demetrio Stratos. Unpercorso in cui i

viaggiatori cambiavanodi continuo, per unadelle formazioni più

influenti e instabili delgiovane rock italiano.

Conversazione con Natale Massara /

di Luciano Ceri

REBEL

REBELREBEL

REBEL

Prove di un concertodi Adriano Celentanoall’Olympia. Oltre al

Molleggiato e aNatale Massara (al

sax), si riconosconoGiorgio Benacchio e

(seduto) GinoSantercole.

Parigi, 1963.

Prove di un concertodi Adriano Celentanoall’Olympia. Oltre al

Molleggiato e aNatale Massara (al

sax), si riconosconoGiorgio Benacchio e

(seduto) GinoSantercole.

Parigi, 1963.

Prove di un concertodi Adriano Celentanoall’Olympia. Oltre al

Molleggiato e aNatale Massara (al

sax), si riconosconoGiorgio Benacchio e

(seduto) GinoSantercole.

Parigi, 1963.

Page 6: Musica Leggera #13

Conversazione con Eugenio Bennato | di Francesco Donadio

REMASTEREugenio Bennato

LA VITANOVA

La storia del New Folk in Italia l’ha scritta lui: prima con i seminali dischi di “artevaria” della Nuova Compagnia di Canto Popolare, poi con le preveggenticontaminazioni rock del progetto Musicanova e adesso con la spiazzante sintesistilistica del movimento Taranta Power. Il meno egocentrico dei fratelli Bennatoracconta quarant’anni di battaglie musicali e in un libro ispirato ai mitici brigantidel Sud si toglie qualche sassolino dalla scarpa.

Page 7: Musica Leggera #13

Conversazione con Eugenio Bennato | di Francesco Donadio

REMASTEREugenio Bennato

LA VITANOVA

La storia del New Folk in Italia l’ha scritta lui: prima con i seminali dischi di “artevaria” della Nuova Compagnia di Canto Popolare, poi con le preveggenticontaminazioni rock del progetto Musicanova e adesso con la spiazzante sintesistilistica del movimento Taranta Power. Il meno egocentrico dei fratelli Bennatoracconta quarant’anni di battaglie musicali e in un libro ispirato ai mitici brigantidel Sud si toglie qualche sassolino dalla scarpa.