Muscolo e locomozione

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Lezione 21 MUSCOLO E LOCOMOZIONE Abbiamo 3 tipi di muscolo: muscolo scheletrico, muscolo cardiaco e muscolo liscio. Parleremo, in questa prima parte, soprattutto del muscolo scheletrico, poi parleremo del muscolo cardiaco; invece al muscolo liscio faremo per ora solo un accenno ed eventualmente riprenderemo il discorso più avanti, quando parleremo di sistema circolatorio. Questa diapositiva illustra semplicemente qual’ è la funzione del muscolo scheletrico: la funzione del muscolo scheletrico è quella di consentire il movimento delle articolazioni, cioè consente di muovere un capo osseo rispetto a un altro capo osseo. In questo modo consente la deambulazione, i movimenti di flessione ed estensione, e consente questo grazie all’arrangiamento, relativamente ad un capo osseo, di muscoli flessori e di muscoli estensori. Come abbiamo già visto quando abbiamo parlato di fuso neuromuscolare, tutto il 1

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Lezione 21

MUSCOLO E LOCOMOZIONE

Abbiamo 3 tipi di muscolo: muscolo scheletrico, muscolo cardiaco

e muscolo liscio. Parleremo, in questa prima parte, soprattutto del

muscolo scheletrico, poi parleremo del muscolo cardiaco; invece al

muscolo liscio faremo per ora solo un accenno ed eventualmente

riprenderemo il discorso più avanti, quando parleremo di sistema

circolatorio.

Questa diapositiva illustra semplicemente qual’ è la funzione del

muscolo scheletrico: la funzione del muscolo scheletrico è quella di

consentire il movimento delle articolazioni, cioè consente di

muovere un capo osseo rispetto a un altro capo osseo. In questo

modo consente la deambulazione, i movimenti di flessione ed

estensione, e consente questo grazie all’arrangiamento,

relativamente ad un capo osseo, di muscoli flessori e di muscoli

estensori. Come abbiamo già visto quando abbiamo parlato di fuso

neuromuscolare, tutto il sistema

motorio-nervoso è improntato al

fatto che ci deve essere questo

coordinamento tra l’attività dei

muscoli flessori e quelli estensori.

Come abbiamo già visto parlando di

midollo, il riflesso crociato è un

riflesso un po’ complicato, a livello

spinale, per il quale una contrazione

della muscolatura flessoria, per

esempio, dà luogo ad un’estensione

simultanea della muscolatura

estensoria. Qui lo vediamo bene:

questo è un capo osseo (per esempio

potrebbe essere braccio e

avambraccio), questo è il muscolo

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flessore e questo è il muscolo estensore; nel momento in cui io contraggo l’uno dovrò stendere l’altro,

rilasciarlo, consentirne l’estensione, proprio per dare modo all’articolazione di flettersi in questa

direzione, o viceversa nel caso in cui si parli di estensione.

Viene definito momento il prodotto tra la forza sviluppata dal muscolo e la distanza, o meglio lo

spostamento, del capo articolare. In questo caso (rifarsi alla figura della pagina precedente, ndr) lo

spostamento è la differenza tra questo punto e quello di arrivo: nel momento in cui la flessione

consente un movimento di questo tipo da così a così, vedete che il capo osseo si sposta di una frazione

di lunghezza del muscolo, e allora se noi moltiplichiamo la forza che il muscolo ha sviluppato per lo

spostamento indicato abbiamo quello che è il momento. Il momento è una grandezza fisica vettoriale

che è data dal prodotto di due forze vettoriali, come sono appunto la forza sviluppata dal muscolo,

applicata al punto in questione, e la distanza. Il movimento, quindi, è garantito dalla coesistenza di

muscoli flessori ed estensori, e dal coordinamento della loro funzione. Contemporaneamente si ha

flessione ed estensione.

Questa figura ricorda cos’è un’unità neuromotoria. Per parlare del muscolo non si può prescindere

dal pensarlo connesso al sistema nervoso, in questo caso sistema nervoso centrale, ma potrebbe anche

essere sistema nervoso autonomo nel caso della muscolatura liscia. Una grossa importante differenza

tra muscolatura scheletrica e muscolatura liscia è che la muscolatura scheletrica va soggetta al

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comando, all’informazione, del sistema nervoso centrale, mentre invece quella liscia è soggetta al

sistema nervoso autonomo. Questo vale non solo per la muscolatura liscia ma anche per la

muscolatura cardiaca: vedremo come il miocardio, in particolare il miocardio differenziato è soggetto

ad una regolazione da parte sul sistema nervoso autonomo, sia ortosimpatico che parasimpatico, non è

invece soggetto al sistema nervoso centrale: noi non possiamo far variare la frequenza cardiaca con la

nostra volontà, volontariamente, in quanto non ci sono strutture nervose che arrivano al miocardio

differenziato. Invece, per esempio, possiamo variare volontariamente la frequenza respiratoria in

quanto l’attività respiratoria è governata dalla muscolatura scheletrica, in particolare dalla muscolatura

degli intercostali esterni ed interni e dal diaframma che è un muscolo scheletrico. Quindi vedete questa

stretta connessione tra sistema nervoso centrale e periferico ed attività del muscolo, o scheletrico, in

un caso o liscio o cardiaco, nell’altro.

Nell’immagine sopra si vede una sezione di midollo. Si vede un motoneurone, il motoneurone A1, per

esempio, indicato, che si trova nelle corna anteriori del midollo e dà luogo ad una compagine nervosa

di tipo efferente che va ad innervare un muscolo. L’insieme dell’assone che parte dal motoneurone e

di tutte le fibre che questo motoneurone va ad interessare prende il nome di unità neuromotoria.

Vedete come nel muscolo non tutele fibre sono interessate dal controllo di questo motoneurone; cioè

un muscolo è costituito da fibre che appartengono ad unità neuromotorie diverse. Quindi un

motoneurone va ad innervare molte fibre in un muscolo, ma un muscolo può essere controllato da

motoneuroni differenti, e questo dà la capacità al muscolo di eseguire movimenti discriminativi

diversi, soggetto a informazioni diverse da parte del sistema nervoso centrale. Così come vedete che in

zone limitrofe del midollo possono esserci motoneuroni che si interessano di muscoli antagonisti:

motoneurone A innerva un muscolo che potrebbe essere agonista e di fianco abbiamo l’innervazione

del muscolo antagonista. Questo è per riproporre una cosa che abbiamo già visto e che però è

importante ricordare in questa sede.

Allora: questa (pagina successiva, ndr) è una figura che già conoscete però ve la ripropongo perché è

importante per capire la fisiologia del muscolo scheletrico, ed in particolare per capirne la

biomeccanica. Si vede una sezione di muscolo, prendiamo un po’ di questo muscolo e troviamo una

fibra che è composta dal sarcolemma e, nel sarcolemma, troviamo molte miofibrille. Le miofibrille

sono formate da sarcomeri, sono strutturate in sarcomeri; il sarcomero è l’unità funzionale del

muscolo: nel sarcomero c’è tutto ciò che ci serve per consentire la contrazione muscolare. Senza

sarcomero il muscolo non funziona. Il sarcomero con questa disposizione così rigidamente strutturata,

così regolare, lo troviamo solo nel muscolo scheletrico, anche se sia nel muscolo cardiaco che in

quello liscio troviamo dei sarcomeri, soprattutto nel muscolo cardiaco; vedremo poi che sono però

diversi da questo, anche se molto simili. Invece nel muscolo liscio possiamo trovare una gamma di

arrangiamenti di queste miofibrille muscolari: a volte ci sono soltanto delle fibre di actina, a volte

delle fibre di actina e miosina intercalate, a volte c’è un abbozzo di sarcomero, dipende dal tipo di

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struttura che stiamo considerando. Un sarcomero così regolare lo troviamo soltanto nella muscolatura

liscia (??, ndr) e questo già lo sapete. Il sarcomero è formato da vari tipi di molecole; le molecole

principali che troviamo sono l’actina, la miosina, la tropomiosina, la troponina, e poi ci sono delle

nuove molecole, di cui non so se conoscete l’esistenza, che sono la titina e la nebulina. Vediamo a

cosa servono tutte queste proteine. La miosina è la grossa proteina che c’è al centro del sarcomero,

mentre la proteina fibrosa, globulare ma allungata, che si trova alla periferia del sarcomero e che non

prende contatto al centro è l’actina. Al confluire periferico delle molecole di actina troviamo la

formazione di questa stria, che è la stria Z. La stria Z è il punto di demarcazione del passaggio da un

sarcomero all’altro. Quindi un sarcomero è delimitato da due strie Z. Dalle strie Z ha partenza la

molecola di actina, mentre la miosina non prende contatto nelle strie Z. Però vedremo che la posizione

della miosina al centro del sarcomero è garantita e stabilizzata dalla titina e dalla nebulina. Intorno alla

molecola di actina si avvolgono due altre molecole filiformi sempre proteiche, che sono la

tropomiosina e in particolare la troponina. Questi due filamenti sono molto importanti per la

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contrazione muscolare perché nello stato di riposo mascherano il sito di interazione tra actina e

miosina. La contrazione altro non è che la presa di contatto delle molecole di actina e di miosina e una

specie di trazione che le molecole di miosina esercitano su quelle di actina. Quindi la contrazione si

verificherà nel momento in cui la miosina potrà prendere contatto con l’actina. Ora, questi ponti che si

costituiranno nello stato di riposo sono mascherati dalle molecole di troponina e di tropomiosina.

L’arrivo dell’eccitazione nervosa smaschera questi siti, li rende disponibili al contatto e avvia la

contrazione. La molecola di miosina è una molecola complessa formata da due parti, una parte

filiforme, lineare, che viene chiamata meromiosina leggera, e una parte apicale, terminale, formata da

allargamenti che vengono chiamate clave, clavette, e il termine preciso è quello di meromiosina

pesante. La meromiosina pesante, a differenza di quella leggera, è una proteina globulare che forma

questi allargamenti; questa molecola ritorta che forma questa specie di testa viene definita clava o testa

della miosina o meromiosina pesante. Una singola struttura di miosina contiene più filamenti di

meromiosina leggera e pesante di modo che ad entrambi i capi della molecola di miosina si formano le

sporgenze, le teste, che sono poste radialmente intorno alla molecola della miosina. Quindi sono delle

sporgenze che pescano lateralmente da tutte le parti della miosina. I legami tra miosina e actina si

effettueranno a livello di queste teste: le teste sono portatrici di un sito enzimatico in quanto

contengono una molecola di ATPasi. Sulla testa della meromisina pesante troviamo la molecola

dell’ATPasi. L’ATPasi è un enzima che consente la scissione dell’ATP, molecola ad alto contenuto

energetico, in ADP+P con liberazione di energia chimica che viene utilizzata sotto forma di energia

meccanica. È quindi importante ricordarsi che l’ATPasi si trova in questa posizione.

Questo è uno schema più in

dettaglio del sarcomero.

Vedete la lunghezza del

sarcomero, la spira definisce

la stria Z; quella centrale è la

molecola della miosina: sono

state indicate bene le teste

che dipartono dal centro

della miosina e protrudono

all’esterno. È indicata la

molecola di actina, che

prende contatto con l’altra

molecola di actina vicino

alla stria Z; invece la

miosina non arriva fino alla

stria Z; lateralmente alla stria

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Z abbiamo la titina. La titina è una molecola stabilizzatrice, che fa in modo che anche durante la

contrazione, la molecola di miosina rimanga perfettamente al centro del sarcomero. Questo è molto

importante. Succede che si formano delle interazioni fra le teste della miosina e l’actina, si formano

dei veri e propri legami. La testa delle miosina è fatta un po’ come una specie di becco, munito alla

sua base da una specie di gancio mobile. Quello che succede è questo: la testa della meromiosina

pesante normalmente è distaccata dalla molecola di actina, nella condizione di riposo, ma quando il

muscolo viene eccitato, a seguito di una serie di fenomeni che adesso vedremo e che coinvolgono

pesantemente il Ca, questa testa aumenta la sua velocità di movimento. Questa testa normalmente

oscilla nel mezzo circostante, nel citoplasma, di moto browniano; l’arriva dell’eccitazione aumenta

questo movimento e aumenta la probabilità d’aggancio della testa sull’actina. Una volta agganciata si

ha un fenomeno molto particolare: c’è una rotazione della testa di miosina su se stessa. La testa con la

contrazione si ribalta. Girandosi, essendo agganciata all’actina, si ha un movimento delle molecole di

actina verso il centro del sarcomero. E se sposto l’actina verso il centro del sarcomero avvicino tra loro

le due strie Z e il sarcomero si accorcia. Questo succede in tutti i sarcomeri del muscolo

simultaneamente, e quello che succede è che ogni sarcomero si accorcia, in modo tale che tutta la fibra

e quindi tutto il muscolo si accorci. La contrazione è quasi sempre (non sempre) legata ad un

accorciamento del muscolo (per esempio flessione dell’avambraccio a livello del gomito: se c’è il

muscolo rilasciato e lo contraggo si accorcia, e accorciandosi tira tramite il tendine sull’avambraccio e

il braccio si flette). L’accorciamento è attivato dall’arrivo di un’informazione da parte del

motoneurone ed è alla base della contrazione muscolare; esso è legato allo slittamento dei filamenti di

actina sulla miosina, che però rimane sempre al centro del sarcomero. Durante questi fenomeni di

slittamento, che accompagnano la contrazione, e di slittamento in senso opposto, che accompagnano il

rilasciamento, potrebbe essere che alcuni ponti della miosina tirino più da una parte che dall’altra, e

questo porterebbe ad uno squilibro della posizione delle molecole di actina rispetto alla miosina. La

miosina potrebbe essere scentrata rispetto al centro del sarcomero. Questo non succede grazie alla

presenza delle molecole di titina, che sono state trovate molto recentemente. Anche la nebulina è una

scoperta abbastanza recente, ed è anch’essa una proteina che non è tanto coinvolta nella contrazione in

sé (che dipende soprattutto dalla miosina e dall’actina, ma anche dalla troponina e dalla tropomiosina)

ma consente anch’essa all’actina di rimanere nella sua posizione. Nebulina e titina hanno quindi

funzione stabilizzante, non rientrano tanto nella genesi della contrazione in sé ma stabilizzano il

sarcomero.

Sotto abbiamo di nuovo il disco Z, l’actina, e c’è un filamento di

troponina che ha delle pause rappresentate dai siti chiamati

tropomiosina.

Questa immagine identifica la miosina. La miosina è fatta da

due parti: la meromiosina leggera, la zona centrale liscia, e una

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parte periferica globosa che è composta dalla

tropomiosina pesante. Il braccio che si vede è

molto importante, ad esso è legata la testa

globulare della meromiosina pesante. Questo

braccio è importante per vari motivi: intanto

perché collega la tropomiosina leggera a

quella pesante, e quindi la parte filamentosa

della miosina alle teste, e poi è importante

perché, come si vede dal disegno, non c’è una

stanghettina unica della meromiosina leggera;

è una struttura di tipo elastico: il braccio non è un braccio rigido, ma estensibile. Questo è molto

importante perché il muscolo è formato, dal punto di vista meccanico, da due componenti: una

componente è la materia contrattile, ma la componente che modifica e determina il comportamento

del muscolo è una componente di tipo elastico. Possiamo riconoscere due tipi di materia elastica, una

materia elastica in serie e una materia elastica in parallelo rispetto alla materia contrattile. Vedremo

che questo sito della miosina rappresenta una delle componenti elastiche del muscolo e quindi è molto

importante per la comprensione del suo comportamento meccanico.

Questo sito indicato in nero è il sito della miosina a cui si

andrà a legare la testa della miosina; perché si sviluppi

energia bisogna che i due siti si leghino, ma si vede che

questo sito (nero, ndr) non è del tutto libero, è un po’

nascosto dalla troponina. Perché questo sito si liberi e

diventi aggredibile, attaccabile dalla testa della

tropomiosina bisogna che arrivi un potenziale d’azione

sulla placca neuromuscolare e bisogna che si determini

liberazione di Ca. Il Ca determina una modificazione nella conformazione della troponina e questa

modificazione scopre questo sito di legame che diventa aggredibile dalla molecola di meromiosina

pesante. A questo punto è possibile fare l’aggancio funzionale.

Nella figura alla pagina successiva (ndr) si vede uno schema temporale di quello che succede.

Partiamo dall’ultima, che è la condizione di riposo. In condizione di riposo la testa della miosina è

staccata dall’actina. In questo momento il muscolo è rilasciato. Nel momento in cui è rilasciato le sue

strutture formano una specie di gel, il muscolo a riposo è come un gel, come un elastico che si può

tirare (più o meno: ci sono muscoli che si possono tirare maggiormente e muscoli che, pur essendo

elastici, hanno delle strutture che sono più resistenti). Le molecole all’interno del sarcolemma si

comportano un po’ come dei gel: questo è legato al fatto che le molecole non sono tra loro connesse, la

molecola di actina non è a contatto con la miosina. Vediamo la testa della miosina che è vicina ma non

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in contatto con l’actina. Quando arriva

il potenziale d’azione la testa della

miosina, in presenza di Ca, si lega

all’actina. Il Ca, sotto forma di Ca++,

viene liberato dal reticolo

endoplasmatico presente all’interno del

sarcolemma, e consente la fusione,

l’attacco della testa della miosina ai siti

recettoriali (indicati qui in giallo)

dell’actina e contemporaneamente la

scissione dell’ATP in ADP (che se ne

va via) e P determina non solo l’attacco

ma anche la rotazione della testa della

miosina. Il punto importante da capire

è questo: si attacca, arriva il Ca che

facilita l’attacco ma soprattutto attiva

l’ATPasi, l’ATPasi scinde ATP in

ADP + P con liberazione di energia chimica, e l’energia chimica è quella che fa modificare la

conformazione della testa della miosina, con rotazione dalla posizione indicata col tratteggio in nero

ad una nuova posizione indicata dalla freccetta rossa: c’è stato un movimento, come se la testa della

miosina avesse agganciato l’actina e l’avesse tirata in questo senso. Tutte le teste della miosina stanno

facendo questo movimento di aggancio e spostamento contemporaneamente. Questo aggancio sposta

la miosina rispetto all’actina e facilita lo scivolamento dell’actina in senso centripeto al sarcomero,

avvicinando le due strie Z. Una volta che tutto l’ATP è stato esaurito la testa ritorna, piano piano, alla

sua conformazione primitiva, liberando ADP+P che varranno poi riutilizzati per riformare ATP, che

verrà ri-incluso nella testa della miosina per essere utilizzato dall’ATPasi nella contrazione successiva.

Stiamo quindi guardando il cuore molecolare delle fasi di contrazione: dal punto di vista molecolare la

contrazione si verifica nel momento in cui la testa della meromiosina pesante si aggancia all’actina, da

cui prima era staccata, e ruota su se stessa. La contrazione muscolare è qui, nel passaggio da B a C (in

figura), è questa.

Con l’immagine alla pagina seguente siamo di nuovo alla visione del sarcomero con un riferimento

però specifico al momento in cui l’eccitazione viene accompagnata dalla contrazione. La contrazione è

il fenomeno meccanico descritto, ovvero l’accorciamento del sarcomero. Ricordiamo che una fibra

muscolare è composta da sarcomeri messi in serie tra loro, uno di fianco all’altro: se ognuno si

accorcia in seguito allo slittamento dell’actina sulla miosina, tutta la fibra si accorcia; e poiché un

muscolo è composto da tante fibra in parallelo, tutte queste si accorciano contemporaneamente e

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quindi abbiamo l’accorciamento di

tutto il muscolo. Questo è un fenomeno

meccanico, quello che chiamiamo

contrazione. Questo fenomeno è legato

al fatto che, da parte del sistema

nervoso centrale, da parte del

motoneurone, viene inviato un

fenomeno elettrico. Quest’immagine ci

propone l’interrogativo: come si fa ad

accoppiare il fenomeno elettrico,

l’arrivo del potenziale d’azione al

terminale del motoneurone, al fatto che tra un attimo, tra un po’, ci sarà poi l’accorciamento del

sarcomero e quindi la contrazione muscolare? Il punto che mette in relazione l’eccitazione nervosa con

la contrazione, che è un fenomeno puramente meccanico, è un complesso sistema di tubuli e cisterne.

Questo si chiama sistema del reticolo sarcoplasmatico: all’interno del sarcolemma, cioè all’interno

della membrana della fibra muscolare, ci sono i mitocondri, le proteine che costituiscono il sarcomero

(actina, miosina, ecc…) arrangiate nella posizione che si vede, ma intorno ad ognuna delle miofibrille

presenti nella fibra c’è questo sistema di tubuli e cisterne che costituisce il reticolo sarcoplasmatico. Il

reticolo sarcoplasmatico prende contatto col sarcomero a livello delle strie Z, in una maniera del tutto

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peculiare. A sinistra (immagine della pag. precedente, ndr) vediamo uno schemino che illustra un po’

di cose. Il sarcolemma, la membrana della cellula muscolare, si invagina a formare dei tubuli che

vengono chiamati tubuli T (sono invaginazioni del sarcolemma). All’interno del sarcolemma il

reticolo sarcoplasmatico forma queste cisterne, che venivano identificate prima, e queste cisterne si

portano a prendere connessione con il tubulo a T, quindi con la superficie del sarcolemma, a livello di

una struttura che viene chiamata triade, formando una struttura che viene chiamata triade, cioè: il

reticolo sarcoplasmatico si porta a ridosso del tubulo a T e il tubulo a T più i due lati delle cisterne

sarcoplasmatiche che si trovano di fianco, queste tre strutture assieme prendono il nome di triade.

Cosa c’è nella cisterna del reticolo sarcoplasmatico, a cosa servono queste cisterne? Servono come

riserva di Ca sotto forma di Ca2+. Il Ca2+ normalmente non è libero, ma legato a delle molecole di

deposito che prendono il nome di calsequestrina. La calsequestrina è importante all’interno del reticolo

sarcoplasmatico perché legando il Ca evita che il Ca rimanga libero nel reticolo sarcoplasmatico, e

quindi ne consente l’ingresso. Ricordate che se dobbiamo motivare uno spostamento di ioni attraverso

due ambienti dobbiamo capire quali sono i gradienti di concentrazione in gioco. Il Ca entra nel reticolo

sarcoplasmatico, normalmente, mediante la presenza di questo carrier che è un carrier che utilizza

energia, che utilizza un trasporto attivo, che si chiama SERCA (Sarcoplasmic Endoplasmic Reticulum

Calcium ATPase): è un trasportatore che prende il Ca dall’esterno e lo porta all’interno del reticolo

sarcoplasmatico. Non è tipico solamente del muscolo ma è tipico di tutte quelle cellule in cui il

reticolo sarcoplasmatico funge de immagazzinatore di Ca. Se non ci fosse la calsequestrina, questo

trasporto di Ca determinerebbe un aumento notevole di Ca all’interno del reticolo sarcoplasmatico e

ostacolerebbe il funzionamento di questo carrier. Quindi la presenza della calsequestrina serve da una

parte per fungere da deposito, e dall’altra parte per favorire il funzionamento di questo carrier.

Cosa succede quando arriva un potenziale d’azione? Ricordiamo che il potenziale d’azione è un

fenomeno che si verifica nel momento in cui la membrana cellulare viene depolarizzata. A livello della

placca motrice arriva un’onda di depolarizzazione, portata dal Na, che entra attraverso canali voltaggio

dipendenti nel neurone motorio, determinando un’inversione di potenziale. Quando questo potenziale

d’azione arriva a livello del terminale pre-sinaptico della placca motrice vengono coinvolti i canali del

Ca, aumenta la permeabilità del terminale pre-sinaptico al Ca, il Ca entra nel terminale presinaptico,

questo favorisce la fusione delle vescicole di acetilcolina con la membrana, l’acetilcolina viene

estromessa dalla fibra presinaptica e prende contatto con la fibra postsinaptica. La fibra postsinaptica

in questo caso specifico è il sarcolemma del muscolo. Quando l’acetilcolina arriva a ridosso del

sarcolemma si genera il potenziale di placca e se il potenziale di placca sommato è sufficiente si arriva

alla soglia e si genera un potenziale postsinaptico eccitatorio che è quello che poi viaggia lungo il

sarcolemma. Quindi il sarcolemma è investito da questo potenziale postsinaptico così come lo è

qualsiasi fibra postsinaptica. Adesso il punto è: nel sarcolemma viaggia un potenziale postsinaptico,

un potenziale d’azione, e quindi finalmente questo potenziale che viaggia sul sarcolemma non viaggia

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Page 11: Muscolo e locomozione

soltanto sulla superficie del muscolo ma viaggia ovunque nel sarcolemma, compreso nella zona del

tubulo. Quindi il viaggiare di un potenziale implica delle differenze di permeabilità nel momento in

cui passa l’onda depolarizzatrice; questa depolarizzazione determina l’attivazione di una serie

complessa di canali, che sono canali che consentono il trasferimento del Ca dall’interno del reticolo

endoplasmatico rugoso nel sarcolemma. Cioè: il passaggio del potenziale d’azione lungo il tubulo

determina l’apertura di una serie formata da due canali. Il recettore della rianodina (1), che si trova sul

reticolo sarcoplasmatico - la rianodina è un farmaco che non ha un significato molto importante per il

muscolo, però chi studia i canali ha scoperto che questo canale era particolarmente sensibile a questo

strano farmaco, alla rianodina, per cui gli è stato dato inizialmente il nome di canale della rianodina. In

realtà è un canale che fa passare il Ca, quindi estrude il Ca dall’interno del reticolo sarcoplasmatico

verso l’esterno. Quello indicato con RYR è il recettore della rianodina che determina una liberazione

di Ca dall’interno del reticolo

sarcoplasmatico. Il canale però in realtà

non è da solo, ma è associato ad un altro

canale (2), che viene richiamato recettore

di idropiridina, che è quello nero (in

figura precedente). Il fenomeno è un

fenomeno complesso e si configura nel

passaggio del Ca dall’interno del reticolo

sarcoplasmatico verso l’interno della fibra

muscolare, cioè nel citoplasma della fibra

muscolare. Nel citoplasma della fibra

muscolare, di fianco ai tubuli, ci sono le

mio fibrille, ci sono le fibrille di actina e di miosina. Quindi liberare il Ca a questo livello significa

rendere disponibile il Ca ad attivare quella serie di processi visti prima e che iniziano con lo

spostamento della troponina e la liberazione del sito di legame sull’actina.

Quindi come mai ci sono questi tubuli molto regolari, affiancati alle cisterne, che rivestono in maniera

molto regolare ogni sarcomero? Perché sul sarcolemma arriva la fibra nervosa che si sfioca a formare

la placca motrice; a livello del sarcolemma arriva l’informazione nervosa sotto forma di potenziale

d’azione. Ora, se non ci fossero i tubuli, come facciamo a far arrivare l’informazione al sarcomero in

mezzo? Come faremmo ad attivare contemporaneamente tutto il muscolo? Il fatto che ci siano i tubuli,

che sono delle invaginazioni del sarcolemma che entrano in profondità nel muscolo e arrivano a

ridosso di ognuna delle strie Z, comportando quindi un’amplissima astensione del sarcolemma, fa sì

che (1) il potenziale d’azione portato dalla placca motrice venga quasi istantaneamente sparso,

localizzato, su tutta la superficie del muscolo ma anche all’interno del muscolo ad ogni singolo

sarcomero, quindi l’informazione nervosa viene portata quasi contemporaneamente in tutta la massa

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muscolare interessata, in tutta l’unità neuromotoria interessata; (2) questo sistema di tubuli e cisterne

fa sì che in ogni punto del muscolo l’arrivo del potenziale determini la liberazione del Ca

precedentemente immagazzinato in queste cisterne, ed ecco che quindi si ha la possibilità di attivare

queste fasi di contrazione in tutto il muscolo contemporaneamente.

Vediamo ora qual è la tempistica: vediamo il tempo espresso in millisecondi, l’ordinata non c’è perché

sono tante cose messe insieme. Quello indicato in rosso (si riferisce all’immagine di pag. 9, ndr) è il

decorso del potenziale d’azione (vi ricordo che il potenziale d’azione in una fibra nervosa o muscolare

è dell’ordine di 1-2 ms). Il potenziale d’azione è brevissimo, ma ad esso fa seguito l’attivazione di una

serie di fenomeni che invece sono più lenti, perché richiedono del tempo: 1) la liberazione di Ca dalle

cisterne; 2) una volta che il Ca è liberato, che si è avuta la modificazione della conformazione della

troponina e la liberazione dei siti di actina e l’attacco della testa di miosina sull’actina, finalmente

avremo anche la contrazione. Sono dei fenomeni successivi, che quindi avranno delle tempistiche

successive. Il potenziale d’azione è il primum movens, a cui segue la cinetica della liberazione del Ca

dalle cisterne (tratteggiata, sempre a pag. 9), successivamente il Ca liberato dalle cisterne entra a far

parte del pool del Ca nel citoplasma della cellula muscolare (e quindi abbiamo un andamento di questo

tipo del Ca mioplasmatico: sale immediatamente, poi raggiunge un plateau, poi scende perché viene

utilizzato e infine esce) e successivamente abbiamo l’andamento della forza espressa dal muscolo.

Questa prima fase è la fase di contrazione, seguita da una fase di rilasciamento. Vedete che la fase di

contrazione si esaurisce in circa 80 ms; questo tempo è il tempo di contrazione, che è caratteristico di

ogni muscolo. Un muscolo che ha un tempo di contrazione di 80 ms è un muscolo lento, per esempio

il quadricipite, che è un muscolo antigravitazionale; i muscoli lenti sono in genere quei muscoli che

consentono la postura, per es. il quadricipite o i muscoli del dorso che ci consentono di rimanere nella

posizione eretta; un muscolo lento è un muscolo che si affatica poco e che può continuare a contrarsi

per tempi lunghi (possiamo stare in piedi delle ore). Viceversa ci sono dei muscoli molto rapidi, che

devono reagire in tempi brevissimi (80 ms sarebbero tempi troppo lunghi), per es. pensate al muscolo

oculare: noi siamo in grado di modificare la direzione degli occhi molto rapidamente; quindi questi

muscoli devono avere dei tempi di contrazione molto più brevi, e in effetti i muscoli oculari hanno un

tempo di contrazione che consente di raggiungere il picco in 10 ms (ci sono quindi delle diversità

notevoli).

Quindi, di nuovo, vedete la tempistica. Vi ricordo: potenziale d’azione → liberazione del Ca dalle

cisterne → cinetica della liberazione del Ca all’interno della cellula e quindi disponibilità per legami

actino-miosina nella cellula → e, finalmente, quello che si voleva raggiungere, cioè l’andamento della

forza espressa dal muscolo. Questo, lo vedremo, è una forza un po’ particolare e un andamento che

viene chiamato miogramma della scossa singola.

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Page 13: Muscolo e locomozione

Abbiamo visto che la forza è espressa perché si gira la testa della miosina sull’actina e questo è

garantito dal fatto che l’ATP viene scisso. La scissione dell’ATP dipende dall’ATPasi, e quindi vedete

che qui in ordinata possiamo riportare o la

forza o l’attività ATPasica; non sono la

stessa cosa ma sono associate strettamente

una all’altra. In quest’immagine vedete che

tanto è maggiore la concentrazione

intracellulare del Ca, tanto è maggiore la

forza che il muscolo è in grado di

esprimere. Questo perché quando il Ca ha

una concentrazione elevata, adeguata,

allora si verificano quei fenomeni di cui si

parlava prima, cioè il Ca sposta la

troponina dal sito di copertura dei legami,

la testa della miosina si lega al sito

specifico, si modifica la posizione di questa

testa con l’utilizzo di ATP e produzione di ADP e P. Una volta utilizzato questo fenomeno si passa

invece ad una conformazione di questo tipo che è sinonimo di fase di rilasciamento del muscolo,

perché come vedete i siti non sono legati. Vedete che quest’onda, però, non è una linea, è un’onda,

chiamata onda settalica (?, ndr), andamento settalico (?, ndr) o sigmoide, sigmoidea, cioè un’onda che

vedremo molto spesso, in cui c’è una parte abbastanza lineare, però agli estremi la curva non è più

lineare ma è satura. Questa è una curva che vedremo tante volte; queste curve identificano una zona,

quella lineare, in cui il processo è altamente sensibile, altamente efficace, ma agli estremi il fenomeno

perde la sua efficienza. Se anche aumentiamo a dismisura il Ca intercellulare la forza di contrazione

non aumenta più, perché ormai abbiamo saturato tutti i siti di legame, abbiamo usato tutto l’ATP

disponibile, quindi anche se aumentiamo il Ca oltre una certa misura non si ha un aumento della forza.

Invece, se aumentiamo il Ca, anche di poco, in questa fase (fase centrale, ndr), vediamo che la forza

aumenta molto. Questa è la fase di discriminazione, la fase in cui si può regolare, modulare il

fenomeno. Vale per questo, nello specifico, ma vedremo che lo stesso comportamento c’è in tantissimi

altri fenomeni.

Ripassato il potenziale d’azione, visto com’è strutturato il muscolo, quali sono i fenomeni molecolari

che consentono la contrazione, visto come si può capire l’accoppiamento tra eccitazione e contrazione,

passiamo a parlare di meccanica (branca della fisica). Il muscolo esprime forza, e, come visto prima,

questa forza viene utilizzata per spostare un capo osseo rispetto la propria articolazione. Lo scopo del

muscolo è quello di determinare un movimento, e il movimento causa uno spostamento: può essere lo

spostamento del capo articolare rispetto all’articolazione, ma può essere anche lo spostamento del

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Page 14: Muscolo e locomozione

centro di applicazione della forza, cioè il baricentro, rispetto a se stesso. Se cammino, cosa faccio?

Utilizzo la forza per spostare un capo articolare rispetto a un altro, modifico l’aspetto

dell’articolazione, ma vado anche avanti e sposto il baricentro. Quando si applica una forza e questa

forza dà luogo ad uno spostamento, viene definito lavoro meccanico il prodotto tra la forza applicata e

lo spostamento subito, indotto: W meccanico = Forza x Spostamento. La forza, quando si applica, la si

applica su un punto di applicazione della forza; se prendo il braccio e lo appoggio sulla cattedra e alzo

il cancellino io compio un lavoro, e il punto di applicazione è il cancellino: modifico la posizione del

cancellino e il mio bicipite che sta lavorando applica una forza sul cancellino alzandolo, quindi il

lavoro si applica alla posizione del cancellino. Che lavoro faccio? Un lavoro che è dato dalla forza

sviluppata dal bicipite (il peso del cancellino) per lo spostamento del cancellino. Se però faccio un

passo e mi sposto faccio un lavoro duplice, perché da una parte faccio il lavoro di spostare la gamba

modificando l’assetto delle articolazioni, però nel contempo il mio punto d’applicazione, che è il mio

baricentro, viene spostato di 2 m. Si chiama lavoro esterno il lavoro che viene effettuato modificando

la posizione del baricentro, perché è un lavoro che sviluppo nei confronti dell’ambiente esterno.

Invece la modificazione dell’assetto delle articolazioni è detto lavoro interno. Quindi quando mi

sposto compio lavoro interno spostando le articolazioni e un lavoro esterno spostando il baricentro

nell’ambito dell’ambiente circostante. Quindi il muscolo compie un lavoro che possiamo vedere

distinto nelle sue varie componenti. Il concetto generale di lavoro è forza per spostamento. Allora: se

spingo con tutta la mia forza la cattedra (non spostandola, ndr) compio lavoro? Contraggo la

muscolatura al massimo, però la cattedra non si sposta perché è troppo pesante, quindi io non sposto

niente. Quindi utilizzo energia ma non compio lavoro: l’energia che viene sviluppata, e quindi il

dispendio energetico, è diverso dal lavoro, può esserci contrazione senza che ci sia lavoro. Questo tipo

di contrazione è detta contrazione isometrica, perché non determina né un allungamento né un

accorciamento. Nella contrazione isometrica il muscolo in toto rimane a lunghezza costante: la materia

contrattile all’interno del muscolo si accorcia, ma non tutto il muscolo. Una forma di contrazione

isometrica è quindi una forma di contrazione in cui il muscolo in toto non cambia di lunghezza, rimane

alla sua lunghezza. Viene chiamata leva isometrica una strumentazione che consente al muscolo di

contrarsi facendolo stimolare in condizioni isometriche; cioè il muscolo verrà fatto contrarre senza che

però sia dato modo al muscolo di variare la sua lunghezza. Quindi otterremo una contrazione in

condizioni isometriche. Un muscolo che si contrae di contrazioni isometriche sviluppa forza, ma non

lavoro. Un’altra condizione è quella in cui viene dato modo al muscolo di accorciarsi. Allora siamo in

questa condizione (vedi figura a pag. successiva, ndr): c’è una condizione di contrazione semplificata:

è ovvio che è difficile studiare una contrazione complessa come la locomozione, si cerca di studiare le

basi della contrazione muscolare utilizzando il muscolo isolato, o meglio ancora, la fibra, o meglio

ancora il sarcomero. Questo viene fatto in genere su un muscolo di rana: si prende una rana e le si

toglie il gastrocnemio, o il semitendinoso, o il sartorio, si appende il muscolo a un gancino e si

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Page 15: Muscolo e locomozione

appende dall’altra parte del muscolo un pesetto. Se facciamo contrarre il muscolo, se la forza peso

dell’oggetto è inferiore alla forza che il muscolo è in grado di sviluppare, il muscolo ce la fa a tirare su

il peso, contraendosi; in questo caso sviluppa una forza, cioè la forza dettata dal peso di quest’oggetto,

e sposterà l’oggetto verso l’alto. In questo caso la forza espressa dal muscolo e lo spostamento del

pesino saranno nella stessa direzione, quindi avranno stessa

direzione e stesso verso di applicazione. Siccome il lavoro

meccanico è uguale a forza per spostamento, se la forza e lo

spostamento hanno la stessa direzione e lo stesso verso di

applicazione sono entrambi positivi, + * + = +, e quindi si

parla in questo caso di lavoro positivo (W+). Es di lavoro

positivo è quello del cancellino: se prendo un cancellino dalla

cattedra e lo alzo c’è un lavoro positivo, la muscolatura

flessoria fa un lavoro positivo, perché per alzarlo devo portare

l’avambraccio verso il braccio, per far questo il muscolo si

contrae, quindi siccome sappiamo che la contrazione è centripeta anche l’accorciamento è centripeto,

forza e spostamento vanno nella stessa direzione, il lavoro è positivo. Ma nei movimenti quotidiani

non abbiamo soltanto il lavoro positivo, abbiamo anche il lavoro negativo; quindi abbiamo: condizioni

in cui cerchiamo di spostare la cattedra e non ce la facciamo (esprimiamo forza ma non c’è lavoro),

condizioni in cui si sviluppa lavoro positivo (quando alzo il cancellino o quando salgo le scale –

quando salgo la scala il quadricipite sostiene il peso, si accorcia a mi consente di salire. Salire la scala

è un esempio di lavoro positivo sviluppato dal quadricipite) e lavoro negativo. Il lavoro negativo (W-)

l’abbiamo quando appendiamo al nostro muscolo un peso che sia superiore alla forza di contrazione di

questo muscolo, allora se lo stimolo il muscolo si contrae, ma siccome il peso è troppo pesante,

nonostante il muscolo si contragga (e si contrae con una forza che è la più alta che il muscolo è in

grado di sviluppare), tuttavia non riesce ancora a tirar su il peso, e allora abbiamo una strana

combinazione, in cui il muscolo si sta contraendo al massimo ma si allunga. Nonostante si stia

contraendo in realtà si allunga. Provate a pensare al sarcomero: avete tutti i ponti di actina e di miosina

che stanno cercando di far accorciare il muscolo e pensate di prenderli e di tirarli, quindi voi agite

contro i legami tra i ponti di acto-miosina che si stanno creando. È una situazione che sembra strana

ma che si incontra spesso, ad es.: se sono al margine della pedana e devo scendere il gradino, cosa

faccio mentre scendo? Sto abbassando il ginocchio per scendere, però son ancora fissa; mentre

abbasso il ginocchio il mio quadricipite di appoggio si contrae, perché deve sostenere il mio peso, però

per abbassare e scendere faccio scivolare in basso il ginocchio e il muscolo si allunga. In questa

condizione il muscolo serve da freno, non più da motore, infatti se il muscolo non mi tenesse cadrei; il

muscolo si sta quindi contraendo ma nel contempo si allunga, sviluppando così lavoro negativo. Il

lavoro negativo sviluppa più forza ed è più economico del lavoro positivo. Quindi, nell’ambito della

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Page 16: Muscolo e locomozione

contrazione muscolare semplice di esperienza quotidiana possiamo avere tutte e 3 le forme: (1) lavoro

positivo, quando forza e spostamento sono diretti nello stesso senso e al muscolo è consentito di

accorciarsi, (2) lavoro negativo, quando a fronte della contrazione il muscolo è sottoposto però ad una

tensione superiore dall’esterno per cui durante la contrazione viene disteso (ad es. le gare di braccio di

ferro: chi vince sta facendo lavoro positivo, chi perde sta invece compiendo lavoro negativo, perché è

lì che sta cercando di piegare l’avambraccio sul braccio ma l’amico è più forte e lui è lì che contrae ma

piano piano il muscolo si distende, compiendo lavoro negativo), (3) e poi infine abbiamo il lavoro

nullo, lavoro zero, nel caso in cui stiamo contraendo con scossa isometrica.

La locomozione è un

fenomeno molto complesso; il

fenomeno complesso richiede

che ci sia un motore e che

questo motore dia la forza,

consenta la trasmissione della

forza espressa ad una

macchina che poi è quella che

consente la locomozione. Il

motore sono i muscoli, che

utilizzano energia chimica

sotto forma di ATP,

sviluppano lavoro e calore. Il muscolo si comporta come una delle migliori strutture dal punto di vista

meccanico e il 25% dell’energia chimica utilizzata dal muscolo viene trasformata in lavoro positivo. Il

resto, cioè il 75% dell’energia chimica che viene utilizzata per la contrazione, va disperso sotto forma

di calore. Quindi è chiaro che ogni volta che viene attivata una contrazione muscolare,

automaticamente viene anche liberato calore. L’utilizzo di energia chimica per sostenere la

contrazione muscolare è necessariamente accompagnata dalla produzione di calore. Non solo, ben il

75% dell’energia chimica utilizzata va dispersa sotto forma di calore, e questo sarà un argomento che

rivedremo quando parleremo di termoregolazione, perché è ovvio che la produzione di calore,

soprattutto accompagnata all’esercizio fisico, per es., determina un aumento della temperatura, che

quindi va dispersa. Il lavoro positivo fatto dai muscoli non è sufficiente di per sé a garantire la

locomozione, bisogna che questo lavoro positivo venga anche adattato alle articolazioni. Questo

disegno dice che il lavoro muscolare viene utilizzato a livello articolare, a livello delle leve ossee, per

consentire la locomozione; quindi le leve ossee sono la macchina. A volte le leve ossee possono

essere coadiuvate, nella locomozione, da alcuni artifici aggiuntivi; per es. potete fare lo stesso lavoro

muscolare e potete utilizzare la stessa energia chimica esprimendo un lavoro diverso, se invece di

camminare normalmente camminate con i pattini da ghiaccio. Se per es. vi mettete in palestra a

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Page 17: Muscolo e locomozione

pedalare sulla cyclette, consumate energia chimica ma non sviluppate lavoro esterno, perché siete

fermi a pedalare, invece se pedalate in bicicletta per i boschi fate la stessa fatica, consumate la stessa

energia chimica e fate anche lavoro. Che differenza c’è? C’è la trasmissione legata al mezzo, una volta

usate un mezzo che è statico, una volta usate un mezzo che è dinamico e quindi vi consente di pedalare

a 30 km/h. Quindi, se vogliamo fare un’analisi del lavoro, dobbiamo tener conto anche del fatto che

nella locomozione umana possiamo avvalerci di alcuni artifici, che sono appunto il mezzo (pattini,

bicicletta,…).

Viene definito rendimento complessivo della locomozione il rapporto tra la distanza moltiplicata alla

resistenza e l’energia chimica consumata. Allora, vediamo un attimo di comprendere questo rapporto:

l’energia chimica consumata è facile da capire, la distanza si ricollega a quanto detto adesso, la

resistenza è data dal mezzo: se per es. pedalo (es. della bicicletta), è diverso pedalare a 20 km/h a

favore di vento o a 20 km/h controvento; secondo voi il rendimento è lo stesso o sarà diverso? Sarà

diverso, perché se pedalo a favore di vento la distanza potrà essere la stessa (pedalo per 20 km), la

resistenza potrebbe essere uguale, ma l’energia chimica consumata pedalando a favore di vento è di

meno, e quindi il rendimento sarà maggiore. Quindi, a seconda della combinazione tra distanza,

resistenza ed energia chimica consumata potrà essere diverso il rendimento della locomozione. Non è

però tanto importante ricordare il rendimento della locomozione, perché la locomozione si avvale di

mezzi molto diversificati: ci sono atleti che si costruiscono dei mezzi in cui viene ottimizzato il

coefficiente di penetrazione nell’aria, come quelle biciclette che sembrano dei siluri con cui si cerca di

migliorare il coefficiente di penetrazione nell’aria. Allora, è chiaro che in quel caso lì si può parlare di

locomozione, perché questi atleti comunque vanno con la benzina dei muscoli, ma è una locomozione

spinta all’estremo ottimizzando il mezzo. Invece quello che è importante ricordare è il rendimento

meccanico del muscolo. Nel rendimento complessivo, che abbiamo appena visto, ci sono 2 fattori: (1)

quello che è da far risalire soltanto al comportamento fisiologico del muscolo, (2) tutto l’aspetto di

miglioramento correlato al mezzo che uso - se uso i pattini a rotelle, oppure i pattini su ghiaccio il

rendimento della locomozione sarà diverso, però il rendimento muscolare è lo stesso. Allora, il

rendimento muscolare, che è quello che mi interessa che sappiate, è il rapporto tra il lavoro positivo

sviluppato dal muscolo e l’energia chimica utilizzata; e questo rendimento, nel muscolo scheletrico, è

intorno al 25%, come detto prima.

Abbiam visto che ci vuole energia chimica per consentire la contrazione muscolare, e questa energia

chimica salta fuori dal fatto che il muscolo dispone di energia chimica grazie alle sue scorte di ATP e

di creatinfosfato. Questo schema (pag. seguente) ricorda quali sono le principali vie che consentono

sia la formazione dell’ATP, l’utilizzo dell’ATP, che quelle del creatinfosfato. Possiamo dividere

l’energetica muscolare in tre aspetti. Partiamo dal numero 3: è il meccanismo che si attiva per primo

quando si inizia la contrazione muscolare. Si parla del meccanismo anaerobico-alattacido; voi sapete

che anaerobico-alattacido significa che: anaerobico perché non brucia ossigeno, alattacido perché non

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Page 18: Muscolo e locomozione

solo non brucia ossigeno ma non determina neppure la produzione di acido lattico. Infatti si basa sulla

scissione del creatinfosfato a dare creatina + ATP, e l’ATP sarà poi utilizzato secondo le altre vie che

poi vediamo. Ora: questa via di utilizzo del creatinfosfato, cioè la scissione del creatinfosfato

liberando creatina + P, il quale fosfato verrà poi riutilizzato per la produzione dell’ATP, è un processo

che si verifica molto rapidamente all’inizio della contrazione e si esaurisce nell’ambito di circa 10-15

secondi. Quindi appena il muscolo comincia a contrarsi usa quello che ha lì a portata di mano, cioè il

creatinfosfato (CP). Esso sostiene le prime fasi della contrazione, ma queste fasi della contrazione

sono sostenute solo per pochi secondi dal metabolismo anaerobico-alattacido (circa 10 sec). Questo è

il tempo necessario perché venga attivata la seconda via, cioè quella anaerobica-lattacida: anaerobica

vuol dire che di nuovo non

richiede la presenza di ossigeno, lattacida significa che determina la formazione di acido lattico. La via

anaerobica-lattacida è quella che in biochimica è chiamata via intracellulare della glicolisi anaerobica,

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3Anaerobico alattacido

CP + ADP ↔ C + ATPCreatinchinasi

ADP + ATP ↔ ATP +AMPAdenilatochinasi

│││↓

regolatore della glicolisi

Page 19: Muscolo e locomozione

e si verifica nel citoplasma ad opera degli enzimi della glicolisi anaerobica (anaerobia). La glicolisi

anaerobica determina la scissione di glicogeno - glucosio in piruvato. Il piruvato può seguire due vie:

o viene trasformato in lattato, oppure può essere incluso nella via degli acidi tricarbossilici sotto forma

di Acetil-CoA e poi entrare in quello che è il Ciclo di Krebs. La via lattacida, ovviamente, si ferma al

lattato. La via anaerobica–lattacida è una via altamente energetica, ad alta energia, a rapido utilizzo

(dai 15 sec fino a circa 1 minuto). Questo tipo di meccanismo è utilizzato quando il muscolo compie

delle contrazioni di tipo esplosivo, quando si richiede un’elevata energia in tempo breve e si richiede

cioè un’elevata potenza. La potenza è il rapporto tra il lavoro compiuto e l’intervallo di tempo

richiesto per compiere il lavoro. A parità di lavoro compiuto, tanto minore è il tempo in cui lo

esprimete, tanto più è elevata la potenza. Es.:se vi mettete a correre e correte 500 m, se i 500 m li

correte in 1 min e 30 sec allora la potenza è elevata, se i 500 m li correte in 15 min praticamente

andate molto piano. Il lavoro che fate è sempre quello; se un soggetto pesa 60 kg, il lavoro che dovrà

compiere è 60 kg per 500 m. Il lavoro è lo stesso, sia che ci si metta 1 min e 30 sec a compierlo che se

ci mettete 15 min, però diversa è la potenza, che è il rapporto tra lavoro e tempo. Quanto più elevata la

potenza, tanto più è richiesto l’intervento del metabolismo anaerobico–lattacido, il quale è in grado di

fornire energia molto rapidamente, in tempi molto brevi. Però, siccome l’energia è tratta dalla

scissione del glicogeno, o meglio del glucosio che deriva dal glicogeno, questo sistema è limitato dalla

disponibilità di glicogeno e glucosio intramuscolare. Le riserve di glicogeno sono poche: sono circa

500 g (1/2 kg) tra muscolo e fegato, e quindi si esauriscono rapidamente e vanno rimpiazzate. Quindi

il metabolismo anaerobico–lattacido serve per esercizi di tipo esplosivo brevi ad alta potenza,

tipicamente per tutte quelle discipline sportive molto rapide (corsa di velocità, pattinaggio di velocità,

sci da discesa, calciatori che fanno scatti molto rapidi,…): tutte utilizzano muscolatura con prevalente

attività anaerobica–lattacida. L’innesco è sempre ad opera del meccanismo anaerobico–alattacido,

però a questo subentra, dopo i primi 10-15 sec., l’esercizio di tipo anaerobico–lattacido. La terza fonte

è quella fornita da un’altra via, che si attua all’interno delle creste mitocondriali ad opera degli enzimi

che fanno parte del ciclo degli acidi tricarbossilici, ed è il famoso ciclo di Krebs, nel quale, come voi

sapete, l’Acetil-CoA proveniente dagli glucidi, protidi e lipidi, ma soprattutto glicidi e lipidi, viene

distrutto, degradato a CO² + H²O utilizzando l’O². Questa è una via a bassa potenza che può essere

mantenuta per tempi molto lunghi, perché le riserve lipidiche sono molto abbondanti (sempre più delle

riserve di glucosio). Quindi per es. i maratoneti usano un pochino di anaerobiosi e CP, però la maggior

parte del metabolismo che sostiene l’attività del maratoneta non è sicuramente quella anaerobica,

magari nell’ultimo km sì, ma per tutti i 41 km prima è il meccanismo aerobico–alattacido (perché la

via degli acidi tricarbossilici non determina la formazione di acido lattico; l’acido lattico deriva solo

dalla glicolisi anaerobica). Quindi viene liberato ATP, ma dal punto di vista fisiologico quello che

importa è che la via degli acidi tricarbossilici dipende dal consumo di O², cioè dipende da quant’è la

capacità del soggetto di consumare O², ed è un sistema a bassa potenza ma elevata durata grazie alla

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Page 20: Muscolo e locomozione

notevole scorta di substrati energetici, che sono fondamentalmente i lipidi. Diversa è invece l’energia

prodotta attraverso il metabolismo anaerobico, in cui l’energia totale dipende dalla capacità di

produrre acido lattico. Qui è stata inserita anche la parte correlata al consumo di O² nel caso in cui il

piruvato non venga trasformato in lattato ed entri nel ciclo degli acidi tricarbossilici. Però questo

dipende molto dal tipo di esercizio che si fa, per es. se fate un esercizio di brevissima durata, come i

200 m alle olimpiadi o ai campionati

mondiali che vengono corsi tra i 20 e i

22 sec, in quei 22 sec il metabolismo

aerobico è lì che dorme bello

tranquillo, non è neanche attivato,

perché per attivare il metabolismo

aerobico sono richiesti almeno 50 – 60

sec. Quindi in quel caso tutta l’energia

dispersa, utilizzata, è a carico del

metabolismo anaerobico, con una

produzione estrema di lattato. Come

mai ci sono degli atleti che sono

abilissimi nelle discipline ad elevata

potenza e altri invece che scelgono di

fare la maratona o la marcia longa?

Dipende dal loro papà e dalla loro

mamma: c’è un’importante

componente genetica nella

composizione delle fibre muscolari. Ci

sono vari tipi di fibre muscolari, e la

tipologia delle fibra muscolari dipende

dal loro contenuto enzimatico; ci sono

alcune fibre muscolari che vengono chiamate fibre lente, come si vede nelle sezioni di muscolo. Le

fibre I sono le cosiddette fibre lente, o fibre rosse (metabolismo aerobico). Le fibre lente o fibre rosse

sono fibre che hanno un accentuato metabolismo aerobico, che dipende dal fatto che geneticamente

sono dotate di un corredo enzimatico che favorisce l’utilizzo di substrati a livello mitocondriale.

Quindi hanno uno spiccato patrimonio enzimatico mitocondriale che ne favorisce l’utilizzo. Sono

chiamate fibre rosse perché al microscopio appaiono più rosse perché hanno un’elevata quantità di

mioglobina; la mioglobina è un pigmento respiratorio presente nel citoplasma che ha la capacità di

legare l’ossigeno stabilmente e di fungere da riserva di ossigeno muscolare. La mioglobina è una

proteina monometrica, ha una struttura simile a quella dell’emoglobina, con la differenza che

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Page 21: Muscolo e locomozione

l’emoglobina è formata da 4 tetrameri e la mioglobina da 1 solo; inoltre lega l’ossigeno molto più

stabilmente. La mioglobina dà una colorazione rossa alle fibre. Le fibre che hanno un elevato

contenuto di mioglobina hanno anche molti mitocondri dotati di un corredo enzimatico portato verso

un metabolismo aerobico. Questo è quello che rende queste fibre lente, o fibre rosse, molto adeguate a

sostenere un metabolismo di tipo aerobico; per es. tutti i muscoli antigravitari hanno un’elevata

componente di fibre lente o rosse. Esiste poi un contingente di fibre rapide, dette anche fibre bianche,

le fibre II A o II B (metabolismo anaerobico). Le fibre II a o II B si diversificano tra di loro per il fatto

che le II A sono fibre rapide pure, le II B sono un po’ a metà tra le fibre lente e le fibre rapide pure,

quindi hanno un corredo cromosomico spiccato per la glicolisi, per favorire la formazione degli enzimi

glicolitici, però hanno anche una buona capacità di aerobiosi. Queste fibre sono fibre più deputate al

metabolismo di tipo anaerobico. C’è una diversificazione tra muscolo e muscolo, per es. le fibre che

compongono i muscoli oculari sono fibre a preponderante composizione di tipo II A, perché devono

essere molto rapide per poter spostare il bulbo oculare in maniera molto efficiente. Viceversa il

quadricipite avrà una composizione di fibre lente più marcata. Non solo c’è differenza tra muscolo e

muscolo in relazione alla funzione specifica del muscolo, ma c’è anche differenza tra soggetto e

soggetto; c’è chi nasce con un patrimonio cromosomico ed enzimatico più a favore di un’attività di

tipo aerobico o di tipo anaerobico. In parte, soprattutto le fibre II B, possono essere caricate di enzimi

dell’una o dell’altra specie, e su queste fibre II B lavora per es. l’allenamento degli atleti: posto che il

patrimonio genetico non si può alterare, si può però cercare di migliorare quegli aspetti che possono

essere migliorati, per es. queste fibre II B possono essere rese più rapide oppure più lente.

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