Monolayer Doping: trasferimento della tecnica dal silicio ... La tecnica Monolayer Doping sfrutta...

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Università degli Studi di Padova Dipartimento di Scienze Chimiche Dipartimento di Fisica e Astronomia Corso di Laurea Magistrale in Scienza dei Materiali Tesi di Laurea Monolayer Doping: trasferimento della tecnica dal silicio al germanio. Anno Accademico 2015 - 2016 Relatore: Prof. Davide De Salvador Correlatore: Dott.ssa Sara Maria Carturan Controrelatore: Prof. Gaetano Granozzi Laureando: Francesco Sgarbossa Mat. 1104502

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Università degli Studi di Padova

Dipartimento di Scienze ChimicheDipartimento di Fisica e Astronomia

Corso di Laurea Magistrale in Scienza dei Materiali

Tesi di Laurea

Monolayer Doping: trasferimento dellatecnica dal silicio al germanio.

Anno Accademico 2015 - 2016

Relatore: Prof. Davide De SalvadorCorrelatore: Dott.ssa Sara Maria CarturanControrelatore: Prof. Gaetano Granozzi

Laureando: Francesco SgarbossaMat. 1104502

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Alla mia famiglia

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Monolayer Doping: from silicon to germanium.Francesco Sgarbossa’s Master Thesis

Padua University, Physics and Astronomy Department, Via Marzolo n.8, Padova, ItalyINFN, Laboratori Nazionali di Legnaro, Viale dell’Università n.1, Legnaro, Italy

Padua University, Department of Chemical Science, Via Marzolo n.1, Padova, [email protected]

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Master Thesis Summary

A crucial aspect of the development of semiconductor device is the control ofelectrically active contaminants (doping). Modern devices needs a developmentof innovative physical and chemical processes to control the doping at smallerand smaller scale. The Monolayer Doping (abbr. MD) technique uses organicmolecules as precursors for the surface doping of semiconductors. The idea is topromote chemical reaction of the molecules with the surface in order to form aself-assembled monolayer with a fixed amount of dopant. The monolayer willact as a controlled dopant source that will be injected into the Ge bulk by meansof thermal treatments, promoting dopant di↵usion and electrical activation. Itsmain features are a surface conformal doping profile (i.e. independent of the sur-face orientation or faceting), the possibility of strictly control the dopant amounton a nanoscale level and the low cost of the process.This technique has been recently proposed in literature for silicon, but not yetfor germanium; the interest for this material is strongly renewed for applica-tions in photovoltaics, mid infrared and gamma detectors and especially in nano-electronics as a possible high mobility channel material in nano-transistors.In this work I begin to extend the MD technique from silicon to germanium,starting from the beginning of the process (deposition and characterization of themonolayer), up to thermal treatments, involving dopant di↵usion and activation.In my Master Thesis I work on n-type doping using two di↵erent phosphorusmolecular precursors. This is a first natural choice due to the availability of dif-ferent P containing molecules potentially reactive with Ge and the high di↵usioncoe�cient of P in Ge.The first step of my thesis was to repeat a previous work about monolayer de-position on silicon, in order to check the deposition procedure in our laboratoryon a still verified base. After Rutherford Back-Scattering Spectrometry analyses ofsurface dopant precursor amount, we noticed a phosphorus areal density biggerthan a monolayer, probably due to a physically-adsorbed component. In orderto control such component, we test the procedure over a series of experimentalparameter (temperature, humidity, reflux against open process) finally discover-ing that a post processing methanol rinsing is the best procedure to obtain the

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monolayer areal density with high reproducibility. After that, we started to workon germanium and we transpose the same operative method used for silicon.With X-ray Photoelectron Spectroscopy (XPS) and Nuclear Reaction Analyses we char-acterized the surfaces and noticed an increase in the physically-adsorbed fractionwith respect to silicon cases. To remove it, we also used a methanol rinsing, butwe didn’t reach the monolayer dose like in the silicon situation; the result afterthe rinsing was a stable layer with a phosphorus areal density that was twice thesilicon one. XPS analyses show that, independently on the Ge surface prepara-tion method, a germanium oxide interlayer forms: this possibly can increase theroughness and the e↵ective surface of the sample. To confirm such hypothesis,we try to use Atomic Force Microscopy measurements, but the question does notseem to be definitively resolved.After the monolayer deposition and cleaning, a set of samples was prepared forthe thermal treatment. The samples was thermally treated with Rapid Thermal An-nealing in a wide range of time and temperature scales. The electrical activationwas measured by means of Secondary Ion Mass Spectrometry (SIMS) and Van derPauw (VdP) four-point probe respectively. The SIMS measurements on the first setof data reveals that the concentration of di↵used dopant is low even at the highertreatment temperature of (825�C, 30 minutes) and the electrical measurement isnot able to reveal it.This first sample batch suggest that P is not e�ciently released by the source at theinvestigated temperatures. A working hypothesis is that the Ge oxide interlayercan act as a di↵usion barrier and further experiments will be performed to reduceit, for example by means of a stricter control of the process humidity. Othershypothesis will be speculate on this thesis.

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Sommario

Un aspetto fondamentale nello sviluppo di materiali e dispositivi a semicondut-tore è il controllo dei contaminanti elettricamente attivi (droganti); negli anni lariduzione delle dimensioni e i progressi compiuti nella progettazione dei sistemia semiconduttore richiedono uno sviluppo di tecniche e di processi chimici e fisiciche permettano il controllo del drogaggio su scale via via sempre più piccole.La tecnica Monolayer Doping sfrutta l’utilizzo di molecole come precursori per ildrogaggio dalla superficie di semiconduttori. Tale tecnica, già nota su superficidi silicio e recentemente su SiO2, permette in linea di principio di e↵ettuare undrogaggio conforme utile in prospettiva per il doping di nano strutture tridimen-sionali.In questo lavoro si cercherà di estendere tale metodologia al germanio, mettendoa punto il processo di deposizione del monolayer e il successivo trattamento ter-mico per la di↵usione/attivazione del drogante nel semiconduttore sottostante.Il presente lavoro verterà sullo studio di doping di tipo n, usando dei precursorimolecolari a base di fosforo: due molecole saranno testate sia per verificarne l’ef-fettivo chemisorbimento superficiale, sia per verificare il loro comportamento asaturazione nel processo di deposizione.

In una prima sezione saranno e↵ettuati degli studi sul silicio con la tecnicaRBS (Rutherford Back-Scattering Spectrometry), utili sia per testare le procedure nelnostro laboratorio sulla base di lavori di letteratura e in secondo luogo per miglio-rare la comprensione di alcuni parametri fondamentali per il trasferimento dellatecnica al germanio. Grazie a questo lavoro si migliorerà la comprensione deiparametri di deposito, mettendo in luce come l’umidità possa giocare un ruolofondamentale in questi processi, e come un lavaggio post-trattamento adeguatopossa rimuovere e�cacemente la componente fisisorbita.A seguito dell’ottimizzazione del processo su silicio è stato modificato il substratodi deposito passando al germanio: varie analisi XPS (X-Ray Photoelectron Spectro-scopy) e NRA (Nuclear Reaction Analysis) sono state condotte su vari campionisintetizzati, le quali hanno evidenziato sia come la dose superficiale di fosforo siamaggiore dei valori di monolayer aspettati e sia come un’ossidazione superficialedel substrato prenda luogo durante il processo. Varie ipotesi saranno messe in

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campo per studiare e cercare di minimizzare il fenomeno di ossidazione super-ficiale indesiderato, il quale si presume possa agire da barriera di↵usiva per ladi↵usione del drogante.Un primo set di campioni è stato sottoposto a trattamenti termici di↵usivi, masuccessive analisi elettriche Van Der Pauw - Hall e SIMS (Secondary Ion Mass Spectro-metry) hanno evidenziato l’assenza di profili di↵usivi, che sembrerebbero validarel’ipotesi appena avanzata. Vari accorgimenti e modifiche al lavoro saranno pro-poste sulla base dell’esperienza maturata, al fine di poter ottenere una di↵usionedel fosforo nel germanio a partire da una sorgente superficiale adsorbita che ora,grazie al presente lavoro, sembra essere ad un passo dall’essere realizzata.

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Indice

1 Introduzione 71.1 L’evoluzione dell’industria microelettronica negli ultimi anni . . . . 71.2 La di↵usione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.2.1 Difetti di punto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.2.2 Meccanismi di di↵usione in Ge . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.2.3 La di↵usione nella SiO2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

1.3 Stato dell’arte nella tecnica "Molecular Doping" . . . . . . . . . . . . 251.3.1 Letteratura sul processo "Molecular Doping" e successiva

di↵usione termica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261.3.2 Chimica del deposito di monolayer e delle interazioni substrato-

precursore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.4 Piano dell’attività sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

2 Tecniche d’analisi 372.1 RBS: Rutherford Backscattering Spectrometry . . . . . . . . . . . . . 372.2 NRA: Nuclear Reaction Analysis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442.3 XPS: X-Ray Photoelectron Spectroscopy . . . . . . . . . . . . . . . . 482.4 Misure elettriche Van der Pauw . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

2.4.1 Misura di resistenza di strato . . . . . . . . . . . . . . . . . . 532.4.2 Misura del coe�ciente di Hall . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

2.5 SIMS: Secondary Ion Mass Spectrometry . . . . . . . . . . . . . . . . 582.6 AFM: Atomic Force Microscopy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

3 Deposizione di un monolayer sulla superficie (100) di Silicio 653.1 Procedura sperimentale di preparazione campioni . . . . . . . . . . 65

3.1.1 Preparazione delle superfici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663.1.2 Deposizione del DPP per riflusso . . . . . . . . . . . . . . . . 683.1.3 Capping dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

3.2 Quantificazione del fosforo depositato e ottimizzazione del processo 703.2.1 Test del desorbimento sotto fascio . . . . . . . . . . . . . . . 713.2.2 Influenza della natura della superficie . . . . . . . . . . . . . 73

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3.2.3 Il tempo di trattamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 743.2.4 Verifica dell’influenza dell’umidità nel processo . . . . . . . 763.2.5 Verifica della temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 823.2.6 Lavaggi chimici post trattamento . . . . . . . . . . . . . . . . 84

3.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

4 Deposizione di un monolayer sulla superficie (100) di Germanio 894.1 Deposito del monolayer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 894.2 Analisi della dose depositata tramite reazione nucleare (NRA) . . . 90

4.2.1 La misura e i campioni analizzati . . . . . . . . . . . . . . . . 914.2.2 Analisi dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 914.2.3 Discussione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

4.3 Analisi XPS per la verifica dell’assorbimento superficiale . . . . . . 954.3.1 Analisi preliminare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 954.3.2 Analisi Angle Resolved XPS su campioni pre- e post- lavag-

gio in Metanolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 974.3.3 Analisi della dose depositata . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

4.4 Microscopia a Forza Atomica (AFM) e analisi ottiche . . . . . . . . 1044.5 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

5 Prove di di↵usione da sorgente monolayer in germanio 1095.1 Trattamenti termici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

5.1.1 Trattamenti in fornace tubolare . . . . . . . . . . . . . . . . . 1125.1.2 Trattamenti Rapid Thermal Annealing (RTA) . . . . . . . . . 114

5.2 Misure elettriche Van der Pauw (VdP) . . . . . . . . . . . . . . . . . 1155.3 Secondary Ion Mass Spectrometry (SIMS) . . . . . . . . . . . . . . . 118

5.3.1 Analisi su campioni trattati con tecnica RTA . . . . . . . . . 1195.4 Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124

6 Conclusioni e prospettive future 127

Appendices 131

A Controllo dei contaminanti mediante tecnica RBS 133

B Analisi XPS preliminare 137

C Processi RTA: descrizione della procedura 141

Bibliografia 153

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Capitolo 1

Introduzione

1.1 L’evoluzione dell’industria microelettronica negliultimi anni

Nell’industria microelettronica mondiale per quasi più di quarant’anni una leg-ge empirica ha segnato il passo di una delle crescite tecnologiche più rapide edi largo impatto sociale che la storia abbia conosciuto. La cosiddetta "legge diMoore" prende il suo nome proprio dal suo ideatore signor. Gordon Moore che laenunciò per la prima volta nel 1965 (ma solo nel 1974 lo fece pubblicamente). Essa

Figura 1.1: La legge di Moore dagli anni ’70 fino al 2010, espressa in numero di transistorper dispositivo. [38]

a↵erma che la complessità dei microcircuiti (che può essere misurata in numerodi transistor per chip o per area unitaria) raddoppia in modo periodico, nello spe-cifico a↵ermò che lo facesse in cicli di circa 12 mesi 1 [52]. Questa crescita è stata

1Le tempistiche sul raddoppio delle prestazioni sono molto varie poiché il valore, nel corsodegli anni ha subito delle variazioni atte ad adattare la legge ai dati reali. Il valore si spostato da

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possibile grazie a svariati fattori, ma in special modo dalla ricerca scientifica chea tutt’oggi si impone di soddisfare una continua richiesta da parte del mercato diprodurre dei device sempre più prestazionali. I due principali fattori che hannoreso possibile questa crescita sono stati l’invenzione di un circuito integrato (Noy-ce e Kilby) che segna l’inizio della microelettronica e i vantaggi che il processo discaling può apportare ai dispositivi a stato solido. Dagli anni ’80 fino ad oggi latecnologia utilizzata principalmente per la produzione in di circuiti in microelet-tronica è data dal complementary-MOS (CMOS), la quale è basata su dispositivichiamati MOSFET (metal-oxide-semiconductor field-e↵ect transistor). Questi ul-

Figura 1.2: Schema di un dispositivo MOSFET. [40]

timi, presentando uno strato di ossido prima del contatto di gate, conferiscono aldevice l’importantissima caratteristica di isolare il canale dal gate evitando cosìpassaggi di corrente indesiderati. Essi sono prodotti in geometria planare, ovveroi contatti source, drain e gate sono tutti posti sullo stesso piano 2 e le varie zone adiverso drogaggio sono create step by step da un processo complesso formato daetching, uso di maschere, trattamenti per la crescita di ossidi, drogaggi anche conimpianto ionico e infine deposizione di metalli per i contatti. I dispositivi MO-SFET hanno una bassissima dissipazione di potenza, permettendo un risparmioenergetico e un basso surriscaldamento del dispositivo, caratteristiche fondamen-tali nell’attuale tremendo sviluppo degli apparecchi portatili. Idealmente in talidispositivi circola corrente solo nel transiente che intercorre tra apertura (sourcee drain isolati) e chiusura (source e drain collegati elettricamente) del canale, cheavviene per azione elettrostatica del gate. Nella pratica, una piccola corrente cir-cola anche quando il transistor è aperto (o↵-current) e ulteriori perdite si possonoavere per il passaggio di corrente dal gate.

La tecnica che più ha permesso all’industria di potersi sviluppare è stata latecnica di scaling, ovvero la "riscalamento" dell’intero dispositivo verso dimensio-ni sempre più piccole. Questa comporta notevoli benefici, come la possibilità di

12 a 24 mesi, come Thompson [52] riporta nel suo lavoro.2I dispositivi potrebbero non presentare questa peculiarità, anche se la geometria è comunque

considerata planare.

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poter creare più transistor per unità d’area con notevoli benefici sui costi di pro-duzione, ma anche l’aumento della frequenza di lavoro e conseguentemente dellavelocità di calcolo; questa tecnica però non comporta solo benefici tecnologici, macausa anche un aumento della potenza dissipata a causa di un critico controllodelle correnti a transistor OFF quando il canale viene ridotto di dimensioni (shortchannel e↵ects), e una gestione più di�coltosa dei processi di produzione. Fi-no ad oggi questo processo è riuscito ad apportare notevoli benefici e l’aumentovertiginoso delle prestazioni dei sistemi attualmente in vendita rispetto a qualchedecina di anni fa ne è la dimostrazione.

Ma fino a quanto possiamo riscalare questi dispositivi? Esiste un limite equanto vicini siamo ad esso? La risposta a questa domanda quasi del tutto ingenuaha implicazioni tecnologiche di prim’ordine e pertanto è necessario rispondere inmodo dettagliato.Purtroppo la tecnologia attuale è già arrivata molto vicino ai limiti fisici delloscaling e sebbene il problema sia riconosciuto da molti anni da parte delle industriemicroelettroniche, le soluzioni reali a questo problema sono ancora quanto dipiù ricercato dall’industria e dalla ricerca. I principali problemi che sono giàinsorti nella tecnologia MOSFET degli ultimi anni, riguardano principalmente lospessore dell’ossido di gate: scalando le dimensioni del dispositivo si è arrivatial giorno d’oggi a rendere questo strato talmente sottile che per e↵etto tunnel viè il passaggio tramite l’ossido di una corrente indesiderata non più trascurabile,la quale comporta una diminuzione dell’e�cenza del dispositivo. L’ossido cheè normalmente presente nei dispositivi di vecchia tecnologia è formato da SiO2,un ottimo isolante, ma lo spessore di produzione attuale è sceso a circa 0,7 nm,corrispondente quindi a solo pochi strati atomici (minore di circa 4 strati). [48]. É

Figura 1.3: E↵etto di tunneling attraverso lo strato dell’ossido di gate e andamento deltrend a seconda della tecnologia [48]

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evidente pertanto che questo problema sia un grosso ostacolo da aggirare, anchese una soluzione parziale è già stata introdotta: la sostituzione dell’ossido digate da SiO2 con uno che presenti una costante dielettrica maggiore, in modo dapoter ridurre ulteriormente le dimensioni del dispositivo, mantenendo contenutele correnti di perdita.

L’ossido di gate però non è soltanto l’unico problema dello scaling ma vi sonoproblematiche legate anche a resistenze e capacità parassite che insorgono semprepiù con il diminuire delle spaziature tra i vari componenti dei dispositivi [52] eanche l’insorgere del Termal Noise Voltage [31] ovvero un processo di fluttuazionestocastica del potenziale caratterizzato da un valore medio zero, il quale si mani-festa sempre più in caso di una diminuzione delle dimensioni del dispositivo odell’aumento della temperatura di esercizio (legato alla potenza dissipata e a suavolta ancora allo scaling).

Figura 1.4: Andamento delle resistenze parassite con la diminuzione delle dimensionidei dispositivi [52]

Quali soluzioni si possono quindi adottare per aumentare le prestazioni deidispositivi per i prossimi anni?Per evitare un rallentamento della crescita prestazionale dei dispositivi nella mi-croelettronica, sono state proposte varie strade tecnologiche, alcune realizzabilientro brevi tempi (decine di anni) ed altre di più lungo sviluppo. Attualmente latecnologia in commercio prevede la produzione di CMOS planari, con strainedSi (per aumentare la mobilità dei portatori), ossidi high-k e processori multi-core,ma sembra che gli spazi per un miglioramento tecnologico in questo campo sianoristretti.Nuovi device basati su trasporto di singolo elettrone ("single electron transistor"),

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ovvero nel campo della spintronica, sembra essere una tecnologia ancora moltolontana per essere implementata in qualche dispositivo nei prossimi decenni, da-to che necessiterebbe di una riprogettazione totale delle architetture e softwareattuali. Sullo stesso piano sono considerati anche altre tecnologie riassumibili conil termine "quantum electronic device" i quali sono ancora in una fase di studiodi fattibilità [50]. Le principali soluzioni attualmente praticabili si basano su duepunti cardine: il passaggio dal silicio ad un materiale semiconduttore diversocome il germanio o altri semiconduttori III-V, e un cambiamento dell’architetturadei nuovi device. [16, 52]Il cambiamento del materiale semiconduttore potrebbe comportare un aumento

Figura 1.5: Andamento della tecnologia del silicio fino al giorno d’oggi e previsioni sulprossimo futuro. [52]

della mobilità dei portatori, la quale dipende strettamente dal materiale con cui ildispositivo è costruito, e passando dal silicio al germanio vi sarebbe un sensibileaumento. Nella figura (1.6) si evidenzia infatti come la mobilità elettronica µe

del germanio sia circa 2 o 3 volte maggiore di quella di Si, a seconda del rangedi drogaggio. Anche la densità degli stati per buche ed elettroni è un secondoparametro importante nella scelta materiale del canale, dato che questo influenzal’inversione di carica. Materiali come i nanotubi di carbonio, i quali presentanouna mobilità elevatissima, sono in genere scartati proprio alla luce del fatto che laloro densità di stati è bassa (vari ordini di grandezza sotto il silicio [52]) e pertantoesclude attualmente questo materiale da sviluppi in questo campo.La scelta del cambio della geometria dei device è già in fase di studio, e comportain genere il passaggio da un device a singolo gate a dei multi-gate device. In gene-re essi possono essere sia in geometria planare (ad esempio planar double-gate),

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Figura 1.6: Mobilità elettronica vs concentrazione elettronica in silicio e germanio. [16]

sia di geometria tridimensionale come i FinFET. Questi nuovi dispositivi presen-tano dei vantaggi dal punto di vista dello scaling, principalmente perché devicemulti-gate permettono un maggior controllo del canale. Infatti uno dei principaliproblemi legati allo scaling dei dispositivi MOSFET è dato dall’e↵etto di canalecorto (short channel) che è causato dalla di�coltà del controllo del potenziale, equindi del flusso di corrente, nel canale in prossimità del gate e del source. [12]

Figura 1.7: Schema generale dei dispositivi: Planar Multi-gate FET e FinFET.

La produzione di questi dispositivi prevede però un aumento della comples-sità di fabbricazione e in particolare una maggiore di�coltà di drogaggio. Sela geometria planare permetteva metodi di drogaggio convenzionali, come l’im-pianto ionico, poiché la creazione di una giunzione a profondità controllata eragarantito dalla superficie planare, in caso di geometrie tridimensionali questo nonè più possibile. La ricerca di un metodo di drogaggio conforme alla superficie èquindi una nuova richiesta tecnologica, la quale potrebbe semplificare gli step didrogaggio di questi nuovi dispositivi. La tecnica di drogaggio con sorgente damonolayer si inserisce a pieno titolo tra le possibili candidate per questo tipo didrogaggi, essendo per sua natura una tecnica conforme.

Il drogaggio da monolayer è una tecnica potenzialmente a basto costo e potreb-be in linea di principio essere applicata per la sua produzione di superfici drogate

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su ampia scala, come nell’ambito della produzione di materiali per il fotovoltaicoe dei detector. Anche in questo caso, l’uso del germanio è appetibile in quanto èattualmente utilizzato come uno dei materiali nelle celle a multigiunzione, ma loè anche per i detector IR e per i detector Gamma.

1.2 La di↵usione

Il processo molecular doping prevede, oltre al deposito della molecola (il cui statodell’arte è riportato nella sezione 1.3), un successivo riscaldamento che permettal’introduzione del drogante fornito dalla molecola per di↵usione. La di↵usione infase solida è un processo di migrazione di atomi all’interno di un solido cristallinoo amorfo, che riveste un ruolo di fondamentale importanza per la comprensionedi molti processi nei semiconduttori [13]. La comprensione di questo fenomenoè da lungo tempo un importante campo di studio della fisica della materia. Algiorno d’oggi i meccanismi di di↵usione per il silicio sono conosciuti, mentre peril germanio la ricerca è ancora molto attiva. Questo in parte è dovuto al boom cheil silicio ha avuto negli scorsi decenni, dato che è stato il principale materiale dellamicroelettronica; oggi invece il germanio sta emergendo come il nuovo materialemainstream per la microelettronica [9], e pertanto l’interesse nel campo della ricercaè aumentato notevolmente.

Le equazioni di base che governano la di↵usione nei solidi sono le Leggi diFick, le quali trattano il trasporto di materia dal punto di vista macroscopico.Il parametro fisico principale per descrivere la di↵usione è il coe�ciente di dif-fusione, il quale è definito come il fattore di proporzionalità che lega il flussodi materia in moto al gradiente di concentrazione della specie migrante. Esso èdefinito nella prima legge di Fick:

J = �Dgrad(C) (1.1)

dove C è la concentrazione della specie mobile presa in considerazione e J rap-presenta il suo flusso nel materiale .L’evoluzione temporale del processo di di↵usione è invece descritta dalla secondalegge di Fick, chiamata anche equazione di continuità:

@C@t=@@x

D@C@x

!(1.2)

In genere il processo di di↵usione all’equilibrio può essere descritto con unalegge di Arrhenius di tipo empirico che esplicita la dipendenza del coe�ciente di

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di↵usione ad una energia di attivazione di un meccanismo [13, 18].

D = D0exp(�H/kbT) (1.3)

Il fattore pre-esponenziale D0 può essere visto in questo caso come il fattorefrequenza di salto del processo, mentre più interessante è il fattore H detto entalpiadi attivazione della di↵usione 3, la quale ci dice l’energia associata all’attivazionedi un certo processo di di↵usione.

Vari meccanismi di di↵usione sono possibili per i semiconduttori a secondadelle posizioni reticolari in cui l’atomo che deve di↵ondere si trova: ad esempioin posizione sostituzionale nel reticolo o in posizione interstiziale. In linea diprincipio le impurezze sostituzionali possono di↵ondere tramite meccanismi discambio (salto diretto da un sito sostituzionale ad un altro), ma nella pratica questonon è mai stato evidenziato, a causa dell’elevato costo energetico necessario perla riorganizzazione dei legami interessati.La di↵usione avviene sempre tramite interazione con i difetti nativi di punto: odi tipo vacanza (assenza di un atomo in un sito, V), o autointerstiziale (atomo inpiù della stessa natura della matrice in un interstizio reticolare, I). Tali difetti sonopresenti naturalmente nel materiale a causa dell’agitazione termica, o indotti daprocessi fuori equilibrio (si veda il paragrafo successivo).

Nel meccanismo di↵usivo mediato da difetti di punto, l’impurezza (sia essasostituzionale o interstiziale) scambia il suo sito con il difetto nativo, permettendocosì il suo movimento nel reticolo.Più in dettaglio, i meccanismi possibili d’interazione tra impurezze e difettidi punto sono rappresentati dalle seguenti reazioni, dove As rappresenta unaimpurità sostituzionale, Ai rappresenta una impurità interstiziale, mentre I, Vrappresentano i difetti di punto interstiziali e vacanze.

As + V ! AV Meccanismo con vacanza (1.4)

As + I ! AI Meccanismo con interstiziale (1.5)

As ! Ai + V Meccanismo dissociativo (1.6)

As + I ! Ai Meccanismo Kick � out (1.7)

Queste "Reazioni dei difetti" [10] descrivono in generale la maggior parte deimeccanismi noti, tralasciando lo stato di carica che in generale caratterizza lecoppie atomo-difetto. In linea generica le reazioni riportate sono da ritenersi le

3Chiamato sia Entalpia di Attivazione, sia Energia di Attivazione del processo di di↵usione odel coe�ciente di di↵usione. Si ritiene più corretto termodinamicamente chiamarla entalpia, vedi[13]

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più semplici possibili, poiché più complessi meccanismi che coinvolgono difettinativi come complessi formati da diversi I o V (clusters) sono in linea di principiopossibili, anche se necessitano di concentrazioni di difetti intrinseci via via piùalti, che in genere non sono presenti in situazioni di equilibrio.

1.2.1 Difetti di punto

Per capire quali meccanismi di di↵usione siano favoriti in un certo materiale, ocome essi possano avvenire, è necessario studiare i suoi difetti di punto, dato cheessi prendono parte attivamente nei meccanismi.

Secondo il terzo principio della termodinamica solo a 0K un cristallo può rag-giungere entropia nulla, portandosi ad una condizione ideale di minima energiariassumibile in "cristallo perfettamente ordinato": esso è ritenuto infinito e privodi ogni qualsiasi difetto. In condizioni reali e a temperature maggiori, per ognicristallo vi è una popolazione non nulla di difetti e di superfici che delimitanola sua dimensione finita; ambedue comportano quindi un disordine cristallino. Idue più elementari difetti di punto sono chiamati auto-interstiziali e vacanze. Ilprimo indica un atomo (della stessa specie che compone il cristallo) posto in unsito qualsiasi, non reticolare, mentre una vacanza denota l’assenza di un atomo dauna posizione reticolare. In generale i difetti possono essere carichi o neutri: il lorostato di carica dipende formalmente, nel caso di vacanze, dal tipo di configura-zione che il reticolo assume a seguito della mancanza di un atomo, visualizzabilegenericamente come il numero di legami mancanti che si creano a seguito dellaformazione di un difetto di punto.I meccanismi elementari di formazione dei difetti di punto sono di due tipi (inun cristallo senza dislocazioni): Schottky process o Frenkel process [25]. Il primoprocesso prevede la creazione di difetti di punto dalla superficie del cristallo: uninterstiziale può essere generato dalla superficie attraverso il moto di un atomodalla superficie verso il bulk, mentre una vacanza è generata dal moto di un atomosostituzionale bulk che si muove verso la superficie [18]. E’ possibile definire perquesto processo un contributo alla variazione di energia libera del sistema comesegue, nel caso in cui le vacanze non presentino uno stato di carica:

�GV = NV(��SfvT + �H f

V) � KBT ln

NL!NV!(NL �NV)!

!(1.8)

dove NV rappresenta la popolazione di vacanze nel reticolo e NL il numero disiti reticolari.4 Questo tipo di meccanismo genera difetti di punto in modo in-

4Una equazione analoga è definibile allo stesso modo per il caso di auto-interstiziali NI, mentrealtre trattazioni più complesse esistono in caso di difetti di punto carichi.

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dipendente tra loro e pertanto è possibile minimizzare l’energia libera di Gibbsindipendentemente tra NV e NI, ricavando così le popolazioni di equilibrio deidue difetti di punto, espresse di seguito in termini di concentrazioni.

C⇤V = CL exp �Sf

V

kB

!exp

��H fV

kBT

!(1.9)

C⇤I = CL exp �Sf

I

kB

!exp

��H fI

kBT

!(1.10)

[25] Il secondo processo, detto Processo di Frenkel, prevede un meccanismo ditipo bulk, rappresentabile da uno spostamento di un atomo dalla sua posizionereticolare ad una posizione interstiziale, generando così sia una vacanza che unatomo interstiziale.

0 ! V + I (1.11)

Questo processo è in genere favorito al precedente nel caso in cui le superfici sianodi minoritaria importanza nel sistema in esame; a di↵erenza del caso precedente,la generazione dei due difetti in questo caso impone un equilibrio di generazione(C⇤V = C⇤I) che comporta una diversa minimizzazione dell’energia libera rispettoal caso precedente. La popolazione di difetti è espressa in questo secondo casoda:

C⇤V = C⇤I = CLexp �Sf

I + �SfV

2kB

!exp

��H f

I + �H fV

2kBT

!(1.12)

Nel caso in cui la popolazione di difetti di punto ecceda le condizioni di equi-librio, ovvero vi sia una concentrazione maggiore di quella di equilibrio termico,essi possono condensare in vari tipi di difetti estesi come dislocazioni, stackingfaults o attraverso la formazione di clusters di difetti. Queste condizioni di nonequilibrio possono essere ottenute da reazioni chimiche di superficie, ossidazio-ni termiche superficiali o anche da processi fisici superficiali come un impiantoionico. In particolare, questo ultimo metodo introduce all’interno del materia-le semiconduttore una cascata di danno dovuta al bombardamento ionico cui ilmateriale è sottoposto. Questo genera una grande modifica della struttura cristal-lina, la quale deve essere ripristinata al fine di ottenere un materiale prestazionaleper la microelettronica: in genere il cristallo è riscaldato dopo l’impianto (post-implantation annealing) per permettere una ricostruzione parziale del reticolo,favorendo di fatto i processi di migrazione dei difetti di punto generati, in mododa annichilire il più grande numero possibile. La reazione (1.11) di Frenkel rendeconto dell’annichilazione del danno, anche se è da sottolineare che la concentra-zione di difetti residui dopo il trattamento rimarrà comunque ordini di grandezzamaggiore al valore termodinamico di equilibro.

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Soprattutto per questo motivo, lo studio e l’implementazione industriale di meto-di di drogaggio alternativi all’impianto ionico sono molto importanti, poiché l’ot-tenimento di materiali alto-drogati con metodi alternativi diminuirebbe il dannointrodotto al materiale, aumentandone di conseguenza le sue prestazioni.

1.2.2 Meccanismi di di↵usione in Ge

In questo lavoro di tesi è importante comprendere come tutto ciò che è statodescritto si relaziona al caso del germanio, il materiale semiconduttore sul qualesi focalizzano gli studi.La principale proprietà che caratterizza il germanio è il suo sbilanciamento nellatipologia di difetti di punto: tramite esperimenti di self-di↵usion si è dimostratoche la popolazione di vacanze in germanio è nettamente maggiore rispetto allapresenza di difetti auto-interstiziali [10]. Inoltre, si è stabilito che sia i drogantidi tipo n-type che di tipo p-type di↵ondono in germanio con un meccanismo viavacanze, ad eccezione del boro. Cercheremo di seguito di capire il perché e comequeste influiscano in modo incisivo sul lavoro di tesi.

In primo luogo la sproporzione tra vacanze e auto-interstiziali può esserespiegata da una loro diversa entalpia di formazione e di migrazione: l’entalpia diformazione di V è stimata essere pari a (2.35±0.1) eV mentre quella di migrazioneè pari a (0.6± 0.1) eV nel caso di Ge self-di↵usion, mentre l’energia di formazioneper I è pari a 3 eV. Ciò spiega come mai la concentrazione di difetti interstiziali siaminore della concentrazione di vacanze all’equilibrio e pertanto eventuali mec-canismi che coinvolgono la di↵usione di specie via interstiziali sarebbero moltolente (possiamo vederle anche come meno probabili) rispetto a quelle che coin-volgono le vacanze, proprio per la loro diversa popolazione di equilibrio.Nel caso del germanio è noto che i droganti di tipo p e n di↵ondono nella matri-ce per interazione con vacanze, ad eccezione del boro, il quale di↵onde con unmeccanismo via interstiziali, a causa di un elevato costo energetico per la forma-zione del difetto boro-vacanza. In particolare, i droganti di tipo n, mettendo adisposizione elettroni nella matrice, rendono favorevole la formazione di ulteriorivacanze cariche negativamente nel germanio, che a loro volta sono attratte daidroganti ionizzati di tipo n, carichi positivamente. Questo processo rende contodelle maggiori di↵usività che i droganti di tipo n hanno nel germanio, a di↵erenzadi droganti di tipo p, che pur di↵ondendo per interazioni con vacanze, non sonosoggetti all’interazione coulombiana favorevole tra drogante ionizzato e vacanzacarica negativamente. Pertanto i droganti di tipo p presentano di↵usività minoridei casi n, pur di↵ondendo nel germanio con interazione con vacanze, ma nel lorocaso esse sono elettricamente neutre V0.

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Il meccanismo di di↵usione nel germanio per droganti n-type è rappresentabiledalla seguente reazione:

AV� ! A+s + V2� (1.13)

Nel caso di n-dopant il meccanismo che si osserva sperimentalmente evidenziacome l’interazione coulombiana favorisca la formazione della specie mobile AV�

grazie alla presenza della specie ionizzata A+ e dalla presenza di vacanze carichedoppiamente negative V2�. Contrariamente, nel caso di doping di tipo p, lo statodi carica V2� impedisce in generale la formazione di specie mobili con vacanzecariche negativamente, e pertanto la di↵usione avverrà per interazione con specieneutre V0.

Tutto ciò che è stato fin qui riportato è confermato sperimentalmente e il grafico(1.8) il quale riporta le di↵usività di varie specie in germanio, rapportate alla self-di↵usion del germanio. Come si può evincere, la di↵usività del B è nettamente

Figura 1.8: Coe�cienti di di↵usione di droganti p e n type in germanio in condizionidi equilibrio in funzione della temperatura. La linea "Ge" si riferisce alla self-di↵usion digermanio. [10]

minore della self di↵usion del Ge e pertanto un meccanismo via vacanze nonè compatibile con il suo andamento. Nei casi di drogaggi di tipo p diversi dal

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caso del boro, le di↵usività sono comparabili con il caso della Ge self-di↵usion, inaccordo con il meccanismo di di↵usione proposto; nel caso di specie n-dopant ladi↵usività eccede rispetto a quella della self-di↵usion e anche questo andamentoè in accordo con il meccanismo via vacanza doppiamente carica negativamenteche prevede un enanchment della di↵usività dovuto all’attrazione coulombianavacanza-drogante ionizzato.Questo è stato oggetto di studio di S. Brotzmann e H. Bracht [4, 6, 10] i quali hannoinfine ricavato la dipendenza tra il coe�ciente di di↵usione (D⇤(AV)�) della speciemobile AV� e il numero di portatori, i quali sono considerati i due più importantiparametri per il fitting di profili di di↵usione sperimentali. Di seguito si riportapertanto l’equazione che lega in coe�ciente di di↵usione di una specie A (con A=P, As, Sb) dato che si può considerare che D⇤(AV)�(n) = DA(n):

DA(n) = DA(nin(T))

nnin

!2

(1.14)

Questa equazione ci permette quindi di capire che in caso di regime estrinseco, ladi↵usione n-type è fortemente aumentata rispetto al caso p-type, come il fattorequadratico dell’equazione (1.14) riporta in modo esplicito [6]. Il principale motivodi questa dipendenza è già stato in parte introdotto: esso è legato all’aumentodella popolazione delle vacanze rispetto al valore di equilibrio a causa dellapresenza del drogante n all’interno del semiconduttore. La presenza di drogantedi tipo n ionizzato permette alla matrice di acquisire elettroni, i quali aumentanola popolazione delle vacanze doppiamente cariche negativamente, attraverso laseguente reazione V0 + 2e� = V2�. In questo modo la quantità di vacanze V2�

aumenta nel materiale proporzionalmente con la quantità di drogante introdotto, edi conseguenza aumenta la probabilità di incontro di queste specie con il droganteionizzato, facendo così dipendere il coe�ciente di di↵usione dal quadrato delnumero di portatori.

Uno studio più dettagliato ci spiega come mai il meccanismo via vacanzadoppiamente carica negativa governa la di↵usione nel caso di drogaggi n-type.In realtà i difetti intrinseci nei semiconduttori si formano seguendo i principi dellatermodinamica e pertanto possono esistere in diversi stati di carica a seconda dellecondizioni termodinamiche a cui si trova il materiale. In particolare la posizionedel Livello di Fermi (abbr. LdF) del semiconduttore determina quale stato di caricasia più stabile in una determinata condizione termodinamica. Lo stato di caricadelle V dipende pertanto dalla posizione del LdF poiché esse formano dei livellienergetici all’interno della band gap del germanio e pertanto l’occupazione diquesti stati determinerà quale sia lo stato di carica favorito. La posizione del LdF

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è principalmente determinata, nei nostri casi di interesse, dal livello di drogaggionel materiale semiconduttore e quindi a seconda del regime di drogaggio cui sitrova il semiconduttore, un diverso stato di carica può essere più o meno favorito.Se la concentrazione di portatori eccede il livello intrinseco, il Livello di Fermi Ef

si sposterà dalla sua posizione intrinseca Eif ad una posizione diversa, e lo stato

di carica delle vacanze Vr� cambierà di conseguenza.I livelli energetici relativi a V� e V2� sono stati calcolati e posti rispettivamente0, 28 eV e 0, 14 eV al di sopra del massimo della banda di valenza del Ge [51].Questo ordinamento comporta la maggior presenza di V2� in caso di doping n-type, mentre in caso di p-type doping (n/ni < 1), le vacanze sono un uno statoneutro di carica V0, come riportato in figura (1.9). Nella in-box sono riportatele concentrazioni di equilibrio Ceq

Vr� normalizzate alla concentrazione totale CeqV di

equilibrio. Si può notare come V� non prevalga in alcun regime [51].

Figura 1.9: Contributi individuali al coe�ciente di di↵usione DVr�Ge (self-di↵usion at 700

gradi Celsius) delle specie neutre (V0), cariche singolarmente (V�) o doppiamente cariche(V2�) al variare dei livelli di doping del semiconduttore. [51]

La di↵usione di droganti n-type in Ge è quindi un campo molto studiato poi-ché la loro di↵usione in germanio avviene con grande coe�ciente di di↵usione,specialmente in regimi estrinseci (1.14). Questo purtroppo vanifica uno degli ob-biettivi principali del drogaggio dei semiconduttori, in quanto il raggiungimentodi zone alto-drogate in profili stretti (giunzioni shallow) è in genere il principalegoal tecnologico.In altri termini, l’obiettivo principale della costruzione di una giunzione è mini-mizzare la resistenza di strato nel minore spessore possibile, ovvero tentare di

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minimizzare:Rstrato =

1qNdµx

(1.15)

Questo è fattibile aumentando il più possibile il drogaggio all’interno dello stratoe utilizzando il materiale con la più alta mobilità di portatori, com’è il germanio.Tutto ciò entro uno strato sottile, al fine di poter costruire dispositivi semprepiù compatti. Alti coe�cienti di di↵usione sono quindi problematici nel caso didrogaggio n-type in germanio, poiché anche in caso di trattamenti termici nonparticolarmente aggressivi il drogante tende a di↵ondere molto, ampliando la suadistribuzione. Serviranno pertanto dei dispositivi per un controllo estremamenteaccurato di tempi e temperature di trattamenti, al fine di poter e↵ettuare processidi di↵usione il più controllati possibile.

1.2.3 La di↵usione nella SiO2

In questa sezione si analizzerà la di↵usione del fosforo all’interno dell’ossido disilicio, al fine di poter spiegare completamente il progetto monolayer doping nellasezione preposta 1.4.La possibilità di di↵ondere un drogante all’interno di un semiconduttore per viatermica è in genere ottenuta a partire da una sorgente gassosa o da impianti ionici,i quali rappresentano tutt’ora il metodo di drogaggio principale nell’industria deisemiconduttori. Questa metodologia di drogaggio prevede un post trattamentotermico del campione a seguito dell’impianto, durante il quale si procede all’atti-vazione del drogante in esso introdotto. Durante questo processo però si rilevanoin genere problemi di perdita di drogante chiamato Dopant Loss, il quale nonpermette di raggiungere i livelli di drogaggio massimi in rapporto alla quantitàimpiantata. In genere questo problema scala con la temperatura (ma in casi di im-pianti a dosi elevate questo fenomeno si presenta anche a piccoli budget termici)e agisce riducendo la quantità di drogante introdotto facendolo disperdere versol’esterno, diminuendo la dose presente nel semiconduttore, quindi il drogaggio.Un esempio per quantificare il problema è proposto in letteratura [45] anche perun caso di impianto di fosforo in germanio, con perdite calcolate tra il 40-50%anche per trattamenti di 1s a 500 oC e/o 60s a 600 oC (trattamenti in Rapid ThermalAnnealing); la stessa problematica si presenta anche in caso di droganti diversi,come è il caso del boro [53], indice che il problema non è legato alla natura deldrogante o al meccanismo di di↵usione per vacanze. L’origine di questo fenome-no è ancora discussa in letteratura, ma si ritiene che sia dovuta all’out di↵usion(nei casi in assenza di capping superficiale), e/oppure alla segregazione [7] chesi instaura tra il layer del capping e l’interfaccia del germanio dove esso è statodepositato [26].

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Figura 1.10: Immagine AFM della superficie Ge (100) al seguito di annealing termico (30min a 575 oC) in presenza o in assenza di capping di SiO2. Si noti come nel caso senzacapping la superficie di germanio risulti alterata rispetto alla condizione iniziale flat.

Nel caso di impianto ionico la rate di perdita è stata caratterizzata in funzionedella temperatura e grazie ad un plot di Arrhenius è possibile ricavare l’energiadi attivazione del processo pari a 2, 03 eV: l’espressione che caratterizza questoprocesso è riportata nell’equazione (1.16) ed esprime la RGe (100) substrate loss ratedel germanio sulla superficie (100) [26].

RGe (100) = 4, 75 1012 exp �2, 03 eV

kbT

![nm/min] (1.16)

Nell’immagine (1.10) è possibile inoltre osservare la diversa forma della superficiedopo trattamento termico: come si può vedere la superficie uncapped riporta unarugosità superficiale spiccata a seguito del trattamento termico, indice del fattoche il germanio stesso prende parte al processo di perdita del drogante nel casoin cui non sia presente un capping superficiale, il quale garantisce per lo menol’integrità della morfologia superficiale e previene la perdita di germanio, oltreche a diminuire la perdita di drogante.Nel lavoro in analisi [26] si riporta che la perdita del germanio dalla superficiesia dovuta al desorbimento della GeO a seguito di un complesso sistema ancoradibattuto: una reazione all’interfaccia tra il germanio e il suo ossido nativo, checonsiste nella decomposizione termica della componente dell’ossido GeO2, prendeluogo durante i processi termici di↵usivi, e provoca la produzione e la successivasublimazione di GeO dalla superficie del germanio.La diminuzione della perdita di drogante a seguito del deposito di un cappingsuperficiale avviene perché si cresce al di sopra del germanio uno stato a bassadi↵usività: nel lavoro precedentemente citato, questo strato consiste in un layer di

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SiO2 depositato tramite sputtering sulla superficie, ma in altri casi sono usati layerdi SiO2 depositata per e-beam deposition [36] o in altri lavori si passa a diversitipi di composti come Si3N4 [26]: in questo ultimo caso si registrano risultati piùe�cienti, riferiti sempre a trattamenti post impianto ionico.

Nel nostro caso, la tecnica Monolayer Doping si discosta dal caso precedenteprincipalmente per il fatto che la sorgente di fosforo da di↵ondere è presente soloin superficie (legata chimicamente ad essa) e non è presente all’interno del mate-riale semiconduttore, ma analoghi problemi si potrebbero presentare comunque.Si procederà alla deposizione un capping superficiale con SiO2 anche nel nostrocaso sostanzialmente per due motivi: il primo riguarda ciò che è stato fin quiesposto, ovvero la preservazione della superficie di germanio e il tentativo dieliminare il problema dell’out di↵usion, mentre il secondo riguarda la necessità didirigere la di↵usione del fosforo all’interno del materiale.Come si è già analizzato, la figura (1.10) riporta inequivocabilmente un grossoproblema di danneggiamento e di perdita della superficie di germanio, che nelnostro caso sarebbe devastante: partendo da una di↵usione con sorgente superfi-ciale, il danneggiamento di quasi un centinaio di nanometri superficiale vorrebbedire il danneggiamento totale della zona d’interesse per la di↵usione del drogante.Il secondo punto esposto, ovvero la necessità di dirigere la di↵usione del fosforoall’interno del materiale, è una problematica del tutto legata al tipo di sorgente didrogante in uso. L’uso di un capping superficiale, oltre che ad essere sempre statousato nel caso di Monolayer Doping sul silicio [19] [49] [23] [3], è fondamentaleal fine di non far desorbire il drogante durante la decomposizione termica dellamolecola sulla superficie: è assai più probabile che il monolayer esposto in aria(o in gas inerte) desorba in ogni sua parte, piuttosto che di↵onda all’interno delmateriale. E’ pertanto necessario impedire che ciò accada, e il miglior metodo perfar ciò è coprire la superficie trattata con uno strato di materiale basso di↵usivoper la specie da di↵ondere.

Sebbene la di↵usione del fosforo all’interno della SiO2 dipenda fortemente dalmetodo di deposizione e dalla storia termica dell’ossido, anche recenti studi con-fermano che la di↵usività del fosforo all’interno della SiO2 è assai più lenta rispettoal germanio (a 900 oC la di↵usività per il fosforo in germanio è stimata attorno a9 10�12 cm2

s [6] mentre in SiO2 è stimata essere inferiore al valore 1 10�19 cm2

s , validoper il test a più bassa temperatura, eseguito a 950 oC [2]).

Una visione più completa dell’andamento della di↵usività del fosforo in SiO2

ci è fornita dal lavoro di Mastromatteo [36] eseguito anch’esso a partire da unasorgente � layer di drogante. Alla stregua del nostro caso, la deposizione dell’os-sido avviene per via e-beam deposition, anche se le temperature di trattamentosaranno più alte rispetto a quelle di processo nel caso del germanio (esso fonde a

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Figura 1.11: Di↵usività del fosforo in SiO2 cresciuta termicamente [2].

Figura 1.12: Variazione della di↵usività del fosforo in SiO2 depositata per e-beamdeposition e successivamente trattata termicamente [36].

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Figura 1.13: Andamento della di↵usività del fosforo in SiO2 con la temeperatura. Altrivalori di riferimento riportati in grafico. [36]

938 oC e pertanto trattamenti oltre gli 850 oC sono fortemente sconsigliati). Dal-l’immagine (1.12) si può ricavare la prima importante informazione: come giàprecedentemente accennato la di↵usione del P all’interno della SiO2 dipende for-temente dalla sua storia, ed in particolare dalla sua densificazione. I trattamenti didi↵usione eseguiti a temperature elevate 1000 � 1100oC promuovono il processodi densificazione della SiO2, la quale ad alte temperature si densifica, diminuendocosì i suoi difetti e di conseguenza diminuendo la di↵usività per il fosforo. Grazieal grafico in figura (1.13) si può notare come, oltre a ricavare un fit tipo Arrheniusper i dati di di↵usività del fosforo, si dimostra come il meccanismo più probabileper la di↵usione del fosforo sia via auto-interstiziali. Tutto ciò ben si collega con idati ottenuti con la densificazione della silice, la quale comportando una diminu-zione di vuoti interatomici all’interno dell’ossido (che può essere visto come unprocesso di eliminazione di difetti), causa una diminuzione della di↵usività delfosforo.In ogni caso, sono riportate di↵usività dell’ordine di 10�15 cm2/s durante un tran-siente iniziale, e pertanto questo valore è comunque diversi ordini di grandezzainferiore alla di↵usività del P in Ge e pertanto questo metodo può a priori ritenersiadeguato ai nostri scopi.

1.3 Stato dell’arte nella tecnica "Molecular Doping"

Un lavoro di ricerca di drogaggio via Molecular Doping su germanio non è at-tualmente presente in letteratura: fino ad ora la tecnica è stata studiata sul silicio,ma non vi sono riscontri di lavori sul germanio.L’obiettivo del lavoro di tesi è replicare un metodo di deposizione in silicio edestendere questa procedura al germanio, verificando che l’attacco del monolayer

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avvenga sul Ge alla stregua del Si.Le molecole precursori che saranno utilizzate per il nostro lavoro sono il DPP(diethyl- 1-propylphosphonate) e l’ODPA (octadecilphosphonic acid) e pertan-to i lavori che saranno di seguito analizzati riporteranno queste molecole comeprecursori.

Figura 1.14: ODPA formula chimica.

Figura 1.15: DPP formula chimica.

1.3.1 Letteratura sul processo "Molecular Doping" e successivadi↵usione termica

Il principale lavoro su cui si è basata la seguente tesi è un articolo del gruppodel prof. Perego presso Agrate (MI) (lab. MDM IMM-CNR) [3] con il quale ilgruppo di ricerca di Semiconduttori di Padova ha collaborato per le misure RBSe SIMS dei campioni da loro sintetizzati. La molecola DPP, della famiglia deifosfonati, è stata testata su campioni di silicio ricoperti con uno strato di ossidoevaporato di alcune decine di nanometri, al fine di verificare la formazione di unsuo monolayer sulla superficie: si rileva che, entro dei parametri di temperaturae tempo di trattamento particolari, la formazione di un layer di 8 1014 molecole

cm2

si deposita sulla superficie. Un plateau della dose di P depositato fa supporreun meccanismo self limiting della reazione di deposizione. Il campione a questopunto è messo in un evaporatore in modo da depositare al di sopra del monolayeruno strato di ossido: questo servirà per il successivo trattamento termico. Per ladi↵usione del drogante è usato un trattamento detto RTA (rapid termal annealing):il campione è sottoposto a rampe di temperatura molto rapide e dopo un degradodella molecola, le varie specie atomiche di↵ondono sia nel semiconduttore chenell’ossido di cappig sovrastante. Grazie ad un di↵erente coe�ciente di di↵usionedel P tra il semiconduttore e l’ossido, il drogante entra principalmente nel silicioe in base al tempo e alla temperatura del trattamento termico di↵onde a diverseprofondità e concentrazioni. Si veda la sezione dedicata (1.2).

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Figura 1.16: Schema del trattamento secondo Perego. [3]

Figura 1.17: Schema del processo secondo Ho. [23]

Svariati altri lavori riguardanti monolayer doping su Si sono presenti in lettera-tura: tra questi si distingue il lavoro del prof. Ho (presso University of California,Berkeley National Lab.) [19, 23] e il lavoro del prof. Yerushalmi (presso Universityof Jerusalem) [59].Nel primo caso si riporta il processo e la caratterizzazione di una giunzione dispessore sub-5nm, ovvero in regime Ultra Shallow Junction. Essa è stata ottenutacon tecnica Monolayer Doping a partire dal precursore molecolare DPP (diethyl-1-propylphosphonate, Alfa Aser) su un wafer di silicio, dopo la rimozione del-l’ossido nativo via etching chimico (HF 1%) procedendo in seguito a di↵usionetermica via Spike Annealing e a successive caratterizzazioni elettriche e SIMS per ladeterminazione dell’attivazione elettrica e dei profili di concentrazione. Legger-mente diverso è il metodo e le molecole utilizzate dal prof. Yerushalmi: in questocaso il deposito avviene su una superficie sia terminata SiH, come nel caso prece-dente, sia nel caso di superficie ossidata SiO2. I trattamenti termici in questo casosono eseguiti via RTA (rapid thermal annealing) ed analoghe analisi sono eseguite

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Figura 1.18: Schema del processo secondo Yerushalmi. [21]

per la verifica del drogaggio. Da notare in questo caso la particolare geometriadel drogaggio, che prevede l’uso di due substrati (uno superiore detto targhet eduno inferiore detto donor, dov’è presente il monolayer) che chiudono a sandwichil monolayer; esso quindi andrà incontro a decomposizione termica e di↵onderàin entrambi i substrati.

1.3.2 Chimica del deposito di monolayer e delle interazioni substrato-precursore

Alcuni precursori molecolari del fosforo sono delle molecole abbastanza studiatein letteratura, ed in particolare la molecola ODPA è presente in alcuni lavori diricerca. Nello specifico però, non sono presenti lavori approfonditi sulla molecolaDPP e il sua reazione superficiale con superfici di semiconduttori, ma in generemolti risultati per molecole con funzionalità a�ni possono essere considerateugualmente.

La reattività della molecola ODPA (octadecilphosphonic acid) è stata testatasu superficie di ossido di silicio SiO2, al fine di formare un SAM (self-assembledmonolayer) tramite una procedura di deposito wet chiamata T-BAG. In questolavoro [54] si procede allo studio delle condizioni di deposito della molecola siasperimentalmente sia tramite simulazioni DFT in condizioni sperimentali similia quelle di nostro interesse, e pertanto lo studio di questo lavoro ci ha permesso

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Figura 1.19: Spettro FTIR in trasmissione della molecola ODPA (spettro inferiore)confrontato con uno spettro e↵ettuato alla fine del processo di deposito. [54]

di risolvere alcune problematiche che abbiamo riscontrato.Il primo quesito che ci si pone è che tipo di legame chimico potrà formare lamolecola in esame con una superficie SiO2. In questo lavoro si dimostra cheil legame che si instaura tra la molecola e la superficie ossidata è del tipo Si �O � P 5, ma appare subito chiaro che la reazione di deposito presenta svariateproblematiche: si riscontra infatti che vi è una forte dipendenza dall’umidità edalla temperatura di deposito. In caso di depositi al di sotto di 140 oC in ambientecon umidità RH > 40% la molecola non procede ad un chemisorbimento, ma silimita a generare uno strato fisisorbito: essa ha formato dei legami ad idrogenocon la superficie. É necessario portare il sistema a temperature maggiori di 140oC al fine di procedere con un chemisorbimento della molecola, oppure e↵ettuareil deposito in ambienti estremamente dry (RH < 4%) per permettere la creazionedel legame chimico con la superficie. Uno strato fisisorbito rimarrà comunquedepositato al disopra del layer formato e pertanto un trattamento a posteriori deveessere e↵ettuato per la sua rimozione (nel lavoro si procede con una sonicazione).Tramite simulazioni DFT si spiega come mai vi sia questo strano comportamento:l’interfaccia che si crea in presenza di umidità è di tipo SiO2/H2O ed essa presentaun fitto network di gruppi idrossilici, rendendo così la superficie veramente stabilee poco reattiva. Come spesso accade, la temperatura è il parametro principale peragire sulla deposizione del monolayer che può essere a tutti gli e↵etti consideratocome un processo attivato. La temperatura necessaria per attivare questo processo

5Tipo di legame formato determinato da analisi FTIR, rilevando la presenza di un picco tra1140 � 1080cm�1

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Figura 1.20: Schema di attacco della molecola ODPA secondo Handson, nel caso di unasuperficie di silicio con ossido nativo. [20]

sembra essere pari a 140 oC, anche se i tempi di deposito possono variare aseconda della percentuale di umidità: processi a umidità estremamente bassa(RH < 4%) possono essere quasi considerati istantanei sopra la temperatura diinizializzazione del processo, mentre in ambienti più umidi è necessario procederecon un trattamento termico più lungo.Non meno complessa risulta essere l’analisi del tipo di legame instauratosi con la

superficie: il legame che si instaura tra la superficie e la molecola chemisorbita èdimostrato essere del tipo Si�O� P, ma esso potrebbe derivare dalla reazione didue diversi gruppi funzionali presenti nell’ODPA. Questo acido presenta infatti,oltre che una lunga catena alchilica, due funzionalità �OH e una funzionalitàP = O, le quali in linea teorica potrebbero legarsi alla superficie SiO2. Per risolverequesto dubbio è riproposto un secondo calcolo DFT semplificato, dove la molecolasimulata presenta tutte le funzionalità dell’ODPA, ma al posto di presentare unacatena alchilica lunga, presenta solo un gruppo metilico.In accordo con i dati sperimentali 6 si ottiene che preferenzialmente sono i gruppi

P � OH a reagire con la superficie, creando uno strato chemisorbito sia di tipomonodentato che bidentato. Particolari dipendenze con l’umidità presente inatmosfera e in superficie sono state messe alla luce dalle simulazioni, riportate infigura (1.21).

Un secondo lavoro [20] riporta che la stessa molecola può essere attaccata consuccesso anche ad una superficie di silicio con presente solo ossido nativo e nonuno strato di ossido termico come in precedenza. La temperatura di trattamentoanche in questo caso supera la soglia dei 140 oC e ulteriori prove confermano che il

6In questo caso, per verificare quale fosse il gruppo funzionale che prendesse atto alla reazione,si è valutata la perdita di segnale IR proveniente dal gruppo funzionale P = O (regione attorno i1220 cm�1). Non si sono rilevate perdite significative del segnale nello spettro. Sono state rilevateperdite di segnale nella regione relativa alle vibrazioni �(P �O �H). Vedi figura (1.19)

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Figura 1.21: Diagramma di fase calcolato per la molecola MPA (metil-phosponic acid)rispetto ad una superficie SiO2(100)andH2O in funzione del potenziale chimico (ovverola concentrazione) dell’acqua. [54]

Figura 1.22: Precursori molecolari usati per lo studio, e interazioni H-bond e covalentiproposte tra molecole precursori e superficie di SiO2. [59]

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trattamento a temperature minori anche per due settimane non comporta alcunareazione di superficie, confermando il precedente studio. Un attacco tridentato èin questo caso preso in considerazione e riportato esplicitamente nell’immagineseguente (1.20).

Nel lavoro di Branch [5] si riporta invece uno studio più generico sull’attacco didiverse molecole, compresa l’ODPA, tramite diversi metodi e su diverse superfici.Oltre al metodo T-BAG (Tethering by aggregation and growth) riportato nei due lavoricitati in precedenza, in questo caso sono testati sia il noto metodo di LangmuirBlodgett sia un metodo detto Self-assembly from solution: proprio quest’ultimo è dinostro interesse, poiché si dimostra come, tramite una semplice immersione in unasoluzione contenente il precursore, questo possa fisisorbirsi in superficie e poi,tramite un trattamento termico, essa possa essere chemisorbita superficialmente.Ossidi come H f O2 e Al2O3 sono infine testati e confrontati con i risultati ottenuticon l’ossido di silicio SiO2.

Un ultimo articolo è necessario riportare in questa sezione, che sottolinea co-me la chimica della molecola precursore giochi anch’essa un ruolo fondamentalenell’attacco alla superficie. In un articolo di Yerushalmi [59] si riportano alcuneprove di attacco chimico con una superficie di silicio ossidato termicamente. Lafunzionalità testata in questo caso è la P = O presente in tre molecole, le qualidi↵eriscono per i gruppi legati al fosforo. Nell’immagine (1.22) si riportano le tremolecole analizzate e una rappresentazione del loro stato fisisorbito e chemisor-bito alla superficie. Sperimentalmente si dimostra che la molecola numero 3 nonsi attacca alla superficie, non e↵ettuando alcuna reazione chimica con essa.Le molecole 1 e 2 invece interagiscono con la superficie ed esse possono reagirecon essa e chemisorbirsi. Il diverso comportamento di queste molecole è spie-gabile dalla diversa elettronegatività dei gruppi sostituenti, i quali favorisconoo impediscono l’attacco con la superficie. Analisi computazionali confermanoqueste ipotesi, verificando che per la molecola 1 e anche per la molecola 2 vi siaun �HHbond negativo, indice del fatto che il legame ad idrogeno è favorito mentreper il caso della molecola 3, esso risulta positivo.Ulteriori prove sono condotte attaccando il layer con metanolo e verificando spe-rimentalmente come in questo caso la componente fisisorbita interagisca bene conquesto solvente, proprio a causa delle interazioni H che si formano con esso.

Reattività dei precursori

In letteratura sono presenti degli studi sulla reattività chimica del precursore OD-PA, mentre non si trovano riscontri per il caso del DPP, precursore che di↵eriscedalla prima molecola in quanto non presenta funzionalità �OH, essendo un fo-

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P

OH

OH

O

HO Si P

O

OH

O

SiH2O++

Figura 1.23: Reazione tra l’acido metilfosfonico e un substrato terminato con funzionalitàSiOH [54].

P

OH

OH

O

H Si P

O

OH

O

SiH2++

Figura 1.24: Reazione tra l’acido metilfosfonico e un substrato terminato con funzionalitàSiH [34].

sfonato.In particolare la reattività della molecola ODPA è studiata in letteratura tramite

simulazioni DFT, con verifica del chemisorbimento tramite spettroscopia IR, evi-denziando l’insorgere del nuovo legame supposto. Nel caso delle simulazioni èstata studiata una molecola semplificata, che di↵erisce dall’ODPA da una catenaalifatica più semplice: in particolare essa presenta un semplice gruppo CH3. Sonoquindi riportate nelle figure (1.23) e (1.24) le reattività della molecola methylpho-sphonic acid (abbr. MPA) con un substrato terminato SiH e SiO2.Come si può vedere, in entrambi i casi la reattività dell’acido prevede la forma-zione di un legame Si �O � P con la formazione di acqua o idrogeno in base allatipologia di terminazioni superficiali del silicio.

1.4 Piano dell’attività sperimentale

In questa sezione, alla luce di tutto ciò che è stato esposto, si riassumerà il progettoiniziale su cui questo lavoro di tesi è stato ideato, mettendo in luce le scelteprincipali che sono state adottate al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato,ovvero l’applicazione della tecnica Monolayer Doping al germanio.

La prima parte del progetto di tesi prevederà uno studio preliminare dellatecnica monolayer doping su silicio, cercando di replicare e migliorare uno stu-dio già presente in letteratura [3]. Questo ci permetterà di a�nare la tecnica dideposito, tramite dei riferimenti di letteratura, e ci consentirà di controllare labontà del nostro lavoro. L’analisi del layer depositato sarà in questa fase a�datoalla tecnica Rutherford Backscattering (RBS), al fine di verificare che la quantità diprecursore depositato sulla superficie sia compatibile con i dati di letteratura. E’fondamentale inoltre, verificare nuovamente che la reazione di aggrappo sia self

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limiting, ovvero che la quantità di precursore depositato in superficie sia costantenel tempo; perché ciò si verifichi, bisognerà rimuovere e�cacemente la compo-nente fisisorbita alla superficie di precursore, in modo che solo la componentechemisorbita rimanga alla superficie. Se ciò accadrà, la dose (o densità atomicasuperficiale) depositata superficialmente dovrà risultare invariata al variare deltempo del trattamento, indice del fatto che la reazione superficiale è arrivata acompletamento e non vi sono più siti disponibili per il chemisorbimento superfi-ciale.Di fondamentale importanza in questo primo step del lavoro di tesi è la verificadei parametri di deposizione: dovranno essere analizzati in primo luogo i tempidi trattamento, ma anche altri parametri come la temperatura, umidità e il tipo disuperficie su cui si e↵ettua la reazione. Ciò è fondamentale al fine di costruire unquadro il quanto più completo possibile sulla reattività del precursore su silicio, inmodo da poter applicare al germanio il protocollo sperimentale migliore, a�natoin precedenza sul silicio.

La seconda fase del lavoro consisterà nella sostituzione del substrato di de-posito, passando dal silicio al germanio; si cercherà di verificare l’avvenuto che-misorbimento del precursore con lo stesso processo utilizzato nel caso del silicio,verificando anche in questo caso la dose depositata superficialmente al cristallosemiconduttore. Per fare ciò, la tecnica RBS non sarà più utilizzabile (si veda lasezione preposta sulle tecniche), e sarà sostituita da una tecnica più complessachiamata Nuclear Reaction Analysis (NRA), la quale ci permetterà di ricavare ladose di precursore, anche nel caso sia depositato in una matrice più pensate, co-me nel caso di fosforo su germanio. Una seconda tecnica che sarà utilizzata alfine di caratterizzare nel modo più completo possibile la superficie, e di cercaredi comprendere che tipo di legame possa instaurarsi tra precursore e superficie, èl’analisi X-Ray Photoelectron Spectroscopy (XPS).Anche nel caso del germanio si testeranno diversi tipi di superficie per lo studiodel chemisorbimento, per verificare la reattività di questa reazione su superfici digermanio ossidate o meno, e come nel caso del silicio, si cercherà di stimare e inseguito rimuovere la componente fisisorbita alla superficie.

Nel caso del germanio, si tenterà di passare anche alla fase successiva del tec-nica, ovvero alle prove di di↵usione del fosforo all’interno del materiale. Per fareciò si cercherà di ottimizzare i campioni a questo scopo, ovvero si utilizzerannodei campioni idealmente non ossidati alla superficie, e con un capping di ossidodepositato sopra al layer superficiale; questa sarebbe la situazione ideale al fine dicreare le condizioni necessarie a�nché il fosforo possa di↵ondere nel germanio,poiché posizionando un ossido soprastante al layer, si impedirà che il drogantese ne vada in atmosfera e la natura dell’ossido impedirà anche che esso di↵onda

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in modo privilegiato verso l’esterno. La presenza di un ossido di capping e l’as-senza di ossido di germanio che separi il precursore dal bulk, saranno quindi lecondizioni ideali per testare con trattamenti termici la tecnica Monolayer Doping,ottimizzando il cammino di↵usivo del fosforo e indirizzandolo all’interno delmateriale semiconduttore. Le tecniche di di↵usione termica a nostra disposizioneriusciranno a coprire un ampio range di budget termici, ovvero di tempi e tem-perature di prova, al fine di verificare le condizioni ottimali per la di↵usione e lacreazione di una giunzione p-n all’interno del germanio: saranno pertanto utiliz-zati trattamenti termici convenzionali in fornace tubolare, ma anche trattamentirapidi, che prendono il nome di Rapid Thermal Annealing, i quali ci permetterannodi sottoporre campioni a rampe estremamente rapide, al fine di sondare, e caso-mai evitare, diversi regimi e transienti di↵usivi. I campioni così trattati sarannoin seguito privati del capping tramite etching chimico e analizzati al fine di verifi-care l’e↵ettiva di↵usione ottenuta. Per fare ciò la tecnica principe è l’analisi SIMS(Secondary Ion Mass Spectrometry) la quale ci permetterà di ricavare profili diconcentrazione del drogante in funzione della profondità, informazione chiaveper comprendere le dinamiche di di↵usione da sorgente monolayer, per ora deltutto sconosciute in letteratura.Una seconda tecnica di diversa natura è l’analisi dell’attivazione elettrica dei cam-pioni, la quale si basa su misure elettriche a quattro punte Van der Pauw: essa,grazie ad un passaggio di corrente attraverso delle punte metalliche poste sullasuperficie del campione, ci permetterà di determinare la resistenza di strato, egrazie all’applicazione di un campo magnetico statico, la tipologia e la densitàdi portatori maggioritari e la loro mobilità. Grazie alla combinazione di questedue tecniche saremo in grado di caratterizzare completamente i campioni di↵usie comprendere le principali grandezze che la caratterizzano come spessore dellagiunzione, concentrazione del drogante e la sua attivazione, resistenza di strato emobilità dei portatori.

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Capitolo 2

Tecniche d’analisi

2.1 RBS: Rutherford Backscattering Spectrometry

La tecnica che è stata principalmente utilizzata in questo lavoro per caratterizzarei campioni di silicio è la tecnica RBS, la quale ci permette di ricostruire la strutturae la composizione di zone superficiali attraverso il bombardamento del campionecon particelle ad alta energia (particelle alfa) e l’analisi della componente scatterataad alti angoli. L’interpretazione dei fenomeni fisici, e quindi dei risultati derivantida questo tipo di analisi sono ben noti, tanto da rendere questa tecnica moltoutilizzata nel campo della scienza dei materiali: l’alta sensibilità per elementi piùpensanti in una matrice leggera e una buona risoluzione in profondità, rendequesta tecnica di estrema importanza nello studio del deposito di un monolayersu campioni di silicio.

É bene ricordare che questo metodo di analisi non ci permetterà di averealcuna informazione sullo stato chimico degli atomi in analisi, ma ci permetteràsoltanto di ottenere informazioni sulla dose atomica (densità areale) e sulla loroprofondità. L’informazione ricavata proverrà da una area pari alle dimensioni delfascio incidente e pertanto anche la risoluzione laterale di questa tecnica risulteràpari a pochi millimetri. Il principale fenomeno fisico su cui si basa questa tecnicaè l’interazione coulombiana tra i nuclei del campione in analisi e le particelleaccelerate incidenti sul campione, che nel nostro caso sono particelle alfa (4He++).Per far sì che queste condizioni siano verificate, le energie con cui sono acceleratii nuclei (4He++) negli esperimenti RBS si aggirano attorno ai 2 MeV: a questeenergie infatti vi sono collisioni di tipo coulombiano e non si attivano reazioni ditipo nucleare.Per descrivere le interazioni di tipo binario1 si procede con la definizione della

1É possibile dimostrate a posteriori che ad energia pari a 2 MeV le interazioni non binarie sonostatisticamente trascurabili.

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probabilità d’interazione esprimibile come [32]:

YQ= Ns

d�d⌦⌦ (2.1)

dove Y rappresenta il numero di particelle rilevate dal detector normalizzata allacarica dal termine al denominatore Q, Ns la densità atomica espressa in

hatomicm2

i,

mentre d�d⌦ rappresenta la sezione d’urto di↵erenziale che quantifica l’area e�cace

attorno ad ogni nucleo bersaglio.La grandezza principale che determina la probabilità d’interazione è quindi laSezione d’urto di↵erenziale: essa può essere vista come la probabilità d’interazionenormalizzata alla densità atomica ad un determinato angolo solido.

d�(✓)d⌦

d⌦ =n. particelle di f f use · d⌦n. particelle incidenti · Ns

(2.2)

Esplicitando l’equazione (2.1) in una simmetria cilindrica attorno alla direzionedello ione accelerato, la sezione d’urto è esprimibile anche come segue:

�(✓) = � b(✓)sin(✓)

dbd(✓)

(2.3)

dove b rappresenta la distanza dall’asse della simmetria cilindrica dello ioneincidente rispetto al bersaglio, detto anche parametro d’impatto. Se si considera oral’interazione tra i due corpi di tipo puramente coulombiano, ovvero si utilizza unpotenziale V

V =Z1Z2e2

4⇡✏0r(2.4)

è possibile caratterizzare la sezione d’urto espressa nell’equazione (2.3) in un casod’interazione puramente coulombiano.Quindi l’espressione che, in approssimazione d’interazione puramente coulom-biana, esprime la sezione d’urto in funzione di energia, angolo e carica è:

d�(✓)d⌦

=

Z1Z2e2

8⇡✏0E

!1

sin4(✓2 )(2.5)

Essa prende il nome di Sezione d’urto di Rutherford ed è valida nel sistema diriferimento del centro di massa.

Nel caso che gli urti tra le particelle incidenti e i nuclei bersaglio non compor-tino il superamento della barriera coulombiana dell’atomo, gli urti sono elastici ela conservazione dell’energia e della quantità di moto permettono di determinare

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la seguente relazione:

E1

E0=

"q

M22 �M2

1sin2(✓) +M1cos(✓)

M1 +M2

#(2.6)

Essa lega l’energia del nucleo incidente E0 con l’energia del nucleo uscente E1 epertanto ci permette di correlare l’energia del nucleo rivelato a delle proprietà delcampione, nota l’energia E0 del fascio incidente. Si noti come il secondo membrodell’equazione (2.6) è una funzione monotona crescente della massa del bersaglio,ovvero più pesante è il bersaglio maggiore sarà l’energia delle particelle da essoscatterate. Riscrivendo l’equazione (2.6) in modo simbolico si definisce la costanteche lega le due energie con il nome k.

E1 = K[M1,M2,✓]E0 (2.7)

Entrambe le equazioni (2.6) e (2.7) sono state definite alla superficie del campione,ovvero per i soli nuclei superficiali, e per questa situazione sono esatte. Se si consi-dera che il fascio incidente interagisce anche con atomi interni, allora l’energia E0

varia man mano che si considerano interazioni sempre più in profondità, a causadi una perdita di energia a cui tutti gli ioni del fascio incidente sono sottoposti.La perdita di energia (P.E.), detta talvolta frenamento, è un fenomeno fisico chetiene conto di tre tipologie di processi: le collisioni con gli elettroni del solido degliioni del fascio, con gli stessi nuclei del materiale e processi di scambio di carica fraioni e atomi del materiale. Il termine principale dei precedenti è però l’interazionecon gli elettroni del solido, la quale costituisce di gran lunga il fenomeno princi-pale che dà luogo alla P.E. Questi fenomeni sono stati già ampiamente studiati edei modelli sono stati proposti: storicamente Bohr fu il primo ad approcciarsi alproblema, anche se si deve a Bethe una prima teoria di tipo quantistico. In seguitoi modelli furono ra�nati da Lindhard e Sharr↵. Attualmente sono però disponi-bili in rete dei database che raccolgono dei fitting di dati sperimentali sulla basedelle teorie precedentemente citate, i quali ci forniscono ottimi andamenti dellasezione d’urto di frenamento in funzione dell’energia per ioni di vario genere eatomi bersaglio di quasi tutta la tavola periodica. In particolare tabulazione perioni 4He++ sono complete per i nostri casi d’interesse.L’andamento descritto da questi dati in genere è riassumibile in due regimi: sipresenta una dipendenza della sezione d’urto di frenamento decrescente in ener-gia quando la velocità degli ioni è maggiore di quella degli elettroni e l’interazionepuò quindi essere considerata puramente a due corpi. Una dipendenza di tipolineare crescente della sezione d’urto è invece dominante quando le velocità degli

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ioni sono più basse e i processi di tipo collettivo di trasferimento di energia nonsono più trascurabili.Un velocità indicativa che ci permette di separare approssimativamente i dueregimi è data dalla velocità dell’elettrone secondo Bohr esprimibile come: V0 =e2

e~ ⇡ 2.19 108 cms

A questo punto possiamo quindi discutere l’interpretazione di uno spettroRBS: una prima analisi può derivare dalla semplice equazione (2.6), la quale cipermetterà di individuare in uno spettro RBS che tipo di atomi sono presenti allasuperficie del campione, nota la costante K della relativa specie atomica. Per ana-lizzare tutto lo spettro RBS è necessario tener conto anche delle perdite di energiadegli ioni del fascio che attraversano gli strati atomici a partire dalla superficiefino al loro punto di collisione con un nucleo del materiale.La variazione in energia del fascio incidente è calcolabile dalla seguente equazio-ne:

E1 = E0 � �E1 = E0 �Z x

0

dEdx

!dx (2.8)

dove E0 rappresenta l’energia del fascio prima di penetrare nel campione, mentre�E1 rappresenta la perdita di energia del fascio in entrata e dE

dx è lo StoppingPower caratteristico del materiale. Si considera a questo punto un urto elasticoalla profondità x nel materiale e quindi si può calcolare in modo analogo la perditadi energia che lo ione uscente avrà

E2 = KE1 � �E2 = KE1 �Z x

cos(✓)

0

dEdx

!dx (2.9)

L’angolo ✓ sarà l’angolo di backscattering individuabile come l’angolo a cui èposto il detector rispetto alla direzione del fascio incidente, ovvero l’angolo chegli ioni rilevati faranno.Per determinare quale sia lo Stopping Power del materiale (presente nelle dueequazioni precedenti) ci si può servire della regola di Bragg:

✏AxBy = x✏A + y✏B (2.10)

Dove:

✏ =1N

dEdx

!(2.11)

Utilizzando le equazioni (2.6) (2.9) (2.10) e le tabulazioni degli stopping poweralle varie energie per ogni specie atomica è possibile interpretare in modo correttoe univoco uno spettro RBS.

Tutte queste equazioni sono state implementate in un software di simulazione

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che è stato perfettamente interfacciato con il sistema di acquisizione RBS, in modotale che sia possibile importare ed eseguire delle simulazioni sugli spettri acquisiti.

Referenze della sezione: [30, 32, 56]

Il Channeling

Nella sezione precedente è stata discussa la tecnica RBS mostrando le equazioniche ci permettono di descrivere gli spettri che questa tecnica ci può fornire, ana-lizzando principalmente la dipendenza energetica degli ioni rilevati rispetto alleloro interazioni con il materiale in analisi. In tutta la trattazione però non si è maia↵rontato il tema di come gli ioni siano distribuiti nel materiale, o di come essopossa modificare la loro distribuzione. In particolare, nella trattazione vista finqui, il fascio incidente è supposto essere uniforme, o meglio è supposta una distri-buzione uniforme degli ioni nell’area del campione illuminata dal fascio a partiredalla superficie, fino in profondità. Come vedremo in seguito questa assunzionepuò essere vera, ma non rispecchia la totalità dei casi in esame.

La principale proprietà del materiale che causa questa deviazione dall’ipotesiiniziale è la sua cristallinità. Quando le particelle incidono parallelamente ad unpiano atomico o ad un asse, le particelle positive sentono un potenziale elettrosta-tico ordinato che le confina ad oscillare distanti dai nuclei stessi. Questo riducesostanzialmente l’interazione coulombiana e quindi i conteggi rilevati dal detec-tor. Il fenomeno risultante da questo incanalamento è quindi la diminuzione dellaprobabilità d’impatto degli ioni con i nuclei del cristallo e quindi la conseguentediminuzione del segnale di backscattering. In particolare il segnale diminuiràin modo non omogeneo: i primissimi strati superficiali daranno un segnale nonattenuato poiché essi vedranno ancora un profilo uniforme del fronte di ioni inci-denti, mentre dopo pochi layer atomici il segnale risulterà già attenuato. Questodarà luogo quindi al cosiddetto picco superficiale, che rappresenterà il segnaledei primissimi layer atomici del materiale cristallino.

I layer che saranno studiati in questo lavoro sono superficiali e quindi essi nonrisentiranno del fenomeno del channeling. Tale fenomeno sarà però sfruttato perdiminuire il fondo dato dal segnale bulk del germanio cristallino, permettendocicosì di velocizzare l’acquisizione a seguito del miglioramento del rapporto segna-le rumore che ne consegue, permettendoci di acquisire delle statistiche minori.Inoltre se avessimo un forte segnale di bulk, vi sarebbe l’insorgere del fenomenodel pile-up (due particelle di bassa energia che sono lette dall’elettronica come unaunica particella di energia maggiore) il quale creerebbe un fondo sul segnale dinostro interesse.

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Figura 2.1: Simulazione di due spettri RBS: la curva riportata in nero rappresenta l’an-damento di uno spettro in condizioni di channeling assiale per un campione di silicio,mentre la curva rossa in assenza di alcun fenomeno di channeling.

Come si può vedere nell’immagine (2.1), è riportato un caso di confronto di duespettri acquisiti in un caso in condizioni di channeling assiale mentre nel secondocaso no. Come si può vedere, le condizioni di channeling permettono di abbatterenotevolmente il segnale del bulk, facendo emergere sia il picco superficiale disilicio, ma anche il segnale dell’isotopo 29Si. Tutto questo ci permetterà quindidi poter rilevare anche segnali di elementi con masse minori del silicio (purchésiano presenti in quantità non estremamente esigue) senza ricorrere a statistichedi acquisizione estremamente lunghe.

Referenze della sezione: [33, 39]

Apparato sperimentale

L’acceleratore con il quale sono state acquisite tutte le misure RBS presenti inquesto lavoro è l’AN 2000 presente preso i Laboratori Nazionali di Legnaro del-l’INFN.Lo schema dell’apparato può essere semplicemente riassunto come segue:

1. Acceleratore e sistema da vuoto

2. Camera di scattering

3. Sistema di acquisizione e rilevazione

1) Esso è un acceleratore lineare Van de Graa↵ con energia massima paria circa 2 MeV. Possono essere accelerati sia ioni elio (di nostro interesse), sia

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protoni. Il sistema da vuoto è composto da svariate pompe scroll collegate apompe turbomolecolari per il vuoto a regime.

2) La camera di scattering è posta al termine di una linea nella quale è sta-to incanalato, focalizzato e selezionato il fascio. Essa si trova ad una pressionedi circa 10�6 torr e contiene i campioni montati in un goniometro motorizzatocontrollabile da remoto. Al suo esterno si trova tutta la relativa elettronica diacquisizione, collegata all’interno ed in particolare al detector. La camera è isolataelettricamente rispetto al resto del sistema poiché è utilizzata come gabbia di Fa-raday per poter misurare la corrente del fascio che incide nel campione, la qualeè una misura fondamentale per ottenere la carica incidente sul campione (Q). I

Figura 2.2: Goniometro motorizzato installato all’interno della camera da vuoto.

rilevatori sono montati in un sistema di movimentazione che permette di spostarliall’interno della camera per selezionare l’angolo di backscattering al quale e↵et-tuare le misure: in genere la configurazione utilizzata è di 170 o rispetto al fascioincidente. Essi sono sostanzialmente dei diodi polarizzati inversamente con unaampia zona di svuotamento (in genere qualche centinaio di micron) tali per cui leparticelle retroscatterate dal campione e incidenti nel detector possano creare cop-pie elettrone-lacuna (per ionizzazione) all’interno della zona di svuotamento inquantità proporzionale all’energia della particella incidente. Questi saranno poispostati da un campo elettrico all’interno del dispositivo e raccolti a due elettrodiopposti, producendo un impulso di carica che sarà poi convertito in impulso ditensione per essere poi amplificato e analizzato dalla catena elettronica di analisi.Questi rilevatori hanno una e�cienza elevatissima, quasi pari a 1, e necessitanodi una polarizzazione esterna che si aggira in un range tra 50 � 100V.

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3) Il segnale prodotto dal detector è in genere dato da una brusca salita segui-ta da una diminuzione esponenziale del segnale che in genere si aggira attornoa 10�10 � 10�5coulomb/impulso e pertanto deve essere amplificato da un primoelemento presente in camera chiamato Preamplificatore. Questo segnale è poi tra-sportato dalla camera di misura alla camera di controllo attraverso cavi coassiali:qui altri elementi di amplificazione e modifica del segnale sono presenti. Unelemento fondamentale è il Main-Amplifier il quale oltre ad amplificare il segnale,converte il segnale da una forma a dente di sega ad un onda gaussiana conser-vando però l’informazione temporale e l’informazione di carica (data dalla salitadel segnale a dente di sega). Seguono poi altri elementi della catena elettronicariassumibili in una sezione dedicata all’associazione di ciascun segnale in inputad un particolare canale di ampiezza, un dispositivo di integrazione o accumulodi dati che permette di sommare il numero di conteggi per canale e quindi per-mette l’acquisizione e la memorizzazione dei segnali. Infine vi è un software cheessendo collegato al sistema elettronico permette di visualizzare i dati raccolti edi movimentare da remoto le varie componenti del goniometro e detector.

Tutto ciò ci permette quindi di poter ottenere uno spettro RBS dove ad ognicanale è legato un numero di conteggi normalizzati alle decine di micro-coulombdi carica incidente. Tramite degli standard sarà poi possibile tramutare lo spettroin canali in uno spettro in energia, ma anche sarà possibile tarare l’angolo solido,in modo da poter e↵ettuare misure quantitative sui campioni in analisi.

2.2 NRA: Nuclear Reaction Analysis

Questa particolare tecnica di analisi è stata utilizzata per determinare la dose difosforo in campioni di germanio, poiché la tecnica RBS non è su�cientementesensibile per questo tipo di campioni. Avendo il germanio una massa atomicasuperiore al fosforo, il segnale del substrato di germanio si sovrapporrebbe conil picco del fosforo, rendendolo di fatto non misurabile anche in condizioni dichanneling.

La tecnica NRA consiste nel bombardamento di campioni con ioni molto ener-getici in modo tale da superare la barriera coulombiana della specie in esame,innescando una reazione nucleare con il nucleo bersaglio. Nel nostro caso specifi-co, le energie necessarie per attivare la reazione che studieremo sul P si aggiranoattorno a 5 MeV. Questo range di energia per particelle alfa non è comunementedisponibile per molte facility e pertanto questo tipo di analisi non è di così largouso. Presso i laboratori INFN di Legnaro è però presente un secondo acceleratore(CN) che raggiunge 6 MeV e permette pertanto di sfruttare tale tecnica che risultaessere molto simile alla tecnica RBS nel set-up sperimentale già citato.

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La simbologia usata per l’individuazione di una reazione nucleare è riportatadi seguito:

a + X! b + Y() X(a, b)Y (2.12)

dove X è la specie target, a è il nucleo incidente, mentre b e Y sono rispettivamenteil prodotto di reazione emesso (ciò che riveleremo come segnale di reazione) e lanuova specie creata.La reazione che andremo a realizzare è la 31P(↵, p)33S. Alla luce della simbologiariportata nell’equazione (2.12), essa può essere scritta in modo esteso come segue:

↵ + 31P ! p + 33S() 31P(↵, p)33S (2.13)

Le particelle ↵ andranno a reagire con il fosforo 31 formando un nucleo instabileche decadrà emettendo un protone e così formando un atomo di zolfo 33 (speciestabile). La probabilità che questo processo avvenga è proporzionale alla sezioned’urto della reazione nucleare. L’equazione (2.1) e la conseguente (2.2) sono ancoravalide, ad eccezione di considerare la sezione d’urto non più di tipo Rutherford,ma di tipo nucleare. Le sezioni d’urto di numerosissime reazioni sono disponibiliin database basati su dati sperimentali e interpolazioni teoriche, come anche nelcaso da noi in esame.

La sezione d’urto dell’interazione delle particelle alfa con il 31P nell’intornodei 5 MeV è riportato in figura (2.3) [46]. Come si può notare l’andamento è

Figura 2.3: Andamento della sezione d’urto di↵erenziale della reazione nucleare31P(↵, p)33S.

tutt’altro che monotono poiché è costituito da varie risonanze dovute a diversilivelli energetici nucleari. Per i nostri scopi è stata preliminarmente selezionata

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una risonanza il più possibile separata dalle altre, al fine di semplificare l’analisi.É chiaro dallo spettro riportato che un buon picco di risonanza è quello presente acirca 5MeV: esso infatti è su�cientemente stretto, presenta un unico massimo, e lasezione d’urto è tra le più alte dello spettro (in modo che il segnale sia il più intensopossibile). La risonanza è stata individuata ad una energia di macchina pari a circa5074 KeV, al di sopra dell’energia del fascio atteso a causa di una staratura dellamacchina. Il picco prescelto presenta una larghezza della campana di risonanzadi circa 9 KeV, su�cientemente stretto per scopi analitici.

I campioni che dovranno essere analizzati presentano tutti un monolayer su-perficiale contenente fosforo e pertanto possono essere considerati dei � layersuperficiali di fosforo, considerazione che ci permetterà una analisi facilitata deidati; infatti la conoscenza a priori della profondità della specie analita ci permettedi trascurare un importante fenomeno legato a queste misure, ovvero lo straggling.La risoluzione in profondità di questa tecnica è data in generale dalla seguenteformula:

�x =

q�E2

beam + �2 +⌦2

Bhor

dE/dx(2.14)

dove �Ebeam è l’energy spread del fascio incidente (per i nostri casi trascurabilerispetto agli altri termini additivi, stimato minore di 1 KeV), � rappresenta lalarghezza della risonanza in esame e⌦Bhor rappresenta lo straggling delle particelleincidenti. Questo ultimo termine deriva dall’omonimo fenomeno, che agisce suioni carichi incidenti in un materiale apportando un allargamento in energia delfascio incidente; esso è legato alla fluttuazione statistica del numero di collisioni[29] ed è stato modellizzato in quattro di↵erenti teorie, ognuna caratterizzata dalladescrizione di un ben determinato regime di perdita di energia [28]. Per il casoin esame, la teoria sviluppata da Bhor è applicabile al nostro caso e descrive ilfenomeno dello straggling trattandolo appunto come un fenomeno statistico ecalcolando la varianza del numero di collisioni di una particella carica passanteper un materiale:

⌦Bhor =q

0, 26 Z21 Z2 N t 1018 [KeV] (2.15)

dove N è la densità volumetrica espressa in atcm3 e t è lo spessore del materiale

attraversato dal fascio. Dato che lo spessore da cui deriva il segnale della reazionenucleare con il fosforo è localizzato in un layer estremamente piccolo, il fenomenodello straggling è sicuramente trascurabile, vista la sua dipendenza dallo spessoret attraversato dal fascio. Pertanto la forma della campana di risonanza che andre-mo a registrare in questo esperimento sarà in prima approssimazione puramentedi tipo Lorenziano, dato che il fenomeno dello straggling non deformerà questadistribuzione sensibilmente.

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Figura 2.4: Variazione della forma della distribuzione al variare della profondità delfascio incidente a causa del fenomeno dello straggling [28].

Appurato che il fenomeno dello straggling è trascurabile in questi esperimentie che i campioni analizzati presenteranno fosforo solo in superficie, occorre oraanalizzare come avverrà la sua quantificazione superficiale. L’informazione chedovrà essere acquisita durante l’esperimento sarà data da una serie di intensità (odi conteggi) di protoni uscenti dal materiale a seguito della reazione 31P(↵, p)33S, iquali saranno acquisiti a varie energie del fascio incidente per ogni campione, inmodo da poter spostare la risonanza della reazione sempre più in profondità nelcampione e quindi fino a sondare tutto il fosforo presente. L’intensità di questisegnali, nota la loro distribuzione, sarà quindi proporzionale alla quantità difosforo presente in superficie e pertanto saranno confrontabili tra loro. Occorreràpertanto acquisire anche un campione standard, che nel nostro caso sarà uncampione di InP bulk. Questo campione si presta ad essere un ottimo standardper la misura in corso poiché è un campione dove la stechiometria è garantita dallasua natura In:P ed è pari a 50:50 in tutto il suo volume. Per esso saranno acquisitidegli spettri in condizioni di Random Rotante in un intervallo di energie simile aquello utilizzato per i campioni analizzati, in modo da poter spostare la risonanzadella reazione dalla superficie fino al bulk del campione. In questo caso peròla forma della distribuzione delle intensità del segnale p derivante dal campionenon sarà più una lorenziana, come nel caso di una presenza a � layer di fosforo, mabensì avrà una forma pari alla somma di lorenziane, data la presenza di fosforouniforme a partire dalla superficie fino al bulk. Pertanto lo spettro presenterà unasalita in corrispondenza della risonanza di superficie e poi seguirà idealmente unplateau dovuto alla distribuzione omogenea in profondità del fosforo all’internodel materiale. Oltre a fornirci la posizione in energia del fascio della risonanzasuperficiale, esso sarà utilizzato come standard poiché, data la relazione integralecon la distribuzione del segnale derivante dai campioni, grazie ad un fit globale di

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questo campione con gli altri, sarà possibile stimare in modo assoluto la quantitàdi fosforo presente.

Il primo step di analisi dati consiste nell’esplicitare la relazione che lega ilsegnale superficiale dei campioni con il segnale del riferimento InP. Come intro-dotto precedentemente, il segnale dei campioni è di tipo lorenziano e pertanto èpossibile scrivere che:

YQ= ⌥�cL(x)Dp = ⌥�c

!!2 + 4(x � xc)2 Dp (2.16)

dove YQ rappresenta il numero di conteggi normalizzato alla carica del fascio

incidente, �c rappresenta la sezione d’urto della reazione, ⌥ l’angolo solido, Dp

la dose di fosforo presente e poi le ulteriori variabili rappresentano la formalorenziana del segnale L(x) in funzione dell’energia del fascio x. La variabile !rappresenta la larghezza a metà altezza della lorenziana, mentre xc rappresentala posizione del picco, espresso in energia.Il segnale dell’InP è esprimibile come:

YQ=⌥�c

✏InP

Z 1

0L(x) dDp (2.17)

dove ✏InP indica la perdita di energia dell’InP all’energia del fascio presa in esame.Da un punto di vista sperimentale, per poter rivelare i segnali dei protoni, sono

stati installati all’interno della camera da vuoto due rivelatori, uno dedicato per larilevazione dei segnali derivanti dalla reazione nucleare, con diametro di 300 mm2,e quindi con alta accettanza angolare, avente un foglio di mylar posto sul frontealla fine di tagliare la componente elastica non d’interesse; il secondo detectorinvece è a bassa accettanza angolare e posto in condizioni di backscattering, eregistrerà principalmente i segnali elastici, acquisendo di fatto uno spettro RBS.

2.3 XPS: X-Ray Photoelectron Spectroscopy

La spettroscopia fotoelettronica è una tecnica di analisi chimica di materiali allostato solido: essa si basa sull’analisi dell’energia di elettroni secondari emessida un materiale a seguito di una eccitazione promossa da fotoni di energia nelrange dei raggi X. Questa tecnica permette di ricavare informazioni riguardo altipo, la quantità e lo stato di ossidazione di elementi presenti nei primi nanometrisuperficiali di un materiale.La fotoemissione può essere riassunta in tre step principali: in primo luogo i raggiX incidenti interagiscono con le shell elettroniche del solido generando sia deifotoelettroni emessi per e↵etto fotoelettrico, sia degli elettroni emessi per e↵etto

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Auger. Parte di questi elettroni riuscirà ad uscire dal materiale e ad essere emessanel vuoto della camera dello strumento, assieme ad una componente rumorosa,generata a causa di processi di scattering anaelastico a cui gli elettroni hanno presoparte nel percorso di uscita dal materiale. Pertanto l’informazione principale chela tecnica ci fornirà sarà l’energia cinetica degli elettroni emessi dal materiale cheè analizzata tramite un "electron energy analyzer ", in particolare un analizzatoreconcentrico semisferico.L’energia del legame tra l’elettrone di core fotoemesso e l’atomo a cui era legato,detta "Binding Energy" Eb, è ricostruibile grazie alla seguente equazione:

Ekin = h⌫ � Eb ��S � (�A ��S) = h⌫ � Eb ��A (2.18)

che semplificando ed esplicitando la Binding Energy:

Eb = h⌫ � Ekin ��S (2.19)

dove Ekin è l’energia cintetica dell’elettrone fotoemesso, h⌫ è l’energia del fotoneincidente e�A e�S sono rispettivamente le funzioni lavoro dell’analizzatore e delcampione.L’equazione (2.18) rispecchia il processo di generazione e di emissione dell’elettro-ne descritto in precedenza, tenendo conto che l’energia fornita dal fotone di↵erisceda quella rilevata dall’analizzatore non solo per l’energia di legame dell’elettrone,ma anche per la funzione lavoro dell’analizzatore e del campione (termine che sielide).Tenendo conto che la funzione lavoro dell’analizzatore è determinabile sperimen-talmente tramite un campione di riferimento, l’unica quantità da determinare perogni esperimento è l’energia cinetica dell’elettrone fotoemesso, dato che l’energiadel fotone incidente è nota. Lo strumento in utilizzo infatti monta due sorgenti peri raggi X: esse sono le linee di emissione MgK↵ (con energia pari a h⌫ = 1253.6 eV,con larghezza di picco di 0.70 eV) e AlK↵ (con energia pari a h⌫ = 1486.6 eV, conlarghezza di picco di 0.85 eV).

Gli elettroni che sono analizzati hanno una "Binding Energy" pari a pochecentinaia di eV e pertanto non possono penetrare un solido per lunghi cammini acausa della loro perdita di energia, che è descrivibile tramite il loro "Inelastic meanfree path". 2 Questo comporta che gli elettroni che emergeranno dalla superficiedel campione proverranno da strati vicini alla superficie e che il segnale rivelatosarà composto per la maggior parte da componenti di superficie. L’intensità delsegnale uscente decade esponenzialmente con la profondità da cui è stato emesso,

2abbr. IMFP, è definito come la distanza media che un elettrone percorre prima di e↵ettuareun urto dove esso perda energia.

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seguendo in prima approssimazione una curva di attenuazione del tipo:

IS = I0e�d� (2.20)

dove I0 rappresenta l’intensità di emissione da un punto posto ad una distanza ddalla superficie del campione e IS rappresenta l’intensità attenuata con cui l’elet-trone uscirà dalla superficie. Dato che � (Inelastic mean free path) per un elettronein un solido formato da una sorgente AlK↵ è pari a 1 � 3.5 nm, i segnali rivelatipossono peratanto essere considerati provenire da una profondità massima di cir-ca 10� 20 nm. Questi parametri fondamentali per l’interpretazione di uno spettroXPS sono già stati studiati e tabulati e al giorno d’oggi sono disponibili valori dicorrezione alla curva di Seah-Dench, ritenuta la curva universale che descrivevala lunghezza di attenuazione come funzione della sola energia degli elettroni edella distanza interatomica del materiale in esame. Oggi si è dimostrato che que-sti dati non sono del tutto corretti e nel software di analisi che verrà usato, questecorrezioni sono già implementate.

La principale caratteristica della tecnica però risiede, oltre che nella spiccatasensibilità superficiale, nella discriminazione della specie atomica in analisi e dellospecifico stato chimico. Vi è infatti una dipendenza tra l’energia di legame Eb e lostato chimico di una specie atomica, la quale è visibile come uno shift in energiadell’elettrone: questo è detto Chemical Shift. Esso può essere qualitativamenteattribuito ad una modifica dell’interazione elettrostatica tra nuclei e gli elettroni dicore, modificata a causa di una variazione della carica elettronica presente attornoad una specie o alla variazione dello schermaggio nucleare dovuto sempre ad unamodifica della nuvola elettronica. Un aumento di carica negativa (elettronica)comporta una diminuzione della Binding Energy (Eb), mentre una diminuzionedi carica comporta un aumento della Eb.Nella maggior parte dei casi il Chemical Shift è visibile nello spettro tramiteuna deconvoluzione di picchi asimmetrici che nascondono in essi vari contributidovuti alla stessa specie atomica presente in diversi stati di ossidazione: essipossono essere ricostruiti grazie ad una accurata analisi dati, che in genere èbasata anche su dati di letteratura. Importanti informazioni possono quindiessere ricavate confrontando le di↵erenti aree dei picchi di fotoemissione passandoattraverso le sezioni d’urto per i diversi orbitali delle specie analizzate.

Per poter attuare una analisi quantitativa da uno spettro XPS occorre peròanalizzare ogni aspetto del segnale registrato, a partire dalla formula principaleche descrive il segnale XPS in funzione di vari parametri:

IA,i,em =�⌦

4⇡

Z 1

0Ih⌫(↵, z)�A,iWA,i(�A,i, )Na(z)exp

� z�m,E(A,i)cos(✓)

�dz (2.21)

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Dall’ equazione (2.23) si evince quindi che il segnale acquisito in un angolo solido�⌦ è proporzionale all’intensità della radiazione indicente I all’energia h⌫ (la qua-le dipende dalla profondità a cui il segnale è generato e all’angolo di incidenzadel fascio rispetto al campione), alla sezione d’urto totale di ionizzazione dellasub-shell i-esima della specie A in esame, alla densità atomica della specia NA edal fattore angolare di asimmetria WA,i (il quale dipende dalla shell in considera-zione, dall’angolo tra raggi X incidenti e l’asse del rivelatore). Il tutto è integratolungo la profondità del campione z e in particolare pesato da un termine esponen-ziale di smorzamento del segnale: esso tiene conto dell’assorbimento del segnaleelettronico in uscita, in particolare dello scattering elettronico elastico e inelasticolungo il cammino d’uscita dell’elettrone. La grandezza caratteristica che deter-mina lo smorzamento del segnale è �m,E(A,i) che è chiamata "e↵ective attenuationlenght" (EAL), la quale tiene conto sia di fenomeni analelastici di scattering (checomportano l’e↵ettiva perdita di segnale a favore del fondo), sia dello scatteringelastico elettronico che modificando il percorso elettronico, aumenta la probabilitàdi scattering anaelastico di fattori percentuali non del tutto trascurabili (dal 15 al20 % in media).La dipendenza espressa nell’equazione (2.23) appare complessa, ma alcune con-siderazioni e accorgimenti sperimentali permettono di semplificare l’espressione.In primo luogo in caso di incidenza radente del fascio X, la sua intensità può essereconsiderata con buona approssimazione costante entro lo spessore non attenuatodal fattore esponenziale, così da poter considerare Ih⌫ costante rispetto z. Il fattoreangolare di asimmetria WA,i(�A,i, ) invece può essere esplicitato dalla seguenterelazione:

WA,i(�A,i, ) = 1 +12�A,i

✓32

sin2( ) � 1◆= 1 + �A,i

14

✓1 � 3cos2( )

◆(2.22)

Grazie alla conoscenza dell’angolo dato dalla configurazione dell’apparato èquindi possibile risalire al valore di W attraverso il parametro di asimmetria �A,i, ilquale è legato al numero quantico di momento angolare l della specie A in esame.Ad esempio, in caso si considerasse un orbitale s (l = 0), �A,s = 2 = costante; pergli altri casi invece il valore si trova riportato in letteratura o in database on-linedi pubblico dominio (NIST).A questo punto possiamo riscrivere l’equazione (2.23) per un caso particolare,ovvero per un materiale omogeneo: se i raggi X incidono radenti al campione edesso è omogeneo, l’equazione dell’intensità del segnale è:

IA,i,em =�⌦

4⇡Ih⌫(↵, z)�A,iWA,i(�A,i, )

Z 1

0Na(z)exp

� z�m,E(A,i)cos(✓)

�dz (2.23)

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L’analisi quantitativa dei picchi XPS sarà condotta sulla base di un confrontodelle aree dei picchi rilevati sperimentalmente. La concentrazione atomica dellaspecie i-esima Ci può essere determinata grazie alla seguente relazione:

Ci =

IiSi

Pj

Ij

Sj

(2.24)

dove Ii sono le intensità dei picchi dei fotoelettroni della specie i-esima, mentre Si

sono detti "Fattori di Sensibilità". Essi sono esprimibili come:

Si = K

d�d⌦

!

i(KE)

⇤KE (2.25)

I "Fattori di Sensibilità" possono quindi essere considerati come i fattori che ri-scalano le aree di diversi picchi XPS, normalizzandoli rispetto alla sezione d’urtodi↵erenziale di fotoemissione

⇣d�d⌦

⌘i(KE)

, al cammino libero medio elettronico ine-lastico (legato all’attenuazione del segnale già considerata in precedenza, che difatto normalizza l’intensità alla diversa profondità da cui arriva il segnale anchein funzione dell’energia) e ad una costante K data dalla geometria del sistemasperimentale. Grazie quindi alle equazioni (2.24) e (2.25) e ai database contenentile sezioni d’urto di fotoemissione, legate alle sezioni d’urto di↵erenziali [58] co-me descritto in equazione (2.26), si può e↵ettuare una analisi quantitativa dellasuperficie del campione.

d�d⌦

!=�(KE)

4⇡

"1 � 1

2�nl(KE)

✓32

cos2(↵) � 12

◆#(2.26)

Referenze della sezione: [24]

2.4 Misure elettriche Van der Pauw

La caratterizzazione elettrica di un semiconduttore drogato a seguito di un pro-cesso di di↵usione non è particolarmente agevole: è infatti necessario misurare leproprietà elettriche del solo strato drogato superficiale, non prendendo in consi-derazione il bulk sottostante. Una tra le tecniche più semplici e dirette è la misuraa quattro punte Van der Pauw, la quale permette, attraverso l’applicazione di unacorrente tra due punte metalliche appoggiate alla superficie drogata del semicon-duttore, di misurare delle tensioni ai capi di altri due elettrodi. In questo modopossono essere fatte, con la stessa strumentazione, sia misure elettriche di resisti-vità di strato, sia misure del coe�ciente di Hall RH, con l’applicazione aggiuntiva

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di un campo magnetico statico B. Le punte metalliche, una volta appoggiate ilquanto più vicine agli angoli dei campioni di forma quadrata, penetreranno qual-che nanometro nella superficie del campione e inietteranno nel materiale dellecariche elettriche le quali, in presenza di strati conduttivi e/o non si muoverannoe saranno prelevate da un’altra punta.Le principali caratteristiche che deve avere il campione per questo tipo di misuresono:

• Campione con una superficie piatta pulita e senza buchi

• Campione isotropo e omogeneo

• I contatti devono essere posti negli angoli del campione

• L’area di contatto tra punta e semiconduttore deve essere almeno un ordinedi grandezza più piccolo del campione stesso

La prima misura che in genere si acquisisce è una curva V, I di ogni coppia dipunte, in modo da poter caratterizzare ogni giunzione metallo/semiconduttore.A seconda della forma della curva si potrà dedurre che tipo di giunzione la puntaabbia fatto con il semiconduttore e quindi avere già una prima informazionegenerale di misura. In caso l’andamento sia una retta questo può denotare uncontatto di tipo ohmico tra il metallo e il semiconduttore oppure nel caso sivisualizzi una curva a sigmoide, il contatto sarà non rettificante denotando unagiunzione tipo Schottky. Per e↵ettuare delle buone misure è desiderabile che ilcontatto sia ohmico, ovvero che la curva sia quanto più simile ad una retta.

2.4.1 Misura di resistenza di strato

In assenza di campo magnetico è possibile misurare la resistenza di strato Rs

applicando una corrente tra due elettrodi e misurando la tensione ai capi dell’altracoppia di elettrodi paralleli: la misura sarà ripetuta per tutte le configurazionipossibili, in modo da mediare eventuali imperfezioni in genere sempre presentisu campioni drogati. La resistenza di strato Rs rappresenta la resistenza di un filmsottile normalizzata alle sue dimensioni. Essa la si può esprimere come:

R = Rslunghezza f ilmlarghezza f ilm

(2.27)

oppure dal punto di vista microscopico è definibile anche:

Rs =1

qNdµx(2.28)

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Figura 2.5: Geometria della misura VdP di resistenza di strato in un campione di formacloverleaf. [44]

Nel caso in cui il film sia quadrato con dimensioni di 1cm x 1cm, l’unità di misuradella Rs è semplicemente ⌦

sq. , dove square (sq) è una unità di misura di fattofittizia.La resistività di strato è ricavabile tramite le misure elettriche con la seguenteformula:

⇢ = tR1 + R2

2= tRs (2.29)

dove t rappresenta lo spessore e la media di R1 e R2 ci darà la Rs, la resistenza distrato. Essa è calcolata sperimentalmente come segue:

R1 = Cr + F1⇡

ln2R0 + R2 + R4 + R6

4(2.30)

R2 = Cr + F2⇡

ln2R8 + R10 + R12 + R14

4(2.31)

Dove le Ri rappresentano le misure di resistenza fatte alternando le 8 possibiliconfigurazioni possibili (sempre facendo passare la corrente tra due elettrodi emisurando la tensione negli altri due elettrodi paralleli non incrociati).

R0 =V+43,12 � V�43,12

I+12 � I�12(2.32)

R2 =V+34,12 � V�34,12

I+21 � I�21(2.33)

R4 =V+14,23 � V�14,23

I+23 � I�23(2.34)

R6 =V+41,32 � V�41,32

I+32 � I�32(2.35)

R8 =V+21,34 � V�21,34

I+34 � I�34(2.36)

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R10 =V+12,43 � V�12,43

I+43 � I�43(2.37)

R12 =V+23,14 � V�23,14

I+14 � I�14(2.38)

R14 =V+32,41 � V�32,41

I+41 � I�41(2.39)

Le equazioni (2.30), (2.31) ci permettono anche di mediare varie misure di resi-stenza di strato e correggerle per un fattore geometrico Cr (a seconda della formadel campione) e per un fattore F1 e F2 di correzione per la forma non perfettamentequadrangolare delle punte. Questi ultimi sono calcolati nel seguente modo:

F1 = 1 �

A � BA + B

!2ln22�

A � BA + B

!4 (ln2)2

4� (ln2)3

12

!(2.40)

F2 = 1 �

C �DC +D

!2ln22�

C �DC +D

!4 (ln2)2

4� (ln2)3

12

!(2.41)

dove A,B,C,D sono A = R[0] + R[2], B = R[4] + R[6], C = R[8] + R[10] e D =R[12] + R[14].

2.4.2 Misura del coe�ciente di Hall

Con l’applicazione di un campo magnetico ortogonale al piano conduttivo è pos-sibile e↵ettuare misure di tipo Hall sul campione: queste misure sono e↵ettuateapplicando una corrente a punte diagonalmente opposte tra loro e misurando latensione tra le punte poste lungo l’altra diagonale. Infatti, in seguito all’applica-zione del campo magnetico, per e↵etto della forza di Lorentz (FL = q~Vx~B) avvieneuna deviazione della corrente con conseguente accumulo di portatori di carica,i quali danno vita alla tensione di Hall. Questo tipo di misura ci permetterà diottenere importanti informazioni come una stima sulla densità di portatori ns, laloro mobilità µ e il loro segno. Questi dati sono fondamentali per poter capirese il drogaggio è presente, di che tipo è (n,p cambierà il segno della tensione diHall), avere una prima stima dell’attivazione e delle quantità presenti (densitàdi portatori) e avere info sulla mobilità, parametro importante della conduzionedello strato.Il coe�ciente di Hall è definito come:

RH =VHtIB

(2.42)

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Figura 2.6: Geometria per la misura della tensione di Hall. [44]

dove VH è la tensione di Hall, t è lo spessore del film, I è la corrente di portatorie B è il campo magnetico applicato ortogonalmente al piano di conduzione. Dalpunto di vista sperimentale la formula per la misura del coe�ciente di Hall èla stessa, soltanto che la grandezza che si considererà sarà il coe�ciente di Hallfratto lo spessore, poiché quest’ultima quantità non è conosciuta a priori. Pertantoè conveniente definire:

RHS =VH

IB=

RH

t(2.43)

Dal punto di vista operativo anche la misura Hall presenta varie configurazionipossibili, alla stregua del caso resistivo, e pertanto saranno fatte varie misurecambiando gli elettrodi tra le varie configurazioni possibili. Pertanto il coe�cientedi Hall al netto dello spessore è ricavabile tramite:

< RHS >=RHA+

s + RHB+s + RHA�

s + RHB�s

4(2.44)

Dove I vari RHs sono i coe�cienti di Hall corretti con un coe�ciente di correzionegeometrico CH per il caso Hall (dovuto alla dimensione finita dei contatti e alladistanza delle punte dai vertici) derivanti da varie misure ottenute modificandole punte su cui far passare corrente (configurazioni A,B) e invertendo il campomagnetico (configurazioni + e - relative al segno del campo magnetico applicato).

RHA+s = CH 104

V+42,13�V�42,132I13

B[T](2.45)

RHB+s = CH 104

V+13,24�V�13,242I24

B[T](2.46)

RHA�s = CH 104

V+42,13�V�42,132I13

B[T](2.47)

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RHB�s = CH 104

V+13,24�V�13,242I24

B[T](2.48)

In questo caso il segno posto sui potenziali indica il verso del potenziale applicato,mentre il segno associato alle lettere A,B indica il segno del campo magnetico acui fa riferimento la formula. Il fattore 104 è inserito soltanto per esprimere le areein cm2.Di conseguenza, avendo calcolato la resistenza di strato Rs e il fattore di Hallnormalizzato allo spessore RHs, si può calcolare la densità di portatori liberi (alnetto dello spessore) tramite:

ns =1

RHs e(2.49)

Per avere la densità di portatori basterà dividere il valore ns per lo spessore.

n =ns

t(2.50)

La mobilità dei portatori può essere calcolata direttamente dalle quantità notetramite:

µ =RHs

Rs(2.51)

Apparato Strumentale

Le misure che saranno condotte saranno gestite da un software collegato ad unsistema Keithley che a sua volta è collegato al vano per misure elettriche tramitecavi coassiali, in modo che ad ogni cavo sia collegata una punta metallica che saràposizionata sulla superficie del campione in una geometria quadrata. In questomodo sarà possibile gestire le misure impostando una corrente desiderata e misu-rando le grandezze fisiche d’interesse, attraverso misure di tensione ai capi dellepunte metalliche. Come già riportato nella sezione introduttiva, saranno condottecon questo dispositivo misure di resistenza di strato Rs, misure di mobilità elet-trica µ e di densità di portatori n, attraverso il passaggio di una corrente tra duepunte e con la rivelazione della tensione nelle altre due punte: grazie al controlloautomatico e all’applicazione di un campo magnetico ortogonale al campione,sarà possibile in breve tempo caratterizzare un campione, grazie ad un sistemaswitcher che modificherà il percorso della corrente tra le punte, utilizzando unconfigurazione a croce o parallela per il passaggio della corrente a seconda deltipo di misura in corso.A causa della sensibilità superficiale di questa tecnica, essa deve necessariamenteprecedere altre analisi distruttive, al fine di non alterare i percorsi conduttivi su-perficiali dei campioni: solo grazie ad una omogeneità superficiale di drogaggioe all’assenza di difetti macroscopici, sarà possibile condurre una misura elettrica

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Figura 2.7: Apparato per misure Van der Pauw.

soddisfacente. Di seguito si riporteranno delle informazioni aggiuntive utili acomprendere il protocollo di misura usato e l’interpretazione delle misure e↵et-tuate, che andranno a completare e a specificare le informazioni già descritte suquesta tecnica nella sezione introduttiva.

Referenze della sezione misure elettriche: [1, 11, 37, 42]

2.5 SIMS: Secondary Ion Mass Spectrometry

La tecnica SIMS è una tecnica distruttiva basata sull’analisi di ioni emessi dal ma-teriale in analisi a causa di una erosione controllata e indotta via sputtering. Gliioni secondari uscenti dal campione sono in genere solo il 2% del materiale erosoe questi sono accelerati ed inviati ad uno spettrometro di massa per selezionareun particolare ione d’interesse che sarà analizzato dal detector posto a valle delsistema. Questa tecnica si presta alla rilevazione di impurezze presenti in unamatrice anche in quantità molto esigue, dell’ordine di parti per milione (ppm) oparti per miliardo (ppb).Lo strumento utilizzato in questo lavoro di tesi è un Cameca IMS 4f sito presso ilDipartimento di Fisica e Astronomia, il quale permette di analizzare praticamentequalsiasi elemento della tavola periodica in matrice solida di qualsiasi composi-zione.Lo schema dello strumento è riportato in figura (2.8) e presenta in alto a sinistra

le sorgenti per gli ioni primari, in particolare per lo strumento da noi un usopuò avvalersi di due sorgenti di ioni primari di ossigeno O+2 e cesio 133Cs+. Lascelta di quale di essi utilizzare è principalmente legata al massimizzare la resa

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Figura 2.8: Schema generale Cameca ims 4/5f secondary ion microscope spectrometer.

dello ione secondario selezionato e nell’evitare e↵etti matrice indesiderati. Perle nostre analisi sarà usato un fascio di O+2 . Gli ioni primari sono accelerati dauna di↵erenza di potenziale di qualche migliaio di volt (keV) e focalizzati tramiteun sistema di lenti fino a formare un pennello di ioni di diametro pari a qualchedecina di µm.Gli ioni primari utilizzati per erodere il campione devono avere una energia con-trollata e devono essere fatti incidere in un’area ben definita: per questo gli ioniprimari sono focalizzati e attraverso un complesso sistema di lenti e sono deviatia piacimento sul campione. Le misure che sono state condotte, sono e↵ettuate inrastering, ovvero con una erosione uniforme dovuta al continuo movimento del"pennello" di ioni primari su un’area ben precisa: in questo modo l’informazioneottenuta è mediata sull’area di rastering di dimensioni e geometria controllate.L’erosione dovrà essere garantita attraverso un’energia cinetica su�ciente degliioni incidenti, ma non dovrà essere troppo veloce, pena la diminuzione della ri-soluzione della tecnica: maggiore sarà la velocità di erosione, maggiore sarà lospessore da cui provengono gli ioni, peggiorando quindi la risoluzione in spesso-re stessa.Gli ioni secondari sono in seguito accelerati e portati all’interno dell’electrostaticsector analyser (ESA) tramite una slitta in entrata (Sin) e una slitta in uscita (SE) laquale permette di far emergere dal sistema di selezione soltanto gli ioni aventi unaben determinata energia cinetica. Soltanto questa parte di ioni sarà rifocalizzata efatta entrare nel secondo selettore di ioni chiamato magnetic sector analyser (MSA)il quale, accoppiato alla slitta in uscita Sout, selezionerà un solo particolare tipo

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di ioni che saranno analizzati al detector (fotomoltiplicatore (PM) o Faraday cup(FC)) o inviati ad una telecamera per formare un’immagine ionica del campione.[60]Gli ioni secondari uscenti dal campione sono anch’essi accelerati dalla di↵erenzadi potenziale tra il campione da cui provengono e da un elettrodo posto a massadistante dal campione 4.5 mm: in questo modo solo gli ioni aventi un ben deter-minato segno sono accelerati, selezionando così il segno degli ioni da analizzare.Per questo tipo di tecnica è possibile scrivere un’equazione generale detta Equa-zione di base del SIMS:

N±s (Z,M) = NpYtot C(z)am(z) ↵±(z) f ±(z) (2.52)

L’equazione (2.52) riporta la dipendenza diretta del segnale rilevato N±s (Z,M)(ovvero numero totale di ioni secondari rilevati di massa M e di carica ±) da:

• il numero di ioni primari accelerati fatti incidere nel campione Np

• la resa di sputtering Ytot, ovvero il numero di atomi emersi per ione primarioincidente

• la concentrazione relativa dello ione in analisi c(z)

• l’abbondanza isotopica dello ione analizzato aM(z)

• la probabilità dello stato di carica dell’elemento z (legato alla probabilità diionizzazione) ↵±(z)

• trasmittanza dello spettrometro f ±(z)

La dipendenza dalle ultime due grandezze sopracitate sarà tolta grazie alla misuradi uno standard noto (calibrazione della misura) eseguita nelle stesse condizionioperative di misura (in modo da eliminare minimizzare eventuali fonti di errorisistematici), mentre le altre dipendenze saranno di fatto le informazioni intrin-seche nella misura che sarà e↵ettuata. In particolare, si può esprimere il valorefinale rilevato come:

CMz (z) =

Npms (Z,M, t)�t

Ap(z�t)⌧u(Z,M)(2.53)

L’equazione (2.53) ci mostra come la misura SIMS della concentrazione in funzionedella profondità sia data dal conteggio degli ioni secondari di un ben determinatoione nel tempo, ma anche dalle normalizzazioni rispetto all’area di sputtering Ap,dalla resa utile (data dalla misura di standard ⌧u(Z,M) = ↵±(z) f ±(z)) e dalla ratedi sputtering.

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L’accuratezza delle misure in concentrazione e↵ettuate con questa tecnica sonostimabili essere inferiori il 10%, ottenute tramite una misura di uno standard peril passaggio da una scala in conteggi al secondo ad una concentrazione, comegià detto in precedenza. L’errore associato alla profondità deriva invece da unaconversione dello spettro ottenuto in funzione del tempo e tramutato in profonditàmediante una misura del cratere creato con un profilometro: l’errore finale associatoa z è legato alla velocità di sputtering ed è tipicamente attorno a 2-3 nm per lemisure e↵ettuate.

Referenze della sezione: [55, 60].

2.6 AFM: Atomic Force Microscopy

La microscopia a forza atomica (AFM) è una tecnica ad altissima risoluzione,che può arrivare a risoluzioni dell’ordine di frazioni di nanometro. Essa è unatecnica di imaging superficiale che grazie all’assenza di un rilevamento direttodell’immagine per via ottica, non possiede un limite di di↵razione ottica, altri-menti intrinseco nella misura stessa. Questa tecnica infatti si basa sulla creazionedi un’immagine attraverso una scansione della superficie di interesse da parte diuna punta: grazie al movimento estremamente fino, reso possibile da piezoelet-trici, è possibili scansionare le superfici con dei movimenti estremamente piccolie controllati. Ad ogni punto x,y della superficie è quindi associata la misura inz, la quale sarà strettamente correlata dall’interazione che la punta ha con la su-perficie per ogni punto scansionato; per questo la tecnica prende il nome di forcemicroscopy.

La misura vera e propria è condotta da un laser che è puntato costantemente

Figura 2.9: Schema sul funzionamento del sistema laser-cantilever.

al di sopra della punta ed è riflesso ad un detector a fotodiodo: i movimentidella punta sono così acquisiti come uno spostamento dello spot del laser riflesso:grazie al fotodiodo a 4 zone e un appropriato software è analizzato e tramutato incoordinata z della superficie rilevata dalla punta. Viene da se che la risoluzionedi questa microscopia risiede in modo principale sulla qualità della punta, dato

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(a) AFM in modalità oscillating modes. (b) AFM in modalità in contatto.

Figura 2.10: Le due principali modalità di misura AFM. [17]

che minore sarà l’angolo che essa avrà per scansionare la superficie, migliore saràla risoluzione laterale della scansione. Idealmente la punta dell’AFM dovrebbeessere il quanto più possibile simmetrica e terminare con un singolo atomo sul-l’estremo della punta, in modo da massimizzare la risoluzione della misura. Siricorda infatti che l’immagine che si ottiene è la convoluzione della forma dellapunta e della topografia superficiale del campione e pertanto punte standardiz-zate sono altamente consigliabili al fine di ottenere immagini riproducibili. Incaso di forme anormali della punta, come doppie punte o in caso di punte nonsu�cientemente acuminate, potrebbero esserci artefatti nelle immagini acquisite:per questo motivo esse devono essere analizzate criticamente dall’operatore alfine di evitare abbagli nell’interpretazione della scansione.La risoluzione non dipende soltanto dalla forma e dalla qualità della punta, maanche dal meccanismo di movimentazione dello scanner e della punta, entram-bi governati da vari piezoelettrici, e dall’isolamento della macchina dal rumoreambientale che potrebbe nascondere l’immagine in acquisizione sotto un fondocasuale elevato.

Gli strumenti AFM in genere possono lavorare con due modalità diverse:l’acquisizione delle immagini può avvenire in modalità detta in contatto oppurein modalità oscillating modes (vedi figura 2.10). La prima modalità, non che lapiù utilizzata, si basa sull’impostazione della scansione ad una forza repulsivasuperficie-punta costante: il sistema manterrà la punta ad una distanza tale dallasuperficie in modo che la forza che si instaura tra punta e campione sia costante.Questa modalità di misura risulta tra le più veloci e ad alta risoluzione ottenibili;tuttavia presenta anche degli inconvenienti come un possibile danneggiamentosuperficiale a seguito della misura e un danneggiamento indotto dalla superficieanche alla punta in uso. Questo accade in special modo quando la superficie inanalisi presenta notevoli asperità e pertanto la punta e il sistema di feedback nonriescono a seguire la variazione della topografia superficiale in analisi. La tecnica

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Figura 2.11: Immagine dello strumento AFM utilizzato senza la camera ad isolamentoacustica.

però resta comunque quella più utilizzata se la superficie in analisi è su�ciente-mente piatta e non deve essere preservata.Esistono un gran numero di altre modalità di misura, tra le quali le più importanti

sono quelle dette in oscillating modes: esse consistono nell’imprimere al cantileverun movimento oscillatorio periodico di tipo up-down, la cui ampiezza è deter-minata dall’intensità / range della forza punta-superficie che si vuole sondare.L’interazione, e quindi la topologia della superficie, derivano dalla misura dellavariazione dell’oscillazione del cantilever, confrontata con il segnale di input: inquesto modo si possono sondare diverse zone della curva delle forze, potendosondare zone attrattive, repulsive ma anche entrambe, con una ampiezza di oscil-lazione elevata. Il principale vantaggio che può derivare da questa tipologia dimisura è il vantaggio che si ottiene al rapporto segnale-rumore per segnali mo-dulati e la possibilità di lavorare in regimi di forze molto deboli. Misure dette innon contatto, o anche in close contact, sono misure focalizzate in zone di forzaattrattiva, che in genere non presentano risoluzioni così spiccate come nel caso dimisure di contatto, data la bassa variazione delle forze della curva di potenzialein funzione della distanza. Infatti, maggiore sarà la variazione della forza, ingenerale sarà maggiore la risoluzione intrinseca della misura, ovvero variazionipiù piccole di topografia saranno rilevabili a causa di una repentina variazionedella forza.Lo strumento utilizzato per e↵ettuare queste misure è Veeco di CP-II AFM sitopresso il Dipartimento di Fisica e Astronomia; una sua immagine è riportata infigura (2.11).

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Capitolo 3

Deposizione di un monolayer sullasuperficie (100) di Silicio

Come descritto nell’introduzione, lo scopo di questo capitolo è descrivere il lavoropreliminare svolto per riprodurre ed estendere i processi di deposito molecolaresu silicio nel nostro laboratorio. I processi sono stati principalmente testati con latecnica RBS, che ci ha permesso di misurare la quantità di P e di O presenti allasuperficie dei campioni.La messa a punto del procedimento ha richiesto un numero notevole di analisi,permettendo di evidenziare una serie di parametri critici per la buona riuscita deldeposito e aggiungendo utili informazioni al panorama esistente in letteratura.

3.1 Procedura sperimentale di preparazione campioni

La procedura sperimentale per la deposizione di un monolayer molecolare suSilicio che in questa fase è stata utilizzata coincide a grandi linee alla letteratura[21, 23, 49], con degli adattamenti dovuti a esigenze sperimentali. Le procedureriportate nei vari articoli di↵eriscono tra loro per vari parametri sperimentali:tempo di deposizione, temperatura di trattamento, tipo di superficie del substratoe molecola di deposito. Nei lavori di riferimento si utilizzano in genere duemolecole: il dietil 1-propilfosfonato (abbr. DPP, Alfa Aesar) e l’octadecilphosponicacid (abbr. ODPA, Alfa Aesar) come molecole per la deposizione di fosforo susilicio; questo avviene principalmente per la loro spiccata a�nità con le variesuperfici di silicio / ossido di silicio.Il legame che l’ODPA forma con la superficie è del tipo P-O-Si ed esso è bennoto in letteratura [20]: purtroppo non si può dire altrettanto del DPP, anche seè ragionevole a↵ermare che il tipo di legame che si instauri con la superficie siadello stesso tipo, data la sua struttura chimica.

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Un importante comportamento di questa reazione è il suo comportamento self-limiting nel processo di adesione [22] che permette di ottenere un monolayeradeso chimicamente, una volta asportata la componente fisisorbita alla superficie.Questo fattore è fondamentale per il processo che vogliamo intraprendere poichéottenere in modo riproducibile un monolayer adeso al silicio vuol dire avereuna dose nota e fissa di fosforo legata alla superficie da poter far di↵ondere nelmateriale semiconduttore in un secondo momento.

Tutto il lavoro che sarà presentato di seguito, punterà alla verifica della depo-sizione di un monolayer di precursore, verificando la sua omogeneità superficialee cercando di replicare e talora migliorare il lavoro del gruppo Perego et al. [3].Inoltre abbiamo come scopo l’ottenimento di importanti estensioni di tale lavoro:vogliamo estenderlo anche all’uso del precursore ODPA per aumentare le possi-bili molecole da applicare al germanio. In aggiunta, vogliamo estendere il lavororiportato in referenza [3] (che lavora su SiO2) anche al caso del silicio ossidatonativo e silicio terminato SiH, sulla base di altri lavori già presenti in letteratura[34].

3.1.1 Preparazione delle superfici

Le superfici che saranno testate nelle nostre prove saranno di tre tipologie: ossidodi silicio cresciuto termicamente, ossido di silicio depositato per evaporazionee silicio trattato superficialmente con acido fluoridrico, al fine di terminare lasuperficie con funzionalità SiH.

Ossido di silicio cresciuto termicamente

Per creare una superficie di SiO2 su cui depositare il precursore molecolare sisceglie di ossidare termicamente dei pezzi di wafer di Silicio con faccia superiore(100), tagliando dei pezzi manualmente, in modo che il silicio utilizzato sia lostesso per tutti gli esperimenti, e soprattutto che lo spessore di ossido cresciutosia noto. 1 La tecnica di ossidazione termica permette la formazione di un ossidostechiometrico e in letteratura sono riportati vari lavori sullo studio sia della suacomposizione SiO2 e sia della relazione tra il tipo di trattamento e lo spessorecresciuto. Ai nostri fini sperimentali lo spessore di ossido che vogliamo crescereè stimabile attorno ai 5 nm poiché esso deve essere su�cientemente sottile dapermettere il channeling del substrato di silicio, ma deve anche garantire che lasuperficie abbia delle proprietà di tipo superficie SiO2 di bulk.

1La faccia cristallografica del Si utilizzata è la (100) principalmente perché il materiale dipartenza per le deposizioni è un wafer commerciale di Silicio per microelettronica, nonché lafaccia usata per la costruzione di tutti i dispositivi microelettronici attuali.

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Il forno utilizzato per il trattamento è un forno tubolare che lavora in flussodi ossigeno o azoto ad elevata purezza. Curve di calibrazione della temperaturasono già state precedentemente e↵ettuate per vari punti all’interno del tubo ein particolare la posizione centrale del tubo è stata il punto di taratura per latemperatura, controllata da una unità collegata a termocoppia.

Il campione di silicio è lavato con isopropanolo, in modo da rimuovere even-tuali tracce di polvere da taglio che potrebbero depositarsi e rovinare la superficiedel campione. L’inserimento nel forno del campione avviene grazie ad una navi-cella di quarzo che essendo collegata ad un tubo cavo di vetro permette all’ope-ratore di posizionare il campione all’interno del tubo in una posizione nota. Perevitare sbalzi termici eccessivi il campione è inserito lentamente all’interno delforno in modo che raggiunga la temperatura di trattamento non in modo brusco.La stessa accortezza sarà usata anche in uscita dal forno.Al fine di preparare una atmosfera completamente priva di aria e umidità, all’in-terno del tubo sono stati fatti flussare 350 litri di ossigeno, con un flusso di 70l/h. In queste condizioni dry, con flusso di ossigeno pari a 60 l/h, il processo diossidazione avviene alla temperatura di 800�C per un tempo pari a 30 minuti.Secondo letteratura [14] la crescita dell’ossido in queste particolari condizioni èpari a circa 5-6 nm, pari allo spessore desiderato.

Superficie con ossido depositato per evaporazione

La superficie con silice evaporata è invece depositata in camera partendo dauna polvere di SiO2 pura (> 99.99%). I tempi di deposizione sono già stati inprecedenza tarati, anche se ai nostri fini basta che lo spessore di silice sia dipochi nanometri. Il processo avviene grazie al bombardamento elettronico di unanodo a partire da un filo di tungsteno posto all’interno della camera da vuotoche genera gli elettroni in seguito accelerati e deviati sull’anodo, dov’è posta lasilice da depositare. Questo processo è stato attuato al fine di riprodurre i datiottenuti dal lavoro di riferimento [3], ovvero per riprodurre la stessa superficiedi lavoro. La silice depositata per evaporazione sarà diversa dalla silice termicapoiché i diversi processi portano alla formazione di due materiali diversi: nelcaso termico la silice che si forma è SiO2 stechiometrica, con una densità nota eriproducibile; nel caso di silice evaporata invece essa sarà SiOx, dove x sarà minoredi 2 e la densità sarà minore di quella cresciuta termicamente. Questo avvieneperché la deposizione per evaporazione è una tecnica in generale di non equilibrio,dove la purezza della superficie depositata dipende dall’atmosfera presente nellamacchina in vuoto e quindi dal vuoto stesso, dalla velocità di deposizione e anchedalla purezza del materiale di partenza.

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Figura 3.1: Sistema di deposito con metodo a riflusso.

Superficie terminata SiH

La superficie con funzionalità Si � H è preparata tramite un trattamento conimmersione del campione in una soluzione di HF 1% in acqua per un tempo paria 1 minuto. Segue lavaggio in acqua bidistillata per un tempo uguale: il tuttoripetuto per cinque cicli, dove l’ultimo passaggio è in acqua bidistillata.

Riassumendo, a questo punto si dispone di Si (100) con le seguenti superfici:Si con ossido nativo, Si con un layer di silice termica, Si terminato SiH e Si consilice evaporata.

3.1.2 Deposizione del DPP per riflusso

La deposizione del monolayer avviene tramite un processo a riflusso dove il cam-pione di silicio è immerso nel pallone di reazione: esso contiene il solvente conla molecola precursore da depositare. Il metodo a riflusso è stato scelto poiché èpossibile controllare la temperatura del processo tramite un termometro inseribilenel pallone di reazione e verificare che la temperatura della soluzione in ebolli-zione si stabilizza a circa la temperatura di ebollizione del solvente puro. Questometodo presenta anche ulteriori vantaggi sperimentali come l’isolamento del si-stema di reazione dall’ambiente, che permette una minimizzazione delle perditedi reagenti, e un riscaldamento omogeneo della soluzione grazie all’utilizzo dimantelli riscaldanti.

Poiché nel lavoro di Arduca (gruppo Perego) in ref. [3] preso come riferimento,il processo era semplicemente svolto in una boccetta con un collo curvo scaldatadirettamente su una piastra riscaldante dal laboratorio, abbiamo e↵ettuato qual-che prova con questa procedura. Come indicato nell’articolo, per controllare la

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Figura 3.2: Sistema di deposito tipo Perego.

fase di riscaldamento non si utilizza un termometro ma un controllo empiricobasato sull’osservazione dell’ebollizione di un becher d’acqua posto sulla stessapiastra. Date le possibili di↵erenze tra le piastre usate e nonostante tale accortez-za, non ci aspettiamo di riuscire a riprodurre esattamente l’evoluzione temporaledel campione.

Dalla precedente descrizione è evidente che i due processi di↵eriscono sottovari punti: nel metodo Perego è possibile che vi sia una perdita di materia dallasoluzione poiché non vi è un sistema di riflusso che permetta la ricaduta dei vaporinella soluzione, ma anche il tipo di riscaldamento della piastra si è verificatoessere molto diverso dal caso dei mantelli riscaldanti poiché la piastra presentazone nella sua superficie diverse. Se la boccetta di reazione è spostata da unazona ad un’altra della piastra, in particolare sopra le resistenze di riscaldamentoo meno, l’ebollizione della soluzione sembra non essere più costante, ma sembraseguire dei cicli brevi dovuti all’ on-o↵ del riscaldamento della piastra che tendea mantenerla alla temperatura impostata. Tuttavia questo problema è superabiletramite l’inserimento sopra la piastra di un pezzo metallico che, grazie alla suacapacità termica permette alla boccetta di non risentire dell’e↵etto attacca/staccadella piastra.

Il procedimento e i parametri usati per la deposizione del monolayer sono iseguenti:

• La soluzione da inserire nel pallone per la deposizione è composta 1:25 involume di DPP (Diethyl 1-propylphosphonate, 97%, CAS: 18812-51-6, AlfaAesar) in Mesitilene (Mesitylene, 98+%, CAS: 108-67-8, Alfa Aesar) ed èinserita nel pallone a freddo.

• Si porta a riflusso il sistema e il campione è inserito all’interno del pallo-

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ne quando è a riflusso: questo momento è preso come istante zero per ilconteggio del tempo di trattamento.

• Al termine del tempo di trattamento desiderato si spegne il sistema a riflussoe si rimuove il campione dal pallone sotto flusso d’azoto. Esso è trasferito inun becher contenente Mesitilene puro bollente per un lavaggio del campioneper 20 minuti.

• Il campione lavato è asciugato con azoto (di bombola) e stoccato all’internodi appositi contenitori riempiti in pressione con gas Argon (di bombola).

3.1.3 Capping dei campioni

Al fine di proteggere il layer depositato, si procede al deposito di silice termicaper evaporazione. Alcuni campioni dopo il deposito del monolayer sono statiricoperti con uno strato di silice protettiva, con lo stesso processo utilizzato percreare i substrati con silice evaporata. Lo scopo di tale coating è quello di evitareil desorbimento del fosforo durante l’irraggiamento alfa delle misure. Come ve-dremo in seguito, tale cautela si rileverà non necessaria poiché abbiamo verificatoche non avviene desorbimento nei tempi di irraggiamento tipici della misura. Lospessore di deposizione desiderato è di circa 5-10 nm.

3.2 Quantificazione del fosforo depositato e ottimiz-zazione del processo

L’analisi Rutherford Backscattering sarà il principale metodo di caratterizzazioneutilizzato per l’analisi dei campioni depositati con silicio. Di seguito si dividel’analisi in sottosezioni, seguendo uno schema logico di analisi.

In prima battuta si riporta uno spettro RBS tipico dei campioni analizzati, evi-denziando i principali segnali. Come si può vedere dalla figura (3.3), lo spettropresenta in primo luogo un segnale a cassetta con un picco superficiale in corri-spondenza del silicio. Il picco superficiale e il successivo abbattimento del segnalerivelano come lo spettro sia stato acquisito in condizioni di channeling, le qualipermettono di evidenziare il segnale di ossigeno e di carbonio che emergono dalfondo. Il segnale relativo al fosforo si trova ad energie leggermente superioririspetto al segnale del silicio e in scala lineare appare come un piccolo picco cheprecede il segnale del Si.Per una analisi quantitativa ci si avvale di un software di simulazione, il quale per-mette di simulare multi-layer di diversa composizione e dose, in modo da poter

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Figura 3.3: Esempio di uno spettro tipico con deposito di DPP su Silicio trattato inHF, riportato in scala lineare; acquisizione in condizioni di channeling assiale. Sonoevidenziati i segnali d’interesse visibili nello spettro.

simulare e quantificare correttamente gli spettri acquisiti. É fondamentale ricor-dare che il segnale del fosforo che analizzeremo è in realtà sovrapposto ai segnalidel silicio 29Si (in parte) e 30Si (sempre sormontato) e pertanto è necessario far usodi un software che tenga conto delle abbondanze isotopiche del Si; ottimizzandola simulazione al segnale del Si sul picco superficiale del 28Si, sono di conseguenzastimati con ottima approssimazione i segnali degli isotopi più pesanti, così cheil segnale di fondo che si sormonta al segnale P risulta fissato. In figura (3.4) siriporta un esempio di simulazione di un campione analizzato. La simulazioneè riscalata di un o↵set pari alla media del fondo in modo che il segnale nullodi simulazione corrispondi con il fondo sperimentale rilevato. Grazie a questeaccortezze la simulazione riproduce con fedeltà i dati sperimentali ed evidenziala natura dei picchi: ad energie minori verso energie maggiori possiamo notare infigura (3.4) il picco 28Si, il secondo picco meno intenso 29Si che in parte si sommaal picco del fosforo che contiene in esso una componente relativamente molto piùdebole di 30Si.

3.2.1 Test del desorbimento sotto fascio

Uno dei problemi che si potrebbe verificare durante la misura dei campioni è ildesorbimento del layer superficiale a seguito del bombardamento di particellealfa di energia 2 MeV, il quale potrebbe falsare le misure. Per verificare questocomportamento abbiamo e↵ettuato misure ripetute su uno stesso punto del cam-pione per verificare l’evoluzione della dose di P in funzione della carica (flusso di

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Figura 3.4: Esempio di uno spettro RBS di un campione di silicio con un layer depositato.Lo spettro è riportato in scala logaritmica: la curva nera è lo spettro sperimentale, mentrela curva rossa rappresenta la simulazione.

alfa) accumulata nelle misure. I risultati sono riportati in figura (3.5) e come si può

Figura 3.5: Confronto della dose di P rilevata all’aumentare della carica incidentein uno stesso punto del campione in analisi. Il riferimento, riportato a carica nulla,è la dose di P rilevata sotto un capping di SiO2 evaporata al di sopra del layerdepositato. Le barre d’errore riportano l’errore stimato �.

notare non si ha un andamento netto in funzione della carica entro i primi 100 µC.I dati sono compatibili con un unico valore medio entro l’errore statistico (lineaorizzontale), anche se potrebbe esserci il sospetto che il desorbimento coinvolgasolo una parte del layer e avvenga nelle fasi iniziali dell’irraggiamento. Questonon è possibile verificarlo tramite misure con carica inferiore poiché vi sarebbe

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un aumento dell’errore statistico elevato. Di seguito le misure saranno pertantoraccolte o con 100 µC o con 50 µC, a seconda della statistica desiderata e del tempodi deposizione.Per verifica abbiamo invece e↵ettuato un confronto con un campione prodottoallo stesso modo sul quale è stato depositato un coating protettivo di SiO2 chedovrebbe impedire il rilascio del P eventualmente desorbito, data la bassissimadi↵usività attesa a temperatura ambiente. La dose di P è riportata nel grafico aQ=0 in rosso. Si nota che tale valore è leggermente superiore a causa o di unpiccolo parziale desorbimento o di una non perfetta riproducibilità del processo.Possiamo concludere che il layer depositato è in larga parte stabile e le misure pos-sono essere condotte senza un deposito di ossido protettivo; è possibile pertantoaumentare la statistica di acquisizione al fine di ottenere più conteggi e quindiabbattere l’errore.

3.2.2 Influenza della natura della superficie

In questa sezione riportiamo vari test che sono stati e↵ettuati per verificare ladi↵erenza che apporta l’attacco dello stesso fosfonato a diverse superfici a paritàdi trattamento utilizzato. Per questo scopo sono stati preparati in modo analogodiverse superfici: oltre alle più testate superfici con l’ossido termico superficiale,è stata testata una superficie trattata con HF per ottenere funzionalità superficialitipo Si�H 2, e sono state preparate superfici con SiO2 evaporata. Nella successivaimmagine si riporta la dose di fosforo rilevata per tutti i campioni testati conla stessa procedura standard di deposizione (Trattamento per due ore a riflussocon concentrazione 1:25 DPP/mesitilene e lavaggio successivo di 20’ in mesitilenepuro). Dalla figura (3.6) possiamo evincere che la reazione di chemisorbimentosuperficiale avviene per tutte le superfici testate: sia per silicio ossidato che persilicio trattato in acido fluoridrico il trattamento sembra produrre un aggancio(grafting) chimico tra il precursore e la superficie. Entro l’errore sperimentale, ladose depositata non cambia, per cui il processo appare simile indipendentementedalla superficie. Il risultato più originale ottenuto è il fatto che il DPP si leghianche alla superficie terminata H in modo analogo a quanto avviene sulle altresuperfici che sono già ossidate. Questo fa pensare che o il Si si ossida quando è insoluzione durante le prime fasi del processo o che l’ossigeno viene direttamentefornito dalla molecola precursore.Un altro aspetto importante è il valore assoluto della dose di P adesa alla superficie,se confrontata con la densità dei siti di silicio sulla superficie (100) pari a circa0, 6 1015 at/cm2: si evince che la quantità di molecola adesa è superiore alla quantità

2Trattamento HF 1% per due minuti e successivo bagno in acqua bi distillata per due minuti.

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Figura 3.6: Dose di fosforo rilevata per superfici di silicio chimicamente diverse a seguitodello stesso trattamento chimico. Gli errori riportati derivano da misure RBS svolte suicampioni.

di possibili legami. Questo suggerisce che vi sia una componente fisisorbita, chesarà oggetto di successive analisi.

3.2.3 Il tempo di trattamento

Il primo parametro che è stato testato è il tempo di trattamento ovvero il tempotrascorso dall’inizio del riflusso nel sistema pallone-refrigerante. Questo partico-lare studio è già stato testato in letteratura [3] ma, come già riportato in sezione(3.1.2), vista la modifica del metodo, è utile verificare la compatibilità tra le duemetodologie.

In figura (3.7) si riporta la prima analisi delle dosi di fosforo rilevate in varicampioni a diversi tempi di trattamento. Come si può notare, tutte le dosi rilevatesono superiori al valore di letteratura pari a 8 1014 atomi

cm2 ottenuto con il metodo dideposizione "tipo Perego" e l’andamento a saturazione che si verificava per tempicrescenti non è ben riprodotta. Si denota che i campioni, nel caso di deposizionecon metodo Perego, risultano più disomogenei del caso a riflusso (i diversi puntiriportati nel grafico (3.7) allo stesso tempo di trattamento si riferiscono ad acqui-sizioni in diversi punti dello stesso campione al fine di verificare l’omogeneità delfilm depositato ), suggerendo che la deposizione a riflusso permetta una miglioreuniformità.Questa analisi ci conferma quindi che, vista la dose di fosforo sistematicamente

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Figura 3.7: Concentrazione superficiale di fosforo (o dose) rilevata per vari campionia diversi tempi di trattamento: i punti neri si riferiscono a sintesi con metodologia "ariflusso" mentre i punti rossi si riferiscono a metodologia di deposito "tipo Perego". Sub-strato di deposito SiO2 termica (come in sezione 3.1.1), soluzione 1:25 di DPP: Mesitilene,lavaggio di 20’ dopo il trattamento in mesitilene caldo (come in sezione 3.1.2).

maggiore rispetto al caso di letteratura, vi sia una frazione fisisorbita in superficie dimolecole contenenti P. Si dovrà pertanto procedere ad una pulizia ulteriore dopoil trattamento chimico: saranno in seguito studiate diverse soluzioni.

A seguito del risultato delle analisi fino ad ora condotte, si procede con unaulteriore verifica: un secondo set di campioni è testato tramite il deposito del layersuperficiale a partire da una soluzione con concentrazione dimezzata. I campionisintetizzati di↵eriscono tra loro nel tempo di trattamento, ma di↵eriscono da tuttigli altri casi per la concentrazione della soluzione di deposito di 1:50 DPP/Mesiti-lene. A priori questa prova dovrebbe del tutto fornire risultati coerenti con i casiprecedenti, poiché la quantità di molecole presenti nei 25ml di soluzione usataper il deposito contiente un numero di molecole ordini di grandezza maggiori aquelle necessarie per formare il layer. Anche la frazione fisisorbita non dovrebbecambiare eccessivamente, per analoghe considerazioni.E↵ettivamente l’analisi riportata in seguito in figura (3.8) dimostra che questeconsiderazioni sono del tutto ragionevoli e fondate. Anche in questo caso i varipunti riportati allo stesso tempo di trattamento sono relativi a due spettri RBSacquisiti in due punti diversi dello stesso campione, per verificare la sua omoge-neità: anche in questo caso le superfici si rivelano uniformi, in accordo con i casiprecedenti. Ad entrambe le concentrazioni si nota che vi è un primo incrementodella dose adesa nella prima mezz’ora seguita da un incremento più lento succes-sivo. Questo fatto potrebbe indicare che in una prima fase si ha prevalentemente

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Figura 3.8: Dose di fosforo in una serie temporale a concentrazione di deposito 1:50DPP/Mesitilene.

chemisorbimento e in seguito un fisisorbimento che procede nel tempo sopra ilprimo layer.

3.2.4 Verifica dell’influenza dell’umidità nel processo

In questa sezione si vuole studiare l’influenza e il ruolo che l’umidità presentenel sistema sperimentale di deposito ha: già dal lavoro di [54] emerge come lapresenza di acqua anche sotto forma di umidità, svolga un ruolo fondamentale nelprocesso di chemisorbimento e fisisorbimento. Come riportato dettagliatamentenella sezione (1.3.2), la superficie del campione da trattare (nello specifico caso diuna superficie ossidata) è da trattarsi come un’interfaccia SiO2/H2O formata da undenso network di gruppi idrossilici esposti superficialmente estremamente stabilie che pertanto diminuiscono la reattività superficiale. Per attivare la reazione dichemisorbimento è quindi necessario rompere questo network stabile ed attivarela reazione, superando di fatto questa barriera energetica iniziale attraverso unriscaldamento del sistema ad una temperatura non inferiore ai 140 gradi Celsius.Questo studio però riporta che questa interfaccia si forma anche in apparenteassenza di acqua, essendo su�ciente l’umidità atmosferica.

Nel nostro caso la situazione sperimentale è simile a quella descritta poichéla reazione avviene in un atmosfera non controllata, ma all’interno di vetreria ilquanto più possibile priva di umidità (vetreria mantenuta in forno a 50 o Cel-sius): le fonti d’acqua sono comunque presenti come l’atmosfera e l’eventualecomponente disciolta nella soluzione, che ha comunque proprietà di insolubilità

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in acqua.Per condurre un primo studio sul ruolo nel nostro caso dell’umidità si procedecon la definizione di tre condizioni di lavoro che saranno d’ora in poi chiamatedry, normal, wet, tutte attuate con campioni con la superficie del tipo SiH. La con-dizione dry consta di un pre-riscaldamento del campione su una piastra caldaal fine di far evaporare dalla superficie la maggior quantità possibile di acquache eventualmente vi si fosse depositata, e in una preparazione del sistema dideposito in gas dry inerte. Oltre al pre-riscaldamento, la soluzione precursore/-mesitilene è flussata per una decina di minuti con gas argon ed in seguito tutto ilsistema chimico (pallone e colonna refrigerante) viene isolato dall’ambiente ester-no, in modo che il processo avvenga quanto più possibile in un ambiente secco.Questo sistema non riuscirà comunque a portare l’ambiente interno a condizionidry, 3 ma ci permetterà di ottenere delle condizioni più secche dei precedenti casi.Ovviamente le condizioni dette normal rispecchiano una procedura di depositodel tutto identica alle precedenti, dove comunque la vetreria è pre-riscaldata instufa, ma non si procede con l’isolamento in gas del sistema. Infine le condizioniwet sono date dall’aggiunta con micropipetta di una quantità di acqua distillatadi circa 0,5 ml nella soluzione precursore/mesitilene poi portata a riflusso.

La prima analisi condotta rivela una sensibile variazione della dose di fosfororilevata al variare del parametro acqua/umidità. In particolare si rileva una di↵e-renza marcata tra il caso wet e i casi normal e dry, indice del fatto che le condizioninormali di deposito sono comunque condotte in condizioni non umide. Come sipuò vedere dall’immagine (3.9) è evidente come nel caso di deposito wet la dosedi fosforo depositata sia sensibilmente minore del caso dry, mentre il picco del28Si, non a↵etto da sovrapposizioni con il segnale del fosforo come nel caso del29Si, resti immutato nei due casi.Mettendo in grafico le dosi di fosforo per i diversi trattamenti si può notare (figura3.10 ) come le due dosi rilevate per i casi norm e dry siano pienamente compatibilitra loro entro l’errore sperimentale, mentre la dose in caso di un trattamento wetdiminuisca sensibilmente. La spiegazione di questa diminuzione non è del tuttochiara al momento attuale, ma una ipotesi che prende in considerazione evidenzesperimentali e semplici considerazioni chimiche può spiegare il caso.Il DPP è molto più solubile in acqua rispetto al mesitilene e quindi si può supporreche si sia concentrato nelle pareti del condensatore, sottraendo alla soluzione granparte delle molecole. Questo aspetto potrebbe influire in vari modi sulla reazionecome ad esempio riducendo la concentrazione del precursore disponibile cattu-

3Un parametro per definire condizioni dry è dato dal lavoro di Vega [54], il quale a↵erma cheper un processo di deposito del tutto simile al nostro, il valore RH (umidità relativa) deve essereminore del 6%.

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Figura 3.9: Zoom e confronto di due spettri RBS di due campioni con trattamento diverso:depositi wet e dry a confronto.

Figura 3.10: Dosi di P a confronto: depositi wet, norm e dry a confronto.

randolo nelle gocce d’acqua condensate nel condensatore; da dati precedenti sievince che la concentrazione non è un parametro critico per il processo in corso,per cui questa prima ipotesi sembra poco plausibile.Una seconda ipotesi riguarda il comportamento dell’acqua sulla superficie ed inparticolare la passivazione superficiale che essa può formare, impedendo o ridu-cendo la reazione di chemisorbimento4.

4Questa ipotesi è supportata da un lavoro di letteratura in ref [54], che nonostante utilizzi meto-dologie di deposito simili, riferisce comunque di un fenomeno fisico superficiale ben caratterizzatoe descritto.

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Visto che nel trattamento wet non si elimina totalmente il fosforo adsorbito, mabensì si riduce ad un valore pressoché paragonabile ad un monolayer, non è daescludere che l’acqua impedisca un adsorbimento superficiale della componentefisisorbita, ma non il processo di chemisorbimento, promuovendo un lavaggiodella componente fisisorbita ad opera dell’acqua, grazie alla solubilità che il DPPha in acqua.

In generale l’e↵etto dell’umidità sembra essere rilevante e fornisce fino ad oral’unica spiegazione possibile per le discrepanze riscontrate con la ref [3]. Comedetto, in tale lavoro si riporta una dose di fosforo pari a 8 1014 at/cm2 inferiore aquella da noi misurata. É possibile che il processo eseguito dal gruppo Peregoet al. sia stato e↵ettuato in condizioni di umidità superiori a quelle nel nostrolaboratorio e che, secondo l’ultima ipotesi avanzata, i campioni presentino unacomponente fisisorbita minore del caso da noi in esame.

I campioni con alta umidità sono però disomogenei e presentano una super-ficie visivamente rovinata, per cui risulta di�cile modulare l’umidità al fine dieliminare la componente fisisorbita. Per tale ragione, si preferisce procedere comesi vedrà in seguito, ovvero con processi a bassa umidità aggiungendo uno stepulteriore di rimozione della componente fisisorbita.

Verifica dell’umidità nel caso della molecola ODPA

In questa fase sperimentale è stata testata anche una seconda molecola precursoreODPA (octadecilphosphonic acid) già descritta nella sezione iniziale: anch’essaè stata testata con i tre diversi trattamenti normal, dry e wet, in modo da carat-terizzare il suo comportamento in ambienti e trattamenti del tutto identici allamolecola precursore principalmente usata.In analogia al caso precedente, come primo passo analizziamo i due spettri RBSdei campioni wet e dry. In questo caso essi presentano delle significative va-riazioni, che di seguito analizzeremo in dettaglio. Nell’immagine (3.11) si puòfacilmente notare come tutto lo spettro RBS del campione wet sia di fatto più altorispetto al caso dry, a parità di o↵set di fondo. In particolare è evidente come ilpicco superficiale del Si sia marcatamente più alto nel caso wet e tutta la zona delsegnale del substrato in condizione di channeling sia anch’essa più elevata, con unincremento maggiore verso energie minori (de-channeling maggiore nel caso wetdelle particelle alfa del fascio a parità di condizioni di allineamento in channelingassiale del campione), e anche come il picco dell’ossigeno sia più marcato. Tuttociò è un chiaro segnale che la superficie del campione è stata ossidata durante ilprocesso: l’insorgere di ossido in superficie aumenta il segnale del silicio super-ficiale, essendo un ossido non cristallino il quale induce scattering del fascio che

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Figura 3.11: Confronto di due spettri RBS di due campioni con trattamento diverso:depositi wet e dry a confronto. Molecola usata ODPA.

peggiorano le condizioni di channeling delle particelle alfa.A conferma di tutto ciò si riporta di seguito l’analisi delle dosi per i segnali di

Figura 3.12: Zoom nella zona del picco superficiale di Si dello spettro in immagine (3.11).Si noti l’evidente aumento del picco superficiale di Si a parità del segnale di fondo visibilead elevate energie.

P, Si e O nel caso della molecola DPP e ODPA. Nel primo caso (figura 3.13) èchiaro come i picchi di ossigeno siano tra loro compatibili in dose mentre quellidi silicio lo siano pienamente nel caso norm e dry, mentre il picco nel caso wetsia leggermente più elevato. Questo non è necessariamente indice di ossidazione

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superficiale, ma potrebbe essere dovuto anche ad una condizione di channelingnon perfettamente assiale, visto il fatto che il segnale della cassetta degli spettri siassesta alla stessa quota. Per il caso dell’ODPA invece la situazione è nettamente

Figura 3.13: Dosi di simulazione per i picchi di O, Si superficiale in channeling e P per itrattamenti norm, wet e dry con molecola DPP.

diversa: in figura (3.14) sono riportate le dosi ed è netta la di↵erenza del casowet dai precedenti due casi, indice inconfutabile che un processo superficiale diossidazione è avvenuto.

Figura 3.14: Dosi di simulazione per i picchi di O, Si superficiale in channeling e P per itrattamenti norm, wet e dry con molecola ODPA.

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A verifica che anche nei precedenti trattamenti non si verificasse un processo diossidazione, magari a tempi maggiori di trattamento, si riporta in figura (3.15) lastessa analisi e↵ettuata su campioni con diverso tempo di deposito, con molecolaprecursore DPP. É anche in questo caso accertato che la superficie non si ossida eil picco superficiale di Si resta invariato.

Figura 3.15: Dosi di simulazione per i picchi di O, Si superficiale in channeling e P per itrattamenti con DPP al variare del tempo di trattamento.

In definitiva, l’ODPA ha un comportamento in presenza di umidità moltodiverso rispetto la molecola precursore DPP: mentre non sembra inibito l’adsor-bimento superficiale della molecola, vi è un forte grado di ossidazione superficialedel substrato. L’unica sostanziale di↵erenza che vi è tra i due casi analizzati è lanatura della molecola utilizzata: l’ODPA presenta due funzionalità acide a di↵e-renza del DPP, il quale è un fosfonato con due gruppi di tipo estere. Pertanto èplausibile ipotizzare che si sia in una condizione di ossidazione acido-catalizzatadove la molecola ODPA agisce da catalizzatore.A causa di questo e↵etto indesiderato e del fatto che non si è indagato ulteriormen-te questo caso, nel caso del germanio si utilizzerà la molecola DPP, focalizzandogli studi su di essa. Una comprensione più dettagliata di questo caso ed unaconferma dell’ipotesi fatta richiederebbe ulteriori verifiche che sono lasciate alfuturo.

3.2.5 Verifica della temperatura

In questa sezione si è voluto verificare l’influenza della temperatura nel processodi chemisorbimento del layer attraverso un trattamento a temperatura inferiore

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rispetto alle condizioni di riflusso (all’incirca attorno alla T di ebollizione del me-sitilene puro 164 oC). In analogia a quanto riportato nel lavoro di ref. [54] (già

Figura 3.16: Bagno in sabbia per termostatare il sistema di deposito a 130 oC.

trattato nella sezione apposita), è assai probabile che anche nel caso in esame visia una temperatura minima di processo e si presume che sia attorno ai 140 oC,come riportato nel lavoro svolto con la molecola ODPA e su superficie di SiO2 inref. [20]. Per una verifica si procede eseguendo un deposito alla temperatura di130oC± 4oC, mantenuta costante grazie ad un bagno di sabbia scaldato da piastrariscaldante (si veda immagine 3.16 ).In figura (3.17) è riportato un confronto dello spettro RBS acquisito per il cam-

Figura 3.17: Confronto di due spettri RBS con trattamento a riflusso e spettro RBS delcampione trattato a 130 oC.

pione appena sintetizzato rispetto a due spettri di campioni equivalenti trattati

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a temperatura di riflusso della soluzione. Un’analisi della dose depositata rive-la come il valore sia compatibile con l’assenza di fosforo, anche se una minimacomponente residua, eventualmente fisisorbita, è del tutto lecito sia comunquepresente; si conferma quindi che la temperatura è un parmetro critico e che ilprocesso si innesca al di sopra dei 130 oC.

3.2.6 Lavaggi chimici post trattamento

Dai dati precedenti e dalla letteratura è plausibile che la dose di fosforo sia costi-tuita da una componente chemisorbita pari ad un monolayer e da una fisisorbita.Per avere una conferma definitiva di tale ipotesi, sui nostri campioni abbiamocercato di ottimizzare un processo di post trattamento che elimini la componentefisisorbita.

Il primo tentativo condotto è stato attraverso un lavaggio con isopropanolo(abbr. IPA, IUPAC: 2-propanolo) bollente per 20’ a seguito del consueto lavaggioin mesitilene. I risultati ottenuti sono riportati di seguito. Come si può facilmente

Figura 3.18: Diminuzione della dose di fosforo superficiale a seguito del lavaggio inisopropanolo dei campioni depositati con metodo a riflusso.

dedurre dal grafico (figura 3.18), la dose di fosforo dopo il lavaggio in IPA non èsensibilmente diminuita, segno che il lavaggio in isopropanolo non è su�cientea rimuovere la componente fisisorbita in eccesso.A seguito della mancata pulizia della componente fisisorbita, si procede con unlavaggio dei campioni in metanolo caldo. Come nei casi precedenti, si procede conun ulteriore analisi della dose superficiale per la verifica dell’avvenuta pulizia.

Come si può vedere in figura (3.19) la dose di fosforo cala in tutti i casi ad

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Figura 3.19: Dose di fosforo per vari trattamenti prima e a seguito del lavaggio inmetanolo. I punti rossi corrispondono alle misure a seguito del lavaggio in metanolo. I tipidi trattamento usati di↵eriscono tra loro per umidità presente in soluzione: i trattamentitestati sono in seguito 1 dry, 2 e 3 normale, 4 e 5 wet.

un valore compatibile entro l’errore alla densità atomica superficiale del Si (100),faccia di deposito del layer di DPP. Questo accade per vari campioni sintetizzaticon preparative diverse tra loro, indice del fatto che è proprio grazie all’azionedel CH3OH che la componente fisisorbita è rimossa dalla superficie e�cacemente.É pertanto possibile dedurre che il lavaggio in metanolo sia e�cace poiché essoriesce a solvatare le molecole di DPP non legate chimicamente alla superficie,lasciando presumibilmente uno strato unico definibile come monolayer: resistonoquindi al lavaggio in metanolo solo le molecole attaccate con un legame chimico.

3.3 Conclusioni

Nella prima sezione del lavoro di tesi si è studiata la deposizione di due precursorimolecolari di fosforo sulla superficie (100) di silicio; è stata testata principalmentela molecola DPP e secondariamente la molecola ODPA. Ambedue le molecolehanno mostrato una buona reattività chimica con la superficie grazie alla for-mazione di legami chimici: essi hanno permesso il chemisorbimento molecolaredei precursori del fosforo, rivelando come anche i gruppi funzionali del fosfo-nato siano adatti a questo scopo. Come dai dati di letteratura, le molecole sonostate adsorbite superficialmente, con un chemisorbimento sia nel caso di SiO2,con conseguente formazione del legame Si �O � P, sia nel caso di superficie confunzionalità SiH. Una certa quantità non trascurabile di precursore è rimasto

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però stabilmente fisisorbito alla superficie, a di↵erenza di ciò che in letteraturaera previsto [3]; per questo motivo ulteriori studi sono stati condotti riguardola comprensione di diversi parametri come il tempo di trattamento, la tipologiadi superficie di deposito, l’umidità e la temperatura di trattamento, ed infine ilavaggi post trattamento.

Gli studi che hanno interessato il tempo di trattamento hanno rivelato che unaquantità via via maggiore di precursore si lega alla superficie, segnando di fattola formazione di un layer sempre più spesso di precursore, il quale resiste anchea lavaggi post-trattamento in solventi come l’isopropanolo. Al fine di verificareche non fosse una diversa superficie a generare una incongruenza nei nostri risul-tati con quelli di letteratura, sono state testate diverse superfici del silicio, tra cuisuperfici ossidate (SiO2), con silice depositata e infine superfici dopo trattamentoin acido fluoridrico al fine di rimuovere l’ossido nativo. In tutti questi casi nonsolo l’aggrappo del precursore DPP è avvenuto con successo, ma anche le dosi difosforo rilevate nelle superfici sono state pressoché identiche in tutti i casi analiz-zati. Ben diversi sono stati i risultati per lo studio dell’influenza della presenzadi acqua nel processo di deposito: questo parametro si è rivelato decisivo nelcontrollo del processo dove un suo eccesso può causare un drastico decrementodell’e�cienza di attacco, facendo rivelare dosi di fosforo depositate compatibilicon il monolayer. Fortunatamente le condizioni precedentemente utilizzate per ildeposito si sono rivelate piuttosto buone, ovvero i risultati ottenuti con un mag-gior controllo dell’umidità sono del tutto compatibili con la procedura standardutilizzata fino ad ora.Data la scarsa e�cacia del lavaggio in isopropanolo e la conferma che le condi-zioni di umidità potrebbero essere le responsabili dei diversi risultati ottenuti nelnostro caso, si tenta un lavaggio più aggressivo dei campioni post trattamento,attraverso l’uso di metanolo. Questa scelta si rivela e�cace e una diminuzionedella dose di fosforo rilevata in superficie ne dimostra l’e�cacia; grazie a questopost trattamento la quantità superficiale di fosforo è pressoché invariata dopodiversi tentativi, attestandosi ad un valore compatibile con la concentrazione ato-mica superficiale del silicio (100) 6, 8 1014 at

cm2 . Questo valore non è però in accordocon il caso di letteratura preso come riferimento [3], dove il valore riportato siattesta attorno agli 8 1014 at

cm2 : in questo lavoro però il parametro umidità non èstato considerato e non sono stati e↵ettuati post trattamenti come il lavaggio inmetanolo. Emerge l’ipotesi plausibile che i campioni di ref. [3] siano prodottiin condizioni di umidità tali da ridurre (ma non eliminare) la componente fisi-sorbita5. In altre parole, una diversa percentuale di umidità presente durante il

5Tenendo conto anche del lavaggio in mesitilene che non è in grado di diminuire la do-se di fosforo depositata al monolayer, come è stato testato e come non è in grado nemmeno

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processo potrebbe modificare la dose di fosforo depositata, ed in particolare unaumento dell’umidità potrebbe far diminuire la quantità di precursore depositataalla superficie. Il mancato lavaggio con un solvente adatto non ha permesso latotale rimozione della frazione fisisorbita, facendo sì che una piccola componentefortemente fisisorbita rimanesse attaccata superficialmente, così che la quantità difosforo superficiale fosse maggiore della densità atomica superficiale del silicio.

Il lavoro svolto, che inizialmente voleva solo riprodurre un dato di letteraturaed estendere il processo al silicio non ossidato, ci ha invece portato ad una piùapprofondita comprensione del fenomeno che in seguito tenteremo di trasferireal germanio.

l’isopropanolo.

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Capitolo 4

Deposizione di un monolayer sullasuperficie (100) di Germanio

La deposizione dei precursori di fosforo si sposta in questo capitolo dal silicio algermanio. La prima sfida è quella di verificare se la reazione di chemisorbimentosuperficiale dei precursori avviene anche su superfici di germanio, alla stregua diquelle di silicio. In linea teorica ciò è possibile, data la natura chimica simile deidue semiconduttori, ma la loro reattività potrebbe comunque di↵erire. É pertantonecessario provare direttamente che l’adsorbimento avvenga e poi, in secondabattuta, procedere con i trattamenti termici di↵usivi e le relative analisi.

4.1 Deposito del monolayer

Il metodo di deposizione del layer che si utilizzerà è lo stesso usato nel caso delsilicio: la principale di↵erenza nel caso del germanio si ha però nei trattamentisuperficiali che devono essere condotti per ottenere delle superfici prive di ossi-do. Il germanio, a di↵erenza del silicio, forma due ossidi stabili con stechiometriaGeO e GeO2 i quali si formano rapidamente al contatto con l’ossigeno atmosfericoe risultano stabili [47]. Al fine di rimuovere entrambi gli ossidi sono necessaritrattamenti più intensi che nel caso di silicio: per ottenere una superficie Ge �H,alla stregua del caso Si � H, è necessario usare un trattamento chimico in acidofluoridrico a concentrazione elevata. La rimozione dell’ossido e la terminazionerichiede 5 cicli in HF 10% e acqua (alternati tra loro) per 1 min ciascuno, con ultimaimmersione in acqua. In questo modo si garantisce la rimozione di tutto l’ossidoe un’ampia terminazione ad idrogeno dei Ge superficiali [8].L’attacco del monolayer sarà testato non solo nel caso di superfici trattate al fi-ne di rimuovere l’ossido superficiale, ma anche in campioni con ossido nativoo trattati con acqua ossigenata, al fine di verificare l’attacco della molecola non

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solo su superfici funzionalizzate GeH, ma anche in caso della presenza di ossido.Questo è fatto al fine di comprendere se l’attacco della molecola avviene soltantoin uno stato di ossidazione particolare del germanio, anche se le analisi sarannoprincipalmente condotte su superfici preventivamente funzionalizzate GeH; ciò ènecessario poiché l’eventuale presenza di ossido di germanio superficiale potreb-be agire da barriera di di↵usione al fosforo ad esso legato e pertanto il processopotrebbe essere vano. Al fine di minimizzare la presenza dell’ossido superficia-

Figura 4.1: Sistema a riflusso con linea di argon e tubo di pompaggio inseriti.

le, il metodo di deposizione a riflusso è stato implementato con un sistema diflusso-pompaggio di argon all’interno della colonna di reazione, al fine di creareun ambiente di reazione privo di umidità e con scarsa presenza di ossigeno. Daun punto di vista pratico, prima dell’inizio della reazione sono eseguiti a freddodei cicli di argon-vuoto e al loro termine i rubinetti visibili in figura (4.1) sonochiusi e il sistema di riscaldamento è azionato.

4.2 Analisi della dose depositata tramite reazione nu-cleare (NRA)

La Nuclear Reaction Analysis (NRA) è stata eseguita presso i Laboratori Nazionalidi Legnaro con l’utilizzo dell’acceleratore lineare Van de Graa↵CN, grazie al qualeè stato possibile condurre la reazione nucleare 31P(↵, p)33S sui vari campioni condeposito di monolayer, al fine di poter stimare la dose di fosforo depositata su diessi.

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4.2.1 La misura e i campioni analizzati

Dal punto di vista sperimentale è necessario verificare, prima dell’acquisizionedegli spettri, il comportamento del fondo del segnale nella regione d’interesse:infatti all’energia data è possibile che le particelle ↵ inneschino una reazionenucleare con altre specie presenti, creando un fondo non costante alla misurain corso. Fortunatamente ciò non accade e pertanto la risonanza scelta si rilevautilizzabile per i nostri scopi.In tabella (4.1) si riportano i campioni che saranno analizzati.

Tabella 4.1: Campioni analizzati con tecnica NRA; per tutti i campioni il lavaggio chimicopost trattamento è stato eseguito solo con Mesitilene caldo per 20’

Campione Tipo di superficie Molecola Tempo trattamento

1 SiH DPP 2h2 GeH DPP 1h3 GeH DPP 3h4 Ge nativo DPP 2h5 Ge ox. H2O2 DPP 2h6 GeH ODPA 2h7 InP - -

4.2.2 Analisi dati

Esplicitando l’equazione (2.17) riportata nella sezione tecniche, si ottiene:

YQ=⌥�c

✏InP

Z 1

E0

�L(x)dx =⌥�c

✏InP

Z E0

�1

!!2 + 4(x � xc)2 dx (4.1)

Grazie all’equazione (4.1) e all’equazione (2.16) è quindi possibile ricavare la re-lazione che intercorre tra i segnali provenienti dai campioni e dallo standard.Di seguito riporteremo le forme delle funzioni che saranno utilizzate nel fit glo-bale dei dati: per ogni campione sarà assegnata una funzione lorenziana (4.3),mentre per l’InP sarà assegnata la funzione integrale della lorenziana, calcolabileanaliticamente (4.2).

y = y0 +A2+

A⇡

arctg

2(x � xc)!

!(4.2)

y = y0 +2Ac⇡

!

4[(x � xc)2 + !2]

!(4.3)

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dove il parametro raggruppa le costanti A = !�c✏InP

e c risulta c = ✏InP Dose.Grazie al fit globale, sarà possibile interpolare tutti i dati acquisiti contemporanea-mente, fissando tra loro i parametri in comune, come la posizione della risonanzaxc, la larghezza a metà altezza delle lorenziane !, il fondo y0 e lasciando liberosolo l’ampiezza della lorenziana per ogni campione c e il parametro A relativoall’ampiezza della funzione che interpola il segnale InP. In questo modo si fis-sano le condizioni fisiche dell’esperimento del fit globale, assegnango il correttonumero di gradi di libertà al fitting.Il risultato del fit è riportato graficamente in figura (4.2). Grazie a questo fitting,

Figura 4.2: Global fit dei dati sperimentali.

con chi quadro ridotto pari a 9, 8 , si sono ottenute le dosi depositate sui varicampioni riportati in tabella (4.2). Dalle equazioni utilizzate per il fitting (4.3)(4.2), il valore della dose espresso in atomi

cm2 è semplicemente ricavabile dividendoil parametro di fitting c per il doppio del valore ✏InP all’energia della risonanza.Purtroppo il chi quadro ridotto dell’analisi complessiva dei dati non risulta cosìbasso a causa di una anomalia verificatasi durante la presa dati. Come si puòvedere dalla figura (4.3) sono stati acquisiti in vari momenti diversi dati dellostandard InP, i quali sono risultati translati tra loro in energia. Questo è accaduto

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Tabella 4.2: Campioni analizzati con tecnica NRA: dosi di fosforo misurate.

Campione Superficie Molecola Trattamento Dose Errore[ore] [1015 atomi/cm2] [1015 atomi/cm2]

1 SiH DPP 2 1,4 0,12 GeH DPP 1 2,8 0,23 GeH DPP 3 3,9 0,34 Ge nativo DPP 2 2,5 0,25 Ge ox. H2O2 DPP 2 2,5 0,26 GeH ODPA 2 1,10 0,09

a causa di uno shift di macchina che ha comportato lo spostamento della campanadi risonanza dei dati acquisiti in diversi momenti e di conseguenza ha introdottodegli errori nei dati acquisiti. Abbiamo quindi eseguito fitting separati raggrup-

Figura 4.3: Shift in energia di macchina della risonanza superficiale del campionestandard InP.

pando i dati raccolti nei vari momenti del turno di misura e lasciando libero ilparametro xc per ciascun gruppo di dati. In questo modo è possibile correggere idati per l’e↵etto spurio di translazione dell’energia.Le barre d’errore riportate sono ottenute paragonando l’errore statistico dovutoai conteggi raccolti.

93

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4.2.3 Discussione

La tecnica NRA ci ha permesso di misurare la dose di fosforo depositata su varicampioni (vedi tabella 4.2 ) con un errore associato attorno al 7 %. Data la ridottadisponibilità dell’accesso a questa tecnica e dati i tempi relativamente lunghi dimisura, sono stati analizzati solo pochi campioni con questo potente metodo dianalisi e in un unico turno di misura assegnato quando ancora il quadro dellasituazione sul silicio non era nettamente chiaro. Per questo motivo, i campionianalizzati non presentavano un lavaggio in metanolo post-trattamento e quindi ledosi misurate comprendono in tutti i casi anche la componente fisisorbita, oltre aquella chemisorbita. Si procederà pertanto solo in seguito ad analizzare con altretecniche campioni che presenteranno un post-trattamento in metanolo, al fine diverificare e quantificare la diminuzione della dose di fosforo.

Una conferma della bontà dell’analisi è data dal parametro !, il quale rap-presenta la larghezza a metà altezza della funzione lorenziana di fitting: questoparametro condiviso del fitting risulta essere pari a 9, 0 KeV, perfettamente com-patibile con la larghezza prevista. Questo valore conferma inoltre che le conside-razioni fatte sulla distribuzione del fosforo, trattato come un � layer superficiale,sono corrette, dimostrando che il fitting restituisce dei valori fisicamente sensati.A validare l’analisi dati vi è anche il campione di silicio con deposito superficialepresente, il quale restituisce un valore di dose compatibile con i campioni prodottiin precedenza, tenendo sempre conto della variabilità dovuta al mancato lavaggioin metanolo con la conseguente rimozione della componente fisisorbita.I principali risultati ottenuti con questa tecnica risultano ben chiari dalla tabellariassuntiva: si rivela che la quantità di fosforo depositata sui vari campioni è sicu-ramente maggiore del monolayer, anche se le dosi misurate di↵eriscono di pocooltre l’errore. Questo può essere giustificato dal fatto che la componente fisisorbitanon è ben controllabile, ed è possibile che i due trattamenti e↵ettuati di↵eriscanoleggermente tra loro. Sarà fondamentale nella prossima sezione (4.3.2) misurareun campione sintetizzato con la stessa procedura di quelli analizzati in questatecnica, al fine di confrontare e validare tra loro le tecniche NRA e Angle ResolvedXPS.

Un ulteriore risultato che è stato ottenuto è la reattività della molecola DPPanche su superfici ossidate del germanio, sia in caso di ossido nativo (campione4), sia a seguito di un etching superficiale ottenuto con un trattamento in H2O2

(campione 5). E’ stata verificata anche la reattività della molecola ODPA susuperficie terminata tipo GeH (campione 6), e l’aumento di dose depositata tra icampioni (2 e 3) confermano un assai probabile aumento di componente fisisorbitasuperficialmente all’aumentare del tempo di trattamento. Ovviamente, anche in

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tutti questi casi sarà necessario in futuro testare un trattamento in metanolo, al finedi confermare l’e↵ettivo chemisorbimento superficiale. Ciò che però si può notareè l’aumento della componente fisisorbita rispetto ai casi analizzati in precedenzasul silicio tramite tecnica RBS, anche rispetto al campione di silicio analizzato perconfronto in questa tecnica.

4.3 Analisi XPS per la verifica dell’assorbimento su-perficiale

Grazie all’analisi NRA è stato possibile verificare un adsorbimento superficiale dientrambi i precursori testati; in questa sezione saranno analizzati tramite analisiXPS non solo i segnali del fosforo per una sua analisi quantitativa, ma anche isegnali del germanio e dell’ossigeno, fondamentali per comprendere la naturachimica della superficie trattata.

4.3.1 Analisi preliminare

Il primo campione che è stato analizzato è un campione di Ge con superficietrattata in acido fluoridrico e acqua calda, al fine di rimuovere gli ossidi superficialie di terminare la superficie con funzionalità Ge �H. Il trattamento e↵ettuato perquesto campione ha previsto il deposito della molecola DPP a riflusso per 2 orein una soluzione mesitilene/DPP pari a 25:1 in rapporto volumetrico; è seguito unsolo lavaggio in mesitilene puro caldo al fine di lavare il campione dalla soluzionedi trattamento.

I picchi XPS cui si presterà attenzione sono quindi dati dal germanio, fosfo-ro e ossigeno: il primo sarà il segnale di bulk, il secondo sarà dovuto alla solapresenza della molecola precursore, mentre l’ossigeno potrebbe derivare sia dalprecursore ma anche da una ossidazione della superficie durante i trattamentiavvenuti o da eventuale ossido residuo sulla superficie. Per questo motivo, dopoun primo tentativo di analisi (vedi appendice) sul picco di ossigeno, si è ritenutopoco significativo tale segnale.Il picco più intenso del germanio è il Ge 2p, in particolare il Ge 2p 3

2, si trova a Binding

Energy pari a 1217,3 eV, mentre altri picchi meno intensi sono i Ge 3d, i quali si se-parano nelle varie componenti, tra cui le più intense sono Ge 3d 5

2e Ge 3d 3

2a Binding

Energy rispettivamente di 29,3 e 29,8 eV, e i picchi Ge 3p a 121,8 eV (componente3/2) e Ge 3s a 181,2 eV. Nel caso del fosforo i picchi XPS sono dati da P 2p a circa130 eV, il P 2s a circa 188 eV, e il più debole segnale a 17 eV del P 3s.Il primo step a↵rontato è stata l’acquisizione dello spettro XPS nella regione dei

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8000

6000

4000

2000

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

180 160 140 120

Binding Energy (eV)

Ge 3p

P 2p

Ge 3s

P 2s

Figura 4.4: Segnale XPS acquisito con Take o↵ angle pari a 90o dei segnali P 2p Ge 3p eP 2s Ge 3s per un campione GeH DPP 1:25 1h a riflusso, rinse mesitilene 20’.

segnali Ge 2p, dove però il segnale acquisito si è rivelato fortemente attenuato (siveda figura (4.5) nella sezione ARXPS) rispetto a delle prove successive condottenella regione dei segnali Ge 3p e Ge 3s (tenuto conto delle diverse sezioni d’urtodei picchi) e il fondo rivelato nella zona del segnale Ge 2p si presenta non piatto.L’attenuazione del picco Ge 2p è spiegabile da una contaminazione superficialedel campione, la quale attenua i fotoelettroni emessi abbattendo così il segnale; isegnali ad alte binding energy risulteranno i più attenuati in quanto essi sono as-sociati ai fotoelettroni meno energetici rilevati, mentre al diminuire della bindingenergy i segnali proverranno da fotoelettroni via via più energetici e quindi daessi emergeranno dei picchi più intensi. Saranno pertanto acquisiti i segnali Ge 3p

e Ge 3s del nostro campione, tenuto conto anche del fatto che ad energie analoghesono presenti anche i segnali del P 2p e il P 2s.

Le sorgenti a disposizione sono anodi di alluminio e di magnesio, per cui laradiazione a nostra disposizione dopo il sistema monocromatore sarà o l’Al K↵a 1486,7 eV con una larghezza di banda di 0,85 eV, o il Mg K↵ a 1253,6 eV conlarghezza pari a 0,7 eV. La scelta della sorgente che è stata adottata per le seguentimisure è legata ad un fattore pratico: nel caso si utilizzi una sorgente Mg K↵ sipuò verificare che lo spettro presenta una sovrapposizione tra un picco Auger e isegnali derivanti dal campione (in particolare i segnali Ge 3p e P 2p), cosa che nonaccade in caso di utilizzo di sorgente Al K↵. Pertanto si opta all’utilizzo dellasorgente Al K↵.

Come si riporta in figura (4.4), i segnali sono stati identificati in primo luogoe successivamente sono stati sottratti dal fondo. Purtroppo il segnale P 2p siposiziona in una salita plasmonica del segnale e di conseguenza la sottrazione delfondo in questa zona risulta più critica. Per rendere quantitativa l’analisi sono

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state attuate misure sistematiche su due campioni con e senza un trattamento inmetanolo e in funzione dell’angolo (ARXPS).

4.3.2 Analisi Angle Resolved XPS su campioni pre- e post- la-vaggio in Metanolo

Al fine di migliorare la comprensione della stima della quantità di fosforo chemi-e fisisorbito alla superficie dei campioni e allo studio della presenza dell’ossidotra il layer depositato e il germanio bulk, si procede ad analizzare un campionecon un deposito standard e lavaggio in metanolo finale (Ge con trattamenti in HFe acqua calda, 1h di trattamento di deposito a riflusso con molecola DPP e lavaggipost trattamento in mesitilene 20’ e metanolo 20’), ed un campione non lavato inmetanolo, da confrontare con la tecnica NRA.Grazie alla tecnica Angle Resolved XPS, che permette di variare l’angolo di rac-colta degli elettroni fotoemessi dal campione, è possibile analizzare fotoelettroniprovenienti da varie profondità del campione permettendo uno studio miglioredei film superficiali depositati. Grazie a questa tecnica è possibile accedere a delleinformazioni aggiuntive rispetto alla tecnica XPS usata precedentemente (descrit-ta nello specifico in appendice), tramite una modellizzazione dei dati e successivofitting, stimando informazioni come lo spessore del layer (o dei layer superficiali)e la distribuzione delle specie chimiche in essi.

Procedura sperimentale

Le misure che sono state acquisite in questa analisi sono state eseguite a 6 diver-si angoli di raccolta dei fotoelettroni, ovvero a 90o (ovvero lungo la normale delcampione), 60o, 45o, 40o, 28o e 20o: per ogni misura sono stati acquisiti i segnali delP 2s, Ge 3s, P 2p e Ge 3p. In questo caso è stato acquisito anche il segnale Ge 2p 3

2, prin-

cipalmente studiato in letteratura per il germanio data la sua maggiore sezioned’urto rispetto agli altri segnali di emissione del Ge, anche se le stesse considera-zioni che sono state preventivamente introdotte nella sezione precedente anchein questo caso si sono rivelate valide. Come nel caso precedente il segnale risultafortemente attenuato e la sua analisi a bassi angoli è praticamente impossibilea causa sia dell’elevata radenza del segnale e la conseguente diminuzione delsegnale del germanio al di sotto del layer di DPP, sia dell’attenuazione dovutaalla probabile presenza di particolato atmosferico contaminante depositatosi sullasuperficie, che causa una attenuazione dei fotoelettroni emessi a Binding Energyelevate.

Come prima immagine si riporta in figura (4.6) l’andamento dei segnali P 2p e

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15x103

10

5

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

1250 1240 1230 1220 1210 1200

Binding Energy (eV)

Ge 2p

(a) Spettro XPS del campione senzalavaggio in metanolo.

20x103

15

10

5

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

1250 1240 1230 1220 1210 1200

Binding Energy (eV)

Ge 2p

(b) Spettro XPS del campione con lavaggio inmetanolo.

Figura 4.5: Regione dello spettro XPS Ge 2p 32.

Ge 3p al variare dell’angolo di acquisizione. Si può già notare da questa immaginecome a radenze maggiori, le componenti del germanio 3

212 non rispettino più il

rapporto delle intensità, segno che almeno una componente ossidata del germa-nio si somma alla componente 1

2 , aumentando a bassi angoli questa componente.Questa semplice analisi preliminare ci conferma già la presenza di ossido sullasuperficie del germanio e pertanto ci porta a procedere con una deconvoluzionedei segnali; al fine di individuare tutte le componenti che formano i segnali, è utileanalizzare in prima battuta lo spettro acquisito a bassa radenza, in modo che lecomponenti ossidate e di superficie siano esaltate rispetto alla componente bulkdel germanio.

In figura (4.7) si riporta l’analisi dello spettro a minor angolo di acquisizioneregistrato, il quale risalta come sia necessaria l’introduzione di due stati di os-sidazione al fine di modellizzare correttamente il segnale sperimentale; in casodi assenza della seconda componente ossidata, il plot dei residui avrebbe segna-lato una discrepanza accentuata del segnale con la curva di fitting nella zona126 � 131 eV, indice del fatto che una seconda componente ossidata è presentenel campione. La presenza di questo secondo stato di ossidazione è del tuttoragionevole considerando il fatto che la rimozione dell’ossido nativo di germaniopotrebbe non essere avvenuta con la massima e�cienza, lasciando sulla superfi-cie del campione tracce di ossido di germanio residuo; una seconda ipotesi è che,nei periodi di esposizione del campione all’atmosfera e con una minima presenzadi umidità nell’ambiente di reazione, uno strato di ossido possa essersi formatoprima dell’attacco del monolayer alla superficie. Questo può di↵erenziarsi nellospettro XPS con un diverso chemical shift a causa del diverso stato di ossidazionedel germanio: l’ossido nativo di germanio è composto da due componenti GeO

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Figura 4.6: Variazione dei segnali XPS P 2p (a destra nello spettro) e Ge 3p al variaredell’angolo di acquisizione dei fotoelettroni emessi.

e GeO2 [15, 41, 43] (il primo rimovibile solo con trattamento in HF mentre il se-condo è solubile in acqua e ricresce facilmente in tempi brevi) mentre il germanioossidato a causa del presunto legame Ge�O�P presenta uno stato di ossidazioneben diverso dalla componente GeO2 dell’ossido nativo.

E’ pertanto plausibile attribuibile al picco posto a 126, 8 eV l’ossido GeO2; lapresenza di un secondo ossido attribuibile all’ossidazione del germanio a causadell’instaurarsi di un nuovo legame con il fosforo (di presunto tipo Ge � O � P)con un possibile contributo derivante dall’ossido nativo di tipo GeO, attribuibileal segnale posto a 124, 7 eV [57]. Il segnale del Ge metallico Ge 3p è invece senzadubbio attribuibile al picco principale, posto a Binding Energy pari a 121, 9 eV,mentre il segnale del fosforo P 2p è senza dubbi attribuibile al picco a 133, 9 eV [5].

Modellizzazione della misura

I dati così ottenuti (principalmente le intensità per ogni picco risolto al variaredell’angolo) sono ora utilizzabili al fine di modellizzare la tipologia di layer (inparticolare il grado di ricoprimento del layer) e i loro spessori, a partire da unmodello di input e aggiustando i parametri liberi. In questo caso i parametridel fit sono gli spessori dei vari layer simulati e il grado di ricoprimento dellayer depositato. I principali parametri di input del modello sono, oltre ai datidi intensità dei segnali XPS al variare degli angoli e i parametri di macchina, ilnumero di strati, la loro sequenza, densità e composizione chimica; in questomodo il software, grazie ad un calcolo Montecarlo eseguito dal software, riesce acalcolare anche la E↵ective Attenuation Lenght, tenendo così conto dello scattering

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150

100

50

0Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

135130125120

Binding Energy (eV)

604020

0-20-40R

esi

duals

120

80

40

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

0

1

2

3

Metallic Ge

Ge Oxide 1 PhosphorusGe Oxide 2

Figura 4.7: Deconvoluzione e fit del segnale XPS Ge 3p e P 2p con angolo di raccolta paria 20o. Parametri di acquisizione: pass energy 20 eV, integrazione ogni 0,1 eV per 0,5s.Segnale da 15 acquisizioni mediate.

elastico e anaelastico dei fotoelettroni emessi da varie profondità1

Il modello ottimizzato, i risultati e il fit svolto dal sistema sono riportati nelleimmagini (4.9) e (4.10).

I risultati ottenuti ci mostrano che il grado di ricoprimento del layer è compati-bile con il valore 1, ovvero la quasi totalità della superficie di germanio analizzatadal fascio è ricoperta totalmente dal fosfonato depositato. Il layer di carbonioposto al di sopra del modello è stato utilizzato al fine di simulare sia il partico-lato atmosferico presente con ogni probabilità sulla superficie, sia il carbonio cheè presente nella molecola depositata, entrambi probabili causa dell’attenuazio-ne riscontrata. L’ossido di germanio è invece stato trattato per semplicità comeunico layer e data la preponderanza di ossido di tipo GeO, la sua composizioneassegnata è di questo tipo; l’intensità utilizzata è però data dalla somma delle duecomponenti ossidate rivelate. La composizione del layer di fosfonato è invecestata simulata con il composto nel database che meglio poteva simulare la com-posizione e densità del materiale da noi depositato, ovvero dall’anidride fosforosaP2O3.

4.3.3 Analisi della dose depositata

Dai dati così ottenuti è possibile stimare la dose di fosforo depositata superfi-cialmente, in modo da poter confrontare i risultati ottenuti con questa tecnicaARXPS con la tecnica Nuclear Reaction Analysis (NRA). Lo spessore dello strato

1Il software utilizzato per l’analisi dati è BriXias, scritto da G. Drera e G. Salvinelli, ref.http://centridiricerca.unicatt.it/ilamp-brixias-code.

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150

100

50

0Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

135130125120

Binding Energy (eV)

604020

0-20-40R

esi

du

als

120

80

40

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

0

1

2

3

Metallic Ge

Ge Oxide 1 PhosphorusGe Oxide 2

(a) Segnale a 20o.

400

300

200

100

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

135130125120

Binding Energy (eV)

-100

-50

0

50

Resi

duals

300

200

100

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

0

1

2

3

(b) Segnale a 28o .

800

600

400

200

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

135130125120

Binding Energy (eV)

10050

0-50

-100

Re

sid

ua

ls

600

400

200

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

0

1

2

3

(c) Segnale a 40o.

1000

800

600

400

200

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

135130125120

Binding Energy (eV)

100

0

-100

Re

sid

ua

ls

800600400200

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

0

1

23

(d) Segnale a 45o.

1200

1000

800

600

400

200

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

135130125120

Binding Energy (eV)

200100

0-100R

esi

duals

1200

800

400

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

0

12

3

(e) Segnale a 60o.

1200

1000

800

600

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200

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

135130125120

Binding Energy (eV)

200

100

0

-100Resi

duals

1200

800

400

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

0

12 3

(f) Segnale a 90o.

Figura 4.8: Fit dei segnali XPS ai vari angoli di acquisizioni esplorati.

101

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Surface: C, 11.004 Å

Layer 1: P2O3, 5.2 Å

Layer 2: GeO, 5.6 Å

Bulk: Ge

Model S

cale: 32.706 Å

average XP

S-E

D (75 Å

)

Figura 4.9: Risultato grafico del modello utilizzato: gli spessori dei vari layer sonoriportati. Come si può notare, l’area di ricoprimento del layer è posto pari a 1 a seguitodei risultati ottenuti.

1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

0.0

Inte

nsity

( C

ount

s / s

ec)

706050403020100

Angle (°)

YData0 - Ge - Ge 3p 3/2 YData1 - GeOx - Ge 3p 3/2 YData2 - P2O3 - P 2p 3/2

Current optimization stage(Analytical TA approximation):Island depth (Å) = 13.5 Island area ratio = 1 C thickness(Å) = 11.0P2O3 thickness(Å) = 5.2 GeO thickness(Å) = 5.6 Scaling factor = 1 (held)

Figura 4.10: Fit del modello simulato: variazioni di intensità relative dei picchi, rispettoal segnale del Ge metallico, in funzione dell’angolo di raccolta dei fotoelettroni emessi.Risultati del modello riportati in tabella.

di DPP stimato dal modello è pari a 5, 2 angstrom (si veda figura 4.9) per il caso delcampione lavato in metanolo, mentre per il caso del campione non lavato è pari a10, 4 angstrom. Dato il peso atomico del P2O3 (molecola utilizzata per simulare ilcomportamento del DPP, come già riportato precedentemente) è pari a 109, 93 g

mol

e la sua densità è pari a 2, 135 gcm3 , è possibile calcolare che le moli di P2O3 su

cm3 equivalgono a 1, 942 10�2 molcm3 . Tenendo conto che in questo caso vi sono due

atomi di fosforo per molecola, anziché uno come nel caso del DPP, è possibilericavare il numero di atomi di P presenti per unità di volume, ovvero la densitàatomica del P. Essa risulta pari a 2, 34 1022 atomi

cm3 . Moltiplicando questo valore perlo spessore ricavato dal modello, si può ricavare una stima della dose misuratagrazie all’analisi XPS. Ne risulta che per il campione lavato con metanolo la doseè pari a 1, 2 1015 atomi

cm2 , mentre per il caso del campione non lavato la dose risultaessere 2, 4 1015 atomi

cm2 .Ovviamente questo calcolo deve essere preso solo come riferimento poiché que-

102

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sto conto presuppone sia che il DPP abbia densità pari al P2O3 (approssimazionesu�cientemente buona dal loro confronto, tenuto conto delle diverse quantità difosforo contenute nelle due molecole) e che essa sia mantenuta anche nello statolegato di monolayer.

Un’analisi analoga può essere condotta nel caso della stima dell’ossido, al finedi verificare quanto il germanio superficiale sia ossidato. Alla stregua dell’analisiprecedente, conoscendo la densità dell’ossido simulato (GeO pari a 5, 32 g

cm3 ),la sua massa molecolare (pari a 88, 62 g

mol ) e lo spessore ricavato dal fitting delmodello (5, 6 angstrom), si può ricavare che la sua dose è pari a 2, 0 1015 atomi

cm2 peril campione con trattamento finale in metanolo. Questo valore denota che si è inpresenza di una quantità nettamente maggiore alla densità atomica superficialedel Ge (100) (6, 5 1014 atomi

cm2 ), indice che o si è in presenza di circa 3 strati diossido superficiali, oppure che a causa di una conformazione superficiale nonperfettamente ’flat’, la rugosità della superficie è abbastanza elevata. Questaultima ipotesi, può essere ritenuta causa stessa dell’ossidazione superficiale, laquale potrebbe formare a livello nano-metrico una alterazione della superficie(100) del germanio, aumentandone la sua densità superficiale. Questa ipotesipotrebbe spiegare anche il fatto che la quantità di fosforo presente nel campionelavato con il metanolo corrisponde a circa al doppio della dose superficiale di Ge(100): anche in questo caso potrebbe essere presente un doppio strato depositatofortemente legato alla superficie, oppure potrebbe essere presente un monolayerdi DPP distribuito però su una superficie non flat di Ge (100).Al fine di verificare questa ipotesi, ulteriori analisi superficiali specifiche sarannocondotte.

Confronto tra analisi ARXPS e NRA

A questo punto è possibile analizzare e confrontare i risultati delle analisi condottesui campioni di germanio tramite la tecnica ARXPS e la tecnica Nuclear ReactionAnalysis. Come già descritto in precedenza, per quest’ultima tecnica sono statianalizzati soltanto campioni che non hanno subito un trattamento di rimozionedella componente fisisorbita, e pertanto sono stati analizzati con la tecnica ARXPSin parallelo due campioni, che di↵erivano tra loro per la presenza o meno delrisciacquo finale in metanolo. Per la tecnica ARXPS, il campione lavato conmetanolo presenta una dose di fosforo superficiale pari a 1, 2 1015 atomi

cm2 , mentre peril caso del campione non lavato la dose risulta essere 2, 4 1015 atomi

cm2 . Purtroppo glierrori relativi a queste misure non sono di facile stima, poiché nell’analisi delladose depositata sono state eseguite delle approssimazioni che hanno introdottoerrori non facilmente stimabili.

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Nel caso dell’analisi NRA invece, un campione sintetizzato con la stessa procedura(GeH DPP 1h con il solo lavaggio in Mesitilene), presentava una dose superficialepari a (2, 8 ± 0, 2) 1015 atomi

cm2 .Questi due valori sono compatibili tra loro, assumendo che l’errore della tec-

nica NRA (tecnica che in genere presenta una delle accuratezze maggiori nellastima della dose) sia attribuibile anche al caso della tecnica ARXPS.

4.4 Microscopia a Forza Atomica (AFM) e analisi otti-che

In questa sezione saranno analizzate svariate superfici di Ge (100) sia tramiteMicroscopia a Forza Atomica AFM, sia grazie ad analisi ottiche condotte conun microscopio ottico. Grazie a quest’ultima tecnica si andranno ad analizzareoggetti eventualmente depositati sulla superficie di dimensioni nella scala deimicron, mentre grazie alla tecnica AFM si andranno a sondare conformazionisuperficiali di dimensioni minori del micron, fino ad arrivare alla sensibilità dellatecnica attorno al nanometro. L’obiettivo comune che ha spinto all’utilizzo diqueste tecniche è la necessità della verifica della bontà delle superfici, ovvero laverifica di una situazione di superficie flat a livello nanometrico e la valutazionedei residui di polvere (o di altra natura) presenti sulla superficie. Una buonaqualità superficiale dei campioni è fondamentale al fine di poter eseguire misuresia di attivazione elettrica e sia misure SIMS, al fine di poter far fluire correttamentele correnti sui campioni che saranno analizzati e di non creare artefatti nelle misureSIMS.I campioni di germanio utilizzati per questo lavoro di tesi derivano da fette di Ge(100) di grado elettronico (UMICORE) che sono state tagliate presso l’Universitàdegli studi di Ferrara con una sega a controllo numerico con punta di diamante,al fine di ricavare dei campioni di dimensioni 1x1 cm per e↵ettuare al megliole misure elettriche. In questa sezione si verificherà sia la superficie di partenzadelle fette, sia un eventuale aumento della rugosità a seguito di questo processo ditaglio, e sia si verificheranno delle eventuali soluzioni in caso si rilevino anomalienelle superfici utilizzate.

Una prima analisi superficiale è stata condotta con un microscopio ottico alfine di verificare l’eventuale presenza di difetti o morfologie superficiali macro-scopiche. Come si può vedere nell’immagine (4.11), in alcuni campioni è statorilevato un anomalo pattern superficiale visibile anche con piccoli ingrandimenti,presente soltanto in una partita di campioni tagliati a sega. Questo problema po-trebbe indicare una morfologia superficiale alterata rispetto alle condizioni iniziali

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Figura 4.11: Campione ricavato da wafer con tagliato a sega (adesivo usato di tipo cera).Ingrandimento totale 100 X.

del wafer, indice che nel processo di taglio in analisi è stato commesso un errorenella procedura. Infatti altri campioni con lo stesso taglio, ma di altre partite nonpresentano questa anomalia superficiale.Questi campioni sono stati analizzati anche con una analisi di microscopia a forza

Figura 4.12: Campione da wafer tagliato a mano.

atomica, misurando campioni aventi questo problema, campioni provenienti daun wafer non tagliato a sega, sia un campione di confronto di silicio. L’immagine(4.12) riporta un’immagine 3D superficiale di un campione di germanio verginecon taglio laterale eseguito a mano, che rivela una morfologia superficiale pres-

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soché piatta se confrontata con la scala riportata in z e la risoluzione della tecnicaalle condizioni di misura in atto.Ben altra morfologia si può visualizzare nell’immagine (4.13), la quale presenta

Figura 4.13: Campione da wafer tagliato a sega (adesivo usato di tipo cera).

delle conformazioni superficiali tutt’altro che piatte, che indicano un aumentodella rugosità superficiale, confermata da analisi e↵ettuate su varie immaginiacquisite.

Grazie a queste analisi siamo quindi in grado di rivelare se il processo di taglioa sega ha apportato modifiche superficiali al wafer di partenza, che potrebbero es-sere determinanti per la riuscita di misurazioni SIMS. In particolare, l’alterazionedella morfologia superficiale visibile al microscopio ottico, rivela che questi cam-pioni potrebbero presentare delle di�coltà in una fase di misura SIMS (si veda lasezione dedicata per conferma). Sono stati inoltre rilevati dei residui superficia-li di�cilmente rimovibili che potrebbero essere dei residui dovuti al metodo difissaggio del wafer durante il taglio, non e�cacemente rimossi: si presume chequesta anomalia sia legata al solo ultimo processo di taglio.Per concludere, il processo di taglio del wafer si è rivelato estremamente delica-to poiché piccole variazioni della procedura di taglio, come la rimozione dellapolvere di taglio, possono modificare sostanzialmente la superficie di germanio.L’aumento della rugosità riscontrata in questa analisi non è su�ciente a giusti-ficare un aumento della dose di monolayer a causa di una modifica superficialedel substrato di germanio. Di conseguenza, i campioni che saranno sintetizzati in

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futuro saranno tagliati a mano, in modo da evitare queste problematiche (i cam-pioni che saranno trattati con la tecnica RTA e poi analizzati al SIMS seguirannoquesta procedura).

4.5 Conclusioni

Riassumendo in questo capitolo abbiamo ottenuto prime importanti informazioniriguardo il processo di adsorbimento superficiale dei precursori alla superficie digermanio:

1. Le molecole DPP e ODPA si adsorbono al germanio.

2. La molecola DPP si adsorbe al germanio sia con ossido nativo che conterminazione superficiale del tipo GeH.

3. Sia la molecola DPP che la molecola ODPA adsorbono in quantità superiorial monolayer e la molecola DPP, anche a seguito di un lavaggio in metanolo,presenta una dose 1, 2 1015 at/cm2 maggiore a quella prevista per un mono-layer. Sono state avanzate ipotesi sull’aumento della superficie e�cace delgermanio per giustificare questo fenomeno, ma tale aspetto è da investigareulteriormente in futuro.

4. L’analisi ARXPS rivela la presenza di Ge ossidato in quantità superiori almonolayer, suggerendo che vi sia uno strato di ossido di germanio tra illayer molecolare e il substrato.

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Capitolo 5

Prove di di↵usione da sorgentemonolayer in germanio

5.1 Trattamenti termici

Al fine di testare il processo di monolayer doping, sono stati testati vari set dicampioni con layer DPP depositato su superfici terminate con funzionalità GeH:è stata scelta questa tipologia di superficie non solo perché è stata la più studiatae la più controllabile (a di↵erenza dell’ossido nativo), ma proprio perché essapresenta la minor quantità di ossido superficiale, la quale potrebbe agire comebarriera alla di↵usione del fosforo.

Al fine di individuare quali siano i range ottimali per i trattamenti termici, siprocede con una stima a priori di quali possano essere, avendo come riferimento iprincipali lavori di di↵usione presenti in letteratura [6, 7]. Il problema della sceltadel budget termico più adatto al processo è legato al fatto che non è presente inletteratura alcun tipo di studio da sorgente monolayer per il germanio e pertantole valutazioni che saranno sviluppate di seguito hanno solo un valore indicativo.Esse saranno basate sui concetti teorici sviluppati nella sezione (1.2) e sarannoampliati di seguito.

Il lavoro di Brotzmann [6] verte sullo studio di di↵usione intrinseca ed estrin-seca di fosforo da una sorgente particolare, ovvero da un alloy Ge-drogante all’1%,fatto di↵ondere come sorgente in fase vapore dalla superficie; il secondo caso pre-so in analisi riguarda lo studio di Carroll [7], dove la sorgente di drogante è data daun impianto di fosforo in germanio, successivamente processato termicamente. Idue studi di↵eriscono tra loro per i risultati ottenuti e in particolare per la diversadi↵usività del fosforo e una diversa energia di attivazione di processo di↵usivo(energia di attivazione legata alla dipendenza di tipo Arrhenius tra la di↵usività ela temperatura) rilevata nei due casi. Alla luce di tutto ciò, si procederà di seguito

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alla stima dei parametri di trattamento, sondando quali tempi e quali temperatureè conveniente testare nei processi termici che dovranno essere eseguiti, tenendoconto dei diversi risultati di questi due principali lavori in letteratura.

In primo luogo si decide di calcolare tutte le grandezze in gioco in un rangedi temperature ampio, ovvero tra circa 500 e 870 oC, poco al di sotto della tempe-ratura di fusione del germanio. La prima grandezza da calcolare è il coe�ciente didi↵usione intrinseca del fosforo DP(nin): esso sarà calcolato sia per il caso di Brotz-mann e sia per il caso di Carroll, dato che i loro risultati di↵eriscono. La formulache lega il coe�ciente di di↵usione intrinseca alla temperatura è un andamentodi tipo Arrhenius:

DP(nin) = c exp �Eattivazione

kbT

! "cm2

s

#(5.1)

dove l’energia di attivazione secondo Brotzmann è pari a (2, 85± 0, 04) eV mentrenel caso di Carroll è pari a 2, 3 eV, e il prefattore è pari a 9, 1 e 0, 0185 cm2

s rispetti-vamente.Il secondo parametro che è calcolato è la concentrazione di portatori intrinsecini, definita univocamente dalla relazione seguente, derivante da un fit di datisperimentali.

nin = 7, 3 1020 exp � (0, 44 ± 0, 05) eV

kbT

![cm�3] (5.2)

A questo punto, grazie all’utilizzo di dati derivanti dalle concentrazioni di ingres-so derivanti dai dati di Brotzamnn e di di↵usione da SOD1, è possibile stimare deitempi di processo secondo il seguente modello base. In pratica vogliamo calcolarequale sia il tempo caratteristico per cui ad una data temperatura il fosforo di↵ondeper una lunghezza di di↵usione Ldi f f tale che Ldi f f Cmax (ovvero la dose di fosforoin germanio) sia pari alla quantità di fosforo disponibile nella sorgente (f). Più indettaglio, possiamo esprimere tutto ciò come:

1. l’andamento del coe�ciente di di↵usione in condizioni estrinseche

D = Din

n(Cmax)

ni

!2

(5.3)

dove in condizioni di regime estrinseco n(Cmax) è circa pari a Cmax

2. la lunghezza di di↵usioneLdi f f =

p2Dt (5.4)

1Lavoro in fase di studio attuale nel gruppo di semiconduttori dell’Università degli Studi diPadova, da parte di Virginia Boldrini e il prof. De Salvador

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3. consideriamo la dose (o detta anche fluence in questi casi) nel Ge sia parialla dose totale disponibile f e supponendo in prima approssimazione unprofilo a casseta, possiamo scrivere che:

Cmax =fL

(5.5)

Grazie a queste tre equazioni (5.3, 5.4, 5.5) è possibile ricavare che:

t =f 2 n2

i

2DinC4max

(5.6)

Il parametro f corrisponde alla quantità di fosforo disponibile alla superficie per ladi↵usione dalla sorgente superficiale. I dati calcolati nella tabella (5.1) assumonoche circa un monolayer sia disponibile alla di↵usione senza la presenza di alcunabarriera aggiuntiva (diretto passaggio al germanio). Come vedremo in seguito,questa è una forte semplificazione del problema.Per tempi più lunghi stimati dall’equazione (5.6), il fosforo di↵onderà più in pro-fondità e diminuirà la propria concentrazione. In altri termini, il fosforo si potràdisperdere eventualmente anche verso la superficie se il capping di SiO2 non haun comportamento ideale. Per tempi più corti non tutto il fosforo della sorgenteavrà avuto il tempo di di↵ondere all’interno del campione e anche in questo casola quantità di drogante nel germanio sarà inferiore a quella massimale. Come sipuò vedere dalla tabella, sono stati stimati vari tempi possibili per ogni tempe-ratura sondata, tenendo conto di diverse combinazioni dei parametri stimati daBrotzmann (abbreviato Brotz. in tabella) e Carroll (abbreviato Car. in tabella). Ilprimo tempo stimato (tdi f f Car.) prevede la stima del tempo di di↵usione usandoil coe�ciente di di↵usione secondo Carroll Dp(nint) Car. e stimando una concen-trazione in ingresso C = 1 1019 cm�3, il secondo tempo (tdi f f Brotz. CSOD) è statocalcolato con il coe�ciente di di↵usione secondo Brotzmann Dp(nint) Brotz. e unaconcentrazione in ingresso pari a quella ricavata nel lavoro in atto presso il gruppodi Semiconduttori sul SOD (CSOD), mentre l’ultimo tempo (tdi f f Brotz. CCar.) è statocalcolato con il coe�ciente di di↵usione secondo Brotzmann ma a partire da unaconcentrazione in ingresso pari a quella trovata nell’articolo di Carroll CCar..

Tutte queste stime rivelano che vi sono ampi range di tempistiche da sondare,a partire da trattamenti di pochi secondi, fino a tempi estremamente prolungati.Questi risultati ci suggeriscono quindi di provare comunque ampi range di tem-perature, mantenendosi comunque sotto gli 850 oC, temperatura estremamentealta per il germanio e mai sondata in precedenza a causa dell’avvicinarsi del pun-to di fusione del germanio, e al di sopra di temperature 570 oC, dove i tempi didi↵usione inizierebbero a divergere anche nelle stime più ottimistiche (70 minuti).

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Tabella 5.1: Calcolo dei tempi di di↵usione in funzione della temperatura secondoBrotzmann e Carroll.

T 1kbT Dp(nint) Brotz. Dp(nint) Car. ni Brotz. CSOD CBrotz. tdi f f Car. tdi f f Brotz. CSOD tdi f f Brotz. CCar.

[oC] [eV�1]"

cm2s

# "cm2

s

#[cm�3] [cm�3] [cm�3] [s] [s] [s]

500 15,01 2,40108E-18 1,82805E-17 9,8865E+17 2,76805E+19 9,42005E+18 1309972 169882 12665736510 14,82 4,14604E-18 2,84076E-17 1,07564E+18 2,91327E+19 1,02251E+19 997849 94917 6254500520 14,63 7,0612E-18 4,3657E-17 1,1678E+18 3,05855E+19 1,10647E+19 765329 54070 3156904530 14,45 1,18677E-17 6,63781E-17 1,26526E+18 3,20334E+19 1,19373E+19 590882 31386 1627570540 14,27 1,96927E-17 9,98897E-17 1,36816E+18 3,34706E+19 1,28409E+19 459109 18555 856542550 14,10 3,22777E-17 1,48835E-16 1,47661E+18 3,48912E+19 1,37734E+19 358917 11166 459860560 13,93 5,22814E-17 2,19649E-16 1,59075E+18 3,62893E+19 1,47324E+19 282253 6837 251725570 13,76 8,37191E-17 3,21179E-16 1,71069E+18 3,76585E+19 1,5715E+19 223233 4258 140418580 13,60 1,32589E-16 4,65473E-16 1,83653E+18 3,89928E+19 1,67182E+19 177528 2695 79780590 13,45 2,07761E-16 6,6882E-16 1,9684E+18 4,02856E+19 1,77385E+19 141932 1734 46148600 13,29 3,22221E-16 9,53055E-16 2,10638E+18 4,15307E+19 1,87724E+19 114056 1133 27164610 13,14 4,94797E-16 1,34724E-15 2,25058E+18 4,27216E+19 1,98157E+19 92111 752 16266620 12,99 7,52539E-16 1,88974E-15 2,40109E+18 4,38516E+19 2,08643E+19 74744 507 9904630 12,85 1,13396E-15 2,63092E-15 2,558E+18 4,49145E+19 2,19136E+19 60933 347 6130640 12,71 1,69343E-15 3,63635E-15 2,72138E+18 4,59035E+19 2,29587E+19 49897 241 3856650 12,57 2,50705E-15 4,99089E-15 2,89132E+18 4,68121E+19 2,39945E+19 41037 170 2464660 12,43 3,68051E-15 6,80367E-15 3,06788E+18 4,76339E+19 2,50156E+19 33892 121 1599670 12,30 5,35939E-15 9,21415E-15 3,25114E+18 4,83624E+19 2,60164E+19 28105 88 1054680 12,17 7,74282E-15 1,23995E-14 3,44116E+18 4,8991E+19 2,69909E+19 23397 65 705690 12,05 1,11011E-14 1,65834E-14 3,63798E+18 4,95134E+19 2,79331E+19 19553 48 479700 11,92 1,57985E-14 2,2047E-14 3,84167E+18 4,99233E+19 2,88364E+19 16400 36 331710 11,80 2,23227E-14 2,91413E-14 4,05227E+18 5,02144E+19 2,96944E+19 13805 28 232720 11,68 3,13225E-14 3,83026E-14 4,26983E+18 5,03805E+19 3,05002E+19 11661 22 165730 11,57 4,36549E-14 5,00704E-14 4,49437E+18 5,04156E+19 3,12467E+19 9883 17 119740 11,45 6,04454E-14 6,51084E-14 4,72594E+18 5,03135E+19 3,19268E+19 8404 14 87750 11,34 8,31631E-14 8,42294E-14 4,96456E+18 5,00685E+19 3,2533E+19 7169 11 65760 11,23 1,13714E-13 1,08424E-13 5,21027E+18 4,96747E+19 3,30579E+19 6134 9,2 49770 11,13 1,54559E-13 1,38894E-13 5,46307E+18 4,91265E+19 3,34936E+19 5264 8,4 37780 11,02 2,08855E-13 1,77093E-13 5,72298E+18 4,84183E+19 3,38324E+19 4531 7,4 29790 10,92 2,8063E-13 2,24767E-13 5,99002E+18 4,75446E+19 3,40662E+19 3911 6,3 23800 10,81 3,75001E-13 2,84011E-13 6,26419E+18 4,65003E+19 3,41868E+19 3385 5,5 19810 10,71 4,98432E-13 3,57323E-13 6,54551E+18 4,52802E+19 3,41862E+19 2937 5,0 15820 10,62 6,5905E-13 4,47675E-13 6,83396E+18 4,38791E+19 3,40559E+19 2555 4,6 13830 10,52 8,67026E-13 5,58585E-13 7,12954E+18 4,22924E+19 3,37874E+19 2229 4,4 11840 10,42 1,13502E-12 6,94207E-13 7,43226E+18 4,05151E+19 3,33725E+19 1949, 4,4 9850 10,33 1,47875E-12 8,59424E-13 7,74209E+18 3,85428E+19 3,28023E+19 1708 4,5 8860 10,24 1,9176E-12 1,05996E-12 8,05903E+18 3,6371E+19 3,20685E+19 1501 4,7 7870 10,15 2,47541E-12 1,3025E-12 8,38305E+18 3,39954E+19 3,11622E+19 1321 5,2 7

Questa ampia variabilità di tempistiche è dovuta principalmente alla stima che sideve assumere sulla concentrazione d’ingresso del drogante all’interno del ma-teriale, il quale pesa come una quarta potenza al denominatore della formulautilizzata per la stima del tempo di di↵usione (5.6); essendo questo parametroun’incognita, la variabilità dei tempi stimati è ampia a causa delle diverse con-centrazioni di entrata prese in considerazione da diversi, che di↵eriscono tra loro,e anche dal nostro caso, dal tipo di sorgente.

I trattamenti che saranno eseguiti, alla luce di quanto detto, si baserannosull’utilizzo di due diversi macchinari, che di↵eriranno sostanzialmente dalladiversa capacità di imprimere rampe termiche ai campioni: sarà infatti sia ildiverso budget termico (tempo e temperatura) impresso al campione e sia larampa di riscaldamento a determinare il tipo di trattamento.

5.1.1 Trattamenti in fornace tubolare

I primi trattamenti che sono stati e↵ettuati hanno previsto un trattamento inuna fornace tubolare dedicata esclusivamente a trattamenti in semiconduttori,al fine di preservare la pulizia interna del forno, fondamentale per i processi susemiconduttori. Questi trattamenti sono stati i primi ad essere e↵ettuati in ordine

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Figura 5.1: Immagine della fornace tubolare con il sistema di aspirazione-flusso e fastentry.

Tabella 5.2: Trattamenti termici eseguiti tramite trattamento termico in fornace tubolare.

Campione Temperatura max Tempo di trattamento Lavaggi Molecola� [oC] [minuti] � �1 664 10 Mesit. +MeOH DPP2 648 30 Mesit. +MeOH DPP3 573 30 Mesit. +MeOH DPP4 606 30 Mesit. +MeOH DPP5 680 30 Mesit. ODPA6 606 30 Mesit. DPP7 606 30 Mesit. ODPA8 535 30 Mesit. ODPA

cronologico, in attesa della disponibilità del macchinario RTA (si veda la sezioneseguente 5.1.2) con il quale sono stati in seguito sondati altri budget termici.Proprio per le caratteristiche delle fornaci tubolari, le rampe in temperatura deicampioni seguono un andamento di tipo esponenziale; pertanto le tempistichesondate con questa metodologia sono piuttosto lunghe, e si attestano attornoai 30 minuti di processo (figura 5.2b). In un solo caso invece è stato testato uncampione in regime spike (figura 5.2a), ovvero portando la fornace tubolare ad unatemperatura più alta rispetto al setting normale ed estraendo il campione quandola sua curva di riscaldamento non era ancora arrivata a plateau. Il riassuntodei campioni trattati con questo metodo è riportato in tabella (5.2), dove si puòverificare che sia la molecola DPP e ODPA sono state utilizzate, al fine di verificareun loro diverso comportamento.

A titolo rappresentativo si riportano in figura (5.2) due esempi di rampe cuisono sottoposti i campioni in trattamenti in fornace tubolare: in particolare infigura (5.2b) si riporta il tipico trattamento e↵ettuato per tutti i campioni, mentrein figura (5.2a) si riporta un trattamento in condizioni di spike annealing.Per estendere i trattamenti a temperature più alte, sulla base dei calcoli all’inizio

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(a) Trattamento in regime spike annealing,campione 1 della tabella (5.2).

(b) Campione trattato a T massima di 606 oC per30 minuti; campione 4 della tabella (5.2).

Figura 5.2: Rampe in temperatura di trattamenti tipici eseguiti in fornace tubolare.

del paragrafo, risulta necessario testare anche tempi più corti di 30 minuti. Inpratica accedere a temperature più alte potrebbe innalzare troppo la di↵usività ecostringerci a ridurre notevolmente i tempi. Per farlo in modo controllato abbiamosvolto una seconda serie di trattamenti con il processo RTA.

Il motivo principale per l’aumento della temperatura risiede nella citata ipotesiche riguarda la disponibilità di fosforo dalla sorgente che potrebbe a sua voltaessere attivata termicamente a causa della necessità del fosforo di superare unabarriera di ossido di germanio o di avere su�ciente energia per rompere il legameformato con la superficie.

5.1.2 Trattamenti Rapid Thermal Annealing (RTA)

Il trattamento Rapid Thermal Annealing, conosciuto anche con il nome di RapidThermal Processing (RTP), è al giorno d’oggi il metodo standard per i trattamentidi di↵usione e attivazione elettrica del drogante all’interno dei semiconduttori. Ilmacchinario utilizzato per questi test è il Jipelec Jetfirst 150, il quale rispecchia apieno lo standard dei macchinari commerciali presenti nel mercato odierno. Peruna descrizione dell’apparato e del lavoro di messa a punto dei processi eseguitisi veda in appendice.Nella figura (5.3), per confronto con il processo in fornace tubolare, si riportaa titolo di esempio la rapidità del processo di riscaldamento attuato con questomacchinario (nell’ordine di pochi secondi la temperatura di processo è raggiunta)e la stabilità della temperatura ottenuta.

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Figura 5.3: Rampa di approccio alla temperatura di processo del trattamento a 650oC per 60 secondi (immagine completa nella figura C.2 in appendice). Nel box: zoomdell’overshooting.

Scelta dei trattamenti termici

I campioni che sono stati trattati termicamente presentano tutti la stessa procedu-ra di sintesi, ottimizzata nelle precedenti sezioni e pertanto ritenuta la migliore.I campioni sono stati direttamente tagliati a mano a partire da un wafer di 4 indi Ge p. I campioni presentano quindi una superficie di partenza del tipo GeH,ottenuta pre-trattandoli con 5 cicli alternati in HF 10% e H2O per 1 minuto l’uno;in seguito, il deposito è avvenuto in condizioni di riflusso con una soluzione 1:25di DPP in mesitilene (volume totale circa 26 ml). L’apparato composto da colonnarefrigerante e pallone di reazione sono stati preventivamente sigillati dall’ambien-te esterno e saturati di argon, al fine di minimizzare l’umidità presente all’interno.Il processo di deposito è stato fissato ad 1 ora dall’instaurarsi del riflusso, e sonosubito seguiti due lavaggi consecutivi in mesitilene caldo e in metanolo caldo per20’ ciascuno. I campioni sono stati in seguito stoccati in sacchetti riempiti d’argon,fino al deposito dell’ossido di capping, avvenuto tramite electron beam deposition(e-beam deposition): lo spessore depositato è di circa 100 nm di SiO2.In tabella (5.3) si riportano i trattamenti che sono stati eseguiti.

5.2 Misure elettriche Van der Pauw (VdP)

In questa sezione si procederà alla verifica dell’attivazione elettrica dei campionidopo il trattamento termico, previa rimozione della SiO2 di capping tramite untrattamento in HF 2% per uno-due minuti.

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Tabella 5.3: Trattamenti termici eseguiti tramite RTA ai campioni.

Campione Temperatura Tempo di trattamento[oC] [minuti]

1 650 12 650 53 650 304 730 15 730 56 730 307 825 18 825 59 825 30

Data la spiccata tendenza del germanio a formare un layer superficiale di ossidonon conduttivo, è indispensabile e↵ettuare un trattamento in acqua calda perqualche minuto (temperatura attorno ai 50-80 oC), al fine di rimuovere almenouna componente dell’ossido, ovvero la GeO2. La rimozione parziale o totale del-l’ossido superficiale è utile al fine di ridurre lo strato superficiale non conduttivopresente sul campione, in modo che la corrente possa fluire dalle punte metalli-che, collegate ad un generatore di corrente e alternativamente ad un analizzatore,al semiconduttore drogato.

Una volta rimossa la maggior quantità di ossido possibile e montato il cam-pione nel suo alloggiamento, il primo test che deve essere e↵ettuato è la verificadei contatti elettrici punta-semiconduttore; è necessario verificare che le puntesiano appoggiate ortogonalmente al campione e che vi sia un contatto elettrico trail metallo e il semiconduttore. In caso ciò non si verifichi, è in genere utile serraremaggiormente le punte alla superficie, facendo attenzione però a non inciderela superficie del campione, rischiando così di a↵ondare le punte metalliche nelcampione (bastano poche decine di nanometri per superare bucando fisicamenteeventuali giunzioni superficiali sottili). A questa semplice verifica seguirà la mi-sura dell’ohmicità dei contatti, ovvero per ogni punta verrà creata una curva (I,V)al fine di verificare se i contatti punta-semiconduttore sono ohmici o presentinoun andamento di tipo Schottky. Nei casi da noi in esame, questa analisi saràe↵ettuata con range di correnti via via maggiori, al fine di non danneggiare lagiunzione sottostante, riacquisendo di volta in volta un plot I,V con range di cor-renti crescenti. Grazie a questi plot è possibile ottenere delle prime informazionisul campione, come il tipo di giunzione metallo-semiconduttore che si forma (ingenere metallo-ossido-semiconduttore), ovvero una giunzione di tipo Ohmica,oppure una giunzione di tipo Schottky.Per e↵ettuare correttamente questa misura sui campioni da noi in uso, si prov-

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Tabella 5.4: Caratteristiche elettriche Ge bulk p misurate sui campioni con pad metallicisuperficiali in Ti/Au: i valori sono compatibili con quelli del produttore. Ulteriori misuree↵ettuate senza pad metallici su altri campioni di↵usi senza contatti metallici sono ingenere compatibili con questi valori.

Rs ns µ[⌦ / ⇤] [cm�2] [cm2 V�1 s�1]

1, 36 ± 0, 02 3, 2 1015 ± 0, 3 1015 1, 3 103 ± 0, 2 103

vederà ad e↵ettuare diverse misure della resistenza di strato a correnti via viamaggiori, per evitare che la corrente danneggi l’eventuale giunzione. Perciò, alfine di verificare se la resistenza di strato ottenuta su un campione è un dato af-fidabile, ovvero acquisito nelle condizioni sperimentali corrette, è necessario chequesta misura sia seguita dalla determinazione del coe�ciente di hall e quindidi conseguenza al calcolo della mobilità e della densità di portatori del layer inesame.

Misure e↵ettuate

Tutti i campioni che hanno subito trattamenti termici sono stati analizzati conla tecnica Van der Pauw, al fine di verificare l’eventuale attivazione elettrica aseguito di una di↵usione da sorgente superficiale; i range di corrente utilizzatisono stati da 10 � 20 µA fino al mA. Purtroppo in tutti i casi non è stato possibileottenere una misura consistente, compatibile con la creazione di una zona drogatan superficialmente. Nella maggior parte dei casi le misure hanno restituito valoricompatibili con i dati di un bulk p. Questi risultati posso essere segnali di variesituazioni fisiche che ora proveremo in breve ad analizzare e a ipotizzare.

Una prima possibile spiegazione delle misure ottenute può essere data da unoscorretto trattamento termico, ovvero che il budget termico o più in generale laricetta utilizzata, non sia ottimizzato per il processo fisico di di↵usione che sivuole ottenere. In questo caso il budget termico cui è stato sottoposto il campionenon è su�ciente a superare le energie di attivazione del processo, oppure esso hapermesso la quasi totale uscita del fosforo dal materiale verso l’esterno. Nel casoin cui esso sia entrato anche in parte, è possibile che lo abbia fatto in modo nonomogeneo, creando delle zone drogate n alternate a delle zone drogate p (bulk).Anche in questo caso ci si può aspettare che le misure elettriche ci diano dei risul-tati di tipo bulk p, poiché i percorsi delle correnti uscenti dalle punte metallicheandranno preferenzialmente nel substrato p, a causa della sua resistenza di stratotendenzialmente minore rispetto ad una ipotetica zona drogata n.E’ assai improbabile che le basse correnti utilizzate possano aver bucato unaeventuale giunzione shallow, anche se una improbabile ipotesi potrebbe essere

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avanzata a↵ermando che le punte metalliche potrebbero aver forato fisicamentela giunzione se estremamente superficiale, a causa di un fissaggio troppo strettodelle punte metalliche in oro sul campione.Su alcuni campioni sono stati testati anche dei pad metallici superficiali depositatiper sputtering, al fine di formare dei contatti migliori tra le punte metalliche eil semiconduttore sottostante: purtroppo questa scelta non si è rivelata proficuae le misure elettriche condotte con questo metodo hanno rivelato anch’esse datitotalmente compatibili con il bulk p (riportati in tabella 5.4: queste misure sono daconsiderarsi come un riferimento bulk p). Questa metodologia si rivela del tuttoinappropriata nel caso in cui il drogaggio non sia perfettamente omogeneo, poi-ché l’area di contatto metallo-semiconduttore è di molto aumentata rispetto allepunte, diminuendo il flusso di corrente e riducendo ulteriormente la possibilitàdi danno, però aumentando la probabilità di trovare un punto dove la correntepossa trovare un canale p per scendere nel germanio bulk p.

5.3 Secondary Ion Mass Spectrometry (SIMS)

Grazie alla tecnica Secondary Ion Mass Spectrometry saremo in grado di analizzareeventuali profili di di↵usione al fine di comprendere se e quali trattamenti termicihanno permesso al fosforo di di↵ondere all’interno del germanio a partire da unasorgente superficiale. Purtroppo le misure elettriche non hanno dato alcuna indi-cazione di quale tipo di trattamento sia più promettente e pertanto questa tecnicasarà decisiva al fine di poter analizzare il lavoro di di↵usione fino a qui condotto.Le misure SIMS sono state e↵ettuate presso il Dipartimento di Fisica e Astrono-mia dell’Università di Padova con lo strumento Cameca modello IMS 4f. Tutti icampioni sintetizzati e trattati termicamente sono stati analizzati: essi sono statiriassunti nelle tabelle (5.3) (5.2) riportate nelle sezioni riservate al trattamentotermico.Le condizioni sperimentali adottate per l’analisi dei campioni di germanio hannoprevisto l’uso di un fascio di O+2 di energia paria a 3 KeV (potenziale di estrazione7, 5 KeV e campione posto a 4, 5 KeV rispetto a massa), ovvero in un range dienergia di macchina relativamente basso. Gli ioni secondari rilevati sono stati31P16O per la loro maggiore resa e il 74Ge, isotopo con abbondanza maggiore. Intutti i casi le misure sono state eseguite raccogliendo gli ioni secondari da areecircolari di diametro 150 µm o 60 µm centrali rispetto all’area totale di erosionepari a 250 x 250 µm. Anche questa accortezza sperimentale è volta a diminuireil più possibile il fondo strumentale derivante da segnali dal bordo del cratere,in modo da raccogliere ioni secondari provenienti solo dal centro del cratere e

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quindi da una profondità univoca, a costo di ottenere un segnale meno intenso,ma comunque rilevabile. La risoluzione in massa impostata è pari a 1/300 �m

m .Un primo set di campioni è stato analizzato con questa tecnica a seguito dei

processi di↵usivi svolti in fornace tubolare. Questo set di campioni è stato quelloanalizzato con la tecnica AFM e con il microscopio ottico, grazie ai quali è statopossibile rivelare delle anomalie superficiali riportate in quella sezione. Com-binando le ipotesi avanzate nella sezione AFM e anche a seguito degli artefattirivelati con la tecnica SIMS, si può evincere che questo set di campioni rivelanocome il processo abbia danneggiato la superficie dei campioni, modificandone pe-santemente la morfologia superficiale. Oltre all’aumento della rugosità rivelatocon la tecnica AFM, probabilmente derivante da una errata rimozione della pol-vere da taglio con un panno, delle emissioni estremamente localizzate e intense difosforo rivelate dalla tecnica SIMS farebbero pensare che dei residui del processosiano presenti sulla superficie dei campioni. Pertanto gli ultimi processi e↵ettuati(i campioni trattati con RTA e analizzati in questa sezione) sono stati e↵ettuati sucampioni con taglio a mano e notevoli progressi sulla qualità della superficie equindi delle misure SIMS, sono stati riscontrati.

5.3.1 Analisi su campioni trattati con tecnica RTA

I campioni più promettenti fino a qui trattati sono stati i campioni che hanno subi-to trattamenti termici con il forno RTA, a causa delle svariate migliorie apportateal processo fino a qui indagato: essi sono stati tagliati a mano al fine di formarequadrati di 1cm per 1cm per evitare ogni tipo di alterazione superficiale, hannosubito un deposito a riflusso in ambiente di reazione preflussato e riempito congas argon, hanno subito un post trattamento con lavaggio in metanolo al fine dirimuovere la componente fisisorbita ed infine sono stati puliti con alcool isopro-pilico a seguito della rimozione del capping di silice con acido fluoridrico.

Nonostante le migliorie apportate al processo, la superficie del germanio nonè ottimale e pertanto le misure SIMS non saranno così semplici a causa di une↵etto superficiale: questi campioni probabilmente non presentano ancora unasuperficie completamente liscia, a causa di zone superficiali localmente modifi-cate o contaminate. A di↵erenza del caso precedente però i campioni presentanocomunque una miglioria della morfologia che ha permesso di acquisire dei profiliSIMS. Sarà comunque fondamentale acquisire misure in più punti del campioneper convalidare o smentire un profilo di di↵usione ottenuto.

I problemi di morfologia o di contaminazioni superficiali rilevati sono stati de-dotti da un segnale ionico localizzato rivelato durante le misure, il quale mostracome le anomalie in questione siano di dimensioni maggiori a qualche centinaio

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Figura 5.4: Profili SIMS del campione 650 oC, 1 minuto: profilo c con dynamic transferinizialmente attivo.

di nanometri. Tali strutture limitano la sensibilità della tecnica e dovranno essereevitate in un futuro riadattando il processo di trattamento tenendo anche conto diquesta nuova problematica. Essa necessiterà di ulteriori indagini per analizzarnel’origine non del tutto nota al momento attuale: una analisi AFM anche su questicampioni permetterà in futuro di comprendere quale possa essere il problemarilevato.Il primo campione analizzato è il 650 oC, 1 minuto2, il quale è con ogni probabilità

2I campioni per brevità saranno chiamati in questa sezione soltanto con l’identificativo dellatemperatura e tempo di trattamento subito in RTA. Si ricorda che tutti i campioni RTA sono deltipo GeH, trattati a riflusso con molecola DPP per 1h, lavati in mesitilene e metanolo caldo per20’; a seguito di tutto ciò sono stati depositati 100nm di SiO2 ed in seguito trattati termicamente.

(a) Campione 650o, 5 minuti. Profilo b condynamic transfer inizialmente attivo.

(b) Campione 650o, 30 minuti. Profili c, d, econ dynamic transfer inizialmente attivo.

Figura 5.5: Profili SIMS su campioni 650o 5 e 30 minuti.

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Figura 5.6: Profili SIMS del campione 825 oC, 1 minuto: profilo e con dynamic transferinizialmente attivo.

da considerarsi un campione che non presenterà alcuna di↵usione. Come si puòvedere dall’immagine (5.4) il profilo a e il profilo b presentano una coda che si pro-tende fino a oltre 120 nm, ma con una forma sospetta, ovvero con un andamentoche non denota una forma di profilo di↵usivo; è pertanto assai probabile che que-sto segnale sia alterato da e↵etti di morfologia superficiale. Si procede pertanto adattuare una terza misura in un punto diverso del campione, attuando una tecnicadiversa: a scapito di perdere informazioni sui primi 10-20 nm, si attiva il sistemadi dynamic transfer per i primi secondi di misura, in modo da generare una im-magine ionica proveniente da tutta l’area di rastening, così da poter visualizzareuna immagine ionica superficiale del campione. In questo modo l’operatore è ingrado di visualizzare un area pulita del campione e spostarla nel centro; facendoquesto, e disattivando in sistema dynamic transfer, si inizierà una misura a�dabiledel profilo di concentrazione da una profondità maggiore, aumentando di fattoil picco superficiale dello ione acquisito. Grazie a questa tecnica con cui è statorilevato il profilo c, possiamo infatti a↵ermare che le code di di↵usione a, b nonrappresentano una di↵usione del fosforo all’interno del materiale semicondutto-re, ma piuttosto sono frutto di un artefatto morfologico superficiale.Analoghe considerazioni e risultati sono stati ottenuti per il campione 650 oC 5

minuti e il campione 650 oC 30 minuti, anche se in questo ultimo caso le misuresono state particolarmente di�coltose a causa di una superficie più irregolarerispetto agli altri casi.

Passando ai tre campioni con temperature intermedie (730 oC), sono state adot-tate le stesse tecniche di misura, ma anche in questi casi non è stato rivelato nessun

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profilo di di↵usione. I tre campioni processati a temperature maggiori hanno in-vece rivelato dei profili particolari, i quali sono stati analizzati attentamente.

Il campione 825 oC 1 minuto (profili riportati in figura 5.6 ) ha rivelato svariatiprofili di↵usivi anomali (profilo a, b, d), riconducibili come nei casi precedenti aartefatti morfologici superficiali, anche se il profilo c presenta una tipica forma diprofilo di di↵usione. A questo scopo è stata ripetuta una misura e nelle vicinanzedel cratere c, utilizzando la tecnica del dynamic transfer superficiale: come si puòfacilmente verificare la misura e smentisce categoricamente il profilo c, facendooptare ad una interpretazione di e↵etto di morfologia, ben evidente nella coda cheda 125 nm procede in avanti. A conferma di questo, se il profilo c fosse e↵ettiva-mente un profilo di↵usivo di fosforo, a circa 110-120 nm, in corrispondenza dellafine della cassetta, il segnale sarebbe dovuto scendere almeno attorno a valoriinferiori a 1018cm�3, cosa che non accade. L’ultimo campione che si è rilevato inte-ressante ai fini dell’analisi è stato il campione 825 oC 30 minuti, ovvero il campioneche ha subito il trattamento termico più intenso. Ad una prima analisi visiva, ilcampione presenta una superficie anomala, con una colorazione diversa dallealtre, indice che il trattamento termico ad alta temperatura e per tempi prolun-gati ha provocato almeno un cambiamento superficiale. L’analisi SIMS di questocampione è stata condotta come nei restanti casi, ed è riportata in figura (5.7f).Come si può evincere dal profilo a e b, anche in questo caso di rileva una spallanel profilo di fosforo entro i primi 50 nm, ma l’intensità del segnale fa presagireun pesante artefatto della misura; concentrazioni rilevate infatti sarebbero ordinidi grandezza superiori alla dose di fosforo depositata superficialmente, cosa chenon può avere alcun significato fisico a questo livello. Una ulteriore confermadi questa analisi deriva dalla verifica del segnale del 74Ge, preso per ogni misuracome segnale di riferimento, il quale non si rivela essere costante oltre l’estremasuperficie del campione.Per verificare quale sia la situazione, si procede ad e↵ettuare un’altra misura SIMS,acquisendo non solo il segnale di 74Ge e 31P16O, ma anche il segnale 28Si. Comesi può visualizzare in figura (5.8), vi è una presenza di silicio nella superficie digermanio, indice del fatto che l’ossido di silicio non è stato rimosso del tutto dallasuperficie. Molto probabilmente il trattamento prolungato ad alti budget termiciha innescato un processo di di↵usione tra i due strati di ossido si silice e germanio,non permettendo poi una corretta rimozione dell’ossido. Il profilo ottenuto nonè stato calibrato, a causa dell’assenza di uno standard specificatamente ideato, epertanto questa misura non può avere valori quantitativi in concentrazioni.

Per concludere, possiamo ora avanzare qualche ipotesi sulle anomalie o con-taminazioni superficiali che hanno reso di�coltose questo set di misure SIMS.

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(a) Profili SIMS del campione 730 oC, 1 minuto. (b) Profili SIMS del campione 730 oC, 5 minu-ti: profilo e con dynamic transfer inizialmenteattivo su profilo b.

(c) Profili SIMS del campione 730 oC, 30 minu-ti: profilo e con dynamic transfer inizialmenteattivo su profili b e c.

(d) Profili SIMS del campione 825 oC, 1 minu-to: profilo e con dynamic transfer inizialmenteattivo su profilo e.

(e) Profili SIMS del campione 825 oC, 5 minu-ti: profilo e con dynamic transfer inizialmenteattivo su profilo b.

(f) Profili SIMS del campione 825 oC, 30 minuti.

Figura 5.7: Profili sims dei campioni sintetizzati a 730 e 825 oC.

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Figura 5.8: Profili SIMS del campione 825 oC, 30 minuti: acquisizione dei segnali di 28Si,74Ge e 31P16O.

Dalle immagini ioniche e dalle emissioni localizzate rilevate con questa tecnica, èpossibile a↵ermare che le zone che presentano delle anomalie sono di dimensioniminori di 30 µm (risoluzione laterale del SIMS) con una altezza stimata maggioredi 100 nm e all’incirca sono presenti in qualche unità, in un’area di 250 x 250 µm.Dai profili SIMS ottenuti è evidente come tali anomalie generino un segnale difosforo incrementato, il quale può essere dovuto o ad interferenze di massa oad e↵etti morfologici. Sono pertanto possibili varie ipotesi per spiegare questofenomeno. Una prima ipotesi potrebbe prevedere una di↵usione del silicio dalcapping alla matrice di germanio anche a budget termici minori dell’825 oC 30minuti (dove il fenomeno è marcato), generando una interferenza di massa chefarebbe aumentare i conteggi del segnale di fosforo solo in alcune zone del cam-pione distribuite sulla superficie. Una seconda più generica ipotesi riguarda unamodifica della superficie del campione a seguito del processo di deposito, il qualepotrebbe essere stato mascherato dalla precedente analisi AFM su campioni piùrugosi e pertanto un’ulteriore analisi potrebbe essere risolutiva.

5.4 Sommario

L’ultima sezione del lavoro di tesi si è focalizzata nel testare alcuni trattamentitermici al fine di di↵ondere il drogante n dalla superficie, dov’è inizialmente pre-sente in forma molecolare del precursore. A questo scopo sono state utilizzate duefornaci diverse, ovvero un forno tubolare e una fornace per processi rapidi (rapidthermal annealing), al fine di poter sottoporre i campioni al più ampio range di

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budget termici possibili. La necessità di spaziare in ampi range di temperaturae di tempi di trattamento è stata confermata da alcune stime preventive svoltesulla base di alcuni lavori di letteratura [6, 7], nei quali sono stati modellizzatii meccanismi e le di↵usività del fosforo nel germanio, anche se non vi è alcunapresenza di studi di di↵usione da sorgenti chemisorbite.Al fine di massimizzare la concentrazione di fosforo in ingresso nel semicondutto-re, è stato depositato al di sopra della superficie trattata uno strato di circa 100 nmdi ossido di silice depositata per e-beam deposition, in modo da creare una bar-riera di↵usiva per il fosforo verso l’esterno. La scelta del deposito della silice perevaporazione è stata fatta al fine di e↵ettuare un deposito quanto meno distrut-tivo possibile per la superficie, in modo da prevenire eventuali danneggiamentisuperficiali che avrebbero potuto alterare lo strato del precursore depositato.I trattamenti termici sono stati eseguiti tutti in ambienti il quanto più possibilepuliti, in presenza di gas inerte, e sono stati condotti su campioni sintetizzaticon la stessa procedura sperimentale ottimizzata nei capitoli precedenti, così dapermettere un confronto diretto dei metodi di trattamento termico.Le misure elettriche non hanno dato esiti positivi, rivelando che ulteriori anali-si erano necessarie al fine di comprendere quanto accaduto. L’analisi SIMS harivelato che non vi sono profili di di↵usione soddisfacenti in nessun campionesintetizzato, indicando che il drogante non è entrato entro i limiti rilevabili dal-la tecnica, ovvero potrebbe essere entrato soltanto entro i primi 15-20 nm conconcentrazioni minori di 1 1019atomi/cm3.

I risultati sperimentali, per quanto negativi in questo capitolo, impongonoun aggiornamento e ulteriori verifiche future del quadro di lavoro inizialmenteproposto.I calcoli della tabella (5.1) si basano essenzialmente su due ipotesi che, dato irisultati, andrebbero verificate:

1. Il fosforo di↵onde solo verso il germanio e non verso la silice. Come spiegatonell’introduzione questo è supportato da dati di letteratura, anche se con unmargine di incertezza dovuta alla variabilità della di↵usione del fosforo conla natura dell’ossido depositato. Per verificare se questa ipotesi sia valida,servirebbe un’analisi quantitativa del fosforo in SiO2, fattibile con misureSIMS previa calibrazione del sistema.

2. Il fosforo della sorgente è disponibile alla di↵usione. Tale ipotesi sembraessere la più critica in quanto il legame formatosi tra DPP e Ge necessitasicuramente di una energia di attivazione per rompere il legame e rendereil fosforo disponibile alla di↵usione. Inoltre i dati ARXPS mostrano unapresenza di uno strato di germanio ossidato che potrebbe fare da barriera di

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di↵usione per il rilascio del P verso il substrato. In questa chiave i nostri datisuggeriscono che il processo di rilascio è inibito fino ad una temperatura di825 oC. Per verificare questa ipotesi, una analisi NRA su campioni trattatitermicamente e con capping permetterebbe di verificare se il fosforo è ancoralocalizzato all’interfaccia dopo il trattamento.

A seguito di ulteriori verifiche sperimentali si potrebbero apportare modificheben mirate al processo:

• Nel caso il problema sia il capping, si potrebbe tentare di sostituirlo conaltri materiali o processi. Ad esempio sono già state citate in ref. [7] deicapping di silice depositati per via High Density Plasma Enanched ChemicalVapor Deposition che potrebbe fornire un capping avente maggiore densità,oppure in ref. [26] si riporta come un capping in Si3N4 possa essere unavalida alternativa alla SiO2.

• Nel caso il problema sia il rilascio di fosforo, si potrebbe modificare la mole-cola precursore. L’utilizzo di diversi precursori permetterebbe la formazionedi nuove tipologie di legami tra il fosforo e il germanio, così da modificarel’energia di attivazione per il rilascio del fosforo dalla superficie.

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Capitolo 6

Conclusioni e prospettive future

Questo lavoro di tesi si è posto come obiettivo iniziale il trasferimento della tecnicaMonolayer Doping dal silicio al germanio, materiale emergente nella ricerca enell’industria microelettronica. Per raggiungere questo obiettivo, è stata e↵ettuatauna pianificazione sperimentale che ha previsto la suddivisione dell’intero lavoroin tre passi successivi:

1. Come prima fase è stata studiata la deposizione di due precursori moleco-lari del fosforo sulla superficie (100) del silicio al fine di testare la proceduradi deposizione nel nostro laboratorio, replicando dei dati di letteratura [3,23, 34]. I primi risultati ottenuti hanno rivelato delle incongruenze che cihanno spinti ad approfondire alcuni parametri di processo poco consideratinelle referenze. Più in dettaglio, nei nostri depositi iniziali ottenevamo unacomponente fisisorbita non riportata in letteratura. Abbiamo scoperto chetra gli altri parametri di processo testati (temperatura, concentrazione dellasoluzione, tempo di deposito) l’umidità influisce fortemente sulla compo-nente fisisorbita, ovvero un eccesso di umidità può causare un decrementodel fosforo superficiale, facendo diminuire la dose di fosforo depositata avalori compatibili con il monolayer. La presenza di umidità causa ancheun danneggiamento superficiale del campione visibile ad occhio nudo, checi ha fatto optare per una ricerca della rimozione della componente fisisor-bita alternativa. Buoni risultati sono stati ottenuti con un post-lavaggio inmetanolo che ci ha permesso di ottenere una dose superficiale di fosforocompatibile con la densità atomica superficiale del Si (100). Emerge per-tanto l’ipotesi plausibile che i campioni di ref. [3] siano stati prodotti incondizioni di umidità diverse da quelle del presente lavoro, tali da ridurre(ma non eliminare) la componente fisisorbita.

2. La seconda fase si è focalizzata sul trasferimento della tecnica MonolayerDoping dal silicio al germanio, trasportando in prima battuta il processo

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messo a punto nella prima fase per il silicio al germanio. É stato riscontrato(per la prima volta in letteratura) che entrambi i precursori utilizzati sonostati adsorbiti sul germanio, testando sia superfici ossidate che superfici confunzionalità superficiali di tipo GeH. Entrambe le molecole si adsorbono inquantità superiori al monolayer e la molecola DPP, anche a seguito di un la-vaggio in metanolo, presenta una dose superficiale 1, 2 1015 at/cm2 maggioredi quella prevista per un monolayer. Alcune ipotesi sono state avanzate inmerito alla morfologia superficiale dei campioni. L’analisi ARXPS ha rive-lato come vi sia una presenza di germanio ossidato superiore al monolayer,suggerendo che il processo abbia indotto una ossidazione superficiale tra ilprecursore e il substrato.

3. Nell’ultima sezione sono stati testati alcuni trattamenti termici su campionidi germanio con il layer depositato e coperto con un capping di SiO2 alfine di promuovere la di↵usione del fosforo nel materiale semiconduttore.Questi test sono stati condotti con ampi range di budget termici dato chedrogaggi da sorgenti monolayer su germanio non sono mai stati condotti inletteratura. Essi hanno riportato svariate problematiche sia di misura che die�cacia, ma ci hanno permesso di analizzare e comprendere meglio qualisiano le problematiche future da risolvere.Una analisi NRA su campioni trattati termicamente potrebbe chiarire nel-l’immediato futuro quale sia l’aspetto da migliorare per l’ottenimento delnostro scopo. Ci sono due scenari possibili: o il fosforo è stato rilasciatodalla sorgente o risiede ancora all’interfaccia tra il capping e il germanio.Nel primo caso il fatto che non sia entrato nel germanio sarebbe legato allamancata di↵usione del fosforo, oppure potrebbe essere legata alla mancatae�cacia del capping di silice depositato per evaporazione da fascio elet-tronico come barriera di↵usiva. In questo caso, un suo deposito con altremetodiche o la sostituzione del materiale del capping potrebbero essere del-le strade da percorrere per il futuro, seguendo già delle indicazioni presentiin letteratura [26].Nel caso invece il problema sia il rilascio del fosforo dalla sorgente moleco-lare, il processo andrebbe modificato per ridurre il legame della molecolaall’interfaccia durante il trattamento, modificando il processo e/o indagandoaltri precursori meno fortemente legati alla matrice.

Il presente lavoro di tesi ha quindi iniziato uno studio sistematico sul processoMolecular Doping su germanio e messo e�cacemente in luce come questo, pur es-sendo apparentemente semplice dal punto di vista concettuale, vada ottimizzatoin numerosi dettagli prima di poter diventare un e�cace strumento tecnologico.

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L’analisi delle problematiche e↵ettuata ha messo in luce come delle semplici mi-gliorie da apportare al processo di deposizione, quali l’uso di ambienti anidri, unadiversa metodologia di deposito del capping o l’eventuale modifica del precur-sore molecolare, possano portare all’ottenimento di un profilo di di↵usione deldrogante all’interno del germanio, raggiungendo l’obiettivo finale ambizioso chequesto lavoro si era preposto. Il raggiungimento di questo scopo permetterebbe lapossibilità di ottenere dei drogaggi conformi sia su materiali alle scale macroscopi-che, sia su superfici nanostrutturate, fornendo al mondo scientifico e all’industriauna nuova metodologia di drogaggio economica, versatile ed applicabile anchesu scala industriale.

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Appendices

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Appendice A

Controllo dei contaminanti mediantetecnica RBS

La tecnica RBS ci permette di analizzare con una buona sensibilità non solo ilfosforo, ma tutti gli atomi eventualmente presenti in un campione più pesanti delsilicio; pertanto questa tecnica risulta essere ottima al fine di rilevare anche quan-tità esigue di contaminanti con alto peso atomico, ad esempio metalli. Questaanalisi è utile alla ricerca in corso al fine di verificare la pulizia del processo inmodo da evitare contaminazioni che potrebbero rivelarsi pericolose nelle fasi diattivazione del drogante, quindi nella creazione di una giunzione.

Un esempio molto comune di contaminante metallico è il rame e l’oro, i qua-li possono essere in genere presenti come residui di processi precedenti nellacamera di evaporazione (i campioni che dovranno poi subire il processo di di↵u-sione dovranno avere un capping di SiO2 in superficie come barriera di di↵usionesuperiore e pertanto lo studio dei contaminanti introdotti da questo processo èanch’esso fondamentale come lo studio dei droganti derivanti dal metodo a riflus-so), ma altri contaminanti di diverso tipo, derivanti dai reagenti in uso, potrebberopresentarsi nello spettro. L’eventuale presenza del rame potrebbe comportare unpericolo elevato per la riuscita dei processi successivi poiché è noto [27] che la suadi↵usività, anche a temperatura ambiente, è estremamente elevata e vi è una cor-relazione tra la sua presenza e un aumento delle correnti di perdita di giunzionip/n. In particolare è stato dimostrato che le correnti di perdita di una giunzione, inpresenza di rame, aumentano a causa della formazione di precipitati di Cu nellazona della giunzione, i quali si formano preferenzialmente nella zona drogata n on+.Grazie alla tecnica RBS è possibile non solo analizzare quale tipo di contaminanteè presente sul campione, ma in caso si può quantificare la sua presenza e persinolocalizzare in che zona esso è presente (si veda esempio in figura (A.1)). Co-me si può vedere da tali immagini, i contaminanti analizzati sembrano derivare

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(a) Spettro generico di un campione con simulazione estesa anche aicontaminanti. Si noti come il rapporto segnale rumore ci permettadi rilevare segnali superficiali derivanti anche da dosi superficialiestremamente basse (anche sotto 1014 at

cm2 ).

(b) In rosso si riporta la simulazione che preve-de la presenza del contaminante nella superfi-cie dell’ossido depositato (simulando di fattoche esso sia al suo interno),mentre la simula-zione blu riporta il profilo del segnale in casoche il contaminante sia concentrato tra l’ossi-do e il semiconduttore, ovvero nel layer delprecursore.

(c) In rosso si riporta la simulazione che pre-vede la presenza del contaminante nella su-perficie dell’ossido depositato (simulando difatto che esso sia al suo interno),mentre la si-mulazione blu riporta il profilo del segnale incaso che il contaminante sia concentrato tral’ossido e il semiconduttore, ovvero nel layerdel precursore.

Figura A.1: Esempi di studio dei contaminanti tramite tecnica RBS. Nella figura A.1asi riporta uno spettro con dei contaminanti presenti ad energie maggiori del segnale delsilicio. Nelle figure A.1b e A.1c si noti come la simulazione sia in grado di rilevare laposizione in profondità del contaminante e quindi ci permetta di capire se il contami-nante è stato depositato a seguito del processo di deposizione del layer o a seguito delladeposizione della silice per evaporazione.

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principalmente dal layer di fosfonato depositato, indice che la sorgente di talicontaminanti risale al processo di pulizia della superficie di germanio o durantela deposizione del layer. I contaminanti rilevati sono calcio, zinco e iodio.Nella figura (A.2) è possibile notare altri contaminanti che sono stati rilevati in

Figura A.2: Contaminanti presenti in un campione con capping di SiO2 depositata perevaporazione al di sopra del layer.

campioni con capping di SiO2: i contaminanti calcio, zinco sono presenti anchenei campioni con il solo monolayer depositato, mentre lo stagno sembra essere uncontaminante derivante dal processo di deposito del layer. Lo iodio, che sembranon essere presente nello spettro, è estremamente probabile che si confonda conil picco di stagno, data la loro massa simile e una minor quantità di iodio rilevatain generale.

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Appendice B

Analisi XPS preliminare

L’analisi che si riporta in questa sezione prevede il fitting dei segnali e la loro de-convoluzione al fine di rilevare le varie componenti sovrapposte. Grazie a questaanalisi preliminare si è e↵ettuato un test preliminare per la verifica dell’e↵ettivapresenza della molecola sulla superficie del germanio e per una prima stima dellaquantità di fosforo depositata.

3000

2500

2000

1500

1000

500

0

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

195190185180Binding Energy (eV)

200100

0-100-200

Resi

duals

30002500200015001000

5000

Inte

nsi

ty (

Co

un

ts/s

ec)

0

1 2

Figura B.1: Fitting e deconvoluzione dei segnali P 2s e Ge 3s.

Come si può vedere dall’immagine (B.1), il segnale del Ge 3s presenta una no-tevole asimmetria, indice del fatto che il segnale presenta varie componenti al suointerno. Grazie alla deconvoluzione del segnale, è evidente come due componentipossano interpolare correttamente la curva sperimentale, restituendo una curvadei residui che rispecchia un andamento pressoché rumoroso. Pertanto la compo-nente 0 riportata nel fit rappresenterà la componente non ossidata del germanio(germanio metallico), mentre la componente 1 rivela la presenza di germanio inuno stato di ossidazione: esso può essere in primo luogo attribuito al germaniolegato alla molecola con il presunto legame Ge�O�P, anche se valori di chemical

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shift di riferimento per il segnale Ge 3s non sono presenti in letteratura e tantome-no nei database di più largo utilizzo 1.La figura (B.2) riporta il segnale dell’ossigeno 1s, la sottrazione del fondo e l’in-

40x103

30

20

10

0

Inte

nsi

ty (

Counts

/sec)

538536534532530528526

Kinetic Energy (eV)

Figura B.2: Segnale XPS dell’O 1s.

tegrazione del segnale: in questo caso il segnale si presenta in una zona dove ilfondo è piatto e pertanto la sua analisi risulta facilitata. Anche in questo caso èevidente dall’asimmetria del segnale che esso contenga varie componenti in di-versi stati di ossidazione: si presume che oltre all’ossigeno legato al germanio informa ossidata, vi sia sicuramente una componente derivante dall’ossigeno pre-sente nello stato di ossidazione caratteristico della molecola DPP e probabilmenteuna terza componente legata all’acqua. A tutto ciò potrebbe presentarsi ancheuna componente dovuta all’ossido di germanio non rimosso con i trattamenti dietching chimico, il quale complicherebbe notevolmente l’analisi di deconvoluzio-ne che non è volutamente eseguita; si procederà pertanto alla valutazione delsegnale intero, rilevando la sua intensità relativa e confrontandola, al netto dellesezioni d’urto, con gli altri segnali P e Ge.I risultati dell’analisi quantitativa sono riportati in tabella (B.1), dove si riportanoi rapporti relativi dei picchi delle specie analizzate al netto delle sezioni d’urto (siveda la sezione teorica). Il segnale riportato in tabella per il germanio è relativoalla sola componente ossidata, e si approssima considerando che quella compo-nente derivi dal solo primo strato del germanio e pertanto rappresenti il segnaledel primo layer del semiconduttore. Sotto questa approssimazione, il rapportoGe : P che si dovrebbe rilevare in caso di singolo monolayer depositato dovrebbe

1In generale i picchi utilizzati per lo studio di segnale di germanio sono i segnali provenientidalle shell d oppure da Ge 2p, in quanto sono i più intensi. Solo in questi casi sono riportatie tabulati i chemical shift relativi ai più comuni stati di ossidazione, come ad esempio i valorirelativi agli ossidi di germanio GeO2 e GeO.

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Tabella B.1: Intensità relative dei picchi XPS.

P 2s O 1s Ge 3s oxide

P 2s 1 0.12 1.37O 1s 8.25 1 11.28Ge 3s oxide 0.73 0.09 1

essere pari o minore di 1, a seconda del grado di ricoprimento del layer sullasuperficie. Dato che questo valore supera l’unità, si può dedurre che vi sia la pre-senza di più di un monostrato di fosfonato oppure che la componente ossidata delgermanio derivi anche da una ossidazione del germanio non dovuta all’insorgeredel legame chimico con la molecola.La quantità di ossigeno rilevata supera di gran lunga il rapporto ideale 1:3 tra os-sigeno della molecola DPP e fosforo, indice del fatto che l’ossigeno presente nellasuperficie non deriva dall’ossigeno legato alla sola molecola DPP e né tantomenoda anche quello eventualmente legato a ponte tra Ge � O � P, ma anche da altrefonti, come molecole di acqua presenti in superficie. Pertanto, uno studio sul tipodi legame che si forma tra il monolayer e la superficie non è di facile studio, acausa principalmente delle condizioni di deposito e↵ettuate in atmosfera e nonin camera da vuoto. Questa ultima condizione sarebbe di fatto l’unica a garantirel’assenza di ossigeno e di umidità, fattori determinanti per uno studio accuratodel meccanismo di reazione. Questa analisi ci porta quindi a concludere che: inprimo luogo la molecola DPP si è legata al germanio, confermando che la reazioneavviene anche nel caso che il semiconduttore non sia silicio ma germanio, e insecondo luogo è certo ve ne sia depositata una quantità maggiore al monolayer.

Al fine di poter confrontare questa tecnica con una analisi NRA, si procederàdi seguito ad un breve calcolo per stimare la dose di fosforo dalla misura XPSappena analizzata.Come primo punto si procede a svolgere un calcolo più accurato del segnalederivante dal primo monolayer di atomi di germanio, considerando la curva diattenuazione del segnale data dal software di simulazione2: da questa ne derivache il segnale del germanio derivante dal primo monolayer è pari al 6,7% delsegnale totale del Ge e pertanto l’intensità da ritenersi derivante dalla superficie èpari al 6,7% del segnale totale. Questo valore, confrontato con il valore del segnaledel germanio ossidato, ci dice che l’intensità della componente ossidata è pocomeno che il doppio di questa componente, indice del fatto che è assai probabileche alla componente ossidata del germanio (a causa dell’instaurarsi di un nuovolegame chimico con la molecola DPP) si sommi anche una componente di ossido

2Il software di simulazione in uso calcola la E↵ective Attenuation Lenght (EAL) tramitesimulazioni montecarlo su un semplice modello descrittivo a layer del campione in analisi.

139

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nativo non rimosso con i trattamenti di etching e non facilmente separabili nellospettro XPS per chemical shift diversi.Il rapporto del segnale del primo monolayer di Ge (6,7% del totale) rispettoal segnale di P risulta pari a 2, 55, indice inconfutabile che la molecola DPP èpresente con più di un monolayer di ricopertura. Se si moltiplica questo fattoreper la densità atomica superficiale del Ge (100) tabulata si ottiene una prima stimaapprossimativa della dose di fosforo depositata, pari a circa 6, 5 1014 at

cm2 ⇤ 2, 55 ⇡1, 7 at

cm2 .

140

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Appendice C

Processi RTA: descrizione dellaprocedura

Il macchinario utilizzato per questi test è il Jipelec Jetfirst 150, il quale rispecchiaa pieno lo standard dei macchinari commerciali presenti nel mercato odierno.Esso presenta un sistema di riscaldamento a 18 lampade IR inserite in una cameradi acciaio inossidabile isolata dall’ambiente esterno, dove esse sono separate daun vetro in quarzo dalla zona dove è alloggiato il campione. La potenza dellalampade è regolata da un sistema informatico, che a seconda delle impostazionidelle cosiddette "ricette di processo" regola tempo e temperatura di trattamentograzie alla lettura di un pirometro posto all’interno della camera. In particolare, ilsistema è composto da un wafer di silicio da 6 pollici che funge da portacampionicollegato ad un pirometro sottostante, grazie ai quali la potenza della lampadaè regolata tramite un sistema PID (Proportional Integral and Derivative) in ri-sposta alla temperatura letta sul wafer di silicio. Il campione appoggiato su diesso, raggiungerà l’equilibrio termico entro un certo transiente stimabile, legato

Figura C.1: Schema della camera principale del macchinario RTA Jipelec Jetfirst 150.

141

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alla suo assorbimento e alla sua emissività, che per il germanio è stimata essereattorno a 5-8 secondi rispetto al silicio sottostante. Tutto l’ambiente è collegato adun sistema di controllo dell’atmosfera interna, formato da una pompa da vuotoe da un sistema di flussimetri per N2 e O2, in grado di pulire l’ambiente internoe mantenerlo in condizioni di atmosfera inerte o ossidante. L’ambiente di allog-giamento delle lampade, separato dal vetro in quarzo dalla camera del campione,è flussato con aria compressa secca, mentre tutta la fornace è ra↵reddata da unsistema di ra↵reddamento ad acqua, per isolare l’ambiente di processo da fonti dicalore secondarie esterne.

Per ogni processo, a seguito del posizionamento del campione sul wafer di Si,si provvederà in primo luogo ad una pre-pulizia della camera mediante vari ciclivuoto-azoto, in modo che eventuale pulviscolo presente in camera sia rimosso.A questo punto sarà lanciato il processo che verrà eseguito: esso sarà presenteràuna ricetta (ovvero un processo pre-impostato nel software di controllo del mac-chinario) che prevederà un pre-riscaldamento del campione a 400 oC prima dieseguire la rampa finale alla temperatura di processo desiderata. Questo accadeper due motivi: la motivazione principale risiede nel fatto che il pirometro instal-lato non legge valori inferiori a 358 oC e pertanto è necessario superare questolimite a�nché il controllo di feedback delle lampade sia attivo, in secondo luogoper permettere un desorbimento di eventuale umidità presente nelle superfici in-terne della camera o sulla superficie del campione e permettere il suo pompaggiograzie al flusso di azoto immesso costantemente in camera. Dopo questo pre-riscaldamento ha inizio la rampa principale, ovvero il riscaldamento da 400 oCfino alla temperatura di processo desiderata. Al termine di quest’ultima, il pla-teau in temperatura è interrotto dallo spegnimento delle lampade e l’aumentodel flusso di azoto in camera al massimo possibile, in modo che il campione siara↵reddato il più velocemente possibile; questo ci permetterà di avere una rapidadiscesa della temperatura che avrà una classica forma ad esponenziale decrescen-te. La velocità di ra↵reddamento dipenderà dalla temperatura cui la massa delforno si attesta, che nei casi di trattamenti più lunghi e a ad alta temperatura (percui il macchinario RTA non è ottimizzato), sarà di vari minuti per raggiungereuna temperatura inferiore ai 200 oC, mentre in caso di trattamenti brevi si attesteràattorno a qualche minuto, anche nei casi di alte temperature.La calibrazione del pirometro, che è stata precedentemente e↵ettuata in fase ditaratura grazie ad una termocoppia di precisione, ci permette di ottenere misuredi temperatura con errori inferiori a ±3 oC [35], ed unendo questo ad un con-trollo delle lampade tramite PID con un overshoot in temperatura pari a ±2 oC(ottimizzato nel range 500 � 900 oC), ci permette di ottenere risultati sperimentaliestremamente vicini a quelli pre-impostati come input al software di controllo.

142

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Figura C.2: Grafico di processo per un trattamento a 650 oC per 60 secondi.

Al fine di verificare quanto detto, si riporta in figura (C.2) un grafico di proces-so, dove si possono visualizzare gli andamenti dei principali parametri come latemperatura letta dal pirometro rispetto a quella impostata (setpoint) e la potenzadelle lampade. Come si può notare tutti gli elementi descritti in precedenza sonostati inseriti nella "ricetta", anche se si può notare un notevole overshooting dellatemperatura al seguito della prima rampa di approccio ai 400 oC. Benché essanon sia esplicitamente desiderata, questa fluttuazione della temperatura presentacomunque come picco massimo una temperatura relativamente bassa rispetto alletemperature di processo e pertanto il PID non è modificato al fine di minimizzarequesta fluttuazione. Questo overshooting, generato dal fatto che il feedback nonè abbastanza veloce a smorzare la potenza delle lampade all’approccio del set-point, è dovuto principalmente al limite minimo di lettura del pirometro che nonpermette un corretto feedback all’avvicinarsi della temperatura desiderata. Piùimportante è la verifica dell’overshooting alla temperatura di processo, dove vi èl’interesse a non oltrepassare la temperatura impostata e più in generale a portareil campione alla temperatura desiderata nel minor tempo possibile. Come si puòverificare dalla figura (C.3), l’overshooting del processo in analisi è pari a 2 oC,valore che migliorerà a 1 oC per le temperature più alte testate (vedi tabella 5.3).

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Figura C.3: Rampa di approccio alla temperatura di processo del grafico del tratta-mento a 650 oC per 60 secondi (immagine completa nella figura C.2). Nel box: zoomdell’overshooting.

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Elenco delle tabelle

4.1 Campioni analizzati con tecnica NRA; per tutti i campioni il lavaggio

chimico post trattamento è stato eseguito solo con Mesitilene caldo per 20’ 914.2 Campioni analizzati con tecnica NRA: dosi di fosforo misurate. . . . . . . 93

5.1 Calcolo dei tempi di di↵usione in funzione della temperatura secondo

Brotzmann e Carroll. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1125.2 Trattamenti termici eseguiti tramite trattamento termico in fornace tubolare.1135.3 Trattamenti termici eseguiti tramite RTA ai campioni. . . . . . . . . . . . 1165.4 Caratteristiche elettriche Ge bulk p misurate sui campioni con pad me-

tallici superficiali in Ti/Au: i valori sono compatibili con quelli del pro-

duttore. Ulteriori misure e↵ettuate senza pad metallici su altri campioni

di↵usi senza contatti metallici sono in genere compatibili con questi valori. 117

B.1 Intensità relative dei picchi XPS. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

145

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Elenco delle figure

1.1 La legge di Moore dagli anni ’70 fino al 2010, espressa in numero di

transistor per dispositivo. [38] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.2 Schema di un dispositivo MOSFET. [40] . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81.3 E↵etto di tunneling attraverso lo strato dell’ossido di gate e andamento

del trend a seconda della tecnologia [48] . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.4 Andamento delle resistenze parassite con la diminuzione delle dimensio-

ni dei dispositivi [52] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101.5 Andamento della tecnologia del silicio fino al giorno d’oggi e previsioni

sul prossimo futuro. [52] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.6 Mobilità elettronica vs concentrazione elettronica in silicio e germanio. [16] 121.7 Schema generale dei dispositivi: Planar Multi-gate FET e FinFET. . . . . 121.8 Coe�cienti di di↵usione di droganti p e n type in germanio in condizioni

di equilibrio in funzione della temperatura. La linea "Ge" si riferisce alla

self-di↵usion di germanio. [10] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.9 Contributi individuali al coe�ciente di di↵usione DVr�

Ge (self-di↵usion

at 700 gradi Celsius) delle specie neutre (V0), cariche singolarmente

(V�) o doppiamente cariche (V2�) al variare dei livelli di doping del

semiconduttore. [51] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201.10 Immagine AFM della superficie Ge (100) al seguito di annealing termico

(30 min a 575 oC) in presenza o in assenza di capping di SiO2. Si noti come

nel caso senza capping la superficie di germanio risulti alterata rispetto

alla condizione iniziale flat. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221.11 Di↵usività del fosforo in SiO2 cresciuta termicamente [2]. . . . . . . . . . 241.12 Variazione della di↵usività del fosforo in SiO2 depositata per e-beam

deposition e successivamente trattata termicamente [36]. . . . . . . . . . 241.13 Andamento della di↵usività del fosforo in SiO2 con la temeperatura. Altri

valori di riferimento riportati in grafico. [36] . . . . . . . . . . . . . . . . 251.14 ODPA formula chimica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261.15 DPP formula chimica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261.16 Schema del trattamento secondo Perego. [3] . . . . . . . . . . . . . . . 271.17 Schema del processo secondo Ho. [23] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

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1.18 Schema del processo secondo Yerushalmi. [21] . . . . . . . . . . . . . . 281.19 Spettro FTIR in trasmissione della molecola ODPA (spettro inferiore) con-

frontato con uno spettro e↵ettuato alla fine del processo di deposito.

[54] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291.20 Schema di attacco della molecola ODPA secondo Handson, nel caso di

una superficie di silicio con ossido nativo. [20] . . . . . . . . . . . . . . 301.21 Diagramma di fase calcolato per la molecola MPA (metil-phosponic acid)

rispetto ad una superficie SiO2(100)andH2O in funzione del potenziale

chimico (ovvero la concentrazione) dell’acqua. [54] . . . . . . . . . . . . 311.22 Precursori molecolari usati per lo studio, e interazioni H-bond e covalenti

proposte tra molecole precursori e superficie di SiO2. [59] . . . . . . . . 311.23 Reazione tra l’acido metilfosfonico e un substrato terminato con funzio-

nalità SiOH [54]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331.24 Reazione tra l’acido metilfosfonico e un substrato terminato con funzio-

nalità SiH [34]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

2.1 Simulazione di due spettri RBS: la curva riportata in nero rappresenta

l’andamento di uno spettro in condizioni di channeling assiale per un

campione di silicio, mentre la curva rossa in assenza di alcun fenomeno

di channeling. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422.2 Goniometro motorizzato installato all’interno della camera da vuoto. . . 432.3 Andamento della sezione d’urto di↵erenziale della reazione nucleare

31P(↵, p)33S. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 452.4 Variazione della forma della distribuzione al variare della profondità del

fascio incidente a causa del fenomeno dello straggling [28]. . . . . . . . . 472.5 Geometria della misura VdP di resistenza di strato in un campione di

forma cloverleaf. [44] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 542.6 Geometria per la misura della tensione di Hall. [44] . . . . . . . . . . . . 562.7 Apparato per misure Van der Pauw. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 582.8 Schema generale Cameca ims 4/5f secondary ion microscope spectrometer . . . 592.9 Schema sul funzionamento del sistema laser-cantilever. . . . . . . . . . 612.10 Le due principali modalità di misura AFM. [17] . . . . . . . . . . . . . . 622.11 Immagine dello strumento AFM utilizzato senza la camera ad isolamento

acustica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

3.1 Sistema di deposito con metodo a riflusso. . . . . . . . . . . . . . . . . . 683.2 Sistema di deposito tipo Perego. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.3 Esempio di uno spettro tipico con deposito di DPP su Silicio trattato in

HF, riportato in scala lineare; acquisizione in condizioni di channeling

assiale. Sono evidenziati i segnali d’interesse visibili nello spettro. . . . . 71

148

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3.4 Esempio di uno spettro RBS di un campione di silicio con un layer de-

positato. Lo spettro è riportato in scala logaritmica: la curva nera è lo

spettro sperimentale, mentre la curva rossa rappresenta la simulazione. . 72

3.5 Confronto della dose di P rilevata all’aumentare della carica inci-dente in uno stesso punto del campione in analisi. Il riferimento,riportato a carica nulla, è la dose di P rilevata sotto un capping diSiO2 evaporata al di sopra del layer depositato. Le barre d’erroreriportano l’errore stimato �. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

3.6 Dose di fosforo rilevata per superfici di silicio chimicamente diverse a

seguito dello stesso trattamento chimico. Gli errori riportati derivano da

misure RBS svolte sui campioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

3.7 Concentrazione superficiale di fosforo (o dose) rilevata per vari campioni

a diversi tempi di trattamento: i punti neri si riferiscono a sintesi con

metodologia "a riflusso" mentre i punti rossi si riferiscono a metodologia

di deposito "tipo Perego". Substrato di deposito SiO2 termica (come in

sezione 3.1.1), soluzione 1:25 di DPP: Mesitilene, lavaggio di 20’ dopo il

trattamento in mesitilene caldo (come in sezione 3.1.2). . . . . . . . . . . 75

3.8 Dose di fosforo in una serie temporale a concentrazione di deposito 1:50

DPP/Mesitilene. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

3.9 Zoom e confronto di due spettri RBS di due campioni con trattamento

diverso: depositi wet e dry a confronto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78

3.10 Dosi di P a confronto: depositi wet, norm e dry a confronto. . . . . . . . 78

3.11 Confronto di due spettri RBS di due campioni con trattamento diverso:

depositi wet e dry a confronto. Molecola usata ODPA. . . . . . . . . . . 80

3.12 Zoom nella zona del picco superficiale di Si dello spettro in immagine

(3.11). Si noti l’evidente aumento del picco superficiale di Si a parità del

segnale di fondo visibile ad elevate energie. . . . . . . . . . . . . . . . . 80

3.13 Dosi di simulazione per i picchi di O, Si superficiale in channeling e P per

i trattamenti norm, wet e dry con molecola DPP. . . . . . . . . . . . . . 81

3.14 Dosi di simulazione per i picchi di O, Si superficiale in channeling e P per

i trattamenti norm, wet e dry con molecola ODPA. . . . . . . . . . . . . 81

3.15 Dosi di simulazione per i picchi di O, Si superficiale in channeling e P per

i trattamenti con DPP al variare del tempo di trattamento. . . . . . . . . 82

3.16 Bagno in sabbia per termostatare il sistema di deposito a 130 oC. . . . . . 83

3.17 Confronto di due spettri RBS con trattamento a riflusso e spettro RBS del

campione trattato a 130 oC. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

3.18 Diminuzione della dose di fosforo superficiale a seguito del lavaggio in

isopropanolo dei campioni depositati con metodo a riflusso. . . . . . . . 84

149

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3.19 Dose di fosforo per vari trattamenti prima e a seguito del lavaggio in

metanolo. I punti rossi corrispondono alle misure a seguito del lavaggio

in metanolo. I tipi di trattamento usati di↵eriscono tra loro per umidità

presente in soluzione: i trattamenti testati sono in seguito 1 dry, 2 e 3

normale, 4 e 5 wet. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

4.1 Sistema a riflusso con linea di argon e tubo di pompaggio inseriti. . . . . 904.2 Global fit dei dati sperimentali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 924.3 Shift in energia di macchina della risonanza superficiale del campione

standard InP. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 934.4 Segnale XPS acquisito con Take o↵ angle pari a 90o dei segnali P 2p Ge 3p e

P 2s Ge 3s per un campione GeH DPP 1:25 1h a riflusso, rinse mesitilene 20’. 964.5 Regione dello spettro XPS Ge 2p 3

2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98

4.6 Variazione dei segnali XPS P 2p (a destra nello spettro) e Ge 3p al variare

dell’angolo di acquisizione dei fotoelettroni emessi. . . . . . . . . . . . . 994.7 Deconvoluzione e fit del segnale XPS Ge 3p e P 2p con angolo di raccolta

pari a 20o. Parametri di acquisizione: pass energy 20 eV, integrazione

ogni 0,1 eV per 0,5s. Segnale da 15 acquisizioni mediate. . . . . . . . . . 1004.8 Fit dei segnali XPS ai vari angoli di acquisizioni esplorati. . . . . . . . . . 1014.9 Risultato grafico del modello utilizzato: gli spessori dei vari layer sono

riportati. Come si può notare, l’area di ricoprimento del layer è posto pari

a 1 a seguito dei risultati ottenuti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1024.10 Fit del modello simulato: variazioni di intensità relative dei picchi, ri-

spetto al segnale del Ge metallico, in funzione dell’angolo di raccolta dei

fotoelettroni emessi. Risultati del modello riportati in tabella. . . . . . . . 1024.11 Campione ricavato da wafer con tagliato a sega (adesivo usato di tipo

cera). Ingrandimento totale 100 X. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1054.12 Campione da wafer tagliato a mano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1054.13 Campione da wafer tagliato a sega (adesivo usato di tipo cera). . . . . . . 106

5.1 Immagine della fornace tubolare con il sistema di aspirazione-flusso e fast

entry. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1135.2 Rampe in temperatura di trattamenti tipici eseguiti in fornace tubolare. . 1145.3 Rampa di approccio alla temperatura di processo del trattamento a 650

oC per 60 secondi (immagine completa nella figura C.2 in appendice). Nel

box: zoom dell’overshooting. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1155.4 Profili SIMS del campione 650 oC, 1 minuto: profilo c con dynamic transfer

inizialmente attivo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1205.5 Profili SIMS su campioni 650o 5 e 30 minuti. . . . . . . . . . . . . . . . . 120

150

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5.6 Profili SIMS del campione 825 oC, 1 minuto: profilo e con dynamic transfer

inizialmente attivo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1215.7 Profili sims dei campioni sintetizzati a 730 e 825 oC. . . . . . . . . . . . . 1235.8 Profili SIMS del campione 825 oC, 30 minuti: acquisizione dei segnali di

28Si, 74Ge e 31P16O. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124

A.1 Esempi di studio dei contaminanti tramite tecnica RBS. Nella figura A.1a si

riporta uno spettro con dei contaminanti presenti ad energie maggiori del

segnale del silicio. Nelle figure A.1b e A.1c si noti come la simulazione sia

in grado di rilevare la posizione in profondità del contaminante e quindi

ci permetta di capire se il contaminante è stato depositato a seguito del

processo di deposizione del layer o a seguito della deposizione della silice

per evaporazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134A.2 Contaminanti presenti in un campione con capping di SiO2 depositata

per evaporazione al di sopra del layer. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

B.1 Fitting e deconvoluzione dei segnali P 2s e Ge 3s. . . . . . . . . . . . . . . 137B.2 Segnale XPS dell’O 1s. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

C.1 Schema della camera principale del macchinario RTA Jipelec Jetfirst 150. . 141C.2 Grafico di processo per un trattamento a 650 oC per 60 secondi. . . . . . . 143C.3 Rampa di approccio alla temperatura di processo del grafico del tratta-

mento a 650 oC per 60 secondi (immagine completa nella figura C.2). Nel

box: zoom dell’overshooting. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144

151

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Ringraziamenti

Questa tesi è anche il risultato della cooperazione di molte persone che hannopermesso che questo progetto scientifico potesse nascere e svilupparsi nei suoivari aspetti.Un primo doveroso e sentito ringraziamento va al prof. Davide De Salvador perla sua instancabile disponibilità, gentilezza e dedizione che ha dimostrato nei mieiconfronti: la sua esperienza e i suoi preziosi consigli sono stati fondamentali perla riuscita dell’intero lavoro svolto.Ringrazio sentitamente la dott.ssa Sara Carturan per il suo supporto prezioso inogni fase del lavoro: la sua esperienza e i sui consigli sono stati di grande aiuto,specialmente nella parte chimica del lavoro di tesi svolto presso i Laboratori Na-zionali di Legnaro dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.Ringrazio il prof. Enrico Napolitani per il suo supporto e l’interesse nel mio la-voro, in special modo nella sua grandissima esperienza nelle analisi SIMS e neitrattamenti termici.Ringrazio per il supporto tecnico indispensabile per la riuscita di tutti gli esperi-menti e per la loro disponibilità Luca Bacci, Carlo Scian, e per il suo aiuto il dott.Gianluigi Maggioni.Per le analisi XPS devo ringraziare il gruppo di ricerca del prof. Gaetano Granozzie in particolare il prof. Gianandrea Rizzi, il quale oltre ad avermi seguito sia nellafase sperimentale e sia nell’analisi dati, si è appassionato nella tematica trattata,contribuendo attivamente al lavoro di ricerca.Un altro ringraziamento va al dott. Ruggero Milazzo e Virginia Boldrini i quali mihanno sia aiutato ed a�ancato nel lavoro sperimentale, ma soprattutto mi hannoaccolto a braccia aperte nel gruppo di ricerca. Un ringraziamento va anche algruppo LaSFI, con i quali si è instaurato un ottimo rapporto di amicizia.

Un doveroso ringraziamento va anche alle persone che mi sono state vicinein tutto il mio percorso accademico: un grande abbraccio va a Giulia, Claudia,Maximilian, Giovanni, Stefano, Enrico, Sara e a tutti coloro che mi sono stati viciniin questo periodo.Per ultima, ma non in ordine d’importanza, ringrazio la mia famiglia che miha sopportato e supportato in tutto il mio percorso universitario, incitandomi e

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sostenendomi nei momenti più duri.

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