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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Tesi di Laurea in Fisica Monitoraggio delle camere di trigger per muoni dell’esperimento ATLAS con le prime collisioni di LHC Candidata: Relatori: Grazia Scognamiglio Prof. Vincenzo Canale matricola 567/496 Dott. Massimo Della Pietra Anno Accademico 2008-2009

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Tesi di Laurea in Fisica

Monitoraggio delle camere di trigger per muoni dell’esperimento ATLAS con le prime collisioni di

LHC

Candidata: Relatori: Grazia Scognamiglio Prof. Vincenzo Canale matricola 567/496 Dott. Massimo Della Pietra

Anno Accademico 2008-2009

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Indice

Introduzione…………………………………………………...………………….3

1 LHC e ATLAS……………………………………………………………..….5 1.1 Il Modello Standard……………………………….………………………..…..…....5

1.1.1 Il bosone di Higgs………………………………………………………..…......6

1.2 L’acceleratore LHC…………………………………………………………..……....7

1.2.1 Produzione dell’Higgs a LHC………………………………………………...11

1.3 L’esperimento ATLAS………………………………………………………………14

1.2.1 La misura del momento…………………………………………………….....19

2 Rivelatori RPC e camere di trigger ad ATLAS………………………..21 2.1 I rivelatori RPC……………………………………………………………….………21

2.1.1 I rivelatori a ionizzazione……………………………………………….…….21

2.1.2 Caratteristiche generali degli RPC e principio di scarica locale………….24

2.1.3 Regimi di funzionamento degli RPC………………………………….…......27

2.1.4 Prestazioni degli RPC di ATLAS……………………………….…….……...29

2.2 Il trigger dell’esperimento ATLAS………………………………………..………..30

2.2.1 Il trigger di primo livello per muoni……………………………….………….32

2.2.2 I trigger di secondo e terzo livello…………………………...……………….34

2.3 Il sistema di trigger e di acquisizione dei dati…………………………………….35

2.4 Condivisione dei dati di LHC: la Grid…………………………………………...…36

3 Monitoraggio delle camere di trigger per muoni…………………….38 3.1 ROOT: il software di calcolo matematico del CERN…………………..……..….38

3.2 Il Monitoring Online………………………………………………………………….39

3.2.1 GNAM………………………………………………………………..…………40

3.3 L’algoritmo di clusterizzazione……………………………………………………..42

3.3.1 Nomenclatura dello spettrometro e variabili di ROOT…………….………42

3.3.2 Descrizione del codice ed esempi di applicazione…………………..…….43

3.4 Caratteristiche della cluster size valutate offline…………………………...…….46

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3.4.1 Cluster size media………………………………………………………...…..46

3.4.2 Cluster size in funzione del sector…………………………………….….…47

3.4.3 Cluster size in funzione di HV…………………………………………….….48

3.4.4 Cluster size in funzione della soglia di acquisizione……………………….49

3.4.5 Risoluzione spaziale degli RPC…………..………………………………….49

Conclusioni…………………………………………………………..………….52

Bibliografia……………………………………………………...……………….53

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Introduzione

La presente tesi di laurea è dedicata alla scrittura di un algoritmo volto al monitoraggio

dei rivelatori RPC dell’esperimento ATLAS a LHC al CERN.

L’acceleratore di particelle LHC è una macchina assolutamente innovativa, che

rappresenta il limite tecnologico estremo raggiunto attualmente dalla comunità

scientifica. Raggiungendo un’energia del centro di massa pari a 14 TeV e una

luminosità di circa 1034 cm-2s-1, LHC consentirà lo studio di processi fisici fino ad una

scala energetica ancora inesplorata: lo scopo principale di tutto l’apparato sperimentale

è la ricerca del bosone di Higgs, particella che, secondo il modello teorico sviluppato da

Peter Higgs, corrisponde a una nuova interazione che spiega l’origine della massa delle

particelle. Lungo l’acceleratore sono installati e raccoglieranno dati quattro apparati

sperimentali: ATLAS, CMS, ALICE e LHCb. Tra questi, ATLAS e CMS hanno come

scopo primario quello di scoprire se l’Higgs esista o meno: nel caso in cui non venisse

trovato, si svilupperà una nuova teoria per spiegare la massa delle particelle.

ATLAS è una composizione di vari rivelatori e può essere schematizzato in quattro parti

principali: il tracciatore interno, i calorimetri, lo spettrometro muonico e il sistema di

magneti. Il funzionamento di LHC in fase di elevata luminosità comporta la produzione

di 109 eventi s-1 generati dalla collisione di ogni coppia di pacchetti. Si rivela, dunque,

indispensabile un sistema di trigger che selezioni, tra tutti, gli eventi che presentano

caratteristiche rilevanti per il programma di ricerca.

Il trigger di ATLAS opera in modo che la frequenza di acquisizione sia pari a circa 100

Hz rispetto ai 40 MHz di collisione ed è organizzato in tre livelli di filtri. Il trigger di primo

livello opera una selezione iniziale degli eventi provenienti dalle camere di trigger per

muoni e dai calorimetri, e riduce il rate a circa 75 kHz; in particolare, il trigger muonico

si occupa dell’identificazione di muoni ad alto momento trasverso pT. Gli obiettivi di

ricerca dell’Higgs comportano la necessità di selezionare eventi caratterizzati da alto pT

poiché esiste una correlazione tra la massa di una particella che decade (nel caso

dell'Higgs, centinaia di GeV) e il pT del muone prodotto nel decadimento. Le tecnologie

di rivelazione utilizzate nello spettrometro dipendono dai flussi di particelle con cui i

rivelatori devono operare; nella regione centrale dello spettrometro, denominata Barrel,

le camere di trigger impiegate sono gli RPC.

Gli RPC sono dei rivelatori a gas caratterizzati da un’ottima risoluzione temporale (< 10

ns): sono costituiti da due piani paralleli resistivi tra i quali è presente il mezzo attivo; la

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lettura e la trasmissione dei segnali avviene mediante strip. Tra i fenomeni che possono

influenzare le prestazioni di un RPC c’è il cross-talk, a seguito del quale una strip

attivata induce un segnale anche sulle strip adiacenti; avviene così l’attivazione di un

cluster di strisce, al quale si attribuiscono una dimensione (numero di strip costituenti il

cluster) e una posizione (poiché le strip sono numerate in ordine crescente, si sceglie la

posizione della strip caratterizzata dal numero identificativo minore). Affinché il cross-

talk delle strisce possa considerarsi trascurabile, la grandezza media dei cluster

dovrebbe essere circa 1.5 e la molteplicità dei cluster pari a 1.

Il lavoro svolto consiste nella stesura di un codice di clusterizzazione, scritto in

linguaggio C++, volto ad identificare i cluster e ad associare ad ognuno di essi la size e

la first strip. Il programma può operare in tempo reale durante la presa dati, grazie a

una struttura che consente il Monitoring Online: in questo modo, se ci si accorge del

cattivo funzionamento di un RPC, è possibile cercare di risolvere il problema

effettuando dei cambiamenti dinamici, ad esempio variando la soglia di acquisizione,

rendendo utili dei dati che altrimenti andrebbero rigettati.

La trattazione si articola in tre capitoli.

Il primo capitolo consiste in una breve presentazione del quadro teorico e degli obiettivi

di ricerca di LHC; viene poi effettuata una descrizione generale dell’acceleratore e

dell’apparato di rivelazione ATLAS.

Il secondo capitolo è dedicato alla presentazione del sistema di trigger di ATLAS, con

particolare attenzione alle camere di trigger di primo livello per muoni, e alla descrizione

del sistema di acquisizione e raccolta dei dati.

Il terzo capitolo descrive l’algoritmo di clusterizzazione scritto e illustra lo studio svolto

online e offline relativamente alla cluster size degli RPC.

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Capitolo 1

LHC e ATLAS

1.1 Il Modello Standard

Il Modello Standard [1][2][3] è la teoria che descrive oggi nel modo più completo le

particelle elementari e le loro interazioni. Nel Modello Standard le particelle vengono

classificate in due categorie: fermioni e bosoni. I fermioni sono particelle di spin

semintero, costituiti da leptoni e da quark, e dalle rispettive antiparticelle. Esistono tre

coppie leptone-neutrino:

ee ,

e

Analogamente i quark si raggruppano in tre doppietti:

du

,

sc

e

bt

I quark si differenziano dai leptoni per la massa e per carica elettrica: i primi hanno

carica intera (+1, 0 o -1), mentre i quark hanno carica 32

o 31

.

Tutti gli elementi delle sei famiglie sono stati osservati, direttamente o indirettamente1, e

non ci sono indicazioni sperimentali che suggeriscano l’esistenza di altre famiglie di

particelle elementari fondamentali.

Le interazioni fondamentali, che determinano gli scambi di energia tra i costituenti della

materia, sono descritte sulla base dello scambio di bosoni mediatori, o quanti di campo;

sono riassunte in Tabella 1.1:

Tabella 1.1: Interazioni fondamentali, la cui intensità è normalizzata a quella della QCD.

1 Poiché i quark non si trovano liberi, non è possibile effettuare misure dirette su di essi.

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L’interazione forte lega i quark per formare gli adroni, in un raggio d’azione (range)

pari al raggio nucleare (1 fermi = 10 15 m); il quanto d’azione è il gluone.

L’interazione elettromagnetica agisce tra particelle cariche, possiede range infinito e

il suo quanto d’azione è il fotone .

L’interazione debole agisce tra leptoni e quark, tra soli leptoni o tra soli quark, ed è

un’interazione “di contatto” (raggio d’azione pari a 10 18 m); i quanti di campo sono le

particelle W , W e Z 0 , responsabili del decadimento β.

La forza gravitazionale si esercita tra tutte le particelle con range d’azione infinito ed

è mediata dal gravitone g.

In definitiva, i costituenti della materia, quark e leptoni, sono fermioni di spin 21 . Essi

interagiscono mediante lo scambio di bosoni, che sono particelle di spin intero.

L’esperimento Gargamelle al CERN, la scoperta dei bosoni W e Z sempre al CERN, i

quattro esperimenti al LEP (ALEPH, DELPHI, L3 e OPAL) e gli esperimenti al Tevatron

al Fermilab, nei pressi di Chicago, hanno confermato il successo del Modello Standard.

1.1.1 Il bosone di Higgs

Nella costruzione del Modello Standard, l’insieme dei campi che descrivono le particelle

fondamentali e quelle mediatrici sono tutti inizialmente posti a massa nulla per motivi di

simmetria della teoria. Essi acquistano massa tramite un meccanismo definito di

“rottura spontanea della simmetria”, che prevede l’introduzione di una nuova particella

scalare, il bosone di Higgs; la simmetria in questione è quella che regola le interazioni

elettromagnetiche e deboli. Secondo il modello di Higgs, l’omonimo bosone è la

particella che corrisponde a una nuova interazione che spiega l’origine della massa.

La ricerca di tale particella prevede l’analisi della sezione d’urto di produzione e dei

possibili canali di decadimento della stessa, stimati su basi teoriche e dipendenti dalla

massa dell’Higgs mH. Il Modello Standard non è in grado di fornire previsioni sul valore

esatto di mH, in quanto si tratta di un parametro libero della teoria; tuttavia, gli studi

condotti presso l’acceleratore di elettroni e positroni LEP di Ginevra hanno consentito di

stabilire che essa deve avere un valore compreso tra poco più di 100 GeV e 1 TeV, in

una zona di prossima esplorazione con le nuove macchine acceleratrici.

L’acceleratore LHC e gli esperimenti ATLAS e CMS sono stati progettati e realizzati in

modo da garantire che l’Higgs possa essere scoperto ovunque sia posizionata la sua

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massa in tale intervallo. Nel caso in cui non venisse scoperto, si svilupperà una teoria

completamente nuova per spiegare la massa delle particelle.

1.2 L’acceleratore LHC

Fin dal 1930 la storia degli acceleratori è caratterizzata da un continuo aumento

dell’energia dei fasci, come illustrato nel diagramma di Livingstone in Figura 1.1: dal

primo ciclotrone a oggi l’incremento è stato addirittura esponenziale su vari ordini di

grandezza. L’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate ha portato ad un aumento delle

dimensioni delle macchine e al miglioramento delle prestazioni offerte: in particolare,

decisivo è stato l’utilizzo della superconduttività.

Il Large Hadron Collider (LHC) è il collisionatore protone-protone al CERN di Ginevra; è

installato nel tunnel sotterraneo che ha già ospitato il LEP e raggiungerà un’energia

totale nel centro di massa pari a s = 14 TeV, con una luminosità di progetto pari a

1033÷34 cm-2 s-1. La sezione d’urto totale anelastica per collisioni di tipo p-p è pari a circa

80 mb, valore che equivale a un rate atteso di eventi pari a 109 s-1. I parametri

sperimentali sono elencati in Tabella 1.2.

Figura 1.1: Frontiera energetica della fisica delle particelle elementari. L’energia nel centro di massa dei

collider attivi e di quelli in progettazione è illustrata in funzione dell’anno in cui si sono ottenuti i primi risultati fisici rilevanti.

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Tabella 1.2: Parametri principali del collider LHC.

Figura 1.2: Collisioni a LHC.

Figura 1.3: Simulazione della produzione di un evento in LHC.

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Per la ricerca di particelle di massa ignota, un collisionatore adronico è preferibile ad un

collisionatore leptonico perché si possono raggiungere energie dei fasci molto più alte;

infatti, una particella carica vincolata su una traiettoria circolare di raggio R irraggia, in

un ciclo, una quantità di energia pari a:

ReE

432

34

dove cv

e 21

1

. Essendo il fattore di Lorentz legato alla massa a riposo

della particella tramite la relazione:

20cmE

si deduce che 4

0 mE

Sapendo che la massa di un protone è pari a 103 volte la massa di un elettrone,

l’energia dissipata dall’elettrone, a parità di momento, è 1012 superiore a quella del

protone.

Inoltre, l’urto avviene tra quark e/o gluoni che trasportano una frazione variabile

dell’energia del protone.

Tuttavia, a differenza dei collider leptonici, quelli adronici presentano due grosse

difficoltà sperimentali: il primo effetto è legato al fattore di luminosità (pile up), il

secondo alla fenomenologia delle collisioni p-p.

Il pile up è un fenomeno per il quale, data una collisione tra pacchetti di protoni

(bunches), ad un evento potenzialmente interessante si sovrappongono altri eventi non

interessanti prodotti all’interno del medesimo bunch-crossing.

Il rate di eventi ad alto momento trasverso è caratterizzato dalla presenza di jets di

particelle nello stato finale, il quale, pertanto, risulta più complesso: infatti, coesistono

tutti i prodotti degli urti dei vari gluoni e quark appartenenti ai due adroni iniziali. D’altra

parte, gli eventi di maggior interesse sperimentale sono caratterizzati da valori della

sezione d’urto molto bassi rispetto alle σ adroniche, e quindi in spesso risulta difficile

separare gli eventi di segnale dal fondo sperimentale.

Lungo LHC sono istallati e raccoglieranno dati quattro apparati sperimentali: ATLAS,

CMS, ALICE e LHCb (Figure 1.4 e 1.5). Tra questi, ATLAS (A Toroidal LHC Apparatus)

e CMS (Compact Muon Solenoid) hanno come scopo primario quello di capire l’origine

della massa delle particelle, ovvero scoprire se il bosone di Higgs esista o meno.

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Figura 1.4: Schema grafico del complesso degli acceleratori al CERN.

Figura 1.5: Disposizione degli esperimenti sull’anello di LHC.

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1.2.1 Produzione dell’Higgs a LHC

I meccanismi di produzione del bosone di Higgs in interazioni p-p ad un’energia nel

centro di massa s = 14 GeV sono essenzialmente quattro, come mostrato in Figura

1.6:

a) fusione gluone-gluone: gg → H;

b) fusione di bosoni vettoriali: qq → Hqq attraverso W+W- → H o ZZ → H;

c) produzione associata con il quark top: qq , gg → tt H;

d) produzione associata con un bosone: qq → WH, qq → ZH.

Figura 1.6: Principali diagrammi di produzione dell’Higgs ad LHC: a) fusione di gluoni, b) fusione di

bosoni Z o W, c) produzione in associazione con una coppia tt o d) con un bosone.

Gli accoppiamenti dei bosoni di Higgs sono proporzionali alle masse delle particelle con

cui interagiscono.

Le sezioni d’urto di tali processi sono illustrate in Figura 1.7 e dipendono dal valore

della massa dell’Higgs. Dal grafico si deduce che il canale di produzione di fusione

gluone-gluone è dominante praticamente in tutto l’intervallo di masse preso in esame

(mH ≤ 1 TeV).

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Figura 1.7: Sezione d’urto totale di produzione dell’Higgs in funzione di mH per i principali processi di

produzione del bosone di Higgs, con un’energia nel centro di massa di 14 TeV.

Figura 1.8: Frazioni di decadimento nei canali dominanti per il bosone di Higgs.

I canali di decadimento più importanti che saranno utilizzati a LHC per investigare il

bosone di Higgs sono stati scelti in base al rapporto di decadimento per i valori di mH,

all’efficienza di rivelazione e alla possibilità di riconoscere il segnale di fondo.

Dalla Figura 1.8, possiamo classificare i canali di decadimento più importanti in tre

regioni.

Regione di piccola massa: 80 GeV < mH < 130 GeV.

In questa regione H decade quasi esclusivamente in coppie bb , ma b è difficilmente

osservabile a causa dell’elevato fondo dovuto ad altri processi (background). Il

canale di maggior interesse è costituito dal processo H → visto che, pur essendo

meno probabile, il rapporto tra segnale e rumore è di 103 volte più grande.

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Regione di massa intermedia: 130 GeV < mH < 2mZ.

I canali più promettenti per gli esperimenti sono:

H → WW* → 4 leptoni

H → ZZ* → 4 leptoni

Regione di grande massa: mH > 2 mZ.

Questa è la regione migliore per la ricerca dell’Higgs poiché

H → ZZ → 4 leptoni

dà luogo ad un segnale facilmente riconoscibile e completamente esente da

background perché si ricostruiscono le due Z reali.

Per masse molto grandi (mH > 500 GeV) sono possibili nuovi canali di decadimento,

come

H → ZZ → llνν

H → WW → lνjj

Il potenziale di scoperta per il bosone di Higgs nell’esperimento ATLAS in funzione

della sua massa è illustrato in Figura 1.9. Nel grafico la significatività della misura di un

canale è definita come il rapporto tra il numero di eventi di segnale e la radice quadrata

del numero di eventi di fondo, ossia rappresenta una stima di quanto un segnale sia

significativo rispetto alle fluttuazioni del fondo.

Figura 1.9: Significatività del segnale per la rivelazione dello Higgs calcolata ad una luminosità integrata

di 30 fb-1 (corrispondente ad un anno di presa dati ad alta luminosità) per vari tipi di decadimento. Il grafico a sinistra considera l’intervallo di massa fino a 200 GeV, mentre il grafico di destra esplora l’intero

intervallo di massa teoricamente accettabile.

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Se il bosone di Higgs verrà osservato a LHC, sia ATLAS che CMS saranno in grado di

misurarne la massa con una precisione di qualche percento su tutto il range di masse

osservabili.

1.3 ATLAS

ATLAS (A Toroidal LHC Apparatus) [4] è un esperimento di fisica delle particelle a LHC

al CERN; esso consentirà lo studio di collisioni frontali tra protoni di elevatissima

energia.

ATLAS è una composizione di vari rivelatori, ciascuno dei quali specializzato per

rivelare un particolare tipo di particella o una sua particolare proprietà. I principali tipi di

sottorivelatori utilizzati sono i rivelatori di tracce (o tracciatori), che “vedono” il percorso

delle particelle cariche, i calorimetri, che misurano l’energia delle particelle, e i rivelatori

per l’identificazione del tipo di particella. Altre componenti molto importanti sono i

magneti: le particelle cariche che attraversano un campo magnetico assumono una

traiettoria curva, e dalla curvatura si può risalire al momento della particella e alla sua

carica.

Le caratteristiche del rivelatore sono dettate dalle seguenti richieste:

accurata calorimetria elettromagnetica e adronica;

misure di alta precisione del momento dei muoni;

efficienza di tracciamento ad alta luminosità per la misura del momento di tracce ad

alto momento trasverso, identificazione di elettroni, fotoni, leptone e quark pesanti;

capacità di ricostruzione dell’evento completo in condizioni di bassa luminosità;

capacità di trigger e di misura del momento trasverso delle particelle, anche per

valori bassi di questo, al fine di ottenere un’elevata efficienza per la maggior parte

dei processi di interesse fisico ad LHC.

Il sistema di riferimento che è stato adottato è rappresentato in Figura 1.10. L’asse Z

punta lungo la direzione dei fasci, l’asse Y punta verso l’alto e l’asse X punta verso il

centro dell’anello di LHC. L’angolo azimutale φ è definito come l’angolo di rotazione

attorno all’asse Z, con l’origine (φ=0) individuata sull’asse X e crescente in senso orario

guardando nella direzione positiva dell’asse Z. L’angolo polare θ è definito come angolo

di rotazione attorno all’asse X, con l’origine sull’asse Z e crescente in senso orario.

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Figura 1.10: Sistema di coordinate globali di ATLAS.

Si introduce una nuova variabile, la pseudorapidità η:

2tanln

che rappresenta la coordinata spaziale comunemente usata nei collider adronici. La

pseudorapidità è preferita all'angolo θ perché la produzione di particelle risulta costante

in funzione di η (Figura 1.11).

Figura 1.11: Per θ = 0, η → ∞. All’aumentare dell’angolo, la pseudorapidità decresce.

Tale variabile consente di suddividere il rivelatore in tre zone (Figura 1.12): la regione di

Barrel, che si ha per |η|<1.05, corrisponde alla regione centrale e, dunque, più prossima

al punto di interazione; la regione di End Cap, che si ha per |η|>1.4, comprende gli

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apparati situati alle estremità destra e sinistra; la regione di Extended Barrel o di

transizione si ha per 1.05<|η|<1.4.

Figura 1.12: Indicazione della pseudorapidità per una sezione dell’apparato.

ATLAS consiste di una serie di cilindri concentrici attorno al punto di interazione e può

essere schematizzato in quattro parti principali: il tracciatore interno, i calorimetri, lo

spettrometro muonico e il sistema di magneti (Figura 1.13).

Figura 1.13: Struttura del rivelatore ATLAS.

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Il rivelatore interno consiste di sottorivelatori vicini al punto di interazione, che

identificano le particelle cariche e ne ricostruiscono le tracce, rilevano decadimenti

ed effettuano misure di momento.

Il sistema di calorimetria è costituito da due tipi di rivelatori: i calorimetri

elettromagnetici per misure di energie di elettroni, positroni e fotoni, e quelli adronici

per la misura di energia delle particelle sensibili alle interazioni forti. Il calorimetro

elettromagnetico ricopre una regione di pseudorapidità con |η|<3.2, mentre quello

adronico è costituito da una parte cilindrica nel Barrel (|η|<1.7), una nell’End Cap

per 1.5<|η|<3.2 e un’altra ancora per 3.2<|η|<4.9. I calorimetri devono: fornire

accurate misure di energia e posizione di elettroni e fotoni; misurare direzione ed

energia del jet; identificare particelle come elettroni, fotoni, adroni e di jet;

selezionare gli eventi per il trigger di primo livello.

Le configurazioni di campo magnetico sono due: una è solenoidale, l’altra toroidale;

lo scopo principale è la misura del momento delle particelle.

Lo spettrometro per muoni (illustrato schematicamente nelle Figure 1.14, 1.15 e

1.16) ha il compito di rivelare la presenza di tali particelle con alto momento

trasverso. In particolare, nella regione centrale (Barrel), sono utilizzati rivelatori a

gas a deriva di carica per la misura di precisione delle tracce e i Resistive Plate

Chambers (RPC), rivelatori con un’ottima risoluzione temporale che selezionano in

tempo reale (Trigger Online) eventi compatibili con la presenza di muoni con

momento superiore ad una soglia fissata.

Figura 1.14: Sezione laterale dello spettrometro.

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Figura 1.15: Sezione dello spettrometro per muoni di ATLAS.

Figura 1.16: Vista tridimensionale dello spettrometro.

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1.4.1 La misura del momento

Gli eventi con muoni ad alto momento trasverso pT nello stato finale hanno un ruolo

cruciale per il programma scientifico di ATLAS e per l’intero progetto LHC. La presenza

di muoni ad alto pT è una segnatura della produzione di una particella di grande massa

nel vertice di interazione, che successivamente decade convertendo una parte rilevante

della sua massa nel momento dei suoi prodotti di decadimento.

Consideriamo una particella carica |±e| con momento p che si muove in un campo

magnetico B, uniforme e perpendicolare alla direzione del moto. La traiettoria della

particella è rappresentata in Figura 1.17, è elicoidale con raggio di curvatura dato dalla

relazione:

TBk

GeVpmB

con kB = 0.2998 GeV/T·m.

Figura 1.3: Definizione della sagitta di una particella in moto in un campo magnetico uniforme.

Si può facilmente dimostrare che, in prima approssimazione, il valore del momento p

può essere dedotto dalla misura dell’angolo di deflessione α o dalla misura della sagitta

s mediante le relazioni:

pBlkB e

pBlk

s B

8

2

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21

essendo 8

2s .

La risoluzione percentuale del momento risulta uguale a quella della sagitta:

ss

pp

La sagitta s può essere misurata mediante una serie di rivelatori di posizione, dotati di

risoluzione σ, equidistanti nella direzione della proiezione della traccia sul piano

perpendicolare al campo magnetico B.

Lo spettrometro dell’esperimento ATLAS è provvisto di tre stazioni di misura,

rispettivamente all’esterno e al centro del volume in cui è attivo il campo magnetico,

tutte composte dallo stesso numero di rivelatori e quindi caratterizzate dalla stessa

risoluzione σ nella misura della posizione; la relazione che lega la σ richiesta alla

singola camera e la risoluzione in momento è:

pBlk

ss B

832 2

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Capitolo 2

Rivelatori RPC e camere di trigger ad ATLAS

2.1 I rivelatori RPC

2.1.1 I rivelatori a ionizzazione

Il passaggio di particelle cariche attraverso la materia è caratterizzato da due fenomeni

principali: collisioni anelastiche con gli elettroni degli atomi del materiale e scattering

elastico con i nuclei. Le collisioni anelastiche provocano perdita di energia della

particella, mentre lo scattering coulombiano provoca una deflessione dalla direzione di

incidenza. Quando la particella viene rallentata, essa trasferisce parte della sua energia

cinetica all'atomo, che può eccitarsi o ionizzarsi. La perdita di energia per unità di

percorso è descritta dalla formula di Bethe-Bloch [5]; essa presenta un termine

dipendente dalle caratteristiche della particella incidente (velocità v = βc e carica ze),

un termine che dipende dal materiale inciso (densità ρ, numero atomico Z e peso

atomico A) e un termine logaritmico:

ZCδ

IWvγ

AZρ

βzcmr=

dxdE e

eea 22β2mln2ππ 22

22

2

222

Graficando la formula di Bethe-Bloch in funzione del momento della particella incidente,

è evidente che a basse energie l’andamento segue il termine β-2, mentre ad alte

energie prevale il termine logaritmico, come si deduce dalla Figura 2.1.

Figura 2.1: Curva di Bethe-Bloch.

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I rivelatori a ionizzazione sono basati sulla raccolta di elettroni e ioni prodotti durante la

ionizzazione di un gas attraversato da radiazione. Poiché le reazioni ionizzanti sono

fenomeni di natura statistica, due particelle identiche non producono, in generale, lo

stesso numero di coppie ione-elettrone: infatti, il numero medio di coppie ione-elettrone

create non è uguale al rapporto tra l’energia persa dalla particella ionizzante e il

potenziale di lavoro, poiché parte dell’energia è persa in eccitazione del gas.

Una configurazione molto semplice è costituita da un condensatore piano; tra i due

piatti paralleli è contenuta una miscela gassosa (Figura 2.2).

Figura 2.2: Generazione e sviluppo di un segnale in un RPC.

Quando una particella investe il mezzo attivo, si creano coppie ione-elettrone, il cui

numero medio è proporzionale all’energia della particella incidente. Applicando un

campo elettrico ai capi del condensatore, gli elettroni sono accelerati verso l’anodo,

mentre i cationi verso il catodo. Il segnale osservato, in ogni caso, dipende dal campo

elettrico applicato, come è mostrato dalla Figura 2.3.

Figura 2.3 : Numero di ioni raccolti (in scala logaritmica) in funzione della tensione applicata.

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Quando la camera raccoglie tante cariche quante sono prodotte dalla ionizzazione,

prende il nome di camera a ionizzazione (regione B). All’aumentare della tensione,

tuttavia, può avvenire il fenomeno della moltiplicazione a valanga: il campo elettrico è

abbastanza forte da accelerare gli elettroni liberati nella ionizzazione primaria fino a

renderli in grado di provocare ulteriori ionizzazioni nel gas. Si genera una struttura “a

goccia”, in cui la densità degli ioni positivi è maggiore presso la coda della valanga

(Figura 2.4). Il campo elettrico risultante non è uniforme, ma è localmente distorto dalla

dinamica della valanga. Il numero di coppie ione-elettrone prodotte durante questo

processo a cascata è proporzionale al numero di elettroni primari, per questo motivo un

rivelatore che lavora sfruttando la moltiplicazione a valanga prende il nome di contatore

proporzionale (regione C). Il segnale in output risulta maggiore di quello di una camera

a ionizzazione, ma è ancora proporzionale alla ionizzazione primaria prodotta nel

rivelatore.

Figura 2.4: Schematizzazione di una valanga e delle deformazioni del campo elettrico da essa provocate

all’interno di un RPC.

Incrementando ulteriormente la tensione tra gli elettrodi, vengono prodotti fotoni

ultravioletti dalla diseccitazione dei livelli più esterni degli atomi eccitati o da eventuali

processi di ricombinazione casuale di ioni ed elettroni. Questi fotoni danno luogo, per

fotoionizzazione, a ulteriori elettroni, detti fotoelettroni, che producono valanghe

secondarie attorno all'asse di formazione di quella principale (regione E). Se il numero

di valanghe secondarie così prodotte è sufficientemente alto, si genera una scarica

(streamer) che, nel caso di elettrodi metallici, si disperde nell'intero rivelatore.

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2.1.2 Caratteristiche generali degli RPC e principio della scarica locale

I Resistive Plane Chambers (RPC) sono rivelatori a gas costituiti da due piatti piani

resistivi che delimitano il volume contenente la miscela gassosa. I contatori a gas

costituiti da elettrodi metallici presentano il difetto del massimo tasso di conteggi

ottenibile; l'impiego di materiali resistivi consente una sensibile riduzione del tempo

morto2 e, di conseguenza, un aumento del tasso di conteggi. Come illustrato in Figura

2.5, lo schema meccanico di un RPC a singola gap consiste essenzialmente

nell’assemblaggio di due elementi: un volume centrale di materiale resistivo contenente

una miscela di gas e due piani di elettrodi di lettura.

Il volume del gas, la gap, è costituito da due piani di bachelite, materiale ad alta

resistività volumica (ρV ~ 107÷9 Ω/m3). La lettura e la trasmissione dei segnali avviene

mediante strip di rame di larghezza pari a 3 cm e distanti 2 mm tra loro; ovviamente le

dimensioni delle strisce di lettura influenzano la risoluzione spaziale del rivelatore. Per

evitare che segnali di strisce contigue si sovrappongano (fenomeno del cross-talk), tra

una strip e l’altra ci sono fili conduttivi collegati a massa. In Figura 2.6 è rappresentata

schematicamente la sezione di un piano di lettura, mentre in Figura 2.7 è evidenziato

l’accoppiamento capacitivo tra la striscia su cui viene indotto il segnale e le contigue,

che è causa del cross-talk.

Figura 2.5: Schema di base della struttura di un RPC a singola gap.

2 Il tempo morto di un rivelatore è l’intervallo di tempo durante il quale il rivelatore resta insensibile.

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Figura 2.6: Sezione di un piano di lettura.

Figura 2.7: a) Circuito equivalente per un sistema di tre strip di lettura affiancate e b) schema delle strip

in cui sono evidenziati i fili di massa.

Il funzionamento di un RPC è basato sul principio della scarica locale: la carica

generata nella valanga, una volta arrivata sull'elettrodo, a causa della resistività di

questo, non si disperde ma rimane confinata nella piccola regione di passaggio della

particella e non interessa più l'intera superficie di rivelazione. Il rivelatore risulta

costituito da “celle di scarica”, ognuna essendo un piccolo condensatore piano

indipendente e parallelo agli altri; la superficie S di ogni cella dipende dalla valanga

stessa, ed è quindi proporzionale alla carica totale Q liberata dal gas e allo spessore

della gap.

Ogni cella può essere rappresentata dal circuito equivalente in Figura 2.8, in cui la

resistenza R schematizza gli elettrodi, mentre la resistenza Rg è dovuta alla gap. In

assenza di ionizzazione si ha che Rg >> R, quindi l'intera differenza di potenziale è

applicata ai capi della gap di gas.

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Figura 2.8: Circuito equivalente di una singola cella a) prima della ionizzazione e b) dopo la ionizzazione.

Quando una particella ionizzante attraversa la gap, si ha una scarica che può essere

schematizzata sostituendo alla resistenza Rg un generatore di corrente che tende a

scaricare il condensatore Cg in modo da portare l'intera differenza di potenziale sugli

elettrodi resistivi, ovvero ai capi di C. Durante l’intervallo di tempo necessario per

recuperare la tensione iniziale, il campo elettrico nella gap non possiede localmente

un’intensità tale da poter innescare un’altra scarica; pertanto non è possibile la

rivelazione di ulteriori particelle che dovessero incidere nella stessa cella. Il tempo

morto di ricarica è, quindi, legato alla resistenza R e alle capacità dalla relazione:

gb

gbgRPC ε

gd+ε=

gSε

+dSε

Sd=)C+R(Cτ 22

in cui d è lo spessore degli elettrodi, g è lo spessore della gap, S è la superficie interna

del piatto di bachelite sulla quale si diffonde la carica prodotta dalle valanghe, εb e εg

sono le costanti dielettriche rispettivamente della bachelite e del gas. La frequenza di

conteggio massimo è:

RPCτ τ

=ν 1

Si introduce il numero di conteggi per unità di superficie S :

0

1SS

dove S0 è la regione iniziale del piatto interessata dall’assorbimento della valanga;

questa quantità dipende dalle resistività di volume e di superficie dell’elettrodo.

Il flusso massimo di conteggi che l’intera superficie può accettare, nell’unità di tempo e

di superficie, ovvero la rate capability, è dato da Φ = S .

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I processi di valanga, nelle usuali condizioni di funzionamento di un RPC, si sviluppano

in tempi dell’ordine dei 10 ns, molto inferiori alla costante di tempo del circuito (τ ≈ 10-3

s). Pertanto, è quest’ultimo che determina il tempo morto di ricarica e di ripristino delle

condizioni iniziali della cella elementare. D’altra parte, la caratteristica fondamentale del

trigger di primo livello è la velocità con cui avviene la selezione degli eventi, dunque il

tempo morto degli RPC è un parametro cruciale per le prestazioni dei rivelatori. Il

vantaggio derivante dall’impiego di elettrodi resistivi è che la zona in cui il potenziale

elettrico si abbassa, per effetto della corrente generata dalla valanga, è circoscritta e

pertanto il tempo morto concerne solo la celletta interessata.

2.1.3 Regimi di funzionamento degli RPC

Gli RPC sono impiegati, a seconda delle esigenze, principalmente nei regimi di valanga

e di streamer. La differenza consiste nella diversa quantità di carica prodotta in ogni

singolo atto di ionizzazione, che può essere controllata tramite la miscela che funge da

mezzo attivo e tramite la tensione di lavoro.

La scelta della composizione della miscela dipende dalle seguenti condizioni di lavoro:

funzionamento in regime di streamer/valanga;

tensione di lavoro relativamente bassa;

alto guadagno;

elevata efficienza anche per alti rate di particelle;

costi ragionevoli.

Per il funzionamento in regime di streamer, il mezzo attivo è rappresentato dall’Argon:

essendo caratterizzato da un’elevata sezione d’urto di ionizzazione per gli elettroni di

bassa energia, che partecipano alla moltiplicazione a valanga, assicura una rapida

crescita di quest’ultima. Della miscela fanno parte anche gas poliatomici, come l’n-

butano e l’isobutano, che hanno il compito, rispettivamente, di limitare le scariche

laterali e di assorbire i fotoni UV.

L’uso degli RPC in regime di streamer è, però, limitato a esperimenti caratterizzati da

un basso flusso di particelle incidenti: essi, infatti, sono caratterizzati da un massimo

rate, ovvero da una capacità di conteggio limitata. Altro difetto dello streamer consiste

nel provocare effetti di invecchiamento dei rivelatori: le grandi quantità di energia

rilasciata possono, a lungo andare, danneggiare gli elettrodi di bachelite.

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In caso di alti rate di particelle, si opera in regime di valanga proporzionale con elettrodi

di bassa resistività, che, tra l’altro, comporta minori effetti di invecchiamento. Per

prevenire eventuali transizioni spontanee da valanga a scarica, alla miscela viene

aggiunta una piccola percentuale di SF6. Il segnale in output, tuttavia, presenta

un’ampiezza molto più piccola rispetto a uno di streamer (la carica media indotta in un

proporzionale è ~pC, contro i 100 pC dello streamer), e per questo necessita di

un’elettronica di amplificazione più elaborata. Inoltre, l’ampiezza del segnale dipende

anche dalla distanza di formazione della valanga dagli elettrodi: questo obbliga a

un’accurata valutazione della soglia di discriminazione e alla riduzione delle possibili

fonti di rumore.

Gli RPC impiegati negli esperimenti ATLAS e CMS utilizzano come mezzo attivo un gas

di base alternativo all’Argon, il tetrafluoroetano (C2H2F4), che migliora le prestazioni dei

rivelatori.

In Figura 2.9 sono mostrati i segnali relativi al funzionamento in diversi regimi operativi

di uno stesso RPC:

Figura 2.9: Tipici segnali di RPC per diversi regimi operativi: a) Segnale relativo ad una valanga, a 9.4 kV; b) Segnale relativo ad uno streamer, a 9.6 kV. c) A tensioni più alte, il ritardo tra valanga e streamer

diminuisce. d) Valanga e streamer si fondono in un unico segnale, a 11.4 kV.

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2.1.4 Prestazioni degli RPC di ATLAS

L'efficienza di un rivelatore è definita come la frazione di eventi emessi dalla sorgente

che è registrata dallo strumento:

sorgentedallaemessieventiregistratieventiE

Questa è funzione della geometria dello strumento (efficienza geometrica) e della

probabilità di interazione all'interno del rivelatore (efficienza intrinseca).

L'efficienza geometrica dipende, appunto, dalla geometria del sistema: i due piani di

bachelite che racchiudono il mezzo attivo sono mantenuti alla distanza costante di 2

mm da un reticolo di spaziatori in policarbonato, e la superficie dei piani è variabile in

relazione alla posizione che le camere occupano all'interno dello spettrometro. Essendo

quest’ultimo suddiviso in settori in base al valore dell’angolo azimutale φ, la diversa

dimensione delle camere attribuisce i nomi Large o Small a diversi settori (Figura 2.10).

L'efficienza intrinseca di un RPC dipende dal numero di coppie elettrone-ione prodotte

e raccolte nella camera; i fattori determinanti sono l'elettronica (che deve fornire una

soglia di acquisizione abbastanza bassa da accettare tutti i segnali validi, ma anche

abbastanza alta da rigettare il rumore) e la tensione di lavoro.

In Figura 2.11 è mostrata l'efficienza di una camera RPC di ATLAS come funzione della

differenza di potenziale applicata: come si vede, è presente un plateau, in

corrispondenza del quale l'efficienza è circa al 97%. L’inefficienza del 3% è dovuta

principalmente a motivi costruttivi: l’utilizzo degli spaziatori comporta la diminuzione

della superficie attiva del rivelatore con conseguente perdita di efficienza.

Figura 2.10: Sezione di un settore Large ed i contigui due Small corredato delle relative misure.

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Figura 2.11: Efficienza dei rivelatori RPC di ATLAS in funzione di HV per un singolo volume di gas [6].

Oltre all'efficienza, c'è un altro parametro che influenza le prestazioni dei rivelatori RPC.

Infatti, fino ad ora si è assunto che, in un RPC, per ogni evento sia indotto un segnale

su una sola strip. Questo non è quello che accade in condizioni reali.

Prima di tutto, alle camere è associata una catena di front end, trigger e acquisizione;

come tutti i circuiti elettronici, tale catena è soggetta a una quota di rumore, costituito da

segnali casuali nel tempo prodotti dal rivelatore che non corrispondono ad alcun evento

fisico e che si sovrappongono al segnale utile. Le possibili sorgenti di rumore, per come

sono realizzati e assemblati gli RPC, sono riconducibili a due tipi: il rumore dovuto

all’elettronica e quello dovuto al funzionamento dei rivelatori. Il cross-talk è un esempio

di rumore elettronico.

Inoltre, le particelle che non incidono la camera normalmente al piano anodico

generalmente producono un cluster di strip accese. Tuttavia, anche con particelle

incidenti normalmente, la creazione di elettroni ad alta energia (chiamati anche raggi δ)

può produrre accensioni multiple. La dimensione di questi cluster influenza,

ovviamente, la risoluzione spaziale e, dunque, le prestazioni del rivelatore.

2.2 Il trigger dell’esperimento ATLAS

Un sistema di trigger è un insieme di dispositivi che fornisce un segnale veloce ogni

volta che si verifica un evento “interessante”, che soddisfa dei criteri specifici e verifica

delle caratteristiche. Tali dispositivi possono essere elettronici o informatici, e abilitano

l’acquisizione da parte dei rivelatori, che, poi, processano e archiviano l’evento.

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Il funzionamento di LHC in pieno regime (fase di elevata luminosità) comporta la

produzione di un tasso di conteggio estremamente elevato: 109 eventi s-1 generati dalla

collisione di ogni coppia di pacchetti. Pertanto, occorre concentrare l’attenzione

esclusivamente sugli eventi che presentano caratteristiche rilevanti per il programma di

ricerca. Il sistema di trigger opera una selezione sugli eventi prodotti, in modo che la

frequenza finale di acquisizione sia di circa 100 Hz rispetto ai 40 MHz originati dalla

collisione3.

Il sistema di trigger di ATLAS [7], come mostrato in Figura 2.12, è organizzato in tre

livelli di filtri.

Il primo livello individua in tempi in fase con le collisioni (~25 ns) gli eventi candidati,

riducendo il rate di alcuni ordini di grandezza.

I dati, quindi, vengono digitalizzati e trasmessi a dei registri che li sottomettono ad

algoritmi complessi, atti a ridurre ulteriormente il rate. I primi due livelli sono

realizzati mediante uno schema di tipo hardware: il trigger e gli algoritmi di selezione

sono implementati su schede installate “on board” rispetto ai rivelatori e

sull’elettronica di lettura.

Infine, i dati subiscono un’ulteriore selezione ad opera dell’Event Filter, che si basa

interamente su un sistema di tipo software.

Figura 2.12: Schema a blocchi del sistema di trigger e di acquisizione dati dell’esperimento ATLAS.

3 40 MHz è la frequenza di incrocio dei fasci.

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Gli eventi che hanno soddisfatto tutti i criteri e sono dotati delle caratteristiche adeguate

agli scopi dell’analisi, vengono ricostruiti e mandati alla scrittura su disco.

2.2.1 Il trigger di primo livello per muoni

Il trigger di primo livello (LVL1) è illustrato nello schema a blocchi di Figura 2.13.

Figura 2.13: Diagramma del primo livello di trigger.

Esso opera una selezione iniziale degli eventi basata su informazioni a bassa

“granularità” provenienti dalle camere di trigger di muoni e dai calorimetri, e riduce il

rate degli eventi a 75 kHz. I due trigger, quello muonico e quello calorimetrico, lavorano

in parallelo e hanno compiti distinti: il trigger muonico si basa sull’identificazione di

muoni ad alto momento trasverso pT, quello calorimetrico sulla ricognizione di cluster

elettromagnetici e jet adronici dovuti al decadimento del o di singoli adroni.

Lo spettrometro per muoni è suddiviso nelle regioni del Barrel e dell’End Cap, mentre la

regione intermedia è detta “di transizione”. Il principio di funzionamento è basato sulla

deflessione delle tracce dei muoni nell’attraversamento del campo magnetico toroidale

generato da tre grandi magneti (uno nel Barrel e due nell’End Cap). Poiché esiste una

correlazione tra la massa della particella che decade e il momento trasverso pT del

muone prodotto nel decadimento, gli obiettivi di ricerca comportano la necessità di

selezionare eventi caratterizzati sia da muoni con pT > 6 GeV, per l’identificazione dei

mesoni B, sia da muoni con pT > 20 GeV, per la ricerca del bosone di Higgs, dello Z0, e

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di altre particelle massive (di massa maggiore a 100 GeV). Sono state sviluppate, per

questo, due differenti logiche di trigger.

Le tecnologie di rivelazione utilizzate nello spettrometro nelle regioni caratterizzate da

diversi valori di η dipendono dai flussi di particelle con cui i rivelatori devono operare. In

particolare, come camere di trigger, sono impiegati gli RPC nella regione del Barrel e le

Thin Gap Chamber (TGC) nelle regioni di End Cap.

Una volta che il segnale è uscito dalle camere RPC, passa attraverso l’elettronica di

front end, che lo amplifica, filtra e discrimina prima che esso sia utilizzato dal sistema di

trigger. I segnali provenienti dall’elettronica di front end sono spediti su cavo lungo due

percorsi: quello di Read-Out e quello di trigger. Prima di entrare nelle Coincidence

Matrix (CM), i segnali vengono formati e preprocessati.

L’impiego degli RPC è contemplato solo nel Barrel e, precisamente, nelle stazioni

Middle e Outer4. Con riferimento alla Figura 2.14, nelle stazioni di tipo Middle sono

collocati due piani di RPC: quello più vicino al punto di interazione è detto piano di

conferma di LowPt (RPC 1), l’altro è detto piano di pivot (RPC 2). Le stazioni di tipo

Outer, invece, prevedono un solo piano di RPC, che è detto piano di conferma di

HighPt (RPC 3).

Figura 2.14: Schema dell’algoritmo di trigger di primo livello per muoni.

Per la soglia di pT > 6 GeV (LowPt), l’algoritmo di trigger impiega le informazioni

provenienti dai soli piani di pivot e di confirm LowPt. Si controlla per primo il piano RPC

4 Una stazione è definita come l’allocazione di una camera o di un gruppo di camere. Le stazioni prendono i nomi di Inner, Extra, Middle e Outer; nel Barrel manca l’Extra.

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2: qualora si sia accesa una strip su di esso, viene effettuata una ricerca di strip attivate

sul piano RPC 1 in una regione detta finestra di coincidenza (Figura 2.15). Quest’ultima

viene delimitata da un cono, il cui asse coincide con la congiungente il vertice di

interazione con la strip accesa sul piano di pivot: tale linea rappresenta la traiettoria di

una particella con momento idealmente infinito (traccia di momento infinito).

Per effetto del campo magnetico, un muone di momento finito presenta una deflessione

(funzione del momento pT), che può essere ricostruita a partire dalla distanza d della

strip attivata sul piano di pivot dall’asse del cono: quanto maggiore è pT, minore è la

deflessione e minore è la distanza d. In definitiva, la finestra di coincidenza può essere

calcolata come funzione del taglio in momento trasverso che si vuole effettuare: i muoni

con momento trasverso inferiore alla soglia finiscono al di fuori della finestra di

coincidenza.

La selezione dei muoni con momento pari a pT > 20 GeV (HighPt) è effettuata

utilizzando ambedue le stazioni, Middle e Outer: ai criteri di coincidenza di LowPt si

aggiunge come ulteriore richiesta anche la coincidenza con il piano più esterno di

confirm HighPt.

Figura 2.15: Finestra di coincidenza.

2.2.2 I trigger di secondo e terzo livello

Il trigger di secondo livello LVL2, basato su algoritmi software, riduce ulteriormente il

rate di acquisizione da circa 100 kHz (dopo il LVL1) a circa 1 kHz e si occupa di

analizzare i dati provenienti da tutti i rivelatori.

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Ad esempio, per la rivelazione dei muoni, i dati provenienti dal LVL1, che contengono

informazioni parziali, vengono integrati con quelli degli MDT, dei CSC5 e del rivelatore

interno. La traccia viene ricostruita nelle camere a precisione MDT del Barrel o CSC

dell’End Cap, limitatamente alle regioni individuate dagli RPC (o TGC); viene, quindi,

eseguita un’estrapolazione fino al vertice mediante le informazioni dei calorimetri e

dell’Inner detector. I dati vengono processati mediante un algoritmo software chiamato

µ-fast, in grado di determinare i parametri della traccia (η, φ, pT).

Il trigger di terzo livello, o Event Filter, fornisce la selezione finale degli eventi online,

utilizzando come punto di partenza dell’analisi i risultati ottenuti al LVL2 (le coordinate η

e φ e l’momento pT). La sua caratteristica distintiva consiste nella realizzazione in

tempo reale della prima analisi dell’intero insieme di dati relativi a un dato evento. In

una prima fase dell’elaborazione, viene confermata la classificazione degli eventi

operata dal LVL2; successivamente, viene eseguita un’analisi più accurata dell’evento

utilizzando la mappa completa della geometria dell’apparato sperimentale, del campo

magnetico e delle costanti di calibrazione.

La funzione primaria dell’Event Filter è la riduzione del rate di acquisizione del livello

precedente (1-2 kHz) ad un valore di circa 260 Hz. Ulteriori funzioni dell’Event Filter

sono il monitoraggio delle prestazioni dei rivelatori, la loro calibrazione e l’attivazione di

procedure iterative di allineamento.

2.3 Il sistema di trigger e di acquisizione dei dati (TDAQ)

Il sistema di trigger e di acquisizione dei dati di ATLAS (TDAQ, acronimo di Trigger and

Data AcQuisition) è un vasto ambiente costituito da centinaia di nodi informatici. Per

verificare la qualità dei dati inviati al deposito permanente, devono essere

costantemente monitorati l’intero sistema di trigger, il sistema DAQ e i sottorivelatori di

ATLAS.

Il TDAQ è diviso in tre livelli principali (Figura 2.16). Esso comprende tutta la catena di

readout, dall’elettronica di front-end all’Event Builder, dove è ricostruito l’evento

completo e immagazzinato su disco. La qualità dei dati e le prestazioni del sistema di

trigger possono essere monitorate a ciascun livello della catena.

5 Sulla quasi totalità dell’intervallo di pseudorapidità, le misure di precisione delle coordinate, nella direzione di maggior curvatura del campo, sono fornite dai Monitored Drift Tube (MDT). Per grandi valori di |η|, nelle vicinanze del punto di interazione, questo ruolo è svolto dalle Cathode Strip Chamber (CSC).

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Figura 2.16: Schema semplificato del DAQ di ATLAS.

I dati digitalizzati, prodotti dall’elettronica di front-end (FE) di ciascun sottorivelatore,

vengono inviati al Read Out Driver (ROD) non appena il LVL1 di trigger ha approvato

l’evento. Il ROD formatta i dati, producendo un frammento dell’evento di base che è poi

inviato al Read Out Buffer (ROB), dove è immagazzinato in attesa della selezione del

LVL2. Se l’evento è accettato, il Sistema di Read Out (ROS) raccoglie e sposta i

frammenti di dati dal ROB all’Event Builder (EB), che assembla l’evento completo. Tutti

gli eventi completi sono raccolti nel Sub Farm Input (SFI) e ricostruiti interamente

dall’Event Filter (EF), che applica il criterio finale di selezione. Gli eventi che superano

anche questa fase sono inviati al Sub Farm Output (SFO) e, infine, immagazzinati su

disco. A ciascun livello del TDAQ (ROD, ROS, EB), una o più intestazioni e code sono

aggiunte ai frammenti di dati ricevuti.

2.4 Condivisione dei dati di LHC: la Grid

La Grid [8] è una rete planetaria che unisce e utilizza contemporaneamente la potenza

di calcolo e la memoria di decine di migliaia di differenti computer sparsi nel mondo. E'

stata progettata per immagazzinare e rendere accessibili ai ricercatori di diversi paesi i

15 milioni di Gb di dati prodotti ogni anno da LHC: la gestione e l'analisi di questa

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notevole mole di dati avverrà attraverso i svariati nodi di calcolo della LHC-Grid sparsi

su tutto il pianeta e organizzati in diversi livelli, come è mostrato in Figura 2.17.

La metafora della griglia riflette l'idea che un utente possa utilizzare tutte le risorse di

calcolo che gli occorrono con un semplice collegamento alla rete, senza sapere da

dove vengono o come siano prodotte. La Grid fornisce a tutto il mondo della ricerca un

accesso uniforme e condiviso non solo alle risorse di calcolo, ma anche ai grandi

archivi di dati sparsi in vari paesi e collegati tramite internet, che appaiono all'utente

come una grande risorsa globale dotata di un'unica interfaccia. Ciò facilita le attività

delle comunità scientifiche e dei gruppi di ricerca che partecipano ad uno stesso lavoro.

Il progetto World-wide LHC Computing Grid (WLCG), coordinato dal CERN, è il primo

esempio di un'infrastruttura Grid mondiale, in cui i vari spezzoni a livello europeo,

statunitense e asiatico riescono a operare assieme grazie a uno sforzo di integrazione

delle varie interfacce e all'utilizzo di servizi comuni.

Figura 2.17 : la Grid è una rete planetaria che unisce e utilizza contemporaneamente la potenza di

calcolo e la memoria di decine di migliaia di differenti computer sparsi nel mondo.

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Capitolo 3

Monitoraggio delle camere di trigger per muoni

3.1 ROOT: il software di calcolo matematico del CERN

Un paradigma di programmazione è uno stile fondamentale di programmazione, ovvero

un insieme di strumenti concettuali di riferimento per la stesura di programmi. Diversi

paradigmi si differenziano per i concetti e le astrazioni6 usati per rappresentare gli

elementi di un programma e per i procedimenti usati per l'esecuzione delle procedure di

elaborazione dei dati. La programmazione orientata ad oggetti è un paradigma di

programmazione che prevede di raggruppare in un'unica entità (la classe) le strutture

dati e le procedure che operano su di esse, creando, per l'appunto, un "oggetto"

software dotato di proprietà (dati) e metodi (procedure) operanti sui dati dell'oggetto

stesso.

ROOT è un Pacchetto Software orientato ad oggetti sviluppato dal CERN per l’analisi

dei dati [9]; il progetto fu avviato da René Brun nel 1994. I dati che gli esperimenti di

LHC raccoglieranno verranno analizzati proprio mediante l’utilizzo di questo software,

che elaborerà la maggior parte dei grafici e dei risultati.

ROOT si basa sul linguaggio di programmazione C++, che viene usato sia per dare

comandi interattivi, sia per elaborare dati utilizzando le funzioni di libreria di ROOT

stesso in programmi realizzati dall’utente. ROOT può elaborare ogni oggetto C++, tra

cui istogrammi, n-uple, grafici, funzioni.

I pacchetti forniti da ROOT includono varie funzionalità, tra cui:

visualizzazione, analisi di distribuzioni e funzioni tramite istogrammi e grafici;

fitting e minimizzazione di funzioni;

strumenti statistici per l’analisi di dati;

algebra matriciale;

supporto di quadrivettori, utilizzati nella fisica delle alte energie;

supporto di funzioni matematiche standard;

manipolazione di immagini;

accesso ai dati distribuiti (nel contesto di Grid); 6 L'astrazione informatica è un processo di aggregazione di informazioni e di sintesi di modelli concettuali che si sofferma su alcune proprietà rilevanti ed esclude dettagli inessenziali.

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calcolo distribuito, per analizzare i dati in parallelo;

persistenza e serializzazione7 degli oggetti, i quali possono far fronte ai

cambiamenti nelle definizioni delle classi dei dati persistenti;

accesso ai database;

visualizzazione 3D;

creazione di file in vari formati grafici;

interfacciamento con i linguaggi Python e Ruby;

interfacciamento con i generatori Monte Carlo.

La caratteristica fondamentale di ROOT è il contenitore di dati chiamato tree, con le sue

sottostrutture branches e leaves: mediante il tree, l’utente ha accesso ai dati grezzi,

ovvero ad un insieme di eventi caratterizzati da certe variabili. Questa tecnica evita

problemi di allocazione della memoria concernenti la creazione di oggetti.

3.2 Il Monitoring Online

Il Monitoring Online [10][11][12] consente di controllare in tempo reale la qualità dei dati

inviati al deposito permanente, l’intero sistema di trigger, il DAQ e il funzionamento dei

sottorivelatori di ATLAS. Esso si pone come obiettivo quello di individuare un possibile

problema, e, se possibile, di correggerlo, tutto in tempo reale. Visto l'elevato rate di

acquisizione, si procede ad una valutazione generale di tutto l’apparato, tralasciando a

fasi successive controlli approfonditi o relativi a quantità dettagliate.

I parametri principali che vengono esaminati sono la correttezza formale e l’integrità dei

dati, il loro allineamento temporale e il funzionamento della logica di trigger. E’ anche

possibile esaminare il significato fisico dei dati mediante un controllo di grandezze quali

la molteplicità degli hit e la cluster size.

Ad esempio, se un RPC non funziona correttamente a causa del cross-talk, è possibile

cercare di ridurre il rumore variando la soglia del discriminatore; in questo modo si

rendono utili i dati acquisiti da quel rivelatore, che altrimenti andrebbero rigettati. Inoltre,

l’operazione di monitoraggio dei dati a differenti livelli di acquisizione può fornire

7 La persistenza è la caratteristica dei dati di sopravvivere all’esecuzione del programma che li ha creati. Senza questa capacità, i dati vengono salvati solo in memoria RAM e verranno persi allo spegnimento del computer. La serializzazione è un processo per salvare un oggetto in un supporto di memorizzazione, o per trasmetterlo su una connessione di rete. Lo scopo della serializzazione è di trasmettere l’intero stato dell’oggetto in modo che esso possa essere successivamente ricreato nello stesso identico stato dal processo inverso di deserializzazione.

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informazioni complementari e si rivela utile nell’ottimizzazione del traffico della rete e

dell’utilizzo della CPU.

I requisiti principali della struttura di monitoraggio di ATLAS sono i seguenti:

deve competere con la complessità dei rivelatori e adeguarsi alle differenti

necessità;

deve supportare cambiamenti dinamici dei parametri di monitoraggio;

deve fornire un’Interfaccia Grafica con l’Utente (GUI) che mostri lo stato

dell’oggetto monitorato;

deve provvedere a un controllo automatico dei risultati.

Per comprendere la complessità della struttura di monitoraggio, bisogna considerare

che sono previsti più di 3000 sorgenti di informazioni e oltre 300 eventi registrati al

secondo; ciò comporta la produzione di varie centinaia di GB di dati per ogni run. Per

soddisfare questa particolare esigenza, il sistema di monitoring include varie

applicazioni, specifiche per diverse necessità, che consentono di isolare e risolvere

eventuali problemi.

Il software TDAQ di ATLAS comprende un certo numero di servizi, conosciuti

complessivamente come servizi di condivisione dell’informazione, che possono essere

impiegati per costruire il sistema di monitoraggio. Il servizio di informazioni (IS)

consente di condividere semplici variabili definite dall’utente. Il servizio di creazione di

istogrammi online (OHS) è basato su IS e ne estende le funzionalità per creare

istogrammi, in particolare con ROOT. Il monitoraggio degli eventi (Emon) fornisce una

struttura che abilita il campionamento e la distribuzione degli eventi. Il sistema di

riferimento dei messaggi (MRS) trasporta informazioni tra le applicazioni del TDAQ.

3.2.1 GNAM

GNAM è l’applicazione di monitoring online dei rivelatori ATLAS a tutti i livelli di raccolta

dati (ROD, ROS, SFI, SFO). Si occupa principalmente di controllare lo stato delle

componenti hardware dei rivelatori e di valutare rapidamente le condizioni del run.

GNAM accoglie tutti i frammenti di dati del ROD e li organizza in una lista, caricando

una libreria di decodifica e una o più librerie per la creazione di plot. La libreria di

decodifica riceve la lista di frammenti e, tra questi, identifica e decodifica i dati

pertinenti. L’altra libreria recupera i dati di uno o più rivelatori, effettua una semplice

analisi e produce istogrammi; la tecnologia utilizzata per la creazione di grafici è quella

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di ROOT. La stessa libreria registra gli istogrammi e fornisce un elenco al nucleo, che è

responsabile delle azioni comuni e in cui vengono immagazzinati i dati decodificati, per

la gestione centrale. Ogni libreria implicata alla creazione di istogrammi ha accesso a

tutti i dati immagazzinati nel nucleo: questo consente la produzione di grafici di

correlazione tra i differenti rivelatori, senza la duplicazione del codice. I plot conservati

nel nucleo vengono poi pubblicati nell’OHS: salvati in un file, possono essere eseguiti

su richiesta dell’utente. Inoltre, GNAM è in grado di dare comandi all’OHS, per

modificare in tempo reale le proprietà degli istogrammi o per eseguire funzioni

personalizzate definite nelle librerie di analisi.

Figura 3.2: Schematizzazione di GNAM e correlazione con l’ambiente di Monitoring Online di ATLAS.

Ricapitolando, GNAM soddisfa i seguenti requisiti:

3 l’architettura dell’applicazione è indipendente dai rivelatori, in modo da poter

maneggiare dati prodotti da differenti sottorivelatori;

4 l’applicazione è modulare, ovvero separa le azioni comuni da quelle dipendenti

dal rivelatore;

5 evita la duplicazione del codice;

6 può essere controllata sia dal TDAQ (in condizioni standard) che dagli utenti;

7 la produzione e la visualizzazione di istogrammi sono separate le une dalle altre.

La seconda caratteristica consente l’utilizzo di GNAM per effettuare varie operazioni,

grazie a un particolare design che separa le azioni comuni, ad esempio il maneggiare

istogrammi, dagli algoritmi di analisi, che sono conservati in librerie dinamiche caricate

in tempo reale.

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3.3 L’algoritmo di clusterizzazione

3.3.1 Nomenclatura dello spettrometro e variabili di ROOT

Per definire i parametri caratterizzanti ciascun evento, è necessario conoscere la

nomenclatura usata nello spettrometro.

Regione: in base al valore della pseudorapidità, si distinguono le regioni B ed E,

rispettivamente del Barrel (|η|<1) e dell’End Cap (|η|>1).

Lato: il lato A corrisponde alla direzione positiva dell’asse Z, il lato C a quella negativa.

Stazione: è definita come l’allocazione di una camera o di un gruppo di camere. Le

stazioni prendono i nomi di Inner, Extra, Middle ed Outer; nel Barrel manca l’Extra.

Settore: è ciascuna delle regioni di differente angolo azimutale in cui è suddiviso

l’intero apparato. I settori sono numerati da 1 a 16 a partire dall’angolo φ=0 e crescenti

nel verso crescente di φ, come illustrato in Figura 3.1. La dimensione delle camere è

maggiore per i settori dispari, per questo denominati Large, mentre i settori pari

prendono il nome di Small.

Figura 3.1: Numerazione degli RPC sullo spettrometro.

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Settore di trigger: ogni settore di ATLAS è diviso in 4 settori di trigger, due per il lato A

dell’esperimento e due per il lato C; i settori di trigger sono numerati da 0 a 31 per il lato

C, e da 32 a 63 per il lato A.

Torre proiettiva: è un insieme di camere appartenenti allo stesso angolo solido visto

dal punto di interazione.

I dati raccolti dai rivelatori ATLAS vengono organizzati, mediante il software ROOT, in

una rootpla, ovvero una struttura di dati simile a una matrice, tra le cui variabili sono

presenti le seguenti:

3 Nevt: numero di eventi raccolti;

4 Nhit: numero di hit per ogni evento; un hit rappresenta la rivelazione di una

particella;

5 Sector: numero associato ad ogni hit identificativo del settore di trigger;

6 Side: assume valore 0 o 1 rispettivamente per il lato A o C dell’esperimento;

7 PAD, CMid, ijk: identificano l’unità RPC che ha registrato l’evento;

8 MuonStation: identifica la stazione RPC che ha registrato l’evento;

9 IsEtaView: discrimina se l’evento è stato registrato da un pannello di strip

disposte secondo la coordinata eta o quella phi (assumendo valore 0 o 1);

10 SectorStrip, StationStrip, LocalStrip: danno l’informazione di quali strip abbiano

registrato hit, essendo queste numerate secondo la convenzione di settore o di

stazione o di unità;

11 Channel: dà l’informazione degli hit registrati da ogni canale;

12 IsTriggerHit: discrimina gli eventi registrati mediante applicazione o meno di una

logica di trigger.

3.3.2 Descrizione del codice ed esempi di applicazione

Si è descritto come la formazione di cluster in un RPC ne influenzi le prestazioni. Per

studiare il processo di clusterizzazione, si è introdotto un algoritmo, scritto in linguaggio

C++ ed eseguito da GNAM, che raggruppa le strip in cluster in base alle seguenti

regole:

un cluster è definito come un gruppo di strip adiacenti accese entro un intervallo

temporale di 200 ns;

a ciascun cluster viene associata una dimensione, la cluster size, definita come il

numero di strisce costituenti il cluster;

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la posizione associata al cluster è fornita dalla cluster first strip, ovvero dalla striscia

caratterizzata da numero identificativo minore.

Affinché il cross-talk delle strisce di lettura e il rumore ad esso correlato possano

considerarsi trascurabili, la grandezza media dei cluster dovrebbe essere compresa tra

1.3 e 1.8, e la molteplicità dei cluster pari a 1; queste due grandezze rappresentano

degli utili indicatori del funzionamento degli RPC. Infatti, spesso strisce rumorose

inducono rumore su quelle adiacenti: ne consegue una cluster size anche molto alta

(possono addirittura accendersi tutte le strip). Il monitoring online consente di

identificare in tempo reale il rivelatore difettoso e di variarne le caratteristiche di

acquisizione per ridurre il rumore.

L’algoritmo di clusterizzazione accoglie in ingresso i dati relativi a un singolo run e ne

effettua una selezione, in modo da ottenere un vector di interi costituito dai numeri

associati alle strisce che si sono accese in un RPC; le operazioni che seguono vanno

poi iterate per ogni RPC dell’apparato ATLAS. Il secondo passo è quello di ordinare le

strip in ordine crescente, attraverso un’operazione di sorting del vector. A questo punto,

può iniziare il processo di clusterizzazione: volendo identificare ogni cluster con una

struct i cui membri sono la cluster first strip e la cluster size, l’algoritmo costruisce un

vector di tali strutture e restituisce in output un istogramma di ROOT che consente di

visionare la cluster size.

I grafici bidimensionali in Figure 3.3, 3.4 e 3.5 forniscono un esempio di applicazione

dell’algoritmo. Essi presentano sull’asse orizzontale il numero identificativo della torre

proiettiva e su quello verticale il numero associato al settore di trigger. In

corrispondenza di ogni coppia di queste due variabili, ROOT disegna una cella colorata;

la scala dei colori assegna al violetto la cluster size media minore, al rosso quella

maggiore. Le celle bianche corrispondono a settori spenti o che non acquisiscono.

I dati sono cosmici e il run è quello del 1 marzo 2010; i presenti diagrammi sono stati

pubblicati online al termine del run.

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Figura 3.3: a) Cluster size media per le stazioni Outer del Barrel (BO) per la coordinata eta e b) per

quella phi, relativa ai piani di conferma. In entrambi i diagrammi sono presenti dei canali rumorosi nella torre 7, con cluster size massima pari a 4.

Figura 3.4: a) Cluster size media per le stazioni Middle del Barrel (BM) per la coordinata eta e b) per

quella phi, relativa ai piani di conferma. Il primo diagramma presenta una situazione ottimale, con cluster size massima pari a 2; il secondo presenta alcuni canali rumorosi con size massima pari a 3.

Figura 3.5: a) Cluster size media per le stazioni Middle del Barrel (BM) per la coordinata eta e b) per

quella phi, relativa ai piani di pivot. Solo nel secondo diagramma è presente un canale rumoroso, di size media pari a 3.

Le Figure 3.6 e 3.7 forniscono esempi diversi di come si possono identificare canali

rumorosi. In Figure 3.6 è rappresentato il numero di volte che ciascuna sezione del

rivelatore segnala un hit; le cellette caratterizzate dal rosso o dall’arancione sono indice

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di canali rumorosi. In Figure 3.7 è rappresentato il numero di volte che si aziona il

sistema di trigger; anche in questo caso, un valore eccessivo segnala un difetto di

funzionamento .

Figura 3.6: a) Numero di hit segnalato da ogni pannello relativo ai piani di conferma e b) di pivot.

Figura 3.7: a) Numero di richieste di trigger segnalato da ogni pannello relativo ai piani di conferma e b)

di pivot.

3.4 Caratteristiche della cluster size valutate offline

Al termine del run, si effettua uno studio offline dei dati raccolti e condivisi su Grid.

Dunque, a posteriori è possibile compiere un controllo approfondito e valutare le

caratteristiche associate ai parametri del sistema di rivelazione. Nei paragrafi seguenti,

sono riportati grafici riguardo vari aspetti della cluster size [6].

3.4.1 Cluster size media

Il plot in Figura 3.8 mostra la cluster size media dei pannelli BM di tutti i settori, mentre

nelle Figure 3.9a e 3.9b la cluster size è relativa solo ai pannelli eta o phi. I dati sono

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relativi a muoni cosmici, acquisiti nel novembre 2009 e già selezionati dalle camere

MDT.

Figura 3.8: Cluster size media per pannelli BM di tutti i settori a 9600 V.

Figura 3.9: a) Cluster size media per pannelli BM dei settori eta e b) phi.

3.4.2 Cluster size in funzione del sector

Nei plot seguenti è graficata la cluster size media in funzione del settore. In tutti e tre i

diagrammi è chiaramente visibile la dipendenza dall’angolo tra i piani dei settori e la

verticale dei cosmici: la cluster size risulta maggiore per i settori 1 e 9, che sono

paralleli alla direzione dei muoni.

Mean = 1.67

Mean = 1.66 Mean = 1.68

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Figura 3.10: Cluster size degli RPC di ATLAS come funzione del settore dello spettrometro muonico.

Figura 3.11: a) Sono mostrati separatamente i pannelli delle camere BM e BO. L’alto valore assunto dalle camere BM nel settore 12 è dovuto a rumore durante il run. b) Sono mostrati separatamente i

pannelli eta e phi.

3.4.3 Cluster size in funzione di HV

Il plot in Figura 3.12 mostra la cluster size misurata degli RPC di ATLAS in funzione

della tensione di lavoro per un singolo settore dello spettrometro per muoni. Anche in

questo caso, i dati sono cosmici.

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Figura 3.12: Cluster size in funzione dell'alta tensione.

3.4.4 Cluster size in funzione della soglia di acquisizione

Nei due diagrammi seguenti (Figura 3.13), è mostrato l’andamento della cluster size per

tre valori della soglia di discriminazione.

Figura 3.13: Cluster size per tre valori della soglia di discriminazione a) in scala lineare e b) logaritmica.

3.4.5 Risoluzione spaziale degli RPC

Per studiare la risoluzione spaziale degli RPC in assenza di cross-talk e di rumore

elettronico, si effettua un lavoro offline confrontando le posizioni fornite dagli RPC con

quelle ricostruite dalle camere di precisione MDT.

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Quando un muone genera un segnale su di una strip, l'indeterminazione associata alla

posizione della particella è pari alla dimensione della strip. La ricostruzione della traccia

ad opera degli MDT consente di associare alle misure di posizione degli RPC una

distribuzione uniforme, il cui parametro di larghezza è:

cml 866.012

essendo l = 3 cm.

Se il muone genera segnali su due strip adiacenti, l'indeterminazione che bisogna

assegnare alla misura degli RPC è doppia rispetto al caso precedente di cluster size

unitaria. Confrontando con i dati provenienti dagli MDT, si associa una distribuzione

gaussiana piccata nel centro dello spazio compreso tra le due strip; cioè, in presenza di

segnali fisici, l'accensione di due strip adiacenti è indice del fatto che il muone è

passato tra le due strip e ha indotto segnale su entrambe. La sigma della gaussiana è

minore rispetto a quella della distribuzione uniforme; si conclude che, in assenza di

rumore e sulla base delle informazioni fornite dagli MDT, la risoluzione spaziale degli

RPC è migliore quando si ha una cluster size pari a due, rispetto al caso in cui la size è

unitaria.

E’ importante precisare che, senza il lavoro di ricostruzione della traccia fatto a fine run

dalle camere MDT, un cluster di due strip ha un’indeterminazione pari a 2σ, quindi

peggiore del caso di size unitaria.

Il diagramma in Figura 3.14 rappresenta la risoluzione spaziale delle camere BM a

9600 V in unità di pitch; la frazione di pannelli con cluster size unitaria (linea blu)

presenta una risoluzione spaziale media pari a 0.273, confrontabile con 289.0121

,

mentre per i pannelli con cluster size pari a due (linea rossa) la risoluzione media è

0.138.

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Figura 3.14: Risoluzione spaziale degli RPC a seconda della cluster size.

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Conclusioni

Lo scopo finale di questa tesi è stata la stesura di un codice di monitoraggio degli RPC

di ATLAS, volto al controllo dei processi di clusterizzazione dei segnali dei rivelatori.

L’algoritmo, eseguito in tempo reale da GNAM, fornisce informazioni sulle prestazioni

delle camere e consente di individuare canali rumorosi.

Oltre a ciò, si sono evidenziate le differenze sostanziali tra il lavoro svolto online e

quello offline. Mentre nel Monitoring Online sono presenti esigenze di sintesi e

generalità a causa dell’alto rate di eventi, le considerazioni che sono fatte offline

possono essere approfondite e di varia natura. Nel presente caso, si è svolto uno studio

dei parametri caratterizzanti la dimensione dei cluster offline, valutando la cluster size

media di vari settori di acquisizione e studiando la variazione della cluster size al

variare del settore, della tensione di lavoro e della soglia del discriminatore; infine, si è

visto come questa grandezza influenzi la risoluzione spaziale delle camere RPC.

I dati che sono stati esaminati sono relativi a run di muoni cosmici, acquisiti tra il 2009 e

il 2010.

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