MONASTERO DI SCARAMUCCIA TEISHO ENGAKU TAINO · 31 dicembre 1994 (sabato sera) da PRIMA DELLA...

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Testo trascritto da Franco Camin Shihan (7 gennaio 2016) MONASTERO DI SCARAMUCCIA TEISHO ENGAKU TAINO ANNO 1995 1

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Testo trascritto da Franco Camin Shihan (7 gennaio 2016)

MONASTERO DI SCARAMUCCIA

TEISHOENGAKU TAINO

ANNO 1995

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SESSHIN GENNAIO 1995

30 dicembre 1994 (venerdì sera)

SESSHIN KOKUHO

Questa sesshin, per la prima volta a Scaramuccia, è una sesshin sia di fine anno che di inizio in unmomento del calendario in cui siamo abituati a pensare la fine di un anno e l'inizio dell'altro; è unmomento in cui è difficile che le persone lascino la propria casa per recarsi a praticare lameditazione e la ricerca di sé; sono tempi, questi giorni, in cui si preferisce andare a festeggiaresulla neve, in montagna o anche in campagna ma comunque in brigate festaiole come se sedersi inmeditazione, aprirsi alla natura di Buddha non sia la più grande festa che un essere umano possaincontrare. Non c'è voglia di fare la predica a quelli che vanno a divertirsi nei veglioni e nellediscoteche. È giusto così, ognuno segue la propria inclinazione e cerca la felicità nella maniera chegli detta il cuore.Arrivare qui a Scaramuccia deve essere sicuramente difficile se le persone sono sempre così poconumerose, ma questo è un buon segno perché la pratica vera richiede molta applicazione, moltadeterminazione e queste sono qualità che, per la maggior parte delle persone, non sono attraenti.Noi qua ci stiamo, sentiamo la voglia di sederci, di stare insieme, di praticare e di risvegliarci.Saluteremo il prossimo anno sperando che, al nuovo anno, ci arriveremo anche col nuovo delnostro risveglio.

31 dicembre 1994 (sabato mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

Dopo il 21 dicembre le giornate dovrebbero allungarsi e la sera infatti già si vede che c'è un pó piùdi chiarore, mentre al mattino per ora è sempre buio fondo.Quando torneremo da Chamonix alla fine della prossima settimana, questo allungamento delgiorno sarà più evidente e, a poco a poco, una sesshin dopo l'altra ci ritroveremo alla primavera, alcaldo dell'estate e poi di nuovo l'autunno.Il frequentare un luogo di campagna ci fa comprendere come la natura scandisca i suoi tempi,come non ci sia uniformità.Da parte nostra c'è una ricerca di tranquillità, una volta ottenuta una temperatura vorremmo cherimanesse quella, una volta ottenuto un affetto vorremmo che non cambiasse, quando siamo inbuona salute vorremmo rimanerci per sempre. Invece la natura, davanti ai nostri occhi, ci mostracome queste aspirazioni non siano conformi alla realtà, come appartengano soltanto al nostrodesiderio di rimanere attaccati alla tranquillità e alla sicurezza, basandoci su qualcosa che sicuronon è. La sicurezza è nella conoscenza della insicurezza; nell'apprezzamento della tradizione e delcambiamento; sapere di non poterci attaccare ad alcuna cosa; saperlo veramente, chiaramente ediventare anche noi, con questa conoscenza, questa trasformazione.Ci siamo per trasformarci come tutto il resto della terra; per attraversare, come tutto il resto dellanatura, questi stati di trasformazione, piacevoli o spiacevoli. Perciò eliminiamo dalla nostra mentel'idea che l'illuminazione sia il raggiungimento di uno stato di tranquillità così come, in primavera,abbiamo una temperatura piacevole; così come, quando sta bene, il nostro corpo non ci dafastidio; così come, quando abbiamo un lavoro sicuro, abbiamo uno stipendio alla fine di ognimese.

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Questa è l'illuminazione dei sogni, dei desideri.

31 dicembre 1994 (sabato sera)

da PRIMA DELLA COSCIENZA di Nisargadatta Maharaj

21 Agosto 1980

Maharaj: Non sono molto entusiasta del fatto che le persone rimangano più diotto o dieci giorni. qualunque cosa abbiano capito devono digerirla. qualunqueulteriore discorso non li raggiungerà. Supponendo che uno abbia laconoscenza. Dopo essere uscito da qui per andarsene da qualche altra parte,non sarà in grado di rimanere solo, bramerà la compagnia di qualcuno, in mododa poter consegnare i pacchi della sua spiritualità. Vorrà la compagnia di altricon cui poter discutere la spiritualità, altrimenti si sentirà molto infelice. Tisentirai felice e soddisfatto se non incontrerai altri sadhaka?Domanda: Oh si. Questa è una soglia necessaria per un serio cercatore?Attraversare lo stadio in cui amerebbe condividere la sua conoscenza con glialtri?M: Ne fa parte, ma anche questo deve giungere a una fine. Lo stato più alto èlo stato innato in cui non c'è esperienza di mente. Investiga su quel concetto "loSono". Nel processo del cercare di scoprire la tua vera identità potresti persinoabbandonare il sé e nell'abbandonare il sé, tu sei Quello. (Maharaj staosservando alcuni passeri sul davanzale della finestra) La coscienza che dimoranel passero e la coscienza che dimora in questo corpo è la stessa. Qui lostrumento è grande, là è più piccolo. Essi (i passeri) stanno cercando del cibo,il loro stomaco non è pieno. Tutte le specie stanno soffrendo: la creazionestessa è sofferenza. Tutti questi concetti sulla rinascita e così via ... la pioggiaha una rinascita? E il fuoco? L'aria? In breve. È una semplice trasformazionedei cinque elementi: potete chiamarla rinascita. Nel corso di questa ricercaspirituale tutto accadrà nel regno di questa coscienza. Alla fine inciamperete oculminerete nello stato Assoluto. Parabrahman che è privo di desideri Hocompreso e trasceso l'esistenza. Supponiamo che io viva ancora per altri centoanni ... lo stato di veglia il sonno e I' "Io Sono" ... quale sarebbe l'utilità di tuttoquesto? Ne ho abbastanza. Non ho alcuna esclusiva identità per me stesso.Qualunque identità io abbia è il gioco dei cinque elementi ed è universale.Poiché non c 'è molto che possa essere detto dal mio stato non terrò qui lepersone a lungo. Distribuirò un po’ di conoscenza e dirò loro di andare. Questaprofonda conoscenza espressa a questo livello, essi non sono in grado dicomprenderla. Quale beneficio potrebbero ricavare?

TEISHO

Questo è un pezzo senz'altro significativo, forte seppur breve, in cui Maharaj utilizza l'ascoltatoresoltanto per permettersi di continuare a parlare e continuare il discorso appena iniziato. IntantoMaharaj, e questo è strano per un insegnante, dice che non è contento se chi lo va a trovarerimane più di otto o dieci giorni. Normalmente abbiamo insegnanti che sono abituati a dire ai loro discepoli che più si fermano, piùsi dedicano all'ascesi praticando la meditazione e tutto il resto, più ne trarranno beneficio. Tanto

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che si arriva a stabilire, nella scuola Soto, che un minuto di Zazen è un minuto di Buddha; diconseguenza 10 minuti, un’ora, un giorno, cento giorni tutto tempo di Buddha.Maharaj dice: " ..... qualunque cosa abbiano capito devono digerirla, qualunque ulteriore discorsonon li raggiungerà." Andatevene, poi magari, ritornate però prendetevi quello che avete assimilatoin questi otto giorni e cercate di metabolizzarlo bene.Poi, nel vedere dei passeri sulla finestra, ha una espressione importante in cui afferma: "Lacoscienza che dimora nel passero e la coscienza che dimora in questo corpo è la stessa. Qui lostrumento è grande, là è più piccolo." Noi questo lo sappiamo e lo sperimentiamo quando cidedichiamo alla attenzione al respiro e ci sentiamo immersi in un respiro più grande; sentiamo cheil nostro respiro, il respiro degli altri esseri che sono con noi, il respiro di tutti gli altri esseri è Unocon il respiro grande, immenso, dell'Universo.In seguito passiamo a praticare il Koan, ci imbattiamo nel Mu e, attraverso il Mu, ci cominciamo adistricare in quella che chiamiamo la "natura di Buddha". Allora ci rendiamo conto che la "nostranatura di buddha" non è diversa dalla "natura di Buddha" del passero che qui Nisargadatta chiama"coscienza" del passero.Questo fa parte della nostra pratica, lo sappiamo e non ci stupisce, però è importante, cheNisargadatta qui, a modo suo, prendendo esempio da un passero, ce lo faccia ricordarerilevandolo.Poi, un altro punto sulla rinascita. Questo è molto bello: "Tutti questi concetti sulla rinascita e cosìvia ... la pioggia ha una rinascita? E il fuoco? L'aria?" Se tra noi e il passero, tra noi e la pioggia, tranoi e l'aria non c'è differenza, rinasce l'aria e noi rinasciamo nello stesso modo in cui rinasce l'aria?Perché tutto questo attaccamento a quello che eravamo e a quello che saremo, che ci impediscedi preoccuparci di quello che siamo e basta? Dice Nisargadatta: "Alla fine inciamperete, oculminerete nello stato Assoluto, Parabrahman, che è privo di desideri." E qui parla di sé, della suacomprensione, del suo aver trasceso l'esistenza, del suo averne abbastanza dello stato di veglia,dello stato di sonno e dell'"lo Sono", della coscienza di esserci. "Qualunque identità io abbia è ilgioco dei cinque elementi ed è universale. Poiché non c'è molto che possa essere detto dal miostato, non terrò qui le persone a lungo. Distribuirò un pó di conoscenza e dirò loro di andare.Questa profonda conoscenza, espressa a questo livello, essi non sono in grado di comprenderla.Quale beneficio potrebbero ricavare?"Questo è il problema che attanaglia ognuno di noi, tutti. Ognuno di noi si trova in qualchesituazione, a voler comunicare qualcosa di incomunicabile; non incomunicabile in sé ma perché idue poli della comunicazione non sono sullo stesso livello.Se Nisargadatta parla e quelli che gli stanno intorno non sono in grado di comprendere il livello dacui parla Nisargadatta è ovvio che quello che dice non verrà compreso. Però Nisargadatta non puòstar zitto sente, dentro di sé, la voglia di spiegare e, dai e dai, le sue parole potrebbero anche,chissà come, entrare nella nesta pancia e venirne fuori metabolizzate. Le sue parole diventano lenostre parole così come il cibo che abbiamo mangiato oggi, diventa il nostro corpo e noi, nell'arcodi tutti gli anni che abbiamo vissuto, da una piccola cellula fecondata siamo diventati così grandi,assorbendo aria, acqua e cibo; nello stesso modo, per qualche recondita via, riusciamo adassimilare anche la comprensione che altrimenti, così direttamente come cerca di farcela arrivareNisargadatta, non potremmo ricevere. Arriva! Come quelli che mettono un registratore durante lanotte mentre dormono; come arriva la pubblicità subliminale che ci invoglia ad acquistare deiprodotti mandando dei messaggi nascosti. L'insegnamento di Nisargadatta lavora anche a livellosubliminale. È solo quello il modo in cui ci può arrivare perché attraverso le parole non è possibileche arrivi qualcosa.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

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Ho sentito, in televisione, che alcune monache hanno aperto il loro monastero a tutte le ragazzeche volevano andare a praticare con loro per questo periodo di capodanno.Sul giornale di ieri un filosofo francese diceva all'intervistatore che la salvezza dell'Europa è nellariscoperta della solidarietà, dello stare insieme.In fondo anche questa voglia di riunirsi nelle piazze delle città, come sta avvenendo questa notte,o nei locali o nei ristoranti, per festeggiare l'ultimo giorno dell'anno, contraddice il modo di esseredella nostra società che tende ad isolare gli individui ognuno di fronte al proprio televisore, alproprio computer, al proprio telefonino portatile. Più cresce l'isolamento e più cresce la voglia distare insieme, di aiutarsi gli uni con gli altri. La pratica di un centro come il nostro racchiude in séquesti due opposti.Non ci soffermiamo mai a pensare come, già nell'antichità, i Maestri abbiano saputo inventare unmodo di vivere la pratica che ha in sé la solitudine dell'asceta e la vicinanza degli altri, la solidarietàche è richiesta dallo stare con gli altri. La solitudine la incontriamo nel momento in cui ci sediamosul nostro cuscino e affrontiamo il nostro respiro, il nostro Koan; in quel momento, anche se cifossero 10.000 persone in questa stanza noi saremo comunque soli così come siamo soli quandoandiamo nella stanza di Sanzen, però, nello stesso tempo, suona la campana, apriamo gli occhi,vediamo intorno, mangiamo con gli altri, cuciniamo con gli altri, scriviamo con gli altri. Tuttoquesto è l'espressione dell'essere con gli altri. Da soli e con gli altri. Non si può sfuggire da questedue polarità: Essere uno ed essere molti. Fissarsi su uno solo di questi estremi porta allaconfusione. Bisogna acquisire la capacità, del maestro Lin Chi, di entrare e uscire a nostropiacimento da tutte le situazioni.

1 gennaio 1994 (domenica mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Anche se non facciamo caso alle convenzioni che si stabiliscono, al calendario, alle date, ai giorni eagli anni, non si può evitare di sapere che per l'umanità oggi è il primo giorno di un nuovo anno.Se guardiamo indietro ci accorgiamo di come questo "indietro" sia lontano e nello stesso temposia passato così veloce. E come "ora" sia così immobile sia così "ora" e basta! Un'ora che macina igiorni e gli anni senza interruzione. Noi invecchiamo e nello stesso tempo siamo sempre gli stessi,non potremmo essere altrimenti; quello che invecchia è il nostro corpo. Come dice il Buddha nelSurangamasutra al re Prasenajit. Ma la nostra capacità di guardare il Gange è sempre la stessa.Oltre alla capacità di guardare il Gange e le cose intorno a noi, ci deve essere la capacità di vederel'astrazione della vita nell'esistenza; la non esistenza dell'esistenza in un modo completamentediverso dal mondo con cui l'abbiamo guardata fino a questo momento.Venire a sedersi in una sesshin durante la notte di capodanno, già questo, da un punto di vistamateriale, sociale, è un modo diverso dagli altri di guardare la nostra vita; è un modo di dare allanostra vita dei momenti di importanza, sapendoli scegliere tra la quantità di momenti disuperficialità che viviamo in continuazione.Questo non basta! Non è sufficiente che uno partecipi ad una o più sesshin perché gli si apra lavista capace di traversare le cose e la realtà delle cose così come siamo abituati a vederla; nonsignifica che, praticando tante sesshin, uno poi arrivi a capire; quando dico che non basta unasesshin o due sesshin non significa la quantità di pratica ma significa che deve succedere qualcosa;potrebbe bastare anche un minuto di una sesshin per capire questo.Usciamo nel nuovo anno con la convinzione che anche noi possiamo essere nuovi in ognimomento, basta che ne siamo convinti, basta che riusciamo a stabilire in noi questa fede, inmaniera molto forte. Il nuovo anno, se non ci fossimo noi, non esisterebbe; siamo noi chefacciamo nascere il nuovo anno, siamo noi che facciamo nascere il sole e finire la notte.

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SESSHIN FEBBRAIO 1995

3 febbraio 1995 (venerdì sera)

SESSHIN KOKUHO

La sesshin di gennaio è passata in modo strano. Non si sa bene dove metterla se nel 1994 o 1995.Questa di febbraio è interamente nell'anno 1995. Come tutti gli anni cambia la poesia, anche noi cambiamo, impercettibilmente ma,fondamentalmente, la nostra richiesta di praticanti è sempre la stessa e cioè: capire, soprattuttorealizzare, cosa siamo al di là della nostra età, del nostro corpo, del luogo in cui viviamo, delle ideeche possono attraversarci la mente. Trovare quella "natura di Buddha" che è precedente agli anni, al corpo e a qualunque altro attributo possiamo sovrapporre a noi stessi.Sesshin significa "mettere insieme i cuori". Di questi tempi ogni tanto viene tirata fuori qualcheparola giapponese, non soltanto perché c'è stato il terremoto a Kobe, ma perché sembra che sia dimoda; ora si utilizza la parola Kiosei tradotta "collaborare" e che significa esattamente "vivere inamicizia". Nella sesshin si mettono insieme i cuori perché non c'è tempo per pensare all'amicizia,perché nel momento in cui abbiamo scoperto esattamente com'è il nostro cuore, abbiamo anchescoperto com'è il cuore dell'altro e vediamo che non c'è differenza. Allora, automaticamente, sipuò vivere in amicizia. Dobbiamo fare questa scoperta.Certe volte viene da dire parole semplicistiche: "basta aprire gli occhi e si vede quello che c'è davedere" "basta avere la bocca e si respira" tutto questo lo abbiamo capito, c'è stato detto tantevolte, eppure ci manca sempre quel centesimo di millimetro perché la visione possa avvenirechiaramente, per mettere a fuoco quella vista che ci permetterebbe di attraversare questa vitanella maniera di una persona realizzata. Siamo qui perciò non abbiamo desistito da questo sforzo,continuiamo a farlo, sappiamo che è l'unico sforzo che valga veramente la pena di essere fatto esicuramente, in queste ore che passeremo insieme, riusciremo a capire qualcosa di più.

4 febbraio 1995 (sabato mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

Arrivano qui a Scaramuccia le riviste delle diverse associazioni che aderiscono all'UBI ed ognuna diqueste riviste, così come il Notiziario che noi inviamo in giro per l'Italia, rappresenta il tipo dipratica che nei relativi centri viene fatta.Proprio ieri ne è arrivata una e, leggendola, è chiaro come si cerchi e si apprezzi il fatto che dopoun periodo di meditazione, si sta meglio; è diminuito lo stato di confusione che c'era all'inizio e,naturalmente più si pratica, più si starà meglio.È giusto che nel mondo ognuno si comporti nella maniera che vuole, è questa la varietà delmondo, queste le occasioni che ognuno ha davanti a sé e che utilizza però, per quanto riguardaScaramuccia, dobbiamo essere consapevoli che non si viene a praticare per stare meglio. È certoche chi mangia cibi sani avrà meno intossicazioni e chi non fuma avrà meno probabilità dicontrarre il tumore dei polmoni. Tutto questo è giudicato "meglio". Nello zazen non c'è questaidea di "meglio". Se andiamo a rileggere Lin Chi e lo sfogliamo attentamente, ma anchesuperficialmente, ci rendiamo conto che Lin Chi parla sempre di medicine, di palliativi per guarirele malattie.

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C'è una sola ricerca fondamentale da fare ed è quella di scoprire, esattamente, cosa si è. Da noi sipratica il Koan "Mu" ma si potrebbe benissimo praticare "il volto prima che nascessero i genitori".Non ci dimentichiamo che il Mu è il volto nostro vero prima che nascessero i nostri genitori. Soloquesto c'è da fare; una volta capito, non c'è lo star meglio o lo stare peggio, più tranquilli o menoagitati.Ritornare indietro a quello che eravamo e che siamo veramente. Una volta capito, possiamo ancheprenderci un tumore ai polmoni, sappiamo che non si nasce per evitare il tumore ai polmoni.

4 febbraio 1995 (sabato sera)

da PRIMA DELLA COSCIENZA di Nisargadatta Maharaj

23 Agosto 1980

Maharaj: Ad alcune persone chiedo di restare. ma non so spiegare perché,mentre ad altre persone, sebbene desiderino restare, dico: "Andatevene!" Ci sono vari tipi di cercatori: alcuni vengono esclusivamente per la conoscenzae non sono interessati alla persona che la elargisce. o forse sono interessati a luisolo in minima parte.Alcune persone vogliono conoscenza, ma per loro il requisito primario èGurubhakti. La devozione al Guru viene per prima poi raccolgono laconoscenza. C'erano alcuni grandi saggi che nel loro periodo di ricerca, eranodevoti o adoravano un solo Dio per salvare le apparenze, ma l'intensità delladevozione era diretta al Guru, così, a causa dell'intensa Gurubhakti, essiraggiunsero un tale alto stato.Ora per questa signora, la devozione al Guru è predominante ed ella ottiene laconoscenza casualmente, ma iniziando con Guruhbakti, ad una tale personapersino Dio è devoto.Qualunque esperienza naturale incontriate, accettatela semplicemente, noncercate di alterarla, accettatela come viene.La somma di tutto questo è illusione e nessuno è responsabile della creazione;è venuta spontaneamente e non si pone il problema che ci sia unmiglioramento: se ne andrà per la sua strada. Sono giunto alla conclusione cheil mondo c' è, spontaneamente, senza alcun seme. La creazione è priva di seme,ma il mondo è pieno di semi e la procreazione sta continuando giorno dopogiorno. Domanda: Avendo la conoscenza, com'è possibile che tu sia stato in grado ditrattare con tutte queste differenti persone?M: Chi è che tratta? Io non ho posizione, non ho nessuna forma prestabilita. Seavessi avuto una forma prestabilita, sarebbe stato difficile accettare chiunque,ma il mio nulla è il più sottile, così mi posso adattare a qualunque cosa, aqualunque situazione.Supponiamo che un ricco che indossa molti ornamenti costosi cammini per lastrada, sarà preoccupato, sarà in pericolo. Ma un fachiro nudo non ha nulla daperdere, così passeggia per le strade senza paura. Così, avendo perso ogni cosa,non ho più niente da perdere, posso far fronte e adattarmi a qualunquesituazione. Finché hai un nome e una forma, ci saranno tutti questi problemi. Inquesta ricerca spirituale, gradualmente perdi la tua forma e mentre la formaviene abbandonata. scompare anche il nome.

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Ci sono molti clienti pronti a guadagnare e a possedere qualcosa nel nome dellaconoscenza spirituale, ma nessuno è un cliente della reale, vera conoscenza delSé.C'era un uomo che lavorò. duramente e per molti anni ammassò ricchezze edora è sul letto di morte nel suo villaggio. Dal suo letto di morte sta guardando ilrecinto del bestiame. Non sta pensando nobili pensieri, sta guardando il vitelloche mastica una scopa ed è preoccupato per la scopa. Così, persino mentre stamorendo, sta gridando: "La scopa, la scopa!" D: Qual’è l'unità di misura per considerare il progresso di un cercatore?M: C'era un uomo molto debole che non era in grado di camminare.Gradualmente ha acquisito forza ed ha iniziato a camminare, così sa di avere laforza, non è così?L’indicazione del tuo progresso è la tua scarsa inclinazione ad avere a che farecon gente normale; i tuoi desideri e le tue aspettative diminuiscono sempre più.Quando a causa dell'intensa brama per la conoscenza del Sé, la porta, o lachiusa, viene aperta, allora inizi a rigettare ogni cosa, dallo stato grossolanoallo stato Jswara, la tua stessa coscienza, rigetti ogni cosa.Nella vita del mondo, con il potere del denaro puoi comprare qualunque cosa;dando denaro puoi ottenere ogni cosa. Analogamente, donando il sé ottieni ilBrahman e quando doni il Brahman ottieni il Parabrahman. Devi avere unprofondo ed intenso desiderio per la conoscenza del Sé.

TEISHO

Mentre in India Maharaj faceva questo discorso, cosa facevamo noi a Scaramuccia? Facevamo lecose che facciamo sempre! È bello questo intervento di Maharaj. Quello che dice all'iniziopotrebbe eliminare tutto il seguito perché nel momento in cui uno è in grado di fare quello chesuggerisce Maharaj, non c'è più nulla da fare."Qualunque esperienza naturale incontrata" (naturale chissà che significa!) "accettatelasemplicemente, non cercate di alterarla, accettatela come viene".Questo è l'atteggiamento giusto. Mi ricordo di un vecchio, se ne parlava in un libro, forse in"Guerra e pace" di Tolstoi, che era stato portato davanti al giudice; era un vecchio contadino che,qualunque cosa gli succedeva, diceva: "L'ha voluto Dio!" In tutta la sua vita non faceva altro cheaccettare le cose che gli capitavano. Era nelle mani di Dio! Dove si può stare meglio che nelle manidi Dio? Nisargadatta continua: "La somma di tutto questo è illusione e nessuno è responsabiledella creazione; è venuta spontaneamente e non si pone il problema che ci sia un miglioramento:se ne andrà per la sua strada. Sono giunto alla conclusione che il mondo c'è, spontaneamente,senza alcun seme. La creazione è priva di seme, ma il mondo è pieno di semi e la procreazione stacontinuandogiorno dopo giorno." Questo che dice Nisargadatta non abbiamo nessun argomento perconfermarlo o contestarlo e lasciamo che vada bene così.Un visitatore chiede: "Avendo la conoscenza, com'è possibile che tu sia stato in grado di trattarecon tutte queste differenti persone?"Che poi la domanda potrebbe essere proprio il contrario cioè "come può uno che non ha laconoscenza trattare con persone così differenti?" Solo uno con la conoscenza può farlo, è in gradodi mettersi al livello di tutte le persone che gli sono davanti. Maharaj però non risponde comeavrei risposto io e risponde a modo suo. Cioè negando di esistere, negando di avere una posizione,un corpo. Infatti esclama: "Chi è che tratta (con queste persone)? lo non ho posizione, non honessuna forma prestabilita, sarebbe stato difficile accettare chiunque, ma il mio nulla è più sottile,così mi posso adattare a qualunque cosa, a qualunque situazione". Mi ricordo che, quando ero in

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Giappone, mi sono posto anch'io questa domanda quando di fronte a Mumon andavano dellepersone che io a quel tempo ... (certo più si è giovani più si è critici e, in fondo, è anche giusto che igiovani siano critici) ... a quel tempo mi chiedevo come facesse ad accettarle; gli andavano achiedere delle calligrafie ed io pensavo: "Se fosse per me, a questo, non gliele darei mai. Maguarda che imbranato, questo è falso! Non vedi? Questo, chiedendo, è tanto cerimonioso, tantogentile, tanto educato e invece io so che questo è, non dico un farabutto, ma una cosa delgenere!" Mumon, arrivava il farabutto, lo trattava bene; arrivava il ricco, lo trattava bene; arrivavail poveraccio e lo trattava bene. Proprio perché, come dice qui Nisargadatta, Mumon, come capo ecome mente che giudicava la persona che gli veniva davanti, non esisteva; presentava una forma,un'apparenza ma, nello stessotempo, Mumon aveva realizzato, come tante volte ci aveva detto durante i suoi Teisho, che fra lui,Mumon, e il visitatore non c'era nessuna differenza. Quante volte ce l'aveva detto! Nelcristianesimo ti obbligano ad amare il prossimo tuo che, così facendo, se fra te e il tuo prossimonon c'è nessuna differenza, tu sei il tuo prossimo e automaticamente verrà fuori questo amoresenza che tu sia obbligato, pena una sanzione.Poi parla di coloro che hanno da perdere: il fachiro non ha niente da perdere e passeggiatranquillo per le strade è ovvio che chi ha molti ornamenti e ha molti soldi, camminando per lastrada sia preoccupato. Proprio oggi c'è un articolo molto bello di Enzensberger, intitolato "Tutticontro tutti", sulla nostra società, sulle civiltà più avanzate in cui si va verso una fortificazione deighetti. I ghetti non fortificati sono quelli in cui non si può entrare, perché sono in mano alle bandeche assaltano chiunque non appartiene alla banda e sono abitati da diseredati. Poi ci sono i ghettidei ricchi nei quali si entra con le carte magnetiche; hanno torrette presidiate da mitragliatrici e ilfilo spinato con l'alta tensione probabilmente. Tutti questi in questa società hanno da temereperché, quelli che non possiedono nulla, hanno da temere chi li vuole eliminare e, quelli chepossiedono tutto, hanno da temere chi vorrebbe togliergli qualche cosa.Nisargadatta, andando avanti, dice: "Avendo perso ogni cosa, non ho più niente da perdere, possofar fronte e adattarmi a qualunque situazione. Finché hai un nome e forma, ci saranno tutti questiproblemi. In questa ricerca spirituale, gradualmente perdi la tua forma e mentre la forma vieneabbandonata, scompare anche il nome."Prima di venire nello zendo proprio dieci minuti fa, c'era alla televisione mentre mi mettevo ilKoromo, la pubblicità dei films. C'è un film, di cui non ricordo il titolo, e mi ha colpito, mentre lovedevo, una frase che è stata detta. Ad un condannato all'ergastolo il suo amico dice: "Tentadisperatamente di vivere o tenta disperatamente di morire, non ci sono alternative." Stare nelmezzo porta ancora più sofferenza che trovarsi ad un estremo perciò bisogna decidersi.Nisargadatta, in questo senso, ed è quello che deve fare il ricercatore, non è che si deve suicidare,ma deve tentare disperatamente di morire a tutti gli attaccamenti; morire a quello cui tiene più ditutto, per poter poi morire completamente. Nelle situazioni che ho citato prima, quella dei ghettipoveri o ricchi, nessuno dei due si decide a scegliere un estremo."Nella vita del mondo, con il potere del denaro puoi comprare qualunque cosa; dando denaro puoiottenere ogni cosa. Analogamente, donando il sé ottieni il brahman e quando doni il Brahamanottieni il Parabrahman. Devi avere un profondo ed intenso desiderio per la conoscenza del Sé".Una notevole intensità, possiamo dire: disperazione.Oramai, non so più quando abbiamo cominciato questo Nisargadatta mi sembra nel settembre del'93. Ultimamente mi è stato prestato un altro libro di Nisargadatta che è scritto da un suodiscepolo che ha un pó catalogato tutti gli argomenti di cui Nisargadatta ha avuto occasione diparlare e in qualche modo è più semplice degli altri in cui gli argomenti sono speciosi, ripetitivi enon ci sono rimandi come invece in questo resoconto del suo discepolo indiano. Se abbiamo vogliadi leggere i libri di Nisargadatta o libri tratti dai discorsi del Buddha, o romanzi, va bene; ogni libroo una frase ascoltata alla televisione può far scaturire in noi quel lampo che ci illumina e che ci fa

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vedere la vita nella sua realtà, ma non ci fissiamo nè con Nisargadatta nè col buddha o qualunquealtro libro; nello stesso tempo non ci fissiamo nei non libri; non ci fissiamo nella pratica, non cifissiamo in nessuna cosa. Fissiamoci unicamente nel fatto fondamentale che tra noi eNisargadatta, tra noi e il Buddha non c'è nessuna differenza così come Mumon diceva: "Se io sonol'altro allora tra me e l'altro nonc'è differenza e io amo anche l'altro." Siamo abituati a pensare a quest'esempio vedendo ilMaestro che si mette nella condizione dell'inferiore. Invece vediamolo nell'altro senso cioè: noistudenti ci mettiamo nella veste del maestro, ci immedesimiamo nel Maestro, nel Buddha, inMumon in Nisargadatta. Fra me e Nisargadatta non c'è alcuna differenza. Questo ce lo dobbiamoripetere continuamente. Questo è il lavoro fondamentale. Continuiamo a leggere se ci piaceleggere, continuiamo a non leggere se non ci piace, continuiamo a fare le cose di tutti i giornicome Nisargadatta; immedesimati nelle parole e nella persona di Nisargadatta, anche noidovremmo essere capaci di dire con la stessa sicurezza, con la stessa tranquillità e fiducia: tutte lecose così come sono sono giuste.

5 febbraio 1995 (domenica mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Certe volte penso che se non ci fosse la televisione non saprei di che parlare. Se non ci fosse lafamiglia non ci sarebbe la televisione. Devo riconoscere che i figli ci costringono ad interessarcidegli altri, della scuola, delle mode, dei vestiti, delle musiche, dei programmi e così uno che latelevisione non l'accenderebbe mai, ogni tanto ci deve per forza buttare gli occhi e ci sono dellefrasi o perlomeno dei personaggi che fanno riflettere; non che loro ci stiano per suscitare delleriflessioni, la maggior parte fanno semplicemente il loro mestiere di attori e dicono delle frasiretoriche, scontate, e se la cavano con poco.Questa sera ho visto un servizio su una ragazza che sta dentro una grotta da diversi mesi e c'erauna persona all'esterno, anche quest'uomo è stato a lungo in grotta, che teneva i contattitelefonici con la ragazza isolata. Quest'uomo diceva che tutti quanti avremmo bisogno di fermarcicosì, di isolarci in quel modo perché il problema della nostra vita, della nostra società in questomomento, è quello della velocità; facciamo tutto con troppa velocità.Questa è una diagnosi semplice ma, in fondo, uno perché non dovrebbe vivere veloce se gli piacevivere veloce? Uno che va sull'autostrada con la cinquecento, vedendosi sorpassare da unaautomobile di cilindrata 1500, 2000, ha l'impressione che quell'automobile vada ad una velocitàeccessiva e potrebbe pensare: "Ma guarda quello quanto rischia a quella velocità", mentre inveceper quel tipo di automobile andare a 120 o 150 Km/h non è molto rischioso perché progettatiappositamente.È un mondo, quello dei retorici, in cui ancora si dividono le persone in materialisti e spiritualisti; inquelli che fanno le cose secondo natura e quelli che invece vanno contro natura; in quelli chevanno piano e quelli che vanno veloci: Il termine di paragone è uno stato del mondo precedenteall'odierna società, in cui si andava piano, in cui si viveva a contatto con la natura, in cui si tenevapiù conto, secondo alcuni, dei valori dello spirito. Tutto questo non ha senso, sono graduatorie chefacciamo in base a valori campati in aria, che non esistono. Non esiste alcun confine netto tramateriale e spirituale, tra lento e veloce, tra naturale ed artificiale così come non esiste un confinetra i colori confinanti dell'arcobaleno, così come non si capisce dove finisce l'Umbria e comincia laToscana.Quello che è fondamentale è non lasciarsi abbindolare da queste semplificazioni; la vita è una; è lanostra, siamo noi che la viviamo e siamo noi che decidiamo se andare veloci o piano, di stare

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seduti in silenzio oppure di vivere nel rumore, di essere grassi o magri, di essere materialisti ospiritualisti, di suonare una sinfonia o un rock.Prendere coscienza che abbiamo un corpo e viversi il corpo che abbiamo senza disturbare gli altri,ma ugualmente senza farci disturbare dagli altri; accettiamoci per quello che siamo e viviamo, nelmodo che riteniamo migliore, decidendo noi. Non ci sono nè chiese nè capi partito a deciderlo.

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SESSHIN MARZO 1995

3 marzo 1995 (venerdì sera)

SESSHIN KOKUHO

Avvertire i partecipanti e soprattutto spronarli per camminare lungo il sentiero della ricerca di séstessi. Sesshin significa in giapponese, "mettere insieme i cuori" perché insieme, dallo sforzo ditutti, viene fuori il lavoro che ci permette di arrivare alla conoscenza di noi stessi.Questa è la sesshin di Marzo, sesshin di primavera e già la natura mostra i primi fiori e i prati siinverdiscono. Anche il nostro corpo sente questo risveglio; siamo esseri umani dotati di corpo e disentimenti e la natura agisce su di noi così come agisce sugli animali e le piante, ma c'è una naturaintrinseca in ognuno di noi che nel Buddismo e nello Zen viene detta la "natura di Buddha". Lanatura di Illuminazione non segue l'andamento delle stagioni, spinge, si agita in ognuno di noi pervenire in evidenza, è una natura di luce e di chiarezza eppure, misteriosamente, è nascosta,occultata. Le viene, in qualche modo, impedito di trasformare la nostra vita, da noi stessi; noistessi che non ci rendiamo conto di essere, fondamentalmente, già Buddha, già illuminati, giàgiusti così come siamo.Ogni essere umano a un certo punto della propria vita, sente che la spinta che gli viene da questaNatura di Illuminazione diventa sempre più forte e allora cerca un maestro, una scuola, un luogo,dove poter seguire delle indicazioni, avere un esempio, una guida, che gli permetta di realizzarequesta necessità. Ognuno deve trovare la propria scuola e il proprio maestro, perché ognuno dinoi è diverso e ognuno di noi sente in maniera diversa ma, la Natura che è in ognuno di noi èuguale, la stessa in ogni essere umano. Questa è una meravigliosa avventura. Quella che si viveandando alla ricerca di sé stessi.La sesshin in questa meravigliosa avventura che è la vita, è un piccolo episodio che puòtrasformare la nostra vita. Da questa sera fino a domenica mattina ognuno metta tutta la sua forzaper la realizzazione di questa scoperta. Tutta la Forza! Non lasciamo fuori neanche un grammo,altrimenti, proprio quel grammo che lasciamo fuori ci impedirà di raggiungere l'obbiettivo per ilquale siamo venuti qui.

4 marzo 1995 (sabato mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

È vero che tutti i maestri hanno detto, da tempi immemorabili che ognuno di noi così com'è, è giàBuddha. Ma è anche vero, che anche i più categorici in questo senso, hanno consigliato, invitato,spronato chi li ascoltava a praticare.Il nostro corpo, quello che noi siamo, i cinque elementi di cui siamo composti, è come unaricevente o uno strumento musicale che deve essere accordato affinché possa funzionare nelmodo giusto. Allora ecco l'attenzione al corpo, a posizionarlo in una condizione in cui possarilassarsi dalle tensioni e nello stesso tempo essere attivo; poi, soprattutto, il lavoro sul respiroaffinché si stabilisca quel silenzio di corpo e di mente, nel quale soltanto si può prendere coscienzadella nostra realtà. Lavorare sul silenzio, lavorare in quello spazio in cui non ci siano disturbi:soltanto in quel modo si riesce a vedere ciò che realmente siamo. Poi si può anche ritornare allaconfusione, ma c'è, ormai, uno stato fisico e mentale equilibrato dal respiro, in cui noi possiamovedere in maniera chiara.

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Il lavoro è tutto qui, è molto semplice e il Buddha stesso, già 2500 anni fa, lo ha spiegatoinnumerevoli volte: sedersi a gambe incrociate, schiena dritta, chiudere le finestre che affaccianosul mondo esterno socchiudendo gli occhi, rilasciare completamente il corpo e poi osservare ilrespiro, diventare il respiro e accorgersi che tra il proprio respiro e il respiro di tutto l'universo nonc'è alcuna differenza. Accorgersene, realizzarlo da sé, senza che ci siano i maestri ad imporcelo.Una volta realizzato questo, ognuno capisce da sé quello che c'è da capire.

4 marzo 1995 (sabato sera)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

24 Agosto 1980

Domanda: Se chaitanya (la coscienza) è onnipervadente e consiste di tuttiquesti poteri di vario tipo e tuttavia la coscienza individuale è connessa con ilcorpo, per questa coscienza universale c'è un corpo? Un corpo universale ouna combinazione di corpi per la coscienza universale?Maharaj: La coscienza universale non ha corpo. La coscienza universalediventa manifesta ogni qual volta un corpo entra in scena. L’essenza dei cinqueelementi costituisce il sostentamento della coscienza universale.D: La coscienza universale e la coscienza nel corpo hanno qualcheconnessione?M: È una connessione intima. Dalla coscienza individuale alla coscienzamanifesta è un continuum. Per esempio, tu hai il respiro vitale: all'esterno èchiamato aria universale e quando respiri, è il tuo prana.D: Qual’è la differenza tra il Paramatman e il Jivatman?M: Quando pensi in termini di parti, pensi al Jiva, e quando pensi all'interopensi al Paramatman, ma non c'è differenza. Quando la coscienza è infossatanel corpo assume una temporalità, una unità di tempo, il Jiva; alla fine della suadurata di tempo si fonde nel Paramatman.D: Perché il Paramatman, che è intero, si limita al corpo come una parte?M: Non c'è una ragione, semplicemente accade. Ma nello stato Paramatmannon c'è consapevolezza di esistenza, c'è soltanto consapevolezza dellaconsapevolezza. Non appena giunge la consapevolezza dell'esistenza, c'è unadualità e arriva la manifestazione.D: Qualcuno ha detto che soltanto l'uomo può realizzarsi. Sento che ognicellula vivente è una manifestazione di Dio e perciò questa è un'idea errata.M: La coscienza è la stessa, ma la mente può funzionare solo conformemente aciò che conosce. Ciò che è noto alle creature inferiori sono solo i requisiti fisicibasilari. È soltanto l'uomo che sin dalla tenera età ha cominciato a pensare ed èstato nutrito di idee superiori, oltre a quelle riguardanti semplicemente gliaspettifisici. L'uomo è in grado di volare e di andare sulla Luna. Nessun'altra speciepuò farlo; la mente delle specie inferiori è limitata. Ci sono 8.400.000 differentispecie. Appena si manifesta un concepimento in qualcuna di queste specie, c'èuna sorta di corpo causale sul quale, al momento del concepimento, è stataimpressa la natura della forma e del suo operare. Nessuno dice a un uccello divolare, a un pesce di nuotare o ad un verme di strisciare, è tutto nelconcepimento stesso. Quello che non può morire è ora fermamente convinto

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che morirà. Da dove si è insinuata questa paura della morte? È basata sulconcetto che uno è nato, su semplici parole; questa è la schiavitù. Tutto quelloche si deve fare è scoprire la propria sorgente e dimorarvi.

TEISHO

Mi hanno prestato, pochi giorni fà, un altro libro di Nisargadatta "Nessuno nasce, nessuno muore"che come tutti i libri di Nisargadatta è interessante, importante.È un suo discepolo che ha messo insieme il materiale più significativo raggruppandolo perargomenti ed in effetti spiega molto bene il suo pensiero, tanto che potrebbe venire l'idea chebasterebbe leggere questo libro per poter capire tutto di Nisargadatta e di conseguenza capiretutto di tutto. Ma non è così! Proprio in questo libro un discepolo parla degli ultimi giorni e dellamorte di Maharaj; un discepolo che è stato con lui tanto tempo gli chiede: "Come dovremmopraticare per progredire?" Allora Nisargadatta si arrabbia perché dice: "Ma ancora mi fai questadomanda?! Parlo, parlo, parlo e ancora non hai capito che non c'è nè praticare, nè progredire". I libri sono tutti quanti, ognuno nel suo ambito, molto interessanti e senza dubbio fanno parte ditutta la nostra esistenza, ma non ci danno la pratica. Nisargadatta, che più volte afferma di avercapito tutto e di essere egli stesso l'Assoluto, (come diciamo anche noi, come pensiamo noi, ma luiin una maniera più convincente) alla domanda: "Perché il Paramatman, che è intero, si limita alcorpo come una parte?" risponde: "Non c'è una ragione, semplicemente accade. "Quandoarriviamo al dunque, quando arriviamo al perché fondamentale della nostra esistenza, ancheNisargadatta deve dire che non c'è una ragione speciale: succede e basta. Il Buddha alla domandafondamentale, ricordiamo tutti che rispose con un tonante silenzio; a chi gli chiedeva che cosa cifosse dopo la morte rispondeva: "Andate a vedere"! Queste sono le risposte giuste che si possonodare. "Accade" e poi dice successivamente: "Ma nello stato Paramatman non c'è consapevolezzadi esistenza, c'è soltanto consapevolezza della consapevolezza."Nonostante la sua voglia di spiegare di più, ci lascia peggio di come stavamo prima. "C'è soltantoconsapevolezza della consapevolezza". Senz'altro è così, ma nello stesso tempo possiamo dire che,nello stato di Jivatman, ci può essere la consapevolezza di non essere consapevoli e il momento incui si chiarisce o si svela questa consapevolezza possiamo decidere (e qui viene in aiuto come alsolito il vecchio Lin-ci) di entrare e di uscire dalle situazioni come ci pare. Vivere nellaconsapevolezza della consapevolezza o vivere nella consapevolezza della non-consapevolezza.Come quel re che decise di andare in giro di notte, per vedere cosa facessero i suoi sudditi,travestendosi da mendicante, commerciante o in quello che gli parve più opportuno, anche noipossiamo vivere seduti sul trono della nostra consapevolezza della consapevolezza, oppure, vestitidi stracci, sapendo da noi stessi che siamo re, vivere la vita da sudditi qualunque.Questa consapevolezza, in un momento e nell'altro, fà dire a Lin-chi "entrare ed uscire dallesituazioni a proprio piacimento", dove il proprio piacimento è la presenza in ogni nostra azione.Esserci nel fare gli stupidi come esserci nel fare gli intelligenti, comprendendo che fare lo stupidoin certe situazioni è l'unico modo per adattarsi a quella circostanza. Ci sono altri momenti in cui ègiusto e inarmonia con la nostra scelta accaduta (che come dice Nisargadatta "semplicemente accade")adeguarci al ruolo che in quel momento ci tocca di svolgere.Qui ci sono altri due punti: "Qualcuno ha detto che soltanto l'uomo può realizzarsi" e alloraNisargadatta dice di si: "È soltanto l'uomo che sin dalla tenera età ha cominciato a pensare ed èstato nutrito di idee superiori, oltre a quelle riguardanti semplicemente gli aspetti fisici. Ciò che ènoto alle creature inferiori sono solo i requisiti fisici basilari" dice Nisargadatta. Qui, come sempreanche noi, diamo dei giudizi e definiamo l'uomo come un essere a due gambe e i mammiferi checamminano a due gambe sono tutti uomini (tranne gli scimpanzè). Andiamo, secondo

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Nisargadatta, dal mammifero meno sviluppato che ci sia, che cammina a due gambe, fino aNisargadatta stesso: sono tutti uomini. Che differenza c'è fra certi uomini che camminano a duegambe, a due zampe possiamo dire, e certi animali come le scimmie, i cani o i gatti? Comepossiamo fare a distinguere, a porre una linea di demarcazione, tra quelli che vivono soltanto pergli istinti fisici e quelli che invece vengono guidati da altri istinti che sono quelli nutriti, come diceNisargadatta, di idee superiori? Ci sono dei cani, possiamo dire, che hanno una spiritualitàsuperiore a certi esseri umani e appunto per questo, non mi sento di condividere l'asserzione chel'uomo soltanto perché "è in grado di volare e di andare sulla Luna", possa essere più vicino allacomprensione della realtà di quanto lo possa essere, certe volte, un cane.Finisce parlando della paura; la paura della morte: "Da dove si è insinuata questa paura dellamorte? È basata sul concetto che uno è nato, su semplici parole; questa è la schiavitù". Come inprimavera le piante tendono a mettere le foglie, l'erba a spuntare, gli animali a figliare, cosi ognicellula (degli esseri umani e di tutti gli esseri che hanno un corpo) vuole vivere e, naturalmente,lotta all'internodel nostro corpo per vivere. Questa paura della morte è una paura, in alcuni casi, anche mentalema c'è un istinto di sopravvivenza che non è affatto mentale e perciò anche questo non mi sentodi condividerlo. È vero che ognuno di noi deve "scoprire la propria sorgente e dimorarvi ", ma nonè vero sempre che la schiavitù sia basata sul fatto che si è nati; è accaduto di essere nati e cosìaccadrà di morire: non c'è una ragione fondamentale e la paura di morire è una paura fisica innatain tutti gli esseri viventi, nessuno escluso. Capire, e questo lo possono fare solo gli esseri umani,che la morte fà parte dell'esistenza, così nella vita come in qualunque altra manifestazione, cirende liberi mentalmente da questa paura della morte; mai nessuno può impedirci di provare ildolore nostro o degli altri; sentire il corpo che diventa più debole, naturalmente, ci fa dispiacere.La lettura dei libri aiuta in tutti i sensi; aiuta anche ad ascoltare le persone che possono insegnarciqualcosa. Certe volte accettiamo ciecamente quello che i libri o i maestri ci dicono e ci può essereutile in quel senso. Altre volte leggiamo o ascoltiamo criticamente e accettiamo soltanto quelloche può essere utile per noi. Non c'è un modo esatto di avvicinarci ai libri o ai maestri che valgaper tuttie in ogni momento.Quello che vale per tutti, sempre e in ogni momento, è sapere che cosa si sta facendo, esserecapaci di sapere che cosa si sta facendo nel momento che si sta vivendo. Questo sapere ci fà capirese accettare o non accettare, seguire o non seguire, rifiutare o non rifiutare. Per far questobisogna, però, eliminare la mente; la mente che ragiona del vantaggio e dello svantaggio, delbuono e del cattivo, sviluppare una mente diversa, profonda.Questa mente è fondamentale e valida in ogni situazione. Siamo qua apposta, cerchiamo disviluppare questa mente.

4 marzo 1995 (sabato sera)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

Un testo fondamentale della nostra scuola è il "Mumonkan". L'autore, il raccoglitore dei 48 Koancontenuti nel testo, è Mumon Ekai (1183 - 1260) vissuto in Cina, durante la dinastia Sung. Nelprimo caso fa il commento più lungo di tutti gli altri casi e riferendosi al "Mu di Joshu" parla delKensho, del vedere la propria reale natura. Dice che un monaco (in Cina nei monasteri giravanosoltanto monaci in quel tempo), il quale non abbia fatto il Kensho non vale neanche un centesimoperché, senza aver realizzato il Kensho non può cominciare lo studio dello Zen: parola di Mumon.

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Nel grande oceano del Buddismo, nell'immensità di scuole che si rifanno all'insegnamento diBuddha Shakyamuni, ognuna persegue l'illuminazione secondo tecniche diverse.Nel libretto che raccoglie gli interventi fatti l'anno passato alle tre giornate sul buddismo dellafondazione di Venezia, c'è n'è uno che parla del buddismo della Pura Terra, cioè di quella scuola incui i praticanti è sufficiente che recitino anche soltanto una volta il nome del Buddha Amitabhaperché rinascano nella Pura Terra. Altri, nella scuola Soto-zen, dicono che noi siamofondamentalmente Buddha per cui non c'è niente da fare: basta sedersi! Ma basterebbe anchenonsedersi. Nella nostra scuola, diciamo quello che si dice in tutte le altre scuole: che noi siamofondamentalmente Buddha. Lo sappiamo, ma tra il saperlo e il saperlo utilizzare c'è un pó didifferenza. Per arrivare alla capacità di saper utilizzare questa nostra natura di Buddha c'è un pó distrada da fare. Mumon Ekai dice appunto: "prima di tutto aprire l'occhio, vedere la natura diBuddha". Se non si vede questa nostra natura di Buddha, se non vediamo in noi, nella nostraNatura di Buddha, che non è nostra, ma è la Natura di Buddha e basta, di cui noi siamo parte, senon si vede questo, ripete Mumon "siamo come dei fantasmi che si aggirano di notte nelle paludi."E allora la Natura di Buddha la possono vedere solo quelli che che praticano il Koan? Quegli altri,quattro miliardi di esseri umani che esistono al mondo non la potranno mai vedere se nonpraticano nella scuola Lin-ci? Non è certamente così! Ogni essere umano è dotato della capacità divedere in sé stesso e ognuno di noi, pur senza praticare il Koan seduto, sdraiato, in piedi,camminando, mangiando rimane sempre ancorato al proprio respiro, indipendentemente dal fattoche il respiro si faccia con la pancia, si faccia con la punta dei piedi o delle mani o con la punta deicapelli. Il respiro non è limitato ad una parte soltanto del nostro corpo e non è limitato soltanto alnostro corpo. Respiriamo con la pancia, respiriamo con questa stanza, respiriamo con la stufa,respiriamo con le stelle quando siamo all'aperto e anche, con le stelle quando siamo qua dentro;diventiamo questorespiro che abbiamo, rimaniamo ancorati al nostro respiro. Che il respiro sia Mu o che sia 1, 2, 3 oche sia respiro e basta, sentiamo che noi non siamo soltanto Mu oppure 1, 2, 3; non siamosoltanto i piedi, o le gambe che ci fanno male, o la schiena, o i pensieri che ci attraversano, mariusciamo ad entrare in un'immensità nella quale, a poco a poco, possiamo anche riconoscere unanatura diversa da quella che siamo in grado di immaginare soltanto con la nostra mente e nellaquale, lasciandoci andare con tranquillità e fiducia, cade ogni nostra paura, preoccupazione einsicurezza.

5 marzo 1995 (domenica mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Se si segue un pó la cronaca, ogni tanto veniamo a sapere di qualche fatto, cosiddetto, miracoloso.Le Madonne che piangono, le apparizioni di qualche essere che può risolvere tutti i nostriproblemi. La politica ogni tanto, non solo in Italia, ci fà scoprire qualche salvatore. Sicuramente perqualcuno trovare un posto di lavoro o guarire da una malattia, in quel momento è la risoluzionedella vita, ma, se vogliamo risolvere la nostra vita in maniera reale, totale, non possono esistereesseri che, dall'esterno, mettendoci una mano in testa o mandandoci un fluido magico o qualchespeciale iniezione, possano risolverla per noi; neanche noi possiamo qualcosa per le persone piùvicine. Certe volte si può pensare che il maestro, quello che è il maestro per molti discepoli, possaoperare chissà quali trasformazioni nei confronti dei propri discepoli e tanto più nei confronti dellepersone della famiglia che gli stanno più vicine e, invece, ci accorgiamo che neanche nei confronti

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dei figli possiamo agire; ognuno deve attraversare la vita da solo, viverla da solo, e risolvere iproblemi, che ha di fronte, da solo.Senza dubbio ci sono, per fortuna, degli aiuti che abbiamo ricevuto e che tutti gli esseri possonoricevere e fare propri in modo che la propria conoscenza li metta in grado di risolvere le situazioniche si troveranno di fronte, ma non esiste un luogo in cui ci si possa recare e lì attingere laconoscenza o una persona che ci possa trasmettere quella conoscenza. La conoscenza è già in noi,fondamentalmente già pura, chiara, risplendente. Soltanto noi possiamo aprire il coperchio che lafaccia uscire allo scoperto, e la faccia risplendere per noi.Senza dubbio l'accostarsi ai luoghi e alle persone che questa scoperta hanno già fatta, in cui questascoperta è già avvenuta, è l'atto migliore che un essere umano possa compiere. Riporre la propriafiducia nella fratellanza del genere Umano, nella natura dei luoghi; abbandonarsi fiduciosamentenella natura, perché la natura in generale, che è composta da esseri umani e di tutto il resto, vuoleche ogni essere ritorni alla sua origine e però lo sforzo, la ricerca, il riconoscimento deve venire danoi che, con una profondissima, fermissima fede, dobbiamo credere nelle nostre capacità.Non dobbiamo abbandonare questa fede in noi stessi, in questo nostro essere Illuminati, Buddha;non diversi da tutti i Patriarchi i cui nomi recitiamo tutte le mattine; non diversi da qualunqueessere Illuminato che possa venirci in mente. Siamo noi, io, ognuno di voi, che illuminiamo ilmondo in cui viviamo.

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SESSHIN APRILE 1995

7 aprile 1995 (venerdì sera)

SESSHIN KOKUHO

Ho ascoltato per tanti anni nel monastero, ogni settimana, le frasi di inizio delle sesshin. Sidicevano sempre le stesse parole che variavano un pó a seconda delle stagioni; quando era freddoi monaci dovevano resistere al freddo, quando era caldo dovevano resistere al caldo; al sonnosempre.Qui a Scaramuccia quello che si dice, come in fondo poi in tutti gli insegnamenti, è sempre lostesso, ma penetra; di cento parole che vengono dette, ogni volta riusciamo ad assorbirne una,due o tre finchè poi, ad un certo punto, comprendiamo il discorso completo. Queste due o treparole sono come quelle che stanno negli schemi di parole crociate: prese una per una non dicononiente. Dobbiamo comprendere il discorso complessivamente ma, certe volte, una sola parola fàrisuonare dentro di noi qualcosa che alimenta la fede in noi stessi e mantiene la fiducianell'insegnamento.Partecipare ad una sesshin vuol dire avere fiducia in un insegnamento che si tramanda dacentinaia di anni; fiducia nelle persone che, umilmente, in qualche modo, sbagliando anchequalche volta, l'hanno fatto arrivare fino a noi e soprattutto, una volta che si è qui, si deve averefede nelle nostre capacità di risvegliarci.Nella scuola zen o chan lo sforzo del risveglio è fatto da ciascuno di noi; non ci sono grazie del cieloche possono aiutarci o da cui ci aspettiamo un aiuto. Ci aspettiamo un aiuto da noi stessi,dall'energia della natura, dalla presenza degli altri che insieme a noi stanno lavorando al propriorisveglio.Le nostre sesshin, come sanno gli allievi che partecipano frequentemente, non sono lunghe neltempo ma, una volta che ci sediamo sul nostro cuscino, sappiamo che il tempo che siamo abituatia misurare con l'orologio, è molto diverso da quello reale. Entriamo in un tempo diverso che nonpossiamo definire.In questo tempo diverso sentiamo, certe volte, una mancanza di futuro e di passato e percepiamoil presente. In questo silenzio del presente, in certi momenti riusciamo a scorgere la brillantezzadella nostra Natura di Illuminazione. È molto facile dire parole da libro stampato di fronte alle difficoltà del mondo, di fronte alledifficoltà che ha ognuno di noi, e prospettare una liberazione, una felicità attraverso la praticadella religione che stiamo professando. Il buddhismo inteso come insegnamento puro, trasmessoattraverso i secoli, è al di là di qualunque religione. È una pratica che ad un certo punto va oltrequalunque pratica. Questa è l'avventura nella quale ci immergiamo in questi due giorni e nellaquale mi aspetto che ognuno metta tutta la sua determinazione.

8 aprile 1995 (sabato mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

Il momento in cui ci si dedica ad una pratica di meditazione sicuramente c'è una spinta che porta acercare il proprio posto nel mondo; sapersi sistemare, sapere come comportarsi. Nella nostrascuola viene insegnato ad osservare il respiro. Le pratiche di meditazione sono di varie genere. Cisono quelle che, in qualche modo, aggiungono e ci sono quelle che tendono a togliere.

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L'osservazione del respiro è una pratica che tende a far cadere tutto ciò che non è essenziale inquello che pensiamo di essere. Sicuramente il modo in cui si respira ha una sua importanza. Ilrespiro addominale può essere fatto in modi differenti ma, poi, proprio il meccanismo del respirofa sì che ci sia un asciugarsi di tutto ciò che ritenevamo dovesse essere gonfio. Ci si dimagrisce apoco a poco. Come quelli che stando attenti al cibo, si accorgono che possono vivere con menocalorie; si può vivere senza consumare troppa benzina; si può vivere vestendoci più leggeri. Ciaccorgiamo che ciò di cui abbiamo veramente bisogno, per la nostra reale esistenza, è quasi zero.Ad un certo punto arriviamo a capire che possiamo fare a meno anche del respiro. Nella vita ditutti i giorni abbiamo bisogno di mangiare, di vestirci, di utilizzare l'automobile ma quando siamoseduti sul cuscino, qui, sappiamo che tutto ciò fa parte di un'altra rappresentazione.La rappresentazione vera, quella reale, si accontenta di un piccolo respiro e, una volta entrati inquesto piccolo respiro, si accorge che sparisce anche il respiro e si vede la propria realtà.

8 aprile 1995 (sabato sera)

da “PRIMA DELLA COSCIENZA” di Nisargadatta Maharaj

29 Agosto 1980

Domanda: Dopo aver saputo che non si è l' esistenza, l' esistenza vuole ancoraessere, protegge sé stessa. È insito in essa?Maharaj: Si, è la sua natura.D: Forse che queste unità di esistenza non hanno più valore di un'immagine?Sono semplicemente come le immagini su uno schermo televisivo? È giusto?M: Si, puoi considerarle così, come semplici immagini. Tuttavia è unostrumento stupefacente, perché all'interno ha un certo principio che contienel'universo. Non scartarlo semplicemente come un'immagine. Il Sé non può sperimentare la sua capacità di conoscere senza l'aiuto delcorpo. È uno strumento necessario. Cibo e pulsazione (respiro vitale), senzaquesti non c'è la crescita e non ci sarà l'esistenza. Questo corpo è uncontenitore di nutrimento, ma quella conoscenza "Io Sono" non è individuale,è universale.D: È la coscienza a gioire se stessa attraverso tutte queste unità di esistenza?M: Si. Questa esistenza entra nell'individualità a causa della forma delpacchetto-cibo, il corpo. Dal mio punto di vista è soltanto esistenza dinamica,manifesta; non c'è individualità.Una volta che arrivi a questa comprensione non si pone la questione di gioirete stesso come un individuo. Non sei più un individuo, l'individuo è dissolto. Èraro che uno lo faccia. Colui che ha compreso tutto dei cinque clementi e delloro gioco, non è preoccupato per l’essenza di questi cinque clementi, perl’esistenza; anche questo stato viene trasceso. Egli ha la fragranzadell'umanità: ricorda l'umanità, ma sa che non ha nulla a che fare conl'umanità.Avendo compreso e trasceso questo, le parole non hanno utilità. L'esistenzasente che non dovrebbe morire, ma se la cosiddetta morte è avvenuta, nonc'è perdita.

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Dal mio punto di vista, qualunque esistenza ci fosse nella forma di un essereumano se n'è andata tutta e a causa di quella dissoluzione è diventatamanifesta.

TEISHO

Qui Maharaj vola alto! Utilizza le parole per poter spiegare le sue risposte, ma rimaniamo semprealle parole! È tutto quello che abbiamo.Se per mezzo delle parole non riusciamo a raggiungere la comprensione possiamo, forse, togliereincomprensione; quasi fissare dei paletti. È come quando ci fu l'alluvione sul Pó. lo mi ricordo,quando ero ragazzo intorno al '50, che mettevano dei sacchetti di sabbia sugli argini.Si può evitare questo, perché una volta che utilizziamo le parole per diminuire la mancanza dicomprensione, cioè per eliminare tutto quello che non ci porta a capire, dopo siamo in unacondizione di attesa, di ricezione, e in quella condizione possiamo comprendere perché Maharajdice che "la natura dell'esistenza è quella di essere e di proteggere sé stessa; questo è insitonell'esistenza". Per cui sembra strano che, il momento in cui un tipo come Maharaj comprende e sirende conto che non c'è differenza fra nascite e morte, tra vivere e morire, continui a vivere. Eglilascia che quella sua voglia di essere, voglia di essere dell'esistenza, sia più forte della voglia dimorire, di lasciar stare.Nell'ultima pagina, nell'ultima riga, dice: "Dal mio punto di vista qualunque esistenza ci fosse nellaforma di un essere umano se n'è andata tutta e a causa di quella dissoluzione è diventatamanifesta". Questo è, se n'è andata! Il momento in cui se ne và, il momento in cui ci prendiamo,ecco che l'esistenza si manifesta per quello che è. Poi qui c'è una domanda, in cui la personachiede: "Forse che queste unità di esistenza sono semplicemente come le immagini su unoschermo televisivo?" E Maharaj dice: "Sì, puoi considerarle così, come semplici immagini. Tuttavianon scartarlo semplicemente come un’immagine perché il sé non può sperimentare la suacapacità di conoscere senza l'aiuto del corpo. È uno strumento necessario." Ed ecco la suaimportanza. Se ci si ricollega alla idea di superare il corpo, di superare il samsara, di superare ilciclo di nascita e morte, ecco che questa idea, se l'osserviamo dal punto di vista di Maharaj è unafissazione. Senza il corpo non possiamo sperimentare questo stato e sperimentare questo stato èviverlo, è agire in questo mondo di immagini; per cui, se noi comprendiamo di vivere in un mondodi immagini e che in questo mondo di immagini c'è anche il nostro corpo allora ecco che c'è stato ilsuperamento automatico del ciclo di nascite e morte; cade automaticamente l'attaccamento alnostro corpo pur utilizzando il corpo. "Cibo e respiro vitale, senza questi non c'è la crescita e non cisarà l'esistenza. Questo corpo è un contenitore di nutrimento, ma la conoscenza "lo Sono" èuniversale, non è individuale". Questo corpo pigliamolo per quello che è.La domanda chiede: "È la coscienza a gioire se stessa attraverso tutte queste unità di esistenza?""Sì. Questa esistenza entra nell'individualità a causa del corpo" (che Nisargadatta chiama"pacchetto-cibo") "Dal mio punto di vista è soltanto esistenza dinamica, manifesta; non c'èindividualità". Noi nella nostra pratica sperimentiamo come non ci sia differenza tra noi e il nostrorespiro che si fonde. Qui Nisargadatta parla appunto del respiro, della pulsazione vitale e unaspecie di fusione tra pulsazione vitale e la nostra pulsazione vitale. Quando pratichiamo i Koansicuramente il primo che attraversiamo ci mette di fronte alla comprensione della nostra natura diBuddha e sperimentiamo che la Nostra natura di buddha è la Natura di Buddha. La nostra piccolanatura di Buddha (questo non è corretto ma diciamolo così come diciamo il nostro piccolo respiro)è la pulsazione vitale, la Natura di Buddha. Questo è quanto vuole dire Nisargadatta in questopunto.

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"Dal mio punto di vista, è soltanto esistenza dinamica manifesta, non c'è individualità" Questo noilo sperimentiamo in tanti altri momenti della nostra vita, ci accorgiamo della non-separazione trala nostra piccola comprensione e la comprensione totale; il nostro piccolo essere nell'aria, e l'ariatotale; il nostro piccolo passo e nel grande passo che è l'universo e allora dice: "Una volta chearrivi a questa comprensione non si pone la questione di gioire te stesso come individuo. Non seipiù un individuo, l'individuo è dissolto. È raro che uno lo faccia". Non si capisce se è raro chequalcuno arrivi a questo livello. Altre volte Nisargadatta ha detto che chi capisce è uno su unmilione, 10 milioni. Può darsi che si riferisca a quello e cioè che ce ne sono pochi che capiscono."Colui che ha compreso tutto dei 5 elementi e del loro gioco, non è preoccupato per l'essenza diquesti 5 elementi, per l'esistenza; anche questo stato viene trasceso. Egli ha la fragranzadell'umanità: ricorda l'umanità, ma sà che non ha nulla a che fare con l'umanità". Naturalmente sipuò dire anche il contrario: egli ha la fragranza dell'umanità, ricorda l'umanità e sa che ha tutto ache fare con l'umanità e potrebbe appunto essere talmente compreso nell'umanità da viverel'umanità nella maniera più completa pur sapendo che non vi ha niente a che fare. Non è dettoche uno, per forza, se ne debba distaccare nel momento che comprende e qui appunto dice:"Avendo compreso e trasceso questo, le parole non hanno utilità". Noi però stiamo parlandoperciò a qualche cosa servono!"Nisargadatta parla, quello che lo ascolta scrive il libro; forse in qualche modo hanno utilità proprioperché anche le parole fanno parte di quelle immagini che scorrono su quello schermo televisivoche è l'esistenza e anche le parole danno il sale, il sapore, alla minestra che è lo spettacolo dellanostra vita. Anche le parole hanno la loro funzione: certe volte sono inadeguate, altre volte sonoesagerate, certe volte possono anche essere giuste. Quanto dice Nisargadatta lo ripete lui stesso:"È raro che uno lo faccia". È raro che uno capisca.Tutto questo è vero, ma chi pratica non deve lasciarsi impressionare da quello che i maestridicono.Non sprecate il vostro tempo, praticate incessantemente e anche praticando per tutta la vita èdifficile riuscire ad ottenere l'illuminazione.In fondo è molto bello, l'insegnamento del "Namu Amida Butzu" cioè della fiducia nel BuddhaAmitabha, il quale ha promesso agli esseri umani che, se l'avessero invocato anche soltanto unavolta con il cuore puro sarebbero rinati nel paradiso della Pura Terra. È bello questo perché spazzavia tutto quel meccanicismo e quel determinismo e quei gradini da salire uno dopo l'altrofermandosi a guardare dietro quanta strada abbiamo fatto e, soprattutto, quanta strada ancora ciresta da percorrere, ossessionati da quest'idea del lungo cammino, del sentiero da percorrere, diostacoli da superare.Sapere che basta dire "Namu Amida Butzu" e si entra nel paradiso di questa Terra Pura, ma civuole una grandissima fede.! Quello dell'Namu Amida Butzu è come il grande Cocomero di Linus,ci vuole grande fede in noi stessi; sapere, credere fermamente che noi, così come siamo, siamo giàBuddha, Illuminati.Questa è la fede che deve smuoverci immediatamente. Basterebbe, come dice il BuddhaAmitabha, in questo momento dire a noi stessi: "lo sono il Buddha"; forse anche eliminare ilBuddha e forse anche quell'io e sarebbe più efficace di 200 sesshin.

8 aprile 1995 (sabato sera)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

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Nel Mumonkan c'è un caso (è uno dei più belli per me, e quando capita lo cito perché lo trovomolto significativo) nel quale Mumon dice ai monaci: “Com'è che quando suona la campana, vimettete l'abito e correte tutti alla cerimonia?" Volendo significare: "Com'è che dei monaci, che dovrebbero essere liberi da qualunque legame eda qualunque condizionamento, vanno dietro a una campana come un gregge di pecore? Com'èche, pur sapendo che tutti quanti dobbiamo morire, ci affanniamo tanto a vivere nel mondomigliore possibile?Fra gli estremi c'è sempre un punto di equilibrio di cui dobbiamo andare alla ricerca.C'è un bel auto-ritratto, un disegno a inchiostro di Hakuin Zenji in cui si ritrae seduto in Zazen e unpassante gli chiede: "Eh! boso, monaco bonzo, che fai? E quello dice "faccio zazen". E il passantedice. "Ancora zazen?" e Hakuin dice "Eh, sì! Ancora zazen".Hakuin Zenji ha 80 anni, è un grande maestro. Che bisogno c'è per i monaci di correre a recitare isutra? Per Hakuin di sedersi? Dov'è tutta la nostra libertà dai sutra, dallo zazen e da tutto il restodelle obbligazioni che abbiamo contratto con noi stessi, con gli altri, con la società? Si può sederein zazen in maniera libera come Hakuin che risponde "Eh! " a quello che gli chiede perché, oppureno.Si può andare a recitare i sutra come pecore o ci si può non andare, in maniera gioiosa, sapendoche è proprio quello che vogliamo fare. Da qui alle 4 di questa notte, della mattina, trascorrerannomolte ore e, senz'altro, ci sarà qualche passante che nella nostra mente ci chiederà: "Ancora a farezazen?". "Ancora a correre dietro alla campanella?".Le notti di zazen fanno agitare molti fantasmi, ma siamo venuti apposta, per sviluppare la nostravigilanza, essere vigili, essere presenti e sviluppare la capacità di essere presenti non soltanto quama anche nel mezzo di tutte le prove che la nostra esistenza ci propina ogni giorno. Così se nonpossiamo fare a meno di andare a lavorare in un posto schifoso, all'amico che ci chiede: "Vaiancora lì, in quel posto schifoso?" Sì! perché non dipende dai posti, dipende da noi che possiamorendere belli o brutti i posti, le persone, le parole.

9 aprile 1995 (domenica mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Domenica mentre andavamo in macchina verso Frosinone abbiamo superato una macchinatargata Roma che andava a circa 100 all'ora. Si vedeva che, dietro, delle persone dormivano(tranne quello che guidava) malgrado i finestrini aperti. Sicuramente quei quattro ragazzitornavano da qualche discoteca nella Riviera Adriatica. Avevano anche loro attraversato unanotte, svegli, aiutati magari dall'alcool, da una droga, non sò. Sicuramente anche loro hanno fattouna propria sesshin, una settimana, un viaggio, un'immersione nella notte allungandola il piùpossibile e poi il ritorno, storditi, alle proprie case.C'è un pó di differenza tra una notte di sesshin e una discoteca anche se quelli che le notti lepassano in discoteca sono più numerosi. C'è differenza perché la sesshin vuole che si rimangasvegli in tutti i sensi, la discoteca cerca di svegliare soltanto alcuni sensi e di addormentarne altri;addormentare soprattutto la parte più importante di noi stessi, quella parte che, risvegliata,cambia completamente la nostra vita, il modo di vedere la nostra vita. Dovremmo, attraverso lecittà, vedere gli esseri risvegliati e poterli riconoscere così come in un fumetto, che qualche giornofà ho letto: una ragazza vedeva persone, apparentemente belle e normali, come dei maiali o comeanimali selvaggi.

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Ci si aspetta che le persone illuminate, invece, possono essere viste con l'aureola o con il sangueche gli cola dagli occhi. Le persone illuminate, sono come tutti gli altri e camminano nelle città enel mondo come tutti gli altri.Ricerchiamo questa illuminazione nostra, di tutti noi, non solo di quelli che sono qui, ma anche diquelli che stanno nelle discoteche in un diverso modo di vedere la vita. Cerchiamo di attraversarlacoscienti di quello che l'esistenza in effetti è. Attraverso· una notte o più notti passate a sedersi inquesta stanza o in altre stanze simili, riusciamo senza alcuna droga, senza alcun supporto esternoalasciar decantare quello che ci impedisce di vedere chiaramente quello che c'è da vedere. Fermi,aspettiamo con pazienza, con fiducia in quelli che l'hanno spiegato, con la fede in noi stessi.Lasciamo decantare tutta la polvere che si è addensata sui nostri occhi per poi aprirli, come fece ilBuddha tanti anni fà, alla stella del mattino.La sesshin in fondo, se ci pensiamo, è soltanto questo.

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SESSHIN MAGGIO 1995

5 maggio 1995 (venerdì sera)

SESSHIN KOKUHO

In giapponese Sesshin significa mettere insieme i cuori. Riunirsi così come avviene ormai damigliaia di anni e insieme, strofinandosi come delle pietre l'uno con l'altro, lucidarsi e portare fuorila propria realtà, la vera natura che è in ognuno di noi; vederla chiaramente così come vediamo unoggetto che teniamo in mano.Durante la sesshin, a Scaramuccia come in Giappone, si pratica concentrandosi sul respiro,concentrandosi sul proprio Koan ma anche, ancora di più, concentrandosi su ogni momento dellanostra giornata: quando si beve il tè, si recitano i sutra, si lavora, si fa Taichi e tutto il resto. In ognimomento della nostra giornata può accadere che ci si riveli e che venga fuori dal nostro profondo,in cui in qualche modo l'abbiamo nascosta, quella che nel buddismo si chiama la "natura dibuddha" ovvero la "natura di illuminazione" la nostra "reale natura".Ognuno di noi, intrinsecamente, possiede questa "natura". Ognuno di noi, intrinsecamente, è giàilluminato, è già Buddha. Lo sappiamo ma non siamo in grado di vivere alla luce di questa "natura",di questa "realtà" e così, quello che ci spinge dall'interno e che ci rende insoddisfatti della vita checonduciamo tutti i giorni, ci muove a ricercare con tutte le nostre forze, qualcuno che sappiaindicarci quale sforzo fare. Soltanto da noi stessi possiamo tirare fuori questa "natura diilluminazione".Per migliaia di anni i Maestri, in qualche modo, hanno aiutato tutti gli esseri a rivelare a sé stessiquesta natura.Si continua a Scaramuccia, ogni mese, in questo modo, in queste poche ore che stiamo insieme alavorare, con tutta la determinazione di cui siamo in grado, su noi stessi. Non ci sono Maestri, nonci sono Deità, non ci sono formule magiche che possono aiutarci. Sicuramente il nostro sforzo,confortato dallo sforzo di tutti gli altri nei quali riconosciamo la stessa natura che è in noi, puòprovocarci quella gioia infinita che è "riconoscerci dei Buddha" riconoscerci, come dice Mumon nelMumonkan "in grado di camminare liberamente in ogni parte del mondo" liberi da qualunqueansietà, da qualunque paura.Le Sesshin sono brevi ma non importa molto; basta un minuto, un secondo per capire. Importanteè che in quel minuto, in quel secondo ci mettiamo tutta la nostra forza, tutta la nostra voglia dicapire.Cerchiamo di farlo tutti insieme.

6 maggio 1995 (sabato mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

Giovedì sera eravamo a Trento a fare meditazione e Kiyoka è andata a vedere il film "La scuola";poi me lo ha raccontato. Il film voleva rappresentare l'inadeguatezza delle persone che dovevano ricoprire il ruolo diinsegnante e di studente. Nessuno dei due gruppi era in grado, nel film, di svolgere il propriocompito. Impreparati gli insegnanti, impreparati gli studenti. Siamo abituati a pensare che ci sianodei luoghi in cui si trasmette, o si riceve, la conoscenza. Nella scuola si ottiene la conoscenza

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umanistica o scientifica e poi in tanti altri luoghi, fra i quali i monasteri o i centri religiosi, si puòricevere la conoscenza spirituale.Sicuramente in ogni luogo vengono utilizzati dei mezzi perché si possa entrare in comunicazionecon i vari tipi di conoscenza ma quello che fondamentalmente non viene compreso, da chidovrebbe trasmettere e da chi dovrebbe ricevere, è che la conoscenza di per sé già c'è.Ogni essere umano, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza della propria natura, giàpossiede questa conoscenza per cui, recandosi in un cosiddetto "monastero", non deve far altroche lasciare, attraverso i mezzi che gli vengono messi a disposizione, che questa conoscenza vengaalla luce. Non si riceve la conoscenza da un Maestro da un Rito o dai Testi Sacri; la conoscenza è in noi; noisiamo già tutto quello di cui abbiamo bisogno; tutto quello che ci resta da fare è ascoltare nontanto gli insegnamenti che ci vengono dati quanto ascoltare noi stessi.Nell'arco di una sesshin che dura una certa quantità di ore, gli insegnamenti che possiamo riceverepossono essere anche molti sia diretti che nei discorsi durante la pratica dei Koan o negli esempiche ci vengono mostrati però, la maggioranza del tempo passa nell'ascoltare se stessi. Ascoltarenon tanto le ranocchie e gli uccelli che ci sono in questo momento o il silenzio che si stabilisce lasera o la notte quando tutto tace, ma ascoltare quel silenzio che c'è dentro di noi e da quello,soltanto da quello, dal silenzio che ci portiamo dietro in qualunque istante della nostra giornata,soltanto da quello imparare quello che c'è da imparare.

6 maggio 1995 (sabato sera)

da “PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

30 Agosto 1980

Domanda: La coscienza rimane per sempre?Maharaj: No, la coscienza c'è solo finché esiste il corpo.D: Anche quando si comprenderà, ci saranno corpi che cominciano ad esisteree che muoiono? ·M: Si. I cinque elementi, i tre guna, prakriti e Purusha, sono i mezzi perdimostrare l' "lo Sono".Nello stato originale non c'è il senso della coscienza, non c'è consapevolezza diessere, ma appena giunge I' "Io Sono", immediatamente viene vista l'interamanifestazione, questa èl'espressione della coscienza. Nell'Assoluto, I' "Io Sono" è integrale, mal'espressione è nei molti. Io manifesto Me Stesso nei molti. Gli esseri umanisono un tipo di forma ed ogni tipo di forma agisce secondo la sua natura,secondo la combinazione dei tre guna. Come può entrare in questo unindividuo?Il solo modo di comprendere questo mistero è realizzare la tua identità con lacoscienza universale che è espressa nello spazio totale. Sino a che ti identifichicon la forma umana è impossibile risolvere il mistero.Perché vieni qui a sprecare il tuo tempo per un'ora o più? Se facessi qualchelavoro fisico o mentale per un paio d'ore avresti qualcosa da mostrare comerisultato.

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D: Queste sono le ore utili; tutte le altre sono inutili.M: Come possono essere utili? Io sto distruggendo quello in base al quale diciche queste due ore sono utili. Sto distruggendo l’identità.Non è divertente che l'insegnamento che distrugge l'individuo siaesattamente ciò che l'individuo vuole? La risposta è che non c'è mai stato unindividuo. Arriva alla conoscenza che l'individuo non c'è mai stato. D: Che cos'è la realizzazione?M: Prima che germogli l'idea "Io Sono'', tu sei, ma non lo sai. In seguito aquello ci sono stati molti avvenimenti con i quali hai cominciato a decorarti.Cerchi di ricavare il significato di te stesso dalle parole susseguenti, dagliavvenimenti e dal significato delle parole ... tu non sei questo ... abbandonalo.Tu sei prima dell'idea "Io Sono". Accampati là, prima delle parole "Io Sono".

TEISHO

È un capitolo molto breve questo di Nisargadatta però è molto condensato, è molto significativo.Le domande che pone questo visitatore, soprattutto all'inizio, sono fondamentali.-Domanda: "La coscienza rimane per sempre?"-Maharaj: "No, la coscienza c'è solo finchè esiste il corpo".Questo è un punto di realizzazione importante. Utilizziamo la parola "importante", ma realizzarequando si capisce, si capisce e basta.Dice Maharaj successivamente: "Nello stato originale non c'è il senso della coscienza, non c'èconsapevolezza di essere, ma appena giunge I' "lo Sono", immediatamente viene vista l'interamanifestazione, questa è l'espressione della coscienza". Spesso Maharaj usa gli esempi eovviamente questi esempi hanno un carattere fisico.Immaginiamo di mettere una pila dentro l'orologio e il corpo dell'orologio con la coscienza, che èla pila, prende vita. Non possono esistere separati; non hanno una funzione separata. La pila senzaorologio o l'orologio senza la pila non funzionano. Non dobbiamo prendere, perché l'esempio nonandrebbe bene, un orologio a molla. Maharaj usa delle parole, usa degli esempi molto materiali.Prima esiste solo l'energia (prima di entrare nella pila) e poi esiste la manifestazione. L'energia èprima che venga condensata nell'orologio, prima della plastica, prima del metallo, prima del vetrocosì come siamo al principio un ovulo fecondato, poi gli alimenti che ci arrivano attraverso lamadre fino a nove mesi, poi il latte, poi dopo il latte le pappette e poi via via tutto il resto: il grano,la carne, la frutta, la verdura, ecc. Ecco qui tutta la materialità, con l'energia che c'è in essa, che sicondensa nel formare questo nostro corpo, questo nostro orologio e poi, come dice Maharaj, lapila costituita dalla coscienza.Nel momento in cui la pila comincia a funzionare (c'è già dall'inizio ma funziona più tardi) noidiciamo: "eccomi qua! ci sto! sono io!". "lo (mi guardo intorno) esisto!" Finchè il bambino è piccolonon è cosi evidente. Il bambino non si accorge di esistere ma poi, ad un certo punto, dice: "losono".Da quel momento esiste anche il mondo circostante e comincia ad esistere quel mondo che non è"lo", è l'"altro". Tutto il lavoro che dobbiamo fare lo dice chiaramente Nisargadatta: "Nell'Assoluto,l'"lo sono" è integrale, ma l'espressione è nei molti. Sino a che ti identifichi con la forma umana èimpossibile risolvere il mistero".È strano che uno nasca per identificarsi in una forma umana e dopo debba dimenticare questaidentificazione per riuscire a risolvere il mistero che lo ha portato a fare sì che un uomo e unadonna incontrandosi (almeno fino a poco tempo fa poi non si sa come sarà) fecondino un ovulo eda quello venga fuori un essere umano il quale, dopo un certo numero di mesi, prende coscienza

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di se stesso, dice "lo sono" e da quel momento in cui dice "lo sono" comincia a chiedersi "Chisono? Che ci sto a fare? Perché tutto questo capovolgimento?"Nel momento in cui questa identificazione col corpo, attraverso la coscienza, cessa noi ritorniamoad essere nell'Assoluto pur non avendo mai cessato di esserci. Anche in questo momento, pur nonessendo consapevoli di essere nell'Assoluto, ci siamo. L'Assoluto non è una regione al di fuori diquella in cui viviamo normalmente come si pensa che il Paradiso sia un posto particolare del cielo.Tutto lo sforzo che gli esseri umani fanno è quello di rendersi conto che si sono cacciati in unpasticcio da se stessi, e come fare per uscirne.La domanda finale dice: "Che cos'è la realizzazione?" Nisargadatta risponde: "Prima che germoglil'idea "lo sono", tu sei, ma non lo sai. In seguito a quello ci sono stati molti avvenimenti con i qualihai cominciato a decorarti. Cerchi di ricavare il significato di te stesso dalle parole susseguenti,dagli avvenimenti e dal significato delle parole.... tu non sei questo . . . abbandonalo. Tu sei primadell'idea "lo sono". Accampati là, prima delle parole "lo sono."È veramente un gioco quello che giochiamo tutti noi; è veramente un labirinto, un rebus. Se noisiamo prima dell'idea "lo sono", perché unire in questa situazione così come ci sono quelli chevanno all'avventura? Quelli che scalano le montagne, attraversano i mari o i continenti non sonoda meno. Ci sono tanti che da una condizione di tranquillità decidono di andare a mettersi insituazioni scabrose, difficili, pericolose per poi in fondo desiderare di ritornare a casa, desideraredi ritornare alla tranquillità che hanno lasciato e che gli ha fatto desiderare di andarsi a metterenei guai.In fondo anche nella vita di tutti i giorni vediamo quest'alternarsi della nostra esistenza: quandoabbiamo caldo, adesso che è finito l'inverno e praticamente è cominciata la primavera-estiva ecominciamo a soffrire un pó il caldo, cominciamo anche a pensare a quando tornerà il fresco,l'autunno e poi l'inverno e poi la neve che abbiamo da poco lasciata; quando saremo nel freddocominceremo a pensare al caldo e alle spiagge. Quando abbiamo fame pensiamo a mangiare e cosìvia è inutile stare ad elencare tutte le situazioni che possiamo capire benissimo da noi stessi.Comprendere questo paradossale ritornare, per il paradosso che è. Agire senza lasciarci prendere.Lasciarci prendere quando da noi stessi decidiamo di farlo, quando vogliamo giocare. Sapere chese ci andiamo ad infilare in qualche avventura lo abbiamo deciso noi. Sapere che abbiamo sempreuna casa accogliente nella quale tornare, nella quale poter ritrovare tutta quella tranquillità che cisiamo andati a perdere avventurandoci in posti pericolosi.Questa è una certezza ché dobbiamo cercare di sviluppare in noi stessi e mantenere.

6 maggio 1995 (sabato mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

Nei monasteri giapponesi le sesshin sono di una settimana e ce n'è una ogni dieci giorni. Settegiorni di meditazione, di sesshin, e tre giorni di non-sesshin (non possiamo dire di riposo). Diqueste tre sesshin che ci sono in un mese due vengono dette "piccole" ed una "grande". "Grande"perché si siede molto di più al mattino, al pomeriggio e soprattutto la notte quando c'èmeditazione senza orario.Ricordo che quando si usciva per andare a meditare fuori dallo zendo mi sedevo sul cuscino(sedevamo sulla veranda della Hondo, della grande sala delle cerimonie) rivolto verso la città.Shofukuji è in alto e si vede in basso il mare di Kobe. Dalla veranda non lo vedevamo perchéc'erano dei cespugli e degli alberi che lo coprivano però si sentivano dei rumori; portavamo i nostricuscini sulle tavole dure di quercia nella veranda, si sedeva e ricordo benissimo che mi dicevo:

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"Ecco qua; comincia l'avventura!" Si iniziava un viaggio che non si sapeva quando sarebbe finitoperché il rientro per dormire dipendeva da quelli più anziani. In tutte quelle ore in cui non si venivaosservati dal Jikijitsu, si sonnecchiava rimanendo sempre seduti, ovviamente, e molto spesso ilKoan veniva dimenticato. Si viaggiava; si andava chissà dove. Si rivivevano tutte le nostre vite,forse.Ci sono sicuramente diversi modi di viaggiare alla ricerca di sé. Spesso qualche alpinista dice che vaa scalare le montagne alla ricerca di sé; così dice qualche navigatore solitario, qualche esploratore.Sicuramente ognuno si esprime a modo suo, ma non c'è un modo più semplice, e in fondo piùefficace, di partire per questa ricerca che rimanere seduti. Abbiamo con noi tutti gli strumentiindispensabili per la conoscenza che vorremmo realizzare.Quando sono cominciate le sesshin di Scaramuccia non sedavamo per tutta la notte poi pensai chepoteva essere una bella esperienza, come in effetti è.Senza dubbio se dovessimo analizzare la capacità di concentrazione, soprattutto le prime volte,dovremmo dire che sarebbe meglio andarsene a dormire ma il tempo di dormire in certi casi neabbiamo anche troppo. Rimanere seduti a guardare le stelle in silenzio, costretti da se stessi apensare a se stessi, sicuramente è un'esperienza importante che vale la pena di fare.

7 maggio 1996 (domenica mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Nella pratica della nostra scuola c'è la risoluzione dei Koan che vengono di volta in volta ricevuti.Questa risoluzione ci dà un lampo di comprensione che illumina il nostro comportamento nontanto per quanto riguarda la dottrina buddista ma soprattutto per le azioni quotidiane chedobbiamo svolgere; sapere come collocarci nelle situazioni varie, innumerevoli che affrontiamoquotidianamente. Eppure i koan non sono cosi come li risolviamo. Lo sono e nello stesso tempoogni volta che, dopo qualche anno, possiamo ritornarci sopra, vediamo che ci danno accesso aduna comprensione superiore a quella realizzata precedentemente.È strano tutto questo. I koan, così come sono arrivati fino a noi, dovrebbero essere la rispostaunica ed assoluta che non cambia attraverso i secoli. dovrebbero essere Assoluto e non cambiare;eppure, noi stessi, se dopo due anni riportiamo la stessa risposta alla stessa domanda, ciaccorgiamo che la risposta che diamo ha un valore diverso.Questo è molto importante perché si capisca che la comprensione che abbiamo non è una voltaper tutte. Può sembrare strano. Certe volte diamo risposte che dovrebbero mettere a posto lenostre cose eppure ci accorgiamo già nel dare quelle risposte che potrebbero anche essere date inmaniera diversa. Non siamo noi che cambiamo, non sono le cose che cambiano e nello stessotempo noi cambiamo e le cose cambiano.Ormai alcuni di quelli che sono qui hanno partecipato ad innumerevoli sesshin eppure, purpraticando la stesso posizione, pur ascoltando più o meno le stesse parole, pur facendo gli stessiatti e mangiando più o meno le stesse cose che si sono mangiate ormai da tanti anni, ogni sesshinha un significato diverso da quella precedente e da quella che verrà.Ricordiamoci di questo. Ricordiamoci che, può sembrare strano, non c'è un modo Assoluto divedere la vita anche se certe volte ci sembra di avere capito tutto.Purtroppo parlando della Vita, della Verità e dell'Assoluto si è portati a sembrare banali e proprionella nostra scuola forse quello che ci differenzia è un pó la sensazione di imbarazzo che si provanel pronunciare parole cosi importanti.

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Probabilmente altri si lanciano in questi concetti con più facilità ma le parole sono quelle, la vita èquella e anche noi non possiamo fare a meno di dirle.

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SESSHIN GIUGNO 1995

2 giungo 1995 (venerdì sera)

SESSHIN KOKUHO

Ogni volta che inizia una sesshin si ripetono le parole che più o meno si ripetono da centinaia dianni; in lingue diverse dal cinese al coreano al giapponese e oggi nelle lingue occidentali.Sesshin Kokuho è il momento in cui si presenta la sesshin ed il momento in cui si esortano tutti ipartecipanti ad impegnarsi completamente in queste ore, o giorni che si passano insieme. Si fafare mente locale a chi viene, forse partendo anche da lontano ed avendo avuto tanto tempodurante il viaggio per pensare dove sta andando; tuttavia, forse, non ha ben chiaro il motivo percui ci si presenta a Scaramuccia o in altri luoghi simili. Bisogna prima di tutto fare dentro di sé questa chiarezza. Quello che muove ogni essere umano è ilbisogno di conoscenza: conoscere qual'è il proprio posto nel mondo e, per conoscere questo,tornare ancora più indietro e conoscere da dove si ha origine, chi si è. Se non cominciamodall'inizio e guardiamo soltanto all'esterno la nostra vita sarà sempre nella confusione. Questoprofondo desiderio che ci spinge ad investigare nel proprio cuore è quello che ci ha portato qua,anche inconsciamente, perché ci siamo resi conto che alla nostra vita, così come si svolge tutti igiorni, manca qualcosa, manca quella sicurezza, quella tranquillità, quell'assenza di paura che cifaccia vivere, perché così in effetti è, come fossimo i padroni del mondo.Nel momento in cui noi abbiamo scoperto dentro di noi ed abbiamo portato alla luce la nostrareale natura che nello zen chiamiamo "natura di buddha", "natura di illuminazione", in quelmomento ci rendiamo conto che non c'è alcuna cosa al mondo che possa nuocerci e inquell'istante cessa qualunque preoccupazione e qualunque paura. Gli esseri umani, in qualunquelatitudine, vogliono la tranquillità, la felicità, vogliono raggiungere, anche senza saperlo,l'illuminazione.A Scaramuccia secondo quanto è stato tramandato da maestri indiani, cinesi e giapponesi,pratichiamo per questo unico scopo. Non è Scaramuccia un luogo in cui, ormai dopo vent'anni, si ècapito che si viene a tranquillizzare la nostra mente, a rinfrescare il nostro stato di salute fisico, adottenere qualche vantaggio di qualunque genere. Non ci accontentiamo di queste che, in fondosono sciocchezze; bisogna puntare al massimo, ad ottenere quello che una volta ottenuto ci faottenere tutto. Gesù Cristo disse alla Samaritana: "io ho l'acqua che una volta bevuta non c'è piùbisogno di bere altra acqua." e quest'acqua di cui parlava Cristo è la stessa che il Buddha haspiegato 2.500 anni fà: è la nostra natura, è la nostra reale natura, è il nostro essere,intrinsecamente, Buddha. In queste ore che stiamo insieme, mettiamocela tutta; sedendo,camminando, mangiando, parlando, bevendo il tè, in qualunque momento della giornata nonstacchiamo la nostra concentrazione dall'idea di far scaturire dal profondo la nostra reale natura; èalla portata di ciascuno di noi; non ci sono persone più dotate o meno dotate.Ognuno di noi è di per sé già Buddha, basta scoprirlo.

3 giugno 1995 (sabato mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

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Alcuni anni fa mi stupì sentire un grande maestro di chitarra dire che si esercitava molte ore algiorno malgrado avesse già 80 anni. Mi stupì perché pensavo che ormai l'acquisizione della suaarte fosse sufficiente a permettergli di fare i concerti senza doversi più esercitare; invece non ècosì, non solo per la chitarra ma anche, soprattutto, per l'arte di usare la nostra mente.Pensiamo di essere dei liberi pensatori, di saper usare il nostro pensiero come vogliamo ed invece,appena ci fermiamo un minuto ad osservare la nostra mente, ci accorgiamo che non siamo capacidi dirigerla dove vogliamo, ci accorgiamo che va dove vuole andare. Il Buddha fece l'esempio dellascimmia che salta da tutte le parti senza poter essere afferrata. È vero che se prendiamo unachitarra come qualunque altro strumento musicale accordato è in grado, sotto le mani abili di unmusicista, di emettere suoni meravigliosi. Perciò, fondamentalmente, la chitarra ha la natura delsuono, della musica così come noi, come corpo e come mente, abbiamo, fondamentalmente, lanatura di Illuminazione" ma se non ci esercitiamo, la nostra mente e il nostro corpo diventanodegli strumenti non accordati, non in grado di emettere la musica meravigliosa che potrebberoemettere.Noi siamo ambedue: lo strumento e colui che lo suona. Dobbiamo lavorare in due direzioni; ladirezione di mantenere il nostro strumento, il corpo-mente, sempre accordato e nello stessotempo trovare il modo di saperlo suonare ogni volta che lo vogliamo.I Maestri a cominciare dal Buddha ma ancora prima, hanno inventato delle pratiche permantenere il nostro corpo morbido, sano, vivace e così la nostra mente. Nello stesso tempo,attraverso queste pratiche, mantenere il corpo e la mente calmi perciò accordati. Accordare ilcorpo e accordare la mente. Sicuramente questo richiede un pó di tempo e perciò perché stupirsise quel grande maestro si esercitava ancora per tante ore al giorno, malgrado avesse già 80 anni esuonava da almeno 70 anni? Nella vita, nella pratica non si può mai dare qualcosa percompletamente acquisito.Esercitarsi è vivere, oppure vivere è esercitarsi, in continuazione e da questo trarre lasoddisfazione di stare facendo quello che è più giusto in quel momento.

3 giugno 1996 (sabato sera)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

11Settembre 1980

Maharaj: Che uno sia uno jnani o una persona ignorante, il suo nutrimentocorporeo, il sostentamento, il mantenimento, eccetera, avvengono attraversoil significato delle parole della suamente. Anche i suoi pensieri fluiranno secondo le impressioni che ha ricevutosin dall'infanzia. Le attività sono uscite dal respiro vitale, dalle parole e dallaconoscenza "Io Sono".Se volete invocare la vostra Divinità dovete adorare il respiro vitale; attraversoil respiro vitale avvicinate la vostra Divinità. L'immagine di qualunque Dioviene attraverso il respiro vitale. Il linguaggio del respiro vitale significa parole.Quando tutti gli aspetti del respiro vitale vengono purificati non c'è spazio peri desideri, non ci sono sofferenze fisiche o mentali.

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Per quanto riguarda il comando del Guru aggrappatevi all' "Io Sono", all'Atmaprem, all' "Io amo". Tutte le nostre attività, fisiche o spirituali, sono basatesull'emozione. Accetto tutti questi dettagli, ma so che la somma totale è zero.I miei discorsi precedenti in qualche misura potevano essere compresi datutti, ma i discorsi che faccio ora sono molto difficili da comprendere. Perdivenire qualificati alla comprensione, rimanetein quella sorgente della vostra nascita.I discorsi fluiscono spontaneamente. Non li sto formulando. Io stesso michiedo spesso il motivo per cui emergono queste profonde espressioni eanche le persone che ascoltano i miei discorsi sono sbalorditi, perché nonsono in grado di formulare nessuna domanda sulla base di quello che dico.Ogni cosa è spontanea, anche lo stadio del testimone è venutospontaneamente. Tutte le mie attività accadono spontaneamente, non c'èspazio per il pensiero. Poiché io conosco il mio stato precedente alla nascita,conosco anche quel punto di nascita e sin dalla nascita conosco anche ciò chesono - la mia esistenza. Questo è il motivo per cui parlo così. Losperimentatore e le esperienze devono essere entrambi dissolti. Nelmomento in cui arrivano i traduttori e prendo il mio posto per parlare, sonorivitalizzato, la mia batteria è caricata, altrimenti sono ridotto alla miseria edevo usare questo bastone. Non sono per niente incline a collezionarecercatori spirituali di qualunque livello si tratti.Domanda: Possiamo comprendere con la nostra mente ma non al di là dellamente.M: Dal sonno profondo allo stato di veglia, cosa c'è? C'è lo stato "Io Sono",senza parole. Più tardi le parole iniziano a fluire e venite coinvolti dalsignificato delle parole e portate avanti le vostre attività nel mondo con ilsignificato di quelle parole quella è la mente. Ma prima di questo "Io Sono" edi questo stato di veglia, in quella frontiera ... dovete essere là. Sono rare lepersone che comprendono ciò che intendo. Ad una normale personaspirituale dobbiamo dire: "Fai questo o quello e otterrai questo beneficio".Allora, per un po' di tempo la persona si sente felice e sollevata, ma non èdefinitivo; lo stesso ciclo si ripeterà ancora. E noi non possiamo farci nulla,perché egli non ha la capacità di comprendere l'aspetto più sottile di questaspiritualità.Al massimo, direi: 'Tu sai di essere; adora quel principio "Io Sono". Adoraquello, sii uno solo con quello e quel!' "Io Sono" dischiuderà tutta laconoscenza. Questo è tutto ciò che direi, ma la parte più sottile è questa: dalsonno profondo allo stato di veglia.Per dimorare in quello dovete avere uno stato di intensa pace. In quello statoavviene la testimonianza dello stato di veglia. Dovete andare a quel limite, maè molto difficile. Una persona normale, con l'arrivo dell'"Io Sono" e del flussodella parola, seguirà questo flusso. Dobbiamo portare qui colui che hadiscriminazione, che è intelligente ed intensamente spirituale; dobbiamoportarlo qui, prima di quell' "Io Sono".Se avete considerazione per me, ricordate le mie parole. La conoscenza "IoSono" è il Dio più grande, il Guru; siate uno con quello, siatene intimi amici.Quello vi benedirà concedendovi tutta la conoscenza e nel manifestarsi diquella conoscenza vi condurrà allo stato eterno.

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Diventerete abbastanza maturi da essere nella provincia dello stato nirguna(senza attributi). Non potete trasformare un mango acerbo in un mangomaturo e pieno di succo, in una notte. Deve attraversare il suo arco di temposino alla maturità. Questo vi è chiaro o no? TEISHO

Oggi parla sempre Lui. Sembra che sia stato a dormire per un pó di tempo poi, risvegliatosi,comincia a parlare e dice tutto di seguito. La domanda che gli viene fatta a metà non c'entraproprio niente. In questo fluire di parole continuo quasi ininterrotto, Nisargadatta non tiene contodi quello che il visitatore gli chiede.Il succo del discorso di Nisargadatta lo sappiamo. Abbiamo imparato a confrontarci con questodiscorso e cioè, come dice qui: "Dal sonno profondo allo stato di veglia cosa c'è? C'è lo stato "losono" senza parole" Nisargadatta finisce dicendo: "Adora quello, sii uno solo con quello e quell' "losono" dischiuderà tutta la conoscenza". Poi "Se avete considerazione per me, ricordate le mieparole. La conoscenza "lo sono" è il Dio più grande, il Guru".Però abbiamo sentito, già in occasioni precedenti, che Nisargadatta si ricrede su questaconoscenza "lo sono" perché dice che dobbiamo andare oltre la conoscenza "lo sono". Laconoscenza "lo sono" sorge nel momento in cui noi veniamo fuori dallo stato di sonno profondo incui, dall'incontro di due cellule, si genera nel corpo di nostra madre un essere che a poco a pocoprende coscienza di "esserci".Nisargadatta dice che dobbiamo andare prima dei nove mesi della gravidanza e prima ancora -come dice Huineng - che i nostri genitori fossero nati. Dove stavamo? Questo "lo sono" di cuiprendiamo coscienza, dove sta? Questo è quello che Nisargadatta vuole sapere. Il momento in cuinoi siamo in quella sorgente della nostra nascita allora "tutti gli aspetti del respiro vitale vengonopurificati non c'è spazio per i desideri, non ci sono sofferenze fisiche e mentali" e " ... quellaconoscenza vi condurrà allo stato eterno."Questo è quello che Nisargadatta, non in questo discorso ma nei discorsi di altre volte, ci invita afare: trovare chi è l'essere che c'è prima dell'unione di quelle cellule che ci hanno generato. All'inizio parla del respiro. In effetti dice: "Se volete invocare la vostra Divinità dovete adorare ilvostro respiro vitale; attraverso il respiro vitale avvicinate la vostra Divinità."Per quanto riguarda la nostra scuola, tutti quanti sappiamo quanto siamo attaccati al respiro, alnostro respiro e nello stesso tempo, quanto, da questo nostro respiro, miriamo a scioglierci nelGrande Respiro. Lui lo chiama il Respiro Vitale; possiamo chiamarlo come volgiamo ma sappiamo,attraverso la concentrazione sul respiro, la presa di coscienza del respiro, già sappiamo chepossiamo andare oltre il nostro corpo, che non siamo il nostro corpo; già possiamo in uno stato piùsottile che è quello del respiro in cui ci annulliamo e in cui ci immergiamo nel Grande Respirodell'universo. Questo noi lo possiamo sperimentare anche adesso, subito e in ogni momento.Questa è già un'esperienza che elimina in gran parte la nostra paura che ci derivadall'attaccamento a qualunque altra cosa terrena.Poi dà una definizione in cui dice. "Per divenire qualificati alla comprensione, rimanete in quellasorgente della nostra nascita. I discorsi che faccio ora sono molto difficili da comprendere. Idiscorsi fluiscono spontaneamente".A proposito di questa parola comprensione mi è stata fatta una domanda e penso che debbaessere chiarita un pó.Non ci siamo mai soffermati forse su questo punto ma paniamo sempre di illuminazione e spessoci attendiamo che le persone illuminate abbiano una comprensione di tutte le cose come se unoche realizza la propria natura di Buddha da quel momento potesse aggiustare le centrali atomiche.Dice: "Sei diventato come Dio, sai tutto!" Siamo ancora influenzati dall'idea che il Figlio di Diopossa fare

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tutto. Noi abbiamo avuto nella nostra cultura un Figlio di Dio che cambiava l'acqua in vino, guarivai malati, faceva risorgere i morti e allora ci si aspetta che coloro che raggiungono un grado diilluminazione siano perfetti in tutte le loro manifestazioni: sappiano educare i figli, sappianomantenere in vita i matrimoni, sappiano coltivare la terra, guidare l'automobile, suonare deglistrumenti musicali etc. etc.Non è così! Noi, nella nostra scuola, sappiamo che ci sono due livelli cioè quello della Illuminazionee quello della Comprensione del nostro ruolo nel mondo. La capacità di vivere in un mondoassoluto (che ci è dato dall'Illuminazione) e nello stesso tempo la capacità di vivere nel mondorelativo (che ci è data dalla Comprensione).Poi, nella nostra scuola, abbiamo i koan. C'è sicuramente una parte della pratica, durante lesesshin o nei monasteri, in cui noi ci esercitiamo nella comprensione dei nostri atti e degli atti deglialtri e così ci esercitiamo a vivere con gli altri. Vivere nel mondo è vivere confrontandoci con glialtri, comunicando con gli altri. Lo possiamo fare bene se abbiamo una chiarezza interiore e nellostesso tempo se sappiamo che cosa è l'altro. A questo altro, a questo rapporto con la vita in tuttele sue manifestazioni, noi ci addestriamo anche durante i koan.La pratica del koan ci addestra a capire come siamo "noi" nei confronti dell'"altro" (in generale: daDio all'erba} e, nello stesso tempo, la pratica nostra, personale, individuale di ricerca della nostranatura di Buddità ci porta all'illuminazione. Certe volte possiamo anche parlare di questi due livellidiversi: l'illuminazione ci immette nell'Assoluto, la comprensione ci fa vivere nel relativo.Nisargadatta è molto bello quando dice: "I discorsi fluiscono spontaneamente. Non li stoformulando." Mi ricordo una frase di Mumon il quale disse durante un teisho a proposito dipoesia, che le poesie non si scrivono, "vengono"!Anche noi, tutti quanti noi, non soltanto Nisargadatta, possiamo dire che i discorsi fluisconospontaneamente. Certo spesso, "spontaneamente" diciamo un sacco di stupidaggini però se noi civuotiamo di qualunque attaccamento a quello che stiamo dicendo e lasciamo che le parolevengano da sé e decidiamo da noi stessi di farle venire da sé, allora in quel momento viene fuoriquello che siamo capaci di dire in quel momento; veniamo fuori noi, con la nostra cultura, con lanostra intelligenza, con la nostra stupidità ma non c'è affatto da vergognarsi, ognuno esprimequello che è; perché dovremmo esprimere qualche cosa che non siamo? Nisargadatta esprimeNisargadatta, lui infatti si stupisce, sembra contento di chiedersi "il motivo per cui emergonoqueste profonde espressioni e anche le persone che ascoltano i miei discorsi sono sbalordite." Vabene! Noi possiamo formulare delle espressioni non lasciando sbalordito nessuno! Però èimportante quando dice: "Tutte le mie attività accadono spontaneamente e non c'è spazio per ilpensiero."Questa spontaneità, in cui noi non decidiamo quello che dobbiamo dire, una parola dietro l'altra, èquella di cui parlava Mumon quando diceva che le poesie "vengono" e quando Nisargadatta diceche "i discorsi fluiscono spontaneamente"."Sono vere le persone che comprendono ciò che intendo. Ad una normale persona spiritualedobbiamo dice: "Fai questo o quello e otterrai questo beneficio." Allora, per un pó di tempo lapersona si sente felice e sollevata, ma non è definitivo; lo stesso ciclo si ripeterà ancora." Questolo abbiamo detto tante volte e Lin Chi nel suo testo lo dice tante volte: "Tutti gli altri maestri nonfanno altro che prescrivere medicine per delle malattie. lo non faccio questo." Dovete fare qualchecosa che vada oltre queste medicine che vi fanno passare una volta il mal di testa e una volta il maldi pancia ma dopo un pó vi ritrovate sempre nella stessa condizione.Noi, come ho detto questa mattina, ad un. certo punto ci definiamo buddhisti e in questomomento potremmo anche definirci Nisargadattisti perché insegnanti che possono indicarciqualcosa, che possono farci camminare sulla strada alla scoperta di noi stessi se ne incontrano neimomenti che meno ci aspettiamo però noi ci consideriamo buddhisti.

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Quando ho deciso di andare a praticare lo zen in Giappone mi ricordo che mi affascinò l'idea che imonaci zen avevano assunto, avevano preso per sé, di tutto l'insegnamento del Buddha, soltanto ilfatto che bisognava sedersi e, come il buddha si era seduto deciso a non muoversi finché nonavesse conseguito l'illuminazione, così quei monaci facevano lo stesso. Poi, l'abbiamo visto anchenoi, non c'è solo il fatto di stare seduti; lo stare seduti, di per sé, è una posizione che deve essereanche uno stato di perseveranza: sapere che niente ci può smuovere; noi siamo inamovibili; noisiamo come il Buddha seduto sotto l'albero della Bodhi.Questo noi prendiamo dal Buddha Shakyamuni e questo si può anche prendere da Nisargadatta. Maharaj dice di ancorarsi alle sue parole: "La conoscenza "lo sono" é il dio più grande, il Guru;siate uno con quello, siatene intimi amici. Quello vi benedirà concedendovi tutta la conoscenza enel manifestarsi di quella conoscenza vi condurrà allo stato eterno."Ancoriamoci allo stato "lo sono" per abbandonare anche questo stato "lo sono" ed arrivare allostato precedente, lo stato in cui, da sempre, stiamo.Come Gesù dice nel vangelo di Giovanni (8.58): "Prima che Abramo fosse, io sono."Noi siamo prima che il buddha Shakyamuni dicesse che aveva raggiunto l'illuminazione. Perciòsiamo buddhisti ancora prima del buddha Shakyamuni.

3 giugno 1996 (sabato sera)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

Un bel libro degli anni 60 è quello di Suzuki Shunryu Roshi vissuto a San Francisco e lì morto:"Mente zen, mente di principiante". Questa "mente di principiante" potremmo anche dirla "mentedi dilettante".Quando ero in Giappone le sesshin c'erano, più o meno, tutti i giorni; su 30 giorni del mese, ogni10 giorni c'era una sesshin di 7 giorni e i 3 giorni di riposo erano in attesa che cominciasse un'altrasesshin o per smaltire quella precedente.Come i tennisti che in questi giorni giocano il Torneo di Parigi; giocano tutti i giorni e appena finitaquesta settimana fanno un altro torneo in un'altra parte del mondo e così sempre di seguitoperché sono dei professionisti. I monaci sono dei professionisti della meditazione e in qualchemodo senza la pratica potrebbero perdere quella "mente di principianti" e di "dilettanti" cheinvece dobbiamo vitalizzare noi.Quando c'è la sesshin, che avviene soltanto una volta al mese qui da noi, c'è un'attesa, perlomenoda parte mia, perché c'è qualcosa di emozionante nel mangiare con gli allievi, nel sedersi insieme,nell'aspettare il mattino, nel sanzen e nel teisho. Tutto questo è un'avventura che comincia ilvenerdì e finisce la domenica; è un viaggio nel proprio cuore, nel cuore degli altri, nel cuore dellanotte.Qualcuno ha chiesto come si fa a stare svegli fino alle 4 di mattina. C'è mio figlio che non fa maimeditazione eppure torna, spesso alle 5 di mattina a casa senza aver dormito e non gli pare di farequalcosa di speciale.Questa notte che noi riteniamo speciale e che in effetti è speciale, affrontiamola ogni volta comese fosse la prima volta; aspettiamoci chissà quali sorprese e nello stesso tempo senza aspettarcialcunché; vivendocela, godendocela, soffrendocela così com'è, momento per momento;rimanendo attaccati alla nostra posizione, al nostro respiro, tranquillamente; lottando e nellostesso tempo, sapendo che non è una questione di vita o di morte, anche se in qualche momentoci stiamo giocando tutto noi stessi; viverla su questo equilibrio; sapere che è un gioco ma nellostesso tempo sapere che investiamo tutto quello che abbiamo.

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4 giugno 1995 (domenica mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Chi viene per la prima volta ad una sesshin potrebbe essere autorizzato a pensare che i Maestrisono dei grandi bugiardi. Un pó come i politici che promettono e non mantengono le promesse.Quest’illuminazione che dovremmo realizzare immediatamente, a portata di mano di tutti gliesseri, sembra irraggiungibile anzi aumenta la confusione, abbiamo più male di quanto neavevamo prima. Se noi vedendo un ballerino o un musicista o uno sportivo esprimere la propriaarte e vedendo la leggerezza, la facilità con cui compiono delle azioni così difficili, pensassimo chesia facile imitarli sbaglieremmo. Dietro la facilità di esecuzione di questi artisti ci sono ore, giorni,mesi, anni di continuo allenamento. Ho citato il chitarrista che continuava ad allenarsi malgradoavesse 80 anni, proprio perché la facilità di fare delle cose può essere un dono che qualcuno ricevema che poi deve essere continuamente allenato.Certo noi non stiamo panando di fare bene delle azioni, non è detto che i Maestri illuminati sianoanche dei bravi artisti, potrebbero essere delle persone goffe che non sanno neppure camminarebene. L'Illuminazione risiede, addormentata e risvegliata anche nel corpo di persone paralizzate.Dobbiamo capire che ogni strada che intraprendiamo va percorsa imparando a camminare. Cisono delle regole, delle conoscenze da apprendere da cui non possiamo scappare. Anche queimaestri del passato che senza alcuna pratica sono riusciti ad ottenere l'illuminazione, dopo hannodovuto fare tutto quello che gli altri avevano fatto prima perché, altrimenti, non avrebbero avutogli strumenti per trasmettere, per rendere partecipi gli altri di quello che avevano realizzato.Quando abbiamo realizzato la "natura di Illuminazione" possiamo ben dire che non c'è bisogno difare meditazione, tanto c'è, l'abbiamo vista, noi l'abbiamo realizzata.Siamo alla fine di una sesshin che, come tutte le altre, ci ha messo di fronte alle nostre debolezzee, in certi casi, alla fiducia nell'insegnamento e alla fede in noi stessi, alla fede che ci fa capire chepossiamo ottenere, realizzare l'Illuminazione.Ognuno ritornerà a casa e in ognuno, in qualche modo, o è stato piantato un seme o sono fioritidei fiori o si sono distesi dei rami di questa grande pianta che dobbiamo far crescere perché diafrutti non soltanto per noi ma per tutti gli esseri.Buon viaggio.

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SESSHIN LUGLIO 1995

2 luglio 1995 (domenica sera)

SESSHIN KOKUHO

Abbiamo davanti a noi la prima delle due grandi sesshin di Scaramuccia e durante questasettimana dovremmo, secondo quanto abbiamo deciso prima di venire qui, lavorare assiduamentee con determinazione alla scoperta della nostra realtà che è poi la Realtà Ultima.Sicuramente è lo sforzo più grande che ogni essere umano possa fare; sicuramente è lo sforzo piùimportante e più Umano che si possa fare eppure, quando ognuno di noi deve decidere di farlo,tutta la voglia, la curiosità, il desiderio, che sono superficiali, scompaiono e di fronte a noi rimanesoltanto il pensiero: "Sarà per un'altra volta!". Non esiste un'altra volta. La "volta" della nostra vitaè "adesso", proprio adesso, in questo istante, in questa sesshin, in questi giorni da trascorrereseduti in meditazione o lavorando o mangiando o scontrandoci con il KOAN.Non ci facciamo sfuggire questa convinzione! "Adesso" in questo momento, noi siamo allascoperta della Realtà. Una volta che abbiamo compreso questo "Adesso" la più grande parte delcammino è fatta perché, immediatamente, si risveglia quella fede in noi stessi e nelle nostrecapacità che ci mostrano come il cammino, anche se talvolta è faticoso, ripido, difficile,incomprensibile però è lì; un passo dopo l'altro stiamo già camminando, siamo già nella via, siamogià la Via.Avremo tanto da meditare; sei giorni sembrano pochi e sembrano volati via quando siamo arrivatialla fine; tuttavia in qualche momento di questa settimana, anche un minuto sembrerà eterno.Cerchiamo di vivere il tempo che passa veloce e quello che non passa mai, sempre con la stessadeterminata fermezza che ci fa credere fermamente in noi stessi e nel fatto che "Adesso", qui, inquesto istante, noi siamo.

3 luglio 1995 (lunedì mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

Da quando nasciamo vediamo trasformarsi il mondo intorno a noi un pó per volta; conosciamosempre più le persone e gli oggetti, le leggi che muovono il mondo, in maniera graduale fino allanostra maturità. Però ci sono delle volte, prima della maturità e dopo, in cui abbiamo dellecomprensioni immediate che non dipendono da qualche causa specifica o altre che invecedipendono da cause specifiche: uno studio, una conoscenza, un viaggio, anche meditare, fanno sìche avvengano queste trasformazioni in noi e nel nostro modo di vedere il mondo.Ogni volta che ci sediamo, non soltanto la prima volta, possiamo entrare nel mondo e trasformarlocome noi vogliamo; poi, ognuno di noi decide se rimanere in quel mondo trasformato o continuarea lasciare che il mondo trasformi noi stessi.Quando ci sediamo sul cuscino avviene qualcosa di cui noi non siamo completamente consci eattraverso lo stare seduti sul cuscino prendiamo a poco a poco consapevolezza di quanto avvienetanto che, poi, quello star seduti o camminare o agire in qualunque altro modo, perdono la loroseparatezza e si confondono. Sedersi, camminare, mangiare, dormire, tutte queste azioni entranoafar parte del mondo della meditazione.

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3 luglio 1995 (lunedì sera)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

15 Settembre 1980

Domanda: In meditazione, quando cerco di stabilizzarmi nel punto al di làdella mente, c'è l'oscurità, il nulla, il vuoto. Non mi piace quello stato.Maharaj: Non vedi? Sei ancora là. Prima di stabilizzarsi nel Sé, ci sono ancoratracce della mente.Questa macchina è una macchina che si genera da sé; quando entri in quellol'impeto aiuta a chiarire tutti i dubbi nella tua mente. Questa è esclusivamentela tua conoscenza, quella che gioirai maggiormente, poi tutte le tracce dellamente verranno sradicate completamente.Questo è lo stadio in cui sei e non sei, è il confine. Nel momento in cui sai diessere, c'è la dualità; quando non sai di essere, sei perfetto, ma deviattraversare questo processo.Nel sonno profondo non sai di essere, ma quello è uno stato più grossolano.Devi recedere in quello stato di non-conoscere mentre sei in questo statovigile.Che cos'è questa capacità di conoscere? È il timbro o la registrazione dellaprenotazione "Io sono". Stai prenotando un appartamento in costruzione, madov'è quell'appartamento? C'è soltanto la prenotazione. Analogamente,questo "Io sono" è solo una prenotazione, rappresenta il tuo stato Assoluto.D: Cosa ti dà il coraggio di trascendere in quel nulla che sai essere là?M: La tua profonda spinta a comprendere il Sé. Recedere significa soltantoandare all'interno; la tua normale inclinazione è uscire attraverso i cinquesensi e vedere il mondo.Ora inverti: io non sono il corpo, non sono la mente, non sono i sensi; adessosei stabilizzato nella coscienza. Dopo esserti stabilizzato nella coscienza, tuttele altre cose accadono automaticamente.Ti espandi nel manifesto.Io ero, sono, sarò in quello stato originale prima che arrivasse I' "Io sono".Perché il terribile nome di questa malattia non ha effetto su di me? Per lasemplice ragione che ciò che sono non ha nulla a che fare con quello di cui lamalattia è semplicemente un nome.D: Cosa pensa Maharaj di tutte le differenti religioni?M: Per quanto mi riguarda tutte le religioni sono basate su concetti edemozioni. Quelle emozioni sono così violente e coinvolgenti che alcuni si sonoperfino immolati.Diventare uno con un'altra personalità, emotivamente può essere cosìefficace da far manifestare il marchio della crocifissione sul corpo di coloroche si sono identificati con Gesù Cristo.Tutte queste esperienze sono totalmente inutili. Un individuo si è identificatocon un altro individuo e a meno che l'individualità non venga abbandonata, la

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Realtà non può mai manifestarsi. Non ripetere ciò che hai udito come unpappagallo, a meno che tu non abbia la stessa convinzione che ho io.Conosco il mio stato prima che arrivassero il corpo e la coscienza, ne ho laconoscenza, ne ho la consapevolezza.Il semplice ascolto di queste parole non basta, devi essere uno con lacoscienza. Non considerare quella conoscenza "Io sono" come insignificante,perché è la forza stimolante del tuo intero universo.Le espressioni della coscienza sono senza limiti; se entri nelle espressioni saraiperduto. Abbandonati e sii uno con la tua coscienza, e la tua coscienza timostrerà il processo attraverso il quale può essere dissolta.

TEISHO

Qui ci sono tre brevi domande e poi parla sempre Nisargadatta e dà dei giudizi. Anche a me,nell'ultimo Notiziario, è venuto di dare dei giudizi su dei poeti ormai morti. Uno potrebbe dire:"Eh! Quelli sono morti non possono rispondere, non sta bene prendersela con persone che nonpossono più dire la loro!"Il fatto è che, Nisargadatta come quei poeti di cui parlo nel Notiziario, sono persone conosciute,hanno scritto, hanno parlato al mondo, hanno pubblicato poesie e libri per cui noi possiamo dire,in base a quello che leggiamo, se Nisargadatta va bene o è discutibile!Nisargadatta, a qualche quesito che gli pongono, risponde che lui parla solo dell'Assoluto e nondelle questioni normali delle quali si tratta con tutti gli altri, ma poi, ad un certo punto, alladomanda: "Cosa pensa Marahaj di tutte le differenti religioni?" dà il suo pensiero. Allora potrebbedire anche cosa pensa dei differenti partiti politici o delle differenti squadre di calcio perché, peralcuni, la squadra di calcio è più importante della religione. Allora ecco che bisogna in qualchemodo evitare di dare giudizi assoluti. Tuttavia ci ricaschiamo tutti, diventiamo tuttologi, siamo adare giudizi su qualunque occasione anche sul problema se le formiche sterili devono essereinseminate artificialmente o no.La risposta alla domanda sulle religioni è: "Per quanto mi riguarda tutte le religioni sono basate suconcetti ed emozioni". Su che altro dovrebbero essere basate? Se fossero basate su provescientifiche e sondaggi televisivi sarebbe meglio? Se noi siamo fatti di emozioni e di pensieri èovvio che ci basiamo su quello di cui siamo fatti. Uno non può dare sempre giudizi. Dice: "Quantoci metti ad andare da qui ad Orvieto?" "A piedi? Se si tratta di andare a piedi ci metto un'ora emezza, due ore. Se vado in automobile sarà un altro tempo!" Ma non ce la possiamo prendere conuno che ci mette due ore a piedi perché è troppo; è una persona non è mica un giaguaro che correa 110 Km/h. Così è tutto il resto! Noi siamo fatti di concetti ed emozioni ed allora è ovvio che lareligione ha presa su di noi proprio perché siamo fatti così; se fossimo fatti di spirito puro, lereligioni non avrebbero presa su di noi.Comunque sia torniamo indietro c'è un punto molto interessante che parta della meditazione.Domanda: "In meditazione, quando cerco di stabilizzarmi nel punto al di là della mente, c'èl'Oscurità, il nulla, il vuoto. Non mi piace questo stato."Che cosa vorrebbe trovare? Si può mettere uno in meditazione sperando di stabilizzarsi nel puntoal di là della mente che vuole trovare? Cosa vuole trovare? Un mare calmo? Dio con la barba chegli dice: "Bravo ce l'hai fatta!"? Le odalische dei Mussulmani? Che deve trovare? Come fà uno amettersi in meditazione sapendo a che punto arriverà! Non c'è bisogno che si metta inmeditazione se già sa dove vuole arrivare; oppure come fa a sapere che quello a cui arriva non èquello giusto! Se uno attraverso la meditazione raggiunge uno stato che non conosce può darsiche abbia trovato lo stato giusto cioè quello che non riusciva a raggiungere in una condizione

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normale. Qui la risposta è un pó strana. Solo che ci sono delle puntualizzazioni di Nisargadatta chesono interessanti: "Nel momento in cui sai essere, c'è la dualità; quando non sai di essere, seiperfetto, ma devi attraversare questo processo."Secondo me ci sta pure uno stadio in cui uno sa di essere senza che ci sia la dualità. Di questo terzostato Nisargadatta non parla eppure Nisargadatta stesso dice: " IO SONO. Perché il terribile nomedi questa malattia non ha effetto su di me? Per la semplice ragione che ciò che sono non ha nulla ache fare con quello di cui la malattia è semplicemente un nome."Cioè Nisargadatta afferma, più volte non solo in questa occasione, di essere in uno statocompletamente trascendente; allora come fà a parlare di questo stato?Questo richiama un pó la frase famosa "colui che sa non parla, colui che parla non sa" che è verafino ad un certo punto; certe frasi affascinano per queste contrapposizioni che contengono (coluiche sta fermo cammina, colui che cammina sta fermo), sono così lampanti che uno si ferma edesclama: "Basta non c'è più niente da direi Inutile continuare a parlare perché è già stato dettotutto!" E invece non è vero, non è detto tutto; si può continuare a parlare perché altrimenti nonavremmo bisogno della parola.Maharaj dice: "Nel sonno profondo non sai di essere, ma quello è uno stato più grossolano." Allorasarebbe bastato che gli esseri umani non si fossero svegliati mai, fossero rimasti per tutta l'eternitànel sonno profondo dove non sanno di essere e dove non ci sarebbe stato bisogno di formarequesto mondo.Questo mondo c'è perché ci sono delle persone che sanno di essere e di non essere; che sonocapaci di essere nella vita sociale, nella vita relativa di tutti i giorni e nello stesso tempo di sapereanche che la vita, in fondo in fondo, non è soltanto questo. Prosegue Maharaj: "Che cos'è questacapacità di conoscere? È il timbro o la registrazione della prenotazione "IO SONO". Staiprenotando un appartamento in costruzione, ma dov'è quell'appartamento? C'è soltanto laprenotazione.Analogamente questo "IO SONO " è solo una prenotazione, rappresenta il tuo stato Assoluto".La seconda domanda è: "Cosa ti dà il coraggio di trascendere in quel nulla che sai essere là?" Certedomande! La traduzione pure non è proprio esatta! Maharaj risponde: "La tua profonda spinta acomprendere il Sé."Su "Paramita" n. 55 c'è un articolo di una studiosa della psicologia transpersonale, Laura BoggioGilot, che cita all'inizio del suo discorso una frase di Abraham Maslow che è uno psicologo che ioritengo molto interessante. "La vita umana non sarà mai capita se non si terrà conto delle sueaspirazioni più alte: lo sviluppo integrale, l'autorealizzazione, la ricerca dell'identità devono essereammessi come delle tendenze umane forse universali".Questo più o meno è quello che dice qui Nisargadatta: "La tua normale inclinazione è uscireattraverso i cinque sensi e vedere il mondo".Certo noi abbiamo questa spinta fondamentale che è quella di farci vivere nel mondo e nellostesso tempo, vivendo nel mondo, sapere il motivo per il quale siamo nel mondo è ritornare alpunto da cui veniamo; ritornare all'origine che è quello stato Assoluto di cui parla Nisargadatta ilquale si rifà al Vedanta come la psicologa citata prima. Continua Nisargadatta: "lo ero, sono, saròin quello stato originale prima che arrivasse I' "IO SONO".Segue una affermazione che dovremmo stare attenti prima di farla: "Diventare uno con un'altrapersonalità può essere così efficace da far manifestare il marchio della crocefissione sul corpo dicoloro che si sono identificati con Gesù Cristo. Tutte queste esperienze sono totalmente inutili."Se un essere umano si identifica con le sofferenze di Gesù Cristo e si sente addosso i suoi marchi èinutile? Se noi parliamo facendo riferimento a dei parametri di carattere materiale, sociale, deivantaggi e degli svantaggi è inutile? Sicuramente sappiamo che certe azioni sono svantaggiose ealtre sono vantaggiose. Ci sono dei paesi, delle tradizioni, delle culture per cui certe azioni sonoriconosciute come morali altre che invece sono riconosciute come immorali in altre.

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Perché Nisargadatta dice che qualche cosa è inutile? Tutto il mondo potrebbe essere inutile. Ilmomento in cui noi perdiamo qualunque attaccamento da qualsiasi condizione del mondo, tuttoquanto è inutile! Utile a chi?! Inutile perché? È inutile per noi? Ma se è. utile per altri? Certo cisono delle persone per le quali è inutile attaccarsi tutti i giorni ad una parete di roccia, perallenarsi perché probabilmente giocano a tennis; viceversa potrebbe dirsi la stessa cosa. È inutileper tanti studiare la filosofia quando devono guidare l'autobus; sapere la matematica non aiuta aguidare meglio! Ma non si può dire, in assoluto che qualcosa è inutile perché per alcuni sono tappeche portano. al superamento di altre tappe ed alla comprensione diretta di quelle tappe, dopo diche, nel momento in cui le hanno abbandonate, per quelli diventano inutili. Ecco! A questodobbiamo stare attenti. Questa mania che abbiamo tutti quanti di giudicare per cui,fondamentalmente, se avessimo deciso che fare l'esperienza del mondo era inutile, non saremmonati. Dal momento che siamo nati si vede che, chissà come, quando, dove, abbiamo deciso chel'esperienza di vivere nel mondo fosse un'esperienza giusta, bella, interessante per noi e,naturalmente, nel momento in cui abbiamo deciso di farla ci siamo assunti la responsabilità diaccettare quello che c'è, il bene e il male; viverla nella sua totalità di bene e di "male di utilità e diinutilità, di vantaggi e di svantaggi.Il momento in cui ci accorgiamo di questo (e cioè che siamo stati noi stessi a voler fare questaesperienza e che noi stessi possiamo uscire in qualunque momento della nostra vita) certopossiamo anche dire che in fondo è tutto inutile però nel frattempo dovremmo dire che è tuttoutile.

3 luglio 1995 (lunedì sera)

ESORTAZIONE DOPO SANZEN

Mercoledì scorso sono andato a Roma ed ho mangiato in casa di mia madre che abita al quartopiano in un palazzo della vicina periferia. Era molto caldo e malgrado ciò le finestre erano chiuse;ho chiesto a mia madre perché non le aprisse e lei ha risposto che era costretta a tenere le finestrechiuse perché altrimenti entravano degli uccellini a mangiare.A parte la riflessione su quelli che si preoccupano per l'estinzione dei volatili in Italia, questo mi hafatto pensare come sia forte la natura e così padrona di sé e come anche noi possiamo,considerando un episodio di questo genere, diventare più tranquilli.In fondo, e lo ripete anche Daito Kokushi, finché c'è una bocca ci sarà anche da mangiare. In fondosappiamo che, se vorremo, riusciremo sempre a trovare la nostra strada magari entrando nellefinestre delle case di città per andare a mangiare e, naturalmente, scegliendo le cose più buone.Abbiamo in noi, più degli uccellini, questa capacità di poter cogliere tutto quello che c'è di buononel mondo. Pensare a questi uccellini ci dovrebbe dare una immensa libertà; sapere che anche noipossiamo entrare ed uscire da qualunque situazione.Anche se le situazioni naturali, cioè volare da un albero all'altro o da una casa all'altra, non sonoalla nostra portata però possiamo volare con la nostra mente; possiamo entrare ed uscire, perchéè la nostra mente la causa della nostra felicità o infelicità, da qualunque situazione. Gli uccellinihanno le ali, è vero, ma noi abbiamo la nostra mente e, con la nostra mente, possiamo diventare oi padroni del mondo o anche le persone più schiave del mondo. Dobbiamo riconoscere questanostra potenzialità ed essere tranquilli. Nel momento in cui riusciamo a far nascere in noi questatranquillità che spesso abbiamo chiamato "fede in noi stessi", allora non ci saranno più barriere,altro che uccellini che vanno a mangiare nelle case!

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4 luglio 1995 (martedì mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

In questi giorni in televisione e sui giornali, c'è stato tanto parlare delle pensioni. Dopo tanti anniche non lavoro in un ufficio non ml rendo conto di quanti giorni di ferie ci siano per ogni impiegatolavoratore. Certamente tutti quelli che hanno un lavoro fisso programmano molti mesi prima leloro ferie e, soprattutto quelli che hanno impegni con le famiglie, debbono tenere conto degli altri:i figli, la moglie, il marito; devono centellinare i propri giorni di ferie: quelli da passare al mare conil bambino oppure in montagna; c'è chi va a sciare, chi fa i viaggi e in tutto questo deve mettercianche una settimana di sesshin probabilmente.Ci sono dei momenti in cui va di moda recarsi in un posto, oppure va di moda leggere libri cheriguardano le religioni, ed anche sulle riviste ogni tanto ci sono degli articoli che partano dellepratiche cosiddette spirituali, poi però, chissà per quali motivi, quelli che vanno a praticare siriducono sempre a pochissime decine.I pullman scaricano i pellegrini sul piazzale di S.' Pietro perché, dopo il viaggio organizzato dalparroco o dalle agenzie, quando si torna a casa si può dire che lì si è visto il papa, che si è stati a S.Pietro. Questo ci gratifica nei confronti degli altri soprattutto perché noi abbiamo fatto un viaggio,abbiamo visto qualcosa, abbiamo partecipato, eravamo là in mezzo alla folla quando la televisionefaceva vedere il Papa che parlava; qualcuno, se l'immagine fosse fissa, ferma, potrebbe anchericonoscersi. Nell'andare a praticare in una sesshin, di gratificante c'è veramente poco; è unviaggio che non sempre, o quasi mai, si risolve bene come vorremmo; senz'altro è unattraversamento di un tratto di deserto e alla fine della sesshin ci accorgiamo che stiamo dall'altraparte e ce l'abbiamo fatta ma che ci sia, alla fine, quell'illuminazione a cui aspiriamo è un altrofatto; è un altro problema e allora il Papa o chi per lui, andando a piazza S. Pietro si sa che c'è cosìcome ci sono le colonne della basilica, cosi come le fotografie che possiamo portare al ritorno acasa; da una sesshin le foto non si riportano per cui certamente attira poco sedersi per unasettimana in un posto solitario e senza televisione.Proprio questo, proprio per il fatto che quello che stiamo facendo attira poco, dovrebbe rendercipiù consapevoli e più fermamente convinti che stiamo facendo quello che veramente vogliamofare e stimolarci a viverlo nel modo migliore possibile.

4 luglio 1995 (martedì sera)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

21 Settembre 1980

Maharaj: Tutto quello che uno fa è per la continuazione della coscienza, maper me non c'è nulla che vorrei continuare. Venite qui come individui che siaspettano di ottenere qualcosa da me, ecco dov'è l'errore. Non c'è unindividuo. cosi. come posso fare qualcosa per un individuo che non esiste? Lavostra vera natura non è in alcun modo diversa dalla mia. Questoavvenimento è semplicemente un avvenimento che è giunto e se ne andrà.

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Se uno sente di dover orinare, semplicemente deve orinare, non è qualcosa didiverso per ciascuno: è un processo a cui tutti sono soggetti. ma voiconsiderate ogni cosa come qualcosa che accade a voi come individui.Domanda: Come posso comprendere quello che Maharaj mi sta dicendo?M: Per comprendere ciò che sto dicendo è necessaria la discriminazione. Èsoltanto dopo l'arrivo della coscienza che cerchiamo di comprendere noistessi. La coscienza è la cosiddetta nascita; nascita significa i tre aspetti: lostato di veglia, il sonno profondo e la conoscenza "lo sono". Una volta che sicomprende cos'è questa nascita. allora l’intero mistero è risolto.Poiché ho conosciuto accuratamente che cos'è questo principio della nascita,conoscerò molto bene l'avvenimento della cosiddetta morte, osserverò ladipartita del respiro vitale, del linguaggio e dell'"Io sono"; la questione dellamorte non si pone.Se io comprendessi proprio in questo istante che il mio respiro vitale se ne staandando, non lo arresterei, non direi: "Fermati. aspetta un po'," perché somolto bene che non c'è alcuna utilità nel mantenere questo respiro e la forzavitale.Sono venute e se ne sono andate innumerevoli dissoluzioni, ma nel mio verostato eterno io non ne sono toccato. Prima di questo stato d'esperienza eroperfetto sotto ogni aspetto, ma con l'arrivo di questa esistenza è iniziatoquesto stato imperfetto e ne ho abbastanza.Se realmente volete la pace eterna, non preoccupatevi per nessun altro,preoccupatevi del vostro stesso sé, investigate soltanto sul vostro stesso sé.Chi vi darà la pace eterna? È soltanto quel sole, quell’ "Io sono". Seabbracciate il sole splendente del Sé, ogni altra cosa se ne andrà, ma voiprevarrete eternamente. Investigate fino in fondo. Con quale autorità potetesostenere voi stessi? In quale misura potete prolungare la vostra vita?Dovreste realizzare che l'esistenza non è indipendente, ma che dipende daqualcosa. Quando investigherete, arriverete alla conclusione chevoi, l'Assoluto, non dipendete da quell'esistenza.D: Se I' Atman è sat-chit-ananda (essere-coscienza-beatitudine), che cos'èParamatman?M: A tempo debito, sat-chit-ananda diventerà il Paramatman, Sat-chit-ananda è I' "Io sono" e in sé è uno stato di beatitudine, uno stato d’amore;ma, finché c 'è la coscienza, è uno stato d'esperienza e la coscienza c'è fino aquando è disponibile il corpo: è uno stato limitato nel tempo. Dovetetrascendere lo stato sat-chit-ananda.D: Dovrei stabilizzarmi nell' esistenza o dovrei fluire con i pensieri?M: Se rimani nell'esistenza. i pensieri diventeranno sempre meno. Se daicorda ai pensieri, questi si moltiplicheranno. Resta soltanto nell'esistenza.

TEISHO

Ho letto recentemente un libro interessante di Thomas Bemard, austriaco, si intitola "AntichiMaestri". Lo scrittore, pana in continuazione di quello che gli dice un certo Regher, un tipo che hapassato 40 anni della sua vita, tutti i giorni, o un giorno si e uno no, di fronte ad un quadro delmuseo principale di Vienna, un quadro del Tintoretto "L'uomo con la barba bianca". Questo

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Regher pana di tutto, parla della religione, dei filosofi, degli scrittori, dei viennesi, degli austriaci,dei tedeschi e odiatutti; in continuazione torna la frase: "così Regher" "questo ha detto Regher".Possiamo dire lo stesso di Maharaj: "così Maharaj" voltiamo pagina chiudiamo il libro e poiandiamo a fare una passeggiata perché ha detto tutto. "Così Maharaj" e poi?Mi ricordo quando ho conosciuto Krishnamurti (una volta sono andato ad ascoltarlo in unappartamento di Roma, ma questo non si può dire conoscenza) attraverso i suoi libri e, aripensarci, già io, prima che lo scrivesse Thomas Bernard, dicevo "così Krishnamurti".Ci viene spesso da dire, di molti maestri che parlano e che insegnano e che in qualche modoaprono la strada agli altri o cercano di farlo: "così il Maestro" e poi? Oggi si può assumere, quelloche dice Maharaj e farlo nostro? Quando Maharaj dice: "Dovreste realizzare che l'esistenza non èindipendente, ma che dipende da qualcosa. Quando investigherete, arriverete alla conclusione chevoi, l'Assoluto, non dipendete da quella esistenza".Le asserzioni, come noi abbiamo avuto occasione varie volte di dire durante la pratica del Koan,non sono la risoluzione del Koan. Asserire una verità non è sufficiente perché venga risolto il Koan,venga data la risposta che deve essere data. Sappiamo che pur dicendo le parole giuste, quelleparole spesso non sono sufficienti ci deve essere qualche altra cosa, ci deve essere la trasmissionedell'esperienza che viene dalla comprensione reale, profonda, di quanto stiamo dicendo. Per cuipossiamo sentire 200 milioni di Maharaj che ci dicono. "voi, l'Assoluto" che intanto noi non cisentiamo mai l'Assoluto. Noi stessi possiamo andare nella stanza del Koan e dire "lo, l'Assoluto" enaturalmente quello che sta dall'altra parte fa: "Ahi si? Non lo sapevo! Se è così io sono il relativo!Piacere di conoscerla". Perché tra il dire agli altri di essere l'Assoluto o dirlo a noi stessi, ed esserloin effetti c'è molta differenza. Di questi libri di Nisargadatta spero che se ne vendano molti perché fondamentalmente sono belli,sono importanti e sono sicuramente il risultato di una esperienza illuminante per tutti; peròrimangono soltanto delle parole che debbono essere confrontate con quello che noi siamo ingrado veramente di capire.Certo il fatto che Nisargadatta dica: "La vostra vera natura non è in alcun modo diversa dalla mia"non ci garantisce che il momento in cui noi, che stiamo ad ascoltare Nisargadatta, usciamo dallasua stanza ce lo ricordiamo! Siamo in grado di utilizzare questa nostra vera natura così come è ingrado di utilizzarla Nisargadatta? Oppure: "Se io comprendessi proprio in questo istante che il miorespiro vitale se ne sta andando, non lo arresterei, non direi: "Fermati, aspetta un pó", perché somolto bene ·che non c'è alcuna utilità nel mantenere questo respiro e la forza vitale."Noi abbiamo dei koan in cui viene chiesto di come siamo nel momento in cui moriamo e làappunto dobbiamo dimostrare che sappiamo morire! Ma poi sappiamo davvero morire? Ecco! Èquesto che ci dobbiamo chiedere ininterrottamente. C'è una comprensione intellettuale che noiriusciamo ad ottenere anche per mezzo della lettura dei libri di Nisargadatta e di quelli cheriguardano il Buddha o Rinzai o tanti altri; però quando noi stiamo seduti da soli sul cuscino,questa solitudine del cuscino è una solitudine nella quale noi abbiamo la comprensione che haNisargadatta? Siamo in grado di dire quello che Nisargadatta dice? Ci sentiamo noi l'Assoluto? Noidobbiamo essere fermamente convinti di essere l'Assoluto, ma nello stesso tempo questaconvinzione che noi abbiamo attraverso un ragionamento, attraverso la fiducia che suscitanoNisargadatta, il nostro Maestro, tutti i Buddhainnumerevoli del passato, se non la sperimentiamo da noi stessi, possiamo ripetere quante voltevogliamo davanti allo specchio "lo sono l'Assoluto, io sono l'Assoluto", che ci prende il sonno emagari nel sonno possiamo pure sognare di essere l'Assoluto. Mi ricordo una frase letta in un libro di Krishnamurti il quale in uno degli incontri che faceva aSaarinen in Svizzera, sotto grandi tende che mettevano per accogliere i suoi ascoltatori provenientida tutte le parti del mondo, disse: "Ma insomma sono 50 anni che dico sempre le stesse cose e

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ancora vedo le stesse facce! Possibile che ancora non abbiate. capito?" Certo gli doveva venire unsenso di scoraggiamento.Non vorrei essere severo perché uno che sente una musica che gli piace, una volta che l'ha sentita,non la deve sentire più? Si può ancora andare ad ascoltare Krishnamurti per il piacere di ascoltarloe non nell'attesa di capire qualche cosa! Però probabilmente, Krishnamurti non si riferisce aquesto fatto soltanto, si riferiva al fatto che dopo 50 anni come succede a Maharaj c'è qualcunoche gli fa la domanda: "Come posso comprendere quello che Maharaj mi sta dicendo?"Ciascuno dovrebbe fare come ha fatto Maharaj. Tutti sappiamo quello che ha fatto, sappiamo cosahanno fatto i Maestri che ci hanno preceduti, perciò anche noi non facciamo che ripetere perliberarci di questa ripetizione. Maharaj basta leggerlo! Noi siamo qua non perché non abbiamoaltro da fare; siamo qua, abbiamo lasciato i luoghi in cui viviamo, le persone con le quali viviamo,perché qui respiriamo un'aria che ci è salutare. Ci vuole l'aria salutare, perché questa ci disponebene e, in questa giusta disposizione, le parole di Nisargadatta possono attecchire bene. Una voltaattecchite, possiamo farle nostre; fatte nostre, tra le parole di Nisargadatta e le nostre non ci saràpiù differenza e allora, in quel momento, ci renderemo conto di quanto dice Nisargadatta e diquanto hanno detto tanti altri maestri; vediamo la non-differenza fra Nisargadatta e noi stessi e,nello stesso istante, la non-differenza fra noi stessi e l'Assoluto. È per questo che ci diamo tanto da fare.

4 luglio 1995 (martedì sera)

ESORTAZIONE DOPO SANZEN

Un quarto d'ora prima di venire nello zendo una persona che ha letto, di Scaramuccia sull'Espressoha telefonato chiedendo informazioni. Ci teneva a dire che pratica lo yoga da 15 anni, che già havisitato il monastero di Sezze, che ha comprato un libro sullo Zen (però ancora non l'ha letto) e checomunque non è al primo livello! È vero che abbiamo bisogno del metro e della bilancia perchéquando andiamo ha comprare qualcosa dobbiamo sapere quanto la vogliamo grande o piccola; èvero anche che il nostro sviluppo mentale e corporeo attraversa degli stadi e noi saliamo deigradini per arrivare ad una certa maturità, però dobbiamo anche cominciare ad essere sicuri delfatto che non tutto può essere misurato, per fortuna!Ognuno di noi sulla scena del mondo, recitando il suo ruolo, può penetrare completamente nelsuo ruolo e viverlo con soddisfazione ma, nello stesso tempo, comprendere che la vita non è tuttalì; capire che la comprensione non ha una scala graduata per cui non è automatico che capiamo dipiù se facciamo più ore di meditazione e partecipiamo a più sesshin. Certo se facciamo sempre iljikijitsuimpariamo a fare bene il jikijitsu, perché noi Se stiamo sempre in cucina sapremo fare bene ilTenzo, questo si! Ma che vuol dire? Che forse chi fa il Tai- Chi da 10 anni capisce il Tai-Chi? Puòdire che ha capito il Tai-Chi più di uno che lo fa da un anno? La forma certamente! Possiamosapere la musica solo perché noi suoniamo da 30 anni e un altro soltanto da pochi mesi? Certosappiamo suonare uno strumento, ma che centra questo con la musica? Questo è quello chedobbiamo capire profondamente.La comprensione che avviene attraverso la meditazione è questa: la comprensione non dipendedallo stile e dalla tecnica della meditazione; la meditazione è lo strumento che ci fà fermare che cifà capire che la comprensione c'è è basta!Capire è lì! Se noi meditiamo abbiamo il tempo per capire, per sapere, questa verità fondamentalecioè che il capire è là! Non dipende dalla meditazione.

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Questo è lo sforzo di liberazione che dobbiamo fare: ogni momento chiederci se stiamo lavorandoin maniera meccanicistica pensando che per raggiungere il sole dobbiamo mettere un mattonesopra l'altro come quelli che costruivano la torre di Babele con l'idea di andare più vicini al cielo;non serve a niente, il cielo si allontana sempre più. In fondo ad un centimetro di altezza dalterreno, già stiamo nel cielo.Se lo capiamo non abbiamo bisogno di costruire nessuna scala e nessuna piramide.

5 luglio 1995 (mercoledì mattina)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

Nei monasteri zen giapponesi, così come nella vita giapponese, c'è sempre stato un impegnoesasperato per non addormentarsi cioè non andare a letto quasi che, siccome nel buddismo siattende il "risveglio", si abbia paura di perdere questo "risveglio" se si andasse a dormire; perciòmeditazione fino a notte inoltrata e sveglia quando ancora non è giorno poi, durante il giorno,meditazione e bastonate per chi dorme. Questo è in linea anche con quanto il buddha Shakyamunidecise nel momento in cui sedette sotto l'albero della bodhi: non si sarebbe mosso fino alrisveglio.Questo sonno tanto disprezzato nello zen, forse, in qualche modo, è la via più semplice per capireuno stato in cui ci sia l'assenza di pensieri, l'assenza di attaccamenti, l'assenza di tutto quello di cui,nel buddismo in generale, si cerca di liberarsi; nel sonno sperimentiamo il ritorno ad uno statoprimordiale prima che cominciassimo a dire "IO", ''TU", "MIO", "TUO", "BELLO", "BRUTTO" e avanticosì. Questo nostro modo di vivere, antagonista, schizofrenico, di voler cercare la pace, la tranquillità, ilritorno all'origine e, nello stesso tempo, evitare in qualunque modo, quel mezzo così semplice,anche se temporaneo, che è il sonno che permette a tutti immediatamente, senza alcun sforzo,senza distinzione di qualunque tipo, di entrare, di sperimentare almeno per un momento (e cosìinconsciamente come appunto senza sapere di essere è anche illuminato) quella condizione che sicerca in tanti altri modi: con la meditazione con le preghiere, con i mantra. Attenzione! pensiamo al nostro modo di essere durante tutto l'arco delle 24 ore e a come, in uncerto qual modo, nel dormire facciano le prove di quel dormire "risvegliati" a cui tutti, tanto opoco, speranzosamente tendiamo.

5 luglio 1995 (mercoledì sera)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

24 Settembre1980

Maharaj: Quanti anni fa hai avuto il mantra da me?Domanda: Tre anni fa .M: La conoscenza che tu sei è Dio. Adora quello e un giorno realizzerai chenon sei un individuo. Realizzerai che sei la coscienza universale che non può

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soffrire: non ci sono dolore o piacere per quella coscienza e non la conosceraiattraverso !"intelletto, ma attraverso !"intensa meditazione.La meditazione verrà fatta da quella coscienza stessa. Meditare su qualcosa èdiventare quella cosa.lo sono pienamente stabilito in quello stato innato, tuttavia stosperimentando questo stato di molteplicità, che comunque non ha effetto sudi me.D: Qual è l’effetto di stare con Maharaji?M: Attualmente l'effetto sul cercatore è maggiore e se avete la purezza è piùrapido. Per l'impuro e l’ottuso è lento.Non sapevo di essere, ora so che io sono: questo è lo stesso "Io" con addossola coltre del conoscere. Fu così che l' Assoluto si trasformò in questo stato dicoscienza più grossolano, nello stato dell'apparizione. Io sono il Dio, io sono ildevoto ed io sono l'adorazione: è tutto lo stesso, un principio comune.D: Il santo di cui stavamo parlando e che era così irritabile, era un jnani?M: Si. Jnani significa conoscitore della conoscenza.D: Come poteva essere così irritabile se era un jnani?M: Nella coscienza manifesta avvengono tutte le attività, cosiddette buone ocattive, e nella coscienza manifesta era espressa l'irritabilità. Non puoiattribuire questa qualità tamasica ad un jnani, perché egli ha trasceso lacoscienza individuale.D: Va bene mangiare cibo non vegetariano?M: Finché senti di essere un individuo devi attenerti al codice di condotta cheti è stato prescritto. Una volta che sei la coscienza manifesta, la questionedegli obblighi o dei divieti non sorge. C'è qualcosa di buono o cattivo nellacoscienza universale manifesta? Assolutamente no. Ci sarà la fragranza deifiori, ci sarà la spazzatura; è tutto il gioco di questa coscienza. Il testimonedella coscienza non può entrare nel regno della coscienza.D: Supponiamo che la testimonianza cessi; questo sarebbe forse il samadhi?M: Supponiamo che ve ne andiate tutti: non c’è più testimonianza; io sonoancora qui, ma non ho nulla da testimoniare. In quell'esistenza c'è la dualità eavviene la testimonianza. Se la coscienza non è presente, l’Assoluto non puòconoscere Sé Stesso. Non c'è altro che l'Assoluto, perciò non c'ètestimonianza.D: Supponiamo che stia semplicemente osservando che tutte le azioni stannoavvenendo attraverso di me e che io non sto facendo nulla. È necessaria lameditazione?M: Quella è una sorta di meditazione, ma la giusta meditazione è quandomediti sul tuo Sé. Arrivi a quello stato quando ti svegli al mattino e osservi lacoscienza; quello è lo stato in cui mediti sul tuo Sé. Ora tu pensi che lacoscienza stia osservando la coscienza, ma la coscienza viene osservata solodalla piattaforma dell’Assoluto.

TEISHO

Ritroviamo in questo capitolo molto di quanto abbiamo avuto occasione di dire già stamattina e inqualche altro momento dei giorni passati. Il capitolo inizia con la domanda di Maharj ad uno deipresenti su quanti anni prima avesse ricevuto il mantra. La risposta è: "Tre anni". Poi Maharaj

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indipendentemente dalla domanda fà una asserzione dicendo: "La conoscenza che tu sei è Dio"sapere di essere Dio "Adora quello e un giorno realizzerai che non sei un individuo".Il mantra che dà Maharaj, almeno per quanto si può capire, è quello che ripete a se stessi: "lo sonoBrahman" "lo sono Dio" "lo sono l'Assoluto". E allora ecco che, rifacendosi al mantra, dice:"realizzerai che sei la coscienza universale che non può soffrire". Questo, che la coscienzauniversale non può soffrire, "non ci sono dolore o piacere per quella coscienza", si ritrova quandodice: "C'è qualcosa di buono o cattivo nella coscienza universale manifesta? Assolutamente no. Cisarà la fragranza dei fiori, ci sarà la spazzatura: è tutto il gioco di questa coscienza". Questoconcetto è la realizzazione di cui noi siamo alla ricerca, quello che vogliamo far sorgere in noi. Dire:"essere alla ricerca della realizzazione" può indurre nell'idea che uno stia camminando per arrivaread una certa meta mentre non è questo che veramente noi intendiamo, è quello che dicono leparole però ciò che si intende è: fare in modo che la Coscienza Universale sorga in noi e noi nediventiamo coscienti. Noi realizziamo in noi questa Coscienza Universale; quella che non puòsoffrire, quella per la quale, come diciamo nella Prajna Paramita "non esiste più paura, gli errori ele illusioni vengono allontanati e si arriva al Nirvana." Qui usiamo verbi di movimento (arrivare) masarebbe meglio dire "realizziamo il Nirvana".Nisargadatta mira sempre a questo punto fondamentale, vuole che coloro che gli stanno intorno,o attraverso il mantra o attraverso la sua presenza o attraverso la fede che devono sviluppare in sestessi, realizzino di essere l'Assoluto, lo realizzino esattamente come Nisargadatta.Stamattina una donna al telefono mi chiedeva della sesshin; si preoccupava del fatto che si dormetutti insieme e di non avere uno spazio per sé durante la giornata. lo gli ho detto che questo èfatto apposta; noi abbiamo il posto per costruire delle stanze, anzi avremmo anche potuto farlo,però vogliamo che ognuno rifletta se stesso nell'altro; capire che fra se è l'altro non c'èfondamentalmente, differenza; l'altro è me, io sono l'altro; questo non si capisce solo perché si statutti in una stanza però, senz'altro, noi abbiamo la possibilità, durante la meditazione, dispecchiarci negli altri e realizzare, talvolta, che gli altri siamo noi che stiamo seduti sia qua chedall'altra parte; siamo noi che camminiamo sia all'inizio della fila che al centro; siamo noi chestiamo qui ma anche nella stanza di sanzen.Nisargadatta spinge affinchè quelli che ·lo stanno ad ascoltare realizzino l'unità e non faccianoquella separazione che c'è sempre quando si va da un "saggio" e automaticamente si. Pensa"quello è un saggio, noi siamo quelli che non sono saggi, noi dobbiamo ancora praticare." Spessoquesti saggi non fanno altro che aumentare in noi questa idea di dover praticare per arrivare alloro livello. Non è questo! Noi, così come siamo, siamo esattamente come Nisargadatta. Non c'èdifferenza. Poi Nisargadatta dice che si può raggiungere il suo stato con la meditazione: "Fu così che l'Assolutosi trasformò in questo stato di coscienza più grossolano, nello stato dell'apparizione. lo sono il Dio,io sono il devoto, io sono l'adorazione: è tutto lo stesso, un principio comune. Poi stabilisce qual’èla giusta meditazione.Mi ricordo che una volta ebbi modo di dire che meditare è osservare il presente dal presente eMaharaj dice ora: "la coscienza viene osservata solo dalla piattaforma dell'Assoluto." "Arrivi aquello stato quando ti svegli al mattino e osservi la coscienza; quello è lo stato in cui mediti sul tuoSé." Il presente è lo stato dell'Assoluto; il presente che osserva il presente è l'Assoluto che osservasé stesso.Queste parole di Nisargadatta sono semplici apparentemente; sono come è giusto che siano; comesemplice era Nisargadatta, come era stato in grado di portare tutto alla semplicità, allanaturalezza. Però, come sappiamo, quando vediamo dei grandi artisti compiere un gesto semplice,ci rendiamo conto che è semplice perché loro sono dei grandi artisti; quando lo andiamo · a farenoi è un pó più complicato ma questo proprio è il bello, questa complicatezza che ci si presentadavanti, questo lavoro che c'è da fare, questa fatica di superare degli ostacoli. In fondo anche

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questo fà parte del gioco della vita, fà parte della nostra vita perché se capissimo subito alla fineche gusto ci sarebbe? Sapere che si può capire subito! Si diceva a Roma "Chi ha i cavalli nella stallanon si vergogna di andare a piedi:" Dobbiamo arrivare alla consapevolezza, ad una tale sicurezza innoi stessi da poter andare in giro a fare delle stupidaggini come tutti glia altri senza vergognarciperché sappiamo che il momento in cui vogliamo capire, possiamo capire. Chi sta andando a piedi,avendo i cavalli nella stalla, può decidere quando vuole di andare a predare la carrozza.

5 luglio 1995 (mercoledì sera)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

Nel libro "EREWHON", di uno scrittore inglese dell'ottocento, titolo che letto al contrario significa "In nessun posto" si parla del mondo dei NON-NATI, un mondo in cui la terra viene osservatadall'alto e ci sono delle persone NON-NATE che devono decidere di nascere in una certa famiglia.Allora vanno dal responsabile il quale gli fà dimenticare completamente il mondo da cuiprovengono.In questo libro di Samuel Butler si va molto vicino a quanto in effetti accade. Questo è un pómeccanicistico e poi in effetti non sappiamo come realmente accade ma certo il modo descritto daButler è il nostro stato, è proprio di quelli che si trovano a vivere in un mondo avendocompletamente dimenticato la propria origine. Butler non dice che i NATI vanno alla ricerca dellapropria origine, probabilmente quando muoiono tornano al mondo dei NON -NATI e per un pó,stanchi della vita che hanno fatto non gli verrà voglia di rinascere; poi si dimenticheranno di· tuttele fatiche fatte nel mondo e gli ritornerà la voglia di nascere come sempre succede in qualsiasisituazione ci mettiamo. In inverno aspettiamo l'estate, in estate aspettiamo l'inverno; quandosiamo stanchi vogliamo riposare, quando siamo riposati vogliamo lavorare.Riflettiamo su questo annebbiamento, su questo lavaggio del cervello che abbiamo ricevuto e checi situa, ovulo fecondato, nel grembo di nostra madre. Una volta usciti alla luce invece di ricordarciquello che siamo stati, ci carichiamo di tutto quello che vogliamo essere qua. Questa ricerca si fàsempre più complicata; impariamo ad accumulare invece di liberarci però, se non accumulassimo,che cosa saremmo venuti a fare?! Ecco la stranezza!Tornando al discorso iniziale, cerchiamo di capire come mai camminiamo all'interno di un tunnel incui, ogni tanto, c'è qualche finestrella che si affaccia sul mondo cosiddetto reale. Reale-REALEmentre noi siamo in una realtà che è quella del nostro corpo, dei nostri vestiti, della nostra fame,del nostro sonno; da queste finestrelle viene proprio la nostra frustrazione.Ricordo una frase di un maestro Zen cinese che dice: "Mah! Quel rompiscatole di Shakyamuni nonse ne poteva stare zitto? È venuto a sconvolgerci con la sua idea di uscire dal mondo di vita-morte!"Che cosa ha questo mondo? Il mondo è mondo! Ci sconvolge perché vediamo ma non tocchiamo;non riusciamo a fare nostro quel mondo che vediamo ·attraverso le finestrelle· e nello stessotempo, appena abbiamo visto che c'è questo mondo fuori non riusciamo ad apprezzare più ilmondo. in cui viviamo normalmente; invece, una volta che diventiamo capaci di entrare nelmondo reale-REALE, allora siamo anche capaci di apprezzare questo mondo in cui viviamo.Possiamo entrare o uscire come ci pare senza farci tante preoccupazioni.

6 luglio 1995 (giovedì mattina)

ESORTAZIONE DOPO SANZEN

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Fra qualche giorno andremo a scalare le montagne del gruppo del Monte Bianco; uno degli allieviche parteciperà al corso mi ha telefonato e mi ha chiesto se è tutto sicuro perché lui vuoleritornare a casa, non vuole morire. C'è altra gente di cui si legge ogni tanto sui giornali. Pocotempo fa, una persona che non ci saremo aspettati, ha deciso di suicidarsi. Ci sono questi dueestremi. C'è chi vede la morte anche durante azioni che dovrebbero portare gioia, anche secomportano fatica e patimenti però, fondamentalmente, andare a scalare una montagna è unpiacere, una gioia, una soddisfazione interiore e anche fisica, eppure c'è questa paura di morireche è nella profondità di ognuno di noi. Certamente una montagna così grande, così presente, cosìselvaggia fà venire dei pensieri di timore, che possa avvenire chissà che cosa; questo fà parte delgioco ed è bene che ci sia perché altrimenti si potrebbe esagerare e compiere azioni tropporischiose.Perché questa voglia di scalare le montagne e nello stesso tempo la paura che le montagnepossano uccidere? Basterebbe non partire se uno ha tanta paura! Nello stesso tempo noi, cosìattaccati alla vita, le nostre cellule in continua attività per rinnovare la vita e mantenere l'esistenzain noi e noi poi decidiamo improvvisamente o premeditatamente di smettere. In questi dueestremi sta tutta la nostra esistenza; sta quest'insopprimibile paura di lasciare quello a cui siamopiù attaccati e l'altro per cui l'esistere e talmente difficile, talmente pauroso da preferire la mortein quel momento ritenuta meno paurosa.Uscire dalle situazioni in modo da vedere chiaramente queste due situazioni esterne e vivere inequilibrio fra queste due; è la via di mezzo, senza lasciarci esageratamente impaurire dalla morte,anzi vivendola giorno per giorno, e senza farci esageratamente impaurire dalla vita, immergendocicompletamente in essa e vivendola, giorno dopo giorno, al nostro meglio. Non pensare alla mortein modo timoroso non pensare alla morte in modo che risolva tutto; la risoluzione è qua, adessonel fare quello che dobbiamo fare.

6 luglio 1995 .(giovedì sera)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

27 Settembre 1980

Maharaj: Tutta questa spiritualità serve solo a comprendere la vostra veranatura. Per raggiungere questo obbiettivo, l'intera questione sta nello scoprirecosa sia "essere vivi". Una volta che conoscete la vostra vera natura, alloraessere vivi non significa essere degli individui, ma semplicemente essere unaparte di quella spontanea manifestazione.Non c'è nulla da cercare. Ciò che dev'essere visto è il cercatore. Vedetel'immagine semplicemente così com'è. Tutti voi siete cercatori, allora ditemicosa state cercando.D: Si può raggiungere quello non con la meditazione, ma semplicementevivendo con gli altri nel mondo?M: Se non fai parte della manifestazione. puoi vivere? Conosci questo!Quando non sci conscio. i I tuo mondo non esiste. Tu sei conscio della tuapresenza e del mondo all'esterno, ma non sono due cose distinte. Comprendi

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questo. Il mondo può esistere soltanto se è presente questo apparatopsicosomatico.Se consideri questo apparato come te stesso, accetti la morte e muori. Il Jnanisa che questo è semplicemente un apparato e ne è separato. Avendocompreso questo, esegui il tuo lavoro felicemente. Ciò che accade èspontaneo e tutta l'attività fa parte della manifestazione nella sua totalità.D: Se la manifestazione è spontanea, c’è qualche ragione o qualche causa ditutte le azioni?M: Nel sogno vivi per cento anni, ma quando ti svegli quel sogno è durato solocinque minuti. Com'è accaduto?D: Maharaj collega a quel sogno l’avvenimento senza causa?M: La ragione fondamentale di tutta questa grande causa è che tu esisti,quindi scopri la natura di questo esistere. Tutti questi atti vengono fatti dalfiglio di una donna sterile. Sono tutti problemi della coscienza; scopri la radicedella coscienza.D: Come?M: Prendi per la gola quella coscienza. La coscienza concettuale per la golaconcettuale. Blandisci e corteggia questa coscienza basilare, essa sola puòsoddisfare la tua ricerca, non il tuo intelletto. A meno che quella coscienzanon sia compiaciuta, non puoi avere conoscenza. Io non ho mai conosciuto; seavessi avuto la minima conoscenza, sarei disceso nella prigione del grembo dimia madre? Qualunque cosa accada, accade da sola. Chi può avereconoscenza di ciò che esisteva prima del concepimento? Non c'è nulla daacquisire. Tu sei Quello.

TEISHO

E anche questo capitolo è uno di quelli forti di Nisargadatta. Sono tutti molto importanti; in alcunisi sente un pó di stanchezza, un pó di ripetitività, c'è poco da dire, i fatti sono pochi e sempre glistessi. I maestri non possono dire di più che: "conoscete la vostra vera natura, allora essere vivinon significa essere degli individui, ma semplicemente essere una parte di quella spontaneamanifestazione."Quante volte è stato detto, anche in questa, sala, ripetendo, le parole dei maestri oppure, nonpotendo fare a meno di dirle personalmente, di conoscere la propria reale natura? Veniamoapposta, metterci tutta la nostra intenzione, fermezza, applicazione. Questo è quello che diciamo sempre da quando c'è Scaramuccia, da venti, venticinque anni. Vienedetto da migliaia di anni; le parole sono sempre le stesse per cui anche Nisargadatta continua aripeterle. Le domande che gli fanno sono più o meno le stesse anche se, naturalmente, c'è qualchevariazione che lo induce a fare delle sottili differenze.Nisargadatta finisce dicendo: "lo non ho mai conosciuto; se avessi avuto la minima conoscenza,sarei disceso nella prigione del grembo materno di mia madre?"Qualunque cosa accada, accade da sola. Chi può avere conoscenza di ciò che esisteva prima delconcepimento? Non c'è nulla da acquisire. Tu sei Quello."Certe volte, per scherzare, a Roma si dice: "Ci sei venuto o ti ci hanno mandato?" Noi possiamopensare che ci siamo venuti. Nisargadatta, quasi quasi, dice che ce l'hanno mandato ma in effetti,probabilmente, la soluzione sta in un volerci essere venuto in senso generale non in sensoindividuale.Ognuno di noi legge sul giornale e vede che film fanno in un certo cinema e ci va; compra ilbiglietto ed entra. È quasi come se sullo schermo del mondo si proietti qualcosa e,

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automaticamente, noi ci troviamo ad osservarlo senza che da parte nostra ci sia lo sforzo di volerlovedere e, nello stesso tempo, però sentiamo attrazione per quella visione.Altro punto: "Il mondo può esistere soltanto se è presente questo apparato psicosomatico."Mumon Roshi ripeteva ad ogni teisho (io ero uno di quelli che durante il teisho dormivano di menosoprattutto all'inizio; poi, nel periodo in cui ero suo servitore e gli sedevo dietro e facevo una vitaun pó più faticosa, dormivo un pó anch’io) però ricordo bene che ripeteva spesso: "Ore NakerebaSekai Mo Nai. (se io non esisto non esiste il mondo)". E qua Nisargadatta dice: "Il mondo puòesistere soltanto se è presente questo apparato psicosomatico". Se io esisto, esiste il mondo, se ionon esisto il mondo anche non esiste. Andando avanti leggiamo: "Avendo compreso questo, esegui il tuo lavoro felicemente. Ciò cheaccade è spontaneo e tutta l'attività fà parte della manifestazione nella sua totalità." "La ragionefondamentale di tutta questa grande causa è che tu esisti, quindi scopri la natura di questo tuoesistere; scopri la radice della coscienza" "l'intera questione sta nello scoprire cosa sia ESSEREVIVI."Noi nella nostra pratica, questo è molto importante rispetto ad altre pratiche che pure hanno laloro fondatezza, ci basiamo sul respiro e il respiro ci permette quasi di immobilizzarci.Successivamente, quando pratichiamo i Koan Kensho, il respiro e in particolare l'emissione delrespiro fanno sì che comprendiamo di esserci cosmicamente. Ci accorgiamo non dell'esserci comecorpo, come parole o come sensazioni ma esserci come cosmo e di comprendere. Noicomprendiamo nel senso di avvolgere, o penetrare, l'essenza. Tante volte agli allievi, quando cominciano a frequentare le sesshin sembra che se loro continuanoa praticare sul respiro vengano trattati da seconda categoria e si affrettano a chiedere il Koan.Anche questo è giusto, perché no? Se c'è qualcosa di più da imparare è giusto che ci sia questodesiderio, però il desiderio c'è proprio, perché non si capisce bene. Poi proseguendo nella pratica,affinandola ci rendiamo conto che anche soltanto il respiro è sufficiente.Abbiamo detto questa mattina che il Koan è un'altra cosa (a parte il Koan Kensho che è di per séspeciale). Attraverso il respiro noi sentiamo di essere vivi; ma lo sentiamo non come quelli chehanno un incidente di macchina, saltano fuori e dicono: "per fortuna sono vivo!", oppure "Non misono mai sentito così vivo da quando sono arrivato in cima alla montagna" o "da quando hoattraversato il deserto a piedi!" No! Ci sentiamo vivi nel modo più vero; sentiamo di esserci.Essere vivi è un termine non esatto perché vivi significa antagonisti della morte, mentre invecesentire di esserci attraverso il respiro e il Koan del Kensho, ci dà la conoscenza di esserci e basta;nè vivi nè morti, esserci in una situazione in cui non esiste nè la vita nè la morte.

6 luglio 1955 (giovedì sera)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

Chiunque cominci a praticare zazen si chiede perché deve sopportare il male di gambe e di schienache la posizione a gambe incrociate fà venire. Anche chi osserva qualcuno scalare una montagnapuò chiedersi perché salire a piedi quando c'è la funivia o l'elicottero. Perché andare al largonuotando nel mare quando si può andare con il motoscafo o andare a piedi quando si puòadoperare l'automobile?La posizione di per sé ci permette di stare con la schiena dritta, bene appoggiati al terreno e, poi,attraverso la posizione statica, ma nello stesso tempo mentalmente dinamica, noi possiamoottenere una maggiore capacità di concentrazione. Il male che sopportiamo, anche lui ha una suafunzione, addirittura gli stranieri, ma forse anche i giapponesi, dicevano quando ero a Shofukuji iprimi tempi: "grande male, grande satori". "Grande", sia del male che del satori, non si sa stabilire

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quant'è, non si sa come misurarla questa grandezza. Questa capacità di resistenza che noiacquistiamo e, nello stesso tempo, la capacità di concentrazione che pure acquistiamo in una fasedi sofferenza, sono molto importanti; intanto mantenere la concentrazione quando abbiamo malesignifica essere capaci di non lasciarsi prendere dalle circostanze; nello stesso tempo si acquistaresistenza dicendo: "passerà! e se non passerà il dolore finirà il tempo".Se ogni volta che uno va a scalare una montagna e comincia a sentire fatica e vede il tempo bruttoo ha un pó di mal di pancia, dovesse tornare indietro per aspettare le condizioni migliori, nonscalerebbe mai; se ogni volta che andiamo ad un esame ci aspettiamo che sia tutto perfetto non lofaremo mai. Se possiamo osservare la nostra vita la vediamo cosparsa di queste prove in cuidobbiamo dimostrare la resistenza: resistere, aspettare. Resistenza significa anche pazienza equesta pazienza è fondamentale perché fà parte di quella qualità ancora più importante che è lafede; non tanto la fede che, stando seduti, succederà qualcosa ma la fede che siamo al postogiusto per cui, se abbiamo deciso di metterci seduti adesso, pur soffrendo di male alle gambe oalla schiena o alla pancia, sappiamo che tutto questo fà parte della prova che noi stiamo facendo;ci tocca, ce lo teniamo, potremmo anche andarcene, lo sappiamo, da tante situazioni peròcapiamo che è meglio rimanere; se ce ne andassimo dopo ci dispiacerebbe di essercene andati, ciabitueremmo a scappare dalle situazioni e non saremmo mai in grado di viverle fino in fondo.

7 luglio 1995 (venerdì mattina)

ESORTAZIONE DOPO SANZEN

Nella nostra scuola, ma anche nel buddismo in generale, da quando cominciamo a praticare, vienedetto che non c'è separazione fra noi ed il resto dell'Umanità. Imparare ad immedesimarsi, sentirsidi essere il respiro, l'aria, la montagna, le nuvole ed anche gli esseri umani che sono di fronte a noio lontani da noi. In questo modo, se noi siamo gli altri, come possiamo non amare, nonconsiderare gli altri come noi stessi? Una volta realizzata questa situazione, questo essere, nondovremmo più compiere azioni che possono nuocere agli altri, che possano togliere qualcosa aglialtri perché questo non lo faremmo mai a noi stessi.Eppure, a ben guardare, a noi stessi togliamo qualcosa. Agiamo sul nostro corpo, eliminiamoqualcosa dal nostro corpo per la sua salute o per altri motivi; talvolta per la bellezza o per vinceredelle competizioni. Come eliminiamo qualcosa dai nostri pensieri, dai nostri sentimenti; come noi,in qualche modo, facciamo violenza su noi stessi, su questo nostro corpo così ecco che diventaautomatico anche fare violenza, agire sugli altri, perché in fondo sono noi stessi.Questo ragionamento logico può portare a delle aberrazioni e in questo senso dobbiamo staremolto attenti; in tutto questo c'è una profonda verità e nello stesso tempo, agendo in manieraconseguente, c'è la possibilità di procurare del male intorno a noi. Dobbiamo realizzare profondamente in noi stessi, ad un livello non logico, questaimmedesimazione con l'universo e, a quel livello non-logico, lasciare che le cose avvengano comedebbono avvenire.

7 luglio 1995 (venerdì mattina)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

28 Settembre 1980

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Domanda: Perché c’è così tanta attrazione per il corpo da parte dell'"lo sono"?Maharaj: Quando si esprime come "Io sono" è già pienamente caricato diquell'amore di esistere. Perché nell'insetto, nel verme, nell'animale onell'essere umano c'è questo istinto di mantenersi in vita? Perché ilgermogliare della forza vitale, di questo "Io sono", è in se stesso l'istinto divivere, dell'amore di vivere. Quell'amore di esistere è la forza motrice primariadi tutte le attività della vita. Quando sarai la coscienza manifesta, scoprirai chesolo tu sei la molteplicità; che ti esprimi in tutto questo vasto mondomanifesto. Poi questo stato verrà trasceso e tu sarai nello stato nirguna: maqueste sono tutte tue espressioni, solo tue, come "Io sono".Ciò di cui sto parlando ora è più sottile e più profondo e molto difficile dacomprendere, ma se comprendi, il gioco è fatto. La coscienza è un aiuto perconoscere. Attualmente quella coscienza conosce sé stessa come corpo, manon dovrebbe essere così; la coscienza dovrebbe conoscere la coscienza privadel senso del corpo. Cerca di comprendere logicamente ciò che ti ho dettoripetutamente. Questo "Io sono" è il risultato del cibo che ingerisco. Ma io,sono il cibo? No, non lo sono, e non sono nemmeno il risultato del cibo. Tuttirealizzeranno questa conoscenza. Ma per ora sei preso da questa intimità conil corpo.L‘" Io sono" non ha una propria autorità: è una marionetta nel gioco deicinque elementi; è un risultato dei cinque elementi. Considera colui cheafferma: "lo non ero"; la sua posizione è sicura, stabile ed eterna. Qualunque cosa tu possa testimoniare, non rimarrà con te, è imperfetta. Coluiche riconosce che l'imperfetto è perfetto, è totale, non ha nulla da fare per SeStesso, perché è perfetto e completo in Se Stesso. Perché il Parahrahman puòpermettersi il lusso, o la sofferenza, di questo mondo manifesto? Perché per ilParahrahman tutto questo non esiste.

TEISHO

Maharaj seduto nella sua stanzetta, la mattina fa le sue cerimonie, mangiucchia qualcosa e poiaspetta, sta lì; arrivano i visitatori e cominciano a fare domande, solo domande sul sensoprofondo, sull'essenzialità, sull'essere. Sicuramente non parlavano di politica, nessuno si azzardavaa dire una barzelletta e tanto meno a parlare di calcio o di hockey su prato. lo che sono stato vicino a Mumon Roshi per un pó di tempo, mi ricordo che non parlava mai di zen,di argomenti attinenti alla pratica; anche lui era seduto, chiamava uno di noi assistenti per il tè;portavamo il té e ci diceva: "C’è solo questo? Non c'è un dolce o qualche altra cosa?" e noiportavamo i dolci, c'erano sempre dei dolci. Naturalmente ascoltavamo quello di cui parlavano:"Che belli questi fiori! Eh quest'anno il tempo è ancora un pó freddo! Le stagioni cambiano! "Glistessi discorsi che si fanno nei vagoni del treno. Parlavano, sembravano, almeno a me, personeche galleggiassero. Da Mumon la parola zen non si sentiva mai."Come stanno i figli (quelli del visitatore)?" e poi alla fine arrivava la richiesta. Il visitatore eravenuto per chiedergli o di andare a fare una conferenza o di fare una calligrafia o unaraccomandazione. Prima di andarsene ci lasciavano l'offerta per il maestro in un vassoio di quellilaccati, tutta avvoltolata nella carta e poi in un fazzoletto. "Arrivederci!" Quando andava bene,lasciavano anche la mancia per noi. Questi erano gli incontri di Mumon Roshi. Vediamo, invece, Nisargadatta sta lì proprio per lavorare. Quelli che vanno debbono farglidomande importanti, le stupidaggini lui non le vuole sentire.

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Ognuno, tanto più arrivati ad una certa età, è libero di fare come gli pare e per fortunaNisargadatta ha parlato di questi argomenti che sono arrivati a noi e che noi possiamointeriorizzare. Addirittura dice: "cerca di comprendere logicamente ciò che ti ho dettoripetutamente". Si è lasciato andare, sembra quasi che sia sfuggito a Nisargadatta che ha sempreparlato di una comprensione, che è oltre le parole, oltre la" logica, qui chissà perché, dice dipensare logicamente ed in effetti questamente che noi abbiamo, per quanto è possibile, è meglio usarla. Si dice che con la mente si arrivasolo fino ad un certo punto. Va bene! Intanto uno arriva fino a quel punto poi si affaccia e puòdarsi che veda qualcosa. Se non arrivasse nemmeno a quel punto che farebbe mai?Andando avanti dice: "Questo "lo sono " è il risultato del cibo che ingerisco. Ma io sono il cibo?"Eh! Questo ce lo possiamo chiedere tutti! Lui si risponde: "No, non lo sono, e non sono nemmenoil risultato del cibo."Ci sono alcuni appassionati di diete che invece dicono che noi siamo ciò che mangiamo e,probabilmente, hanno degli argomenti per sostenere ciò che dicono.Qui Nisargadatta va oltre (certo che chi mangia certi alimenti è un pó diverso da chi ne mangiaaltri, ma diversi solo a livelli bassi). Fondamentalmente noi esistiamo prima del cibo. Nel momentoin cui nostra madre è stata fecondata, in quell'ovulo fecondato, di cibo ce n'era poco. Quella erauna cellula. Quello lì chi era? Perciò Nisargadatta dice che quello non è il cibo. "Tutti realizzeranno questa conoscenza. Ma per ora sei preso da questa intimità con il corpo" edallora ti confondi e nel momento in cui dici "lo", l’”lo" rimane in questo corpo di carne. L’"lo Sono"non ha una propria autorità: è una marionetta nel gioco dei cinque elementi; è un risultato deicinque elementi." Quando noi siamo nell'ovulo, siamo ancora una cellula nella pancia di nostramadre, ancora non siamo neanche "lo sono"; in quel momento, appunto perché siamo costituitida questi cinque elementi, allora diventiamo una loro marionetta; sono loro che decidono tutto,non siamo noi.C'è gente che arriva a campare anche cento, centocinquanta anni. Ci sono quelli che si regolanocon l'alimentazione, col salutismo e così via, ma poi, ad un certo punto, i conti vengono regolati e ilcorpo, i cinque elementi si riprendono quello che avevano dato e se ne vanno. Nel momento in cuise ne vanno, se ne va anche questo "lo sono" non c'è più. lo sono che? Quando chiudiamo gli occhiper l'ultima volta dove sta questo "lo sono"? Nisargadatta dice: "Considera colui che afferma: "lonon ero"; la sua posizione è sicura, stabile ed eterna". Quell'"lo sono", prima di dire “lo sono", nonera quell'"lo sono". Se noi commettiamo un omicidio c'è un momento precedente di cui possiamodire: "lo, prima, non ero un assassino non avevo commesso questa certa azione; sono sicuro che"non ero".Il finale è molto importante. "Qualunque cosa tu possa testimoniare, non rimarrà con te, èimperfetta". Qui sentiamo bene che cosa dice sull'imperfezione, perché questa è una dellepochissime volte in cui Nisargadatta lo dice: "Colui che riconosce che l'imperfetto è perfetto," (noiabbiamo sempre sentito dire da Nisargadatta: "lo sto in uno stato che è al di là di questasituazione, libero dai cinque elementi, libero da tutti i condizionamenti ora dice:) "è totale, non hanulla da fare per Sé stesso, perché è perfetto e completo in Se Stesso. Perché il Parabrahman puòpermettersi il lusso, o la sofferenza, di questo mondo manifesto? Perché per il Parabrahman tuttoquesto non esiste". Esiste perché noi lo sperimentiamo tutti i giorni ma, fondamentalmente, nonesiste. Siamo noi che decidiamo quali abiti indossare, siamo noi che sappiamo che anchel'imperfezione è perfezione. Abbiamo dei precedenti illustri. Buddha dice che il Nirvana è Samsara,il Samsara è Nirvana. La Prajna Paramita dice che il vuoto è forma e la forma è vuoto. Questeaffermazioni contrastanti, nella nostra scuola ne abbiamo tantissime; non è che l'aggiunta diNisargadatta apporti qualcosa di nuovo però è importante che Nisargadatta riconosca che il viverenell'imperfezione è uguale al vivere nella perfezione. Fra perfezione e imperfezione non c'èdifferenza. Bisogna saperlo riconoscere! Quando uno si attacca alla perfezione, perché pensa che

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sia giusto attaccarsi alla perfezione dice: "Come si fà a non stare dalla parte della pace? Chi è che simette a dire è meglio la guerra?" Nessuno! Di questi tempi fanno spesso partite di calcio fra giudicie cantanti, fra giornalisti e attori, tutte partite per beneficenza. Qualcuno potrebbe dire: "Chestate a fare? Che ci prendete in giro? Per beneficienza tu sei contro la lotta all'AIDS? Sei contro lalotta ai tumori? "Siamo tutti dalla parte dell'onestà, siamo tutti dalla parte dell'efficienza, siamotutti per la pace.Però il Parabrahman può permettersi la sofferenza di questo mondo manifesto perché, per ilParabrahman, tutto questo non esiste. Pubblicamente non possiamo dire di essere dalla partedella sofferenza però, tra di noi, possiamo anche dirlo; non perché ci piaccia la sofferenza (finchèabbiamo questo corpo, se è possibile, cerchiamo di evitarla) però, sicuramente, c'è un momento incui ci rendiamo conto che la sofferenza è come una piccola tassa; è come quando uno compra lacarta dabollo per fare una domanda; fà parte della burocrazia dell'universo e qualche tassa ogni tantobisogna pagarla.

7 luglio 1995 (venerdì sera)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

C'è la tradizione a Scaramuccia, ormai da diversi anni, di scalare il monte Velino di notte,d'inverno. Notte e inverno sono due difficoltà che mettiamo insieme. È una avventura molto bella sempre diversa perché ogni anno è diversa la partecipazione, èdiversa la condizione della montagna. Ogni anno ci sono delle difficoltà da affrontare che non sonosempre le stesse. La notte cela, nasconde il sentiero, l'equilibrio ne risente e bisogna camminarecon molta attenzione.A Scaramuccia c'è anche la tradizione di sedersi, l'ultimo giorno di sesshin, durante tutta la notte eanche questa è un'avventura molto interessante, anche bella.Quando la viviamo certe volte non pensiamo che sia bella; anche il Velino, di tutte le ore che sicammina in salita non possiamo dire che siano tutte belle; alcune vorremmo che sparissero comevorremmo che un elicottero ci portasse prima in cima e poi giù in discesa a dieci minuti di stradadall'automobile.Anche qualche ora della notte della sesshin vorremmo che sparisse e ritrovarci a due minuti primadel suono dell'ultima campanella. La sesshin ha dei trabocchetti. In fondo ci veniamo apposta cosìcome andiamo al Velino, per imparare ad avventurarci nella notte e nel freddo dell'inverno,veniamo alla sesshin per vederci come siamo senza dormire. I ragazzi che stasera o domani seraandranno nelle discoteche non andranno per vedere se riescono ad arrivare fino al mattino, quelloè un problema completamente marginale. Non ci vuole niente ad arrivare al mattino bastacontinuare a ballare, basta continuare a fumare, a chiacchierare, a passare da una discotecaall'altra e il tempo se ne va via veloce. I ragazzi sono lì per divertirsi; inconsciamente, anche perloro, la vita prepara molti trabocchetti alcuni anche molto pericolosi.Anche noi, dove di pericoli per la nostra incolumità non ce ne sono, dobbiamo stare molto attentinon soltanto al fatto di non addormentarci, di tenere desta la nostra attenzione ma la sesshinripropone, apposta, alcuni problemi che siamo abituati ad incontrare nei luoghi del nostro" lavoroo in famiglia e proprio qui durante la sesshin dobbiamo riconoscere che sono dei trabocchetti, quidobbiamo mettere in atto le nostre doti di equilibrio, di attenzione per mantenersi in equilibrio;quello che non riusciamo a fare in città, almeno qui, che ci veniamo apposta, dovremmo impararea riconoscere questi trabocchetti e se anche qualche volta ci cadiamo dentro però lo facciamocoscientemente.

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Attraversare una notte di sesshin non è, come potrebbe giudicare uno dall'esterno, stare sedutiventi minuti, camminare dieci e via così; non è bere un tè e poi un altro e ritrovarsi alle quattro delmattino un Kin Hin dopo l'altro; non è solo questo.Stiamoci bene attenti.

7 luglio 1995 (venerdì notte)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

A Shofukuj il Junkey durava normalmente 40/45. minuti e si faceva, come facciamo noi, all'inizioun giro in un senso e uno nell'altro. Una volta, era già stato molto duro, il Jikijizu una volta fatto ungiro ne cominciò a fare un altro per cui si andò ancora avanti altri 20/25 minuti. Era un tipoparticolarmente perverso, amante della sofferenza che infliggeva agli altri pensando che, facendosoffrire così i monaci, chissà che gli succedeva! A Scaramuccia l'uso del Keisakù è sempre stato limitato ai casi, lampanti, di sonno e poi si èlasciato, a mano a mano, che ognuno decidesse da sé di farsi massaggiare la schiena. Perché, adifferenza di quanto avviene in Giappone, si pensa che le persone che vengono qui sianoabbastanza mature e se gli viene da dormire non lo facciano apposta; sanno che per dormirebasterebbe starsene a casa invece di venire qua anche se c'è qualche momento in cui sentono chedevono essere stimolati. In Giappone c'è l'idea che lo stimolo, all'interno dei monasteri zen,avvenga soltanto attraverso le bastonate perché la maggior parte di quelli che ci sono, non ci sonoper propria volontà ma, in molti casi, sono costretti a starci. La pratica della meditazione nei luoghi come Scaramuccia è il risultato di una convinzione matura.Nella nostra maturità viene la decisione di praticare; non ci veniamo perché i genitori, il medico, lasocietà, l'assistente sociale ci dice che dobbiamo andare a meditare. Prendendo atto di questofatto, l'uso del Keisaku è sempre stato così moderato.

8 luglio 1995 (sabato mattina)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

30 Settembre 1980

Domanda: Quando comprenderò ciò che Maharaj sta dicendo?Maharaj: Avverrà gradualmente, a causa di tutti i concetti. Devi liberarti daquesti e ciò prende tempo. Alcune persone cercano una conoscenza che siaaccettabile per la loro mente ed il loro intelletto, ma la sfera della mente edell'intelletto non è di utilità per ricevere questa conoscenza. Tutte le vostreesperienze e visioni dipendono dalla vostra conoscenza "Io sono" e questostesso io si dissolverà. Per questa conoscenza non ci sono clienti, non ci sonodevoti, perché essi vogliono qualcosa di concreto in mano. Ma quando lavostra capacità di conoscere sta per dissolversi, è possibile aggrapparsi aqualcosa'! Il tuo Guro ti dice che hai una vera identità, ma non è questa, èsenza forma, è Parabrahman. Quel Parabrahman non ha alcun dubbio, non ècondizionato da maya poiché, rispetto a Parabrahman maya non esiste.

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Quando ascoltate queste cose provate soddisfazione e con ciò, per lamaggior parte delle persone, la questione ha termine, esse non meditano suquesto ripetutamente, né cercano di scoprire quel principio che sta dietroogni cosa.Quando sarò dichiarato morto? Quando l’Atman avrà lasciato il corpo. Ma ionon sono quell’ Atman, dov’è la mia morte allora? Non sono influenzato dalcancro, perché qualunque cosa accada, qualunque sia l’esperienza, ioabbandono tutto questo all’Atman. Tutte le azioni e i frutti delle azioni sonoabbandonate all’"Atman dal Parabrahman, l’Assoluto. Non potete mai avereconoscenza circa il vostro Sé, perché il Parahrahman non può esseretestimoniato. Sapete ciò che non siete; ciò che siete non potete conoscerlo.

TEISHO

Qui andiamo nei massimi sistemi. Intanto questo interrogante si pone la questione che si pongonotutti gli allievi. Quanto ci vorrà per arrivare? Altri diranno: "quanto mi costerà fare tutte questelezioni? Se costa cinquanta mila lire l'ora, quante lezioni ci vogliono? Se mi finiscono i soldi prima?"Altri dicono: "Se mi finisce la forza? Se mi finisce la voglia?" E allora sapere prima il percorso dafare perché così si possono predisporre.Maharaj dice: "Arriverà gradualmente, a causa di tutti i concetti." Noi della scuola Un-Chi si dicevaquando ci immergevamo nella fontana, "noi siamo della scuola improvvisa; un tuffo e non ci sipensa più". Sarebbe auspicabile che avvenisse questo anche per quanto riguarda la comprensionema così non avviene.Il graduale è qualche cosa che attiene alla mente e al corpo, attiene alla nostra capacitàintellettiva, ma l'improvviso non può dipendere da questo e la comprensione non può esseregraduale. Nella gradualità ogni tanto ci sono degli squarci, dei lampi e non dipende per ognuno sepratica da un mese, un anno o dieci anni; per ognuno è diverso e per ognuno vale quello cheveramente vuole, perché non è detto che si voglia veramente capire ed allora: "Alcune personecercano una conoscenza che sia accettabile per la loro mente ed il loro intelletto" e certo chepossono fare? Se uno va avanti con la mente e con l'intelletto è ovvio che lo sforzo per luicomprensibile è quello che può fare con la sua mente e il suo intelletto. Dice: "Quello è unostupido e si comporta da stupido!" ebbene che dovrebbe fare? Se è stupido si dovrà comportareda stupido! Dice: "Guarda i tedeschi sono proprio tedeschi!" e allora che dovrebbero essere?spagnoli? L'italiano si comporta da italiano, perché quello sa fare.Poi però Nisargadatta dice qui: "ma la sfera della mente e dell'intelletto non è di utilità perricevere questa conoscenza." Allora nella nostra gradualità, nella nostra pratica, quotidiana,universale, mensile, annuale, che è graduale noi dobbiamo essere aperti perché nel momento incui entriamo in quella condizione di vuoto, di assenza di pensieri, di silenzio, di immersione nelrespiro e nel Mu, allora in quel momento non stiamo facendo qualcosa di graduale; si apre unaporta e si entra in un mondo in cui la gradualità si è fermata; la gradualità ci ha portato fino lì epoi, ora, siamo noi, qui, che ci destiamo e siamo consapevoli; abbiamo la comprensione che è oltrela mente e l'intelletto. Se non ci va di starci allora, come si diceva prima, cerchiamo la conoscenzache sia accettabile per la mente e l'intelletto.Ecco qual È tutto qui! Se noi Italiani ci comportiamo da italiani è normale ma, se vogliamo andareoltre la nostra italianità pur rimanendo degli esseri umani nati in questo paese chiamato Italia,allora dobbiamo liberarci da questo attaccamento e scoprire dentro di noi la nostra umanità che fàsì che continuiamo a comportarci da italiani per quanto riguarda il parlare la lingua, il mangiare edaltro, ma per quello che riguarda le cose essenziali, fondamentali, ci comportiamo da esseri umani

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che riconoscono l'umanità di tutti gli altri esseri e che riconoscono che non vi sono distinzioni suun piano che diciamo superiore ma comunque è diverso. Ecco!Qui ripete quanto diceva prima: "Quando ascoltate queste cose provate soddisfazione e con ciò,per la maggior parte delle persone, la questione ha termine, esse non meditano su questoripetutamente, nè cercano di scoprire quel principio che sta dietro ogni cosa." E va bene! Che glivogliamo fare? Gli esseri umani possono scegliere di fare quello che vogliono o c'è un'entità chedecide quello che devono fare? Un essere umano, il momento che decide di camminare per ilmondo, cammina secondo la propria libertà di scegliere, di essere imbranato o non, oppure cideve essere questo Parabrahman che dice di diventare come lui altrimenti non va bene e alla finedell'anno saremo bocciati? In questa contraddizione incappano spesso anche i saggi. Nisargadattapoi lo capisce benissimo da sé non glielo devo dire io. Ma vogliamo lasciar stare le persone che"non meditano ripetutamente, nè cercano di scoprire quel principio che sta dietro ogni cosa"?Vogliamo che tutte le persone siano libere di comportarsi nel mondo come vogliono cioè libere disoffrire o di non soffrire? Se uno sceglie di non soffrire è più intelligente di un altro? Dal punto divista della praticità certo! Pigliarsi una pietra in testa o starsene tranquillo su una sedia sono duecondizioni che, dal punto di vista della sanità del corpo e della mente, sono completamentediverse. A nessuno gli va di prendersi una pietra in testa; è meglio starsene sdraiati in una poltronaperò se, consciamente o inconsciamente, noi ci mettiamo in una situazione in cui sappiamo chealla fine andremo a prendere una pietra in testa, che cosa c'è di proibito in questo? Affari miei!Sono proprio affari miei perché altrimenti se io non avessi questa capacità di scegliere da mestesso quale tipo di vita devo fare sarebbe inutile nascere; facciamo tutti robot, tutti con lostampino, tutti buoni, bravi,illuminati e tutto finisce, non ci stiamo più.Adesso Nisargadatta si avventura sull'Atman ed io non lo seguo: "Non potete mai avereconoscenza circa il vostro Sé, perché il Parabrahman non può essere Testimoniato. Sapete ciò chenon siete, ciò che siete non potete conoscerlo."Questo lo diceva pure Montale. Avranno avuto più o meno la stessa età. Montale non raccoglieva isuoi adepti nella sua stanzetta però nella sua poesia che abbiamo pubblicato sul Notiziario diOttobre '94 diceva: “Non domandarci la formula che il mondo possa aprirti

Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

Diffidare di quelli che sono sicuri della propria verità! Certe volte anche diffidare di Nisargadatta.Sembra sempre così sicuro! Perché se siamo sicuri di tutto non va bene! Possiamo dire che non c'ègusto. Qualcuno potrebbe obiettare che io parlo da un piano in cui si rimane sempre al livello delgusto come quello della pastasciutta, del dolce, dei piaceri sensoriali! No, non è così, non è affattocosì! Sapere tutto prima non fa parte di questo mondo e se arriva qualcuno che sa tutto èopportuno diffidare. In fondo anche il Buddha, da noi tanto venerato, su certe questioni rimanevazitto. Lasciamo che ognuno se le vada a capire da sé, ammesso che valga la pena di capirle.

8 luglio 1995 (sabato mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Oggi siamo saliti ad Orvieto per andare a comprare il dolce in una pasticceria che lo fà più buono dialtre. Ho sentito che il salire in città, ormai che Alvise ha finito con la scuola, appartiene al passato.Per tanti anni, sette, per non parlare di tutti gli anni in cui abbiamo accompagnato i figli a scuola di

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musica o altro, abbiamo accompagnato i figli al liceo e adesso questo capitolo è chiusocompletamente.Un allievo ha scritto un biglietto, poco tempo fa, dicendo che ora che ha un figlio capisce e puòrispondere a chi gli diceva, criticando, che nel Notiziario si parlava troppo spesso dei figli. Di checosa si dovrebbe parlare? Parliamo di ciò che mangiamo, del libro che abbiamo letto, chi va inmontagna parla della montagna, chi va al mare parlerà del mare. I figli sono una metafora dellavita; sono qualcosa che appena nato affronta la vita, che si apre, cresce e poi, ad un certo punto,diventato grande, se ne va via, più o meno, per sempre.La sesshin è anche una metafora della vita. Gli allievi sono ugualmente, come i figli, il segno dellatransitorietà. Siamo buddhisti e uno dei cardini principali dell'insegnamento buddhista è latransitorietà. Transitori sono i figli, come sono gli allievi i quali se non fossero transitori nonsarebbero allievi. Allievo significa uno che impara e se non impara che allievo è? E se impara eccoche se ne va!Le sesshin cominciano e ovviamente finiscono. Ognuna è diversa dall'altra e ognuna si porta viaqualche cosa di noi anche se, naturalmente, veniamo per prendere. Se ripenso a quanti anni sonopassati, a quanti allievi sono passati, a quanto le sesshin hanno rappresentano per tutti noi, vedola sesshin come un fiore che sboccia per sette giorni; come un girasole che si rivolge verso la luceed è illuminato e matura; i semi dovrebbero essere utilizzati per le altre sesshin che continuanoininterrottamente per tutta la vita e in tutti i luoghi in cui trascorreremo la nostra vita.

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SESSHIN AGOSTO 1995

6 Agosto '95 (Dom. sera)

SESSHIN KOKUHO

Da questa sera staremo insieme per una settimana e in questo posto lo stare insieme a faremeditazione, lavorare, mangiare e dormire, si chiama sesshin, come in Giappone. Si potrebbechiamare in qualunque altro modo, ma ormai da centinaia di anni si usa questo termine e per noievoca un periodo in cui tutti insieme, metaforicamente strofinandoci gli uni con gli altri,rispecchiandoci gli uni negli altri, cerchiamo di arrivare al fondo di ognuno e trovare in questofondo, o in questa altezza, o in questa larghezza, come lo vogliamo mettere, la Realtà. Certe volteci vergogniamo di utilizzare dei termini così semplici e non sappiamo rispondere direttamente anoi stessi o agli altri su quello che realmente vogliamo dalla nostra esistenza. Però, se osserviamobene, non si può volere altro che capire la Realtà, capire cosa siamo essenzialmente, chi siamo,rispondere a noi stessi e, naturalmente, per camminare nel mondo sicuri e padroni della nostraesistenza.Prima di poterci ritrovare per una settimana, insieme, dovranno passare almeno undici mesi;questa settimana è molto importante. In tutti questi giorni, dopo un momento di difficoltà e dimessa a punto del nostro corpo e della nostra mente, possiamo veramente sperimentare quellatranquillità mentale sedendoci, o camminando, o lavorando, che ci permetta di osservarci. Cosìcome possiamo osservare la profondità del mare o di un lago calmo, possiamo osservare in noistessi, e per fare questo bisogna essere silenziosi. Cerchiamo di diventare silenziosi dentro di noi, eda questo silenzio verrà sicuramente la risposta a tutta la nostra ricerca.Non ci poniamo dei limiti, non diciamo a noi stessi di poter riuscire in una settimana dove altrimaestri del passato, famosi e venerati, hanno impiegato anni e anni di lacerazione. Tra noi, ilBuddha e tutti i maestri del mondo non c'è alcuna differenza. Possiamo capire in un istante, tantopiù in una settimana. Possiamo fare tutto, purché ci sia la volontà da parte nostra di volerloottenere e ci accorgeremo, durante questa settimana, che qualche volta questa voglia chedovrebbe essere così impellente, cede ad altre voglie molto più materiali. Non fa niente, momentidi crisi ci sono per tutti, cerchiamo di superarli in qualche modo.Allora mettiamocela tutta, siamo venuti apposta. Alcuni hanno fatto migliaia di chilometri perarrivare fino a qui. Come dice Kozen Daito Koiku: "Non sprechiamo il nostro tempo", cerchiamo diutilizzarlo tutto il più possibile.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 Agosto '95 (Lun. matt.)

Nella storia del Buddismo abbiamo esempi di persone che si sono risvegliate senza alcun bisognodi pratiche meditative o di altro genere, che, così all'improvviso, hanno compreso la propria realtàe la realtà del mondo, senza maestri, senza insegnamenti. Ma, normalmente, tutti gli altri esseriumani hanno bisogno di percorrere un cammino all'inverso, tornare indietro fino a ritrovare lapropria faccia - come dice un famoso koan - prima che fossero nati i nostri genitori. Chi è colui cheesisteva prima che i nostri genitori decidessero di unirsi per darci vita? E questo, attraverso tutti isecoli, è stato fatto per mezzo della meditazione: sedersi, quasi sempre a gambe incrociate, laschiena diritta, la colonna vertebrale nella sua posizione naturale, attenti alla respirazione, aipropri pensieri. E, come nella nostra scuola, per mezzo della meditazione rallentare i pensieri edentrare in un mondo

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che è prima dei pensieri. Se non entriamo in questo stato di prima dei pensieri, la nostra mentesarà sempre agitata e in questa agitazione sarà impossibile vederci chiaro. Per cui senza affanno,senza frustrazioni, senza aspettative, sedersi e osservare. Da principio osservare l'esterno e cioè inostri pensieri, quello che ci accade intorno, e poi, a poco a poco, vedere che l'osservazione va piùin profondità. Non c'è niente altro da fare.

Da “PRIMA DELLA COSCIENZA” ULTIME CONVERSAZIONI CON SRI NISARGADATTA NAHARAJ

1 OTTOBRE 1980

Maharaj: Il Sé è più sottile dello spazio. Non c'è nascita nè morte per il Sé.Non accettate ciò che vi dico ciecamente. Ponetemi delle domande. Scrutateed esaminate attentamente la conoscenza che espongo e soltanto alloraaccettatela. Vivete nella casa, ma voi non siete la casa. Analogamente, laconoscenza “Io sono” è nel corpo ma non è il corpo.Domanda: Non comprendo pienamente.M.: Con la mente non comprenderai mai. Tu non sei la mente, nè le parole, nèil significato delle parole. Io espongo la conoscenza del Sé al Sé, ma tu laaccetti solo come conoscenza del tuo corpo.Io sono completamente distaccato dal corpo e dalla coscienza che è all'internodel corpo. Tuttavia, a causa della malattia, l'insopportabile sofferenza delcorpo viene sperimentata attraverso la coscienza. È insopportabile, ma poichéio sono distaccato sia dal corpo che dalla coscienza, sono in grado di parlarti.È qualcosa di simile al ventilatore, c'è la brezza e c'è anche il suono. Allo stessomodo, c'è il respiro vitale e anche il suono che emana, ma tutto questoavvenimento è insopportabile. La sofferenza dev'essere sopportata. Quando la conoscenza "Io sono" non c'è,percepisci o osservi qualcosa? Il conoscere è conoscenza e il non conoscere èancora conoscenza, ma non ha forma. Sela consideri il corpo, solo allora affermi di essere un maschio o una femmina.In assenza della conoscenza, la questione io conosco o non conosco nonsorge. Quando comprenderai ciò che ho detto sulla conoscenza tiidentificherai pienamente con questa.Ho realizzato spontaneamente che sono cancellato dal libro della coscienza.Tu non ti sentirai felice fino a quando non gusterai te stesso attraverso il tuo.corpo. Il corpo ha importanza soltanto perché l'Io sono, la coscienza, vidimora.Se l’ "Io sono", o coscienza, non è presente, il corpo verrà scaricato come unrifiuto.Considera come il tuo Sé quella conoscenza "Io sono", non chiamare il corpoconoscenza.Normalmente i Guru non ti introdurranno al Sé così profondamente. Tiintrodurranno soltanto a tutti i rituali.La conoscenza "Io sono" è il Dio primario; medita soltanto su quello. Ora, sipotrebbe chiedere perché l'uomo abbia creato un Dio. Il concetto di Dio stanel fatto che se lo pregate, quel Dio vi darà ciò che volete. Un tale Dio ègrande. Crediamo che se Gli chiediamo qualcosa Egli ce la darà.

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TEISHO 7 Agosto '95 (Lunedì s.)

Ehhh, Maharaj, che cosa dice questa sera! Bè, pure lui deve fare il suo mestiere, e poi non va beneprendersela con uno che non può venire qui a rispondere. Poi, in fondo, quello che dice è quelloche i suoi ascoltatori, seguaci, si aspettano che dica.Però .... che fare? Qualsiasi cosa si dica, può arrivare uno che dice che è una stupidaggine. E,infatti, il Buddha sulle questioni fondamentali stava in silenzio. Possiamo stare in silenzio? Avendo le Parole? Avendo un corpo? Perché Nisargadatta se la prende tanto con il corpo? Allorase la deve prendere con le montagne, con i laghi, con il mare, con i prati, con i palazzi. Allora se ladeve prendere con il fatto di essere nato. Chi glielo ha detto di nascere se poi se la deve prenderecon il fatto di essere nato? Come ce la prendiamo con il fatto di essere sposati. E chi ce l'ha detto?Mica è obbligatorio! O col fatto di avere figli: anche quelli …! Col fatto di andare al mare quando civanno tutti. Col fatto di stare qui a gambe incrociate, e ci fanno male le gambe. E chi ci obbliga? Sesi tratta di parlare, allora uno può anche lamentarsi, dire: "Eh, se invece di essere sposato ….,potrei fare questo e quest’altro perché avrei più libertà. Oppure: “Se adesso che ci sono imoschini, o che mi fanno male le gambe, potessi sdraiarmi da qualche parte!” Ma tutto quello chenoi facciamo da quando siamo nati visto che siamo nati, su questo non può dire alcunchéNisargadatta, nè Buddha, né Gesù o chiunque, ce lo siamo voluto noi. Abbiamo voluto un corpobello o brutto, grasso o magro, forte o debole, dei genitori, un ambiente. Siamo nati negri obianchi, gialli o rossi, e chi ce l'ha detto? Andiamo a vedere. Se qualcuno viene qua e ci dice: "Ècolpa sua che mi ha fatto negro, o è colpa di quell'altro che mi ha fatto nascere nella Bosnia",allora potremmo trovarlo. Però qualcuno che sia venuto a dire che è colpa degli altri la nostranascita e la nostra vita, non lo troviamo. Siamo noi, noi uno per uno, che chissà perché ci andiamoa mettere nel le situazioni che per alcuni sono piacevoli, per altri sono fati cose, per altri sonodolorose, e così via, perché questa è la vita. E questa è la vita che dobbiamo viverci e non fare, inqualche modo, come Nisargadatta che si accorge del corpo soltanto perché è ammalato, sennòchissà dove starebbe! Sarebbe sollevato da terra? dieci centimetri sollevato da terra con gli angeliche gli fanno da ventilatore per rinfrescarlo, e gli danno il nettare del cielo, così non devemangiare nè bere. E allora è inutile avere il corpo, è inutile nascere.Intanto dice: "Scrutate ed esaminate attentamente la conoscenza che espongo e soltanto alloraaccettatela", e qua c'è da dire qualcosa. La domanda fatta subito: "Non comprendo pienamente",e come si fa a comprendere pienamente? Va beh, pure lui ci sta apposta, e deve fare le domande."Con la mente tu non comprenderai mai. Tu non sei la mente nè le parole, nè il significato delleparole. “Allora che è? Se noi andiamo al cinema, andiamo a vedere un film, dice: "Non lo devivedere con gli occhi, lo devi vedere con qualche altra cosa", con che lo devo vedere? Con gliocchiali, quelli che ti fanno vedere la tridimensione come si faceva una volta? Se mi devo bere unbicchiere d'acqua, come lo devo bere? Se noi siamo in una stanza e parliamo, senz'altro c'è unacomprensione che va aldilà delle parole, ma se usiamo le parole, attraverso le parolecomprendiamo quello che le parole ci dicono. Per comprendere oltre, nel modo in cui diceNisargadatta, dobbiamo stare zitti, in silenzio. Allora uno va da Nisargadatta, stanno tutti zitticome facciamo noi qua dentro, e poi le parole si fermano, i pensieri pure e poi, se uno vuole capirecapisce. Se uno vuole capire capisce: questo è fondamentale!Qualche giorno fa mi ha telefonato uno dicendo: "Ho letto tanti libri di zen, però ho capito che civuole la pratica". Allora gli ho detto: "Vieni a praticare!". E lui: "Eh, certo che è lontano!".Telefonava da trecento chilometri, lontano! "E poi, …. bisogna pensarci."Ognuno di noi capisce quello che deve fare, eppure non lo fa. E qui Nisargadatta dice che si capiscesenza le parole, però continua a parlare. Lui parlava tutto il giorno, dalla mattina alla sera, e

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diceva: "Non potete capire attraverso le mie parole". Attraverso che, allora? Stai zitto! Poiandiamo avanti e troviamo: "Tu non ti sentirai felice fino a che non gusterai te stesso attraverso iltuo corpo …. Normalmente i Guru non ti introdurranno al Sé così profondamente. Ti introdurrannosoltanto a tutti i rituali.” Questo anche è un problema molto sentito. Se noi leggiamo la Raccolta diLin-chi vediamo, certe volte, nei pellegrinaggi che Lin-chi fa, o anche quando va con il suocompagno, quello strano, un cameratismo in cui è sufficiente fra i due uno sguardo, una frase, unabattuta, e capiscono immediatamente tutto quello che c'è da capire. Tra il maestro e il discepolo, aun certo punto, il maestro è alla ricerca dello sviluppo del proprio discepolo fino a che si raggiungaquella specie di cameratismo in cui il maestro gli dice: "Hai visto? Hai capito adesso quello chec’era da capire?". Così, con uno sguardo, con una battuta, e quello capisce.Qui Nisargadatta se la prende con i Guru. E certo, anche se il maestro dice: "Guardate che è unastupidaggine fare l'illuminazione, basta girare l'angolo e si fa l'illuminazione", non è che i discepolici riescano. Però, nello stesso tempo, non si possono impedire ad un bambino le gioie e i dolori, ele esperienze che ci sono nella sua crescita. E allora, quando quello è arrivato a sei anni, checomincia a parlare bene e a capire bene, gli si dice: "Ecco qua, ormai sei grande, hai la laurea,adesso comincia lavorare, ti sposi, fai i figli e via."E quello risponde: "ma come! Io volevo giocare, volevo andare in prima elementare, conoscere,passare attraverso a tutte le altre esperienze, cominciare a conoscere ragazze e ragazzi, fare sport,fare viaggi, fare la vita studentesca, andare in motorino, o tutto quello che a un ragazzinopiacerebbe tare e, invece, già mi devo prendere la responsabilità: sposato, figli, via …., lavoro, ferieprogrammate, tutto quanto sistemato, otto ore al giorno in ufficio. Non è possibile!"Ecco, e invece Nisargadatta pretende questo, pretende che i Guru siano come lui: " Adesso basta,avete capito, non dovete fare più niente." A trentanni hanno capito, stanno fermi lì così fino aottant'anni quando muoiono, perché tanto a un certo punto muoiono tutti. Che fanno? Vivonosolle-vati da terra pure loro? Dovranno ritornare delle mogli o dai mariti, dai figli e da tutti gli altri,alle proprie occupazioni.C’è un attraversamento dell'esistenza che va compiuto da ognuno di noi e questo attraversamentodell'esistenza è una conoscenza, un apprendimento continuo. E nell'apprendimento c'è anche,poi ,il liberarsi di tutto quello che si apprende fino ad accorgerci che tutta la conoscenza che abbiamofatto in fondo non serve a niente, però è servita a farci capire che non serviva a niente. Questo èmolto importante. Soltanto chi è passato attraverso la fatica della conoscenza può rifiutare non lafatica che ha fatto, ma quella conoscenza, perché capisce che in fondo, in fondo, non c'è niente dacapire. Però deve fare tutta la trafila. È come uno che arriva in cima a una montagna e guardadall'altra parte. Si aspetta di vedere Shangri-la e invece vede una valle come quella dalla quale èpartito. Però deve andare in cima alla montagna, a meno che di questi tempi un amico va su con lavideocamera, ritorna e gli fa vedere. Ma normalmente in queste nostre pratiche quello che cifanno vedere con la videocamera non ci basta, vogliamo andare a vedere di persona. E perciò iguru di cui parla Nisargadatta in fondo svolgono la loro opera al loro livello e sono i gradini suiquali dobbiamosalire per poter arrivare a conoscere che non c'è niente da conoscere. Qui finisce con questadomanda: " Ora si potrebbe chiedere perché l'uomo abbia creato un Dio"; noi invertiamo: sipotrebbe chiedere perché un Dio, ammesso che esista, abbia creato l'uomo. È molto più semplicela domanda dell'uomo che ha creato Dio. Certo, è facile rispondere a questa, ma rispondiamo aquell'altra: "Perché Dio ha creato l'uomo?".

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ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 Agosto '95 (Lunedìs.)

In questi giorni si svolgono i campionati del mondo di atletica e Kiyoka, oltre che appassionata ditennis è anche appassionata spettatrice televisiva di atletica. Questa sera c'è stato un inglese, obritannico, che ha fatto il record del mondò del salto triplo: ha saltato più di diciotto metri. Esembra che questo record l'avrebbe potuto fare anche prima se la sua religione - non so benequale, cristiana penso - non gli avesse impedito di gareggiare di domenica. Non potendo perquesta proibizione religiosa gareggiare di domenica, il record l'ha potuto fare soltanto oggi. Vieneda sorridere leggendo come capita anche in altre occasioni di queste proibizioni. Eppure la vita ècosì.Qualcuno potrebbe dire: "Perché vai in giro vestito in questo modo? Non è mica necessario oindispensabile mettersi una divisa per sedersi su un cuscino. Eppure uno dice: "Nella miatradizioneho imparato così dal mio maestro e continuo a farlo." Quello pure potrebbe dire: n I miei genitorimi hanno insegnato che la domenica non si possono fare attività sportive o lavorative, e io seguoquesto. Ma la differenza fondamentale, riandando alla domanda di questa mattina, sul significatodel San-pai, i tre inchini che facciamo, è che nella nostra scuola noi abbiamo presenti le parole diun koan di Ummon il quale dice: "In questo mondo grande e "libero", in cui siete liberi di farequello che volete, perché quando suona la campana correte tutti nella sala delle cerimonie?".Ecco! Non c’è qualcuno che ci punisca se non recitiamo i sutra, se non facciamo un'ora o più, omeno, di meditazione al giorno, se non osserviamo i giorni di digiuno o i giorni di cerimonia. Noisappiamo che il mondo può andare benissimo avanti e nessuna punizione riceveremo se anche dadomani mattina, o da questo istante, decidessimo di smettere con tutto quello che abbiamo fattofino adesso. Solo, e questo invece è il discorso del teisho, siamo in questa vita. Siamo con questaintenzione di praticare e, come si dice nei monasteri zen: "quando c'è da fare, si fa!". Ingiapponese si dice: "Iaru tokinì, iaru!". C'è da inchinarsi, mi inchino e cerco di vivere il mio inchino.C’è da recitare i sutra, mi immedesimo completamente in questo suono, in questa voce, in questeparole. C'è da sedermi, divento una montagna seduta sul cuscino, pronto a squagliarmi, asciogliermi come la neve dei pupazzi di neve se c'è da sdraiarmi per dormire. Vivere ogni istantecompletamente immedesimati in quello che facciamo, cercando di farlo il meglio possibile, senzaaspettarsi premi o punizioni.Quando suona la campana ci mettiamo l'abito e corriamo nella sala delle cerimonie.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Agosto '95 (Martedì m.)

I primi tempi in cui ero nel monastero giapponese mi stupivo del cambiamento delcomportamento che c'era nei compagni di pratica, soprattutto quelli più anziani, che gridavanocontro quelli più giovani che sbagliavano qualcosa. E poi, dopo pochi minuti, sorridenti, siprendeva insieme il tè o si faceva qualche battuta. Si era capaci di passare dalla gentilezza estremaalla violenza estrema, violenza verbale. E questo senza che rimanesse traccia nè di uno nèdell'altro. Quando si doveva essere violenti si era violenti, e quando si poteva essere gentili si eragentili. Questo per la capacità di interpretare il proprio ruolo, la capacità di fare di jikijitzu, fare ilcapo dello zendo, fare il capo del monastero, fare l'anziano e basta. Bastava che uno fosse entratonel monastero un giorno prima, era anziano rispetto a quello entrato il giorno dopo. L'anziano sicomportava da anziano e quello del giorno dopo si comportava da meno anziano di quello, daultimo arrivato. Noi non siamo capaci di questo. Non so se dipende dalla cultura cristiana, odemocristiana dei compromessi, degli aggiustamenti, della famiglia, ma anche perché non siamo

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capaci di immedesimarci nel servizio, immedesimarci nel fare più che nell'essere. Questo feticciodel voler essere, di ritenere di essere qualcosa di diverso dagli altri, questo io applicato a un corpoe a una mente che non hanno, fondamentalmente, alcuna ragione di essere, mentre invece questocorpo e questa mente hanno la funzione di fare, di immedesimare, di ricoprire un qualche cosa perfunzionare in un certo modo, per recitare in un certo modo. Se dovessimo essere sulla scena el'attore che fa il cattivo ci coprisse di botte o di violenza, non potremmo pensare che quellapersona ce l'abbia con noi: è il personaggio che ce l'ha contro un altro personaggio enaturalmente, cerca di interpretare il meglio possibile il proprio personaggio. E, invece, noisaremmo capaci di pensare che quello è arrabbiato con noi forse perché abbiamo fatto qualcosache non ci ricordiamo, forse perché …. chissaché. È tutta una vita passata a trovare causeinesistenti, come se il sole fosse arrabbiato con noi se standoci esposti per due o tre ore ci dovessebruciare la pelle. Quello quando è l'ora del tramonto se ne va e si dimentica completamente diquelli a cui ha bruciato la pelle e di quelli invece che non ha potuto raggiungere perché copertodalle nuvole e dalla pioggia. Attenzione! Ognuno di noi presti attenzione a fare nel modo migliore possibile quello che ci siamoscelti di fare.

DA "PRIMA DELLA COSCIENZA” ULTIME CONVERSAZIONI CON SRI NISARGADATTA MAHARAJ

2 OTTOBRE 1980

Domanda: Voglio abbandonare questo ego, ma non so come.Maharaj: Quali sono la misura e il colore di questo ego che vuoiabbandonare? Cos'hai capito Di questo ego? D.: È una falsa convinzione della mente.M.: Questo "Io sono" è un pizzico tra le mie dita; ma tutte le scritture, le sedicishastra, i diciotto purana e i quattro veda hanno gridato e proclamato, cercandodi descrivere questo Brahman. Tutte quelle lodi sono soltanto per quelminuscolo "Io sono". Nel momento in cui cerchi di fare un disegno di quell' "Iosono" entri in acque profonde.Questo porta-incensi è d'argento; tu hai la conoscenza che è argento. Qualisono la forma, il colore o il disegno di quella conoscenza? Se tutta laconoscenza è priva di forma, potranno esserci una forma, un disegno o uncolore per la conoscenza "Io sono"? Può essere soggetta al peccato o al merito?In questo etere senza tempo il to tocco dell'"Io sono" non c'è.D.: Non è forse vero che per compassione dell'ignorante il jnani espone laconoscenza?M.: Puoi dire ciò che vuoi. In quello stato non c'è qualcosa come lacompassione. Ti ho elevato a quello stato in cui dovresti sapere che tu seil'illuminatore di ogni cosa e là c'è anche l'amore di esistere. Quando ti conducolà, perché mi poni tali domande? In che modo conosci qualunque cosa?D.: Attraverso la mente.M.: No. La capacità del conoscere riconosce la mente, la mente non puòriconoscere la coscienza.Sei sopraffatto dal sonno, ti risvegli: chi riconosce questo? Prima della mentec'è il principio del conoscere. Prima della capacità di conoscere c’è il principioche conosce la coscienza. In ultima analisi, dall'assenza della conoscenzanacque la conoscenza e la conoscenza partorì il mondo, tutti gli esseri e tutte lecose.

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Colui che entra nella spiritualità assomiglia all'acqua fredda che viene messasul fuoco. Quando la si mette sul fuoco le bolle cominciano a venire a galla e atempo debito inizia a bollire. Questo stadio dell'ebollizione è come il sadhakache entra nella classe più alta della spiritualità. Al punto dell'ebollizionecomincia a parlare molto, pone molte domande. Quando il fuoco vieneapplicato continuamente, l'ebollizione cessa e comincia il ribollire. Quello è lostadio in cui uno acquisisce conoscenza nella spiritualità.Dopo aver ascoltato questi discorsi sarai in grado di entrare nella quiete? Ho imiei dubbi su questo, perché ami ancora compiacere la tua mente viziata. Sehai realmente capito quello che ho detto, ha importanza se compiaci o meno latua mente? Ti ho detto che per ora sei come quel calore nel corpo. A cosaassomiglia il Parabrahman? Il Parabrahman non sperimenta affatto questocalore dell'"Io sono". Se comprendi questo, per te il rebus sarà risolto.Dopo aver compreso questo, se uno diventa un jnani, quel principio-coscienzae il corpo rimangono disponibili e saranno coinvolti anche nel campo emotivo.Darà libero sfogo al pianto e gioirà anche qualunque situazione si presenti. Untale jnani non sopprimerà nessuna espressione delle emozioni che verrannospontaneamente da questa coscienza e da questo apparato del corpo.Normalmente le persone suppongono che un jnani dovrebbe sopprimere tuttigli scoppi emotivi. Questo non è corretto. Dalla posizione dell'Assoluto non siè implicati con i sentimenti e gli scoppi istintivi dell'apparato.Un jnani non partecipa volitivamente; tutto accade spontaneamente; mentreuna persona ignorante è profondamente coinvolta e considera ogni cosa comereale. Per il jnani anche il calore è irreale, così qualunque cosa accada nelregno del calore, è irreale. Ogni devozione, attrazione ed amore sono dissolteper il jnani, ma qualunque cosa egli faccia è per gli altri.

TEISHO 8 Agosto '95 (Martedì sera)

Questo pezzo non mi stimola per niente. Vediamo qualcosa. Maharaj finisce dicendo: "Ognidevozione, attrazione ed amore sono dissolti per il jnani, ma qualunque cosa egli faccia è per glialtri." E gli altri chi sono per l'illuminato?Proprio questa sera mi ha telefonato un amico che non vedo da tanti anni, la cui figlia si è sposataa un pastore tedesco, e vorrebbero venire a trovarmi. Lei me la ricordo quando è nata e poi adessoè andata a sposarsi con questo prete protestante, a Francoforte! Sicuramente si parleràdell'amore, perché nel cristianesimo si parla sempre del lavoro per gli altri, dell'amore per Dio, idue comandamenti principali: "Ama Dio e ama il prossimo come te stesso." A tal proposito,Mumon diceva che a noi buddisti dicono che manca l'amore. Questo l'avrò detto già altre volte:noi non facciamo separazione tra noi e gli altri. Quando scopriamo la nostra reale natura scopriamo che è la stessa reale natura che sottende atutti gli altri esseri. Per cui è come l'oceano, e ognuno di noi è una goccia di quel grande oceano.Non si vede pertanto perché non avere interesse, simpatia - perché poi amore sembra una cosìgrande parola -per l'altra goccia. C'è proprio un'attrazione chimica: tra l'altra goccia e noi stessinon c'è differenza. Allora l'illuminato, il jnani di cui parla qui Nisargadatta, perché dovrebbe fare qualche cosa per glialtri? È sufficiente che uno pensi a sé e automaticamente pensa agli altri, da illuminato. Però, e quiavendo dato una scorsa al libro che mi è stato prestato oggi, c'è una voglia, soprattutto da parte diquesti tecnici della spiritualità - e non lo dico con senso critico, non voglio giudicare gli altri- peròda questi tecnici dell'illuminazione …

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In fondo anche i tecnici del soft-ware! Ti fanno un programmino, ti arrivano col calcolatore e tidicono: "Adesso con questo calcolatore invece di metterci un minuto per arrivare al programma, cimetti otto secondi." Poi si passerà a due secondi e mezzo, poi forse lo farà prima che noidecidiamo con la mente, che decidiamo di aprire il programma. I calcoli che verranno fatti sarannosempre più veloci e così come, appunto, il raggiungimento dell'illuminazione. Uno arriva subitoall'illuminazione e poi, che fa? Come se il raggiungimento dell'illuminazione … Vediamo Nisargadatta, che per salire le scale doveva essere sorretto: gli faceva male questo, certevolte non riusciva a parlare, perché non aveva più la voce tanto era stanco!Abbiamo visto dei maestri cosiddetti illuminati, che muoiono chi di cirrosi epatica, chi di infarto,chi di tumore, chi di qualche altra cosa, a cinquant'anni o a sessanta; allora questa illuminazione ache serve? Uno dice: "Quello raggiunge l'illuminazione e poi diventa un puro spirito." E va bene, sediventa un puro spirito, che cosa ha a che fare con noi? Se noi decidiamo di fare la corsa dellamaratona che gira intorno alla città e uno, invece di fare i quarantadue chilometri, trova il modo difarne venticinque e dice: "Questo si fa prima: tagli di qua, arrivi prima."Le cose sono due: 1) non fa la maratona, 2) fa la maratona. Se fa la maratona deve mettersi acorrere come tutti gli altri e fare i quarantadue chilometri, sennò non sta facendo la maratona.Allora, sembra che vengano fuori ad aver scoperto l'acqua calda. E certo che quando uno hascoperto l'illuminazione sta meglio, da un certo punto di vista. Però poi che fa? Si addormentanell'illuminazione e lascia questo mondo in cui l'illuminazione è sì spendibile, certamente, perònello stesso tempo se uno si comporta sempre da illuminato, non vive la vita che vivono tutti glialtri. Dice: "Sa, quello è illuminato, allora queste cose non le fa, è speciale." Mi ricordo di una voltain cui mi è rimasta tanto impressa questa battuta di un monaco, il mio compagno di servizio aMumon. Si parlava di altri Roshi, di uno, un certo Seki-Bokuò, un roshi di Kyoto, del monasteroTen-Riuji, che aveva praticato insieme con Mumon. Lui era diventato poi il maestro di quelmonastero, mentre Mumon era stato mandato a Shofuku-ji. E allora raccontava di questo Seki-Bokuò che era uno che ogni tanto, si diceva, la sera se ne usciva dal monastero e si avviava tuttobaldanzoso nel quartiere dei divertimenti e si diceva che andava a trovare le prostitute. E, ecco lafrase che disse il monaco mio collega: "Mumon sembra troppo spirituale!" Non era un appunto,non voleva essere una critica, però in fondo, se fosse sceso un pochino di più dal suo piedistallo,forse lo si sarebbe sentito un pó più vicino. È una grande difficoltà quella che nell'insegnamento cisi trova a dover affrontare. Se uno non si mette sul piedistallo gli altri non lo accettano comeinsegnante e però, nello stesso tempo, rimanendo sul piedistallo non si può dire agli altri cheanche loro, ovviamente, sono nella stessa condizione di illuminazione di chi gli insegna, perché c'èsempre questa separazione: il maestro, gli allievi.Se si scende dal piedistallo, gli allievi pensano: "Ma se è uno come noi, allora che c'è da insegnare?Che possiamo imparare da questo?". E questa contraddizione è sempre molto difficile da risolvere.Bisogna essere molto intelligenti. E se si è molto intelligenti, o soltanto intelligenti, allora si vienecapiti poco, perché la qualità più importante delle persone che normalmente praticano di solitonon è l'intelligenza, spesso è la devozione, lo spirito di imitazione, l'aspettativa di ricevere qualchecosa.Più che altro è uno spirito di gregari e i gregari, normalmente, non sono interessati all'intelligenza.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Agosto '95 (Martedìs.)

Talvolta può sembrare che ci sia poco rispetto nei confronti di Nisargadatta, ma questo puòsembrare e basta. Come fratello, non ci può essere nè rispetto nè non rispetto, non c'è differenza.Come parole scritte sul libro, quello che è molto importante in Nisargadatta, che bisogna

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riconoscergli, è questa insistenza sull'esserci. Certo, praticare sul koan ci dà una focalizzazione, maprima di quello ci deve essere l'esperienza dell'esserci, e questa esperienza dell'esserci èun'esperienza di svestizione, di denudazione, liberandoci dei suoni, delle luci, degli abiti e delcuscino; ancora più indietro, liberandoci del corpo che è un accumulo di cibo sopra unospermatozoo e un ovulo che si sono accoppiati. Andare ancora indietro, arrivare fino al vero volto,prima dei nostri genitori. E allora ci accorgiamo che questo esserci c'è fino a un certo punto, poi ioche dico "Io sono" sparisco, non sono più "Io sono", sono il "mu", sono l'Assoluto che in qualchemodo non può sperimentare se stesso. Possiamo sperimentare questo senso di essere, poidobbiamo annullarci, e nell'annullamento se c'è qualcuno che dice "Io sono", allora non c'èl'esperienza dell'Assoluto. Quell'esperienza c’è quando non c’è assolutamente qualcuno oqualcosa che dice di esserci.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 9 Agosto '95 (Mercoledìm.)

Il maestro Omori Sogen, di cui abbiamo la foto qua nello zendo, quando era ragazzo e cominciavaa praticare il kendo, aveva un insegnante che spesso li aspettava all'entrata della sala e li colpivaall'improvviso, dicendo loro che non erano abbastanza concentrati sul kendo. Secondo luidovevano pensare al kendo in ogni momento della giornata. Prima di andare a dormire dovevanopensare al kendo, appena si svegliavano dovevano pensare al kendo. Qualunque maestro sentiateinsisterà sul fatto che se volete imparare il pianoforte dovete pensare sempre al pianoforte, sevolete imparare la matematica dovete pensare sempre al la matematica, e così via, non c'èdifferenza in Giappone, in America, in Africa, dovunque. Per cui, anche qui dove non si viene aimparare qualcosa, ma si viene a scoprire, si viene a realizzare, dobbiamo sviluppare in noi lapresenza in ogni momento; il fatto di sapere che ci siamo e che stiamo, senza pensarlo, senzauscire da noi stessi e dire: "Adesso mi vedo mentre faccio questo, mentre faccio quest'altro". Peròogni qualvolta perdiamo la concentrazione, così come quando contiamo i respiri, dobbiamoritornare indietro e dire: "Ma da dove ero partito?" e ritornare alla nostra reale natura, a chi si èveramente. Chi è veramente quello che parla, che mangia, che cammina, che siede?Lin-chi dice di questo 'chi è’, il vero uomo ‘senza posizione’. Cerchiamo questo vero essere senzaposizione, ininterrottamente, non tanto come ricerca di noi che andiamo a cercare l'animale comefa il cacciatore, o i funghi, o chissà quale altra cosa. Proprio senza uscire, ma restare - e questa è ladifferenza- essere sempre nel proprio centro e togliere tutto quello che c'è da togliere, per tirarefuori l'essenza.

DA "PRIMA DELLA COSCIENZA" ULTIME CONVERSAZIONI CON SRI NISARGADATTA MAHARAJ

4 OTTOBRE 1980

Domanda: "Qual'è la differenza tra il mio stato e lo stato di haraj?Maharaj: Per il jnani non c'è differenza. La differenza sorge nel casodell'ignorante, perché si sta ancora identificando con il corpo. Abbandonaquell'identificazione con il corpo e vedi che cosa accade.D.: Come faccio?

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M.: Posso soltanto dirti: "È così." Come fartelo accettare è al di là delle miepossibilità e non ho un rimedio per questo. Te lo dico, ma tu devicomprenderlo.D.: Una volta per tutte se prendiamo le tue parole alla lettera, abbiamo fattotutto ciò che è necessario?M.: Sì. Questo è ciò che deve essere afferrato; ma qual’è lo strumento con cuil'afferrerai? Non è il corpo, nè la mente, nè l'intelligenza.D.: È la volontà?M.: Qualunque sforzo farai, ti porterà ulteriori problemi. Perciò è per questaconoscenza che esisti, per accettare questa conoscenza, non la pseudo-identità.Semplicemente tieni in mente ciò che hai udito da me, consideralo vero e poiagisci in qualunque modo, ma spontaneamente.Il mio Guru mi ha detto che sono senza tempo, senza spazio, senza attributi.Allora decisi che se era così; perché avrei dovuto avere ancora paura?Chi c'è ad aver paura? Supponiamo che incontri una tigre; la tigre ti sbranerà inogni caso, perciò se c'è qualche possibilità di farla fuggire attaccandola, perchénon approfittarne? Perché non cerchi di disidentificarti dal corpo? Qualunqueinfelicità tu provi, qualunque paura tu abbia, è basata interamentesull'identificazione con il corpo. Fai uno sforzo graduale per disidentificarti dalcorpo.È una cosa semplice. La morte è inevitabile, allora, perché non accettare ciòche il Guru ti ha detto? Cioè che la morte è qualcosa che non può influenzareQuello che tu sei.Questa identificazione con il corpo è limitata nel tempo; perché non dissociartiora? Quanti di voi ricorderanno ciò che vi sto dicendo? Qualunque pauraabbiate è basata soltanto sulla memoria, sui concetti o sul sentito dire.Finchè vi aggrappate a qualche concetto o ricordo, questa paura non vi lascerà.Non proteggete questa paura, abbandonatela, lasciatela andare. Potete farlo?Avete accumulato ciò che avete udito da me, ma alla fine, qualunque cosavenga accumulata dovrà essere abbandonata. Dev'essere compresa, usata e poiabbandonata.D.: Maharaj dice che ogni cosa è accaduta, spontaneamente, ma noi siamoabituati a pensare che ogni cosa debba avere qualcuno che la faccia iniziare,che la controlli. Senza questa autorità che controlla è difficile immaginare chequalcosa funzioni.M.: Nello stato della dualità deve esserci questa idea, altrimenti non ci puòessere alcun concetto o funzionamento, questa è la base della manifestazione.Quando alla fine la conoscenza si fonde nella coscienza, il cercatore scomparee non c'è nessuno a porre le domande. Ciò che viene detto e udito è limitato neltempo - da un particolare momento fino ad oggi - ma quello che noi siamo ètotalmente separato da ciò che è limitato nel tempo.Posso comprendere e misurare ciò che è limitato nel tempo, così devoovviamente essere separato da esso.

TEISHO 9 Agosto '95 (Mercoledìs.)

E questo è un bel capitolo. Il primo passo è fondamentale: "Qual'è la differenza tra il mio stato e lostato di Maharaj?""Per l'illuminato non c'è differenza. La differenza sorge nel caso dell'ignorante, perché si staancora identificando con il corpo. Abbandona quell'identificazione con il corpo e vedi cosa

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accade." L'ignorante sbaglia due volte. Sbaglia quando pensa di essere differente dall'illuminato esbaglia quando, da ignorante, pensa di essere uguale, all'illuminato. Allora uno che deve fare?Dice: "Come mi muovo, …. " L'illuminato si muove in una dimensione in cui si rende conto che trasé e il resto dell'umanità, della creazione, dell'universo, non c'è differenza, assolutamente non c'èalcuna differenza. Però, come dice qui alla fine, "Nello stato della dualità deve esserci quest'idea,altrimenti non ci può essere alcun concetto o funzionamento, questo è la base della manifestazione" e cioèl'idea che ci sia qualcosa che faccia iniziare e che controlli. Tutto quanto avviene spontaneamente,non c'è separazione, e l'illuminato lo sa, tra sé e tutto il resto. L'ignorante, invece, si basa sulproprio ragionamento, sulla propria conoscenza, una conoscenza ancorata al passato e per cuistabilisce quello che è valido e quello che non è valido, stabilisce una separazione tra sé e gli altri,e cioè non attraverso un'esperienza diretta di illuminazione, lunga o breve che sia, e dice: "Tra mee gli altri non c’è separazione", è ancora in uno stato di ignoranza perché lo dice dopo aver letto illibro, dopo averlo sentito da chissà chi.Ecco pertanto i due stati dell'ignoranza: ignorante quando dice di essere separato, ignorantequando dice di essere non separato. Qua Maharaj dice: "Abbandona l'identificazione con il corpo evedi che cosa accade. Posso soltanto dirti: "È cosi". Come fartelo accettare è al di là delle miepossibilità." Però poi dà un consiglio e dice: "Semplicemente tieni in mente ciò che hai udito dame, consideralo vero". E qui possiamo aggiungere: "E tienilo presente." Non c'è niente altro dafare. La comprensionenon può essere passata dall'uno all'altro come uno passa l'acqua da un bicchiere all'altro o da unabottiglia. Si può dire, si può indicare, si possono trovare centinaia di modi perché possa arrivare adessere mantenuta nella voglia profonda di chi pratica, però poi chi pratica ci deve mettere del suo,sennò non si arriva. Andando avanti, vediamo: " …. Qualunque paura abbiate è basata soltantosulla memoria, sui concetti o sul sentito dire". Questo sulla paura è un discorso un po' difficile. Qui Maharaj lo fa facile, ma non è tanto facile.Almeno io che ho a che fare con attività in cui la paura c'è, ormai da tanti anni evito di dire allepersone: "Non avere paura", perché sarebbe facile.A uno dici: "Non avere paura" e quello dice: "Ha detto di non avere paura e adesso non ho paura."Anche quando poi parla della tigre lui la fa facile. Quando uno se la fa sotto avviene qualche cosadal profondo che fa avere paura e allora la mente razionante viene completamente sommersa daquesta paura che viene dal profondo. E questo dipende dal corpo, dipende dalle cellule, dal nostropassato, dipende da chissacchè. La paura se ne va quando non ce l'hai più. Se arriva la tigre, uno sela fa sotto dalla paura. L'unico modo per far finire la paura è che la tigre se ne vada o che qualcunola elimini, perché finchè c'è la tigre la paura non va via. Ha voglia a dire; "Adesso l'attacco. Io nonsono attaccato al corpo, che vuoi che mi faccia? " Ci sono le nostre cellule, il nostro corpo, chevogliono vivere. Questo fa parte del corpo. La stessa forza che ci dice di mangiare, che ci dice didormire, che ci dice di riposare, questa stessa forza è quella che non vuole morire contro la tigre.Poi uno, attraverso l'allenamento, la preparazione, etc. etc., può arrivare ad avere quello chequalcuno chiama a dignità, il coraggio di morire senza avere paura; ma con la mente, sì, possiamoandare oltre. Ci sono quelli che si bruciano, quelli che si suicidano, quelli che fanno quello che glipare. Però il corpo non può fare a meno di avere paura. È giusto che il corpo abbia paura, perché èun atto di sopravvivenza.Certo, quando si arrampica, se abbiamo una corda, uno si prova ad appendere, vede che la cordalo regge e allora continuare ad avere paura non ha senso. Questa può essere superata con ilnostro ragionamento, e dire: "In fondo sono caduto, sto appeso, la corda mi regge, che cosa puòsuccedermi? ". Ma ci sono persone che non riescono neanche a fare questo. Che cosa ci si puòfare?Domanda: "Maharaj dice che ogni cosa è accaduta spontaneamente,

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ma noi siamo abituati a pensare che ogni cosa debba avere qualcuno che la faccia iniziare, che lacontrolli." Maharaj risponde: "nello stato della dualità … ", appunto, noi stiamo nello stato relativo- c'è uno stato assoluto e uno stato relativo – e nello stato relativo, della dualità, "deve esserciquest'idea, altrimenti non ci può essere alcun concetto o funzionamento, questa è la base dellamanifestazione."Certo! E infatti, a proposito degli ignoranti, gli ignoranti perché sono ignoranti? Prima sonoignoranti perché pensano di essere separati, poi sono ignoranti perché è l'ignoranza dell'erroredemocratico, senza per questo voler essere degli oligarchi.Nel mondo della dualità ci sono quelli che hanno delle funzioni e quelli che ne hanno altre eognuno di noi deve applicarsi alla sua funzione. Certo che siamo tutti uguali, certo! Lo diceva Ummon: "Suona la campana e tutti correte là. Ma che siete, pecore?". Come, i monacizen, gli esseri più liberi del mondo, come le pecore vanno dietro a una campana? Allora? E certo!Quando c'è da rispondere alla campana si risponde alla campana, ma quando si va dentro la stanzadi sanzen, allora lì uno se lo vuole, se è in grado, può sbranare pure il maestro. Lì deve far vederequello che vale e non stare a discutere: "Eh, questa campana, poteva suonare cinque minuti piùtardi. Uffa, suona troppo presto. Tutti i giorni questa campana!" In questo si vede l'ignoranza,l'ignoranza peggiore perché è già uno stadio superiore a quello di prima, cioè di quello che crede diessere separato. Perciò, se crede di essere separato, è ovvio che commetta degli errori dovuti aquesta separazione, no? Ma quelli che avendo letto i libri pensano di essere uguali, applicanoquestauguaglianza a qualunque momento della vita, anche ai momenti in cui invece questa uguaglianzanon c'è - perché quando arriviamo al semaforo non è un colore solo: c'è il rosso, c'è il verde e c’è ilgiallo. Quando c'è il rosso bisogna fermarsi, anche se siamo illuminanti, se siamo tutti Buddha.Pure i Buddha si fermano al semaforo ·rosso. Se non si fermano, ·ci sono i Buddha-carabinieri chegli fanno la multa.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 9 Agosto '95 (Mercoledìs.)

La nostra scuola, la scuola Lin-chi, che da alcuni viene ritenuta complicata a causa dei koan, origida e severa per l'uso del keisaku, è invece una scuola molto semplice, molto ancorata allasemplicità. Il concentrarsi sul respiro è ancorarsi al ritmo fondamentale della nostra vita. Contare irespiri è una preparazione alla pratica del 'MU' che ci immette nella esperienza della nostra realenatura, il kensho, vedere la natura di Buddha.E poi, successivamente, attraverso gli altri koan, riconoscere gli altri, l'universo. Contare i respirinon è un esercizio psicofisico di bravura: "Che bravo, sono arrivato a contare dieci respiri senzaessere disturbato dai pensieri!".Già contare i respiri significa essere presenti e, nello stesso tempo, cominciare a immedesimarsi inun ritmo. Ogni espirazione uuuuuu-no, e poi duuuuu-e. Quando incominciamo a praticare il koan ea poco a poco ci liberiamo di tutte le sovrastrutture, cominciamo a capire che c'è questo MU e,allora, il lavoro è come un accordatore che lavora, lavora, lavora in continuazione fino a che lostrumento dà la nota giusta. Allora abbiamo il respiro sul quale ci siamo abituati a basarci elavoriamo sull'emissione della voce. Lavoriamo, soprattutto, sull'abbandonarci alla nostra realenatura. È strano che noi possiamo dire a noi stessi di abbandonarci a noi stessi, a quel noi stessiche permea tutto l'universo, a quel noi stessi che è la natura di Buddha che possiamosperimentare attraverso il 'mu'. Non è la ricerca di un esasperato tecnicismo, perché quando il'mu' viene fatto da mu' ce ne accorgiamo. Allora tace ogni pensiero, tace ogni sforzo, ecco che laspontaneità si mostra e allora quel 'mu' viene accettato. Ma questa è una scoperta che deve

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essere fatta da ognuno di noi, nel tempo e, naturalmente, con chi ci dice: "In questa direzione èsbagliato, questa direzione è giusta. Così non va; così è meg1io. Continua in questo modo. Lasciaperdere questo." Umilmente, diligentemente, con determinazione, ogni momento della giornata,cerchiamo di starci sopra al respiro e al 'mu’.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 10 Agosto '95 (Giovedì m.)

Ci sono i campionati del mondo di atletica e ieri il giornale ha detto che sono stati esaminatiduecento e più atleti e nessuno di loro presentava tracce di doping, di sostanze proibite.Sia quelli che partecipano alle gare come quelli che vogliono raggiungere dei risultati, da tempiimmemorabili utilizzano del le sostanze che accrescano le loro capacità, oppure dei metodi diallenamento, delle pratiche che possano migliorare le proprie prestazioni. Se ci pensiamo bene, infondo anche il Buddha utilizzò la meditazione, così come poi hanno fatto i monaci zen,esasperando quella posizione. Se un giorno di meditazione mi fa arrivare a questo livello, se nefaccio dieci avrò dieci volte il risultato di un giorno. E così via. Se faccio dieci trazioni alla sbarra mivengono certi muscoli, se ne faccio cento me ne vengono di più. Se ingerisco una sostanza riesco acorrere più degli altri. Questi ragionamenti sono sempre stati fatti - a parte il Buddha o i monaciche non hanno da competere con qualcuno, però in alcuni casi c'è anche questa competizione - infunzione di un superamento degli altri, perché se tutti facessero lo stesso tipo di allenamento emangiassero le stesse sostanze poi, alla fine, ci si riporterebbe sul piano di equilibrio e vincerebbesempre quello che ha quella piccolissima qualità di più degli altri.Perciò uno potrebbe pensare: "Tanto vale non fare niente, non assumere sostanze energetiche diqualunque tipo, non fare allenamenti particolari, giusto correre, saltare, tirare il peso e via così. Ungiorno ci si ritrova, ci si mette lì sulla linea, chi corre di più vince. Ma questo discorso a noi noninteressa, o interessa relativamente. In fondo sono affari loro, si prendano tutto quello chevogliono. Quello che a noi interessa è l'idea che attraverso l'umanità ci siano state questeevoluzioni nelle pratiche cosiddette spirituali, per cui a un certo punto si passi dall'intensivo delBuddha aotto l'albero della Bodi ad altri tipi di intensivi, sempre per arrivare a un accorciamentodei tempi di realizzazione. Come quello che corre i cento metri vuole arrivare sotto i nove eottantasei, mi pare, così avendo come unità di misura un certo numero di anni per raggiungerel'illuminazione, si cerca di abbassare quel numero di anni attraverso intensivi sempre più intensi.Non possiamo andare contro l'evolversi dell'umanità e per cui, così come quelli che utilizzano delledroghe per vincere le olimpiadi raggiungono in qualche caso il loro scopo, però poi ne risentononella salute e forse anche, se vengono scoperti, nella loro moralità sociale, il primo passo che sideve fare verso la comprensione e verso la pratica della meditazione in generale, è quello di capireche l'illuminazione è qui, adesso, in questo istante. Non dipende dalle pratiche, non dipende da untempo, da una bravura, da una grazia che ci viene data da una scelta che viene fatta chissà dove.L'illuminazione è vivere la propria vita istante per istante. Se noi pensassimo che lo scopo di chiscala sia di arrivare in cima a una montagna, sbaglieremmo subito. Così come se pensassimo che loscopo di stare seduti a fare meditazione sia quello di raggiungere qualche cosa. Questo lasciamolofare a chi fa le gare, i campionati del mondo, le olimpiadi, o anche i campionati rionali. Senz'altrofa parte del mondo relativo in cui se c'è una partenza ci deve essere anche un arrivo. Ma noisappiamo che nel mondo in cui vogliamo entrare non c'è partenza e così non c’è neanche arrivo,c'è la scoperta di esserci e basta.

da "PRIMA DELLA COSCIENZA"ULTIME CONVERSAZIONI CON SRI NISARGADATTA MAHARAJ

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8 OTTOBRE 1980 (mattino)

Maharaj: Tutta la conoscenza è accessibile attraverso il corpo, ma questaconoscenza di essere, che è il risultato del corpo-cibo, non sei tu.Questa esistenza stessa è l'amore. È naturale, perciò amo tutti gli altri in quantoamo me stesso. La sorgente del mio amore per gli altri ha origine dall'amore diessere. L'Immanifesto si manifesta attraverso quello spirito sveglio, dinamico,manifesto; quello è lo stato dell'amore di essere. Hai un ardente desiderio divivere nel corpo, ma dovrai abbandonarlo. Proprio come gusti delle leccornie eil giorno dopo devi evacuarle sotto forma di feci, allo stesso modo dovraiabbandonare questo corpo.La mia condizione è completa coscienza manifesta e l'espressione del corpo èsoltanto la somma e la sostanza del respiro vitale, il linguaggio del respirovitale (le parole) e l'amore del Sé.Non c'è un 'altra cosa come il Paramatman eccetto ''Io Amo". In quell'estasi chisi curerà del corpo? Il corpo diventa irrilevante. Quanti titoli gli sono stati dati,ma cos'è…? Soltanto quell'amore per il Sé. La tua capacità di conoscere èsempre stata, sempre, ma tu l'hai limitata al tuo corpo e perciò la staiuccidendo. Il Paramatman non è maya, è la tua reale natura.Domanda: Cosa si dovrebbe fare a proposito dei propri doveri quotidiani?M.: Dovreste occuparvi dei vostri doveri; non sono personali, sono dellacoscienza manifesta, appartengono a tutti.Cerca di espanderti fino all'Infinito come la coscienza manifesta. Non c'è altroDio al di fuori di te. Un giorno questo corpo cadrà morto; le persone pensanoche la morte significhi il completo immanifesto, ma non è così, non è in questomodo. Quando qualcosa viene consumata o esaurita, diventa di più, diventamanifesta.Sri Krishna disse: "Io mi incarno ad ogni yuga (eone)". Ma io dico: "Miespando ad ogni momento, sono creato sempre più, prolifero sempre di più inogni momento". Non cerco mai nulla da nessun altro. Qualunque cosa vogliaottenere, voglio ottenerla dal mio stesso essere. Adoro quel principio "Io sono"e chiedo ciò che desidero a quello; a causa di quello, stanno arrivando tuttequeste cose.Sua Maestà l'Imperatore è andato a dormire; ciò non significa che egli siamorto. Non siete in grado di realizzare questa conoscenza perché vi aggrappateal corpo. Soltanto un Guru che ha realizzato il Sé può dirigervi. Senza la nozione di questo corpo, io sono perfetto, totale, completo.Non sarete in grado di comprendere il mio discorso.

TEISHO 10 Agosto '95 (Giovedì sera)

Questo discorso sul corpo, di Maharaj, è molto simile al discorso del maestro zen- che poi èsempre lo stesso discorso- il quale dice: " Prima di cominciare a praticare lo zen guardavo lemontagne e mi parevano montagne, guardavo i fiumi, sembravano fiumi. Poi ho cominciato apraticare e, a un certo punto, guardavo le montagne sembravano fiumi, guardavo i fiumisembravano montagne. Poi, continuando a praticare, ho capito come stavano le cose; horiguardato le montagne, sembravano montagne, ho guardato i fiumi sembravano fiumi."Certo che dobbiamo attraversare questa barriera. Non passiamo dall'ignoranza alla conoscenzaattraverso l'ignoranza, ma attraverso un capovolgimento, un'immersione. Come uno che sta fuori

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del mare, poi va a nuotare, affoga quasi. Quando risale alla superficie, dopo che ha rischiato diaffogare, vede la vita in una maniera diversa. Questo è un esempio molto semplice, non è cosìesatto, però ogni volta che noi attraversiamo una grande esperienza che ci coinvolgecompletamente, riapriamo gli occhi e ci sembra che il mondo sia diverso. Tanto più seattraversiamo l'esperienza del kensho, del satori, per mezzo dei quali realizziamo che la nostrareale natura -come dice qui Nisargadatta- che ripete le parole che io ho detto tante volte, riferite aMumon, che dice: "È naturale, perciò amo tutti gli altri in quanto ama se stesso" Questa esistenzastessa è l'amore. La sorgente del mio amore per gli altri ha origine dall'amore di essere."Questo è quello che diceva Mumon, che contestava la convinzione dei cristiani di essere gli unicidepositari dell'amore: "Ama Dio, ama il prossimo". Non è vero! Nisargadatta che non è cristiano,Mumon che non è cristiano, dicono che non possono fare a meno di amare gli altri, perché gli altrisono me stesso. "Io amo me stesso, amo gli altri." Ma non è che uno dica questo perché vogliacriticare i cristiani, anche perché i cristiani non sono altri, così come i maomettani non sono altri,sono ancora dei me stesso.Questo lo possiamo comprendere il momento in cui dopo aver praticato lo zen, torniamo aguardare le montagne, sono montagne, i fiumi sono fiumi. Lo sappiamo, lo abbiamo capito chenon esistonomontagne né fiumi, che sono soltanto nomi che noi abbiamo affibbiato, che potremmo chiamarele montagne fiumi, i fiumi montagne o come ci pare, in quanto quella è soltanto una attribuzioneqhenoi diamo a certe manifestazioni che poi di per sé sono irreali, così come sono irreali i sogni chefacciamo durante il nostro dormire. Ci svegliamo e quelli non ci stanno più. Ma quando torniamoa vedere di nuovo, come dobbiamo comportarci nei nostri doveri quotidiani? "Dovreste occuparvidei vostri doveri; non sono personali, sono della coscienza manifesta, …. Cerca di espanderti finoall'Infinito come la coscienza manifesta. Non c'è altro Dio al di fuori di te." Poi, una volta che avraiattraversato questa comprensione della manifestazione che pervade qualunque granello di sabbiadell'universo, allora tratterai l'uomo da uomo, la donna da donna, il bambino da bambino, lamontagna da montagna, il fiume da fiume. Sembra strano, tutti quanti trattano gli uomini dauomini, le donne da donne, etc. etc., ma è diverso.Quando i maestri pontificano sul vedere il mondo in una maniera diversa, dopo l'illuminazione, èovvio che non si inventano niente. Dice: "Come, quello ha fatto l'illuminazione, dovrebbe esseretutto diverso, eppure… Va al gabinetto, mangia, dorme. Che fa di diverso?". Io pure vado algabinetto, mangio, dormo. Certe volte rido, certe volte piango. Quando sono stanco mi riposo, seposso. E così via. Che differenza c'è?Se uno osserva un vero maestro, (se osserva quelli che posano da maestri, allora è un'altra cosa)proprio perché si può permettere -e qui si dicono sempre le stesse cose, e in fondo anche iproverbi è bello citarli proprio perché sono proverbi e sono passati attraverso la saggezza di tuttigli esseri- come quello che dice: "Che mi importa di andare a piedi se a casa ho i cavalli e mi potreipermettere la carrozza?", o: "Che mi importa di scappare davanti a uno che mi vorrebbe dare unsacco di botte quando so che io" come almeno si dice di alcuni campioni di karatè, "con un colpolo potrei atterrare?", o ancora: "Che mi importa di far vedere alla gente che io ho i soldi, che possoandare all'albergo di prima categoria, che posso andare a viaggiare di qua e di là , tanto lo so che liho" un ricco. Allora dobbiamo essere come i ricchi che non fanno vedere i soldi.È molto interessante e importante leggere altri maestri, studiarli, frequentarli se c'è la possibilità,essere aperti a tutto quello che ci viene da qualunque parte, senza una chiusura preventiva.Ci sono tanti che possono insegnarci qualcosa. Poi è ancora molto bello il fatto che se andiamo arivedere i maestri della nostra scuola ci accorgiamo che tutto quello che viene detto, magari conparole diverse, o usando tecniche più contemporanee, è già stato detto da questi grandi delpassato.

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Non dobbiamo rimanere ancorati a quanto è stato detto dal Buddha, dai patriarchi che leggiamotutti i giorni, da tutti quegli altri maestri. Dobbiamo essere aperti a tutti. Joshu stesso diceva:"Anche se un bambino dice qualcosa che vale la pena di essere ascoltata, io l'ascolto e se c'è daimparare, imparo."Ecco, possiamo imparare dai bambini, ma non solo, anche dai gatti, dai cani, anche dagli esseri piùinferiori- ammesso che si possa dire questo - e :poi riconoscere quanto ci insegnano e, rendendociconto che ce l'insegnano perché tra noi e questi altri che ci insegnano non c' è alcuna differenza. Èun modo per rendere la vita vita.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 10 Agosto '95 (Giovedì s.)

Lo sport è sicuramente una metafora della vita, e così come nella vita ci sono tante incongruenze,ce ne sono anche nello sport. Questa sera facevano vedere una gara di marciatori e ogni volta chevede questi marciatori, Kyioka dice che non le piace. In effetti non le piace perché in questa gara sipuò essere squalificati: basta un modo di marciare che non è esattamente quello stabilito. Peresempio, viene naturale prendere il passo di corsa, e invece il passo di corsa non va preso, cosìcome i cavalli che vanno al trotto non possono andare al galoppo, e allora si viene squalificati. Percui, uno sta per vincere, si distrae un momento, fa un passo che non dovrebbe fare e subito ilgiudice gli dice: Fuori!". Allora questo tipo di sport a Kyioka non piace, quello in cui, appunto, cisono i giudici che decidono. Ma anche in una gara come quella dei duecento metri, una ragazzache è sicuramente la più forte del mondo perché ha vinto, è arrivata prima delle altre, peròanch'essa è stata squalificata perché ha messo un piede sulla striscia interna della curva. Chepossiamo dire? Noi stabiliamo delle convenzioni. Si stabilisce che il piede sulla linea della curvanon si deve mettere, e se uno lo mette è squalificato. Si stabiliscono delle regole e si gioca.Un mio amico quando succedevano cose di questo genere, diceva: "Ma cosa vuoi che importi agliabitanti della stella Vega di me, che la ragazza mi ha lasciato! Non esisto proprio."Sì, per gli abitanti della stella Vega, il problema di quella ragazza che ha perso la medaglia d'oroperché ha messo un piede sulla striscia non esiste. Ma per lei esiste, ed esiste perché gli esseriumani hanno stabilito delle regole. Hanno stabilito di dare dei nomi a degli oggetti ed hannostabilito delle regole per vivere insieme. E tutto comincia dal nascere. Se non si nascesse, cioè seuno non entrasse in uno stadio….Basta che uno non entri in uno stadio. Quando vede uno stadio rimane fuori, continua per la suastrada, che gliene importa se quelli che stanno dentro che giocano al calcio sono undici e se unotocca la palla con la mano viene squalificato, e così via? Non esiste, non esiste proprio. Così comeche cosa esiste per gli abitanti di Orvieto, di Scaramuccia? Che ne sanno loro? Che noi questanotte stiamo qui e che stando seduti fuori arriverà qualche moschino o qualche zanzara, oppureche qualcuno avrà male alle gambe? Evitano accuratamente di avvicinarsi a Scaramuccia, per cuiquesti problemi per loro non esistono.Tutto comincia quando entriamo nello stadio e lo stadio iniziale nel quale entriamo è proprio lapancia di nostra madre, il momento in cui decidiamo di entrare in quella pancia, lo stadio dellavita, allora cominciano le regole: chi esce uomo, chi bello, chi brutto, chi bianco, chi nero, e cosìvia. E poi avanti, avanti, sempre con queste strisce bianche da non calpestare, questo passo dauniformare al passo che decide la giuria. E le giurie cambiano, non ce ne accorgiamo, e così via.Allora, se noi ci rendiamo conto di stare in uno stadio dove le regole le abbiamo messe da noistessi, riusciamo ad accettarle. Per cui, se una volta ci squalificano, diciamo: "Va beh, la prossimavolta sarò più attento. In fondo si tratta di un gioco."Se invece noi pensiamo che queste regole dentro lo stadio ci siamo caduti per caso mentrepassavamo con la nostra astronave che ci portava a fare un viaggio in mezzo alle stelle, e noiapparteniamo a un paese diverso, un paese dove tutti sono più intelligenti, più evoluti, più

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sviluppati, allora è naturale che all'interno di quello stadio noi ci soffriamo. Possiamo essere tutt'edue. Però possiamo anche essere quelli che caduti dall'astronave dicono: "Ma, sono caduto inmezzo ai selvaggi, però sono divertenti, basta capirli!"

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 11 Agosto '95 (Venerdìm.)

Quando osserviamo i koan, anche se li leggiamo in maniera superficiale, potremmo pensare che imaestri abbiano avuto una voglia perversa di far soffrire i discepoli. Ci chiediamo quale sia laragione di risposte così strane, astruse, incomprensibili. Eppure, quando poi cominciamo apraticare, a risolvere qualcuno di questi koan, ci accorgiamo che la risposta giusta è sempre la piùsemplice, è sempre la più diretta, senza ricorrere ad alcun artificio come potrebbe far pensare ladomanda in sé.Certo, potremmo anche pensare perché tutta questa tortuosità per arrivare alla semplicità? Non sipoteva far a meno?La scoperta della semplicità è però una scoperta, è capirla. Se qualcuno ce lo imponesse o ce laspiegasse questa semplicità, non potremmo arrivare direttamente così come arriviamo quando,alla fine di un lungo percorso, risolviamo i koan. Per cui il lavoro che dobbiamo fare è sempre quello di eliminare tutto il superfluo per arrivareall'essenzialità, all'essenzialità che è semplice.

Da " PRIMA DELLA COSCIENZA"ULTIME CONVERSAZIONI CON SRI NISARGADATTA MAHARAJ

8 OTTOBRE 1980 (Sera)

Maharaj: Qual'é la causa dello stato di veglia, del sonno e dell'"Io sono"? Domanda: La chimica.M.: Quando pronunci quella parola: "Chimica", ti consideri quello?D.: Ho studiato attentamente quella chimica e non sono quello. Ogni cosa ècontenuta in essa, ma non è me.M.: Proprio come questa fiamma è la qualità del gas quando brucia,similmente, a causa di questa chimica, c'è l'esperienza dello stato di veglia, delsonno profondo e del conoscere, ma queste non sono tre qualità.Alla chimica vengono dati vari nomi, mula-maya, sutra-pradam, eccetera. Ètutta illusione. Non c'è Dio, non c'è anima individuale, nulla. L'illusioneprimaria si esprime attraverso l'amore di Sé, l'amore per l'esistenza. Dal sonnoprofondo ti risvegli; analogamente il discepolo che considera definitive leparole del Guru, le segue e agisce conformemente, rimane come quello. Allafine egli ottiene la conoscenza del Sé. Proprio come ti risvegli dal sonnoprofondo, ottieni quella conoscenza "Io amo"; l'amore del Sé si fondeinconsciamente nel Parabrahman. Quando mediti, tu e quell'amore del Sé dovreste essere uno, non ci dovrebbeessere alcuna dualità. Il problema principale dei jnani, coloro che hannointellettualmente questa conoscenza, è il loro attaccamento nei confronti deiparenti e dei beni.

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Nessuno muore, la morte significa finito; per esempio, una goccia d'acqua,quando evapora, è diventata infinita. Non c'è morte per nulla, ogni cosa finisceper diventare infinita.Il purusha è quel principio da cui fluisce ogni cosa, tutta la manifestazione; è ilsupporto di ogni cosa. Quando conosci qualcosa devi diventare quella cosa; alfine di conoscere Dio devi diventare Dio. Al fine di conoscere quel purushadevi essere quello.D.: Prima Maharaj stava parlando di attaccamenti. Cosa si può diredell'attaccamento al Guru? Trovo che tutti gli altri attaccamenti se ne sonoandati, ma questo rimane.M.: Cosa intendi con attaccamento al Guru? Tu e il Guru siete uno, non due.D.: Come posso seguire ciò che dice Maharaj, quando ho così tante cose a cuipensare, come la famiglia e tutto il resto?M.: La tua coscienza da sola si sta prendendo cura di ogni cosa; considera latua coscienza come Dio. La prima cosa che devi fare appena sveglio è meditaresu quella coscienza, su quell' "Io sono". Adora quella coscienza per un po' ditempo prima di iniziare le tue attività quotidiane. E la sera, prima diaddormentarti, dimora ancora in quella coscienza, nell' "Io sono". Sii devoto aquello e vai a dormire con questo stato d'animo…. Quella coscienza che medita sul Sé, quel Sé che ti sarà rivelato ….Le persone adorano così tanti Dei, ma questi Dei sono soltanto concetti chesono venuti nella mente.Le persone dicono di volersi salvare; salvare cosa? Cosa cercherete di salvare?Qui tutta la vostra conoscenza si dissolve, così non potete avere l'orgoglio diessere un jnani quando ve ne andate da qui.

TEISHO 11 Agosto '95 (Venerdìsera)

Qui sulla chimica c'è poco da dire. "È tutta illusione" dice Maharaj. "Come si fa a consideraredefinitive le parole del Guru? "· Su questo Maharaj insiste molto, soprattutto nei suoi primi libri,poi a poco a poco, questa domanda gli viene fatta di meno e ci ritorna di meno.Poi torna ancora al problema dell'addormentarsi e del risvegliarsi, come che prima e dopo il sonnoci sia il momento più importante della giornata. Per Maharaj l'uscita dal sonno, il sonno della nonconoscenza, possiamo dire, questo risveglio è come quello che è sicuro di ciò che dice il suo Guru ecosì accetta quello che gli viene detto e lo fa suo.Alla domanda: "Come posso seguire ciò che dice Maharaj ", o Buddha o chiunque, "quando ho cosìtante cose a cui pensare, come la famiglia e tutto il resto?", Maharaj risponde: "La tua coscienzadasola si sta prendendo cura di ogni cosa. La prima cosa che devi fare appena sveglio è meditare suquella coscienza, su quell'"Io sono." Ritorniamo sempre allo stesso punto, ritorniamo a "una melaal giorno leva il medico di torno". Siamo sempre lì a fare la ginnastica al mattino, le docce fredde, ibagni freddi, un quarto d'ora di passeggiata o di corsa, mangiare cibi integrali, eccetera eccetera.Perché è ovvio, si deve fare qualche cosa e questa azione, questa attenzione, si deve fare sempre.Ora Maharaj dice: " La prima cosa che devi fare appena sveglio è meditare su quella coscienza, suquell'"Io sono". Noi appena ci alziamo diciamo: "Voto di salvare tutti gli esseri, di realizzare labuddità". E uno comincia la giornata in questa maniera, anche prima di dormire. Perché unodorme? Perché uno si sveglia? Perché uno comincia a camminare, a muoversi, a lavorare, ecc.ecc.? Perché non c'è niente altro che realizzare la buddità, che salvare tutti gli esseri, estirpare lepassioni, comprendere tutti i darma. Non c'è altro.

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E allora Maharaj dice: "La sera, prima di addormentarti, dimora ancora in quella coscienza, nell' "Iosono", sii devoto a quello e vai a dormire con questo stato d'animo".Oppure quando si pratica sul MU, quando si pratica veramente su un koan, uno si addormenta conil koan, si risveglia con il koan, mangia con il koan, cammina con il koan, che sia questo il MU o chesia un altro; ecco che fa sempre! "··· Quella coscienza che medita sul Sé, quel Sé che ti saràrivelato…"Se noi riusciamo, l'ho detto tante volte a tutti gli allievi, anche soltanto un minuto, il minuto delrisveglio al mattino, e ci svegliamo subito - ecco già questo svegliarsi- e ci chiediamo che cosastiamo a fare, e siamo pronti a rispondere: "Che stiamo a fare noi chi? Io chi? Io rispetto a checosa? Rispetto alla casa, rispetto alla società, rispetto al mondo circostante? E che cos'è?". Seriusciamo a centrarci in quel momento, e ci accorgiamo che salvare tutti gli esseri significa esseretutti gli esseri, allora già siamo nell'illuminazione.Il Buddha Amitaba ha promesso che chi lo avrebbe nominato soltanto una volta con il cuore puro:"Namu Amida Butsu” che già si è salvi. Altro che paghi due e prendi tre, paghi uno e prendi tutto!Perciò ci sono già dei precedenti, nel buddismo, e magari in chissà quali altre pratiche. Per cui inun attimo noi possiamo già essere salvi. È certo che questo istante, che viene fuori dal sonno alrisveglio, è proprio quello che ci permette di cominciare non solo la giornata, ma una vita nuova.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 11 Agosto '95 (Venerdìsera)

Sarà circa due mesi che mi ha telefonato una persona che è andata in un centro buddista direttoda un'altra persona che conosce da molti anni e con la quale ha sempre avuto un rapportocameratesco e, di fronte a tutti i suoi allievi, l'ha chiamato per nome. Gli allievi si sono ammutolitie poi questo gli ha detto: "Sai, qui mi chiamano Maestro."Andando al bagno, in quell'occasione ormai rara di chiacchierare, o all’andata o al ritorno, mi èstato prospettato il problema che ormai quasi tutti qui a Scaramuccia mi danno del lei. Anch'io ilmomento in cui mi è stato detto, ho fatto mente locale e mi sono reso conto che in effetti c'è statauna crescita di quelli che si sentono meglio dandomi del lei. Ma io non penserei mai di dire aqualcuno che mi desse del tu: "Qua mi chiamano maestro per cui, per favore, fallo anche tu" espero anche che gli allievi non ammutoliscano. Qui c'è sempre stata la libertà di chiamarel'insegnante di Scaramuccia come viene meglio. Non c'è una regola. Qualcuno mi ha detto che èscritto da qualche parte di daredel lei, ma questo io neanche lo sapevo.Il rispetto per le persone non è che si può imporre attraverso un formalismo. È ovvio che tra noic'è rispetto; c'è rispetto verso la persona più anziana come anni, c'è rispetto verso la persona che èpiù anziana come pratica e che ha la funzione di fare la guida. Ma una volta che si sente questorispetto e ci si sente bene dando del tu, non dovrebbe esserci niente di male, anzi. Da un certopunto di vista questo lasciare liberi gli allievi di chiamare come gli pare, è anche, come ho detto neigiorni scorsi a proposito del non chiedere la caparra a quelli che vogliono venire alle sesshin, una"cattiveria", perché sarebbe molto più semplice stabilire che si usa questo modo e poi tutti siadeguano. È molto più semplice stabilire il prezzo di un oggetto invece che andare a contrattareogni momento. Che bello, uno entra in un negozio e c'è scritto: cinquemila, diecimila, centomila. Inquei negozi levantini, o in quei banchi dove non c'è scritto niente, io non ci so andare, mi sentoimbarazzato, non so.Una volta andai da un calzolaio, nel sud, perché mi si era rotta una cosa e quello mi disse: "Faccialei." E che faccio io? Se do cinquemila è poco, se do ventimila è troppo. Non può dire lui: "Ho

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lavorato un quarto d'ora, devo guadagnare trentamila lire l'ora, dammi settemilacinquecento lire.C'ho messo mille lire di colla, totale ottomilacinquecento lire." È tanto semplice. Quando si era a Shofuku-ji non c'era il problema di come chiamare il maestro. Addirittura gli davadel lei pure il fratello.Mi ricordo una volta che accompagnai il maestro ad una festa in cui erano convenuti molti suoiallievi anziani, e c'era anche il fratello più grande, mi pare, e quello in giapponese lo chiamava"Signor Roshi", mica lo chiamava per nome. Mettiamo che si chiamasse Mumon anche nella vita,da ragazzino. Mica gli diceva "Ei Mumon, ti piace questo pasticcino? " E poi nella linguagiapponese ci sono modi di dire molto riverenti. In Giappone in un certo senso è molto piùsemplice. Ci sono i ruoli e quelli sono così. Qui da noi, anche se ci sono dei ruoli, ci sono certelibertà che rendono più difficile. Per cui ognuno se la cavi a modo suo, ci pensi sopra e decidacome meglio gli pare.

ESORTAZIONI FINALI 12 Agosto '95 (Sabato matt.)

Quando Dogen Zenji andò in Cina, dove ricevette il sigillo della trasmissione, e al ritorno glichiesero come erano i cinesi, lui dette una risposta che è rimasta nella storia dello zen, checomunque era un modo di dire normale a quei tempi, penso. Disse: "Hanno gli occhi orizzontali e ilnaso messo verticale."Ricordo quando andai in Inghilterra, la prima volta all'estero, dopo due mesi tornai in Italia e capiiche in Italia si stava meglio, in fondo. A casa, anche se non si imparava l'inglese, si stava meglio.Ma tutto quanto dice Dogen Zenji lo possiamo dire noi il momento in cui ci rechiamo in un postodiverso da quello in cui viviamo. Tutto questo possiamo dirlo solo perché ne abbiamo fattoun'esperienza e, anche se riteniamo che il posto dove viviamo sia il il migliore, quando loriteniamo, questa esperienza ci ha trasformati, ci ha fatti crescere. Che cosa sia effettivamente lacrescita che stimola la partecipazione a una sesshin non abbiamo strumenti per misurarla.Ce ne sono che cominciano a venire e poi continuano a farlo per tanti anni, altri una volta venuti,poi non si vedono più. Altri vengono di tanto in tanto. Per alcuni è un bisogno costante diapprofondimento, per altri è un passaggio come tanti altri. Un anno si può fare la sesshin, un altroanno andare al festival del jazz, un altro anno fare un viaggio all'estero, e così via.Non c'è niente di giusto particolarmente in un aspetto o nell'altro. Ognuno sente più o meno fortela spinta di conoscenza interiore e realizza questa conoscenza sicuramente osservando se stesso.Tutti noi vogliamo conoscere, eppure lo sforzo che facciamo realmente per conoscere, poi non ècosì tanto."Se", diceva Mumon, "in questa sala si meditasse realmente, si farebbe saltare il tetto dell'edificioper la forza che si potrebbe sprigionare" e siccome non saltava, probabilmente non si meditavacome si doveva.Abbiamo in noi la capacità di capire immediatamente, eppure questa capacità di capireimmediatamente la diluiamo attraverso i giorni, i mesi, gli anni. Cerchiamo di capire perché.Perchépotendo capire subito, lasciamo che questa pigrizia dell'Assoluto che siamo, vinca spesso su di noi?Questo dobbiamo capirlo. Allora, il momento in cui l'abbiamo capito siamo padroni di noi stessi,sappiamo di poter aprire gli occhi quando vogliamo e di chiuderli ugualmente quando vogliamo.

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Le sesshin attraverso gli anni si sono trasformate in vario modo, ma ci siamo trasformati anche noi.Fa parte della vita, della crescita di un luogo e delle persone.

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SESSHIN SETTEMBRE 1995

2 settembre 1995 (sabato ore 18)

da “PRIMA DELLA COSCIENZA” di Nisargadatta Maharaj

14 Ottobre 1980

Domanda: Alla presenza di Maharaj sento che non ci sono più domande.Maharaj: Tu senti che i dubbi sono svaniti, tuttavia il giorno è ancora lontano,semplicemente aspetta.D: Maharaj può suggerirci una cosa per mezzo della quale possiamo gioirel'eterna beatitudine?M: Ho un rimedio molto semplice: io non sono il corpo. Se il mondo fossereale ci potrebbe essere qualche cura, ma non è reale. Qualunque cosa tu facciaè inutile. Ovunque vedi tutto questo caos a dispetto di ogni sforzo. Non puoifermarlo, è un continuo fluire, è del tutto irreale.Dopo aver ascoltato i miei discorsi, accumuli conoscenza o la conoscenza cheavevi viene dissolta?D: Viene dissolta. Potrei portare Maharaj a casa mia?M: lo sono proprio come la città di Bombay; puoi portare Bombay a casa conte? Questa esperienza del mondo ti accade spontaneamente, non per i tuoisforzi. Anche la tua comprensione del Guru deve avvenire spontaneamente.Nulla si fermerà. Tutto il processo sta continuando senza il tuo sforzo, cosìtanti corpi vengono creati e muoiono. Tutte le azioni per la continuità delmondo stanno già accadendo. Nello spazio il processo della creazione dimilioni di corpi sta già avvenendo.Dalle erbacce sono venuti i cereali e in quei cereali l’ "lo sono" è latente. Quelmessaggio telefonico: "Salve, Io sono. Salve, Io sono'', è già presente in quelgranello di cibo. Se crei qualcosa con i tuoi sforzi, solo allora potraidistruggerla; ma questa creazione non è frutto del tuo sforzo.

TEISHO

La domanda che fa il visitatore all'inizio è quella che ognuno di noi ha fatto e fa in continuazione:"Che cosa possiamo fare per gioire l'eterna beatitudine?"Qui, secondo me, Maharaj non dà la risposta giusta perché, se desse la risposta giusta, dovrebbescoprire le carte del gioco. Continua a mantenere in piedi questo giuoco che, lui e tutti gli altri chelo vanno ad ascoltare, stanno giocando. Infatti risponde come un qualsiasi altro maestro che, ognitanto, lui stesso critica. Spesso, Maharaj dice di sé stesso di essere l'unico che dice le cose cosìcome sono ed invece gli altri maestri di meditazione, dicono di fare digiuni, di recitare mantra, difare meditazione ed altro. Queste cose, secondo Maharaj, non servono per rispondere al quesitofondamentale. Però, appena il visitatore gli fa una domanda, anche lui cade in questotrabocchetto.

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Il visitatore gli chiede se può suggerirgli una cosa per mezzo della quale gioire l'eterna beatitudine,e lui dice: "Ho un rimedio molto semplice: io non sono il corpo." Ma questo, l'aveva detto pureGesù Cristo, l'hanno detto tanti prima di lui! Addirittura ci sono stati alcuni che si sono flagellatiper potersi distaccare completamente dal corpo e stabilire che sono qualche cosa di diverso dalcorpo;lo hanno detto in maniera violenta, in maniera dolorosa. Maharaj lo dice in maniera più sottileperò è sempre una risposta che rimane all'interno del gioco; rimane sempre una risposta percontinuare a rimanere nel circolo in cui sia Maharaj che il visitatore, avendo un corpo, cercano diconvincersi di non averlo o convincersi di non essere il corpo. Questo non fa altro che accumularequalche altro problema.Il corpo c'è; se uno volesse entrare nell'eterna beatitudine basterebbe sparire. Sparisce, si dissolvecompletamente, ritorna da dove è venuto, ritorna nell'eterna beatitudine.Se delle persone stanno in quella stanza e noi stiamo in questa stanza, significa che abbiamovoluto avere questo corpo e mi sembra molto stupido venire qui a dire: "lo non sono il corpo."Allora chi ti ha detto di prenderlo?! Noi dobbiamo continuare a vivere con il nostro corpo, (questo è fondamentale!) poi possiamoanche, in alcuni momenti, volerci sentire uniti ad un altro livello che non è quello del corpo, allorapossiamo anche dire: "non sono il corpo" ma, di questo, ce ne accorgiamo in tutte le occasioni;anche stando seduti qui sul cuscino, nel momento in cui siamo completamente immersi nel nostrorespiro, ci rendiamo conto che non siamo il corpo; ad un certo punto, siamo il respiro.Ma se andiamo oltre ci accorgiamo che non siamo neanche il respiro!Ebbene?! Che facciamo? Ci consumiamo come la fiamma della candela o del Senko (l'incenso) epoi? Noi ritorniamo indietro al nostro corpo, quando suona la campanella, ci alziamo (KinHin),sentiamo le gambe che ci fanno male; continuiamo la nostra pratica.C'è un altro punto! È proprio attinente a quanto detto prima. Maharaj dice: "Nulla si fermerà.Tutto il processo sta continuando senza il tuo sforzo, così tanti corpi vengono creati e muoiono."Vediamo che l'universo nel quale viviamo ha bisogno di questi corpi che vengono creati; habisogno che queste creature ad un certo punto muoiano. Noi facciamo parte integrante, di questogrande Universo con il nostro corpo insieme a tutti gli altri corpi. "Tutte le azioni per la continuitàdel mondo stanno già accadendo. Nello spazio il processo di creazione di milioni di corpi sta giàavvenendo."Perché l'universo che possiede la conoscenza assoluta non si ferma, non smette di fare tutti questicorpi?! Secondo Maharaj questi corpi devono respingere la completa beatitudine dicendo "io nonsono il corpo."Questo è il mondo! Il mondo che crea i corpi, noi e tutti gli altri (che siamo il mondo che crea icorpi) e dal riconoscimento di questo, dal riconoscimento di questa ineluttabilità nella quale cisiamo calati volontariamente, da questo possiamo dire che viene non tanto l'eterna Beatitudine,perché l'EternaBeatitudine con un corpo ed una mente così come siamo dobbiamo aspettare un pó prima dipoterla ottenere, ma abbiamo la beatitudine di vivere la nostra vita o da soli o insieme a tutti glialtri, così come capita!Quando finisce dicendo che questa creazione non è il frutto del nostro sforzo, tutto quello che cirimane da fare è renderci conto di questo. Lo sforzo che noi abbiamo fatto è partecipare allacreazione dall'inizio, partecipare con la nostra voglia di esistere, quell'io sono di cui si parla, che ègià presente nel messaggio telefonico e dice. "Salve io sono, Salve io sono" ed è presente nelgranello di cibo, nel granello di cereale.C'è stata la nostra voglia, il nostro desiderio, la nostra volontà, la nostra sete di vivere che ha fattosì che noi partecipassimo alla creazione. Dopo aver partecipato alla creazione, già abbiamo dato

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una spinta e, secondo la spinta che abbiamo dato, ci troviamo più o meno avanti in un certocammino, ma questo che significa! Siamo in cammino, questo è importante.Nisargadatta come tutti i grandi maestri non ha, giustamente (come Buddha, Gesù Cristo,Maometto, Lin-chi, Yamada Mumon, quanti ne abbiamo conosciuti direttamente o attraverso lastoria o attraverso la tradizione) il potere di cambiare il mondo.I maestri hanno il potere di indicarci una via che, poi, non la possono neanche indicare. Sedicessimo esattamente le cose come stanno, uno potrebbe venire fuori e dire: "Boh! va beneinsomma!" È come quando si gioca a "nascondino"; se quello che deve cercare gli altri non chiudegli occhi non c'è gioco; per giocare ci dobbiamo mettere d’accordo che uno stia con gli occhi chiusimentre gli altri si nascondono. Se ci nascondiamo mentre quello che ci deve cercare sta con gliocchi aperti, il gioco non ha senso. Così se questi maestri ci venissero a dire esattamente comestanno le cose (e in un certo senso ce lo dicono pure, siamo noi spesso che non comprendiamo) ilgioco non avrebbe senso.Così Nisargadatta si trova a dover dire le stesse cose (banali, ovvie, che lasciano il tempo chetrovano) che dicono quelli che, di tanto in tanto, gli avviene di criticare.Quello, fondamentalmente, che c'è da fare è renderci conto di "esserci" e, questa comprensione di"esserci", mantenerla. Sapere di "esserci" con il corpo ed "esserci" con il corpo; sapere che ci vuolepoco per uscire dal corpo. Ma non è questo in fondo il problema. In fondo possiamo anche capireun mistero come quello della trasfigurazione di Gesù Cristo (registrazione incomprensibile) Unoche aveva il potere di fregarsene della gente che lo prende e lo lega, poteva benissimo scappare;poteva benissimo evitare tutto quello che è successo, eppure, avendo un corpo, soffre con ilcorpo.Fino al momento in cui decidiamo di tenerci il corpo, di tenerci questo "IO SONO" che comprendetutto, viviamo in questa maniera. Viviamo bene, in questa maniera, se siamo completamenteconsapevoli di questo.Essere consapevoli vuol dire "esserci" in ogni momento.Per ritornare a Nisargadatta, c'è quel messaggio telefonico che ripete: "Salve, lo sono. Salve, losono".

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SESSHIN OTTOBRE 1995

7 ottobre 1995 (sabato sera)

da “PRIMA DELLA COSCIENZA” di Nisargadatta Maharaj

15 Ottobre 1980

Domanda: Ci sono molti momenti nella mia vita in cui non mi piace lasituazione e voglio cambiarla.Maharaj: Puoi lottare con la situazione, ma sappi che tu non sei la situazione.D: Quando si inizia a guardare la mente.si sa di essere separati dalla mente enon si vorrebbe essere coinvolti nella lotta della mente; così, naturalmentel’afflizione diminuirà.M: In questo processo, tu, come individuo, non ci sei affatto. Cerca dicomprendere che I' "Io sono" è un prodotto del sattva guna, un prodottodell'essenza del cibo. L'afflizione è la lotta tra quel quieto testimone e ilmondo.La lotta è cominciata quando le parole hanno cominciato ad emanare dallacoscienza. Le parole sono uscite da te e tu hai abbracciato quelle parole; seidiventato il campione del significato di quelle parole che sono uscite da te.Hai una montagna di concetti e di parole. Per liberartene usi altri concetti.Quando getti via tutti i concetti, incluso il tuo concetto primario, allora,qualunque cosa sia, è. Rimani nella quiete .D: Le parole sono necessarie o è sufficiente la presenza di Maharaj?M: Senza dubbio la compagnia di un saggio favorisce la realizzazione, tuttaviadev'essere integrata da domande e risposte.C'è sempre qualche dubbio che sorge dalla mente. Cosi. fino a che tutte letracce della mente non vengono rimosse, devi chiarire i dubbi per mezzo delleparole.D: In questi giorni. quando vengono i pensieri, semplicemente me neallontano, sento di poterli fermare.M: Se puoi farlo, fermarli va bene, ma se stanno fluendo, lasciali fluire.D: Non essere coinvolti dai propri pensieri, è sufficiente?M: Si, e qualunque cosa debba accadere accadrà; hai abbandonato il farestesso.D: Così non è più necessario cercare di cambiare se stessi, cercare di farecose migliori?M: Quando non ti aggrappi ai pensieri, semplicemente non sei più una persona.D: Mi spaventa un po'. Può accadere qualunque cosa potrei fare cose folli.M: Questo è uno stadio comune, tutti l'attraversano. La paura è una qualitàdella mente, e la mente non vuole perdere se stessa.Recita il nama-mantra, aggrappati al mantra, perché questo è uno stadio in cuila mente sta perdendo ogni sostegno, perciò tu dalle il sostegno del mantra.D: Le cose che non amo di me stesso, derivano anch'esse da un pensiero; cosiposso lasciare andare anche queste?M: Sì. Ma non dire me stesso. anche questo è un pensiero.

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D: Così, alla fine è semplice e si riassume così: liberarsi semplicemente daipensieri; è vero.M: Non è un raggiungimento piccolo. Puoi sentire di essere libero dal pensiero,ma ad un certo punto il pensiero balzerà improvvisamente su di te. Molticosiddetti saggi, sebbene abbiano conseguito lo stadio libero dal pensiero,hanno avuto ancora la loro caduta.

TEISHO

Questo è un capitolo movimentato in cui Maharaj dà risposte brevi ed attinenti a quello che ilvisitatore chiede. Ci sono alcune affermazioni di Maharaj che sono condivisibili ma nello stessotempo anche discutibili forse perché Maharaj talvolta non capisce la domanda, per motivi ditraduzione, e quindi le risposte non sono quelle giuste risponde andando a parare da qualche altraparte.La situazione di cui parla questa persona dicendo: "Ci sono molti momenti della mia vita in cui nonmi piace la situazione e voglio cambiarla" è quella in cui ci troviamo tutti quanti. Non esistequalcuno di noi che si alzi la mattina e arrivi alla sera per un anno, dieci anni, cinquant'anni, e nonabbia voglia di cambiare la sua situazione. Se non ha voglia di cambiare la propria situazione sibutta nella politica o nella religione perché vuole cambiare la situazione degli altri, la situazionedel modo, la situazione degli animali o delle piante. Questa condizione di "voler cambiare" èinerente a tutti quanti noi però, se fondamentalmente non c'è chiarezza allora ci muoviamo comedice Mumon nel suo Mumonkan: "come dei fantasmi che si agitano nelle nebbie delle paludi".Perché vogliamo cambiare? Per fare che? Come uno che sta a letto in una posizione scomodo ecambia; si mette in un'altra posizione ma dopo un'ora, mezz'ora, dieci minuti vuole di nuovocambiare.In fondo veniamo qui per fare meditazione ma, se stessimo seduti più di mezz’ora, cominceremmoa muoverci da una parte all'altra perché questa posizione ci darebbe fastidio. Vogliamo cambiare,ma per andare dove? Qui Maharaj dà una spiegazione che non si capisce: "Puoi lottare con lasituazione ma sappi che tu non sei la situazione". Siamo di fronte ad un problema e lo vogliamocambiare. Fondamentalmente, certo, e questa è la chiarezza di cui dobbiamo andare alla ricerca.Noi siamo in una situazione inerente al mondo nel quale viviamo, fatto di regole che vengono dallanatura (cioè l'avere fame, l'avere sete, l'avere sonno e così via) ed altre regole che ci siamo impostidurante la nostra convivenza.Tutte queste regole, se non ci stanno bene, alcune le possiamo cambiare; non possiamo arrestareil fatto che la natura decida che un essere umano, a 60, 70, 80 anni, 100 anni ad un certo puntodeperisca e poi muoia! Allora? Come usciamo fuori da un non voler stare in una situazione delgenere? Dobbiamo far chiarezza e sapere che le regole della natura e le regole della società a cui cisottoponiamo le abbiamo accettate noi stessi. Siamo al mondo perché, per qualche motivo, equesto adesso non lo andiamo a investigare, abbiamo deciso di starci; certo che se tutta la nostravita fosse impegnata a lottare contro le situazioni che non ci piacciono, sarebbe interessante da uncerto punto di vista, però sarebbe senza speranza. Lottare per cambiare sempre? A che scopo?Anche un atleta che si allena sempre diventa vecchio e perde le forze; uno studioso, dopo tantostudiare, diventa vecchio e perde la memoria.Dobbiamo sapere che lo scopo finale per il quale stiamo vivendo una vita in cui siamo venuti dinostro proposito (questa è la stranezza della nostra vita), è quello di volerne uscire; cercare dicapire come uscire. Ci mettiamo in un gioco e poi decidiamo che questo gioco è troppoimpegnativo e ci viene voglia di uscirne.Questo è molto importante che si capisca!

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Sabato scorso sono andato ad Arco perché c'era una gara di arrampicata. Non facevo gare diarrampicata da tanti anni, non ricordavo che fosse una cosa così impegnativa. Però non è chequalcuno mi ha obbligato ad iscrivermi alla gara; ho deciso da me stesso, quando è arrivatol'avviso di questa gara riservata alle guide alpine, di iscrivermi alla gara più difficile. Se avessivoluto scegliere la gara riservata alla mia età avrei affrontate difficoltà talmente elementari chenon mi sarei divertito. Allora per potermi divertire, e fare in modo che ci fosse un impegno che midesse una soddisfazione, mi sono iscritto alla gara più difficile per confrontarmi con persone moltopiù brave di me. Naturalmente con la paura di fare una brutta figura, perché quando uno si esponedi fronte a 1000 – 2000 persone, ma anche a 10, si rischia una brutta figura. Nel momento in cui lagarasta per cominciare, ed anche prima, veniamo presi dall'idea di interrompere tutto e, potendo,ritornare a due mesi prima, quando si è fatta l'scrizione, per ricominciare. Non si può fare! Stiamonella gara e bisogna farla. In quel momento si deve riflettere che, anche se poi ognicomportamento è diverso (c'è anche chi scappa, chi si mette paura, chi non riesce a dare il megliodi se stesso) ci siamo iscritti ad un gioco e, quando viene il nostro turno, dobbiamo giocaresapendo che stiamo giocando; non ci giochiamo tutta la nostra vita, ci giochiamo qualche altracosa. In certi momenti noi vorremmo scappare eppure siamo lì e ce la dobbiamo giocare tutta.Parlo di una gara di arrampicata ma possiamo vedere che gli esami e le gare alle quali ci iscriviamo,dalla scuola alla patente, da sposarsi a fare dei figli, ed anche venire a fare una sesshin è un esame,sono tantissimi; in alcuni entriamo senza neanche accorgercene, però, quelli che veramente ciimpegnano, ci fanno pensare e, certe volte, ci fanno venire la voglia di entrare nella macchina deltempo e ritornare nel passato per poter cancellare quell'impegno che abbiamo preso.Qui dice: "Le parole sono necessarie o è sufficiente la presenza di Maharaj?"Gli impegni che prendiamo siamo noi a doverli risolvere. Quando uno deve arrampicare, (io usoquesta metafora perché mi è familiare) non può chiamare il maestro per farsi dare una mano.Risponde Maharaj: "Senza dubbio la compagnia di un saggio favorisce la realizzazione, tuttaviadev'essere integrata da domande e risposte. C'è sempre qualche dubbio che sorge dalla mente.Così,fino a che tutte le tracce della mente non vengono rimosse, devi chiarire i dubbi per mezzo delleparole." Certo noi siamo qui e questo significa che, da questo essere tutti quanti qui presenti,nasce qualche cambiamento ma anche tutto questo fa parte di quel grande mettersi insieme, diquel grande decidere insieme, o singolarmente, di fare certe cose. Certamente c'è chi sa fare dellecose meglio di noi che copiamo. Ci dà delle indicazioni attraverso le parole o attraverso degliesempi proprio perché è passato prima di noi in quella situazione. Però poi la situazione ladobbiamo vivere per conto nostro.Poi parla di pensieri è può essere importante per quelli che fanno meditazione perché, sopratuttoquelli che cominciano a meditare (ma poi andando avanti senz'altro si diventa più scaltri e perciòsappiamo entrare e uscire dai pensieri con maggiore padronanza) all'inizio dicono: "lo miconcentro però i pensieri non vanno via." Sono tutti preoccupati da questo fatto che ci siano ipensieri. Senza dubbio l'idea che uno si metta seduto e non riesca a contare i respiri, nel nostrocaso, o a pensare soltanto al Koan o a non pensare affatto, crea un pó di preoccupazione. Si dice:"Ma come! medito, medito, medito e poi eh! Non tengo in pugno la situazione!" Maharaj dice: "Sepuoi farlo, fermarli va bene, ma se stanno fluendo, lasciali fluire." Dà una risposta molto pacata. Seriusciamo afermarli, fermiamoli; se non riusciamo, lasciamoli andare, così come diciamo da sempre qui aScaramuccia.Perciò non deve essere fatto uno sforzo di opposizione, con i pensieri, perché i pensieri alla fine, inqualche modo, sono più furbi di noi; c'è qualche furbizia all'interno di noi che fa si che il gioco chestiamo giocando diventi sempre più complicato e forse più interessante.

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Domanda: "Non essere coinvolti dai nostri pensieri, è sufficiente?" Qui sembra che si dia unapatente di capacità concentrativa: uno che non è coinvolto dai pensieri, è uno bravo. Maharajrisponde: "Sì, e qualunque cosa debba accadere accadrà; hai abbandonato il fare stesso." "Quandonon ti aggrappi ai pensieri, semplicemente non sei più una persona" Qui dobbiamo stare attenti!Ero ad Arco, per quella gara di arrampicata, ed è arrivato un ragazzo che scrive su una rivista dimontagna e, quando ha saputo che mi dedico alla meditazione, mi ha chiesto: "È vero che cistanno quelli che riescono a camminare sull'acqua o si sollevano da terra?" Ho risposto: "Sì! Inqualche modo ci sono delle persone che riescono a compiere delle azioni eccezionali!" Mi hachiesto: "Anche tu?" lo, devo dire la verità, non ci riesco. Certe volte mi piacerebbe ma non ciriesco. Ma, in fondo, neanche mi piacerebbe perché se uno andasse a fare una gara e avesse ilpotere di rimanere sospeso senza sforzo, la gara non avrebbe senso. Se andassimo a giocare acarte ed avessimo la possibilità di guardare attraverso le carte, non ci sarebbe la partita!Qui Maharaj ha detto "non sei più una persona" e cioè, se noi non siamo il nostro corpo, la nostramente ed altro allora è inutile che stiamo a giocare! È inutile che stiamo al mondo! È inutile chedecidiamo di venire al mondo. Noi dobbiamo sviluppare una capacità di essere persona (e questoè quello che dicevo all'inizio ed è proprio la stranezza degli esseri umani) e nello stesso temposapere che non siamo soltanto persona. Questo è il fulcro di verità intorno al quale bisognasempre nuotare.L'ultima frase del visitatore è: "Così, alla fine è semplice e si riassume così: liberarsi semplicementedai pensieri; è vero." Maharaj dice: "Non è un raggiungimento piccolo". Quando cominciamo amisurare i raggiungimenti siamo in un campo molto delicato. "Puoi sentire di essere libero dalpensiero, ma ad un certo punto il pensiero balzerà improvvisamente su di te. Molti cosiddettisaggi,sebbene abbiano conseguito lo stadio libero dal pensiero, hanno avuto ancora la loro caduta."Stiamo dando una patente di saggezza di 1 ° grado, di 2 ° grado, ecc., a seconda di quanto unoriesca ad essere libero dai pensieri.Questo non appartiene alla nostra scuola (anche Maharaj non è così categorico), perché noiabbiamo il nostro maestro Lin-chi che ripete in continuazione: "Entrare e uscire dalle situazioni aproprio piacimento". Se ci va di essere preda dei pensieri, o dell'alcool o di qualunque altrogodimento fisico o mentale, ce lo teniamo. Fa parte del mondo, fa parte dell'universo. Non è chel'alcool sia venuto da Giove e allora noi dobbiamo utilizzare solo quello che si trova sulla terra. Gliecologisti sono fissati con il legno e sono contro la plastica; come se la plastica non fosse unprodotto della terra. Dicono che la plastica è un prodotto della chimica, ma la chimica chi la fa? Ildiavolo? La chimica la fanno gli esseri umani!Secondo la nostra scuola: "Entrare e uscire dalle situazioni a proprio piacimento" perciò entrarenella condizione di sentirsi persona e poi entrare nella situazione in cui sappiamo che non siamosoltanto persona. Che cosa siamo esattamente ognuno se lo deve vedere per conto suo.

ESORTAZIONE FINALE 8 ottobre 1995 (domenicamattina)

Sicuramente nello stare seduti, sembra strano, c'è da imparare la posizione. A gambe incrociate oseduti in seiza, comunque sia, dopo un pó ci stanchiamo. Però, a poco a poco, questa posizionepuò diventare parte della nostra vita e allora ci accorgiamo che sederci non è tanto faticoso odoloroso. Non è un dover sedersi. Ci accorgiamo che insieme agli altri ci sentiamo meglio; stimolatia star seduti per tante ore; con gli altri riusciamo ad attraversare una notte senza la fatica o iltimore o gli sforzi che dovremmo fare se fossimo soli. Ci accorgiamo che una sesshin è un richiamodall'esterno e dall'interno. Sappiamo che, un certo giorno di un certo mese, ci si trova in un posto

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e, nello stesso tempo, sentiamo in noi la spinta ad esserci anche se non si sa bene che cosasuccederà.Che può succedere in una sesshin? Niente che non possa succedere in un giorno qualsiasi dellanostra vita però qui stiamo attenti: questa è la differenza! Siamo venuti apposta per stare attenti.Siamo venuti apposta perché l'attenzione possa scaturire dal silenzio che si crea sedendosi eosservando il respiro. Qualcuno potrebbe dirci: "Vai fino là per stare in silenzio? Per aspettare divedere il silenzio?" Sì! Non è facile che questa avvenga nelle nostre case o nelle nostre attività. Quipuò succedere e, nel momento in cui riusciamo a fare silenzio, riusciamo a vedere e a sentire inuna maniera diversa. Questo silenzio ci collega con le altre creature, con gli altri mondi e con tuttal'energia dell'Universo.Sembra strano a chi non sa come questo possa avvenire eppure, ad un certo punto, possiamosentirci tranquilli e sicuri che non può succederci alcuna cosa. Si dice talvolta: "Un minuto di Zazen,un minuto di Buddha".Che significa "Un minuto di Buddha?" Un minuto di chiarezza, un minuto di assenza dipreoccupazione, di paura. Un minuto di illuminazione.

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SESSHIN NOVEMBRE 1995

11 novembre 1995 (sabatosera)

da “PRIMA DELLA COSCIENZA” di Nisargadatta Maharaj

17 Ottobre 1980

Maharaj: Sii semplicemente come sei, non immaginare o fantasticare. Il tuocorpo e la tua immagine mutano continuamente durante la tua vita e nessuna diqueste immagini è rimasta costante.Fra vent'anni il tuo corpo abbandonerà questa immagine e avrà l'aspetto di unapersona anziana; più tardi anche quell' immagine se ne andrà. Se questeimmagini fossero state reali sarebbero rimaste; ma sono irreali.Il principio "Io sono" non ha forma, non ha colore, non ha disegno. Attraversoquesti disegni gioiamo e soffriamo, ma nulla è reale; qualunque esperienza tuabbia non è reale.Che tu stia piangendo o che stia ridendo, questa è I' immagine soltanto per quelmomento e nel momento successivo sarà cambiata. Alcune persone sono moltoabili a piangere o a lamentarsi, ma solo per quel momento.Fino a che il corpo ci sarà, ci sarà anche questo spettacolo transitorio,continuamente mutevole e alla fine, quella stessa coscienza attraverso la qualevedi il mondo se ne andrà. Per questo corpo e questa coscienza i giorni sonocontati.D: Se quando morirò non mi sarò pienamente realizzata, avrò un'altranascita?M: Se te ne andrai con quel concetto, quel concetto avrà un'altra nascita. Nonsai che forma assumerà quel concetto. Mi fanno visita soltanto quelle persone ilcui destino sta per essere pienamente esaurito. Non rimarrà nulla del lorodestino. Tu sei una donna che viene da un paese lontano, perché dovrestivisitare questo luogo? Perché il tuo destino sta per essere annichilito.

TEISHO

Con questa chiusura Maharaj in fondo sconfessa completamente tutto quello che ha detto fino aquel momento.Mi ha stupito un pó l'intervista ad un maestro che ha molti seguaci in Inghilterra e nel mondo; uncerto Sagharakshita, il quale pur criticando certi aspetti pietistici e di credulità del buddismo,quando parla delle rinascite dice che lui è d’accordo sul fatto che, se uno non riesce ad estinguereil proprio Karma, dovrà rinascere e vivere un'altra vita.Come si può affermare con certezza una cosa del genere e come può dirlo anche Nisargadatta, ilquale si è sempre scagliato, appena è stato possibile, contro quelli che gli parlano di nascita e dirinascita? Secondo Nisargadatta questa donna che è andata da lui, sta alla fine del suo ciclo, ma gli

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altri che non vanno da Nisargadatta, almeno in parte, rinasceranno. Dalle risposte di Nisargadattasideduce che ci sarebbe qualcosa di autonomo, di individuato.Fino a questo momento Maharaj ha parlato di una coscienza Universale dalla quale si distacca ungranello di coscienza individuale che, nove mesi prima della nascita, si installa in un certo corpofemminile per nascere. Questo granello viene da una coscienza Universale, non viene da un puntodove stanno tante coscienze individuali con un certo nome (così come pensano i tibetani e tantialtribuddhisti). Secondo Nisargadatta c'è un grande serbatoio, come il mare, da cui si stacca una goccia. Nel marenon c'è individualità, perché si è assoluti nella coscienza Assoluta, nella coscienza Universale,nell'Assoluto, nel Brahman. Nel momento in cui la goccia si distacca dal Brahman, attraversoquesti distacchi di coscienza, va nel mondo a fare esperienza del mondo. Poi ritorna nel Brahmansia che abbia raggiunto la fine del ciclo o meno. Questo è il punto fondamentale per cui il Buddhanon ha mai parlato di rinascite. Il Buddha stesso viveva in un mondo in cui la credenza nellarinascita era inserita nella vita di tutti i giorni, era dato per scontato che uno rinascesse; il Buddhastesso parla di una interruzione del ciclo di nascita e morte però, successivamente, nellaevoluzione del buddismoavvenuta nel Nord della Cina, nel Chan, della reincarnazione non se n'è mai più parlato. In tutti gli anni che sono stato vicino, o comunque a distanza di voce, da Mumon Roshi non ho maisentito parlare del Karma e della rinascita proprio perché, nello Zen, si parla della vita adesso, inquesto istante. Quando si vive nell'istante, si pensa a vivere un'esperienza reale o non reale chesia. Qui Nisargadatta dice: "Qualunque esperienza tu abbia non è reale." Allora, se non è reale, tu(il tu che gli sta davanti, ma pure il tu che sta da qualche altra parte, pure il tu che non va a visitareNisargadatta) qualunque esperienza tu abbia non è reale. Se l'esperienza che si ha non è reale, inquale altro mondo reale dovremmo rinascere? Leggere i capitoli della fine può portare un pó discompiglio però questo è un punto fondamentale. Riprendendo dall'inizio, ci rendiamo conto dicome chiunque voglia trasmettere qualche cosa, per certi versi, intrasmettibile, incomunicabile,abbia delle difficoltà. Fa un'affermazione e poi dice il contrario; fa una negazione e poi il contrariodi quella negazione. Nisargadatta parte dicendo: "Sii semplicemente come sei, non immaginare ofantasticare." In questi due imperativi di essere semplicemente come si è, senza immaginare o fantasticare c'ètutto il da farsi. Uno potrebbe aprire il libro a questa pagina e poi richiuderlo. E così! È finito!Nisargadatta Maharaj deve parlare un pó di più per la gente venuta da lontano; parlando, unaparola dietro l'altra, può venire la parola per cui il lettore attento, come siamo attenti noi, puòosservare: "Ma come! Prima dici che basta essere semplicemente come si è senza immaginare ofantasticare ed ora dici che c'è chi arriva alla fine del suo percorso e chi invece non ci arriva?"Chiunque, vada da Nisargadatta o no, se si limita semplicemente ed essere com'è, senzafantasticare di rinascite e di vite passate, ha risolto tutto. "Il tuo corpo e la tua immagine mutanocontinuamente durante la tua vita e nessuna di queste immagini è rimasta costante." Qui vuolesottolineare la sua affermazione perché, essendo il corpo mutevole, è ovvio che uno, essendosemplicemente come è, si adatta al corpo che muta e non rimpiange il corpo migliore che aveva enon desidera un corpo migliore di quello che ha."Fino a che il corpo ci sarà, ci sarà anche questo spettacolo transitorio, continuamente mutevole ealla fine, questa stessa coscienza attraverso la quale vedi il mondo se ne andrà. Per questo corpo equesta coscienza i giorni sono contati."In Nisargadatta troviamo sempre che egli è in attesa di andarsene, aspetta che il suo corporaggiunga il limite che gli è stato dato. Secondo i suoi stessi insegnamenti, la vita che sta vivendonon è reale e per questo, non sentiamo mai un invito a godersi la vita per quello che è anzi, c'è

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sempre un certo disprezzo verso l'irrealtà in cui stiamo vivendo e c'è sempre l'esaltazione dellepersone, come lui, che, vedendo la vita come irreale, non si sa bene in quale stato stiano;dovrebbe stare in uno stato intermedio fra la vita che facciamo noi tutti i giorni e la vita cheavremo dopo morti nel momento in cui ci ricolleghiamo, ci anneghiamo, nella coscienzaUniversale. Una vita di mezzo per cui, in questomomento, viviamo con la nostra coscienza individuale e, nel momento in cui moriamo, entriamonella coscienza Universale, cosmica. Nisargadatta sta in mezzo.Nei maestri Zen questo stare in mezzo non lo troviamo mai. Questa è una grande differenza. Se voileggete attentamente la raccolta di Lin-Chi, Joshu, Unmon e altri grandi maestri, vi accorgete chesono molto "terra terra"; sono molto legati alla terra; vivono la vita di tutti i giorni e si godono queipiaceri che la vita di tutti i giorni dà loro e sopportano, e in un certo senso si godono, i dispiaceriche la vita di tutti i giorni dà loro. È un pó come un attore che si gode sia le parti felici che quelletristi del suo mestiere di attore; non ci sono attori che recitano ruoli di sole persone felici, se sonoveri attori interpretano personaggi complessi, che attraversano crisi e mostrano il modo in cuil'essere umano vive questa complessità del mondo, questa contraddittorietà della vita con uncorpo che aspira a certi piaceri del mondo e con una mente che si rende conto dell'irrealtà delcorpo, del mondo e di tutti i piaceri. Sa che c'è qualche altra cosa ma, nello stesso tempo, non puòprendersela con il corpo; il corpo si comporta da corpo per cui questa coscienza che tende adunirsi alla coscienza Universale, deve prendersi il mondo così com'è sapendo che, com’é diceNisargadatta, fondamentalmente, qualunque esperienza si abbia, non è reale. Questo è il grandeproblema degli esseri umani: aspirare al cielo e viversi la vita; sentire che siamo del cielo ma nellostesso tempo dobbiamo viverci la vita, nella quale in qualche modo ci siamo venuti a trovare,senza preoccuparci di essere all'inizio o alla fine del percorso.

11 novembre1995 (sabato sera)

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEY

Tutti conosciamo la frase del Tao Te Ching: "Il Tao di cui si può parlare non è l'eterno Tao". Quandoutilizziamo termini come "Natura di Buddha", la "Vera Origine", la "Coscienza Cosmica" o anche la"coscienza personale", evochiamo, in noi, un'idea ma non ne cogliamo la realtà. Tutti i Maestridicono che dobbiamo ritornare alla nostra "Vera Origine". come si fa? Non è come un gomitolo dilana che uno lo srotola fino a trovare il capo iniziale. Per ritrovare la strada di casa dopo essereuscito per una passeggiata, basta rifare il cammino a ritroso. Gesù Cristo dice che bisogna tornarebambini per entrare nel regno dei cieli. Nisargadatta dice di ritornare a nove mesi prima dell'uscitadal grembo materno.Come si fa? Nella nostra scuola si da molta importanza al respiro. La nostra è una scuola in cui larealizzazione si ottiene non soltanto attraverso la pratica della meditazione seduta ma ancheattraverso tante altre arti.In queste pratiche noi, come scuola, abbiamo sempre dato enfasi alla centralità del respiro, arimanere ancorati al respiro, rimanere sul respiro, essere il respiro, diventare il respiro. I verbisono tanti però il luogo e il ritmo sono sempre gli stessi. Ancorarsi a questo respiro. "Guardaredentro di sé" come si fa? Però si fa! È stato fatto, lo facciamo.C'è un punto in cui, diventando respiro, sentiamo che dimentichiamo il corpo, dimentichiamo ipensieri, dimentichiamo anche il respiro. C'è un punto in cui ci sciogliamo all'interno e possiamoanche scioglierci all'esterno; possiamo vedere che fra noi e l'intero universo non c'è differenza; tranoi e l'intero corpo-mente non c'è differenza. Il respiro, all'interno annulla il corpo e la mente;all'esterno, annulla tutto l'universo che ci circonda. Si entra in una dimensione diversa. Questo

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deve diventare un punto fermo, deve essere come quando abbiamo voglia di un caffè. Che ci vuolea fare un caffè? Si apre la caffettiera ci si mette il caffè, l'acqua, si fa bollire. Ecco il caffè! Sapereche, il momento in cui abbiamo voglia di bere un caffè, lo possiamo fare.Il nostro respiro è molto più vicino di quanto possa essere un caffè o una tisana.È qua! Questo è uno dei modi della nostra scuola; come è stato detto: "entrare e uscire dallesituazioni": Un altro modo è quello di essere consapevoli di avere un corpo, di avere dei desideri,di avere dei sensi e assecondare questo corpo e questi sensi a seconda delle situazioni e viverecompletamente la nostra vita. C'è un altro mondo in cui possiamo ritirarci, in cui il corpo, idesideri, i sensi, la nostra mente, non interferiscono; siamo collegati con qualche altra cosa. Suquesto bisogna lavorare. Questo deve diventare come quando abbiamo voglia difare quello che ci piace; quando durante la giornata diciamo. "adesso mi bevo, mi mangio, mivedo, mi ascolto quello che mi piace": Esattamente uguale.Fermarsi, fare il silenzio che siamo in grado di fare così come siamo in grado di fare una tisana, eaccorgerci che possiamo uscire dal corpo-mente ed entrare (qui ci mancano sempre le parole) inun'altra dimensione, nella dimensione Reale.Chiamiamola come ci pare, non è importante come la chiamiamo, importante è che lo sappiamofare. Il caffè lo potremmo chiamare anche infuso di grani tostati, però la sostanza è quella; ilsapore che vogliamo sentire è quello. Certo qualche volta c'è un pó di fatica da fare, soprattuttoall'inizio, ma se anche una sola volta siamo capaci di aprire il rubinetto, mettere nel bicchierel'acqua e bereciò che ci disseta, anche una sola volta, poi lo sapremo fare sempre; questo elimineràcompletamente la paura di morire di sete, così come elimina la paura che ci succeda qualcosa.

12 novembre 1995 (domenica mattina)ESORTAZIONE FINALE

In una poesia che ho citato altre volte, Montale dice: "Non domandarci la formula che mondipossa aprirti" e prima ancora aveva detto: "Non chiederci la parola che squadri da ogni latol'animo nostro informe."Eppure Nisargadatta dice che la parola del Guru è l'unica che possa far comprendere al discepoloquello che c'è da comprendere; è l'unica che possa dargli la spinta finale perché acceda allarealizzazione.È giusto così! È giusto ciò che dicono sia Montale che Nisargadatta. Montale sa di essere soltantoun poeta (soltanto non è un termine limitativo) sa di non essere un Guru. Ci sono luoghi esituazioni in cui si sa dire la parola giusta perché si diventa strumenti della parola che va detta inquel momento. Tutti quanti noi, in qualche momento della nostra vita, abbiamo avuto, abbiamo eavremo bisogno che qualcuno ci dica la parola giusta. Fare migliaia di chilometri, centinaia di ore dimarcia, qualunque sforzo per riuscire a captare ed a fare nostra anche una sola di queste parole,vale la pena.È l'unico modo per trasformare la nostra vita, per farla uscire da quel senso di inutilità, difrustrazione che, possiamo essercene accorti tutti, ad un certo punto, finito l'entusiasmo dellacostruzione giovanile, di fronte alla vita, sentiamo coglierci.La sesshin può essere una occasione per captare qualcuna di queste parole che possono ancheessere parole che vengono soltanto dal fondo di noi stessi; ci può essere, per qualche modomisterioso e nascosto, la possibilità di far sgorgare da noi stessi parole che, in altri momenti e inaltri luoghi, non verrebbero fuori.

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SESSHIN DICEMBRE 1995

2 dicembre 1995 (sabato sera)

da "PRIMA DELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

7 Novembre 1980

Domanda: La coscienza è limitata nel tempo, così anche ciò che sono èlimitato dal tempo, o c'è qualcosa di eterno?Maharaj: Finché c 'è il corpo, tu sei questa coscienza, ma una volta che ilcorpo e la coscienza se ne sono andati, sei quello stato originale sul quale tuttoquesto è giunto come uno stato temporaneo.Il tuo stato originale è immutabile e permanente.La difficoltà giunge perché tutti voi state cercando Quello, dimenticando cheQuello è ciò che siete. Tu come soggetto stai cercando te come oggetto. Tu seiciò che stai cercando. Nel momento in cui c'è una posa, c'è paura. Chiunqueabbia assunto la posa di un cercatore sarà destinato a seguire le pratichetradizionali di un cercatore, con le sue limitazioni.Qual' è lo scopo di tutto quello che sto dicendo? È un attacco diretto all'identificazione con il corpo-mente. Finché c'è quell'identificazione, i mieiattacchi diretti continueranno.Una volta che la disidentificazione con il corpo-mente avverrà, Brahman verràcon le palme giunte ai vostri piedi.D: Questa disidentificazione avviene improvvisamente o gradualmente?M: Dipende da come la guardi. Se te ne stai occupando, sarà graduale; quandoavrai fatto l'ultimo passo., sarà improvvisa. Quando questo accadrà, realizzerail'identità del non-manifesto col manifesto: sono uno, non c’è differenza.La vera conoscenza può avvenire solo quando tutti i possibili concetti sonostati abbandonati e può venire soltanto dall'interno. Il Parabrahman non hainizio né fine, è eterno, mentre questa coscienza è limitata nel tempo, ha uninizio e una fine.Proprio come vi svegliate al mattino e venite a sapere che siete, analogamente èaccaduto questo. Poiché io sono, mi sono svegliato; se non ci fossi, come potreisvegliarmi?II Parabrahman viene a sapere di essere e la coscienza è il modo in cui ilParabrahman sa di essere. Il Parabrahman è il vostro eterno stato, non potetericordarlo perché non l'avete dimenticato. È la vostra esperienza quotidiana, losapete. C'è coscienza, ma non si tratta di "io": Esso è.La forza vitale nel granello è in una condizione dormiente. Comprendete quellaforza vitale e non condizionatela a nessuna forma. Questa esistenza non èqualcosa della quale potete afferrare una manciata, è manifesta; è ovunque,come lo spazio.Tutto questo discorso profondo non è altro che un intrattenimento mentale.Procedendo ulteriormente nella spiritualità noterete che l’"Io sono" è Diostesso o l'anima di un infinito numero di universi, ma quell' "Io sono” è ancoraintrattenimento.

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Tutti i miei discorsi costituiscono un intrattenimento concettuale.

TEISHO

L'ultima frase di Nisargadatta è un pó come quella che si dice certe volte in cui delle persone siriuniscono per discutere di qualche cosa di serio, di una certa importanza almeno per loro se nonper l'umanità. Ci si accorge che queste discussioni probabilmente non porteranno a grandissimirisultati però e l'unica cosa che si può fare. Si può sentir dire: "Mah! Tutto quello che facciamo nonserve a niente!" Da un certo punto di vista è giusto. In tempi passati, si sa, c'era, ma c'è ancoraoggi, chi andava in giro a dire: "È inutile che fate tutto questo, tanto dobbiamo morire"! Con qualeapprensione si mette al mondo un figlio o si comincia una attività di cui non si sa quale sarà lariuscita sapendo che, ad un certo punto, potrebbe succedere qualche cosa di catastrofico!Nisargadatta che sta a fare lì? Perché parla? Perché la gente va da Nisargadatta a parlare? Forse,potremmo rispondere che anche gli altri vorrebbero, come lo capisce Nisargadatta, comprendereche, in fondo, tutto è intrattenimento ma, una volta capito, che cosa farebbero? Tornerebbero alloro paese si metterebbero pure loro dentro una stanzetta come Nisargadatta; avrebbero dellepersone che gli farebbero le stesse domande che fanno a Nisargadatta e come Nisargadattadirebbero alla fine: "Tutti i miei discorsi costituiscono un intrattenimento concettuale" E così neisecoli dei secoli.Certo quello che dice Nisargadatta non è sbagliato, non c'è un errore, è come i Savonarola cheandavano in giro a dire: "Tanto dovete morire". Ma se siamo nati, e su questo non c'è dubbio, èproprio questo senso di presenza, questo "lo sono" che noi tutti possiamo percepireimmediatamente nel momento in cui decidiamo di farlo; se c'è questo senso di presenza tutto haun significato.Qui Nisargadatta dice: "Tu come soggetto stai cercando te come oggetto. Tu sei ciò che staicercando. Nel momento in cui c'è una posa, c'è paura. Chiunque abbia assunto la posa di uncercatore sarà destinato a seguire le pratiche tradizionali di un cercatore, con le sue limitazioni".Allora senza dubbio è così? Questo spirito di ricerca chi ce l'ha messa dentro? Perché c'è in noi? Senoi ammettiamo di avercelo e non ci vediamo niente di male e abbiamo la comprensione chesiamo cercatori che cercano se stessi, allora possiamo riconoscerci come delle persone che, chissàper quale gioco, decidono di mettersi in un labirinto e poi stando nel labirinto, senza sapere comese ne esce, decidono di andare alla ricerca dell'uscita.Se noi osserviamo bene la nostra esistenza, in fondo, la differenza fra l'essere normale e l'essereilluminato è proprio nella comprensione che la persona illuminata ha di essere in grado di usciredal labirinto in qualunque momento voglia; di riconoscere che sta giocando al "cercatore” in unlabirinto o in qualunque altro modo possiamo immaginarci e, nel giocare al "cercatore", nellostesso tempo, è in grado di capire che può uscirne e giocare a quello che sa che, come diceNisargadatta, è soltanto un intrattenimento.Quando ripetiamo continuamente le frasi di Lin-chi che dice della nostra capacita di entrare euscire liberamente dalle situazioni, è proprio di questo che ci si riferisce.Pochi giorni fa mi è arrivato un libro dal Giappone in cui c'è un discorso del Roshi Hirata di Tenriujiil quale parla dei Koan. Anche lui fa un discorso molto simile, riguardo alla pratica dei Koan, e cioèa questa capacità, attraverso la pratica del Koan, di entrare e uscire verticalmente.Possiamo anche visualizzare un labirinto dal quale, con un pallone aerostatico o con delle ali, ciinnalziamo ed entriamo nel cielo dove non ci sono più labirinti per cui, attraverso la pratica delKoan, possiamo verticalmente innalzarci, staccarci completamente dal labirinto e perciò entrare inun mondo assoluto e, nello stesso tempo, conoscere le regole che ci fanno giocare nel labirinto persapere come comportarci quando svoltiamo un angolo, quando siamo in uno slargo, quandoabbiamo un fosso da saltare.

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Quello che è molto importante è non soltanto arrivare alla conclusione che tutto quello chefacciamo, le chiacchiere e tutto il resto, sia intrattenimento, ma capire che questo intrattenimentolo abbiamo creato noi; siamo noi stessi che creiamo l'intrattenimento in sé, sia piacevole chespiacevole; creiamo l'intrattenimento in sé, e dipende da noi se vogliamo intrattenerci, giocareliberamente oppure uscirne e osservare gli altri che con gioia o con sofferenza si muovonoall'interno del labirinto, alcuni sapendo di stare in un labirinto, altri senza rendersene conto epensando di stare seguendo un itinerario dei più logici possibili senza sapere che si continuasempre a girare su se stessi rarissimamente arrivando alla fine del labirinto per poi entrare in unaltro labirinto.Ci sono nella nostra pratica di ricerca momenti in cui entriamo, come nel labirinto venendo fuorida zone più buie, negli slarghi dove pensiamo che, finalmente, abbiamo trovato la luce, abbiamotrovato l'uscita. Poi, girando, ci troviamo di fronte ad altre pareti, altri muri da scavalcare, dabucare in qualche modo. Se abbiamo una capacità di comprensione, se continuiamo nella nostrapratica reale, attraverso la meditazione, attraverso la fermata, il silenzio (la meditazione che ci dàil silenzio),se ci fermiamo e diventiamo silenziosi, in questo silenzio vediamo che non siamo legati al labirintodalla vita; siamo completamente svincolati da tutto questo e giochiamo nel labirinto della vita dinostra spontanea volontà. Da quando è iniziata questa volontà? Potremmo anche nonchiedercelo, non ci interessa, però sappiamo che siamo noi a voler giocare o non giocare. Nelmomento in cui noi, sedendo silenti, ci rendiamo conto di questo, allora possiamo anchesopportare le sofferenze che il gioco, in cui ci siamo messi, ci fa trovare.Quando ero ragazzo, andavo in montagna e lavoravo in banca, i miei colleghi dicevano ogni volta"ma chi te la fa fare questa fatica!" e non solo loro ma anche certi amici e i genitori. Si scala unamontagna o si attraversa il mare, si inizia una relazione, ci si iscrive ad una scuola o ad altro perchélo si sente dentro e non sempre si sa quello che si fa. Da un certo punto di vista si può sempre dire:"ma chi te lo fa fare?" soprattutto per azioni dove non si vede il guadagno immediato.Ma qual'é il guadagno della nostra vita che si sa che finirà, da un certo punto di vista, con unacatastrofe? Potremmo dire che noi sappiamo bene che non è una catastrofe. Il guadagno sta nelvedere che la montagna che stiamo per scalare o il mare che vogliamo attraversare, li facciamonoi. Si! Ci darà un pó di sofferenza ma ci darà anche delle gioie e soprattutto è la vita. Scalare lemontagne, traversare i mari, iscriversi a scuola, sposarsi, avere figli, tutto questo è la vita; chisceglie in un modo chi in un altro; la differenza tra chi pratica e chi, invece, si butta ad occhi chiusinel labirinto è quello di sapere che il labirinto lo abbiamo creato noi; la situazione in cui stiamol'abbiamo creata noi e noi stessi abbiamo deciso di essere noi e, quando ci pare, in qualsiasimomento, se vogliamo possiamo cambiare questa situazione e uscirne.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI

Il fondamento della nostra scuola è il voto di salvare tutti gli esseri (oltre agli altri: estirpare lepassioni o brame, comprendere tutte le leggi, realizzare l'illuminazione). Di fronte a questo"salvare tutti gli esseri" ci sentiamo come quando guardiamo il cielo fino alle stelle più lontane e cichiediamo: "Dopo quelle stelle che c'è? e quello che c'è fino a dove arriva?" Il senso di sgomentoche ci prende di fronte ad un pensiero di questo genere può farsi sentire anche se pensiamo a"salvare tutti gli esseri".Ieri sera, mi pare, c'è stato un momento in cui in televisione parlavano di Aids e mi è venuto inmente, che il Maestro Mumon curava le più svariate malattie per mezzo del suo metodo, cioè delmetodo cinese che lui applicava. Faceva dei massaggi con le foglie di nespolo. Se utilizzando quelmetodo uno guarisce dei malati di Aids e poi, come avviene in questi casi, ammesso che i vari

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Ministeri e le ditte farmaceutiche lo permettessero, si diffondesse la voce e torme di malati datutto il mondo venissero a farsi massaggiare e guarire per mezzo delle foglie di nespolo, che vitasarebbe per il guaritore? Una persona o due o tre dovrebbero stare con una fila interminabile digente speranzosa che aspetta il suo turno e che si accapiglia. Tutto il giorno, la notte,ventiquattr'ore a massaggiare, a guarire, per lasciare poi che queste persone muoiano, come tutti,di qualche altra malattia.Mi è venuto in mente, perché noi ogni tanto ascoltiamo la musica di Jesus Christ Superstar, lascena in cui Gesù Cristo viene circondato dai malati, dagli invalidi, e riesce a malapena a salvarsiperché tutti volevano farsi guarire.Il voto è di "salvare tutti gli esseri" ma poi, di fronte all'idea che se uno, avendo il mezzo persalvare qualcuno da una sola malattia e lo applicasse, salverebbe gli altri però sarebbe schiavo diquesti malati (che poi, finito di curare l'ultimo, il primo guarito si sarebbe preso un'altra malattia esarebbe di nuovo in fila), come potremmo mantenere questo voto?Se noi, come il "pastore errante dell'Asia" ci mettiamo fuori e guardiamo le stelle e ci chiediamodove vanno a finire le stelle, sicuramente questa risposta non l'avremmo mai. La risposta vienesoltanto dall'accettare la nostra forza, poca o tanta che sia. Con questa forza limitata che abbiamo,fare tutto il possibile secondo quello che noi capiamo dei voti; fare tutto il possibile per mantenerei voti. Giorno per giorno, minuto per minuto con quello che è vicino a noi cercare di salvarlo, dicomprenderlo, di estirparlo e così, minuto per minuto realizzare l'illuminazione.

3 dicembre 1995 (domenicamattina)

ESORTAZIONE FINALE

Questa sesshin è stata dedicata, nella parte iniziale al riesame di quei Koan che una parte di voihanno già superato. Questo al fine di rendere più uniforme e chiaro il modo come avviene latrasmissione e la trattazione dei Koan. Se noi osservassimo dall'esterno potremmo pensare che lo scopo della pratica della nostra scuolasia quello di arrivare alla risoluzione completa dei Koan per poi, a quel punto, incominciare lacarriera di insegnanti. Questo nella nostra scuola non c'è mai stato. Abbiamo sempre detto einsegnato che la vita non è porsi lo scopo di arrivare da qualche parte e vivere con quell'idealedavanti. Facendo sempre l'esempio della montagna, più volte è stato ripetuto che scalare lemontagne non significa avere per fine il raggiungimento di una vetta. Si scrive non perché unodebba pubblicare il libro. Si suona non perché si debba eseguire un concerto o una sinfonia. Sicammina non perché uno debba arrivare in qualche posto. Così è la nostra esistenza; non c'è unpunto di arrivo verso il quale debbano tendere tutti i nostri sforzi. Si deve vivere e basta. Si devepraticare i Koan e basta. Ad un certo punto finiranno e quando finiranno si comincerà qualchealtra cosa.Quando si arriverà in cima alla montagna, se ci si arriva, si ridiscenderà ma l'importante è ilpercorso che stiamo facendo; vivere il percorso osservandolo istante per istante senza lasciarciprendere la mente da pensieri di raggiungimenti più o meno spirituali. Se si riesce ad esserepresenti ad ogni istante della nostra vita allora non ci saranno nè Buddha nè maestri di altrogenere che possano insegnarci qualcosa. Siamo già nel Nirvana, siamo nella realizzazione completae, in quella situazione di presenza continua, possiamo anche decidere in qualche momento diaddormentarci; possiamo anche decidere in qualche momento di fermarci ma quello che èfondamentale è la nostra capacità di essere presenti a noi stessi in ogni momento della nostragiornata. Qualunque cosa abbiamo da fare la facciamo. Il fatto che quella attività che stiamo

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svolgendo arrivi ad un certo fine, se il fine con il quale la stiamo facendo è un fine puro rimarrà unfine puro; se il modo con il quale la stiamo facendo è sbagliato, arriverà anche ad un fine sbagliato.Dobbiamo stare soltanto attenti. È molto semplice fondamentalmente. Noi non facciamo altro, adogni livello, che ripetere le parole che attraverso tutte le età sono state dette e ripetuteaccoratamente da tutti i Maestri di tutte le razze e di tutte le latitudini. È molto semplice, bastastare un pó attenti e tutto quello che c'è da fare viene fatto con semplicità.

2^ SESSHIN DICEMBRE 1995

30 DICEMBRE 1995 (sabato sera)

da "PRIMA OELLA COSCIENZA" di Nisargadatta Maharaj

10 Novembre 1980

Maharaj: Fino a che punto del passato può andare la mia memoria? Ero unbambino piccolo e ricordo che cavalcavo sulle spalle di qualcuno, una personaanziana; mi stava portando su una collina e potevo vedere il sole sorgere:quella è la mia prima impressione.Ci avete mai pensato? A che età avete ottenuto la conoscenza del vostro corpo?Supponiamo che abbiate cominciato a conoscervi a quattro anni, qualunqueazione abbia avuto luogo prima di allora, accadde senza la vostra conoscenza enon c'è registrazione di questo nella vostra memoria.Avete udito dagli altri le cose che accaddero, ma voi direttamente nonconoscete. C'è una cicatrice e mi dicono che sono stato morso da qualcosa, manon c’è il ricordo di questo. Sono accadute così tante cose prima che ilbambino si conoscesse. Nei primi anni il concetto primario "lo sono" erapresente, ma in uno stato assopito. Più tardi ha iniziato a conoscere se stesso. Lo stato del jnani è come lo stato in cui il bambino non conosceva se stesso.L’apparato attraverso il quale quella capacità di conoscere si esprime era moltodiverso, ma il principio è lo stesso. I jnani hanno modi diversi di esprimersi.Ramana Maharshi solitamente indossava soltanto un perizoma lavato e nonstirato, ma io lo preferirei senza pieghe, ben stirato.C'era un altro grande Saggio che non era conscio del suo corpo e solevaaggirarsi nudo. Anche il Signore Krishna era all'ultima moda, come me, moltoben vestito. Le persone si perdono sulle espressioni esteriori di un jnani ecercano di imitare quelle, invece di mirare al principio che vi presiede.Ora, io conosco accuratamente quel primo momento, so cos'è la nascita,conosco ogni cosa, tuttavia, potrei entrare volontariamente in quella nascita?Quale autorità avevo di entrare o non entrare o di decidere qualcosa? Quandodico che ho ottenuto la conoscenza della mia nascita, conosco davverodirettamente ciò che è accaduto in quel momento? Questa è tutta conoscenzaconcettuale; anche tutta la conoscenza venuta dopo è concettuale.

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TEISHO

In questa ultima parte del discorso di Maharaj, un discorso solitario senza domande di visitatori avivacizzarlo, siamo al punto in cui Nisargadatta ci dice da dove veniamo. Non dice dove andiamo ochi siamo (chi siamo lo dice continuamente ripetendo "lo sono"), porta alla luce per ognuno di noiquesta scoperta che lui ha fatto, semplicissima, di ritornare indietro negli anni con la memoria e diaccorgersi a che punto ha cominciato ad avere coscienza di esserci, di esistere.Era un bambino piccolo, quattro anni. Fino a quattro anni che cosa ricordiamo della nostra vita?Nisargadatta poi si allontana ancora di più fino ad arrivare ai nove mesi prima della nascita, a quelmomento in cui qualche cosa è avvenuto nella pancia di nostra madre. Di tutto questo noi nonsappiamo niente e alla fine dice. "conosco davvero direttamente ciò che è accaduto in quelmomento? Questa è tutta conoscenza concettuale; anche tutta la conoscenza venuta dopo èconcettuale."Ci si interroga su questo senza averne una conoscenza diretta. Questa conoscenza diretta,secondo Nisargadatta, può arrivare soltanto più o meno fino a qualche anno dopo la nascita e nonprima e, senz'altro, non quando eravamo nella pancia di nostra madre e, ancora meno, quando(come dice Hui Neng che ci chiede quale era il nostro vero volto) i nostri genitori non erano ancoranati.Questo è il momento sul quale noi ci interroghiamo in questo Koan di Hui Neng di mostrare il verovolto prima che i nostri genitori fossero nati; ci interroghiamo sull'"lo sono" di Nisargadatta. Normalmente l'io sono di cui parliamo è lo stesso che mi hanno chiesto questa mattinaall'Anagrafe dove sono andato per rifare la carta di identità, anzi prima ero andato dai carabinieri adire che l'avevo persa. lo ho detto il mio nome e il mio cognome.Noi pensiamo di noi stessi quello che diciamo all'Anagrafe. "Altezza?" "Mah! Più o meno uno esettantaquattro". L'impiegato ha visto i capelli. "Ah capelli castani. Occhi? castani." Pensiamo diessere questo, ma questo che noi pensiamo di essere in questo momento e che non eravamoquando avevamo quattro anni e nemmeno quindici e non saremo fra dieci, non è I' "lo sono" reale.Questo non è il nostro vero volto prima che i nostri genitori fossero nati. Questa non è unaquestioneconcettuale è una questione di "conoscenza diretta".Per quanto riguarda la nostra scuola, siamo molto meno concettuali di quelli che vanno daNisargadatta i quali oltre che ripetersi in continuazione "lo sono" poi dopo non è che lo facciano inuna maniera sistematica e nei confronti di Nisargadatta sono ad aspettarsi risposte soltantoconcettuali.Questo libro contiene i discorsi di Nisargadatta dove quasi mai dice che cosa fare esattamente perarrivare a vedere il proprio vero volto. Nisargadatta, è anche giusto, si prende in giro e si rendeconto di stare lì a giocare (come dice qua un pochino): "Ramana Maharshi solitamente indossasoltanto un perizoma lavato e non stirato, ma io lo preferirei senza pieghe, ben stirato. Anche ilSignore Krishna era all'ultima moda, come me molto ben vestito." Nel rapportarsi a questi dueriveriti maestri, uno è un contemporaneo, Ramana Maharshi (1879-1950), Krishna è il Signore inassoluto, lo fa con questo senso del prendersi in giro e del prendere in giro tutto quello che fa; discherzare su tutto questo sapendo che non è attraverso tutto questo che si può ottenere la"conoscenza diretta", che ha ottenuto anche lui, ma nello stesso tempo questa è la vita in cui cisono Ramana Maharshi che mette il perizoma non stirato, quell'altro grande maestro che va ingiro completamente nudo e anche il Signore Krishna che va invece vestito elegantemente.Questo per dire che al fondamento di tutto c'è un "essere incontaminato", nato prima chenascessero i nostri genitori, che è all'origine di tutto, il quale si diverte in senso superiore; diciamoche "si diverte" non equivale alla parola "ridere", si diverte "seriamente" ad andare in girovariamente vestito e agghindato perché sa che può presentarsi come gli pare.

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Fondamentalmente, anche i vestiti che si mette non sono differenti dal corpo che si è messo.Fondamentalmente non c'è differenza tra Ramana Maharshi, Nisargadatta, il Signore Krishna etutti quanti noi, uno per uno. Nel momento in cui si comprende questa non differenza, questaunicità e molteplicità, allora possiamo passeggiare dovunque; qualche volta lietamente, qualchevolta tristemente ma, comunque, sicuri di portare a passeggio la nostra "assolutezza".

ESORTAZIONE DOPO JUNKEY

Male alle gambe, male alla schiena. Ognuno deve avere rispetto per gli altri. Muoversi, andarsenein giro anche se porta sollievo a noi, porta fastidio agli altri. Meditare tutti insieme in una grandesala, oltre alla meditazione, offre anche questa opportunità di fare attenzione a sé ed agli altri.Con la pioggia non è possibile fare il Kin Hin esterno ma questo può essere anche un bene, perchéandare all'esterno porta sempre un po’ di distrazione. Rimanendo nello zendo, camminandolentamente, possiamo concentrarci meglio sul respiro; concentrarci meglio sull'addome o nelcuore, cuore-mente, kokorò, come viene detto in giapponese.Portiamo, camminando in Kin Hin, avanti il nostro corpo facendolo dirigere dalla pancia; possiamodire: "camminare col cuore" ma quando noi, in italiano, mettiamo la parola "cuore" pensiamo aisentimenti per cui, se diciamo "camminare col cuore" intendiamo immediatamente "camminarecon bontà"; se diciamo "camminare con la mente" pensiamo che dobbiamo osservare bene dovemettiamo i piedi; anche se diciamo "camminare con la pancia" porta qualche confusione alloracerchiamo di "camminare con il centro", centrati. Facciamo che il nostro camminare proceda dalcentro. Mettiamoci centrati nella pancia e così, come dovremmo essere quando stiamo seduti,camminiamo. Il respiro e il camminare. Il camminare viene dal respiro ed il respiro viene dal camminare. Ilrespiro viene dal centro, il centro ci porta al respiro. Non c'è tanto da fare per l'illuminazione.Se osserviamo attentamente questi semplici procedimenti ci accorgiamo di essere centrati. Esserecentrati significa essere noi, ognuno di noi individualmente, il centro del mondo e, in qualchemodo, l'Assoluto come lo sono tutti gli altri. Tutti gli altri sono centri come noi e, tutti quantiinsieme, siamo giusti, assoluti.Veniamo qua per poche ore; cerchiamo di utilizzarle tutte. Il sonno lo potremo recuperare un'altravolta; non si muore se si dorme qualche ora di meno. Se non diamo tanta importanza al doloredelle gambe anche questo passa ma, se ci ancoriamo al nostro respiro, alla nostra origine, allora cisi spalanca, stranamente, un mondo nuovo. Anche questa parola "nuovo" è molto consumata manon ne abbiamo trovate altre.Con queste banali, elementari applicazioni cioè: camminare rimanendo centrati; camminarerespirando con la pancia senza staccarci dalla pancia; lasciare che la pancia ci faccia camminare.Sembra tanto infantile, banale, eppure tutti i buddha del passato lo hanno fatto e lo fanno.

31 dicembre 1995 (domenica mattina)

ESORTAZIONE FINALE

Questa è la seconda volta che ci sediamo insieme durante l'ultimo giorno dell'anno. In questigiorni di fine d'anno o capodanno, ripetiamo tutti quanti dei gesti e delle azioni o dei pensieri chesupponiamo possano portarci bene, influenzare in maniera positiva l'andamento dei giorni cheverranno.

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Non sappiamo se fare una sesshin alla fine dell'anno o i primi dell'anno possa renderci la vitamigliore ma se avessimo questa preoccupazione sarebbe meglio starcene a casa. La vita, inqualche modo, non migliora nè peggiora.Ad un amico che una volta, in un momento di euforia, mi ha scritto che la vita è bella ho rispostoche la vita è la vita e basta; bella e brutta sono aggettivi che noi appiccichiamo, che non hannoniente a che fare con la vita per cui che l'anno prossimo sia l'anno del topo, come quello che cilascia è stato l'anno del cinghiale, senza dubbio interesserà qualcuno di quelli che vogliono sempresapere che cosa ci riserva il futuro o quello che ci è accaduto nel passato e, studiando così il futuroe il passato, si dimenticano di vivere nel presente.Nello stesso tempo noi ci dilettiamo di sapere qual'é l'animale dell'anno che viene, di sapere diquale segno zodiacale siamo perché tutto questo fa parte del gioco della vita.La vita, essendo tutto (proprio tutto, tutto, tutto) è anche i giochi che noi facciamo con gli animali,con i segni zodiacali e con tutte le altre cerimonie che riteniamo più o meno importanti dellanostra esistenza. Attraverso la sesshin, come potrebbe benissimo succedere in qualunquemomento della nostra vita quotidiana, possiamo realizzare da noi, senza che ce lo debba direqualcuno, di qualunque realizzazione spirituale questo qualcuno sia, da noi possiamo realizzare inqualsiasi momento la nostra realtà e, a quel punto, capire come la vita, lei sì! possa dire di sestessa di essere bella e divertirsi facendoci gioire o soffrire a suo piacimento. Il momento in cuianche noi comprendiamo, diventiamo anche noi, la vita e passiamo dall'altra parte. Anche noipossiamo vedere la gioia e le sofferenze senza che questi accadimenti possano scalfirci se noi nonvogliamo essere scalfiti, oppure soffrirne se ci va di soffrirne o gioirne nell'altro caso.Come uno specchio che riflette meravigliosamente qualunque cosa gli passa davanti e se gli passadavanti l'anno del topo, riflette l'anno del topo; se gli passa davanti l'anno della tigre, riflettel'anno della tigre, così noi possiamo realizzare questo "cuore", questa realtà, inattaccabile.Auguri!

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