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modello per documenti su diritto · 2017-06-16 · GAMBARO-SACCO, Sistemi giuridici comparati,...
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Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet
http://www.diritto.it ISSN : 1127-8579
PREMESSA
L’argomento che mi accingo ad esaminare rappresenta senza tema di smentita un
autentico “ginepraio” per gli studiosi del diritto musulmano contemporaneo: poche
tematiche hanno intrattenuto i cultori della materia in così vivaci dibattiti ed aspre
polemiche come gli aspetti personali e patrimoniali del diritto matrimoniale islamico.
Tutto ciò coinvolge l’ intima essenza dell’ esperienza- sociale e giuridica ad un tempo- dell’
intera comunità musulmana mondiale, l’ esatta percezione che essa ha della propria identità
storica e religiosa e della sua capacità di proiezione della stessa al di fuori dei suoi
tradizionali confini geopolitici .
Il diritto matrimoniale, e più in generale il diritto di famiglia e delle successioni, ha
rappresentato da sempre l’ inespugnabile roccaforte del diritto islamico.
Difatti, se la Šari ‘a non ha frapposto significative resistenze ai tentativi di modernizzazione
posti in essere già a partire dai primi cinque decenni del secolo scorso in settori vitali quali
quelli concernenti il diritto commerciale, amministrativo e procedurale, sensibilmente più
elevati sono risultati gli atteggiamenti di chiusura registrati in ordine alle branche del diritto
penale e del diritto matrimoniale.
Il diritto penale islamico urtava violentemente con la coeva esperienza giuridica occidentale
per il ricorso alla vendetta privata ed alla discrezionalità del sovrano: la sua riforma da
parte degli stati di tradizione islamica era pregiudizialmente avvertita come condicio sine
qua non per la loro ammissione al consesso di quelle nazioni occidentali autodefinitesi
“libere e civili” che – lasciatesi alle spalle le squallide e tragiche esperienze coloniali -
lentamente avviavano le dinamiche politiche ed economiche mondiali verso fenomeni di
interdipendenza globale.
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Il diritto della famiglia ,ed in particolare specie quello matrimoniale, ha, invece, storicamente
tardato ad essere scosso dai trasversali fenomeni di modernizzazione che hanno attraversato
per più di un secolo i governi e le stesse masse musulmane.
Tale freno era (ed è a tratti tuttora) riconducibile a due ordini di ragioni.
La prima è di natura endogena agli svolgimenti propri della tradizione giuridica islamica: la
materia matrimoniale trova la propria fonte diretta di normazione nella rivelazione coranica
e,dunque, è percepita come intangibile e non derogabile neppure da inveterate regole
normative di diritto consuetudinario.
La seconda spicca per il suo carattere esogeno rispetto alla natura della società musulmana
transnazionale: le potenze straniere non hanno giammai mostrato alcun interesse più o meno
sinceramente “riformatore” rispetto al diritto matrimoniale delle popolazioni sottoposte
prima alla loro dominazione e successivamente alla loro influenza.
Anzi, scandendo le tappe di una prudente strategia, si sono sempre astenute da un intervento
sulla materia al fine di non suscitare od alimentare rigurgiti fondamentalisti (vedi
l’esperienza egiziana dei “Fratelli musulmani” ), nazionalisti (vedi l’esperienza maghrebina)
od addirittura panarabi (vedi l’esperienza mediorientale baathista).
Tuttavia, l’ora della modernizzazione è scoccata, infine, anche per il diritto matrimoniale :
ciò per mano di locali élites illuminate, ben lontane sì dalla sensibilità delle masse, ma
sufficientemente formate a progetti ideali di sensibilità giuridica squisitamente europea e
discretamente perspicaci nel percepire l’ineluttabilità dei complessi fenomeni politici e
sociali di cambiamento in atto a livello mondiale.
Lo sviluppo economico e sociale conduce, difatti, inevitabilmente al deperimento del
paradigma sociale tradizionale su cui erano modellate le regole sciariaitiche, ed
all’affermarsi della famiglia nucleare che richiede una nuova regolamentazione.
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In particolare muta la posizione della donna , chiamata a partecipare all’ attività produttiva
ed alla vita pubblica in maniera diretta ed a tratti intensa: diviene necessario esaltarne
l’individualità e liberarla dai vincoli che il diritto tradizionale le imponeva.
Si è pervenuto così a quell’ intenso processo di codificazione dello statuto personale,della
famiglia e delle successioni che ha rappresentato sicuramente, alla luce anche della recente
novella marocchina, lo strumento principe di un processo di modernizzazione della
regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali fra i coniugi.
Quest’ultima, fra luci ed ombre, avrebbe dovuto rappresentare la cartina di tornasole
dell’evoluzione delle società islamiche verso modelli giuridici, politici e sociali
tendenzialmente prossimi alla ricezione degli indefettibili principi internazionali in tema di
diritti umani e libertà fondamentali.
La presente trattazione, ben lungi da pretese di esaustività, si propone di approntare delle
risposte il più possibile dettagliate ad ineludibili quesiti che la contemporanea e multilaterale
invocazione dello sconto fra civiltà pone in particolar modo al giurista ed al cultore di
discipline storice, sociali e politologiche : siamo di fronte ad un inarrestabile anche se lento
processo di evoluzione del diritto matrimoniale islamico verso formule istituzionali
rispondenti ai canoni assiologici ormai universalmente condivisi dalla comunità
internazionale?
Fino a che punto è scientificamente corretto, senza cadere in un paradigma culturale
autoreferenziale, definire “riformisti” i moderni codificatori in materia di diritto
matrimoniale?
Quali sono gli elementi di continuità - e quali quelli di discontinuità- rispetto alla tradizione
sciariaitica della recentissima esperienza di novellata codificazione nella medesima materia
da parte del Regno del Marocco?
Per giungere alla formulazione di tentativi di soluzioni alle questioni sollevate, l’autore ha
inteso fornire un articolato percorso di lettura che, prendendo le mosse dai processi di
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elaborazione storica del diritto islamico, ha inteso soffermarsi sugli aspetti più problematici
del diritto matrimoniale anche in relazione alla disciplina nella medesima materia vigente nel
nostro ordinamento, per infine analizzare le innovazioni poste in essere dal legislatore
marocchino.
Per dovere di correttezza scientifica si deve evidenziare che quest’ultimo tratto del percorso
di elaborazione del presente lavoro è stato improntato a criteri di estrema “sperimentalità”.
Difatti, alla data di stesura del presente lavoro, lo stesso Codice dello Statuto personale e
delle Successioni (Mudawwana) del Regno del Marocco non è ancora stato ancora fatto
oggetto di commento da parte di alcun cultore della materia di lingua italiana ,inglese o
francese.
Ragion per cui l’autore si riserva successivamente di rivisitare lo specifico argomento, alla
luce della sicuramente più autorevole letteratura in seguito pubblicata.
Infine, si richiama l’attenzione del paziente lettore sulle conclusioni redatte dall’autore che,
nelle loro intenzioni, vogliono essere un alquanto modesto ma provocatorio contributo alla
creazione di uno spazio culturale di dibattito sulla materia del diritto matrimoniale nei paesi
di tradizione giuridica islamica.
CAPITOLO I
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IL DIRITTO ISLAMICO : UN PROFILO DIACRONICO DEL PERCORSO
DI ELABORAZIONE DOTTRINALE.
§ 1.1. La definizione del diritto islamico e il profeta Muhammad.
Il diritto islamico è un corpus onnicomprensivo di tutti i comandamenti di Dio che regolano ogni
aspetto della vita del musulmano 1. Esso comprende sia le norme che riguardano il culto e i riti, sia
le leggi politiche, sia le norme giuridiche in senso stretto, e costituisce la sintesi e il nucleo
essenziale del pensiero islamico2.
La tradizione islamica è unanime nel riconoscere che la fonte suprema della legge islamica, il
Corano, fu rivelata da Allah ad un uomo arabo, Maometto (Muhammad), tra il 622 ed il 632 d.C.
Egli si presentò alla città araba della Mecca nelle vesti di riformatore religioso e reagì con forza
contro i concittadini pagani che lo consideravano semplicemente un indovino. Per la sua
autorevolezza, nel 622 d.C., fu chiamato a Medina come arbitro in controversie tribali e divenne il
1 In arabo il diritto islamico è definito Šari‘a (legge sacra) mentre fiqh significa scienza della Šari‘a e faqih (pl.
fuqaha) l’esperto in fiqh, v. ALUFFI, La modernizzazione del diritto di famiglia dei paesi arabi,Giuffré Editore, 1990,
p. 217 ss.
2 Il diritto preislamico si fondava sulle consuetudini delle popolazioni sedentarie e di quelle nomadi, i beduini. Il diritto
di famiglia, successorio e penale esistenti a quell’epoca erano totalmente dominati dall’antico sistema tribale arabo. In
base ad esso un individuo non godeva di protezione giuridica al di fuori della propria tribù, la quale era responsabile per
gli atti dei suoi membri. I rapporti fra i sessi erano caratterizzati da un alto numero di divorzi, unioni libere e convivenze
promiscue, tali da rendere difficile la distinzione tra matrimonio e prostituzione, v. CASTRO, Lineamenti di storia del
diritto musulmano,Università degli studi di Venezia, 1990, p. 12 ss.
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governatore- legislatore di una nuova società costituita su base religiosa: la comunità musulmana,
detta umma 3, destinata a superare il tribalismo della società araba4.
La posizione di Profeta, che risaliva alle prime fasi della sua carriera a Medina e derivava dal
grande potere politico e militare conseguito, diede a Muhammad un’autorità ben maggiore rispetto a
quella che avrebbe potuto essere rivendicata da un qualsiasi arbitro: egli divenne il “Profeta-
Legislatore”.
Esercitò però il proprio potere pressoché assoluto non all’interno, bensì al di fuori del sistema
giuridico allora esistente: egli non fu un’autorità giuridica, ma religiosa per i credenti e politica per
gli indifferenti alla fede. La legislazione di Muhammad, il Corano, rappresentò una novità nel
diritto dell’Arabia5.
Come Profeta, egli non aveva il compito di edificare un nuovo sistema giuridico, ma di insegnare
agli uomini le norme di condotta ut ili e necessarie per poter superare il giorno del Giudizio ed avere
accesso al Paradiso.
Questo è il motivo per cui l’Islam, in genere, e il diritto musulmano, in particolare, costituiscono un
insieme sistematico di doveri, nel quale pari importanza posseggono gli obblighi di carattere
religioso, giuridico e morale, tutti sottoposti all’autorità dello stesso comandamento religioso.
La legislazione coranica fu dettata principalmente dall’insoddisfazione verso situazioni assai
diffuse a quell’epoca, quali il lassismo morale nel campo delle relazioni sessuali, e dal desiderio di
migliorare la condizione delle donne, degli orfani e dei deboli in genere, di rafforzare il vincolo 3 Cfr. GAMBARO-SACCO, Sistemi giuridici comparati, Utet, 1996, p. 467 ss.
4 Il rifiuto da parte di Maometto del ruolo di indovino comportò la sua negazione della pratica
dell’arbitrato secondo l’uso degli arabi pagani, presso i quali gli arbitri erano spesso anche indovini. Tuttavia, il Profeta
continuò a comportarsi come un arbitro ed il Corano stesso stabilì che, in caso di contrasto fra coniugi, si dovesse
ricorrere a questa figura, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 13.
5 Il Corano si compone di 114 capitoli in lingua araba detti sura, suddivisi in versetti (ayat) che vanno da un minimo di
tre a un massimo di 286, v. CASTRO, Corano, in Digesto, 1990,
p. 411.
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matrimoniale e di limitare la pratica della vendetta privata e del taglione, eliminando recisamente le
faide6.
§ 1.2. I califfi di Medina.
Dopo la morte di Maometto (632 d.C.), le prime tre generazioni costituirono per molti aspetti il
periodo più rilevante, ma anche il più oscuro - date le scarse testimonianze coeve - della storia del
diritto musulmano. In quest’epoca, infatti, si definirono molti suoi caratteri peculiari e la nascente
società islamica creò le proprie istituzioni giuridiche. Le poche testimonianze certe di cui si dispone
mostrano che l’antico sistema arabo dell’arbitrato e, in genere, il diritto consuetudinario
dell’Arabia, modificati ed integrati dal Corano, si mantennero nel periodo dei primi successori del
Profeta, i califfi di Medina (632-661d.C.)
I califfi furono i capi politici della comunità islamica, dopo la morte di Muhammad, ed ebbero
ampiamente la funzione di legislatori: nel corso di tutto il primo secolo dell’ ègira le attività
amministrative e normative del governo islamico furono indivisibili7.
§ 1.3. La sunna.
6 Alcune regole coraniche hanno avuto origine da questioni legate a situazioni personali di Muhammad come
l’abolizione dell’adozione e, conseguentemente, del divieto di sposare la figlia adottiva della moglie, e le norme
riguardanti la falsa accusa di rapporti sessuali illeciti,
v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 16.
7 L’ègira è l’emigrazione di Maometto dalla Mecca a Medina. L’era musulmana inizia dal primo giorno del primo mese
dell’anno arabo in cui l’ègira ebbe luogo, corrispondente al 16 luglio dell’anno 622 d.C., v. ALUFFI, La
modernizzazione del diritto di famiglia nei paesi arabi, Giuffré Editore, 1990, p. 2 ss.
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L’idea araba di sunna, come precedente o consuetudine normativa, si affermò fin dai suoi primordi.
Gli arabi erano legati alla tradizione e al concetto di “precedente”: ogni consuetudine era ritenuta
giusta e conveniente e diveniva degna di imitazione. Poiché vivevano in condizioni sfavorevoli, in
un ambiente ostile, essi non potevano rischiare esperimenti e innovazioni che avrebbero potuto
sconvolgere il precario equilibrio della loro vita. Inoltre riconoscevano che una sunna poteva essere
stata stabilita da un individuo in un passato relativamente recente e in tal caso, questi veniva
considerato il portavoce, la guida (imam) di tutto il gruppo. Tale concetto di sunna divenne uno
degli elementi centrali del diritto musulmano. Durante quasi tutto il primo secolo dell’ègira il diritto
islamico, nell’accezione tecnica del termine, non esisteva ancora. Come era avvenuto al tempo del
Profeta, il diritto in quanto tale ricadeva al di fuori della sfera religiosa: i musulmani guardarono
con indifferenza ai suoi aspetti tecnici, fino a quando non vi furono obiezioni di carattere religioso
o morale a dati atti o comportamenti.
Quest’atteggiamento dei primi musulmani spiegò l’adozione su vasta scala delle istituzioni
giuridiche e amministrative, nonché delle consuetudini, dei territori conquistati. Gradualmente
furono recepiti metodi di ragionamento e principi fondamentali della scienza del diritto8. Il merito
di ciò fu di persone colte, non arabe, convertitesi all’islam, le quali avevano ricevuto un’educazione
liberale, diffusa nei territori conquistati dagli arabi, che comprendeva anche una certa conoscenza
dei rudimenti del diritto.
Essi introdussero nella religione islamica i principi a loro consueti.
8 Ne è un esempio il concetto di opinio prudentium del diritto romano, che sembra aver fornito il modello per il
“consenso dei dottori” così come è stato formulato dalle prime scuole del diritto musulmano, v. SHACHT,
Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 23 ss.
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In questo modo, concetti e massime originari del diritto romano, bizantino,canonico, talmudico,
rabbinico e sasanide si infiltrarono all’interno del nascente diritto religioso dell’Islam, nella sua fase
di incubazione, per manifestarsi successivamente nelle dottrine del secondo secolo 9.
§ 1.4. Gli omàyyadi e il qadi. Dal 661 al 750 d.C., il governo passò dalle mani dei califfi di Medina a quelle degli omàyyadi. Gli
omàyyadi svilupparono numerose caratteristiche fondamentali del culto e del rituale islamico, ma il
loro principale interesse non fu rivolto alla religione e al diritto, quanto piuttosto
all’amministrazione e alla politica10. Essi, inoltre, introdussero come innovazione la nomina del
giudice musulmano (qadi).
In seguito al rinnovamento della società araba, infatti, l’arbitrato non fu più sufficiente: l’arbitro
arabo fu quindi sostituito dal giudice musulmano, che, a differenza del primo, era un delegato del
governatore 11.
Le sentenze dei primi funzionari islamici dell’amministrazione omàyyade, gettarono le basi del
diritto musulmano. I qadi giudicavano a propria discrezione,basandosi sulla pratica consuetudinaria,
9 Degli esempi sono forniti dalla massima “il figlio appartiene al letto”, la quale corrisponde a quella romana “pater est
quem nuptiae demonstrant”, e dal principio, derivante dal diritto canonico delle chiese orientali, secondo cui l’adulterio
crea un impedimento al matrimonio, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 24.
10 Gli omàyyadi si interessarono a problemi riguardanti la politica religiosa e la teologia nella misura in cui potevano
avere riflessi sulla sicurezza interna dello Stato. Nel campo amministrativo, essi puntarono all’organizzazione, alla
centralizzazione e all’ordine, contro l’individualismo dei beduini e l’anarchia, v. SHACHT, Introduzione al diritto
musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 27 ss.
11 Il governatore, entro i limiti concessi dal califfo, aveva piena autorità amministrativa, legislativa e giudiziaria sulla
sua provincia, senza che vi fosse alcuna esplicita distinzione fra queste funzioni, e poteva delegare le funzioni
giudiziarie al da lui prescelto. Tuttavia aveva la piena facoltà di riservare per sé qualsiasi causa volesse e poteva
licenziare a propria discrezione il qadi delegato, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli,
1995, p. 28 ss.
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la quale, per sua natura,comprendeva le norme amministrative, e interpretavano alla lettera lo spirito
delle regole coraniche e di altre norme religiose islamiche. La prassi consuetudinaria a cui essi
facevano riferimento era quella della comunità sotto la loro giurisdizione.
§ 1.5. La nascita del diritto religioso islamico.
Fra il 715 e il 720 d.C. circa, la carica di qadi fu di regola affidata a giusperiti, persone che ebbero
la principale preoccupazione di verificare la conformità del diritto consuetudinario alle norme
coraniche e, in generale, islamiche. Questi esperti provenivano dal novero delle persone pie, che,
per il loro profondo spirito religioso, avevano interesse ad elaborare, attraverso il ragionamento
individuale, un modus vivendi autenticamente islamico.
Costoro sottoposero a revisione tutti i settori delle attività allora praticate, compreso il diritto, e
considerarono, sotto il profilo della religione, del rituale e dell’etica, ogni possibile obiezione che
avrebbe potuto essere mossa alle pratiche riconosciute: come risultato, queste furono accolte,
modificate o rigettate. Essi impregnarono la sfera del diritto di elementi religiosi ed etici,
subordinandola alle norme islamiche, e vi incorporarono quel sistema di doveri a cui nessun
musulmano poteva sottrarsi. In tale operazione continuarono su scala molto più ampia -ed in modo
più capillare- l’opera che Muhammad tentò di realizzare nel Corano per la prima comunità
musulmana di Medina. Di conseguenza la prassi popolare e amministrativa dell’ultimo periodo
omàyyade entrò a far parte del diritto religioso islamico 12.
§ 1.6. La nascita delle antiche scuole giuridiche.
12 L’ideale teorico che ne risultò doveva essere tradotto nella pratica: questo compimento esulava dalle possibilità dei
pii specialisti e dovette essere lasciata alla cura e allo zelo di califfi, governatori, qadi,ecc.., v. SHACHT, Introduzione
al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 30 ss.
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I gruppi di specialisti,crescendo in numero e coesione, si trasformarono, nei primi decenni del
secondo secolo dell’Islam, nelle antiche scuole giuridiche. Con tale espressione non si vuole
affermare che ogni scuola avesse una precisa struttura organizzativa e una dottrina omogenea, un
insegnamento organizzato, uno status giuridico ufficiale e anche un corpus iuris nel senso
occidentale del termine. I membri delle scuole, “dottori” o “giuristi”, rimasero privati cittadini,
distinti dalla massa dei credenti per i propri particolari interessi, per il conseguente grande rispetto
in cui erano tenuti dal popolo e per il fatto di riconoscersi l’un l’altro legati da un vincolo di affinità
spirituale.
Le principali antiche scuole giuridiche di cui si hanno notizie sono quelle di Kufa e di Bassora in
Iraq, di Medina e di Mecca nel Higiaz, e di Siria 13.
Le differenze tra queste scuole furono causate essenzialmente da fattori geografici, come la
difficoltà di comunicazione fra le varie sedi, e dalle diverse condizioni sociali, tradizioni giuridiche
e consuetudini riscontrabili a livello locale, ma non vi fu un sostanziale disaccordo su principi o
metodi.
Nel primo periodo della giurisprudenza islamica esisteva un considerevole corpus dottrinale
comune che si ridusse progressivamente per effetto del processo di differenziazione tra le scuole 14.
Furono comunemente le dottrine elaborate in Iraq ad influenzare quelle delle scuole del Higiaz, e
spesso lo sviluppo sul piano dottrinale della scuola di Medina seguì quello della scuola di Kufa.
Un aspetto importante dell’attività delle antiche scuole giuridiche è che esse, per la prima volta,
considerarono scrupolosamente le norme coraniche. 13 In Egitto non si sviluppò una scuola giuridica autonoma ed il paese subì l’influenza di altre scuole,in particolare di
quella di Medina, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 995, p. 33.
14 Ciò non significa affatto che agli inizi la giurisprudenza islamica si sia sviluppata soltanto in un luogo, ma che uno
solo fu il centro intellettuale ove si compirono quei primi tentativi di teorizzazione e sistemazione che avrebbero poi
trasformato la pratica popolare e amministrativa omàyyade nel diritto musulmano: tutte le indicazioni dimostrano che
questo centro fu l’Iraq, la cui influenza sullo sviluppo del diritto religioso e della dottrina islamica continuò per tutto il
secondo secolo, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 34 ss.
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Al contrario di quanto era avvenuto nel primo secolo dell’Islam, ora le conclusioni di carattere
formale erano tratte dall’insieme dei passi coranici, di natura essenzialmente religiosa ed etica, e su
di essi venivano modellati non solo il diritto di famiglia, il diritto successorio ed, ovviamente, il
culto e il rituale, ma anche quegli aspetti della legge che non erano affrontati in modo dettagliato dal
Corano15.
Le antiche scuole giuridiche avevano in comune non soltanto l’atteggiamento verso la pratica
omàyyade ed una parte considerevole del diritto religioso positivo, ma anche gli elementi essenziali
della teoria giuridica, non tutti scontati dal punto di vista storico o evidenti sul piano sistematico.
L’idea centrale di questa teoria era la“tradizione vivente della scuola”, rappresentata dalla dottrina
costante dei suoi più autorevoli rappresentanti. Quest’idea dominò lo sviluppo della dottrina
giuridica delle antiche scuole durante tutto il secondo secolo dell’ Islam16.
Rilevante fu soltanto l’opinione della maggioranza dei dottori, quella delle minoranze era, invece,
ignorata. Il consenso (igma) dei dotti, che rappresentava il comune denominatore della dottrina
elaborata nel corso di ciascuna generazione, espresse l’aspetto sincronico della tradizione vivente di
ogni scuola 17.
15 Il massimo grado di assimilazione delle norme coraniche da parte dell’antico diritto musulmano coincide proprio con
la nascita delle antiche scuole giuridiche, all’inizio del secondo secolo dell’ Islam, v.SHACHT, Introduzione al diritto
musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 34.
16 Essa si presenta sotto due aspetti: quello diacronico e quello sincronico.
Considerata in senso diacronico, la tradizione si esprime come sunna, “pratica”, “precedente ben radicato” o come
“antica pratica”, dove il termine fa riferimento alla consuetudine della comunità locale nei suoi caratteri reali, ma
contiene altresì un elemento teorico o ideale, assumendo il significato di usi esemplari. Tale nozione di pratica ideale -
ritenuta un elemento da sempre presente, ma sviluppatosi in realtà solo quando le teorie islamiche si imposero in campo
giuridico – era espressa nella dottrina di tutti i principali dottori di ogni centro, le cui opinioni venivano accettate e alle
cui decisioni si rimetteva, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 34.
17 Il consenso dei dottori differisce, su punti essenziali, dal consenso di tutti i musulmani.
Quest’ultimo, che nella realtà riguarda l’intero mondo islamico, è vago e astratto, mentre il primo,geograficamente
limitato alla sede di una scuola, è definito e concreto, ma anche tollerante e non esclusivo, in quanto riconosce in realtà
l’esistenza di diverse dottrine in altri centri, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995,
p. 35.
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§ 1.7. I tradizionisti.
Nel secondo secolo dell’ègira comparve il più importante fenomeno nella storia del diritto
musulmano: il movimento dei tradizionisti. Esso consistette in un movimento di opposizione alle
antiche scuole giuridiche.
La principale tesi dei tradizionisti considerava le tradizioni formali derivate da Maometto di valore
giuridico maggiore rispetto alla tradizione vivente della scuola 18. Tale movimento non era presente
solo a Medina, ma anche in tutti i grandi centri dell’Islam, dove diede corpo a gruppi di opposizione
alle scuole giuridiche locali.
I tradizionisti provarono avversione per il ragionamento, la loro tendenza generale fu
l’intransigenza ed il rigore, pur non senza eccezioni: talvolta si interessarono a problemi puramente
giuridici, ma la loro preoccupazione principale fu quella di subordinare la materia giuridica a quei
principi religiosi e morali espressi nelle tradizioni del Profeta.
Per quanto riguarda la reazione delle antiche scuole giuridiche, quella di Medina e quelle irachene
opposero una forte resistenza agli elementi di disturbo rappresentati dalle tradizioni che
pretendevano di risalire a Maometto. Le tradizioni attribuite a Maometto dovettero superare
notevoli opposizioni, mentre le polemiche a sostegno o contro di esse si protrassero per quasi tutto
il secondo secolo dell’ègira 19.
18 I tradizionisti produssero dettagliate affermazioni o “tradizioni”, sostenendo la loro diretta
provenienza da chi vide o udì personalmente il Profeta: fatti o detti trasmessi oralmente attraverso una catena
ininterrotta di persone degne di fede. Ad ogni modo nessuna di queste tradizioni, almeno per quanto riguarda il diritto
religioso, può ritenersi autentica: esse furono messe in circolazione, indubbiamente per motivi di interesse, dagli stessi
tradizionisti, a partire dalla prima metà del secondo secolo, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano,
Fondazione Agnelli, 1995, p. 39.
19 I tradizionisti furono indubbiamente favoriti dall’influenza che l’invocazione dell’autorità del Profeta poteva
esercitare sui credenti; tuttavia le antiche scuole giuridiche non modificarono la loro dottrina giuridica positiva così
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Parallelamente alla tendenza dei primi specialisti e delle antiche scuole verso l’islamizzazione, cioè
l’introduzione di norme islamiche nella sfera del diritto, si manifestò la tendenza complementare
verso la razionalizzazione e l’organizzazione sistematica. Il ricorso al ragionamento fu fin
dall’inizio una tipica caratteristica del diritto musulmano e in un primo tempo si tradusse
nell’espressione di valutazioni personali e di giudizi individuali da parte dei primi specialisti e dei
qadi 20. I risultati della prima elaborazione sistematica furono non di rado espressi sotto forma di
massime e adagi talvolta caratterizzati da rime e assonanze 21. Pur non avendo origine tutte nella
stessa area e nello stesso periodo, molte massime vennero formulate nella prima metà del secondo
secolo dell’ègira, riflettendo una fase in cui le dottrine giuridiche non erano ancora espresse
sistematicamente in tradizioni, sebbene la maggior parte di esse ne acquistò progressivamente la
forma. Durante tutto il secondo secolo dell’ Islam il pensiero tecnico-giuridico si sviluppò molto
rapidamente rispetto agli inizi, quando era stato caratterizzato solo da conclusioni per analogia
approssimative e rudimentali22.
profondamente come i rivali avrebbero desiderato. Qualche volta essi riuscirono ad imporre dei cambiamenti, ma
talvolta fallirono nel loro intento, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 40.
20Quando il ragionamento del singolo è volto al raggiungimento di una coerenza sistematica ed è condotto a un istituto
giuridico od ad una decisione preesistenti, è definito qiyas, che significa analogia, equivalenza concettuale, v.
SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 41 ss.
21Alcune tipiche massime sono: “il figlio appartiene al letto” e “né divorzio né manumissione con la violenza”, v.
SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 43.
22 Ciò significa, innanzitutto, che la tendenza fu quella di un progressivo affinamento del pensiero tecnico-giuridico; in
secondo luogo, esso divenne sempre più subordinato alle tradizioni non appena queste divennero numerose e furono
riconosciute come autorevoli; in terzo luogo, nel ragionamento sistematico si fusero importanti considerazioni di natura
religiosa ed etica, che rappresentavano uno degli aspetti del processo di islamizzazione del diritto, v. SHACHT,
Introduzione al diritto musulmano,Fondazione Agnelli, 1995, p. 44.
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§ 1.8. Malik, Safi’ì e Abu Hanifa.
Ebbero grande merito nel processo di sviluppo del fiqh due rappresentanti della scuola di Medina:
Malik e Safi’ì.
Malik (morto nel 795 d.C.) cercò di conciliare il ricorso al ragionamento individuale con la
tradizione.
Con Saf’ì , (morto nell’820 d.C.), il ragionamento giuridico raggiunse il livello di massima
perfezione23. La sua dottrina fu caratterizzata dall’uso di un ragionamento giuridico esplicito, nella
maggior parte dei casi di elevata qualità, sconosciuto a qualsiasi predecessore. Inoltre egli seppe
distinguere, più coerentemente rispetto alle antiche scuole, gli aspetti morali da quelli giuridici,
anche se entrambi si riferivano ad un medesimo problema 24.
Saf’ì riconobbe in via di principio soltanto il ragionamento strettamente analogico e sistematico,
escludendo le opinioni arbitrarie e le decisioni discrezionali, e si basò sulla tesi dei tradizionisti per
cui si doveva assolutamente tener conto dell’autorità di una tradizione formale risalente a
Muhammad. Tuttavia per lui la sunna non ebbe più quel significato di pratica ideale riconosciutole
dai suoi predecessori: egli la identificò con i contenuti di tradizioni formali attribuite al Profeta,
anche nel caso in cui queste tradizioni fossero state trasmesse da una sola persona per ogni
generazione.
23 Saf’ì si considerò appartenente alla scuola di Medina, anche se fece prevalere nel diritto musulmano le tesi principali
dei tradizionisti, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 49.
24 Su questo punto Saf’ì non portò a termine il programma dei tradizionisti che avevano tentato di identificare le
categorie di “ proibito “ e “invalido”. D’altra parte, il fondamentale legame di dipendenza del giurista nei confronti
delle tradizioni fatte risalire al Profeta comportò un modo diverso, più formale, di islamizzare la dottrina giuridica. In
teoria Saf’ì distinse nettamente fra la materia ripresa dalle tradizioni e il risultato di un pensiero sistematico; di fatto,
però, i due aspetti sono strettamente intrecciati nel suo ragionamento: egli si mostra al tempo stesso legato alla
tradizione e sistematico. Questa nuova sintesi può essere considerata come un tipico aspetto del suo pensiero giuridico,
v. SHACHT,Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli , 1995, p. 50.
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Quanto alle opinioni sostenute da persone che non fossero i compagni del Profeta e alle pratiche da
loro introdotte, esse non ebbero, agli occhi di Saf’ì, alcuna autorità. Inoltre, egli ritenne che le
tradizioni fatte risalire a Muhammad non potevano essere invalidate neppure dal Corano, in quanto
era il Corano a dover essere interpretato alla luce delle tradizioni e non il contrario 25.
Infine, accanto a Malik e Saf’ì, deve essere annoverato anche Abu Hanifa (morto nel 767 d.C.),
giurista che permise alla tecnica giuridica islamica di evolversi notevolmente. Il suo pensiero,
caratterizzato da un ampio uso del ragionamento, risultò più fondato, approfondito e raffinato
rispetto ai suoi contemporanei più anziani.
§ 1.9. Gli abbàsidi.
Quando, nell’anno 750 d.C., gli omàyyadi furono spodestati dagli abbàsidi, il diritto musulmano
aveva già assunto i suoi tratti fondamentali e soddisfatto il bisogno della società arabo-musulmana
di un nuovo sistema giuridico. La tendenza all’islamizzazione, che era divenuta sempre più evidente
con gli ultimi omàyyadi, venne ripresa e perseguita con più vigore dai primi abbàsidi. Per ragioni di
politica dinastica, nell’intento di differenziarsi dai precedenti regnanti, essi enfatizzarono le
differenze che li distinguevano dai predecessori e annunciarono solennemente il loro programma di
stabilire la legge di Allah sulla terra.
Nell’ambito di questa linea politica, essi riconobbero il diritto che veniva insegnato dagli esperti in
materia religiosa come il solo diritto legittimo
25 Anche il consenso dei dottori, che esprimeva la tradizione vivente di ogni antica scuola, divenne del tutto irrilevante
per Saf’ì: egli giunse persino a negare l’esistenza di un simile consenso, in quanto riuscì a trovare sempre dottori
sostenenti opinioni differenti, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 51.
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dell’islam, e iniziarono a praticare quanto costoro teorizzarono 26.
I primi abbàsidi riuscirono ad ottenere il risultato di congiungere in modo definitivo la funzione del
qadi con la Šari‘a, e fissarono definitivamente la regola che qadi il dovesse essere un esperto nella
Legge sacra 27. La loro tendenza alla centralizzazione portò anche alla creazione della carica di
“Gran Qadi”. Tale figura rappresentò uno dei principali consiglieri del califfo e la sua funzione più
importante fu la nomina o il licenziamento degli altri qadi, tutti sottoposti all’autorità del califfo 28. I
califfi ebbero spesso occasione di emanare nuove leggi; tuttavia questa prassi, anche se, in realtà, si
trattava di un’azione legislativa a tutti gli effetti, fu da loro definita come un semplice intervento in
campo amministrativo, volto all’applicazione e all’“integrazione” della Šari‘a. Tale potere fu in
seguito definito siyasa 29.
26 Ben presto divenne chiaro che la legge di Dio sulla terra, così come veniva predicata dai primi abbàsidi, non era altro
che una formula elegante per mascherare un dispotismo assoluto, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano,
Fondazione Agnelli, 1995, p. 53.
27 Il qadi veniva scelto dal governo centrale e, da quando era nominato fino al momento in cui veniva sollevato dal suo
incarico, doveva applicare la Šari‘a senza subire alcuna interferenza governativa. Si trattava però di un’indipendenza
del tutto teorica: i qadi non solo erano soggetti al licenziamento arbitrario da parte di chi li aveva nominati, ma
dovevano comunque dipendere dalle autorità politiche per l’esecuzione delle loro sentenze, aspetto fondamentale
nell’ambito dell’amministrazione del diritto penale, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione
Agnelli, 1995, p. 54.
28 Il califfo, pur essendo il capo assoluto della comunità musulmana, non aveva il diritto di emanare leggi, ma poteva
soltanto promulgare norme in ambito amministrativo, nei limiti stabiliti dalla Šari‘a v. SHACHT, Introduzione al diritto
musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 57.
29 Siyasa significa, letteralmente, “linea di condotta”, e comprende tutto il complesso della giustizia amministrativa che
è applicata dal sovrano e dai suoi rappresentanti in campo politico, in contrasto con il sistema ideale della Šari‘a
.Anche i qadi sono tenuti a seguire le direttive che il califfo eventualmente impartisce loro nell’esercizio del potere di
Siyasa , entro i limiti posti dalla Šari‘a . Il risultato di questo processo fu la diffusione, in tutto il mondo islamico, di una
duplice forma di amministrazione della giustizia: una di tipo religioso, esercitata dal qadi, che si atteneva
scrupolosamente alla Šari‘a ., e l’altra laica, esercitata da autorità politiche sulla base della consuetudine, dell’equità e
dell’imparzialità – ma talvolta anche dell’arbitrio – delle norme governative, v. SHACHT, Introduzione al diritto
musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 58 ss.
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§ 1.10. La trasformazione delle antiche scuole giuridiche: malikiti,
hanafiti, shafiiti e hanbaliti.
Sempre nel periodo abbàside le antiche scuole giuridiche, divise principalmente in base alla loro
ubicazione geografica, si trasformarono successivamente in scuole fondate sulla fedeltà agli
insegnamenti di un maestro.
Dalla metà del secondo secolo dell’ègira, infatti, molte persone smisero di elaborare
autonomamente le proprie teorie, iniziando a seguire, per gli aspetti fondamentali del diritto,
l’insegnamento di un’autorità riconosciuta, riservandosi di divergere dal maestro soltanto su
questioni marginali.
Questo fenomeno portò, in primo luogo, alla formazione di gruppi o circoli entro l’ambito delle
antiche scuole giuridiche: nella scuola irachena di Kufa vi erano i “seguaci di Abu Hanifa”; nella
scuola di Medina erano presenti i “seguaci di Malik”. In un primo tempo, questi ultimi
rappresentarono solo una parte della scuola di Medina, così come i seguaci di Abu Hanifa furono
solo un gruppo all’interno della scuola di Kufa. In seguito, però, l’intensa attività letteraria dei
discepoli di Abu Hanifa in Iraq comportò la trasformazione dell’antica scuola di Kufa nella scuola
hanafita, mentre i seguaci di Malik diedero origine alla scuola malikita30.
Anche il movimento dottrinale iniziato da Safi’ì diede origine ad una scuola detta schafiita 31.
Un’altra nota scuola, la scuola hanbalita, fu fondata dai seguaci di Ibn Hanbal, insigne tradizionista
morto nel 855 d.C.32. 30 Questo processo di trasformazione delle antiche scuole giuridiche in scuole “personali” si concluse verso la metà del
terzo secolo dell’ègira (circa 865 d.C.), v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano,Fondazione Agnelli, 1995, p.
62.
31 In un primo tempo gli hanafiti e i malikiti non si lasciarono indurre da Safi’i a modificare nella sostanza la loro
dottrina giuridica positiva, ma in seguito accolsero una teoria di ispirazione tradizionista, permettendo però al consenso
dei dottori di stabilire fino a che punto le tradizioni risalenti al Profeta dovessero essere accettate come base del diritto,
v. SCHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 63.
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Pur trattandosi di una scuola di matrice tradizionista, i suoi membri dovettero in seguito accogliere
la teoria “classica”, fondata non sulle tradizioni, ma sul consenso, e riconobbero il ragionamento
analogico 33.
§ 1.11. La conclusione della formazione del diritto musulmano.
La prima fase del periodo abbàside non vide soltanto lo sviluppo delle antiche scuole giuridiche, ma
anche la conclusione del periodo di formazione del diritto musulmano. Tutta la materia giuridica era
stata permeata dalle norme etico-religiose islamiche; il principio dell’infallibilità del consenso degli
studiosi favorì il fenomeno della progressiva riduzione e dell’irrigidimento della dottrina e la teoria
che negava al singolo la possibilità di far uso del ragionamento sancì ufficialmente una situazione di
fatto già impostasi 34.
32 Dall’anno 1300 sono rimaste solo quattro scuole giuridiche: quelle hanafita, malikita, shafiita e hanbalita. La scuola
hanafita è presente in Iraq, sua patria d’origine, in Siria, in Afghanistan, nel subcontinente indiano e nell’Asia centrale
turca.
La scuola malikita si diffuse dai suoi centri originari, Medina e l’Egitto, verso Occidente, comprendendo tutta l’area
nordafricana e l’Africa centrale e occidentale musulmana. La scuola shafiita fu fondata al Cairo, dove Safi’ì trascorse
gli ultimi anni della sua vita, e si impose nel Basso Egitto, nell’Arabia meridionale e nella maggior parte dell’Africa
orientale musulmana. Ebbe larga diffusione anche in Iraq, in alcune aree dell’Asia centrale, in alcune regioni costiere
dell’India, in Indonesia, in Malesia e nel resto del Sud-est asiatico. Infine la scuola hanbalita è riconosciuta
ufficialmente in Arabia Saudita, nel Golfo Persico e nel subcontinente indiano, v. SHACHT, Introduzione al diritto
musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 69 ss.
33 Secondo la teoria classica il diritto musulmano si fonda su quattro principi o “fonti”: il Corano, la sunna del Profeta
(raccolta nelle tradizioni riconosciute valide), il consenso (igma) dei dottori e il ragionamento per analogia (qiyas ). Il
diritto musulmano non riconosce invece la consuetudine come fonte del diritto, anche se essa contribuì storicamente alla
sua formazione, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 64.
34 I primi segni della tendenza a negare agli studiosi la libertà di ragionamento di cui avevano goduto i loro predecessori
si potevano già individuare nel pensiero di Safi’ì, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli,
1995, p. 74.
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Da quel momento l’attività giuridica futura fu intesa unicamente come spiegazione, applicazione o
interpretazione di una dottrina già definitivamente elaborata. Inoltre fu riconosciuto il principio del
taqli d, secondo cui la dottrina giuridica non doveva essere dedotta autonomamente dal Corano,
dalla sunna e dall’ igma, ma doveva essere accettata nella forma in cui era stabilita da una delle
scuole riconosciute. Ad ogni modo, l’attività dei giurisperiti contemporanei non fu meno creativa,
nei limiti posti dalla , rispetto a quella dei loro predecessori. La vita reale presentava sempre nuove
situazioni che dovevano essere verificate e definite con gli strumenti tradizionali, forniti dalla
scienza giuridica. Tale attività fu svolta dal muft i, uno specialista in diritto che forniva pareri
autorevoli su questioni dottrinali e il cui compito principale era quello di consigliare i fedeli
sull’esatta natura degli atti umani dal punto di vista della Legge sacra 35.
L’attività dei muft i contribuì notevolmente allo sviluppo dottrinale del diritto musulmano.
§ 1.12. L’impero ottomano e la Šari ‘a.
Dopo il primo periodo abbàside, i tentativi da parte degli stati musulmani di sottoporre la pratica ai
principi della Šari‘a furono essenzialmente identici, anche se il loro esito fu ben diverso. Il più
notevole e, per un certo periodo, il più riuscito di questi sforzi venne intrapreso dall’impero
ottomano.
All’inizio del sedicesimo secolo l’ortodossia islamica – rappresentata dagli ‘ulama’ , i dotti
dell’ islam – riuscì ad imporsi completamente.
35 All’inizio la funzione del mufti era essenzialmente privata: la sua autorità si basava sulla sua
reputazione come giurisperito, la sua opinione non aveva alcun riconoscimento ufficiale ed un profano poteva
consultare qualsiasi giurista di sua conoscenza e fiducia. Tuttavia, per fornire a tutto il popolo, nonché ai funzionari
governativi opinioni autorevoli su questioni riguardanti il diritto religioso, i governi musulmani, poco tempo dopo la
definitiva costituzione delle scuole giuridiche, scelsero come mufti ufficiali giuristi di grande reputazione (detti Gran
Mufti), v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 78 ss.
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I sultani ottomani diedero al diritto musulmano nella versione hanafita, da sempre prediletta dalle
popolazioni turche, il più alto livello di efficienza mai raggiunto dal tempo dei primi abbàsidi. Essi
fondarono l’intera amministrazione della giustizia sulla Legge sacra; optarono per una formazione
omogenea di giuristi e qadi, organizzandoli in una gerarchia di professionisti; conferirono una
speciale autorità al Gran Mufti (36).
I sultani ottomani si distinsero inoltre per la loro attività legislativa, emanando codici, nella
convinzione di non abrogare né contraddire la Legge sacra, ma di integrarla con regolamenti
riguardanti una materia indifferente dal punto di vista religioso. L’ordinamento giuridico
dell’impero ottomano del sedicesimo secolo fu, anche solo per la sua omogeneità, notevolmente più
evoluto rispetto a que llo vigente allora in Europa, ma la successiva decadenza dell’impero non
mancò di ripercuotersi negativamente su di esso. I tentativi di riforma intrapresi energicamente sotto
il regno di Mahmud (1808-1839) portarono inevitabilmente allo scontro con la .Quando nell’impero
ottomano fu avviata una legislazione elaborata su modelli europei, la cui prima importante
manifestazione fu il Codice di commercio (1850), tutta la materia giuridica fu da allora
progressivamente sottratta alla sfera del diritto musulmano.
Neppure in questo caso la Legge sacra fu però ufficialmente abbandonata: al contrario, la Turchia
ottomana resta il solo paese islamico in cui vi sia stato il tentativo di codificare il diritto religioso
islamico e di applicare alcune sue parti come leggi dello Stato.
E’ questo il caso della Megelle, promulgata nel 1877 come codice civile ottomano e comprendente,
suddivisa in articoli, la disciplina dei contratti, delle obbligazioni e la procedura civile.
Essa fu abolita nel 1926 dalla stessa Turchia, unitamente all’intero complesso del diritto
musulmano, compresi i tribunali dei qadi.
.
§ 1.13. Il diritto di famiglia musulmano in Algeria.
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In Algeria, sotto l’influenza della dominazione francese i qadi continuarono ad applicare il diritto
musulmano, secondo la dottrina malikita, in quelle materie che tradizionalmente rientravano nella
loro sfera di competenza. Inoltre, le modifiche alla legislazione furono rare e si concentrarono
soprattutto sulla tutela dei minori e sulla forma del matrimonio e del divorzio 36. La giurisprudenza
francese ebbe un ruolo determinante nell’applicazione del diritto islamico in Algeria. Essa fu, a sua
volta, notevolmente influenzata dalla dottrina francese, e fu proprio un giurista francese, Marcel
Morand, a ricevere l’incarico di preparare una prima stesura del Codice di diritto musulmano
algerino, pubblicata nel 1916. L’autore inserì in quest’opera numerose modifiche al diritto malikita,
adottando dottrine di scuola hanafita solo quando queste ultime gli parvero più rispondenti ai tempi
moderni. Il Code Morand non entrò mai in vigore come legge, ma nello stato algerino fu di
notevole importanza pratica. Anche il diritto musulmano applicato in Algeria divenne un sistema
giuridico indipendente, propriamente detto droit musulman algérien.
La legge di famiglia oggi in vigore in Algeria è stata adottata il 9 giugno del 198437. Essa unifica il
diritto applicabile nel territorio dello Stato: alle sue norme sono soggetti tutti i cittadini algerini e
non, residenti nel paese. Giunge così a compimento il processo di unificazione del diritto a livello
nazionale intrapreso con l’indipendenza. Durante il periodo coloniale il panorama delle norme
applicabili in materia di statuto personale era estremamente frammentato. Le regole del codice
civile francese, cui erano sottoposti i cittadini francesi e gli algerini aventi la cittadinanza francese,
si contrapponevano alle regole locali, suddivise a loro volta in tre ceppi: il diritto musulmano (di
scuola malikita), il diritto ibadita e il diritto consuetudinario cabilo. Dopo il 1962, la giurisprudenza 36 Esse culminarono in un’ordinanza del 1959, la quale stabilì che il matrimonio doveva essere
concluso con il consenso di marito e moglie, fissò l’età minima per il matrimonio e dichiarò che questo poteva essere
sciolto, oltre che per morte, soltanto da una sentenza pronunciata sulla base di precisi motivi, su domanda del marito o
della moglie o di entrambi, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 105.
37 Nonostante questo titolo, la legge non disciplina soltanto il matrimonio e la filiazione, ma tutte le materie
tradizionalmente comprese nello statuto personale: la rappresentanza degli incapaci, le successioni, gli atti di ultima
volontà, le donazioni e i waqf (le fondazioni pie), v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli,
1995, p. 11 ss.
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optò per la disapplicazione del diritto cabilo a favore di quello musulmano e il legislatore estese le
riforme, già introdotte dalla Francia limitatamente ad alcuni gruppi, al popolo algerino e regolò
certe specifiche questioni in modo uniforme per tutti i cittadini. Nel 1973 furono abrogate le
disposizioni in materia di statuto personale e, per colmare il vuoto legislativo che si creò, si fece
ricorso al diritto musulmano. Su questo sfondo fu adottato il codice dello statuto personale del 1984
38.
§ 1.14. Il diritto di famiglia musulmano in Egitto.
In Egitto, nel corso del diciannovesimo secolo, fu promossa da Muhammad Qadri Pascia la
codificazione del diritto di famiglia e delle successioni hanafita39. Tuttavia, essa non fu mai emanata
ufficialmente. Dal 1920, l’Egitto fu condizionato dalla dottrina modernista e dal movimento
legislativo ad essa ispirato: le pietre miliari del nuovo modello di legislazione furono le leggi n.25
del 1920 e n.25 del 1929, nell’ambito del diritto di famiglia; la n.77 del 1943 sul diritto successorio;
la n.71 del 1946 sulle disposizioni di ultima volontà; la n.462 del 1955 che abolì i tribunali dei qadi
ponendo l’amministrazione della giustizia completamente nelle mani dei tribunali secolari. Nel
1962 fu annunciato il completamento del progetto di un nuovo Codice dello statuto personale che
portò ulteriori innovazioni.
38 Esso è composto da 224 articoli e, in caso di lacuna della legge, rinvia direttamente alle regole sciaraitiche, v.
ALUFFI, Le leggi del diritto di famiglia degli stati arabi del Nord Africa, Fondazione Agnelli, 1995, p. 12 ss.
39 Gli effetti del contatto con l’Occidente sul diritto musulmano culminarono nell’adozione della forma occidentale dei
codici con la relativa suddivisione in articoli. Ne è un esempio, oltre al codice egiziano, la Megelle ottomana, v.
SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 78 ss.
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§ 1.15. Il diritto di famiglia musulmano in Libia e in Tunisia.
In Libia il diritto islamico nella sua forma tradizionale restò a lungo l’unica fonte regolatrice delle
materie dello statuto personale.
Dopo il rovesciamento della monarchia nel 1969, il legislatore libico intervenne con la legge n.176
del 1972 in materia di capacità matrimoniale, di potestà paterna sui figli, di divorzio per danno e di
ripudio dietro corrispettivo. Questo testo fu però abrogato dalla legge del 1984 in materia di
matrimonio e divorzio, oggi in vigore 40.
Una legislazione fondata direttamente sulla dottrina musulmana, pur essendo destinata ad essere
applicata dai tribunali secolari, è stata introdotta sotto gli auspici francesi in Tunisia. In questo
paese, fin dal 1899, David Santillana elaborò, per conto della Commissione per la codificazione del
diritto tunisino, una prima stesura di un codice civile commerciale: il Code Santillana 41.
Infine, con il codice dello statuto personale tunisino, adottato nel 1956, la Tunisia si pose
all’avanguardia del movimento modernista in campo legislativo. Tale legislazione, denominata
Magalla, fu ampliata con l’aggiunta nel 1959 del libro sull’atto di ultima volontà, e nel 1964 del
libro sulla donazione 42.
La Magalla spicca per il radicale riformismo, rimasto insuperato nel panorama delle legislazioni
arabe, a cui contribuì il presidente tunisino Bourghiba. 40 La sua travagliata elaborazione fu il risultato dell’acceso confronto tra istanze radicalmente
riformiste e resistenze conservatrici, fautrici di un profonda spaccatura nel paese, v. ALUFFI, Le leggi del diritto di
famiglia degli stati arabi del Nord Africa, Fondazione Agnelli, 1997, p. 18 ss.
41 Sempre in Tunisia, un Gran Mufi malichita, divenuto ministro della Giustizia nel 1947, nominò una commissione
con il compito di elaborare un codice del diritto musulmano di famiglia volto ad armonizzare le dottrine delle scuole
malikita e hanafita, ma questo tentativo rimase vano per ragioni di ordine politico, v. SHACHT, Introduzione al diritto
musulmano, Fondazione Agnelli, 1995, p. 114 ss.
42 L’ultimo intervento del legislatore risale al 1993: esso modifica la maggiore età e innova in materia di mantenimento
e di poteri dei genitori sui figli, v. ALUFFI, Le leggi del diritto di famiglia degli stati arabi del Nord Africa, Fondazione
Agnelli, 1997, p. 24 ss.
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CAPITOLO II
IL DIRITTO MATRIMONIALE ISLAMICO : ASPETTI GIURIDICI ,
CONNOTATI SOCIOLOGICO-RELIGIOSI E PROSPETTIVE
COMPARATISTICHE .
.
§ 2.1. Il Nikah: negozio contrattuale formale e condizione di liceità religiosa delle unioni
eterosessuali.
E’ opportuno premettere una considerazione che rappresenterà la chiave di comprensione dell’
istituto sottoposto alla presente disamina. L’ Islam –contrapponendosi al sentimento tribale
predominante al tempo della rivelazione del messaggio coranico – tende a sviluppare fra i membri
della umma un vincolo di solidarietà e di appartenenza che, in linea di tendenza, dovrebbe risultare
superiore rispetto a quello basato sulla consanguineità od affinità.
Ciò nonostante lo stessa Šari‘a regolamenta in maniera puntuale il vincolo matrimoniale,
riconoscendone così l’ irrinunciabile valenza di strumento di aggregazione sociale, ed ad un tempo,
il lodevole merito sul piano religioso43.
43 Cfr. G. VERCELLIN , Istituzioni del mondo musulmano, Ed. Einaudi ,Torino, 1996 : “Ben più importante però
sottolineare come il matrimonio,esercizio legittimo dell’ eros, sia la condizione consigliata ed obbligatoria per i
credenti: “Ed unite in matrimonio quelli che fra voi che son celibi e gli onesti fra i vostri servi e le vostre serve ; e se
saran poveri certo Dio li arricchirà della Sua Grazia, ché Dio è ampio e sapiente. E quelli che non trovano moglie si
mantengono casti finché Dio li arricchisca della Sua Grazia” (Corano XXIV,32-33).”
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Il termine arabo per indicare il matrimonio ( al-nikah) significa letteralmente “coito” ed in tale
accezione si contrappone a qualsiasi altra unione sessuale che viene considerata sempre considerata
adulterina (zina’) con l’eccezione del rapporto fra il padrone e la schiava.
La promessa di contrarre matrimonio futuro (al-hitba) non crea un vincolo giuridico tra le parti e
non implica azione in caso di inadempimento.
Secondo l’articolo 1 della legge libica n. 10 del 1984, ciascuno dei due promessi sposi ha la facoltà
di recedere dalla promessa di matrimonio; chi recede per necessità può chiedere che i doni fatti gli
siano restituiti in natura o secondo il valore che essi avevano al momento della consegna, salvo
accordo o consuetudine contrari. Se il recesso dalla promessa di matrimonio causa un danno, chi lo
ho provocato deve risarcirlo.
L’oggetto del matrimonio risulta essere duplice: per il marito concerne i diritti conferitigli sulla
persona della moglie e che sono sussumibili nell’ autorità matrimoniale e nel godimento sessuale;
per la moglie invece esso riguarda le spettanze che il marito le deve sotto forma di donativo nuziale
(marh o sadaq) ed al soddisfacimento di altri obbligazione di natura patrimoniale quali la garanzia
del vitto, dell’ alloggio, della servitù in modo conveniente allo stato sociale di lei.
Col matrimonio la donna rimane completamente capace di agire ed il suo status non si modifica,
eccezion fatta per il caso della minorenne che invece si emancipa.
Dal punto di vista della Šari‘a il matrimonio è un contratto formale. Infatti, essendo espressione
esplicita di un consenso , esso impegna le parti ed una volta concluso validamente non possono più
impugnarlo.Il matrimonio islamico, dunque, annovera quattro elementi essenziali (arkan al- zawj)
di validità:
a) la capacità giuridica delle parti;
b) l’ intervento del tutore (wali);
c) il consenso dei futuri coniugi;
d) la costituzione del donativo nuziale (mahr o sadaq)
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E’ interessante,infine,osservare come la celebrazione religiosa del rito nuziale abbia come scopo
precipuo la mera pubblicità dell’ atto , in modo tale da distinguere l’unione sessuale legittima da
quella priva di questo requisito. Solo in questa accezione si può giustificare la presenza –
segnatamente richiesta dalle tradizioni giuridiche di scuola malikita – di due testimoni con compiti
di natura notarile(‘adl) .Difatti le funzioni religiose mantengono la loro natura strettamente privata ,
tale quindi da non coinvolgere la umma islamiya, ovverosia la comunità dei credenti44.
§ 2.1.1. La capacità giuridica delle parti e l’ intervento del wali.
In prima battuta possiamo rilevare come i coniugi non coincidano necessariamente con le parti del
contratto matrimoniale. Difatti, secondo la Šari‘a, ogni persona può essere titolare di un rapporto
matrimoniale, perfino il bambino appena nato. Se l’individuo, a causa dell’ età immatura ,non è in
grado di concludere il matrimonio interverrà in suo nome e per suo conto il tutore matrimoniale
(wali) ,ossia il parente maschio più prossimo al nubendo. Detto ciò si può subito evidenziare un’
incolmabile asimmetria fra la posizione della donna e quella dell’ uomo. Difatti, durante l’intera
vita la donna si trova costantemente sottoposta al potere più o meno intenso di un uomo. Dalla
nascita al matrimonio la titolarità del potere (al-wilaya) esercitato su di lei è attribuita al padre e
solo in sua mancanza all’ agnato più prossimo. Con il matrimonio la donna passa sotto la potestà
del marito ( al-‘iŠmah) del marito. Infine in caso di vedovanza o ripudio, la donna torna alla
44 Di diverso avviso ALAMI EL DAWOUD, in The marriage contract in Islamic law,Graham e Tratman ed., Oxford,
1999 (trad. a cura dell’ autore): “[…]Ritengo comunque che la partecipazione del qadi o dell’ imam alla formazione
dell’ atto non serva soltanto a dare pubblicità all’atto stesso, giuridicamente richiesto per la sua validità, ma serva
piuttosto a mettere in luce che la famiglia , considerata d’istituzione divina , si forma nell’unica forma di unione
legittima che è appunto il matrimonio (al–nikah): per il requisito della pubblicità dell’ atto basterebbe la sola presenza
dei due testimoni qualificati (‘adl) senza l’ulteriore bisogno dell’ intervento del qadi come giudice e funzionario
religioso. Così il matrimonio, inizialmente concepito come un mero contratto privato, ha subito una rilevante modifica
assumendo un aspetto pubblicistico che è fuori discussione specie nell’ambito sunnita.”.
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famiglia originaria o, se questa si è nel frattempo estinta ,verrà sottoposta al potere del proprio figlio
maschio maggiorenne fino alla morte od ad un eventuale matrimonio.
Tale stato di soggezione- fatto segno da parte dei moderni legislatori arabi di plurimi tentativi di
riforma tesa a contenere il potere maschile sulla donna- si riverbera anche sul fenomeno dei
cosiddetti matrimoni precoci.
Difatti,il padre o l’ agnato più prossimo è titolare della wilayat al- igbar, ovverosia il potere di
costrizione al matrimonio 45. Quest’ultimo - solo teoricamente applicabile anche ai figli maschi
impuberi- risente di considerazioni di natura economica46 che tuttavia sono state a buona ragione
ritenute irragionevoli dai vari riformatori dei codici dello statuto personale che hanno teso a fissare
un’ età minima valida per entrambi i nubendi ,al di sotto della quale il matrimonio è da considerasi
invalido.Età minima che coincide per lo più con la pubertà dei futuri coniugi.
§ 2.1.2. Il consenso dei futuri coniugi.
Per il diritto musulmano , il potere del padre di costringere il figlio al matrimonio (wilayat al-
igbar) cessa di regola al momento in cui questi raggiunge la pubertà. A questa regola generale-
adottata dalle scuole giuridiche di rito hanifita ed hanbalita- fanno eccezione i giureconsulti malikiti
e sciaifiti per i quali la verginità della donna -allo stesso modo che la giovane età- giustifica,
45Cfr. ABAGNARA VINCENZO, Il matrimonio nell’ Islam, Edizioni Scientifiche Italiane,Napoli, 1996. “La scuola
malikita ed hanbalita riconoscono al solo padre , ad esclusione di qualsiasi altro agnato il potere di costrizione. Le
dottrina sciafiita ritiene che esso spetti anche al nonno e gli hanafiti lo riconoscono ad ogni agnato.”.
46 Cfr. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA , La modernizzazione del diritto di famiglia nei paesi arabi, Ed. Giuffrè,
Milano,1990 : pag. 86 “D’altra parte […] la giovane età delle bambine fa aumentare l’ importo del mahr .Inoltre, con il
matrimonio precoce, il padre della ragazza può liberarsi quanto prima dall’obbligo di mantenere la figlia , che è a carico
del marito dal momento della consumazione o dal momento , a quello precedente , in cui è a disposizione del marito ed
entra nella casa di questo , magari bambina per esservi educata.Al contrario il padre del maschio non ha nessun
interesse a sposarlo in giovane età,dato che il matrimonio comporta per lui immediatamente il pagamento almeno
parziale del mahr.
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l’esercizio del potere alla costrizione al matrimonio. Tale assunto trova la sua ragione nella
considerazione dell’illibatezza quale scarsa conoscenza della vita e conseguente incapacità di
valutare gli interessi di natura personale e patrimoniale correlati al nikah.
Il wilayat al- igbar ,tuttavia, è stato espunto da tutte le attuali legislazioni statuali, sopravvivendo
per lo più in alcune aree geografiche come un potere fattuale ma sprovvisto di assistenza giuridica.
Unica eccezione fino all’ 8 marzo del 2004 era costituita dalla previgente Moudawwana (codice
dello statuto personale e delle successioni) del Regno del Marocco che all’articolo 4 manteneva il
wilayat al- igbar per il caso in cui si temesse la condotta sconveniente (al- fasad) della donna 47.
Ma se la donna non può essere più legalmente costretta al matrimonio in via generale non le tuttavia
è riconosciuta la possibilità di concludere in completa autonomia il contratto di matrimonio senza
l’assistenza del wali la cui volontà concorre con quella della donna nella scelta dello sposo.
Né tale considerazione può essere superata dalla considerazione che parte dalla constatazione che la
scuola hanafita concede alla donna di contrarre personalmente il matrimonio.Difatti anche se è solo
la donna ad esprimere il consenso , il contratto è gayr lazim : esso non obbliga definitivamente,
potendo essere sciolto ope iudicis su richiesta del wali che lamenti l’inadeguatezza dello sposo o
l’esiguità del mahr.
§ 2.1.3. La costituzione del donativo nuziale (mahr o sadaq), la sua determinazione ed il suo
corrispettivo.
Il donativo nuziale rappresenta il quanto elemento essenziale del nikah. La sua imprescindibile
rilevanza è testimoniata dal fatto che nikah e mahr nel Libro sacro dell’ Islam sono sempre
47 Da notare,inoltre, che il Codice dello Statuto Personale della Tunisia (Magalla) - improntato ad un radicale
riformismo rimasto superato dalle legislazione arabe vigenti- insiste (art.3) sulla necessità del consenso delle parti
quale elemento essenziale del matrimonio precisando che la volontà può essere espressa personalmente dalle parti od
attraverso un mandatario di loro scelta (art.9).
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strettamente coniugati48. Il donativo nuziale costituisce l’elemento sinallagmatico cui si
contrappongono i diritti potestativi sulla moglie imputabili al marito ed in particolar modo quelli
che hanno ad oggetto il godimento sessuale su di lei.
Esso quindi si configura come un autentico prezzo o compenso (ajr) per il consenso che la donna da
al marito per l’uso che egli fa della sua potestà matrimoniale. Fissato di comune accordo fra il
nubendo ( o la sua famiglia) ed il wali della donna, esso viene attribuito unicamente alla donna, alla
quale deve essere obbligatoriamente pagato e nella cui esclusiva sfera patrimoniale rimane. Da ciò
si evidenzia un dato incontrovertibile : nel dar al-Islam la donna ha sempre goduto di una situazione
patrimoniale particolarmente protetta : le spese (ogni spesa ) per il mantenimento (al-nafaqah) suo e
dei figli gravano unicamente sul marito.
Il mahr o sadaq assurge quindi al rango di parametro di serietà dell’ intenzione dello sposo e segno
di visibilità sociale e giuridica della legittimità dell’ unione matrimoniale 49.
L’ammontare del mahr deve essere esplicitamente definito nel contratto matrimoniale, deve aver ad
oggetto un bene religiosamente lecito e, soprattutto, deve avere un valore economico quantificabile
con certezza.
La determinazione del sadaq ,tuttavia, non attiene tanto ad un assioma di eterna verità religiosa
quanto a precise scelte politiche di interpretazione della Šari‘a.
Le scuole di rito hanafita e malikita definiscono un ammontare minimo del valore del sadaq sotto il
quale non è possibile stipulare validamente il contratto matrimoniale; mentre gli shafi‘iti e gli
hanbaliti si sono nei secoli astenuti dal quantificarlo.
48 Cfr. BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R., Milano 1996: (II,229,237); (IV, 4) ; (XXXII,50); (LX,10).
49 Cfr. G. VERCELLIN, Op. cit. pag. 143 “Siamo perciò esattamente all’ opposto della nostra <<dote>>, concetto che
indica il complesso dei bei portati dalla moglie per sostenere il peso del matrimonio, un’ istituzione che[…]esisteva […]
ma solo a livello di pratica consuetudinaria.Infatti insieme ed accanto al mahr divenne consuetudine comune nella sfida
sociale sottesa ai matrimoni per l’onore delle famiglie e per l’ostentazione delle ricchezze che i padri offrissero doni che
la giovane portava con sé nella nuova casa. Appunto vere e proprie <<doti>> come quelle europee: il jihaz , chiamato
anche in Tunisia shawar.”
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Di converso non è mai stato possibile quantificare (od addirittura imporre) un limite massimo al
donativo nuziale, stante un precetto coranico50 sulla base del quale è stato universalmente
riconosciuto l’impossibilità di fissare alcun tetto massimo all’ ammontare del mahr ,anche se tutti i
giuristi hanno avuto sempre premura di raccomandare di non esigere doni nuziali troppo elevati.
E’ consuetudine pagare parte del mahr subito e rinviare il pagamento del resto. La parte non pagata
è comunque dovuta alla morte dello sposo e sempre in caso di ripudio se il matrimonio è stato
effettivamente consumato.
Dalle considerazioni appena svolte emerge sorprendentemente un dato di incontrovertibile
evidenza:se lo statuto personale e familiare è uno dei campi dove più incisiva è risultata la
nomopoiesi da parte della Legge divina, parimenti si deve constatare che quest’ambito è stato anche
quello dove maggiori sono le discrepanze tra princìpi e prassi.
Una testimonianza indiretta di quanto sopra affermato risiede nella presenza costante ed attuale –
perfino nei paesi di più ortodossa pratica ed osservanza-accanto alla giurisdizione religiosa di una
giurisdizione (siyasa) politico-amministrativa che si faceva carico dell’ applicazione più o meno
ampia sia del diritto consuetudinario locale sia dei regolamenti emanati dalle legittime Autorità.
Entrambi in chiave derogatoria o di interpretazione elastica dei rigidi precetti della Šar i‘a.
D’altro canto il diritto della donna ad essere mantenuta è fondato sul suo atto di sottomissione ed è
irrilevante il suo stato di bisogno.E’ degno di nota inoltre che a far sorgere il diritto della moglie al
mantenimento non è sufficiente la valida costituzione del vincolo matrimoniale, ma la
consumazione delle nozze o, più genericamente, il mettersi a disposizione del marito. La
conservazione di tale diritto, conseguentemente, è subordinata alla costante,diuturna ( ma comunque
ragionevole) sottomissione ed obbedienza della moglie al marito. Tale obbedienza si concretizza, a
50 Cfr. BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R., Milano 1996 . IV,20 : “ E se vorrete scambiare una moglie
con un’altra ed avete dato ad una di esse una quantità d’oro, non riprendetene nulla; ne detrarreste forse qualcosa con
calunnia o con colpa evidente?”.
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titolo meramente esemplificativo , nell’ acconsentire all’atto sessuale 51, al dovere di abitazione nella
casa del marito, al divieto di uscire o ricevere visite senza il suo permesso, al dovere di seguirlo nei
viaggi o nel trasferimento in altra città.
Nell’eventualità in cui la moglie contravvenga agli obblighi sottesi alla potestà maritale il marito è
titolare di una serie di poteri che vanno dall’azione in giudizio alla sospensione del mantenimento52.
Un altro rimedio che il diritto musulmano colloca nell’ ambito dell’ esercizio della potestà maritale
è il diritto di correzione corporale sulla moglie (al-ta’dib)53, i cui eccessi nelle moderne legislazioni
sono rimessi in termini di censura e sanzione al prudente (e per lo più parziale) giudizio del qadi..
Tuttavia, la risorsa più decisiva per ottenere obbedienza e sottomissione da parte della moglie
recalcitrante è –nella maggior parte delle legislazioni statuali riconducibili al diritto islamico - il
ripudio od anche la semplice minaccia di ripudio da parte del marito.
Tuttavia, nell’ ipotesi in cui sia il marito a contravvenire ad i suoi obblighi correlati al
mantenimento della moglie, alla donna viene riconosciuta - in maniera unanime da parte di tutte le
scuole giuridiche islamiche – il diritto di convenire in giudizio il marito al fine di costringerlo a
versare la nafaqah .
Se l’uomo non adempie spontaneamente all’ ordine del giudice si procede all’ esecuzione forzata
sul suo patrimonio, ovvero alla sua incarcerazione nel caso in cui quella risulti impossibile. E’ da
51 Cfr. BORRAMNS MAURICE, Cours de Droit Familial musulman, Pontificio Istituto di Studi arabi e d’ Islamistica
,Roma, 1977, (traduzione a cura dell’autore) pag. 77: “[…]La donna può rifiutarsi di unirsi all’uomo soltanto nel caso in
cui questi non le abbia versato il mahr o non abbia predisposto l’abitazione coniugale[…]”.
52 Cfr. BORRMANS MAURICE, “Matrimonio e Famiglia nel mondo arabo musulmano” in Pedagogia e Vita, LIX/3 (-
maggio-giugno 2001), Ed. La Scuola , Brescia, pp. 61-62. “[…]E’ opportuno notare che le moderne codificazioni
specificano che il marito non può decidere personalmente la sospensione del mantenimento, ma deve ricorrere
all’organo giudicante per fare accertare l’insubordinazione della donna. Un esempio di quanto sopra specificato si trova
ad esempio nell’ art. 11 ter della Legge egiziana 25/1929 , l’art. 87 del codice kuwaytiano […]”.
53 BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R.,Milano 1996: (IV, 34) “[…]quanto a quelle di cui temete atti di
disubbidienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro giacigli ,poi battetele;ma se vi ubbidiranno, allora non cercate
pretesti per maltrattarle; ché Iddio è grande e sublime.”
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sottolineare che lo stato di detenzione non ha alcun fine afflittivo essendo esclusivamente
preordinato ad indurre il marito ad adempiere. Tuttavia la condanna alla detenzione può essere
evitata dal marito qualora questi dimostri al giudice la sua inequivocabile indigenza. Provata
quest’ultima la donna può soltanto chiedere il divorzio54.
§ 2.2. Le condizioni apponibili al contratto di nikah.
E’ senza dubbio anche attribuibile al carattere comunque indeterminato della potestà maritale sulla
donna che i moderni legislatori, pur non abbandonando il principio dell’ obbedienza della moglie al
marito, hanno comunque accettato di limitarne convenzionalmente l’estensione per mezzo di
stipulazioni accessorie (al-Šurut) apposte al contratto di matrimonio 55.
Il contenuto di tali clausole può avere ad oggetto l’impegno del marito a non contrarre altri vincoli
matrimoniali in costanza di quello che ha come parte l’apponente , l’impegno a non trasferire il
domicilio coniugale dalla città di origine, a permettere alla moglie di esercitare una professione o di
partecipare alla vita pubblica. In caso di mancato adempimento della clausola risolutiva espressa la
moglie può chiedere il divorzio.
Le parti inoltre possono concludere stipulazioni di questo genere anche fuori di un contratto di
matrimonio od addirittura dopo la sua conclusione.
54 Cfr.: MALLAT C., Islamic family law, Graham e Tratman ed.,1990: “[…]Ne l caso in cui la sentenza del giudice
risulti ineseguibile, la scuola hanafita arriva a teorizzare la possibilità che la donna venga autorizzata a contrarre debiti
in nome del marito (al-istidanah)[…]”.
55 Cfr.: UTHMAN M., The essential of Islamic family law, Dar al- atqua ed.,2003 (traduzione a cura dell’ autore) p.45
:“[…]Si è accolto su questo punto l’atteggiamento della scuola hanbalita, che mostra estrema flessibilità nell’
ammettere che le parti possano modificare gli effetti tipici del contratto purché nel quadro dei principi generali della Šar
i‘a[..]”.
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In tal caso,però, la violazione dell’accordo non conduce allo scioglimento del matrimonio ma ad un
mero risarcimento del danno.
L’unica clausola in relazione alla quale non rileva la sua apposizione al contratto di matrimonio o la
sua stipula successiva è il tafwid, ovverosia il mandato che l’uomo dà alla donna di autoripudiarsi
quando lo voglia. Per sua stessa natura,evidentemente, la clausola di autoripudio è idonea a
garantire
un’ampia tutela della donna nei confronti delle più diverse condotte del marito,non essendo
necessaria una preventiva loro individuazione.
§ 2.2.1. Il caso limite dell’ apposizione del termine al contratto di nikah :
la mut ‘ah .
Un peculiare istituto del diritto matrimoniale islamico tendenzialmente avversato dai giuristi sunniti
ma adottato dalle scuole giuridiche shiite è la
mut‘ ah , o più correttamente il al-nikah al- mut‘ ah , letteralmente traducibile come matrimonio di
piacere. Si tratta di un unione legalmente contratta per un periodo di tempo determinato di cui si
rinviene traccia soltanto in un passo coranico56. In epoca moderna la mut‘ ah è stato utilizzato nell’
Iran
pre-rivoluzionario dalle donne di condizione sociale più elevata per legittimare relazioni sessuali
altrimenti illecite . In tempi più recenti, sembra che la
mut‘ ah si sia risolta de facto in una forma di prostituzione legalizzata.
56 Cfr. BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R.,Milano 1996: (IV, 24): “[…] ed a quelle di cui godiate come
spose date loro la dote come prescritto, anzi non sarà male che di comune accordo aggiungiate ancora qualcosa al
prescritto;che certo Dio è saggio e sapiente […]”. Tuttavia è da notare che i musulmani sunniti credono che il
precedente versetto sia stato abrogato da un altro passo del Libro sacro (XXIII 1,5-7): “Beati i credenti che si
accontentano dei rapporti con le loro mogli e con le loro prigioniere. Non si può quindi biasimarli;mentre coloro che
desiderano altre donne oltre a queste sono trasgressori”.
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Sulla mut‘ ah gli hadit sono ricchi di insanabili contraddizioni che non sono state composte dagli
studiosi moderni. Su un punto,tuttavia, vi è piena concordanza : il contratto di mut‘ah57 deve
contenere tutti gli elementi essenziali e costitutivi del tradizionale nikah cui deve essere
esplicitamente apposto un termine preciso (ajal).Tale è la previsione degli artt. 1075-1077 del
codice civile della Repubblica Islamica dell’Iran.
§ 2.3. Gli impedimenti al nikah.
Secondo il diritto matrimoniale islamico vi sono diversi impedimenti al matrimonio tutti fondati sul
rapporto di parentela o sulla diversità di religione.
Innanzi tutto è proibito contrarre matrimonio con ascendenti e discendenti, le mogli di costoro
(anche dopo lo scioglimento del matrimonio), la sorella e le discendenti della sorella e del fratello,
le zie paterne e materne e le zie degli ascendenti, la suocera e le altre ascendenti della propria
moglie, ed infine la figliastra e le altre ascendenti della propria moglie (quest’ultimo gruppo solo
quando il matrimonio non sia stato consumato).E’ quindi permesso sposare le proprie cugine di
primo grado e la sorellastra del fratellastro (concepito cioè nell’ambito di un altro matrimonio).
Alla parentela di sangue come impedimento matrimoniale si affianca – ma con minore rilevanza- la
parentela di latte. Affinché dall’ allattamento derivi un rapporto di parentela di latte è sufficiente
che un bambino sia stato allattato anche per un brevissimo periodo nel corso dei primi trenta mesi di
vita.
E’ inoltre proibito il matrimonio simultaneo con due donne imparentate fra loro entro i gradi
proibiti di consanguineità, affinità58 o parentela di latte .
57 E’ il caso di precisare che il nikah al- mut‘ ah è chiaramente distinto dalla mut‘ ah intesa quale dono dato dal marito alla donna ripudiata : “O voi che credete! Quando sposate delle credenti e poi le divorziate prima di averle toccate non avete da osservare alcun termine, provvedetele quindi del necessario e congedatele di grazioso congedo” (Corano, XXXIII,49). 58 NEGRI AUGUSTO, “Legge Islamica e diritto islamico” in Conferenze del Centro Peirone, VIII, Torino, 1994, “[…]
è da rilevare come il grado di affinità in termini di impedimento al matrimonio si costituisca non solo in base ad un
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Per quanto concerne gli impedimenti derivanti dalla diversità di culto professata dai nubendi ,è
opportuno premettere che il diritto islamico classifica gli esseri umani dividendoli
fondamentalmente in quattro gruppi principali ed orinandoli in via gerarchica.
Al vertice di questo assetto piramide troviamo ovviamente i musulmani per nascita o conversione,
seguiti dai credenti delle religioni monoteistiche: cristiani ed ebrei, ma anche le ormai sparute
minoranze rappresentati dai sabei e dai samaritani, cioè i seguaci di religioni rivelate che credono in
un profeta e possiedono un libro sacro (ahl al-kitab).
Subito dopo si collocano i seguaci delle religioni politeistiche o delle comunità non riconosciute (i
bah’ai, ad esempio).
Alla base troviamo gli apostati che hanno abbandonato l’ Islam per aderire al credo di una delle
confessioni religiose sopraccitate59.
Sulla base della superiore classificazione il diritto islamico consente che un musulmano può sposare
qualsiasi donna, qualunque sia la sua religione, a condizione che non sia né politeista,né membro di
una comunità religiosa o apostata. Di converso, qualunque uomo non musulmano (kafir) che osi
matrimonio valido od in base ad una mera unione sessuale. Difatti è sufficiente essersi baciati in maniera poco casta
[…].”
59 Cfr. BORRMANS MAURICE, “Convergenze e divergenze tra la Dichiarazione dei Diritti dell’ Uomo del 1948 e le
recenti Dichiarazione dei diritti dell’ Uomo nell’ Islam”, in Rivista Internazionale dei Diritti dell’ Uomo , XII (gennaio-
aprile 1999),pag. 56: “[…]Sanzioni penali e civili affliggono il musulmano che abbandona l’ Islam. Nel diritto
musulmano classico , l’uomo che abbandona il credo musulmano e rifiuta di ritrattare deve essere messo a morte.
Quanto alla donna , deve essere imprigionata fino alla morte, a meno che non ritratti.Tuttavia se si eccettua il codice
penale del Sudan del 1991 (art.126), nelle legislazioni arabe moderne non esiste testo legale che preveda tale pena e la
pratica giudiziaria varia da un paese all’ altro.[…].Inoltre l’apostata perde la capacità matrimoniale, e se l’apostasia
avviene dopo il matrimonio , questo è da ritenersi sciolto. I figli vengono sottratti alla potestà dell’apostata;
i beni vengono confiscati a favore di soli eredi musulmani od, in assenza di questi, a favore dello Stato.In caso di
conversione all’ Islam se è l’uomo a diventare musulmano può tenersi la moglie non musulmana, a condizione che non
sia né politeista ,né membro di una comunità non riconosciuta, né apostata;se è la donna a diventare musulmana, il
marito musulmano non può continuare a vivere con lei a meno che anch’egli si converta all’ Islam. Le legislazioni arabe
non fanno sempre menzione dei principi sopraccitati. Questo non significa che siano caduti in disuso: esse rinviano al
diritto musulmano “classico” per le questioni che non vi siano regolamentate”.
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sposare una musulmana commette un atto contrario alla legge,quindi nullo, e perde la protezione
politica (dimma) dello stato musulmano che lo espone anche alla pena capitale.
Il matrimonio con un appartenente ad una confessione politeista o comunque non riconosciuta ,poi,
è severamente vietato.
§ 2.4. La poliginia.
Il sistema matrimoniale islamico può correttamente definirsi come monandrico, poliginico e
simultaneo.
L’istituto della poliginia rappresenta senza tema di smentite uno degli ambiti di maggiore confronto
e scontro all’interno del mondo islamico e nei suoi rapporti con le altre tradizioni giuridiche.
Una considerazione occorre premettere: esiste un solo versetto del Corano (IV,3) che autorizza la
poliginia e la cui esegesi è di prioritaria importanza al fine di affrontare con criterio scientifico
l’istituto de quo : “Se temete di non essere equi con gli orfani, sposate fra di loro le donne che vi
piacciono, due , tre o quattro, e se temete di non essere giusti con loro, una sola,o le ancelle in
vostro possesso60: questo sarà più atto a non farvi deviare”.
E’ opinione comune fra i giureconsulti musulmani che il versetto in questione sia stato rivelato al
Profeta dopo la battaglia di Uhud contro i meccani avvenuta nel 625 d.C. e che si concluse con una
clamorosa quanto inaspettata disfatta di Maometto e dei suoi seguaci. Da quel drammatico episodio
bellico originarono notevoli problemi in ordine al sostentamento delle numerose vedove ed orfani.
A testimonianza di quanto sopra esposto depone anche la considerazione che i versetti
immediatamente successivi a quello sottoposto al nostro esame si intrattengono proprio sulle
questioni di tutela dei beni dei caduti in battaglia e sulla divisione degli stessi fra gli eredi.
60 E’ da osservare che il numero di quest’ultime è illimitato come illimitato è il numero delle donne che il Libro sacro
consente al Profeta di sposare: Cfr. BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R.,Milano 1996: (XXXIII,50) e
(IV,3 e 25).
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Da ciò ne deriva che la poliginia islamica più che essere un istituto recepito dal coevo costume
tribale degli abitanti della penisola arabica sembra essere stato dettato da una contingente esigenza
di guerra.
Ma anche se si ritenesse fin troppo benevola l’interpretazione di questo fenomeno sopra prospettata
si dovrebbe comunque riconoscere che è comunque corretto interpretare il versetto coranico
sopraccitato alla luce dei principi di equanimità e giustizia che secondo i precetti islamici
dovrebbero governare le condotte del marito verso la moglie (o le mogli).
Difatti l’ inciso “[…] e se temete di non essere giusti con loro, una sola” potrebbe essere accostato
ad un altro versetto del Libro Sacro (IV,129): “Anche se non lo desiderate non potrete agire con
equità verso le vostre mogli; però non seguite in tutto la vostra inclinazione, sì da lasciarne una
come sospesa. Se trovate un accordo e temerete Iddio, Dio è misericordioso e clemente”. E’ in base
a quest’ultimo versetto che addirittura alcuni giureconsulti musulmani arrivano all’ affermazione
paradossale che la poliginia è di fatto interdetta61.
D’altronde nel mondo musulmano la forma più diffusa di poliginia è sempre stata quella diacronica:
più mogli successivamente o comunque due (o più) donne sposate a grande dis tanza di tempo. A
testimonianza di ciò basti una considerazione di apodittica evidenza: se la potestà maritale sulla
moglie può giungere fino al diritto di infliggere alla stessa pesanti punizioni corporali, di converso
per il summenzionato principio di equanimità e giustizia che deve parimenti regolare l’assetto dei
rapporti del marito nei confronti della moglie, questi è obbligato ad essere equo con ognuna. Ciò
significa che a ciascuna di esse deve garantire un adeguato e pari mantenimento e soddisfacimento.
61 Cfr. WELCHMAN L ,Women's Rights & Islamic Family Law: Perspectives on Reform, Zed Books ed.,2004 , pag 89
(traduzione a cura dell’ autore): “ […] Muhammad ‘Abduh (186-1905) teologo e giurista egiziano specifica che il
permesso a sposare fino a quattro donne è sottoposto prima ancora di temere l’ingiustizia tra le mogli, a quello di avere
paura di non essere giusti con gli orfani. Il versetto che premette la poligamia si riferisce esclusivamente all’ uomo che,
trovandosi ad essere tutore di un orfana,desideri sposarla, privandola del mahr ed impossessandosi del suo patrimonio.
Meglio è per lui sposare più donne piuttosto che togliere all’ individuo indifeso ciò che gli spetta. La regola che
permette la poliginia,avendo carattere eccezionale, non può essere interpretata estensivamente:è chiaro che con queste
premesse essa avrà minime possibilità di venire applicata[…]”.
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Condizione questa intuitivamente insostenibile per gli uomini appartenenti alle classi meno abbienti
e comunque onerosa anche per i più facoltosi. 62
§ 2.4.1. Le limitazioni alla poliginia.
Tutto ciò premesso bisogna ricordare che la maggior parte delle legislazioni dei moderni stati arabi
hanno tentato non già di proibire esplicitamente la poliginia ma di limitarla attraverso ostacoli posti
alla realizzazione l’effettivo esercizio del diritto coranico ad esso sotteso63.
Queste misure variano da un ordinamento statuale all’altro ma sono così sussumibili. Da un canto,
da parte di taluni legislatori si è copiosamente riconosciuto alla donna – conformemente alla
tradizione sciariitica- il diritto di inserire nel contratto matrimoniale delle clausole (al-Šurut)64 che
escludano un nuovo matrimonio, conferendole il diritto di chiedere il divorzio nel caso che detta
clausole condizionali non vengano rispettate dal marito (la c.d. limitazione convenzionale).
62 Cfr. MALLAT C., Islamic family law, Graham e Tratman ed.,1990 pag. 45 (trad. a cura dell’ Autore) : “[Difatti]
l’unanime esegesi dei precetti coranici non solo imputa al marito obblighi di equità in ordine al sostentamento
patrimoniale a favore delle mogli, ma impone allo stesso anche doveri anche di natura personale, ivi incluso quello di
soddisfare sessualmente in maniera eguale tutte le mogli.”(!).
63 Eccezioni opposte sono rappresentate dalle abolizioniste Turchia e dalla Tunisia ,da un lato, e,dall’altro,dal Regno
dell’ Arabia Saudita dove la poliginia è priva di restrizioni ed ampiamente adottata. Difatti la poliginia in Turchia è stata
abolita fin dal 1926 ed in Tunisia attraverso l’adozione nel 1956 della Magalla (codice dello statuto personale) che
vieta la poligamia giungendo ad affermare (art.18) che essa integra una fattispecie delittuosa.
“Tuttavia il tenore di quest’ articolo fu insufficiente ad indurre gli interpreti a considerare il matrimonio poligamico
invalido e privo degli effetti normalmente attribuiti dalla Šar‘ia.
Fu necessario che il legislatore intervenisse includendo espressamente il matrimonio poligamico tra quelli dichiarati
nulli (art.21)”. V. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA (a cura di), “Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del
Nord Africa” in Dossier Mondo Islamico 4, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli ,Torino,1997 , pag.25. 64 Vedi supra : § 2.2.
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Dall’altro canto,poi,si è conferito alla donna il diritto di chiedere il divorzio secondo la legge nel
caso che il marito si risposi, anche in assenza di clausole contrattuali (la c.d. limitazione legale)65.
Infine, alcuni ordinamenti hanno sottoposto la possibilità da parte dell’ uomo coniugato di contrarre
nuovamente matrimonio ad una serie di condizioni dettate dalla prudente valutazione del qadi,
condizioni che dovrebbero scongiurare il timore di ingiustizia nel trattamento delle mogli.
Quest’ultima soluzione solleva enormi perplessità. Difatti, come può un terzo accertare- rectius,
prevedere- il futuro comportamento di un uomo nei confronti delle diverse mogli od addirittura
porre in essere -come vuole ad esempio il legislatore libico, quello irakeno e quello marocchino- un
pronostico in ordine alla capacità finanziaria dell’ uomo di sostenere l’onere del mantenimento
morale e materiale delle diverse mogli e dei figli che da queste potrebbero nascere.
In realtà, al di là di un insana retorica falsamente modernista, bisogna centrare l’analisi su un altro
aspetto.
L’esperienza del secolo precedente al nostro ha abbondantemente dimostrato che i tentativi di
ridimensionare la portata della poliginia nelle società musulmane è andata sempre di pari passo
rispetto ad un contenimento dell’ istituto del ripudio66.
Infatti il divieto della sola poliginia si risolverebbe in un fatale e più frequente ricorso alla cd.
poligamia successiva, che si ottiene ripudiando una moglie per sposare un’altra donna. Difatti, la
condizione della donna ripudiata non è certo più favorevole della moglie costretta a convivere con
un’altra donna sposata dal marito successivamente. Si pensi,ad esempio, alla circostanza che la
65 Ad esempio il legislatore egiziano (art. 11 della L. 25/1929 introdotto dalla L. 100/1985) ha previsto il diritto della
prima moglie di chiedere il divorzio se dal nuovo matrimonio del marito, da lei mai approvato neppure tacitamente, le
deriva un danno materiale o morale che rende impossibile la prosecuzione della vita matrimoniale. La medesima facoltà
è riconosciuta alla nuova moglie, alla quale l’uomo abbia tenuto nascosta la precedente unione. Sul punto v. MIR-
HOSSEINIZ, Marriage on Trial: a study of Islamic family law; I B Tauris ed., 2000 p.89. 66 Sul punto v. BORRMANS MAURICE, “Documents sur la famille au Maghreb de 1940 à nos jours (avec les textes
législatifs marocain, algérien, tunisien, et égyptien en matiére de Statut Personnel) ” in Oriente Moderno, LIX/1-5, Ed
Istituto per l’Oriente, Roma,1979.L’Autore si sofferma abbondantemente sull ’interconnessione dell’abolizione della
poliginia e del ripudio nell’ esperienza legislativa della Magalla tunisina.
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donna ripudiata- nella maggior parte dei casi- è indotta da ragioni di natura finanziaria a ritornare
presso la famiglia di origine con uno status sociale certamente deteriore. Inoltre la donna ripudiata,
trascorso il breve periodo di ritiro legale, perde ogni diritto successorio o di mantenimento nei
confronti del marito. Drammatica è anche la possibilità che alla donna ripudiata possano essere
sottratti i figli al termine del periodo di custodia67.
Infine, occorre rilevare che i legislatori che hanno scelto di porre il matrimonio poliginico sotto il
controllo preventivo del giudice sono stranamente reticenti circa il limite massimo di quattro mogli
che il diritto pone tradizionalmente all’esercizio della poliginia. D’altra parte , nel regolare la
procedura diretta ad ottenere l’autorizzazione a contrarre validamente un nuovo matrimonio in
costanza di uno precedente valido ed efficace, i moderni legislatori si riferiscono immancabilmente
ad un matrimonio con “un’altra” donna. A tal proposito qualcuno ipotizza che in tal modo si sia
posta un’opzione tacita per il modello biginico, suggerendo ai giudici l’opportunità di limitare a
massimo due il numero delle mogli68.
§. 2.5. Il ripudio (al- talaq) e le sue varianti.
Il diritto islamico “classico” riconosce fondamentalmente tre modi di scioglimento del legame
coniugale tra sposi viventi: l’annullamento del matrimonio (al-tafriq)69 davanti al quadi richiesto
67 Cfr. SCHACHT JOSEPH, An introdution to Islamic law, Clarendon Press, Oxford, 1964 (trad. it a cura di Paola
Guazzetti ed Enrico Lanfranchi in Introduzione al diritto musulmano, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli,Torino,1995)
pag 174: “Il diritto della madre nei confronti del figlio prevale su quello del padre (nasab) e lei ha diritto a prendersene
cura (hadana): se è maschio fino sette o nove anni, se è femmina fino alla maggiore età. Non si tratta di un dovere ma
solo di un diritto che la madre perde se conclude un matrimonio con una persona diversa da un mahram (parente entro i
gradi proibiti) del bambino: in questo caso e nel caso che la madre muoia, il diritto di hadana passa alla parente più
prossima, innanzi tutto della madre del bambino ed in secondo luogo del padre del minore. 68 Sul punto v. in particolare AN –NA’IM A, Islamic Family Law in a Changing World , Zed Books ed.,2002 pp. 71 e
ss.
69 Riconosciuto soltanto –a dir il vero- dalla scuola malikita, Si noti che il singolo musulmano può appartenere alla
scuola da lui prescelta o modificare la sua appartenenza senza alcuna formalità; può persino , per interesse o per
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dalla sposa quanto dallo sposo solo per gravi motivi (sterilità, impotenza, gravi maltrattamenti,);il
divorzio per mutuo consenso (al-khul‘) ed infine il ripudio unilaterale (al-talaq)70.
Quest’ultima forma di scioglimento o di sospensione (nel caso di ripudio revocabile, v. infra) del
vincolo coniugale –riconosciuta esclusivamente al marito- è un istituto previsto dal Corano il quale
ne sancisce rigorose e dettagliate modalità, oltre a tempi di effettuazione relativamente lunghi e
complessi.
Per la Šari‘ a, il diritto di ripudiare la moglie deriva all’uomo dalla conclusione del contratto di
matrimonio; esso non dovrebbe essere esercitato che in caso di necessità. Difatti secondo un hadit
del Profeta “Dio non ha permesso nulla che Gli fosse più odioso del ripudio”.
Il ripudio può assumere carattere di revocabilità (rag‘i) ovvero di definitività (ba’in) a seconda
dell’ espressione formale pronunciata dal marito. Esso è fondamentalmente un atto che non
necessita di motivazione alcuna ed è unilaterale e non recettizio: non occorre che la donna sia
presente al momento della sua pronuncia né che sia informata71. Non occorre neppure che sia
l’uomo personalmente a dare ripudio, potendo a tal scopo fornire mandato a chiunque.
Al fine di contenere di contenere l’uso sconsiderato del ripudio, e combattere il consequenziale
fenomeno dell’ instabilità matrimoniale delle tribù residenti nell’Arabia preislamica, l’ Islam limitò
qualsiasi ragione personale , con riferimento ad alcuni atti giuridici , adottare la dottrina di un’altra scuola rispetto a
quella che segue abitualmente.Questa procedura è detta taqlid. In ogni caso , egli dovrebbe seguire ogni condizione
della dottrina prescelta fino alla conclusione dell’atto e non dovrebbe combinare le dottrine di più scuole (talfiq).I
legislatori modernisti hanno ampiamente disatteso quest’ultima regola.
70 Cfr. ESPOSITO JOHN L., Women in Muslim family Law, Syracuse University Press, New York, 1982, pag. 55
(traduzione a cura dell’ autore): “ […]Il matrimonio può essere sciolto anche dal li‘an: il marito afferma sotto
giuramento che la moglie ha avuto rapporti sessuali illeciti o di non essere il padre del figlio che le è nato; la moglie, se
si presenta l’occasione, afferma sotto giuramento il contrario.[…]”
71 Va segnalato che accanto al fenomeno dei ripudi occulti vi è quello dei ripudi non avvenuti ma registrati per aggirare
gli ostacoli frapposti alla poliginia.
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a tre il numero dei ripudi che il marito poteva pronunciare contro la propria moglie. Il terzo ripudio
è quindi irrevocabile e definitivo 72.
Tuttavia assai presto accanto alla forma coranica di ripudio -definita non a caso sunni
(tradizionale)- le scuole coraniche ne introdussero un’ altra che non conosceva i limiti imposti dal
Libro sacro73. Secondo tale costruzione giuridica il ripudio può essere pronunciato anche quando la
donna è in periodo mestruale, o dopo avere avuto rapporti sessuali con lei, o durante il periodo di
continenza ( ‘ idda ) od infine proferendo in una sola volta , anziché ad intervalli inframmezzati da
lunghi periodi, la triplice formula che lo rendeva irrevocabile.
L’uso del triplice ripudio è stato fatto segno di rigetto da parte dei moderni legislatori.
Parimenti sono state introdotte delle riforme atte a garantire che la dichiarazione di ripudio sia
accompagnata da una corrispondente volontà liberamente formatasi. Così il ripudio dato con
espressioni metaforiche è valido solo se si riesce a provare con evidenza la volontà di ripudio,e più
in particolare se l’uomo conferma che la propria intenzione era proprio quella di provocare lo
scioglimento del matrimonio. E’ poi generalmente vietato il ripudio posto in essere dall’ ubriaco,
dall’incapace per infermità di mente od alterazione emotiva.
Inoltre, il ripudio c.d. condizionato ( ta’liq al- talaq) per cui il ripudio ha automaticamente effetto al
verificarsi di un dato evento, così come il ripudio sottoposto a termine sono stati decisamente
proibiti.
72 Cfr. BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R.,Milano 1996 (II,229-230): “Il ripudio vi è concesso due volte
: poi dovete o ritenerla con dolcezza presso di voi, o rimandarla con dolcezza[…]. Dunque se uno ripudia per la terza
volta la moglie essa non potrà più lecitamente tornare da lui se non sposa prima un altro marito; il quale se a sua volta la
ripudia , non sarà peccato se i due coniugi si ricongiungeranno, se pensano di potere osservare le leggi di Dio. Questi
sono i termini di Dio che Egli dichiara a uomini che comprendono .”.
73 Il ripudio per essere sunni doveva esere unico e pronunciato in momenti ben precisi ed in particolare nell’intervallo
tra due successivi flussi mestruali, durante il quale non vi fosse stato alcun rapporto tra i coniugi. Non era inoltre
possibile ripudiare due volte la donna durante un unico periodo mestruale. V. sul punto SANTILLANA DAVID,
Istituzioni di diritto musulmano malichita con riguardi anche al sistema shafiita, Istituto per l’oriente, Roma vol. II,
pagg. 77-78.
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Tuttavia, le riforme più incisive sono state quelle che hanno attratto l’istituto del ripudio nella sfera
del controllo –più o meno incisivo- del giudice. In tal caso, muovendo le fila da un procedimento
esegetico che si appunta su un preciso riferimento coranico che obbliga ad una procedura di
tentativo obbligatorio di conciliazione su base arbitrale 74 in caso di istanza di divorzio, i legislatori
dei moderni stati arabi sono giunti ad affermare che il giudice deve sempre essere informato dell’
avvenuto ripudio e che questo può essere registrato solo dietro sua autorizzazione. Dal canto suo la
registrazione, oltre a fornire prova certa in ordine al ripudio stesso, garantisce anche che la donna
venga informata dell’ avvenuto ripudio attraverso una vera e propria procedura di notifica.
Nella sentenza il giudice fissa inoltre gli obblighi che dallo scioglimento del matrimonio derivano
ai coniugi: il mantenimento durante il ritiro legale (‘idda)75, gli alimenti e l’affidamento dei figli ed
il diritto di visitarli.
In alcuni ordinamenti positivi al giudice è attribuita anche il potere di accertare l’esistenza di un
eventuale danno ingiusto derivato alla donna dal ripudio e quindi condannare il ripudiante a
risarcirlo.
Tale forma di risarcimento è –si badi bene- da tenere distinta dall’ istituto del diritto islamico del
dono di consolazione (al-mut‘a)76.Quest’ultimo trova riferimento nel Corano (II,237) dove parlando
del ripudio è detto “[…] Non dimenticate mai la generosità nei rapporti tra voi, ché Dio osserva ciò
74 Cfr. BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R.,Milano 1996: (IV, 35) “ E se temete una rottura fra marito e
moglie, nominate un arbitro dalla parte di lui e dalla parte di lei , e se i due coniugi desiderano riconciliarsi , Dio
metterà armonia fra di loro ,poiché Dio è sapiente e di tutti ha notizia”.
75 Cfr. PASQUINI ROSARIO, La famiglia nell’ ordinamento islamico della società, Ed. Del Calamo,Milano, 1997,pag
84: “Ogni scioglimento di un matrimonio consumato, anche solo attraverso una del tutto indisturbata intimità coniugale,
comporta per la donna un periodo di ritiro legale (‘idda) che la moglie dovrà trascorrere prima di risposarsi. La ‘idda di
una donna in gravidanza dura fino alla nascita del bambino; se la donna non si trova in stato di gravidanza essa dura
quattro mesi e dieci giorni;in tutti gli altri casi (anche dopo un rapporto sessuale al di fuori del matrimonio) il periodo
dura l’arco di tre cicli mestruali. Infine se la donna non è mestruata la ‘idda avrà la durata di tre mesi.
76 A sua volta da non confondersi con il matrimonio “di piacere” o a termine, oggetto di trattazione. V. § 2.3.
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che voi fate”. Da tale precetto tradizionalmente i giuristi musulmani hanno sempre dedotto-
indipendentemente dalla scuola di appartenenza- che era meritorio (ma non obbligatorio) attribuire
alla donna un dono di consolazione che avesse carattere risarcitorio. V’ è da notare che alcuni
legislatori arabi (segnatamente quello siriano, kuwaitiano e marocchino) nel sancire l’obbligatorietà
del mut‘a, ne hanno esaltato anche il carattere previdenziale a favore della donna e di deterrenza a
carico dell’uomo in ordine ad un esercizio immotivato od arbitrario del diritto di ripudio.
Inoltre, occorre ricordare che una variante di particolare rilevanza al tradizionale al-talaq ,elaborata
nel corso dei secoli dai fuqaha ed abbondantemente utilizzata nella prassi, è rappresentata dal tafwid
, ossia dal conferimento alla moglie del potere di ripud iare se stessa.
Infine, per dovere di esaustività è necessario ricordare l’hul‘, ossia la possibilità conferita alla donna
di richiedere al marito il suo ripudio dietro il versamento di un corrispettivo.Di solito il compenso
attribuito al marito per il ripudio consiste nella restituzione del mahr già versato. Non è tuttavia
escluso che la donna sia costretta a rinunziare alla custodia dei figli od ad accollarsi il loro
mantenimento. Da ultimo risulta interessante porre in evidenza che i legislatori contemporanei
hanno assai raramente recepito alcune tipologie di ripudio quali lo zihar o la ila’: nella prima il
marito paragona la moglie ad una donna a lui proibita, dicendo per esempio “tu sei per me come la
schiena (zahr) di mia madre”; nella seconda il marito giura di astenersi da ogni rapporto sessuale
con la moglie per quattro mesi.
§ 2.6. Il divorzio (al-tatliq)77.
Al potere unilaterale dell’ uomo di ripudiare la moglie il diritto islamico fa corrispondere la facoltà
concessa alla donna di chiedere al giudice il divorzio.Tale facoltà, di regola circoscritta entro stretti
limiti, è pressoché sconosciuta nella tradizione giuridica hanafita. 77 E’ bene precisare che nel presente capitolo con il termine divorzio si indicheranno indistintamente tutti i diversi tipi di
scioglimento del matrimonio ottenuti , per iniziativa di uno di coniugi, attraverso il ricorso al giudice.
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Difatti, l’unica causa di divorzio riconosciuta da tutti i fuqaha’,compresi gli hanafiti,è rappresentata
da tutti quei vizi che rendono impossibile il rapporto sessuale (castrazione,evirazione,impotenza ma
non sterilità). Una seconda causa generalmente ammessa è il mancato pagamento di quanto dovuto
alla donna a titolo di mantenimento. Tale regola è caratteristica del rito malikita ,
sciafiita ed hanbalita ma sconosciuta a quello hanafita che, a differenza degli altri, nega alla donna
perfino il diritto di agire in giudizio per ottenere il divorzio nel caso in cui il marito sia affetto da
patologie psichiatriche tali da rendere impossibile la vita matrimoniale.
L’assenza prolungata ed ininterrotta del marito è unanimemente ammessa come causa di
scioglimento del matrimonio dai codici attualmente in vigore , sulla base del presupposto che la
lontananza dell’ uomo cagioni alla donna un danno che riveste eminentemente un carattere non
tanto economico (difficoltà al mantenimento proprio e dei figli) quanto morale ed affettivo. Difatti ,
la donna, privata dalla compagnia del marito può trovarsi esposta a tentazioni adulterine 78.
Meno diffusa delle precedenti è un ultima causa di divorzio ripresa dalla tradizione malikita: il
mancato pagamento di quella parte di sadaq che si ci era obbligati a pagare alla stipula del contratto
di matrimonio e comunque prima della sua consumazione 79.
78 Cfr. BORRMANS MAURICE, “Documents sur la famille au Maghreb de 1940 à nos jours (avec les textes législatifs
marocain, algérien, tunisien, et égyptien en matiére de Statut Personnel) ” in Oriente Moderno, LIX/1-5, Ed Istituto per
l’Oriente, Roma,1979. “Secondo la tradizione malikita, successivamente adottata dal legislatore ottomano, la moglie
può ottenere la dichiarazione di morte presunta dopo quattro anni dalla denuncia della scomparsa ed essa deve rispettare
prima di contrarre nuove nozze il ritiro legale della vedova (tre mesi e dieci giorni) e non già quello della divorziata (tre
cicli mestruali).” Ben più deteriore è la condizione della donna dell’ assente secondo il diritto hanafita che rimane legata
al marito fino a che non venga dichiarata la morte presunta dello stesso. Cosa che non può accadere prima di
novant’anni dalla sua nascita”.
79 Cfr. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA, “Il diritto di famiglia islamico: tra modernità e tradizione” in Conferenze
del Centro Peirone, XII, Torino, p.18:“E’ da notare la specuarità di questa ipotesi di scioglimento del matrimonio
rispetto a quella prevista nel fiqh hanafita riguardo lo scioglimento del matrimonio per inadeguatezza economica dello
sposo.”
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Inoltre, in alcune legislazioni statuali il divorzio può arrivare a sanzionare alcune condotte del
marito particolarmente riprovevoli quali il tradimento del coniuge (Irak, Ageria ,Tunisia e Marocco)
oppure l’ usuale ubriachezza (Yemen).
Tuttavia bisogna registrare la moderata tendenza da parte di tutti i moderni codificatori ad
ammettere il divorzio come rimedio generale utilizzabile per lo scioglimento del matrimonio 80.
A tal fine i legislatori hanno recepito e diversamente combinato due rimedi caratteristici della
scuola malikita: il divorzio per danno (lil-arar) e quello per dissenso (lil- Šiqaq).
Il primo era stato sviluppato a partire dal principio generale per cui ogni danno va riparato: se la
donna ritiene di patire un danno morale e/o materiale cagionatole dal marito, può ricorrere al
giudice il quale, ottenuta la prova del danno, pronuncia il divorzio.
L’altra procedura è di elaborazione coranica (IV, 35) ““ E se temete una rottura fra marito e moglie,
nominate un arbitro dalla parte di lui e dalla parte di lei , e se i due coniugi desiderano riconciliarsi ,
Dio metterà armonia fra di loro ,poiché Dio è sapiente e di tutti ha notizia”. La procedura
conciliativa proposta dal Corano, è stata successivamente elaborata dai giuristi malikiti in un vero e
proprio arbitrato, integrato in una procedura giudiziaria.
E’ da notare che gli arbitri, se non riescono a ristabilire l’armonia fra i coniugi decidono lo
scioglimento del matrimonio, valutando le cause del dissidio e sanzionando conseguentemente il
coniuge colpevole.La decisione degli arbitri è definitiva ed inappellabile:il giudice deve senza meno
conformarsi ad essa.
Per il diritto islamico la domanda di divorzio può essere proposta di regola dalla sola
donna.Tuttavia è stato sempre riconosciuto all’ uomo , già titolare del potere unilaterale della
80 Come gia precedentemente ricordato (v. supra 2.4.1 ) un esempio di radicale riformismo in questa direzione è
rappresentata indubbiamente dalla Magalla tunisina che, abolendo il ripudio, ha ammesso marito e moglie su un piano
di parità per quanto concerne il divorzio giudiziale (artt.29-33).Quest’ultimo, d’altronde rappresenta in
quell’ordinamento l’unica modalità di scioglimento del vincolo coniugale.
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dichiarazione di ripudio, la legittimazione ad avvalersi del rimedio divorziale ogni qual volta lo
ritenesse un rimedio utile alla tutela dei propri interessi81.
Infine risulta interessante porre in evidenza che i legislatori contemporanei hanno raramente
recepito alcune tipologie arcaiche di divorzio come il li‘an o giuramento imprecatorio.
Secondo quanto stabilito dal Corano 82 il marito attesta quattro volte in nome di Dio che la moglie ha
commesso fornicazione, e quindi invoca su di sé la maledizione di Dio se ha mentito; la donna
attesta per quattro volte in nome di Dio che il marito mente, e quindi invoca su di sé la maledizione
di Dio se l’uomo ha detto il vero.Il giuramento imprecatorio, quindi , oltre a sciogliere il vincolo
coniugale sortisce l’effetto di un vero e proprio disconoscimento di paternità, che anzi spesso non
può essere ottenuto altrimenti.
§ 2.7. I rapporti patrimoniali tra i coniugi . Per quanto riguarda la questione dei rapporti patrimoniali tra coniugi, nel diritto islamico sussiste il
regime della netta separazione dei beni.
Parte della dottrina sostiene, però, che, tramite l’apposizione di una clausola, gli sposi possano
concordare la comunione degli acquisti.
Inoltre, le leggi musulmane consentono l’istituto della donazione tra
coniugi.
81 Cfr. UTHMAN M., The essential of Islamic family law, Dar al atqua ed.,2003 p.34 (traduzione a cura dell’autore) :
“[…] Un tipico esempio di istanza di divorzio presentata dal marito era quella in cui egli , avvedendosi di un vizio
attinente alla capacità di assolvere agli intimi doveri coniugali, non ricorreva al ripudio. Infatti nel caso in cui egli,
scoprendo il difetto prima della consumazione avesse ripudiato la moglie, avrebbe dovuto pagare la metà del mahr
secondo le regole generali. Chiedendo invece il divorzio, e dimostrando che il rifiuto della moglie non era immotivato, a
nulla era tenuto e gli veniva restituito quanto già pagato.”.
82 Cfr. BAUSANI ALESSANDRO, Il Corano, Ed. B.U.R.,Milano 1996: (XXIV,6-9) : “E coloro che accusano le loro
donne, e poi non hanno testimoni altri che se stessi , dovranno comprovare l’accusa con quattro attestazioni ciascuno,
fatte in nome di Dio, attestanti che dicono il vero. E la quinta attestazione sia che la maledizione di discenda su di lui, se
ha mentito. Ed alla donna sarà risparmiata la punizione se attesterà con quattro attestazioni fatte in nome di Dio che il
marito mente, e la quinta sarà che l’ira di dio scenda su di lui, se il marito ha detto il vero”.
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§ 2.8. Il diritto matrimoniale islamico ed il regime dei rapporti personali fra
coniugi nell’ordinamento italiano.
Si è posto recentemente il problema del rapporto tra gli istituti del matrimonio islamico che
prevedono la poliginia e/o lo scioglimento del vincolo matrimoniale ad nutum con i principi
fondamentali cui è ispirato l’istituto del matrimonio nel nostro ordinamento dove il matrimonio ha
una sua base genetica consensuale e la sua rimozione può avvenire soltanto a seguito di una
pronuncia giudiziale e per una delle cause espressamente previste dalla legge.
Si è affermato, in proposito da taluno che, prevedendo il matrimonio islamico, la poligamia ed il
ripudio, nessun effetto esso potrebbe avere nell’ordinamento italiano, perchè tali caratteristiche
contrastano con l’ordine pubblico ed il buon costume trattandosi di matrimonio privo del requisito
dell’assunzione dell’obbligo reciproco di fedeltà, da ritenersi essenziale per la sua giuridica
configurabilità nel nostro ordinamento, sì da impedire la produzione di qualsiasi effetto, anche
indiretto, proveniente da esso.
Le norme che vengono in considerazione in proposito sono l’art. 31 delle nostre Preleggi ed, a
partire dal 1° settembre 1995, l’art. 16 della legge n. 218/95.
L’esame della questione va preceduto da alcune considerazioni preliminari.
La nostra Corte di legittimità ha avuto più volte modo di affermare che, a mente dell’art. 115 c.c. ed
in armonia con quanto previsto dagli artt. 17 e 28 delle Preleggi e 50 dell’ordinamento dello stato
civile, il matrimonio del cittadino italiano all’estero secondo le forme ivi stabilite e sempre che
sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacità delle persone previsti dal nostro
ordinamento, è immediatamente valido ed efficace anche in Italia, indipendentemente
dall’osservanza delle norme italiane riguardanti le pubblicazioni matrimoniali, che possono dar
luogo soltanto ad irregolarità suscettibili di sanzioni amministrative e la trascrizione nei registri
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dello stato civile, la quale ha natura meramente certificativa e di pubblicità-notizia e non costitutiva
del vincolo83.
Dall’affermazione di principio secondo cui la poliginia e/o il ripudio, quali caratteristiche e
connotati del matrimonio islamico, sono contrari all’ordine pubblico interno e al buon costume, non
è possibile trarre automaticamente la conseguenza che esso non dispieghi validità nel nostro
ordinamento, semprechè il matrimonio sia stato contratto secondo le forme stabilite dalla lex loci e
che sussistano i requisiti di stato e capacità dei contraenti.
In tal caso, infatti, il giudice italiano non viene a riconoscere effetti giuridici ad un atto nullo ma
accertata la validità formale e — nei limiti precisati — sostanziale di esso, si limita a rilevare
l’estraneità, ai fini della validità dello stesso matrimonio, sotto il profilo del contrasto con i principi
posti dall’art. 31 delle Preleggi ed dell’art. 16 della legge n. 218/95, della poligamia e del ripudio
unilaterale di uno dei coniugi.
Ma, a parte questa impostazione, l’insostenibilità della tesi secondo cui ad un matrimonio contratto
da cittadino italiano all’estero, nel rispetto delle forme ivi stabilite ed in presenza delle persone, non
potrebbe riconoscersi alcun effetto giuridico nel nostro ordinamento, ove la lex loci preveda
caratteristiche dell’istituto matrimoniale contrastanti con i principi fondamentali del nostro
ordinamento, discende dal principio del c.d. favor matrimonii, alla cui stregua l’atto non perde
validità se non sia stato impugnato per una delle cause previste dagli artt. 117 e segg. c.c., nelle
quali, peraltro, non può essere compresa quella del matrimonio contratto secondo un rito che
preveda la poligamia e/o lo scioglimento del vincolo per volontà unilaterale di uno dei coniugi, non
traducendosi ciò in un vizio del consenso o comunque in un vizio genetico del matrimonio.
Nè assume rilievo l’argomento che, nell’ipotesi di matrimonio islamico ed in ogni caso contratto
secondo una legge che ammetta la poligamia ed il ripudio unilaterale, l’atto non potrebbe essere
83 Cfr. Cass. n. 9578/93 in "Rep. Foro Ital.", 1993 voce "matrimonio" n. 138; idem n. 569/75 in "Foro Ital.", 1976, I,
794; idem n. 1298/71 in "Foro Ital.", 1971, Rep. voce "matrimonio" n. 115.
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qualificato come matrimonio nel senso voluto dal nostro ordinamento perché il vizio atterrebbe al
consenso stesso manifestato dai nubendi, è sufficiente osservare che il favor matrimonii e quindi
della sua validità interinale non soffre eccezioni neppure in altre situazioni, che pur configurano la
medesima incompatibilità ontologica con l’ordine pubblico ed attengono, in diversa misura, alla
validità del consenso, quali il matrimonio contratto in violazione degli artt. 84, 86, 87 e 88 c.c., in
ipotesi, cioè, espressamente previste dall’art. 117 c.c., come motivo di impugnazione del negozio
matrimoniale e con la conseguente necessità di una pronuncia di nullità o di annullamento.
Né, inoltre, potrebbe obiettarsi che la contrazione di un matrimonio secondo il contenuto della legge
islamica caratterizzato dalla possibilità dello scioglimento del vincolo secondo la volontà unilaterale
di ciascuno dei coniugi verrebbe a configurare un negozio matrimoniale difforme dal modello tipico
del matrimonio tipizzato dal nostro ordinamento interno e quindi inefficace sotto il profilo degli
effetti che esso è destinato a produrre.
La nostra giurisprudenza, invero, nell’affermare la necessità di un preventivo riscontro dei requisiti
minimi per la giuridica configurabilità del matrimonio contratto all’estero, tali requisiti ha
chiaramente individuato nella manifestazione della volontà, da parte di due persone di sesso
diverso, ad un ufficiale celebrante, senza alcun riferimento ad altri profili riguardanti l’ordine
pubblico84
In altre parole, anche il mero atto di celebrazione all’estero del matrimonio del cittadino, nel
rispetto delle forme previste dalla lex loci e sussistendo i requisiti di stato e capacità delle persone,
ben può costituire prova della qualità di coniuge e dell’esistenza di un matrimonio immediatamente
efficace nel nostro ordinamento, pur quando si tratti di far valere un diritto ricollegato
indirettamente a detta qualità85.
Non sembra superfluo aggiungere, in proposito, che la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi
sugli effetti successori in Italia di un matrimonio islamico contratto da cittadino italiano all’estero,
84 Corte Cassazione n. 1304/90 in "Rep. Foro Ital.", 1990 voce "matrimonio" n. 150 85 Cass. n. 3599/90 in "Foro Ital.", 1990, I, 2177.
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ha ritenuto che la circostanza che la legge islamica consenta la poligamia e preveda l’istituto del
ripudio, non impedisce, sotto il profilo dei limiti dell’ordine pubblico e del buon costume di cui al
previgente art. 31 disposizioni sulla legge in generale, che la cittadina islamica (nella specie:
somala), la quale abbia contratto con un italiano matrimonio nel proprio Paese secondo le forme
previste dalla lex loci, faccia valere dinanzi al giudice italiano i diritti successori derivanti dal
matrimonio medesimo.
A tale principio si è attenuto anche il Ministero di Grazia e Giustizia nella circolare n.
11/54/FG/3(86) 1395 del 4 febbraio 1987, emanata per impartire direttive agli uffici di stato civile
sulla trascrizione di matrimoni islamici.
Al contrario, però, di quanto si è in precedenza rilevato, è lecito pensare, invece che il limite
dell’ordine pubblico impedisca di riconoscere effetti nell’ordinamento italiano, in forza dell’art. 16
della legge n. 218/95 e fino ad ieri in forza dell’art. 31 delle Preleggi, al ripudio unilaterale
dell’altro coniuge che venga ad incidere, nell’ordinamento di origine, sul matrimonio islamico86 i
cui effetti sono destinati a ripercuotersi nel nostro ordinamento ovvero al successivo matrimonio
contratto in costanza del primo.
86 In tal senso, cfr. Trib. Milano, 11 marzo 1995 in "Foro Ital. Rep." 1996, voce "Diritto internazionale privato n. 46)
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CAPITOLO III
LA RIFORMA DEL DIRITTO MATRIMONIALE DEL REGNO DEL
MAROCCO TRA TRADIZIONE E MODERNITA’.
§ 3.1. Una prospettiva diacronica sull’ evoluzione del diritto di famiglia marocchino.
In Marocco, durante gran parte del secolo precedente, l’amministrazione del diritto musulmano si è
svolta secondo le forme tradizionali della scuola malikita.
Alcune questioni di diritto civile, commerciale e penale furono sottratte alla competenza dei qadi,
mentre le tribù berbere, conformemente ad una plurisecolare tradizione, continuarono a seguire il
proprio diritto consuetudinario, escludendo la Šari‘a persino nella materia del diritto di famiglia e
delle successioni. L’applicabilità di tali consuetudini era stata confermata da un dahir (decreto) del
1914, ma il fondamento giuridico formale dei tribunali di diritto consuetudinario fu posto solo con
un dahir del 1930 87.
87 Un dahir del 1938 regolò la tutela dei minori e, su ispirazione della dottrina hanafita, introdusse informa mitigata
provvedimenti di legislazione modernista, v. SHACHT, Introduzione al diritto musulmano, Fondazione Agnelli, 1995,
p. 115 ss.
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Il Regno del Marocco, raggiunta l’indipendenza nel 1956, avviò speditamente un’ opera di
codificazione delle regole della Šari‘a in materia di statuto personale.
Il codice dello statuto personale venne promulgato attraverso cinque successivi decreti, nel
linguaggio giuridico marocchino dahir, tra il 1957 ed il 195888.
Il titolo dato al processo di codificazione (Mudawwana) tradì immediatamente la volontà da parte
del legislatore di mantenersi fedele al diritto di rito malikita seguito tradizionalmente dal Paese.
Mudawwana, difatti, significa “raccolta” e la terminologia adottata dal compilatore denotò uno
spirito riformatore alquanto contenuto e modesto. Ciò ha rivelato inequivocabilmente il peso
preponderante avuto dai fuqaha all’interno della commissione incaricata di predisporre il progetto
di codificazione. Nonostante l’evoluzione sociale ed economica vissuta dal Marocco negli ultimi
quarant’anni, la Mudawwana è rimasta n vigore pressoché inalterata:gli emendamenti proposti
erano stati più volte respinti in Parlamento e tre successivi progetti di riforma ,rispettivamente del
1961, del 1965 e del 1981 erano rimasti privi di seguito.
D’altronde la stessa giurisprudenza aveva mostrato segni di spiccato conservatorismo, denotando
uno spirito assai poco incline a sviluppare nuove soluzioni alle insorgenti questioni sociali
riguardanti il rapporti coniugali e la dignità della donna.
Tuttavia, il 10 settembre del 1993, sorprendendo gli osservatori internazionali, il Re Hassan II
promulga diversi dahir con cui vengono introdotte innovazioni significative non solo al codice dello
statuto personale, ma anche al codice delle obbligazioni e dei contratti ed al codice di procedura
civile.Tali interventi intesero migliorare la condizione della donna relativamente ai crediti di
mantenimento che vantava nei confronti del marito ed alla procedura di ripudio. Gli intenti
riformatori del defunto monarca si espressero successivamente con il Plan d'Action National pour
l'Intégration de la Femme au Développement (Panifd). Questo è un documento elaborato dal
88 I primi due, in vigore dal 01.01.1958 sono stati promulgati rispettivamente il 22.11.1957; gli altri entreranno in vigore
dalla data di promulgazione, avvenuta rispettivamente il 25.01.1958, il 20.02.1958 ed il 03.04.1958.
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governo marocchino nel 1998 e che ha impresso una dinamica nuova alle politiche per la
promozione della donna. Per la prima volta infatti si è ricorso alla nozione di "genere" per
identificare i meccanismi sociali che sono alla base delle discriminazioni e delle disuguaglianze che
opprimono le donne. Inoltre, per l'elaborazione del progetto e per stabilire le finalità del Panifd, si è
ricorsi- per la prima volta nella storia del Marocco- alla collaborazione delle Organizzazioni non
governative.
In seguito all'adozione del piano è nato un dibattito che ha coinvolto la società civile, la classe
politica ed il mondo religioso.
Gli esiti di tale dibattito sono stati raccolti alla morte di Re Hassan II -avvenuta il 23 luglio 1999-
dal figlio e successore Mohammed VI intronizzatosi nello stesso giorno.
I sentimenti modernizzatori del nuovo monarca si sono manifestati immediatamente all’atto della
pronunzia del discorso di insediamento nella carica ,sottolineando la cura che l’azione della Casa
reale aveva intenzione di intraprendere verso la tutela e promozione della dignità della donna in
seno alla famiglia ed alla società.
Il primo passo viene compiuto anche se in via del tutto indiretta attraverso l’istituzione della
Commission nationale pour la moralisation publique .Questa avvia una campagna per "la
promozione dei valori che sono alla base della moralizzazione della vita pubblica". Questa
iniziativa, che ha avuto inizio il 18 aprile 2002, ha mirato in primo luogo alla sensibilizzazione
dell'opinione pubblica su temi quali il senso civico, la trasparenza, il rispetto della legge, l'utilizzo
corretto delle risorse nazionali, il rispetto delle differenze (anche tra uomini e donne), attraverso
l'organizzazione di convegni e conferenze, la distribuzione di opuscoli, la trasmissione radio-
televisiva di messaggi promozionali.
Ma il punto di svolta avviene il 10 Ottobre 2003: il Re Mohamed VI, in occasione dell'apertura
della II sessione legislativa del Parlamento, presentava il progetto di riforma della Mudawwana col
fine dichiarato di adottare una legislazione più moderna in materia di diritti e dignità delle donne.
Precedentemente il Re aveva nominato una commissione consultiva con l'incarico di elaborare il
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progetto di riforma del Codice. Il Re annunciava, inoltre, che il Parlamento, per la prima volta,
sarebbe chiamato ad esprimersi sulla materia dello statuto personale e delle successioni , ad
esclusione delle sole disposizioni a carattere religioso, che sono di competenza reale.
Si perviene così alla emanazione della Legge di riforma della Mudawwana n. 03/70 promulgata
con il dahir n. 1-04-22 del 3 febbraio 2004 pubblicato in lingua araba sul Bollettino Ufficiale del
Regno del Marocco,edizione generale, n. 5184 del 5 marzo 2004.
Il nuovo codice,composto da sette libri e da quattrocento articoli ,è entrato in vigore l’ 8 marzo
2004.
§ 3.2. Le principali riforme sul piano degli aspetti personali del contratto di matrimonio (al-nikah
) 89.
L’ art. 4 della riformata Mudawwana recita che “il matrimonio è un contratto legale per il quale un
uomo ed una donna acconsentono ad unirsi in vista di una vita coniugale comune e duratura” e che
essa fra l’altro “ha come obiettivo la […] costituzione di una famiglia stabile, sotto la direzione di
entrambi i coniugi”90. E’ indubbio che la portata della presente disposizione appare davvero una
rivoluzione copernicana nella considerazione dell’istituto matrimoniale. Viene espunta, infatti la
figura del capo famiglia ed agli sposi viene riconosciuta la stessa autorità all’interno del nucleo
familiare. D’altronde tale disposizione fa da contraltare rispetto all’art. 51 dove viene proclamata
89 Per la disciplina normativa anteriore alla promulgazione del nuovo testo v. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA (a
cura di), “Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord Africa” in Dossier Mondo Islamico 4, Ed.
Fondazione Giovanni Agnelli ,Torino,1997,pag. 22: “[…] Il matrimonio fonda la famiglia;capo della famiglia è l’uomo
(art.1).Il contratto è concluso mediante lo scambio del consenso tra il marito, od il suo rappresentante , ed il tutore
matrimoniale della sposa (art.11) è da considerarsi suo mandatario. Lo scambio del consenso ha luogo alla presenza di
due ‘adul, che ricevono le dichiarazioni e redigono un atto destinato a fornirne la prova (artt.5 comma 2,41-43): esso
sarà sottoposto al giudice per il visto, dopo di che verrà registrato nell’apposito registro del Tribunale.Copia dell’atto è
trasmesa allo stato civile […]. Soltanto se maggiorenne od orfana la sposa può concludere direttamente il contratto,
oppure designare come tutore (wali) la persona di sua scelta (art. 12 comma 4). Anche se il contratto è stipulato dal
tutore,il consenso della sposa al matrimonio è necessario.[…] Il tutore non può costringere ala donna al matrimonio
(art.12) né opporsi immotivatamente al contratto (artt. 13,23).[…]”.
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l’uguaglianza di diritti e di doveri dei due consorti in ordine alla gestione degli affari di famiglia,
dei figli e della pianificazione familiare. La posizione della donna,quindi, se da un lato viene ad
essere privata di certezza in ordine all’obbligo di mantenimento del marito , dall’ altro viene esaltata
in quanto non è più richiesta alla moglie quella soggezione stabile alla potestà maritale che - sulla
scorta del tradizionale diritto islamico- era la condizione posta per l’assolvimento da parte del
marito di precisi obblighi di sostentamento nei suoi riguardi.
Una seconda osservazione discende dall’esegesi dell’ art. 4 della riformata Mudawwana: l’avere
posto l’accento sul consenso dei coniugi ([…] acconsentono ad unirsi[…]) deve infatti essere posto
in relazione alla radicale riforma della tutela matrimoniale (al-wilaya) esplicitata dall’ art.24.
Secondo quest’ultima disposizione, infatti, la wilaya diviene un diritto esclusivo della donna del cui
esercizio la stessa diviene titolare al raggiungimento della maggiore età (18 anni)91.
Rimane ferma la facoltà discrezionale in capo alla donna di farsi comunque assistere nella stipula
del contratto di matrimonio dal proprio tutore, da lei stesso scelta e che può essere il padre od uno
dei suoi agnati più prossimi.
Al raggiungimento della maggiore età ,inoltre, si acquisisce la capacità matrimoniale (art.19) che
viene così agganciata ad un criterio di precisa scelta politica di consolidamento della dignità della
donna (e di protezione dell’infanzia) svincolata da retaggi tradizionali che la volevano legata alla
presunzione di maturità sessuale92.L’art. 20 prevede i casi in cui è possibile ottenere una dispensa
per l’età. Tale dispensa –valevole sia per gli uomini che per le donne- è sottoposta
all’autorizzazione del giudice per la famiglia. Quest’ultimo redige una decisione motivata in cui
spiega l’interesse e le ragioni che rendono ragione alla concessione della dispensa .Il matrimonio, 90 (n.d.r .: sottolineatura a cura dell’autore). 91 L’art. 24 estende quindi il contenuto del previdente art. 1.2.4 che accordava alle sole donne orfane ma maggiorenni il
diritto di concludere da sole il proprio matrimonio.
92 Il testo di legge precedentemente in vigore (art.8) determinava l’acquisto dell’attitudine matrimoniale generale al
compimento di dei diciotto anni per l’uomo e di quindici della donna, rimettendo al prudente apprezzamento del giudice
la possibilità di dispensa a favore dell’uomo “se si temono gravi difficoltà”.
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infatti, non deve costituire una minaccia per l’equilibrio psico-fisico del minore;in questo senso al
giudice è fatto obbligo di richiedere e depositare una perizia medica e che giustifichi la sua
decisione.
Al fine, poi, di evitare qualsiasi tentativo di esercizio della wilayat al- igbar (prevista dalla
previgente Moudawwana all’ art. 4 per il caso in cui si temesse la condotta sconveniente della
donna)93,ossia del potere di costrizione al matrimonio attribuito al padre od in sua assenza al suo
agnato più prossimo,la domanda di dispensa deve essere firmata e dal minore e dal suo tutore legale
(art.21).
L’autorizzazione del giudice rappresenta uno dei documenti necessari per presentare la richiesta di
matrimonio del minore ,giusta quanto previsto dall’ art.65. Una norma di chiusura (art.66) sanziona
penalmente (art. 366 del codice penale) qualunque tentativo di frode diretto ad ottenere
l’autorizzazione del matrimonio del minore, su richiesta della persona lesa che è legittimata inoltre
ad agire in giudizio per annullare il matrimonio e chiedere il risarcimento del danno subito.
E’ degno di nota come l’impegno alla fondazione di una famiglia stabile sotto la responsabilità
congiunta di entrambi gli sposi è assunto dai nubendi già durante il fidanzamento. L’art. 5 considera
il fidanzamento come una promessa di matrimonio, anche se continua a garantire il diritto
unilaterale di recedere dal fidanzamento considerato alla stregua di un mero “periodo di prova”
(art.6). D’altra parte se il/la fidanzato/a, che viene a subire la rottura del fidanzamento, ritiene di
essere stato leso ingiustamente nei propri diritti può chiedere il risarcimento del danno (art.7).
Inoltre, il bambino che viene concepito nel periodo di fidanzamento è considerato figlio/a
legittimo/a del fidanzato (art. 165). Nel caso in cui ci sia disaccordo a questo proposito, le parti
possono presentare tutte le prove a loro disposizione per confermare o negare la filiazione.
Per quanto concerne il pagamento del donativo nuziale (mahr) il nuovo codice (art. 26-34) non
apporta novità di rilievo, limitandosi a raccomandare che il suo importo abbia un contenuto
93 V supra nota n. 47
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simbolico e lasciando pressoché inalterate le disposizioni contenute nel testo previgente che, a loro
volta, si rifanno pedissequamente ai costrutti della scuola malikita.94
Da ultimo, è degno di evidenza l’assoluta novità rappresentata dall’art. 3 del codice vigente che
inserisce nella dinamica del diritto di famiglia marocchino la figura ed il ruolo del pubblico
ministero il cui ricorrente e variamente disciplinato intervento d’ufficio lo qualifica come garante
dell’interesse pubblico e generale all’ applicazione delle disposizioni della riformata Mudawwana .
§ 3.3. Ostacoli sostanziali e deterrenze processuali poste alla poliginia95.
Gli artt. 41-46 del vigente codice delineano un percorso legale a dir poco impegnativo al marito che
volesse esercitare la poliginia.
Difatti quello alla poliginia cessa di essere di essere un diritto dell’uomo rimesso alla sua esclusiva
volontà: l’intervento dell’organo giudiziario è pregnante ed essenziale.
Innanzitutto, conformemente alla migliore interpretazione della Šar i‘a posta in essere dalla
tradizione malikita già recepita nella precedente codificazione, la poliginia è interdetta allorché si
tema ingiustizia fra le mogli96 ovvero allorché la moglie abbia ottenuto dal marito l’impegno a non
94 V. supra: 2.1.3.
95 Per la disciplina pregressa all’approvazione del nuovo codice v. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA (a cura di), “Le
leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord Africa” in Dossier Mondo Islamico 4, Ed. Fondazione Giovanni
Agnelli ,Torino,1997,pag. 22: “[…]La poligamia è ammessa nei limiti quantitativi tradizionali (art. 29 comma II).
L’uomo deve ottenere tuttavia l’autorizzazione al nuovo matrimonio, che gli sarà negata se vi è ragione di temere un
ingiusto trattamento delle diverse mogli (art. 30 e 35 comma II). La sposa precedente e quella futura devono essere
informate della poligamia.La donna può chiedere l’inserimento nel contratto di matrimonio della clausola di
monogamia che se violata,apre la via del divorzio (art. 31). Anche in mancanza di espressa pattuizione la donna può
chiedere al giudice di accertare che il nuovo matrimonio le cagiona un danno (art.30) ed ottenere su questa base il
divorzio (art.56).[…]”.
96 v. supra § 2.4; 2.4.1.
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contrarre ulteriori nozze (art.40 della Mudawwana che rimanda a quanto già disciplinato dagli
artt.30 e 31 del previgente codice).
Tuttavia, anche se la sposa non ha preteso preventivamente alla contrazione del matrimonio la
rinuncia alla poligamia, il marito che desidera ricorrervi deve avanzare istanza al tribunale della
famiglia menzionando dettagliatamente i motivi che la giustificano ed accompagnandola da una
dichiarazione relativa alle proprie risorse finanziarie e patrimoniali (art. 42).
Il Tribunale, esaminata l’istanza ed i relativi allegati, la rigetta qualora non ritenga sufficientemente
provata la necessità addotta dal richiedente ovvero qualora quest’ultimo non dispone di sufficienti
risorse finanziarie per provvedere al mantenimento morale e materiale delle due famiglie e non
garantisca ad entrambi i nuclei familiari i medesimi diritti in ordine alla decorosità della dimora
domestica ovvero alla permanenza di condizioni di vita adeguate allo status sociale di entrambe le
mogli.
Al fine di porre in essere gli accertamenti di cui al precedente capoverso il tribunale convoca la
sposa del richiedente97.
L’udienza ha luogo in camera di consiglio alla presenza di entrambe le parti: se anche dall’ esame
orale degli sposi vengono avvalorate le giustificazioni addotte dal marito e vengono ritenute valide
le garanzie finanziarie dallo stesso prestate, il giudice -qualora la prima moglie dissenta dalla
decisione del marito di contrarre nuove nozze- tenta una conciliazione fra gli sposi. Se questa non
ha buon esito il tribunale autorizza la poliginia con decisione motivata e non suscettibile di ricorso :
nel decreto devono essere precisamente individuati e precipuamente espressi i presupposti e le
97 E’ da osservare che qualora la donna ha ricevuto personalmente la convocazione e si è astenuta o rifiutata di assistere
il tribunale a mezzo di ufficiale giudiziario le notifica una seconda convocazione in cui verrà specificata il giorno
dell’udienza con l’avviso che in caso di sua assenza si perverrà ugualmente a deliberazione su domanda del marito. Si
noti inoltre che anche in assenza della consorte, qualora il pubblico ministero -il cui intervento è obbligatorio- è
nell’impossibilità di conoscere il domicilio od il luogo di residenza della sposa, si perverrà a deliberazione.Tuttavia se la
donna non riceve la convocazione per falso indirizzo comunicato in cattiva fede dal marito o per falsa comunicazione
da parte dello stesso del nome della sposa , si applicano alle sposo le sanzioni penali previste dall’ art. 361 del codice
criminale (art. 43).
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garanzie di cui al combinato disposto degli artt. 41 e 42 (art.44). Tuttavia, prima ancora che si
pervenga all’ emissione del suddetto decreto, alla moglie che risulti irremovibile dal proprio
dissenso in ordine alla scelta poliginia del marito, l’ordinamento assicura una serie di diritti di
natura personale e patrimoniali di significativa pregnanza.
La moglie può, difatti ,inoltrare – a sua volta- apposita istanza di divorzio: il
tribunale,allora,ingiunge al marito il deposito di una precisa somma che lo sposo, entro sette giorni,
è tenuto a versare a titolo di garanzia delle spettanze matrimoniali della moglie e dei figli nati dalla
loro unione (art.45).Qualora la somma di cui sopra non venga depositata dall’ istante entro il
termine convenuto, “ciò è considerato come una rinuncia alla domanda di autorizzazione alla
poligamia” (art. 46 III comma).
Se invece la consorte , pur non fornendo il proprio consenso all’ opzione poliginica del marito, non
avanzi istanza di divorzio, il tribunale applica ex officio la procedura di separazione prevista dagli
artt. 94 e 97 della riformata Mudawwana (art. 46 IV comma).
§ 3.4. Lo scioglimento del vincolo coniugale: la novellata disciplina del ripudio98.
98 Per la disciplina pregressa all’approvazione del nuovo codice v. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA (a cura di), “Le
leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord Africa” in Dossier Mondo Islamico 4, Ed. Fondazione Giovanni
Agnelli ,Torino,1997,pag. 23: “L’uomo conserva la facoltà di ripudio tradizionalmente riconosciutagli dalla Šari‘a.
L’esercizio di tale facoltà è tuttavia subordinato dal legislatore del 1993 all’ autorizzazione del giudice (art. 48 comma
2). Il codice di procedura civile specifica all’ art. 179 che il giudice, prima di autorizzare il ripudio , deve tentare la
riconciliazione dei coniugi, eventualmente ricorrendo all’ opera di due arbitri. Se il tentativo fallisce, il giudice dà la
autorizzazione, dopo avere fissato il deposito con cui marito garantisce dell’ adempimento delle obbligazioni che
nasceranno a suo carico dal ripudio. Effettuato il deposito, la dichiarazione di ripudio è raccolta da due ‘adul […]. L’
atto di ripudio così redatto è omologato dal giudice che fissa con ordinanza il mantenimento della donna durante il
periodo di ritiro legale, il dono di consolazione (art. 52 bis) e le questioni relative ai figli (art. 179 c.p.c.)[…].I due
coniugi si possono accordare sul ripudio dietro corrispettivo (art. 61-65);è altresì consentito alla donna chiedere
l’inserimento nel contratto di matrimonio della clausola di autoripudio, in virtù della quale il marito le dà mandato a
chiedere il ripudio contro se stessa (artt. 38 e 44).[…]”.
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L’art. 78 della novella Mudawwana testualmente recita: “Il divorzio è la dissoluzione dei legami del
matrimonio, esercitato dallo sposo e dalla sposa secondo le condizioni alle quali ciascuno di essi è
sottomesso, sotto il controllo del giudice e conformemente alle disposizioni del presente Codice”.
Si tratta di una norma che ,ad una prima disamina, qualificherebbe il divorzio come rimedio
generale predisposto dall’ ordinamento per la dissoluzione del vincolo matrimoniale azionabile su
di una piano di parità da entrambi i coniugi.
Alla stessa stregua quindi di quanto disciplinato dalla Magalla tunisina.99
Tuttavia, le speranze di un una nuova edizione del riformismo politico-normativo maghrebino che
aveva portato all’abolizione in Tunisia del diritto di ripudio rimangono deluse dalla lettura dell’
articolato successivo al già citato art.78.
L’art.79 testimonia a favore del mantenimento del diritto di ripudio in capo al marito100, anche se il
suo esercizio è ancora più pesantemente condizionato dall’ intervento dell’Organo giudiziario.
Difatti, il coniuge che intenda ripudiare la sposa deve avanzare istanza di autorizzazione al tribunale
territorialmente competente depositando la medesima istanza presso due ‘adul abilitati a tale scopo
(art.79).
Tale istanza dovrà essere opportunamente corredata anche dai dati identificativi dei coniugi e delle
loro professioni,ed indicare altresì il numero dei figli minorenni, la loro età, il loro stato di salute e
la loro situazione scolastica (art.80). Tali dichiarazioni, qualora risultassero mendaci, esporrebbero
il coniuge istante alle sanzioni previste dall’art. 361 del codice penale (art.81 ult.comma). Quanto
99 Cfr. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA (a cura di), “Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord
Africa” in Dossier Mondo Islamico 4, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli ,Torino,1997,pag. 188 “ Art. 29. Il divorzio è
lo scioglimento del contratto di matrimonio.[…] Art. 31. Il divorzio è pronunciato: 1) con il consenso dei coniugi; 2)su
domanda di uno dei due coniugi a motivo del pregiudizio subito;3)per desiderio del marito o domanda della moglie.”.
100 L’ asimmetria della posizione della donna rispetto a quella del marito viene appena stemperata dall’ art .89 che
regolamenta il c.d. tamlik ’: la sposa acquisisce il diritto a ripudiare sé stessa se nel contratto matrimoniale ha ottenuto
di iscrivere la clausola “Io ripudio me stessa”, oppure può chiedere al marito di ripudiarla dietro compenso (khol’)
(art.120) che- in ipotesi dovrebbe corrispondere al mahr versato ed ancora da versare da parte dello sposo.
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sopra per consentire al giudice la possibilità di avere una cognizione preliminare anche se sommaria
dell’ assetto complessivo dell’intero nucleo familiare.
Esaurita la fase istruttoria, il Tribunale convoca la sposa per esperire un tentativo obbligatorio di
conciliazione che si svolge in camera di consiglio dove avviene anche l’audizione dei testimoni e di
ogni altra persona che il giudice riterrà utile convocare. Al fine della composizione del dissidio
l’Organo giudicante può procedere alla designazione di due arbitri,di un consiglio di famiglia o di
chiunque stimi come persona qualificata al fine di poter portare a buon fine il tentativo di
riconciliazione dei coniugi (artt.81-82).
La novità rappresentata dal Legislatore del 2004 è sicuramente una maggiore attenzione nella fase
di patologia del vincolo matrimoniale alle esigenze dei figli minori: qualora i due coniugi abbiano
prole, il Tribunale intraprende due tentativi di riconciliazione, distanziati da un periodo minimo di
trenta giorni101 (art.82).
Nell’evenienza in cui i tentativi di riconciliazione esperiti non diano esito positivo il Tribunale
stabilisce una somma che lo sposo deve depositare entro trenta giorni.(art.83). L’importo di tale
deposito deve tenere conto delle spettanze matrimoniali dovuti alla sposa ed ai figli minorenni. Più
precisamente deve includere la parte di mahr eventualmente ancora non versata, un assegno di
mantenimento per il periodo di ritiro legale (‘idda) ed il dono di consolazione ( mut‘a).
Quest’ultimo sarà valutato in funzione della durata del matrimonio (indipendentemente dalla sua
consumazione), della situazione finanziaria dello sposo (e non già della sposa) di motivi del
divorzio e “del grado di abuso verificatosi nell’esercizio di tale diritto[ n.d.r. al ripudio] da parte
dello sposo” (art.84)102.
101 E’ il caso di osservare che una serie di obblighi e decadenze processuali gravano su entrambi i coniugi di natura del
tutto analoga a quelle disciplinate nel procedimento di autorizzazione alla poliginia . V. § 3.3.
102 L’ 85 ,poi, si affretta a statuire che “I diritti alla pensione alimentare dovuti ai figli sono a carico sono
fissati[…]tenendo conto delle loro condizioni di vita e della loro situazione scolastica”.
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Inoltre,durante il periodo di ritiro legale, la sposa ha diritto ad alloggiare nel domicilio coniugale od
in un alloggio conveniente per lei, avuto riguardo alla situazione finanziaria del marito. Nel caso
non possa provvedere alle esigenze di alloggio della moglie (e dei figli posti a suo carico) secondo
la procedura suddetta, il Tribunale individua un’ulteriore somma per le spese di alloggio che il
ripudiante deve depositare presso la Cancelleria del Tribunale (art. 84 ultimo comma).
Se lo sposo non deposita le somme così determinate entro il termine perentorio stabilito dall’art.83
la sua istanza di ripudio è da dichiararsi come rigettata.
E tale circostanza -ciò rappresenta un assoluta novità- “è registrata dal Tribunale” (art. 86).
Se, invece, lo sposo deposita la somma determinata dal giudice, il Tribunale lo autorizza a registrare
il ripudio presso i due ‘adul di cui all’art. 79.
§ 3.5. La regolamentazione del divorzio per pregiudizio subito (lil-arar).
Il legislatore del 2004 ha comunque avuto il merito storico di ampliare la casistica in base alla quale
la donna può chiedere ed ottenere lo scioglimento del vincolo coniugale.
Innanzi tutto l’ art. 99 esordisce con una definizione tendenzialmente generale del concetto di
“pregiudizio subito” definendo tale quello che origini da“ogni atto o comportamento infamanti
mesi in atto dallo sposo, ovvero contrari ai buoni costumi, o che arreca un danno materiale e morale
alla sposa mettendola nell’ impossibilità di continuare la vita coniugale” e giungendo anche ad
includere “ogni mancanza anche ad una delle condizione apposte al contratto matrimoniale” (art.
99).
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Si rammenti che l’ art. 51103 della Mudawwana fa riferimento ai diritti ed ai doveri reciproci dei
coniugi, scegliendo una tecnica normativa che tradisce una scelta politica nelle intenzioni
egualitaria e di svolta rispetto alla precedente codificazione che indugiava nell’elencazione dei
diritti del marito nei confronti della moglie e viceversa. Elencazione che, tradizionalmente,
individuava nell’obbedienza della moglie verso il marito la controprestazione rispetto all’ obbligo di
mantenimento dell’altro coniuge posto in capo al marito e che, ai sensi dell’art. 56 del codice
previgente, circoscriveva il “pregiudizio subito” esclusivamente alle sevizie a carico della moglie.
Viene mantenuta pressoché inalterata la disciplina avente ad oggetto il divorzio per vizi redibitori
104, assenza prolungata del marito (art.99-101)105, per abbandono del letto coniugale da parte dello
sposo (art. 112-113)106.
Ampia libertà è concessa in ordine ai mezzi di prova del danno subito che può giungere fino
all’audizione di testimoni in camera di consiglio (art.100 I comma).
Infine, se si perviene ad una pronuncia di divorzio “il Tribunale può fissare, nello stesso giudizio, la
somma dell’ indennità dovuta [alla sposa, n.dr] a titolo di risarcimento del danno patito”(art.101).
§ 3.5.1. Il nuovo regime del divorzio per mancato mantenimento.
103 Diritti e doveri reciproci a carico di entrambi i coniugi che sono dall’ art.51 individuati:
“a) nella coabitazione legale basata sui buoni rapporti coniugali, sulla giustizia, e sull’uguaglianza di trattamento in
caso di poligamia, di fedeltà reciproca, di purezza e di preservazione dell’onore e della progenie; b) buona
coabitazione, mutuo rispetto, l’affetto e la preservazione dell’integrità della famiglia; c) la presa in carico della moglie
insieme al marito della responsabilità della gestione degli affari di famiglia e dei figli e della pianificazione familiare;d)
i buoni rapporti di ciascuno nei confronti di parenti dell’altro, rendere loro visita e riceverli nei limiti della
convenienza”;e) i diritti di successione .”.
104 V. Cfr. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA (a cura di), “Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord
Africa” in Dossier Mondo Islamico 4, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli ,Torino,1997,pag. 146.
105 Ibidem, p. 147. 106 Ibidem, p. 147.
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Un’altra tipologia di scioglimento del matrimonio che è stata cautamente novellata dal legislatore
marocchino del 2004 è senza dubbio rappresentata dal divorzio per mancato mantenimento, la cui
disciplina si rinviene nell’ art. 102 della Mudawwana. Istituto già disciplinato nel codice previgente,
il divorzio per mancato mantenimento viene dai commentatori individuato come una species
rispetto al genus del tatliq per pregiudizio subito.
Senza tema di smentita, si può agevolmente esordire che la sua permanenza nel riformato Codice
tradisce la permanenza di un paradigma sociale assolutamente ben radicato nel tessuto sociale
marocchino e che vede nell’autosufficienza finanziaria della donna rispetto al nucleo familiare e
parentale più un obiettivo da perseguire che una meta raggiunta per un mero riformismo giuridico.
L’art. 102 accorda alla sposa la facoltà di avanzare istanza di divorzio qualora lo sposo non
provvede alle necessità materiali sue e della prole a suo carico107.
Qualora l’istanza risulti fondata allo sposo cui è contestata l’inadempienza il Tribunale ingiunge di
procedere alla somministrazione del mantenimento entro e non oltre trenta giorni108. Se
l’inottemperanza permane, e questo non è dovuto a forza maggiore od a circostanze eccezionali
(l’onere della cui presenza incombe sul marito) il Tribunale pronuncia il divorzio.
Qualora dalle risultanze istruttorie si individuano dei beni di proprietà dello sposo idonei ad
assicurare il mantenimento della moglie, il Tribunale “vi si riferisce e non dà , di conseguenza,
corso alla domanda di divorzio (art. 102 I comma). Si tratta di un vero e proprio procedimento
ingiuntivo, avente carattere propedeutico rispetto all’esecuzione forzata sui beni del marito,
analogamente a quanto disposto dall’ art. 53 II e III comma del previgente codice . Tuttavia, qualora
107 Da evidenziarsi la nuova disciplina della tutela contenuta nell’ art.166 I e II comma che supera la tradizionale
distinzione fra il nasab paterno e l’ hadana materna: “La tutela sia per il maschio che per la femmina vige fino al
raggiungimento della maggiore età. Al momento dello scioglimento dei vincoli matrimoniali, i figli che hanno raggiunto
l’età di quindici anni compiuti possono scegliere di essere affidati alla tutela sia del padre che della madre”
108 Di tutt’altro tenore il comma IV dell’ art. 53 “Se insiste nella propria indigenza e la prova, il giudice gli accorderà
una scadenza ragionevole che non oltrepassi tre mesi”.
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lo sposo inadempiente non fornisce prove della sua momentanea incapacità finanziaria e persiste nel
non somministrare quanto dovuto alla sposa ed ai figli, “il Tribunale pronunzia il divorzio seduta
stante” (art. 102 ultimo comma).
§ 3.6. Il divorzio consensuale (lil- Šiqaq) ed il divorzio dietro compenso.
Una delle innovazione che hanno suscitato più scalpore alla promulgazione del nuovo Codice dello
statuto personale e delle successioni del Regno del Marocco è senza dubbio rappresentato dall’
introduzione dell’ istituto del divorzio consensuale. In questa occasione lo spirito riformatore che ha
animato i compilatori ha segnato un elemento di assoluta discontinuità rispetto alla tradizione in
materia di scioglimento del vincolo matrimoniale accolta dalla scuola malikita109.
Difatti, l’art. 114 del testo in vigore consente agli sposi di porre consensualmente fine allo loro
relazione coniugale, anche apponendo nel ricorso clausole accessorie condizionali. Il legislatore si
affretta a precisare,però, che la forma e la sostanza di quest’ ultime non potranno arrecare
pregiudizio all’ interessi che fanno capo alla prole o comunque essere contrarie alle disposizioni
contenute nella Mudawwana.
Dinnanzi al consenso manifestato attraverso la presentazione di un ricorso congiunto il giudice può
limitarsi ad esperire un tentativo di riconciliazione di contenuto la cui incisività è certamente
109 Negli ordinamenti dei paesi di tradizione islamica l’ unico riferimento di natura analoga rimane l’ istituto
coraggiosamente introdotto nel 1956 dal presidente Bourghiba nella Magalla della Repubblica Tunisina. V. ALUFFI
BECK-PECOZ ROBERTA (a cura di), “Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord Africa” in Dossier
Mondo Islamico 4, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli ,Torino,1997, pag. 25 : “La Magalla abolisce il ripudio. L’unico
modo di sciogliere il matrimonio durante la vita dei coniugi è il divorzio giudiziale, a cui marito e moglie sono ammessi
su un piano di parità (art. 29-33). Il divorzio può essere consensuale, oppure può venire richiesto da uno di coniugi per
il danno arrecatogli dall’ altro, il quale abbia ad esempio, commesso adulterio,violato una clausola matrimoniale (art.11)
od omesso di pagare il mantenimento (art. 39-40).La domanda di divorzio può anche essere immotivata: si tratta di un’
estrema evoluzione del diritto di ripudio che è reso accessibile tanto all’uomo che alla donna”.
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depotenziata rispetto a quello previsto in caso di istanza di ripudio o di divorzio per mancato
mantenimento o per pregiudizio subito.
Il divorzio dietro compenso (khol’) risulta certamente un’ evoluzione del ripudio dietro corrispettivo
(al-hul) già disciplinato dal testo previgente agli artt. 61-63.
L’ hul poneva lo sposa in una condizione di evidente sottoposizione all’arbitrio del marito per due
ordini di ragioni. Il primo si appunta sulla totale assenza di un controllo giudiziale sull’intera
procedura di ripudio i cui effetti venivano mitigati dalla riconosciuta assistenza del wali alla sposa
minorenne e dalla petizione di principio che obbligava la donna (maggiorenne o minorenne) al
versamento del corrispettivo solo nel caso in cui il suo consenso sia stato prestato spontaneamente e
senza avere subito violenza o maltrattamenti .110
Il secondo trova riferimento sul sostanziale arbitrio maritale cui era rimessa la determinazione del
khol’ .
L’art.120 della novellata Mudawwana afferma la cognizione del Giudice qualora i coniugi vogliano
divorziare dietro il pagamento del Khol’ ma non raggiungono un accordo sul suo ammontare.
Ancora una volta al Tribunale sono affidati preliminari obblighi di esperimento di un idoneo
tentativo di conciliazione. Se questo non ha buon esito il Tribunale “ordina l’esecuzione del
divorzio a mezzo compenso”, provvedendo tuttavia lo stesso Organo giudicante alla determinazione
dello stesso “prendendo in considerazione l’ammontare del mahr , la durata del matrimonio, le
ragioni che giustificano il ricorso,oltre alla situazione finanziaria della sposa” (art. 120 II comma).
110 Cfr. ALUFFI BECK-PECOZ ROBERTA (a cura di), “Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord
Africa” in Dossier Mondo Islamico 4, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli ,Torino,1997, pag. 147: “ARTICOLO 62. La
donna maggiorenne acconsente personalmente al ripudio dietro corrispettivo. Se la donna che acconsente al ripudio
dietro corrispettivo è minorenne, il ripudio ha luogo, ma ella non è tenuta al corrispettivo se non vi è l’accordo del wali
patrimoniale.[…] Art.63 “in caso di indigenza della moglie, non può costituire corrispettivo del ripudio un bene cui
abbiano diritto i figli,”.
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§ 3.7. Il regime della costituzione e dello scioglimento del matrimonio dei cittadini marocchini
residenti all’estero.
Il matrimonio dei marocchini residenti all’estero era un aspetto del diritto matrimoniale che il
Legislatore reale aveva volutamente ignorare in sede di compilazione del testo della precedente
versione della Mudawwana111.
Il vigente Codice dello statuto personale e delle successioni tenta una prima articolazione giuridica
di questo fenomeno la cui incidenza - sicuramente resa esponenziale dopo le ricorrenti ondate
emigratorie che negli ultimi trent’anni hanno modificato il tessuto socio-economico del Regno del
Marocco- aveva causato non pochi problemi legati per lo più al riconoscimento della costituzione e
dello scioglimento dei vincoli matrimoniali da parte di cittadini marocchini residenti all’estero
secondo le norme degli ordinamenti dei medesimi Stati di residenza.
L’art. 15 della Mudawwana obbliga i marocchini che abbiano stipulato il contratto di matrimonio in
conformità alla legislazione del Stato estero di residenza a depositare il medesimo contratto entro
tre mesi presso l’apposito ufficio della rappresentanza consolare competente per il territorio dove
l’atto è stato stipulato. In assenza di una struttura consolare a loro prossima, i coniugi sono tenuti
ad inviare una copia dello stesso atto di matrimonio al competente dipartimento del Ministero degli
Affari Esteri sempre entro trenta giorni dalla celebrazione delle nozze.
Tale Dipartimento, quindi, procederà “alla trasmissione della copia in questione all’ Ufficiale dello
Stato Civile ed al Tribunale dei diritti della Famiglia del luogo di nascita di ciascuno dei due
coniugi.” (art. 15 comma II).
111 Il matrimonio fra uomini di cittadinanza marocchina e donne straniere, e viceversa tra donne marocchine ed uomini
stranieri è stato successivamente disciplinato dal Dahir n. 1.0.20-60 del 04.03.1960. V . MERNISSI SALIMA
«Quelques aspects de la codification du statut personnel marocain » in Bastenier, et al., Le Statut personnel des
musulmans : Droit Comparè e Droit International Privè, Travaux de la Facultè de Droit de l’ Universitè Catholique
deLouvain, ed. Bruylant, Bruxelles,1992, pp. 247-273.
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Se i coniugi non sono nati in Marocco, la copia dell’atto di matrimonio deve essere trasmessa alla
“Divisione dello Stato Civile del Dipartimento incaricato degli Affari interni ed al Tribunale della
famiglia della città di Rabat.” (art. 15 ultimo comma).
Tali procedure di mera trascrizione concernono i matrimoni contratti dai cittadini marocchini
residenti all’estero che non risultino in contrasto con i principi essenziali dell’ istituto matrimoniale
così come disciplinati dal legislatore marocchino, con particolare riferimento agli elementi del
consenso , della capacità matrimoniale, del mahr, ed avuto riguardo anche alla disciplina degli
impedimenti legali.
Di analogo tenore è la disposizione che concerne i procedimenti di scioglimento del matrimonio
(ripudio e divorzio ) conclusisi fra i coniugi in conformità con le legislazioni degli stati di residenza.
Difatti dal combinato disposto degli art. 14 e 128 discende il principio che i cittadini marocchini
residenti all’estero possono adire l’organo giudiziario od amministrativo preposto allo scioglimento
del vincolo matrimoniale solo se i provvedimenti di tali organi non risultino in contraddizione con
le disposizioni della Mudawwana .
§ 3.8. La nuova disciplina del regime patrimoniale fra i coniugi.
Per quanto riguarda la questione dei rapporti patrimoniali tra coniugi, nel diritto marocchino -
conformemente alla tradizione sciaraitica- sussiste il regime della netta separazione dei beni.
Non esiste, difatti tra gli sposi alcuna associazione di interessi patrimoniali: ognuno continua a
gestire autonomamente i propri beni senza obbligo alcuno di rendicontazione, eccezion fatta per le
donazioni liberali di notevole entità.
Tuttavia, l’ art. 49 II e III comma del novellato Codice dello statuto personale e delle successioni
dispone che “i due sposi possono,nel quadro della gestione dei beni da acquisire durante il
matrimonio, mettersi d’accordo sulla loro ripartizione e fruizione.Questo accordo è registrato in un
documento separato dall’atto di matrimonio”. Si tratterebbe,quindi, di una novità assoluta nel diritto
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islamico di famiglia che si concretizzerebbe nella previsione di un regime che potremmo definire di
“comunione convenzionale”, analogamente a similari istituti presenti negli ordinamenti dell’
Europa continentale (segnatamente in Italia : art. 210 c.c.).
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CONCLUSIONI
Il mondo arabo comprende ventidue paesi ed il diritto matrimoniale di questi paesi registra tre
costanti che sono altrettante sfide: disparità tra uomo e donna, disparità tra il musulmano ed il non
musulmano, assenza di unità giuridica.
Se le prime due sono state analizzate nel corso del presente lavoro ,avviandoci alla conclusione
dello stesso, non possiamo esimerci dal disaminare l’ultima.
Difatti, l’assenza di unità giuridica, ad avviso dell’autore, rappresenta la chiave di volta per
comprendere il rischio di collasso del sistema matrimoniale islamico ma anche le possibilità di un
suo sviluppo verso riforme che- lungi da un radicalismo “di maniera”- possono consentire un
processo di autentica modernizzazione giuridica rispettosa delle tipicità del sistema sociale di
riferimento degli ordinamenti di tradizione musulmana.
La popolazione dei Paesi arabi è in larga maggioranza musulmana, ma è composta anche di un
certo numero di cristiani, di ebrei ed altre minoritarie comunità religiose. La maggior parte di
questi Paesi non dispone di un codice unificato in materia di diritto matrimoniale (o più in
generale, di famiglia).
Nello Stato musulmano classico le comunità non musulmane hanno conservato alcune prerogative
legislative e persino giudiziarie in virtù degli accordi conclusi con l’autorità politica dopo le
conquiste degli eserciti islamici.
Per quanto concerne la comunità musulmana, lo Stato non ha fatto che soprintendere alla
fissazione del testo coranico e degli Hadit del Profeta lasciando alle scuole giuridiche il percorso
di elaborazione e di ermeneutica del diritto di ispirazione divina. Solo in rari casi accanto ad una
giurisdizione giocoforza “confessionale” e particolare si è affiancata-senza mai sostituirla- una
giurisdizione “laica” e tendenzialmente generale.
Tale mancanza di unicità legislativa e giudiziaria ha nel corso dei secoli portato alla posizione di
soluzioni giuridiche sui medesimi casi eminentemente contraddittorie.
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A tutt’ oggi accanto a Stati che hanno stabilito in tema di statuto personale e coniugale un sistema
unificato legislativo e giudiziario (la Tunisia ed in parte oggi il Marocco) altri ( è il caso , ad
esempio dell’ Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein) non dispongono di un diritto
di famiglia codificato neppure per i loro sudditi musulmani.
Si arriva anche a situazioni limite in cui in alcuni ordinamenti ( quello libanese, ad esempio) gli
stessi musulmani sono soggetti a giurisdizioni particolari a seconda dell’ appartenenza alla
comunità sunnita od a quella sciita.
Un caso estremo è tuttora rappresentato dall’ Irak che giunge a riconoscere ufficialmente la
potestà normativa e giudiziaria in materia matrimoniale -oltre alle comunità musulmane sunnite e
sciite- quella di ben diciassette comunità religiose non islamiche.
D’altronde non si può omettere di segnalare che per talune comunità non musulmane l’accesso ai
documenti di ricognizione normativa risulta estremamente difficile. In molti Stati, inoltre, i
tribunali pubblicano raramente le loro decisioni, fatto che aggrava il problema in quei Paesi che
non dispongono di una raccolta codicistica in materia matrimoniale.
Si aggiunga che, talvolta, l’organo di ricorso per alcune comunità non musulmane (segnatamente
quella cattolica) è situato fuori dai confini nazionali, ed è quindi praticamente inaccessibile.
Questo impianto legislativo e giudiziario non unificato in materia di diritto matrimoniale (e più in
generale della famiglia), se in teoria può essere inteso come un segno di tolleranza, dall’altro si
risolve sul piano fattuale in una situazione di autentica incertezza del diritto che apre le porte ad un
uso politico del diritto islamico come strumento di generale controllo sociale e religioso.
Tale sistema spesso agisce come fattore di disgregazione sociale, specialmente in considerazione
dell’assenza di legami di sangue fra i membri delle diverse comunità religiose che insistono sullo
stesso territorio statuale.
D’ altronde i timidi tentativi di unificazione posti in essere da alcuni legislatori (uno per tutti quello
egiziano) non rendono giustizia ad un’esigenza la cui portata è diventata ineludibile.
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Un’ unità che dovrebbe essere sancita sotto le insegne del ricezione delle Convenzioni e
Dichiarazioni in tema di diritti umani che vengono percepite dalla maggior parte degli ordinamenti
statuali di tradizione islamica come allogene rispetto ai propri retaggi culturali , se non addirittura
come ostili strumenti di controllo occidentale sugli affari interni dei singoli Stati musulmani.
Né più solide prospettive sembrano emergere da Organizzazioni sopranazionali quali la Lega
araba.
Quest’ultima,attraverso un organismo creato nel 1981 (il Consiglio dei Ministri arabi della
Giustizia) aveva adottato un piano in vista dell’ unificazione delle leggi sullo statuto delle persone
e della famiglia dei singoli Stati membri sulla base del solo diritto islamico, pur tenendo conto delle
“aspirazioni di modernizzazione e di sviluppo alle quali tendono gli stati arabi in questi settori e
che vadano di pari passo con le convenzioni e gli accordi internazionali più moderni che
regolamentano queste materie”.
Questo Organismo ha potuto mettere a punto un progetto adottato nella sessione conclusiva di
lavori svoltasi nel Kuwait il 4 aprile 1988 dal titolo “Documento del Kuwait riguardante il Codice
arabo unificato dello statuto personale” che, tuttavia, è rimasto privo di alcuna forma di ricezione
da parte degli Stati nazionali firmatari.
Se si vuole individuare le cause che hanno reso vano quest’unico tentativo di unificazione della
materia dello stato personale del diritto matrimoniale e della famiglia non si può omettere di
individuare alcuni vizi genetici dello steso.
Difatti nonostante la denominazione “ Codice arabo unificato” il progetto non comprende che
norme di diritto islamico ed è stato elaborato da una commissione di sette membri , tutti uomini e
musulmani.
Che ne sarebbe stato quindi delle comunità non musulmane? Su questo il Consiglio ha volutamente
taciuto: l’unificazione del diritto di famiglia nei termini prospettati dal Documento avrebbe senza
dubbio comportato una levata di scudi in particolare dalle comunità cristiane ed ebraiche che
avrebbero correttamente inteso l’applicazione del Progetto come un tentativo di genocidio
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culturale. D’altronde lo stesso Consiglio, dal canto suo, avrebbe dovuto coerentemente ammettere i
membri delle comunità non islamiche a delicate funzioni (quali quelli di giudice e testimone,ad
esempio) su un piano di parità rispetto ai musulmani.
Uguaglianza impensabile per le correnti islamiche conservatrici e dominanti le dinamiche
politico-sociali degli Stati firmatari.
Un Documento quindi foriero,nella migliore delle ipotesi, di insuperabili aporie!
Allo studioso e cultore del diritto matrimoniale islamico , sulla scorta di quanto avvenuto con
l’approvazione della novellata Mudawwana del Regno del Marocco, non resta quindi che confidare
nell’ intrinseca anche se modesta capacità interna di riforma del pensiero giuridico musulmano.
Quanto sopra facendo memoria delle parole del giureconsulto ed imam Mahmud Šaltut (1983): “
Colui che si immobilizza nelle opinioni dei suoi predecessori e si accontenta del loro sapere, delle
loro conoscenze e del loro sistema di ricerca ed indagine commette un crimine contro la natura
umana, priva l’uomo del dono della ragione che lo caratterizza, distrugge il criterio di Dio nei
confronti dei suoi fedeli e si attacca a ciò che è privo di valore agli occhi di Dio”.
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