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Mensile di cultura religiosa e popolare Mensile di cultura religiosa e popolare www.ofmcappuccini.umbria.it/indovino Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1 Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 53 - Febbraio 2010 / n. 2 Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata. www.frateindovino.eu - [email protected] Abbonnement - Poste - Taxe Perçu È bizzarro il mondo. La gente affolla i merca- tini di modernariato, cercando tra le cianfrusaglie di decenni appena trascorsi “piccole cose di pessimo gu- sto”, oggetti da niente, men- tre abbandona senza pensie- ri o, appena una scrollata di spalle, parole indispensabili a una vita retta. C’è stato un tempo in cui la reputazione era blasone am- bito da ogni persona di sen- no. Una parola che racchiu- deva tesori di stima, di ap- prezzamento pubblico. Uomini e donne si conqui- stavano il credito di famiglia- ri e conoscenti con i loro at- ti quotidiani. Nell’agire e nel parlare. Affidabili: era il ter- mine che garantiva del buon comportamento. Sempre. L’uomo, dicevano i proverbi, si pesa sulla parola e non sul portafoglio. Queste persone, presenti in ogni villaggio, erano di fatto investite della carica di autorità sociali. A loro si ricorreva per consiglio nella necessità, mentre veni- vano additati come esempi a cui ispirare la propria condotta di vita. Anche se nessun diploma, né investitura istituzionale, atte- stava il loro ruolo nella comu- nità, il rispetto di cui godevano valeva più delle “primarie” e del- le preferenze elettorali espresse sulle schede. Altri tempi, di ar- retratezze economiche e di basso livello tecnico. Ma pieni di sen- so. La ricca contemporaneità ha mandato a gambe all’aria costu- mi che sono bastati per secoli a soddisfare il bisogno dei popoli di riconoscere le proprie guide. Come se tutto ciò che appartie- ne al passato coincida con l’arre- trato. Il Maligno ha conseguito un’altra vittoria. Ma non s’illuda: fede e ragione degli uomini sa- pranno nuovamente comprende- re quanto possa essere modernis- simo l’arcaico, ciò che è custodi- to nel profondo dell’anima, col suo potere di evocare la giustizia eterna. Un giorno la dignità tor- nerà a mostrarsi. Il decoro non si andrà più a cercare tra le co- se vecchie e inutili. Parole co- me pudore, delicatezza, mode- stia, purezza, torneranno a bril- lare sul nostro capo, indicando la rotta da seguire per un’esi- stenza sottratta alle abba- glianti e false luci dello spet- tacolo, dell’esibizionismo, dell’immagine fatta idolo. Può sembrare una previsione incauta o, al più, solo una speranza salvifica. Non è co- sì. Di tempo in tempo, sulla scena dell’umanità hanno fatto la loro comparsa dege- nerazioni che hanno avvili- to epoche intere. Le società diventano instabili, le gene- razioni si avversano, uomini e donne si distruggono da sé avendo smarrito il significa- to dei loro giorni. Poi, quan- do la crisi esistenziale e socia- le tocca il fondo, la con- sapevolezza (e la compassio- ne, la condivisione della sof- ferenza da parte del Padre d’infinita Misericordia) ri- chiama il mondo a rimetter- si in cammino. Per cercare, ancora una volta, nuovi cie- li e nuove terre dove abiti la giustizia. Prima un vertice mondiale al Palazzo di Vetro, a New York, poi un altro a Copenaghen: per l’ambiente non si può proprio dire che siano mancate l’attenzione e le parole.Troppe parole, mentre le condizioni generali del “grande malato” si stanno aggravando a vista d’occhio. E i politici continuano il loro stucchevole tiro alla fune. L’ape, che è, universalmen- te, considerata una preziosa sentinella ecologica, conferma la preoccupante diagnosi. di Ulderico Bernardi* di GINO CARRARA P are che nessuno abbia per- so il sonno quando la notizia si è diffusa; pe- rò… verso la metà di dicembre il debito pubblico italiano è arrivato a quota 1.801,6 miliardi di euro; in termini semplici, ciò significa che, ogni abitante del nostro Paese, dai neonati agli ultracen- tenari (in tutto una sessantina di milioni di persone), ha addos- so un debito di circa trentamila euro. Per… addolcire la pillola, qualche commentatore ha fatto presente che una buona metà di tale somma lo Stato la deve agli italiani stessi, che hanno sottoscritto Bot, Cct e Btp. Ma la sottolineatura, all’atto pratico, ha creato ancor più sconcerto (in quanti hanno voluto occuparsene). Con il debito pubblico che si ri- trova, l’Italia sta al terzo posto nel mondo: soltanto Stati Uniti e Giappone ne hanno uno di maggiore entità. Di più: anziché attenuarsi, il nostro debito pubblico continua a sali- re. Nel gennaio del 2007 era di 1.590,7 miliardi di euro; nel gennaio del 2008 ha toccato i 1.621,4 miliardi di euro; nel 2009 abbiamo sfondato il muro dei 1.800 miliardi di euro a dicembre. Secondo gli esperti la “colpa” è della crisi economica: che determina minori entrate, mentre il fabbisogno dello Stato resta sempre notevole. Si sente parlare continuamente di “tagli”. Poi però saltano fuori dati che indicano un’accentuazione degli impegni. Tra il 2007 e il 2008, per esempio, i lavoratori occupati a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione sono cresciuti di 8.953 unità (su un totale di 3.375.331 unità). Ci sono state flessioni tra gli addetti alla pubblica istruzione e ai servizi di polizia, ma sono aumentati gli occupati nel Servizio sanitario, negli uffici regionali e degli enti autonomi locali, nelle università. Il “giro di vite” deciso nei mesi più recenti ha prodotto o produrrà qualche effetto? Si sente parlare continuamente di lotta all’evasione fiscale per avere - attraverso le tasse equamente pagate da tutti, ma proprio da tutti - maggiori mezzi da utilizzare e quindi incorrere in meno bisogni. servizio a pagina 9 Il “grande malato” si aggrava IN CERCA Nello smarrimento di molti valori… 30mila euro di debito a testa continua a pagina 2 *docente di sociologia dei processi culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia LUNARIO Modi di dire: protagonisti e feste Giuseppe Muscardini 15 AMERICA Una felicità sancita dalla Costituzione Claudio Todeschini 4 BELLA GENTE Specialista di cuore a Parigi Giuseppe Zois 5 INFANZIA Educazione alla vita e allo sport Bruni, Consoli, Del Frate 6, 8 e 9 Onnipotenti con il telefonino Regina Florio a pagina 3

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  • Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Ottobre 2007 / n. 10Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Agosto 2007 / n. 8Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Luglio 2007 / n. 7www.ofmcappuccini.umbria.it/indovino Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 53 - Febbraio 2010 / n. 2Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata.

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    Èbizzarro il mondo. Lagente affolla i merca-tini di modernariato,cercando tra le cianfrusagliedi decenni appena trascorsi“piccole cose di pessimo gu-sto”, oggetti da niente, men-tre abbandona senza pensie-ri o, appena una scrollata dispalle, parole indispensabilia una vita retta. C’è stato un tempo in cui lareputazione era blasone am-bito da ogni persona di sen-no. Una parola che racchiu-deva tesori di stima, di ap-prezzamento pubblico.Uomini e donne si conqui-stavano il credito di famiglia-ri e conoscenti con i loro at-ti quotidiani. Nell’agire e nelparlare. Affidabili: era il ter-mine che garantiva del buoncomportamento. Sempre.L’uomo, dicevano i proverbi,si pesa sulla parola e non sulportafoglio. Queste persone,presenti in ogni villaggio,erano di fatto investite dellacarica di autorità sociali. Aloro si ricorreva per consiglionella necessità, mentre veni-vano additati come esempi a

    cui ispirare la propria condotta divita. Anche se nessun diploma,né investitura istituzionale, atte-stava il loro ruolo nella comu-nità, il rispetto di cui godevanovaleva più delle “primarie” e del-le preferenze elettorali espressesulle schede. Altri tempi, di ar-retratezze economiche e di bassolivello tecnico. Ma pieni di sen-so. La ricca contemporaneità hamandato a gambe all’aria costu-mi che sono bastati per secoli asoddisfare il bisogno dei popoli diriconoscere le proprie guide.Come se tutto ciò che appartie-ne al passato coincida con l’arre-trato. Il Maligno ha conseguitoun’altra vittoria. Ma non s’illuda:fede e ragione degli uomini sa-pranno nuovamente comprende-re quanto possa essere modernis-simo l’arcaico, ciò che è custodi-to nel profondo dell’anima, colsuo potere di evocare la giustiziaeterna. Un giorno la dignità tor-nerà a mostrarsi. Il decoro nonsi andrà più a cercare tra le co-se vecchie e inutili. Parole co-me pudore, delicatezza, mode-stia, purezza, torneranno a bril-lare sul nostro capo, indicandola rotta da seguire per un’esi-

    stenza sottratta alle abba-glianti e false luci dello spet-tacolo, dell’esibizionismo,dell’immagine fatta idolo. Può sembrare una previsioneincauta o, al più, solo unasperanza salvifica. Non è co-sì. Di tempo in tempo, sullascena dell’umanità hannofatto la loro comparsa dege-nerazioni che hanno avvili-to epoche intere. Le societàdiventano instabili, le gene-razioni si avversano, uominie donne si distruggono da séavendo smarrito il significa-to dei loro giorni. Poi, quan-do la crisi esistenziale e socia-le tocca il fondo, la con-sapevolezza (e la compassio-ne, la condivisione della sof-ferenza da parte del Padred’infinita Misericordia) ri-chiama il mondo a rimetter-si in cammino. Per cercare,ancora una volta, nuovi cie-li e nuove terre dove abiti lagiustizia.

    Prima un vertice mondiale al Palazzo di Vetro, a New York, poi un altro a Copenaghen:per l’ambiente non si può proprio dire che siano mancate l’attenzione e le parole.Troppe parole, mentre le condizioni generali del “grande malato” si stanno aggravando a vista

    d’occhio. E i politici continuano il loro stucchevole tiro alla fune. L’ape, che è, universalmen-te, considerata una preziosa sentinella ecologica, conferma la preoccupante diagnosi.

    di Ulderico Bernardi*

    di GINO CARRARA

    Pare che nessuno abbia per-so il sonno quando la notizia si è diffusa; pe-rò… verso la metà di dicembre il debito pubblico italiano è arrivato a quota1.801,6 miliardi di euro; in termini semplici, ciò significache, ogni abitante del nostro Paese, dai neonati agli ultracen-tenari (in tutto una sessantina di milioni di persone), ha addos-so un debito di circa trentamilaeuro. Per… addolcire la pillola,qualche commentatore ha fattopresente che una buona metà di tale somma lo Stato la deveagli italiani stessi, che hanno sottoscritto Bot, Cct e Btp. Ma la sottolineatura, all’attopratico, ha creato ancor piùsconcerto (in quanti hanno voluto occuparsene).Con il debito pubblico che si ri-trova, l’Italia sta al terzo postonel mondo: soltanto Stati Unitie Giappone ne hanno uno di maggiore entità. Di più: anziché attenuarsi, il nostro debito pubblico continua a sali-re. Nel gennaio del 2007 era di 1.590,7 miliardi di euro; nel gennaio del 2008 ha toccatoi 1.621,4 miliardi di euro; nel2009 abbiamo sfondato il murodei 1.800 miliardi di euro a dicembre. Secondo gli esperti la“colpa” è della crisi economica:che determina minori entrate,mentre il fabbisogno dello Statoresta sempre notevole. Si senteparlare continuamente di “tagli”. Poi però saltano fuori dati che indicano un’accentuazione degli impegni.Tra il 2007 e il 2008, per esempio, i lavoratori occupati a tempo indeterminatonella pubblica amministrazionesono cresciuti di 8.953 unità(su un totale di 3.375.331unità). Ci sono state flessionitra gli addetti alla pubblica istruzione e ai servizi di polizia,ma sono aumentati gli occupatinel Servizio sanitario, negli uffici regionali e degli enti autonomi locali, nelle università.Il “giro di vite” deciso nei mesipiù recenti ha prodotto o produrrà qualche effetto? Si sente parlare continuamentedi lotta all’evasione fiscale per avere - attraverso le tasseequamente pagate da tutti, ma proprio da tutti - maggiorimezzi da utilizzare e quindi incorrere in meno bisogni.

    ➣ servizio a pagina 9

    Il “grande malato” si aggrava

    IN CERCANello smarrimento di molti valori…

    30mila euro di debitoa testa

    ➣ continua a pagina 2*docente di sociologia dei processi

    culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia

    LUNARIO

    Modi di dire:protagonistie festeGiuseppe Muscardini

    15

    AMERICA

    Una felicitàsancita dallaCostituzioneClaudio Todeschini

    4BELLA GENTE

    Specialistadi cuorea ParigiGiuseppe Zois

    5INFANZIA

    Educazionealla vitae allo sportBruni, Consoli, Del Frate

    6, 8 e 9

    Onnipotenticon il telefonino

    Regina Florio a pagina 3

  • 2 / Febbraio 2010

    ➣ dalla prima

    Sarà lo stesso avanzamento scien-tifico ad avvertirci del punto dinon ritorno. La Chiesa e il suoPastore, con la lungimiranza che è da-ta dalla visione della “vera vita”, ha for-mulato la sua analisi, che è un salvagen-te lanciato all’umanità in pericolo.Benedetto XVI, parlando di autocriti-ca necessaria per la società moderna hadetto: “Se al progresso tecnico non corri-sponde un progresso nella formazione eti-ca dell’uomo, nella crescita dell’uomo in-teriore, allora esso non è un progresso, mauna minaccia per l’uomo e per il mondo”.Giudizio, consiglio paterno ed esorta-

    zione al tempo stesso, che vale per gliumili cittadini del mondo quanto peri grandi della Terra. Come avverte an-cora la parola del Papa: “Penso che il ve-ro problema della nostra situazione stori-ca sia lo squilibrio fra la crescita incredi-bilmente rapida del nostro potere tecnico,del sapere, del know-how, e quella dellanostra capacità morale, che non è cresciu-ta in modo proporzionale”. Quantamaggiore consapevolezza avremo del-l’indispensabile armonioso rapporto frabisogni della carne e bisogni dell’ani-ma, e ci adopreremo per soddisfarli innome di tutte le creature umane, tan-to più presto risaliremo la china.

    Ulderico Bernardi

    Ma è vero che la società civile è me-glio di chi la governa? Oppure èvero il contrario e cioè, che abbia-mo i governanti che ci meritiamo? Bel dub-bio. Io oscillo, vado a periodi: in certi mo-menti prevale un’idea positiva della società,forse figlia del disprezzo che, ormai, provoper i politicanti nostrani (tutti, sia chiaro,in modo assolutamente tra-sversale), che non voglio pa-ragonare a me. In altri, rabbri-vidisco nel guardarmi attorno,e mi convinco che non pos-siamo che essere rappresenta-ti da rissosi, sgomitanti, in-consistenti uomini di potere. Adesso, per esempio, mi sem-bra d’esser circondata da per-sone, quantomeno, superficia-li e sciocche, vedo che c’è unagrande voglia di prevaricazio-ne, vedo colpi bassi tra colle-ghi di lavoro, sento cattiverie su parenti,amici (?), vicini di casa o di banco, sentofrasi che non vorrei mai udire sugli stranie-ri, sento ragazzini bulli e ragazzine carognet-te… Difetti ben rappresentati nei piani al-ti della gestione della cosa pubblica. Doveparlare di bene comune è un’utopia, ma do-

    ve, anche, provare a disegnare scenari perun futuro condiviso sembra impossibile.Avete presente i vertici mondiali (l’ultimoa Copenaghen), dove i potenti della terradevono trovare un accordo per non fare im-plodere il pianeta usurato su cui tutti loroe i loro figli vivono? Ecco, hanno una pi-stola puntata alla tempia, con un conto al-

    la rovescia giàiniziato, maun’intesa, che èuna, non la tro-vano. Fanno me-lina, un passoavanti e uno in-dietro. Giocanocol futuro prossi-mo dell’umanitàfacendosi i di-spetti, cercandovantaggi per illoro paese (fa

    niente se a scapito del resto del mondo): in-somma, un po’ bulli e un po’ razzisti. Esattamente come la società (in)civile cheli elegge. Noi siamo aggressivi? Noi siamostupidi? Noi siamo troppo concentrati sulnostro piccolo mondo personale così chenon vediamo al di là del nostro naso? Loro,

    i nostri governanti sono stupidi, pensano asalvaguardare la loro seggiola, non riesco-no a ragionare in termini più ampi del lo-ro micro-cosmo, aggredendo tutto quelloche sta fuori. Fuori, già. Ma fuori c’è anchequalcosa di positivo. Invece di guardare pro-vo a osservare: quanti volontari che, fini-to il lavoro, ricominciano ad impegnarsi per

    dare una mano ai più deboli. Centri per anziani, per stra-nieri, per drogati, per malati diogni tipo, mense… come ti gi-ri un’associazione, un gruppo,un’iniziativa. Adesso, poi, coni disoccupati che spuntano co-me funghi, si allargano leidee, le proposte, gli interven-ti. E scopri che quella carognadella collega, che in ufficio fadi tutto per metterti in catti-va luce col capo, è lì al tuofianco a dar da mangiare a un

    vecchietto non autosufficiente. C’è qualco-sa che non quadra. C’è qualcosa di più nel-la gente che incroci ogni giorno: forse dav-vero la società è più civile di chi la rappre-senta nelle stanze dei bottoni. Forse. Peròcon quella carogna di una collega, domanialla scrivania facciamo i conti.

    Emozioni oltre il finestrino di Luca Saltini

    C’è qualcosa che non quadraSOCIETÀ CIVILE E GOVERNANTI di Diletta Rocca

    IN CERCA

    Spostandomi in treno tra due grandi città,mi è capitato di vedere, oltre il finestri-no dello scompartimento, dove ero sedu-to, un grande parcheggio vuoto. Era una vastadistesa di asfalto, con gli spazi per le auto bendelimitati da strisce bianche dipinte di fresco,con i cordoli dei marciapiedi perfettamente al-lineati, i paletti della segnaletica di color giallolucido. Tutto intorno, non si vedeva assoluta-mente nulla, nessuna casa, nessuna baracca,nessun segno che facesse pensare ad una pre-senza umana nelle immediate vicinanze, soltan-to prati incapaci di liberarsi dall’umidità dellanotte. Nel parcheggio non c’era neppure unamacchina, non un motorino o una biciclettadentro le rastrelliere vuote. Mi sembrava disentire arrivare l’onda di quello squallore, co-me se si lanciasse contro il treno e si frangessesul vetro oltre il quale la stavo guardando, col-pendomi con i suoi spruzzi freddi. Al centro

    dell’area asfaltata, c’era una costruzione bas-sa, col tetto piatto, una porta di metallo e unaparete giallina rivolta verso i binari, sulla qua-le, con lettere d’argento, qualcuno aveva scrit-to “Ceci ti amo. Ceci sei mitica”. Erano i pensieri di un ragazzo, un ragazzo in-namorato, il proprietario di uno di quei moto-rini assenti dal parcheggio vuoto. Forse eraarrivato di sera, magari con un amico, ave-va aperto uno zaino, aveva estratto alcunebombolette spray con cui aveva fissato il suomessaggio. Quanto l’avrà guardato prima diandarsene, immaginando la sua Ceci che l’a-vrebbe visto il giorno dopo, passando sul tre-no, oppure accompagnata da lui, quasi percaso, in quel parcheggio dove avrebbe letto ilsuo amore per lei? La ragazza forse avrà gioi-to, avrà sussultato per un tuffo al cuore, for-se sarà saltata al collo del suo innamorato,abbracciandolo, correndo in un luogo dove

    stare sola con lui; forse avrà portato delle ami-che a contemplare quella scritta e loro si sa-ranno compiaciute, magari l’avranno invidia-ta, perché il loro ragazzo non aveva saputotrovare un gesto altrettanto significativo. Tut-ti se ne saranno tornati a casa felici, mentrel’amore di quel ragazzo continuava a dichiarar-si in lettere d’argento. Il treno si è allontanato in fretta, quasi infa-stidito dal nonsenso di quel luogo preparatoper accogliere una folla di viaggiatori che nonsarebbero mai arrivati. Mi era rimasto ad-dosso però un certo disagio, il peso di quellosquallore e il suo stridere con il messaggio d’a-more lanciato dal ragazzo. Mi sono appog-giato allo schienale del sedile, pensando che,forse, non esisteva più un vero contrasto eanche il sentimento espresso in lettere d’ar-gento, in quel luogo, finiva per scompariresotto la stessa cappa di inutilità.

    Pensieri scritti sui muri

    Parlare di bene comunesembra un’utopia

    con una classe politica(tutta) che pare più incline a considerare e coltivare i propri interessi. E però…

    Tra le cause del diffuso di-sagio esistenziale dellenuove generazioni, c’èsenz’altro, il “mal di scuola”: simanifesta con la noia degli stu-denti, che a sua volta producedepressione, aggressività, bulli-smo, senso di fallimento, abban-dono precoce dei percorsi scola-stici da parte dei ragazzi.Che si tratti dell’inevitabile de-clino di un sistema scolastico se-colare? È indubbiamente veroche, sistemi scolastici pensati peruna società agraria, poi indu-striale, poi industriale avanzatanon possono più rispondere al-le domande delle presenti gene-razioni. Ma, è anche vero che,non solo di questo si tratta: pa-re di scorgere anche i sintomi diuna malattia più profonda, cheinveste tutta la civiltà occiden-tale e che va ricondotta allamancanza di valori sicuri, che hafatto seguito al venir meno del-le tradizioni religiose, ideologi-che e morali. Un disorientamen-to generale in ordine ai valori dacustodire e da trasmettere. E,quest’insicurezza nell’orienta-mento verso i valori non puòche comportare altrettanta insi-curezza anche nell’educazione. Aciò si aggiunge, per il mondo del-la scuola, anche la confusa per-cezione, da parte di molti docen-ti, di un mutamento antropolo-gico in atto da tempo nelle nuo-ve generazioni, come se le strut-ture e i meccanismi mentali, itempi e i modi della conoscen-za e dell’apprendimento - nondimentichiamo che compitodella scuola è quello di educareattraverso la trasmissione dellacultura - fossero cambiati al pun-to da diventare ingovernabili daparte di chi ha il dovere di in-segnare, rappresentando un osta-colo contro cui sono destinate acozzare, impotenti, anche la mi-gliore buona volontà e la migliorpassione pedagogica. Occoreaprire strade nuove e avviarenuovi percorsi. Anzi, è necessa-rio, perché se la catena pedago-gica tra le generazioni si inter-rompe, il risultato inevitabile èla decadenza di una civiltà.

    Alfabeto dell’educare:

    la scuola

    Poi, se ci guardiamo attorno, scopriamo

    che c’è una realtà viva e incoraggiante:

    il volontariato è fiorente,nonostante tutto,nel nostro Paese

    Frate Indovino - PerugiaPeriodico mensile di cultura popolare e religiosa della Provincia Umbra dei Frati Minori Cappuccini.Direttore responsabile: Mario Collarini. Direttore tecnico-amministrativo: Tarcisio Calvitti. RegistrazioneTribunale di Perugia n. 257 - 58 N. 11 B. Prov. T.I. 1-7-’58. Spedizione in abbonamento postale artico-lo 2 comma 20/c legge 662/96 - filiale di Perugia. Conto corr. postale 4069 intestato a: “Frate Indovino” - Via Marco Polo, 1 bis - Casella Postale - 06125 Perugia.

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    Stampa: Grafiche Diemme S.r.l. - Bastia Umbra (PG)

  • 3 / Febbraio 2010

    Come tutti gli oggetti della tecnologiapiù recente – il televisore, il com-puter, videogames, internet, i cellu-lari – vengono guardati dai più con un at-teggiamento di fiduciosa accettazione: nonsi capisce bene come funzionano, ma sonotalmente meravigliosi e affascinanti che licompriamo e li regaliamo come beni pre-ziosi. Sarà che sono complicati e quindi in-cutono un sacro rispetto, sarà che sono mo-derni, e se non sei moderno sei “tagliato fuo-ri”, sarà che sembra che non ne puoi più fa-re a meno, davanti ad un pc, ad un cellula-re o un televisore al plasma, così mansueti escintillanti non ci facciamo troppi proble-mi. Compriamo e basta.Certo, c’è ancora qualche barbuto censoreche ci tuona dietro (quelli che mangianobiologico, per intenderci), c’è ancora qual-che “strano” che non ha neppure il televi-sore (ma come fa? Mah…), ma ormai, la tec-nologia avanzata fa parte della nostra vita.

    Eppure, come i medicinali che vanno testa-ti a lungo prima di osservarne le controin-dicazioni, anche queste meraviglie della mo-dernità andrebbero accolte con cautela, do-po un congruo studio, con una maggioreconsapevolezza rispetto a quando ci si im-barca nell’acquisto di un frigorifero.Una piccola indagine (su internet, natural-mente) e la mia stessa esperienza di mam-ma, mi hanno fatto capire che, per quantoriguarda questi strumenti, sappiamo troppoper portarceli a casa con la leggerezza del “chemale c’è?”. Dobbiamo essere ben consape-voli di cosa offriamo ai nostri bambini pernon dovercene pentire, amaramente, nondico domani, ma questo pomeriggio. La tec-nologia è fantastica, ma non va sottovalu-tata. E il mercato non si fa troppi scrupoli,nemmeno davanti ai bambini.Partiremo dal cellulare, per passare ad inter-net e ai videogames. Il mondo dei nostri ra-gazzi, da cui spesso ci autoescludiamo per-

    ché “non ci capiamo niente”. A noi genitoridel 2010 è richiesta anche questa fatica, sta-re al passo con i nostri figli e scoprire cosac’è dietro il mite aspetto di un monitor.Qualche anno fa, in Inghilterra, era uscitoun cellulare per bambini, MYMO, che l’an-no dopo era stato ritirato dal commercio, inGran Bretagna prima e in Francia dopo.Perché? Era a portata di bimbo, con gli or-setti al posto dei numeri, poteva essere uti-lizzato nelle emergenze, e diventava un ma-gnifico regalo di Natale, per parlare al cel-lulare come fa il papà. Ma non c’era scrittosulla confezione che le onde magneticheemesse da un cellulare provocano gravi al-terazioni all’attività cerebrale del bambino,che ha un cervello ancora in formazione, co-sì forti e profonde da durare per almeno un’o-ra. E che i bambini che utilizzano, abitual-mente, il cellulare sono cinque volte piùesposti al rischio di tumore al cervello rispet-to ai compagni “tagliati fuori”.

    ONNIPOTENTIcon il telefonino

    Bambini cinque volte più a rischio“

    QUANDO SI TRATTA DI ACQUISTARE UN CELLULARE AI FIGLI

    Ora che hanno, praticamente,eliminato ogni telefono pubbli-co e, quando ti imbatti in unacabina telefonica, per chiamare c’è bi-sogno della tessera che, naturalmente,non hai e che dovresti comprare dal ta-baccaio, che naturalmente, è chiuso, op-pure, a chilometri di distanza, il cellu-lare è diventato obbligatorio. Quando siesce, insieme alle scarpe, è meglio aver-lo con sé: per chiamare il taxi e l’ambu-lanza, per avvisare l’ufficio dell’ingorgomattutino, per essere avvisati in caso dimalessere dei figli a scuola, insomma, peressere, comunque, rintracciabili o poter-si togliere dagli impicci. Sul cellulare tiraggiungono clienti e fornitori, se aspet-ti l’idraulico è meglio tenerlo a portatadi mano: quando chiama, 5 minuti pri-ma di arrivarti a casa, bisogna volare.

    Il cellulare è utile e c’è poco da dire, or-mai la vita va così. Ma che quello stesso aggeggio sia effet-tivamente utile ai nostri bambini è an-cora tutto da dimostrare. Scrive un ano-nimo “Italiano” su un sito di telefonia:“…non sono convinto… a quell’età unbambino dove deve andare? I genitori do-vrebbero essere con lui…”.A scuola il cellulare dovrebbe essere inu-tile, per ogni comunicazione importan-te c’è la maestra, nel tragitto anche, da-to che ormai sono rarissimi i bambini sot-to i dieci anni che si muovono da soli,spaventati come siamo da mille perico-li metropolitani.Con gli amici dovrebbe essere parimen-ti inutile: se vanno a casa loro avrannopure un fisso su cui fare riferimento, ba-sta dire alla mamma vado dal tale o dal

    suo amico… Se sono fuori, sono certa-mente a qualche corso, quindi formal-mente “al sicuro”, quindi non gli serve:al massimo la mamma li può avvisare chesta arrivando in ritardo…E allora a cosa serve ad un bambino di9, 10 anni? A nulla, se non a poter di-re “anch’io ho il cellulare” oppure “il mioè più bello del tuo, ha più suonerie, me-gabyte e giochini”. Insomma, a essereuguale agli altri oppure, come direbbeOrwell, più uguale degli altri.È importante spiegare e far capire ai bam-bini il perché di un sì o di un no, adesempio che la diversità (che i compa-gni dovrebbero imparare a rispettare) puòessere motivo di orgoglio, perché segna-la il fatto che si sa pensare con la pro-pria testa, non quella del gruppo… altroche “perché ce l’hanno tutti”…

    Ma non perché ce l’HANNO TUTTI

    Indagini recenti ci informa-no che l’84% dei bambinitra gli 8 e i 15 anni possiedeun telefonino (erano circa il50% due anni fa), per la metàdei casi un regalo che arriva in-torno ai 9/10 anni. E così il cel-lulare, un oggetto sconosciutofino a pochi lustri fa, è diven-tato un aggeggio di uso genera-le, come lo zainetto e la bici-cletta, la biro e la lavatrice. Ma,mentre ci è ormai difficile ri-nunciare a queste due ultime,innocenti, meraviglie della mo-dernità, il cellulare è davveroutile per i nostri bambini? Equanto innocente?In una puntata di un popola-re sceneggiato televisivo, ilprotagonista, nonno Libero,interpretato da Lino Banfi,combatteva tutta la duratadella trasmissione contro la ni-potina, all’incirca undicenne,che chiedeva il cellulare, co-me una volta i quattordicenniimploravano il motorino. “Mace l’hanno tutti” era il lamen-toso ritornello intonato dallanipote e dall’esercito di com-plici, tutti ad accusare il pove-ro nonno di essere un repertoarcheologico, poco aperto al-la modernità dei tempi checambiano. Persino la nonna, lamoglie del nonno, si accaniva:“poverina, non vorrai che sia l’u-nica della sua classe a non aver-lo….”. Perché il nonno si op-ponesse non si è saputo, ma al-la fine l’ha spuntata la ragaz-zina, con la nonna che le ac-quista un cellulare supermo-derno con tanto di video, fo-tocamera incorporata e cento-cinquanta suonerie.Ho resistito fino alla finedello sceneggiato a fatica, mami sembrava importante capi-re come la televisione inten-deva affrontare la questione“cellulare ai figli” (e ai nipoti).Già, è uno degli argomentipiù vivaci tra noi madri fuo-ri dalle scuole, mi sembravautile sapere cosa dicevaMamma Rai in proposito.Purtroppo, il vuoto della suarisposta non mi ha davveromesso di buon umore.

    di REGINA FLORIO

    Ci possono essere an-che altre ragioni chespingono a compera-re un cellulare ai bambini,quelle che le aziende produt-trici sbandierano quando pro-pongono assurdi telefonini aforma di orsetto, con appena4 numeri, sistema di prote-zioni contro immagini inde-siderate, con cui è possibilesapere sempre con chi parlao messaggia tuo figlio, maga-ri con microcamera incorpo-rata, per potere vedere dovesi trova e cosa fa: il controlloe la sicurezza. Va bene che i genitori sonoun po’ ansiosi, ultimamente,va bene che con il fatto diavere un figlio unico moltipapà e mamma vivono nel-l’angoscia di vederselo por-tare via, va bene che io di fi-gli ne ho 4 e forse sono unpo’ meno preoccupata manon penso proprio che un ge-nitore possa credere davverodi avere il controllo sui figlicon un cellulare. Pronto, dove sei? Sto arri-vando. E invece è in centroa mangiarsi un gelato: micate lo dice… e poi, cosa devocontrollare, di un bambinodi nove anni? Il problema sipone, semmai, quando il ra-gazzino si fa più grande, macosa ci vuole a disinserire uncellulare? Non è con un si-stema di sorveglianza polizie-sca continua, 24 ore su 24,che i genitori e gli educato-ri possono maturare la sicu-rezza di tenere sotto control-lo i bambini e i ragazzi. C’èun discorso più in profonditàche va fatto: quello della sin-cerità. Ma qui entriamo inun campo molto più vasto edesteso che è quello dell’edu-cazione, con tutti gli aspettiche presenta.

    Non funzionacome mezzodi sorveglianza

  • 4 / Febbraio 2010

    Una delle domande che,spesso, ci si pone è, checosa, nella vita di tuttii giorni, abbia il potere di ren-derci felici, di farci sorridere,anche quando tutto sembra an-dare per il verso sbagliato e dimotivarci a continuare nono-stante i mille problemi che ciassillano. Viaggiando per ilmondo, mi sono, spesso, chie-sto se esista una risposta a que-sta domanda che possa avere unvalore universale o, per dirla inaltri termini, se ciò che rendefelice un italiano possa essere lostesso per un americano. Laconclusione a cui sono giuntoè che, quando si parla di felicità,spesso si finisce per entrare nel-la sfera personale dei singoli in-dividui. Ogni persona, per na-tura ed esperienze passate, hauna differente visione della vi-ta ed è, spesso, difficile genera-lizzare anche se è possibileidentificare comportamenticomuni che possono essere as-sociati al comportamento di unpopolo.

    Facendo un po’ di ricerchestoriche, ho scoperto che ilconcetto di felicità, happi-ness come si dice in inglese, fe-ce la sua comparsa già nel mo-mento della nascita degli StatiUniti d’America. Nella Dichia-razione di Indipendenza Ame-ricana, così come scritta daThomas Jefferson, sono elenca-ti i diritti inalienabili dell’uomo:la tutela della vita, della libertàe la ricerca della felicità. Ciò te-stimonia l’importanza che ven-ne data, fin dall’inizio, a questoprincipio. Un fatto curioso èche, secondo alcuni studiosi, il“diritto alla felicità” venne sugge-rito a Jefferson dall’amico Filip-po Mazzei, un filosofo italiano

    che partecipò attivamente allaguerra d’indipendenza america-na. Questa affermazione, nei se-coli, ha segnato la strada di mi-lioni di persone che, arrivate co-me emigranti in questo immen-so Paese, hanno ricercato e ri-vendicato il diritto alla felicitàin tutti i modi possibili, spesso,attraverso il duro lavoro e conspirito di avventura ed, in alcu-ni casi, anche avidamente, attra-verso l’uso delle armi ed a disca-pito di altri popoli come gli in-

    diani d’America, i quali venne-ro privati delle terre sulle qualivivevano. I primi pionieri ven-nero in America alla ricerca diuna terra su cui costruire la pro-pria casa e prosperare, allevandobestiame e coltivando mais nel-le immense praterie americane.La migrazione verso il “nuovomondo” fu resa attraente dal so-gno di poter vivere in uno statodemocratico, in cui tutti potes-sero realizzare le loro aspettativee trovare la propria strada verso

    il successo. Le risorse naturali, dicui sono ricchi gli USA, reseroin qualche modo più facile l’im-presa. I celebri cercatori d’oro ac-corsero da tutte le parti delmondo alla ricerca della ricchez-za del Far West, sepolta nel sot-tosuolo della California ed inAlaska. Il famoso “gold rush”, lacorsa all’oro e alla felicità, deri-vante dalla ricchezza immediatache una pepita poteva dare al for-tunato cercatore, fanno partedella storia degli USA.

    DAI CERCATORI DI PEPITE ALL’ORO NEROFinito l’oro, un’altra corsa pre-se piede negli Stati Uniti: lacorsa al petrolio, l’oro nero delventesimo secolo del qualesono ricchi alcuni stati comeil Texas, la Luisiana, laCalifornia e l’Alaska. La sto-ria dell’America è piena diesempi di come la felicità ven-ga spesso associata al concet-to di ricchezza facile e veloce,l’American Dream di millionidi immigrati, arrivati senzanulla in questo Paese e soste-nuti solo dalla speranza di po-ter un giorno vedere i figli vi-vere una vita di prosperità.Ma, se tanta enfasi viene da-ta a questo concetto, è impor-tante anche capire il significa-to e le varie declinazioni chetale parola ha oggi per il popo-lo americano. Digitando su in-ternet la parola “happiness”(felicità) appaiono link che ri-mandano ai moderni sogni diricchezza come i facili guada-gni nel mercato borsistico, lapossibilità di accendere unmutuo per l’acquisto della ca-sa o un nuovo modello di au-tomobile, oppure ancora, of-ferte per nuove opportunità dilavoro con interessanti possi-bilità di carriera… Insomma,se riteniamo che internet ri-specchi lo spirito della societàamericana, appare evidenteche il concetto di felicità cor-risponda in realtà al concet-to di ricchezza e di consumi-smo, un concetto tangibile,equivalente a qualcosa che sipossa facilmente quantificare.

    da San Francisco, CLAUDIO TODESCHINI

    Un recente film diretto da un regi-sta italiano, “La ricerca della fe-licità” con Will Smith come inter-prete principale, cerca di dare una moder-na interpretazione alla famosa frase con-tenuta nella Dichiarazione di Indipen-denza. Il film si ispira ad una storia real-mente accaduta: quella di Chris Gardner,imprenditore, oggi milionario, che duran-te i primi anni Ottanta, visse giorni di in-tensa povertà, con un figlio a carico e sen-za una casa dove poterlo crescere. Il filmfornisce un ideale spaccato della societàamericana, nella quale, il successo perso-nale è visto come il traguardo più impor-tante da raggiungere nel corso della propriavita, a costo di dover sacrificare a questoogni cosa, inclusi famiglia, amici ed idea-li. Nonostante il concetto venga estremiz-zato nella trama del film, è possibile tro-vare riscontri nella vita di tutti i giorni, incui, spesso per un americano “essere fe-lice” sia sinonimo di avere successo: suc-cesso nel lavoro, successo negli investimen-

    ti, nella vita sociale e così via. Un succes-so tanto plateale che, spesso, si riduce a po-co di più che superficialità e materialità.

    Esistono, comunque, delle eccezioni al-le generalizzazioni. Tra una birra edun hamburger, ho posto la questionea Joe, un amico americano. A parte l’ini-ziale sorpresa per l’insolita domanda, la ri-sposta che è seguita mi ha offerto uno spac-cato di vita americana che difficilmente avreiscoperto facendo delle ricerche su internet.Per Joe la felicità non è altro che passare unagiornata in compagnia dei propri figli cer-cando di riparare la vecchia automobile par-cheggiata nel garage, smontare e rimonta-re i vari pezzi del motore e rimuovere la rug-gine dalla carrozzeria... L’importante, allafine, non è il fatto di riparare l’auto ma èla gioia di stare assieme, in famiglia, lavo-rando come un team verso un comune obiet-tivo. E quando la vecchia macchina alla fi-ne si mette in moto, quella sì è la più gran-de felicità! Secondo Joe questo è qualcosache si è perso nella mentalità moderna del-

    la società americana. Tutti vogliono com-prare un prodotto finito, acquistare servizie lamentarsi se il risultato non corrispondea quanto desiderato. Nessuno, oggi giorno,vuole più sporcarsi le mani e cercare di ri-solvere i problemi da sé. Joe dice che, se-condo lui, la società americana ha perso lasua indipendenza, non è più in grado diprovvedere da sé al soddisfacimento dei pro-pri bisogni e questo causa infelicità. Gli StatiUniti d’America hanno basato il propriosuccesso sull’indipendenza ed il fatto di do-ver dipendere da altri per soddisfare i pro-pri bisogni può creare delle frustrazioni.Continuando nella conversazione, Joe mi di-ce che, secondo lui, la gente, in generale,investe troppe risorse per cercare di esserefelice. Non ci si accontenta mai e si cercain continuazione di raggiungere un livello dimaggiore felicità. Questo continuo cercareporta a non essere mai soddisfatti di ciò chesi ha, creando ansie ed insoddisfazione e fi-nendo per distrarre da quelle che sono le co-se veramente importanti della vita.

    Il sogno di smontare un’auto in garage

    In America, il sogno di tutti è garantito dalla Costituzione. Ma la realtà del vivere è molto diversa dalle enunciazioni considerate

    nella Dichiarazione di Jefferson. Le diverse stagioni della corsa alla felicità

  • 5 / Febbraio 2010

    D’inverno faceva anche il medi-co sulle piste di sci.“Sentivo che mi avvicinavo semprepiù alla chirurgia toracica, che micoinvolgeva molto. C’era un chi-rurgo toracico all’avanguardia,Stefano Mazzari, che Pavia non hasaputo valorizzare. Storie antiche.Mi disse che se volevo fare la chi-rurgia toracica non potevo restarea Pavia, ma avrei dovuto prende-re la strada dell’estero; se vuoi ri-muovere la paura, ti tocca primaconoscere la cardiochirurgia. Fu de-cisivo per me”.All’inizio del 1997 ecco Susan-na Salvi giungere a Parigi, come“specializzanda” in una clinica,carica di motivazioni, di vogliadi fare, di curiosità, ma anchecon comprensibili insicurezze, apartire dalla lingua: non cono-sceva una parola di francese. Sono passati 13 anni dall’impat-

    to parigino di Susanna, che s’èdovuta arrangiare con il france-se. Facile tutto sommato parlar-lo, ma un medico in carriera do-veva anche scrivere. Prezio-sissima l’amicizia con una profes-soressa di francese che il sabatoe alla domenica la immergevanegli articoli e nei commenti del“Nouvel Observateur”. Lì, inquelle colonne di piombo, hasciacquato i suoi panni, mante-nendo, però, un inconfondibileaccento italiano e ancor più ber-gamasco. Voleva arrivare ad unalingua parlata e scritta sciolta, aduna dialettica corretta. “In chi-rurgia è di una semplicità sconcer-tante imparare a chiedere un bistu-ri, una pinza, una forbice. Il lin-guaggio professionale è immediato,lo assumi in un attimo”.“Devo proprio dire grazie a quelmio professore che mi indirizzò suParigi. A Pavia, con cui restavo incontatto, c’era una moltitudine dimiei compagni che cercavano unposto per entrare in sala operato-ria, per fare esperienza. Mi raffor-zavo nel convincimento che c’era-no ragioni crescenti perché restas-si a Parigi e motivi sempre più te-nui per un ritorno in Italia. Al mat-tino, nella clinica della mia specia-lizzazione, c’era l’infermiera che ar-rivava con tutti i parametri di unmalato, il polso, la pressione, latemperatura, l’andamento nottur-no, i trattamenti erano già fatti egli esami richiesti già inviati.Quand’ero a Pavia, noi dovevamoentrare in ospedale alle 8 per assol-vere le diverse pratiche: tutto ser-ve, ma in Francia noi si veniva por-tati in sala operatoria ed educati adun modo lavorativo autonomo”.

    Dal Resegonealla Senna

    Una vita protetta fino a 27 anni,poi salto nel buio, in una grandemetropoli, dove però - fa rilevareSusanna - “è facile adattarsi. Mi piace-vano l’anonimato e la solitudine, nonsubita, che mi offriva la grande città.Nella solitudine si è enormemente pro-duttivi. Nessun senso di angoscia. Vi-vevo quel momento come un nuovopunto di partenza e riuscii a trovare leforze. In dieci giorni ebbi una cameradentro l’ospedale, dove mettere le va-ligie e cominciare la mia avventura”.Parole di gratitudine per l’incoraggiamen-to e la vicinanza della famiglia, due fratel-li e soprattutto i genitori, Giuliana e Fe-dele: “Papà e mamma non mi hannomai impedito alcuna scelta, anzi mihanno dato grande libertà. Se non aves-si queste radici, nel mio paese, forse Pa-rigi mi farebbe più paura. È inconscio,ma sai che un paese e una famiglia cisono. Ho pensato spesso a qual è la ba-se di una certa serenità e la risposta ènelle nostre radici”. Chissà dove la vitaporterà Susanna. Forse resterà in Fran-cia, forse tornerà in Italia o andrà più lon-tano, magari oltreoceano. “Sono sempreaperta a tutto ciò che può succedere”.Poi il discorso torna sulla cardiochirurgia,“una specialità in cui si procede per tap-pe. Già essere autonomi nella prima fa-se, quella della preparazione, è un buonrisultato. La maggior parte degli inter-venti di cardiochirurgia si svolge a cuo-re assistito o arrestato, quindi con l’aiu-to della circolazione extracorporea. Si

    tratta di un’assistenza meccanica, graziealla quale il sangue del paziente è devia-to, ossigenato. La macchina, oltre ad es-sere un ossigenatore, ripompa il sanguenell’organismo e funziona quindi dapompa e da cuore. Si tratta di un per-corso sostitutivo di cuore e di polmone”.Il primo giorno in cui Susanna arrivò in sa-la operatoria, il chirurgo che doveva interve-nire le chiese di prelevare la vena safena,che è un gesto semplice, senza complicazio-ni. Imbarazzo. “In Italia non avevo maipreso in mano il bisturi e questo mi pas-sava il bisturi con l’impegnativa conse-gna. Risposi che non l’avevo mai fattoed egli con pazienza mi mostrò come.Dopo 4 anni, quando cominciai a lavo-rare in clinica, riuscivo a disimpegnar-mi da sola in totale autonomia. Semmai,furono le prime urgenze ad essere moti-vo di stress e di preoccupazione. Ora, miritrovo ad avere gli occhi sul monitor,sull’anestesia, sulla macchina della cir-colazione extracorporea. Tutto è statoprogressivo, anche se agli inizi mi sonosentita spesso alienata, con le mie diffi-coltà nel comprendere la lingua. Avevosotto i miei occhi un cuore, pieno di can-nucce e noi invasivi nel punto più deli-cato della vita umana. Poi però si fami-liarizza anche con questa dimensione”.

    Adesso è chirurgo senior all’ospedaleeuropeo “Georges Pompidou” diParigi. La ruota gira veloce e le toc-ca ridistribuire l’esperienza ricevuta aiu-tando le nuove leve. “Un buon interven-to è il risultato di una buona decisione”.

    Recentemente, le è toccato in-tervenire su una donna chepresentava una trombosi estesadell’aorta con rischio di morte immi-nente ad ogni livello. “Avevo davantia me un bel viso di donna, di 43 anni,due occhi blu. La decisione non è faci-le, andiamo in letteratura, un caso clini-co molto complesso. C’è poco tempo,consulto allargato fra noi, poi, irrompein questa situazione convulsa anche ilmarito, che il giorno prima aveva co-municato alla moglie la sua intenzionedi lasciarla, provocando poi il tentati-vo di suicidio. Costui si informa sul qua-dro clinico e su chi opera e, quando sache sarò io, reagisce aspro, vuole che siail miglior cardiochirurgo, pretende disapere che cosa ho fatto. Cerco di spie-gare che non è un problema di tecnicachirurgica. Il tiro alla fune si protrae perdieci minuti, fino a quando decido diprocedere, perché non c’è tempo da per-dere, e ciascuno deve assumersi le pro-prie responsabilità. Tutto è andato be-ne e di lì a qualche giorno ricevo ungran bouquet di fiori, bottiglie di cham-pagne e un grazie pieno di gratitudine”.Susanna riconosce che le difficoltà sono co-stanti ma “in questi anni di solitudineho capito che quando arrivi al bivio diuna decisione, devi stabilire se questaè coerente con la coscienza o no.Quando poi si entra in sala operatoria,la tensione è tale che non si pensa adaltro che alla vita della persona che ab-biamo tra le mani”.

    “Quando hai tra le mani una vita”

    GIUSEPPE ZOIS

    Susanna Salvi, una cardiochirurga in carriera al “Pompidou”di Parigi.È andata in Francia per “fare la specialità” e si è affermata

    Ha 39 anni e da 13 è approdata sulle rive della Senna. Glistudi a Pavia, poi il salto nella capitale, da sola, senzaconoscere una sola parola di francese, ma una graniti-ca determinazione. Era incerta tra sport ad alto livello o bistu-ri. La sala operatoria, le difficoltà, le decisioni delicate da pren-dere, il posto della coscienza quando si ha tra le mani una vita.

    Sì, Parigi val bene unaMessa, forse anche nelXXI secolo, ma oggi la“Ville Lumière” richiama e illu-mina con il suo antico prestigioil sogno di brillanti carriere perle nuove generazioni. Dal vec-chio continente sono molti i gio-vani che approdano sulle rivedella Senna per orientare il lo-ro domani. E un certo giorno, dopo i dubbiche popolano sempre la mentequando si tratta di fare un certopasso, dall’ombra del manzonia-no Resegone, è partita con unavaligia carica di speranze una ra-gazza, motivata a sostanziare dipratica la sua grammatica uni-versitaria di medicina. Si sa co-me vanno le cose in Italia perchi cerca di perfezionarsi, di sta-re con i piedi nel presente, macon la mente e le mani proiet-tate nel domani, attente a tuttociò che una scienza e una tecno-logia galoppanti portano dentrole sale operatorie. ChristiaanBarnard con il suo primo tra-pianto di cuore del 1966 a Cit-tà del Capo, fece varcare all’u-manità una frontiera mai supe-rata, aprendo prospettive inedi-te e orizzonti di vita mai visti pri-ma di allora. Da allora si sonofatte conquiste impensabili e al-l’uomo riescono miracoli.Susanna Salvi è nata quattro an-ni dopo il primo prodigio diBarnard: è del 1970, originariadi una valle - la “Imagna” - chel’abate Stoppani ha consideratoin lungo e in largo nel suo “Il BelPaese”, definendola una conca dismeraldo, paradiso del naturali-sta. Dopo il liceo al Sarpi di Ber-gamo, che è un autorevole la-sciapassare per qualsiasi sboccoin virtù della sua riconosciuta se-verità selettiva, la ragazza lasciacasa e provincia e frequenta me-dicina a Pavia, nel 1989. Ritmisostenuti, ma tempra di razza,che non molla per nessuna ra-gione, non si fa sconti sugliobiettivi da raggiungere. “Non ho mai rinunciato a niente,neppure negli anni duri del liceo,che per noi delle valli era doppia-mente crumiro. E infatti doveva-mo partire in corriera alle 6 delmattino e rientrare alle 15, concompiti in quantità industriale, maho sempre avuto molti amici, pra-ticato parecchi sport”.Due idee fisse in testa. A Susan-na sarebbe piaciuto avere unacarriera sportiva, beninteso, adalto livello, sorretta anche da unbuon fisico, oppure la medicina.Ha optato per il bisturi, conqualche rimpianto, ma il puntodi congiunzione tra i due mon-di era evidente: il corpo umano.Percorso universitario con i cri-smi della brillantezza e poi, unavolta conseguito il classico “pez-zo di carta”, nel 1995, la sfida ri-corrente del lavoro da una par-te e dell’andare avanti dall’altra.Dopo la laurea, c’erano sei me-si di tirocinio obbligatorio primadell’iscrizione a qualsiasi sboccosuccessivo. Susanna ha provatoa conciliare l’inconciliabile, sta-re a casa, lavorare per quel cheera possibile, fare la specialità.Spola quotidiana tra l’ambulato-rio al suo paese e il reparto dichirurgia ai Riuniti di Bergamo.

  • 6 / Febbraio 2010

    Quello appena trascorso èstato il 20° anniversariodella Convenzione suiDiritti dell’Infanzia e dell’Adole-scenza, l’accordo di massima cheera stato firmato da circa 200 na-zioni nel 1989 e sul quale hannofondato la loro azione tante bene-merite organizzazioni mondiali co-me l’UNICEF e la FAO.L’anniversario è stato ricordatocon manifestazioni ed eventi variun po’ dovunque, anche in Italia,e, ovviamente, si è parlato moltodi diritti negati, in particolare deldiritto al cibo, all’acqua, all’assi-stenza sanitaria, alla scuola, aquel minimo, cioè, di condizioninecessarie, ad un’esistenza digni-tosa che, ancora troppo spesso, neiPaesi più poveri del mondo, ven-gono sistematicamente negate.Tuttavia, anche nelle società del-l’occidente opulento, ci sono an-cora troppi diritti che vengono ne-gati ai bambini: li ha stilati, in unaspecie di decalogo, un illustre psi-cologo pedagogista, GianfrancoZavalloni, sui cui testi, pieni di

    Alla giovane coppia di ni-poti, in trepida attesa delprimo figlio, la mia anzia-na vicina ha regalato un pc por-tatile. “Così finiscono di arredare lacameretta che hanno preparato alpiccolo - mi ha spiegato - sai, og-gi come oggi, i bambini comincia-no presto a familiarizzare con la tec-nologia…”. L’idea di un computer, come pri-mo regalo ad un “cucciolo d’uo-mo”, mi ha lasciato perplessa emeditabonda. Anche perché, èdi pochi mesi fa, il rapporto del-la Commissione Europea sullostato dell’istruzione, un rappor-to che, rilevando il peggioramen-to della capacità di lettura deiquindicenni europei, dice cheuno su quattro di loro fa fatica aleggere. Il che si-gnifica che fa fati-ca non solo a de-cifrare i segni gra-fici, ma che nonriesce e non può,di conseguenza,capire il mondoche lo circonda,come l’organizza-zione dello Statoin cui vive, l’eco-nomia, la scienza;per non parlaredei tanti piaceridello spirito di cuisi priva, e cioè letante gioie dellaletteratura e dell’arte. Ma, il rap-porto della Commissione euro-pea parla, anche, di difficoltà acapire il bilancio di un condomi-nio, i contenuti di un articolo digiornale, le notizie di un telegior-nale, le idee e le opinioni espres-se nel contesto di un dibattito te-levisivo… Certo, non è dettoche, chi non sa leggere non pos-sa godere di tante altre cose bel-le della vita, come i piaceri del-la buona tavola, dell’amicizia,dello sport; ma, è indubbio che,la loro vita risulta limitata dal-

    la mancanza di quello strumen-to culturale formidabile che è lalettura e che mette le persone ingrado di inserirsi meglio nella so-cietà e di gustare un’infinità dicose belle. In un mondo che ri-chiede, sempre di più, idee nuo-ve, conoscenza e fantasia, insom-ma, i non-leggenti rischiano diessere “tagliati fuori”, incapacianche di far valere il propriopensiero e le proprie ragioni.L’autorevole Commissione, rile-vando questo dato preoccupan-te, ha suggerito, ovviamente, an-che i possibili rimedi, richiaman-do tutti gli Stati membridell’Unione Europea ad investi-re di più nella scuola e nell’uni-versità, nelle biblioteche pubbli-che e in quelle scolastiche, nel-

    l’editoria dei libri edei giornali.Ma, di fronte all’i-dea della giovanecoppia che nell’ar-redamento dellacameretta del na-scituro include an-che il computer, ame è venuto dapensare che il pri-mo rimedio, comeal solito, tocche-rebbe alle famigliepiù che ai vari go-verni: per esem-pio, i novelli geni-tori - e i loro pa-

    renti e i loro amici - potrebbe-ro pensare, più che al computer,ad una bella libreria da riempi-re a poco a poco con tanti libri:dapprima quelli di pezza e di car-tone che non temono le manicuriose dei piccoli, da sfogliaree da leggere insieme a mammae papà; e poi, via via, con tan-ti altri, secondo i gusti e le esi-genze del bimbo che cresce, fin-ché avrà acquisito anche lagioia di leggere da solo. Unagioia che lo accompagnerà pertutta la vita.

    buonsenso e di amore per l’infan-zia, oltre che di scienza e di com-petenza, si sono formate, a suotempo, le vecchie maestre comeme. Si tratta di diritti che, ormai,sembrano in gran parte dimenti-cati non solo nelle squallide peri-ferie delle metropoli, ma anche intanti centri più vivibili del nostroPaese, quelli definiti “a misurad’uomo”, forse perché, troppicittadini - e di conseguenza i loroamministratori - credono che la

    modernità voglia dire solo asfalto,cemento, grattacieli, automobili esempre meno spazi verdi e sempremeno tempi di ozio e di gioco a di-sposizione dei bambini. Ed è pro-prio per rinfrescare la memoria de-gli adulti - di tutti gli adulti, per-ché della felicità dei bambini sia-mo tutti responsabili - che ho vo-luto trascrivere questo “decalogo”dei “Diritti negati dei bimbi edelle bimbe”: un decalogo che èoltretutto pervaso di sottile poesia.

    Per la prima difesaPer un bimbo

    che va a nascere

    Da buona valligiana, che la montagna puòfortunatamente godersela in tutte le stagio-ni, compiango un po’ i cittadini che vengo-no quassù soltanto in inverno per sciare. Bel-lissimi i monti innevati, ma mi sembra chegli sciatori nemmeno se ne accorgano, tuttipresi dall’ebbrezza delle discese. Nei fine-set-timana, dato l’affollamento, devono fare lafila per ore per aspettare skilift e seggiovie;al ritorno a casa poi, la domenica sera, in co-da in auto sulle strette strade di fondovalle.Per giunta, quando sciano, devono stare be-ne attenti ai cartelli, ai divieti, ai decaloghi,e tra poco dovranno essere provvisti di po-lizza rc - in Piemonte succede già - per even-tuali danni a terzi… D’accordo sulla sicurez-za, ma le piste da sci somigliano sempre dipiù a strade statali. E un bellissimo sport sitrasforma in un azzardo pericoloso.

    Sciatori o automobilisti?

    GISELDA BRUNI

    Sempre a fare scoperte… dell’acqua calda, que-ste università americane! L’ultima è la scopertache le persone provviste di un animo più sensi-bile sono i musicisti (e sono comunque tutte sco-perte all’insegna della massima relatività).L’esperimento, che ha portato a questa conclu-sione gli studiosi della Northwestern University,ha messo a confronto musicisti e non musicistie, nel valutare il modo in cui il cervello dei sog-getti elaborava il pianto di un bambino, i megliosintonizzati sugli aspetti della voce infantile so-no risultati, appunto, i musicisti, come se il lo-ro orecchio musicale permettesse, a questi ulti-mi, di ascoltare più in profondità. Non si sa, an-cora, quali applicazioni pratiche potrà avere que-sta “nuova” scoperta, ma ci viene spontanea unadomanda: avrebbero scritto quel che hanno scrit-to, un Mozart o un Verdi, se non fossero statepersone particolarmente “sensibili”?

    L’animo dei musicisti“

    Un’altra scoperta recente - almeno per me -è che nel mondo della rete succede che duepersone possano “frequentarsi” quotidiana-mente, anche più volte al giorno, “parlarsi”fino a notte fonda, conoscere l’esistenza re-ciproca fin nei minimi particolari, persino de-siderarsi, senza mai essersi né viste - se nonin fotografia - né sentite, nemmeno per te-lefono. Mi chiedo incredula: ma un amoresenza voce, senza gesti, senza respiri, senzapelle, che amore è? Dice bene MassimoGramellini: “un parto cerebrale del cervello in-naffiato da oceani di solitudine”. E infatti, ri-chiesto un consiglio da parte di una ragazzaperplessa di fronte a questo rapporto amoro-so esclusivamente virtuale, la invita a scap-pare a gambe levate: un uomo così - dice - ènel migliore dei casi una foresta di comples-si, di timidezze e di insicurezze.

    A gambe levate“

    Siamo proprio all’eccessodi modernità che nonrisparmia più nessuno.

    Succede che a un nascituro si regali

    un computer, in previsione del… futuro.

    Forse sarebbe megliopartire con alcuni libri più utili ad imparare,

    anche le emozioni

    Troppi diritti negati

    1 il diritto all’OZIO: a vivere momen-ti di tempo non programmato dagliadulti.

    2 il diritto A SPORCARSI: a giocarecon la sabbia,la terra, l’erba, le foglie,l’acqua, i sassi, i rametti.

    3 il diritto AGLI ODORI: a percepireil gusto degli odori, a riconoscere i pro-fumi offerti dalla natura.

    4 il diritto AL DIALOGO: ad ascolta-re e poter prendere la parola, ad inter-loquire e dialogare.

    5 il diritto ALL’USO DELLE MANI:a piantare chiodi, a segare e rasparelegni, scartavetrare, incollare, pla-smare la creta, legare corde, accen-dere un fuoco.

    6 il diritto A UN BUON INIZIO: amangiare cibi sani fin dalla nascita, a be-re acqua pulita e a respirare aria pura.

    7 il diritto ALLA STRADA: a gioca-re in piazza liberamente, a cammina-re per le strade.

    8 il diritto AL SELVAGGIO: a costrui-re un rifugio-gioco nei boschetti, adavere canneti in cui nascondersi ed al-beri su cui arrampicarsi.

    9 il diritto AL SILENZIO: ad ascolta-re il soffio del vento, il canto degli uc-celli, il gorgogliare dell’acqua.

    10 il diritto ALLE SFUMATURE: a ve-dere il sorgere del sole e il suo tramon-to, ad ammirare, nella notte, la lunae le stelle.

  • 7 / Febbraio 2010

    Ondata di dibattiti su clima e degrado…

    L’ambiente si tutelacambiando stile di vita

    Due ragazzini impegnati adagitare una grande sve-glia davanti ad una gi-gantesca caricatura in legno del“loro” primo ministro KevinRudd, piantata in una spiaggiaaustraliana, con sullo sfondo ilmare in tempesta: anche questaimmagine, proposta, ripetuta-mente, nel cuore della scorsaestate dai massmedia di ognicontinente, ha contribuito a ri-chiamare attenzioni sul fermen-to accentuatosi nella secondametà del 2009, attorno alle sem-pre più urgenti questioni dellatutela dell’ambiente sul nostropianeta. A settembre, in apertu-ra del summit convocato al Pa-lazzo di Vetro, a New York, su ta-li tematiche il Segretario Gene-rale dell’ONU, Ban Ki-Moon,affermò: “Mettiamo da parte gli in-teressi nazionali e pensiamo al futu-ro del globo. Ci stiamo muovendocon velocità glaciale mentre i ghiac-ciai si ritirano molto in fretta”. Ilpresidente degli Stati Uniti, Ba-rack Obama, aggiunse: “La mi-naccia è tremenda: se non agiremoin fretta, finiremo per consegnarealle future generazioni una cata-strofe irreversibile”.

    Nella “Grande mela”,qualcuno si premurò, inquell’occasione, di farei conti circa gli investimenti ne-cessari per avviare un effettovirtuoso contro ildegrado avanzan-te; si parlò - perarrivare a ridurrealmeno del 20%,in dieci anni, leemissioni di bios-sido di carbonio -di spese (a caricodella collettivitàinternazionale)pari a 5/7 miliardidi euro nel 2012,a dieci miliardi dieuro nel 2013, a 100 miliardi dieuro nel 2020.Delle misure concrete da varare- tra brusche rotture, mediazio-ni, compromessi - si è discusso,animatamente, attorno alla metàdi dicembre, al “vertice” mondia-le di Copenaghen. E proprio nelmomento culminante del mede-

    simo appuntamento, tra le solle-citazioni di un leader e le pun-tualizzazioni di un altro, è statoreso noto il messaggio del Papaper la Giornata di Capodannodel 2010, non a caso, focalizzatasul tema: “Se vuoi coltivare la pa-ce, custodisci il creato”. Fu PaoloVI (Giovanni Battista Montini)a proporre, nel 1967 e ad avvia-

    re, nel 1968, le ri-flessioni, nel primogiorno di ogni an-no civile, sulle di-verse vie percorri-bili nella direzionedel varo di una ef-fettiva convivenza,nella concordia enella collaborazio-ne, tra le genti del-la Terra. Se, da al-lora in poi, fosserostati, almeno in

    parte, tradotti in pratica gli slo-gan via via suggeriti, ben diver-se sarebbero adesso le sorti delmondo. Il Papa bresciano, chechiuse il Concilio Vaticano II ene cominciò l’applicazione, perla sua iniziativa partì dal seguen-te concetto: “La pace si fonda sog-gettivamente sopra un nuovo spiri-

    to, che deve animare la consisten-za dei popoli, sopra una nuovamentalità circa l’uomo, i suoi do-veri e i suoi destini”.

    Già nel 1971, in una let-tera apostolica per l’ot-tantesimo anniversariodell’enciclica “Rerum novarum”di Leone XIII, con formidabilelungimiranza, Paolo VI osservò:“Attraverso uno sfruttamentosconsiderato della natura, l’uomorischia di distruggerla e di essere asua volta vittima di siffatta degra-dazione”, poiché “inquinamenti,rifiuti, nuove malattie, potere di-struttivo” determineranno situa-zioni intollerabili e sempre me-no controllabili.Vent’anni or sono, il problemaambientale fu posto per la pri-ma volta al centro della Gior-nata mondiale di Capodannoda Giovanni Paolo II. Il Ponte-fice polacco, partendo dal tema“Pace con Dio creatore, pace contutto il creato”, segnalò le minac-ce per la pace derivanti, anche,dalla “mancanza del dovuto ri-spetto per la natura”.Nel rifarsi agli insegnamentidei suoi predecessori, Benedetto

    XVI ha osservato che, in parti-colare, nell’era attuale - accan-to a quelle connesse alle guerre,alle contrapposizioni regionali,al terrorismo, alle violazioni deidiritti - si fanno assai preoccu-panti le minacce originate “dal-la noncuranza, se non addiritturadall’abuso, nei confronti dellaTerra e dei beni naturali”. Nel suomessaggio per laGiornata della pa-ce 2010, Ratzingerha voluto subitochiarire che, ilguardare al “creatocome dono di Dioall’umanità aiuta acomprendere”, me-glio o più piena-mente, “la voca-zione o il valore del-l’uomo”. Di frontead una “crisi” chesarebbe irresponsabile non pren-dere in seria considerazione eche traspare ogni giorno di piùdai “cambiamenti climatici, dalladesertificazione, dal degrado e dal-la perdita di produttività di vaste zo-ne agricole, dall’inquinamento deifiumi e dalle falde acquifere, dallaperdita delle biodiversità, dall’au-

    mento di eventi naturali estremi,dai disboscamenti delle aree equa-toriali”, nonché dallo stesso feno-meno dei “profughi ambientali”,costretti a cercare altrove quel-lo che non riescono più ad ave-re dalla loro terra madre -“L’umanità - ha rimarcato ilPapa - ha bisogno di un profondorinnovamento culturale; ha bisognodi riscoprire quei valori che costi-tuiscono il solido fondamento su cuicostruire un futuro migliore per tut-ti. Le situazioni di crisi che attual-mente (l’umanità) sta attraversan-do (siano esse di carattere econo-mico, alimentare, ambientale o so-ciale) sono, in fondo, anche crisimorali collegate tra di loro. Esse ob-bligano - ha proseguito Ratzinger- a riprogettare il comune cammi-no degli uomini. Obbligano in par-ticolare ad un modo di vivere im-prontato alla sobrietà e alla solida-rietà, con nuove regole e nuove for-me di impegno, puntando con fi-ducia e coraggio sulle esperienze po-sitive compiute e rigettando, inve-ce, con decisione quelle negative”.

    Il Papa non ha mancato di farpresente che, nell’ambito del-le problematiche ambienta-li, sono in gioco basilari dirittiumani, come il diritto alla vita,il diritto all’accesso alle risorse, ildiritto all’alimentazione sana, ildiritto alla tutela della salute, ildiritto alla crescita. Ha focaliz-

    zato esigenze spe-cifiche quali quel-le del risparmioenergetico, dellosfruttamento delleenergie alternati-ve e pulite, dellarivalutazione del-le attività agricoletramite i piccolicoltivatori, dellabonifica delle ac-que, della rifore-stazione. Ha riba-

    dito che, “per guidare l’umanitàverso una gestione complessivamen-te sostenibile dell’ambiente e dellerisorse del pianeta, l’uomo è chia-mato ad impiegare la sua intelligen-za nel campo della ricerca scientifi-ca e tecnologica e nella applicazio-ne delle scoperte che da questa de-rivano”.

    MARIO COLLARINI

    Asentire i commercianti, che rileva-no un calo notevole delle vendite dicostumi e maschere in questi ulti-mi anni, pare di capire che la festa di Car-nevale abbia perduto molto del suo fascino.Come mai? Forse, per comprendere, è uti-le, come sempre, rivolgere uno sguardo alnostro passato, recente e remoto.Nella civiltà contadina, da cui tutti venia-mo, il Carnevale era una festa molto im-portante: per esempio, era il periodo adat-to per i matrimoni. “Il Carnevale vienee va, ma nemmeno questo sarà il mio!”- cantavano tristemente le zitelle delle mievalli - ; e Carnevale era anche uno dei po-chi periodi dell’anno in cui fosse permessoqualche eccesso: nel mangiare, nel bere, nel

    ballare, magari nelle stalle al suono dellecornamuse: “Passato S. Antonio, balla-no anche le nonne!” - dice un altro vec-chio proverbio delle mie parti….Eccessi di origine “pagana” che la Chiesacercò, peraltro, sempre di arginare: non pernulla venne istituito il Triduo dei Defunti,che ancora oggi in molti paesi si celebra pro-prio in questo periodo.Ma, l’aspetto fondamentale del Carnevaledella civiltà contadina, era l’utopia del“mondo alla rovescia”: la separazionenetta che vigeva tra il mondo dei “signo-ri” e quello della povera gente diventava,a Carnevale, aperta ribellione allo statusquo, e quest’utopia veniva rappresentatacome rovesciamento dell’ordine sociale vi-

    gente: travestimenti “da signori”, elezio-ne del “re del Carnevale” che per un gior-no poteva comandare, mentre, per tutto ilresto dell’anno doveva obbedire, mangia-te e bevute abbondanti, inimmaginabili perdei poveracci sempre alle prese col proble-ma della fame. Nelle antiche stampe, i cor-tei del Carnevale sono infatti caratterizza-ti dai simboli dell’abbondanza, così comenell’utopico “paese di Cuccagna”, in cuile montagne sono fatte di gnocchi o di po-lenta, i ruscelli di vino e sugli alberi cre-scono salumi d’ogni specie, formaggi, pol-li, porchette allo spiedo: l’esatto contrario,insomma, della penuria alimentare che af-fliggeva le popolazioni delle campagne e del-le montagne. Forse, è proprio riflettendo

    sul passato, che possiamo capire, perché ilCarnevale, oggi, non è più una festa cosìsentita e partecipata: le trasgressioni e l’ab-bondanza - e non solo per quanto riguar-da il mangiare e il bere - sono a portata dimano tutti i giorni; anche il travestirsi e ilmascherarsi sono esperienza quotidiana, inquanto, il ruolo, la posizione sociale, l’im-magine, nascondono spesso il vero esseredelle persone; quanto poi, all’utopia di unmondo senza ingiustizie, sembra che nes-suno ci creda più, tranne forse i bambinie qualche raro irriducibile idealista.Peccato, perché un po’ di utopia, controil cinismo ed il pragmatismo imperanti, nonpotrebbe che farci bene. E non solo aCarnevale.

    L’UTOPIA? Non abita più qui“di Magda BonettiMondo alla rovescia

    Dopo il vertice di New York, altro

    summit a Copenaghen.Parole senza fine,interessi particolari sempre anteposti a quelli generali

    Forte richiamo del Papa alla necessitàinderogabile di modellidi sviluppo sostenibili,

    ancorati a scelte rispettose dei diritti di ciascun popolo

  • 8 / Febbraio 2010

    L’hanno lanciata come una “svol-ta storica nel Paese dei sedentari”;annunciata all’inizio di dicembree messa sulla linea di partenza già al 15febbraio (di questo 2010) con un pro-getto-pilota. Coinvolgente (per l’anno scolastico incorso) mille scuole (identificate a cam-pione in tutte le Regioni), diecimilaclassi, circa 250 mila alunni; dalle 30 oreprogrammate da qui a maggio, nel 2010-2011 si dovrebbe passare a 50 ore in unnumero più nutrito di scuole e classi, perarrivare poi a tutte le scuole elementa-ri del Paese nel 2012-2013. Costo del-la fase, per così dire, sperimentale: cin-que milioni di euro, sborsati dal CONI:4,5 milioni di euro per il personale spe-cializzato impiegato, 300 mila euro perla “formazione specifica” del medesimo(con un centinaio di “formatori”), 200mila euro per il materiale didattico. Alfinanziamento del proseguimento del-l’operazione nel futuro non è stato pre-cisato chi provvedere: se ancora ilCONI, con fondi (circa 24 milioni) deiquali attende lo sdoganamento da par-te del Ministro dell’Economia, o ilMinistro della Pubblica Istruzione, op-pure l’uno e l’altro, in piena collabora-zione.Si sta parlando della “alfabetizzazionemotoria”, in pratica una nuova materiascolastica (due ore settimanali) volta ad“aiutare bambini delle elementari a control-

    lare il proprio corpo in situazioni diversifi-cate sempre più complesse, che consenta-no loro di ampliare le esperienze motorie”;ossia, al di fuori delle arzigogolature delpolitichese, si punta a spiegare ai pic-coli alunni come comportarsi corretta-mente nei movimenti ludici ed, even-tualmente, come scoprirsi adatti allapratica di una certa attività agonistica.In Francia, a questo impegno vengonoriservate, da tempo, cinque ore alla set-timana. Pure in Svizzera, Inghilterra,Grecia, Germania, Svezia si è scesi incampo da anni. In Italia ci si muove orain via sperimentale, con un progetto-pi-lota, con un intervento graduale. Finoad ora, l’educazione motoria era lascia-ta (in una o due ore la settimana) alla

    maestra, all’insegnante impegnata nel-la singola classe. Decideva e imposta-va lei (così come accadrà ancora nelleclassi non cointeressate dal progetto-pi-lota). Per le classi ora interessate, dametà febbraio, nel progetto-pilota, si èstabilito (per due ore la settimana), ac-canto alla maestra, l’intervento di un in-segnante qualificato (diplomato all’Isef- Istituto superiore di educazione fisica- oppure laureato in Scienze motorie):insegnante specializzato, impegnatocon un “contratto di prestazione d’opera”.Grazie alla presenza di un “esperto”,bambini e bambine avranno orienta-menti chiari, omogenei, più efficaci.Circa i risultati pratici dell’iniziativa, ilprimo bilancio verrà fatto al termine

    dell’anno scolastico in corso.Durante la cerimonia di presentazionedella “svolta”, la titolare del Ministerodella Pubblica Istruzione, MariastellaGelmini, ha dichiarato che l’iniziativa“ha una grande valenza educativa, colmauna lacuna e servirà a combattere il bul-lismo”. Il presidente del CONI, GianniPetrucci, ha spiegato che “non si voglio-no creare campioni alle elementari, ma sivuole insegnare ai ragazzi la conoscenza delproprio fisico”. Sara Simeoni ha osserva-to che “con i bambini di una certa età, oc-corre fare tutto attraverso il gioco”. MarcoBusetti, dirigente dell’Ufficio Scolasticodella Regione Lombardia e membro del-la Commissione che ha varato il pro-getto-pilota, ha rilevato che “ora si met-te a sistema la grammatica del movimen-to”.Anche se, esplicitamente, nessuno l’hamenzionato, c’è da augurarsi che tra lenozioni di “alfabetizzazione motoria”, ol’insegnante della classe o l’esperto - vi-sto che ne hanno l’occasione - infilinopure qualche elemento di quella “cul-tura sportiva” o lealtà negli atteggiamen-ti o correttezza di modi dei quali tuttiinvocano un’ampia seminagione.Se non si impostano subito le pianticel-le in una corretta maniera di crescita,che speranze si possono, poi, nutrire sul-la loro “resistenza” alle furie dell’agoni-smo (se mai, un giorno, vi si appliche-ranno)?

    Scuola di educazione alla salute“ARTURO CONSOLISport di… classe

    Italiani alla conquista delle nevi canadesi

    Nei mesi scorsi, quandovenne lasciata correrel’intenzione di una can-didatura italiana ai Giochi deicinque cerchi del 2020, in ag-giunta a Roma - già messasi inlista da tempo - si fecero avan-ti Venezia, Bari, Palermo.Quest’ultime due località - evi-dentemente in cerca soprattut-to di… pubblicità - vennero su-bito stoppate dal CONI, che di-ramò una sorta di decalogo conle prerogative indispensabiliper nutrire speranze (da parte diuna città) di diventare sede disì straordinario evento. Ora il“duello” resta aperto tra Romae Venezia: all’una e all’altra ilCONI ha consegnato un que-stionario in ventiquattro pun-ti; in base alle risposte che ver-ranno fornite, il CONI, tra la fi-ne di aprile e i primi di maggio,farà la propria scelta. E con unsolo nome - o Roma o Venezia- l’Italia scenderà in campo, sulpiano internazionale, per ave-re il privilegio di aprire le por-te ad atleti di tutti i continen-ti dopo Londra (scelta nel2012), e dopo Rio de Janeiro(scelta per il 2016, con malce-lato disappunto dello stessopresidente americano BarackObama, che aveva puntatomolto su Chicago.Intanto, però, ci sono da affron-

    tare a livello agonistico, le Olim-piadi invernali di Vancouver, inCanada, messe in cartellone dal12 al 28 febbraio di questo2010. L’edizione precedente dei“Giochi bianchi”, come si ricor-derà, ebbe luogo a Torino nel2006. Nel medagliere svettò laGermania. L’Italia si assicurò un-dici medaglie (tra ori, argenti ebronzi). Giorgio Di Centa, or-mai trentottenne, in Piemontesi impose nella 50 chilometri difondo e nella staffetta. Questisuccessi - oltre all’insieme dellasua carriera - lo hanno fatto de-signare portabandiera degli “az-zurri” in Canada. Sua sorellaManuela - che pure ha reso no-tevoli servigi al nostro sport - hasalutato la scelta di suo fratello(per il ruolo di alfiere) come unriconoscimento all’intera suafamiglia. Giorgio Di Centa vivea Treppo Carnico, in provincia

    di Udine; è sposato ed ha quat-tro figli. Fa parte dei Carabinie-ri. Iniziò a mettersi in luce, a li-vello internazionale, nel 2002.Quella di Vancouver sarà la ven-tunesima edizione dei “Giochibianchi”. Già nel 1897, ossia unanno dopo la prima Olimpiadedell’era moderna (ad Atene), losvedese Viktor Gustav Balkaveva proposto di dare spazioagli sport della neve. DeCoubertin in persona disse no,spiegando: “Sono cose regionali,praticate in aree ristrette”. Le“cose regionali”, comunque, a po-co a poco si fecero largo nel pro-gramma stesso dei Giochi di piùvasta risonanza. Nel 1921 il Comitato OlimpicoInternazionale decise di riserva-re loro - in coincidenza con leOlimpiadi del 1924 - una“Settimana” speciale, in un luo-go distinto da Parigi - sede

    dell’Olimpiade di quell’anno -,ma sempre in Francia. Si optòper Chamonix. L’esito fu taleche in breve anche i “Giochibianchi” vennero ufficializzati,pur essi con cadenza quadrien-nale, in una stagione diversa daquella dei Giochi estivi, ma nelmedesimo Paese ospitante que-sti ultimi. Con questa regola siandò avanti sino agli anni ’90del ’900, allorché si stabilì di in-tercalare i “Giochi Bianchi” alquadriennio di quelli estivi. Giàin precedenza si era abbandona-ta l’unicità del Paese ospitante,in un determinato anno, i dueappuntamenti.Dopo Chamonix (1924) sonostate sedi delle Olimpiadi inver-nali Saint Moritz (Svizzera,1928), Lake Placid (Stati Uniti,1932), Garmisch (Germania,1936), Saint Moritz, (Svizzera,1948), Oslo (Norvegia, 1952),

    Cortina (Italia, 1956), SquawValley (Stati Uniti, 1960), Inn-sbruck (Austria, 1964), Greno-ble (Francia, 1968), Sapporo(Giappone, 1972), Innsbruck(Austria, 1976), Lake Placid(Stati Uniti, 1980), Sarajevo(Jugoslavia, 1984), Calgary(Canada, 1988), Albertville(Francia, 1992), Lillehammer(Norvegia, 1994), Nagano(Giappone, 1998), Salt Lake(Stati Uniti, 2002) e appunto,Torino, 2006. Alla prima edizione dei Giochiinvernali (25 gennaio-5 feb-braio 1924) presero parte 16 na-zioni con 259 atleti (tra i qua-li solo 13 donne); gli italianierano 14; e 14 furono le gare. ATorino (10-26 febbraio 2006 fu-rono presenti 80 nazioni con2.508 atleti (tra i quali 960 don-ne); gli italiani furono 184; legare, complessivamente, risulta-rono 84. Il curling fu una dellediscipline più seguite.Con quale bottino i “nostri” (chedal 1924 in poi sulle nevi olim-piche hanno vinto 101 meda-glie: 36 ori, 31 argenti, 34 bron-zi) torneranno da Vancouver? Losport italiano non sta attraver-sando un buon momento. Solole donne ne tengono un po’ al-to il prestigio. Augurandoci chel’onda rosa “azzurra” sommergapure le nevi canadesi. (A.Cons)

    Siamo nel cinquantenario delle Olimpiadi di Roma (1960) e l’Italia si staprodigando per avere la possibilità di rivivere, in forma aggiornata, quel-la formidabile esperienza nel 2020. Lo stesso Presidente della Repubbli-ca, Giorgio Napolitano, ha incoraggiato il progetto quando ha ricevutoal Quirinale gli “azzurri” che nel corso del 2009 hanno ottenuto allori

    mondiali: “Sarebbe bello - ha osservato il Capo dello Stato -: attraverso lo sport, enon solo, il nostro Paese si porrebbe nella condizione di dimostrare ancora unavolta al mondo intero di avere ritrovato slancio e capacità di realizzazione”.

    Coinvolti 250mila alunni di mille scuole con finanziamento CONITroppi bambini sonosedentari,nella routinecasa-scuola,giochi elettronici,merendine e obesità che sale. Parte finalmente un’azione su scala nazionale dieducazioneallo sport.

  • 9 / Febbraio 2010

    Un fenomeno complesso e crescente

    In Italia, attualmente, vivonocirca 850 mila bambini/e im-migrati; e il loro numero, pernascite e nuovi arrivi, tende adaumentare di circa centomilaunità ogni anno. Vengono valu-tati in 7.500 circa i bambini/eche praticamente non hannouna famiglia, mentre 300 sonoquelli che si trovano nella si-tuazione di rifugia-ti richiedenti asi-lo politico. Nelnostro Paese rag-giungono, ormai,il 10% del totaledella popolazioneinfantile i bambi-ni/e nati da alme-no un genitoreimmigrato; nelRegno Unito laquota dei bambini/e nella me-desima situazione tocca il 16%,in Francia il 17%, nei Paesi Bas-si il 22%, così come negli StatiUniti, in Germania il 26%, inAustralia il 33%, in Svizzera ad-dirittura il 39%.Tra i bambini/e “immigrati” resi-denti nella Confederazione elve-tica il 29% provengono dalla exJugoslavia; tra i bambini/e stra-nieri esistenti negli Stati Unitiaddirittura il 71% provengonoda zone dell’America latina o dei

    Caraibi; tra i bambini/e stranie-ri che stanno in Australia il 14%è giunto dal Vietnam, mentre il10% è arrivato dalle Filippine; inGermania, tra la popolazione in-fantile immigrata, il 31% ha ra-dici nella Federazione Russa, il29% in terra turca; tra i bambi-ni/e immigrati nel nostro Paeseil 12% sono marocchini, il 10%

    albanesi. Di fron-te a questi dati edalle complessequestioni ad essiconnesse - datiforniti dal CentroRicerca Innocentidell’Unicef e dal-la Fondazione Mi-grantes della Con-ferenza EpiscopaleItaliana - è facile

    capire perché il Papa ha volutofermare l’attenzione, principal-mente sui minorenni, nel suomessaggio per la Giornata mon-diale del migrante e del rifugia-to celebrata in questo 2010.Benedetto XVI non ha trala-sciato, naturalmente, di ribadi-re che il migrante “è una perso-na umana con diritti fondamenta-li inalienabili”, da rispettareovunque da parte di tutti; ha ri-chiamato, in sintesi, le cifre im-pressionanti che connotano nel

    suo insieme, il fenomeno migra-torio e le “problematiche sociali,economiche, politiche, culturali,religiose” in esso presenti con“sfide drammatiche”, di sempremaggior portata, per le singolecomunità nazionali e per quel-la internazionale. Ma, ilPontefice ha voluto privilegia-re la situazione dei minorenni ominori, perché difatto, tanti di essisono lasciati “inabbandono ed invari modi si ritro-vano a rischio disfruttamento”. Be-nedetto XVI hadeciso di soffer-marsi in partico-lare su due cate-gorie di piccoliimmigrati: su quelli costretti afuggire dalle loro regioni native- come capitò a Gesù Bambino,che con la sua famiglia, dovet-te cercar salvezza in Egitto persottrarsi alle minacce di Erode- e su quelli che si trovano a cre-scere tra due o più culture. Peri bambini/e che chiedono asilopolitico - in un numero che ap-pare in costante aumento - Pa-pa Ratzinger ha auspicato, oltread un’opera di prevenzione del-la piaga, un forte impegno per la

    loro accoglienza e per la loro pro-tezione. A proposito dei bambi-ni/e e degli adolescenti che na-scono in un Paese e poi vengo-no subito portati in un altro, nelsottolineare la “ricchezza” chepuò scaturire dall’incontro di tra-dizioni differenti, Benedetto XVIha indicato, comunque, la neces-sità assoluta di garantire loro “la

    possibilità della fre-quenza scolastica edel successivo inseri-mento nel mondo dellavoro”. Sulle mo-dalità con le qualiin Italia viene af-frontato il proble-ma dell’inserimen-to dei minori im-migrati, della loroistruzione e forma-

    zione, non sono rari, purtroppo,i “casi”, segnalati dalle cronache,che suscitano discussioni e pole-miche e che destano perplessità.Al loro affiorare, e specialmen-te, innanzi a certe “soluzioni” as-sai discutibili che si adottano, sa-rebbe bene ricordare che non so-no pochi nemmeno i bambini/eitaliani di origine che stanno cre-scendo in altri Paesi: le statisti-che più recenti ne contano cir-ca 650 mila.

    Bruno Del Frate

    Nella fase a gironi del campionatodel mondo di calcio, in program-ma in Sud Africa dall’11 giugnoall’11 luglio prossimi, l’Italia, capitata nelgruppo F, incontrerà il Paraguay, il 14giugno a Città del Capo, la Nuova Ze-landa, il 20 giugno a Nelspruit, e la Slo-vacchia, il 24 giugno a Johannesburg.Nella fase successiva - se la prima si svi-lupperà nel più propizio dei modi - po-trebbero esserci in agguato, ad attenderegli “azzurri” in partite ad eliminazioneimmediata della perdente, Camerun,Olanda o Danimarca, e poi - sempre incaso di tutto o.k. - Spagna, Argentina oGermania: e… la finale eventuale conBrasile o Costa d’Avorio, secondo le sup-posizioni degli “esperti”, che hanno, im-mediatamente, sciorinato pronostici sen-za batter ciglio. In base alle valutazionidei medesimi “esperti”, per l’Italia - “il-luminata” dallo “stellone” che pare sia uncompagno inseparabile di Marcello Lip-pi -, nel sorteggio per la ripartizione inotto gruppi delle 32 formazioni rimastein corsa dopo le eliminatorie “continenta-li” degli ultimi due anni, è “andata di lus-so”. Insomma “non ci si poteva attendereun’urna più benigna”. Lippi, non si sa seper convinzione effettiva, oppure per pre-tattica, si è differenziato dalle opinionidei commentatori: “Non ditemi - ha sen-tenziato - che siamo capitati in un gironed’avvio facile”. A sostegno della propriaposizione, il c.t. ha aggiunto che: il Para-guay è stata, a lungo, la rappresentativapiù brillante in campo nelle Americhe;che la Slovacchia è una delle “forze emer-genti” in Europa, grazie, ai numerosi gio-vani talenti che schiera; e che pure la

    Nuova Zelanda potrebbe essere la… Co-rea di turno, ossia la “mina vagante” cheesplode proprio a danno dei “nostri”.

    Bisogna scavare alle radici del cal-cio: qui c’è il problema di una cul-tura sportiva da instillare sia neiprotagonisti del mondo del football, sianel pubblico. Mario Balotelli non è unostinco di santo con il pallone tra i piedi onei paraggi. Ma questa non è una ragio-ne sufficiente per sommergerlo - comein troppi stadi è avvenuto, ad opera inparticolare di frange di ultrà della Juven-tus - di irripetibili, vergognosi epiteti distampo razziale.Parecchi presidenti dovrebbero mettereun freno alle loro smanie di trionfi. Difronte al presidente del Palermo,Maurizio Zamparini, che in poco più divent’anni di impegno attivo come diri-gente calcistico, ha cambiato trentadueallenatori (venti a Venezia, tra il 1988 eil 2002; dodici nel capoluogo siciliano,dove agisce dal 2002), per di più con 28esoneri anticipati (nel contesto dei 32mutamenti), è impossibile resistere allatentazione di domandargli: “Scusi presi-dente, ma lei è sicuro di non aver mai sba-gliato, per quanto di sua pertinenza?”.Purtroppo, accanto a quelli che, abba-stanza sbrigativamente, giudicano lacompetenza tecnica dei loro “mister”, cisono anche presidenti che, praticamen-te, “mettono in croce” i loro allenatori per-sino quando costoro rispettano normeelementari della lealtà agonistica. BepiPillon, tecnico dell’Ascoli, si è beccatopiù rampogne che complimenti dai suoi“capi” e dai suoi “tifosi” quando ha ordi-nato ai suoi calciatori di lasciare che la

    Reggina (nel campionato di serie B) se-gnasse un gol per “far pace” di quello, dal-la stessa, subito poco prima, in circostan-ze assolutamente anomale, con il dannoaggravato dall’espulsione di un propriogiocatore nell’infuriare delle proteste. Neitalk-show tutti si riempiono la bocca conil “fair play”: ma quando si tratta di at-tuarlo pochi hanno il coraggio di deci-dere come si deve; e come ha fatto BepiPillon.

    La conferma della necessità di unacultura sportiva da far rinascere ecrescere dalla base è venuta dall’e-pisodio accaduto a Firenze ai primi didicembre, durante una partita tra mini-calciatori di otto anni su un campettodi periferia. Un nonno, allorché ha vistoun suo nipotino travolto da un’entratanon regolamentare di un avversario, siè messo a gridargli a più riprese di “spac-car le gambe” e anche altro a “quell’ener-gumeno”. Tra i genitori dei miniatleti,presenti ai bordi del campo, è divampa-ta una violentissima rissa verbale, traschiamazzi e minacce di ogni genere. Iragazzi in campo si sono spaventati; unodei due allenatori, ha trovato subito d’ac-cordo il collega o l’arbitro nel far smette-re immediatamente il match, con unrientro anticipato di tutti i minigioca-tori negli spogliatoi. Poi ci sono statespiegazioni, scuse, rappacificazioni. C’èstato anche uno spuntino in compagnia.Ma era necessario arrivare al “cartellinorosso” per i genitori dei miniatleti? Ge-nitori che, dovrebbero essere i primi adinsegnare ai loro figli che il calcio “è sol-tanto un gioco e nulla più”.

    Adolfo Celli

    Una COREA ad ogni nostro passo

    L’infanzia sradicata➣ dalla prima

    Da quindicimila con-trolli della Finanza, è saltato fuori che tra 100 persone titolari dicontratti di leasing, in media,45 denunciano redditi inferiori all’entità della quotache versano come canone annuo del loro vincolo: inconcreto, sono “poveri”che hanno una o più auto di lusso nel garage. È statofatto molto rumore sul gettitodello scudo fiscale, riaperto,con una quota maggiorata (fino al 6% prima e, poi, finoal 7%) sino ad aprile. Si è parlato di cento e passa miliardi di euro rientrati dall’estero. Lasciando perdere le argomentazioni sul pragmatismo che ha suggeritol’operazione, non pochi esperti hanno arricciato il naso: per il trattamento di grande favore usato versogente “abbiente” da quellostesso Fisco che pretende anche l’ultimo centesimo dalpercettore di reddito fisso che,magari, nella sua denuncia, è incappato in qualche svista.Gli “impertinenti” non hannoesitato ad avanzare domandeintriganti: “I capitali rientrati dove finiscono?Come vengono impiegati?Di sicuro non staranno nelmaterasso: e il fisco cosafarà, adesso, per ‘tassarne’gli impieghi?”.Nelle passate settimane, il ministro Giulio Tremonti ha parlato ai sindacati e agliesponenti della Confindustriadella “radicale riforma fiscale” che ha in animo di varare: una riforma tesa a spostare il prelievo “dallepersone alle cose”, superan-do la vecchia Irpef, “che è ilcontrario dell’equità e dellagiustizia”, e che porta tutto il peso dell’epoca nella qualevenne inventata (attorno agli anni ’60 del ’900). Il ministro pensa ad un nuovofisco “con un sistema di favore, un bonus, per alcune voci, ed un malusper altre voci: un malus per le speculazioni finanzia-rie e per il consumo dell’ambiente; e un bonusper le famiglie, il lavoro, la ricerca, la tutela dell’am-biente”. In quest’epoca delconsumismo, Tremonti, attraverso il federalismo fiscale,intende spostare l’asse delprelievo dal centro alla perife-ria. Non sarebbe meglio scen-dere in campo, una volta persempre, con forze davveroadeguate contro quanti, in una maniera o nell’altra,riescono sempre a fare i “furbi” e a farla franca?

    Gino Carrara

    30mila euro di debitoa testa

    ““

    In Italia, sono 850milai bambini figli di stranieri.

    Il numero tende ad aumentare di centomila

    unità all’anno

    Da noi sono il 10%,in Inghilterra il 16%,in Francia il 17%,

    nei Paesi Bassi il 22%,in Svizzera il 39%

  • 10 / Febbraio 2010

    Se ne sono quasi andati gli anni con due zeri (il decennio è terminato il 31 dicembre di quest’anno, contrariamente a quanto è stato erroneamente scritto in molti quotidiani). Il primo decennio, salvo liete sorprese dei mesi che verranno, è stato sinora triste e tragi-co, sfacciatamente edonista e superficiale, opulento e sfrenato, (ma solo per po-chi!) come il decennio che lo ha preceduto e l’altro ancora. Quasi tutto, invece di migliorare con gli anni e la saggezza dell’età e del-l’esperienza, appare peggiora-to! Persino i governi che si sono succeduti nel mondo, hanno abbassato, non solo la qualità della vita, ma an-che e, soprattutto, la qualità della democrazia, la voglia di far politica. Sembra ieri. Salutavamo il 2000. In un botto, nuovo anno, nuovo decennio, nuo-vo secolo e nuovo millennio. Sogni, speranze e paure dif-ferenti per ognuno di noi. In questi primi nove anni abbiamo vissuto accadimenti imprevedibili: tre aerei che si schiantano sulle Torri Ge-melle e sul Pentagono, un presidente nero per gli Stati Uniti, la Fiat che si compra la Chrysler, la Juventus in serie B. E’ divenuto norma-le, anzi ormai persino fuori moda, portare i jeans ben sotto le mutande, che non scandalizzano nessuno quan-do spuntano fuori. Quali al-tri eventi e quali innovazioni ci hanno più segnato in que-sti anni a due zeri? Qualche idea ci frulla nell’angolino dei ricordi. E poi, chi vuole aggiunga le sue.Terrorismo e guerre. La lista

    fa, Facebook, un sistema di comunicazione che è entrato tanto impetuosamente nella vita di molti, proprio non esisteva. Così come non c’era l’abitudine a restare tanto tempo on line come facciamo oggi, con Internet che si muove nelle nostre tasche e ci vengono i gira-menti di testa se manca il segnale. Pensate, nel ‘99 i telefonini avevano una dozzi-na di tasti. Oggi, chiudiamo il decennio drogati di touch screen, che sta sostituendo le tradizionali tastiere alfanume-riche. Non ci crederete, ma nove anni fa Google faceva i primi passi, oggi è un “at-trezzo” d’uso comune come l’autoradio o l’ombrello. Cina. Ha messo il marchio, questo davvero autentico, sui primi anni del terzo Millen-nio, ha cambiato le nostre vite da lontano, ma anche da vicino, con i laboratori, più o meno regolari, nelle nostre periferie. Ha modifi-cato gli equilibri delle nostre economie, ha fatto compren-dere al mondo la sua forza con le Olimpiadi. Ne senti-remo ancora parlare.Ideologie e politica. Il nuovo secolo si è aperto con la fine delle grandi ideologie, già in agonia nell’ultimo scorcio del secolo preceden-te. I grandi partiti di massa, le speranze, le idee sono ridotte a mero guazzabuglio per continue inesistenti elu-cubrazioni riformiste, che, nel nostro paese, servono solo alle stucchevoli zuffe televisive. I politici sono peggiorati nella qualità del loro impegno e nel risolvere le ambasce quotidiane che attanagliano il popolo. C’è da gioire?

    Senza congiuntivo e... senza futuroSiamo nel Comune di Orbetello, in provincia di Grosseto. 15 mila abitanti, un sindaco-ministro: Altero Matteoli. Due mesi fa, si è svolto sul posto un concorso pubblico per l’Uf-ficio Appalti del Comune, riservato a laureati in Giurisprudenza. Durante la correzione degli scritti, qualcuno ha pensato ad uno scherzo di Carnevale anticipato. O a prove d’esame sostituite da qualche buontem-pone. Macché, i fogli, con tanto di timbro, firme e controfirme, erano assolutamente originali, così come l’orribile svolgimento. Già, perché non solo le risposte alle domande giuridiche e di cultura generale contenevano inesattezze madornali, ma gli elaborati erano infarciti d’errori di grammatica e di sintassi. Terza persona del verbo avere senza la h, s al posto della z, frasi senza il soggetto, tempi sbagliati. E con alcune “perle” da manuale dell’asineria: anomala scritto a nomala, ragazzi scritto con una z sola, superficie senza la i. E alla domanda su quali fossero le competenze del sindaco qualcuno ha risposto: “Il sindaco dichia-ra lo stato di guerra”, mentre un candidato ha scritto che “per impugnare una contravvenzione devi fare u