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D S E Dipartimento Scienze Economiche No. 02/EV/2008 Studi Dipartimento di Scienze Economiche Università Ca’ Foscari Venezia V eneta sull Economia Giancarlo Corò Bruno Anastasia Economia del Nord Est 2008: ancora bassa crescita

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D S E Dipartimento Scienze Economiche

No. 02/EV/2008

Studi

Dipartimentodi ScienzeEconomiche

UniversitàCa’ Foscari

Venezia

Venetasull’Economia

Giancarlo CoròBruno Anastasia

Economia del Nord Est 2008: ancora bassa crescita

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Studi sull’Economia Veneta Dipartimento di Scienze Economiche

Università Ca’ Foscari di Venezia No. 02/EV/2007

Gli Studi sull’Economia Veneta del Dipartimento di Scienze Economiche

sono scaricabili all’indirizzo: www.dse.unive.it/pubblicazioni

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Economia del Nord Est 2008: ancora bassa crescita

Giancarlo Corò

Università Ca’ Foscari Venezia

Bruno Anastasia Agenzia Veneto Lavoro

Abstract L’articolo prende in esame i principali indicatori macroeconomici del Nord Est, arrivando alla conclusione che la lunga fase di stagnazione che l’economia regionale ha attraversato a partire dal 2002 non si è ancora conclusa. Come per gli anni precedenti, anche nel 2008 le difficoltà maggiori si presentano sul fronte degli investimenti produttivi, a cui si aggiunge nella fase più recente la frenata delle attività immobiliari. Si conferma, inoltre, un modello di crescita tendenzialmente estensivo, nel quale rimane bassa la dinamica della produttività, a fronte invece di una tenuta dell’occupazione, grazie soprattutto alla componente dei servizi. L’allineamento dei tassi di sviluppo regionali alla media nazionale comporta anche un peggioramento relativo della posizione del Nord Est rispetto alla media europea, in particolare nei confronti delle regioni del Nord Europa a più elevato tasso di innovazione. I fenomeni più dinamici si manifestano nella proiezione internazionale delle imprese, dove alle tradizionali relazioni commerciali si aggiungono sempre più fitti rapporti di interdipendenza produttiva con l’Europa centro-orientale e con l’estremo Oriente. Parole Chiave Crescita economica regionale, produttività, internazionalizzazione

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Giancarlo Corò Dipartimento di Scienze Economiche

Università Ca’ Foscari di Venezia Cannaregio 873, Fondamenta S.Giobbe

30121 Venezia - Italia Telefono: (++39)041 2349189

Fax: (++39)041 2349176 e-mail: [email protected]

Gli Studi sull’Economia Veneta sono pubblicati a cura del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Venezia. I lavori riflettono esclusivamente le opinioni degli autori e non impegnano la responsabilità del Dipartimento. Gli studi sull’economia veneta vogliono promuovere la circolazione di studi ancora preliminari e incompleti, per suscitare commenti critici e suggerimenti. Si richiede di tener conto della natura provvisoria dei lavori per eventuali citazioni o per ogni altro uso.

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Economia del Nord Est 2008: ancora bassa crescita∗ 1. Ritorno sotto la soglia del 2% La soglia fatidica di un incremento del pil del 2%, che nelle aree ad elevato sviluppo fa da spartiacque tra un tasso di crescita “accettabile” e uno “insufficiente”, si è nuovamente allontanata dagli orizzonti di breve periodo dell’economia del Nord Est. L’obiettivo di raggiungere tale soglia è quindi fallito per il 2007, e appare oggi irrealistico anche per il 2008. La fase di semi-stagnazione che il Nord Est ha vissuto, oltre ogni previsione, per tutto il quinquennio 2001-2005, non si è dunque ancora conclusa. Nelle analisi effettuate gli scorsi anni si era dovuto ripetutamente aggiustare il tiro (e le speranze), procrastinando di continuo l’imbocco della ripresa. Nel 2006, come segnalato nel Rapporto dello scorso anno, era sembrato che il tema del “declino industriale” – su cui si era soffermato il dibattito politico-economico italiano a partire dal 2001 – potesse essere definitivamente archiviato. Note di ottimismo erano infatti giunte da diverse analisi incentrate sulla eterogeneità della capacità di reazione alla crisi da parte delle imprese italiane. In particolare, un ampio gruppo di “medie imprese” dinamiche sembrava addirittura uscito rafforzato dalla fase di difficoltà che l’economia italiana aveva vissuto dalla seconda metà degli anni ’90.1 Infatti, se la concorrenza internazionale stava operando una dura selezione nel tessuto produttivo italiano, d’altro canto aveva anche contribuito a liberare risorse che potevano, quindi, essere ri-organizzate in modo più efficiente dalle imprese che si erano meglio attrezzate per affrontare la nuova fase competitiva. L’emergere delle “medie imprese” poteva, dunque, essere interpretato come segnale che alcuni processi di trasformazione strutturale si erano concretamente manifestati, anche se erano rimasti per lo più nascosti nelle pieghe della bassa crescita degli ultimi anni. A livello aggregato, un indicatore di questa capacità di reazione si poteva cogliere nel fatto che la flessione della quota italiana sull’export mondiale fosse stata, se misurata “in valore”, inferiore a quella misurata “in volume”, riflettendo così una crescita dei valori medi unitari delle esportazioni - che rappresenta un indice di up-grading competitivo - superiore a quella dei paesi concorrenti.2 Il sommarsi di positivi segnali congiunturali aveva quindi giustificato proiezioni ottimiste, che si erano spinte a disegnare un quinquennio in cui, finalmente, gli incrementi del pil si sarebbero dovuti tenere sopra la linea del 2%. Ancora nel primo semestre 2007 il “clima” congiunturale risultava positivo. Tuttavia, già dall’estate, quando si iniziano a percepire le prime conseguenze nel mercato del credito della crisi dei mutui sub prime,3 ecco arrivare una nuova “gelata”, che ha condotto rapidamente a rivedere al ribasso i primi preconsuntivi per il 2007, e a limare progressivamente le previsioni per il 2008, fino a vedere affacciarsi nuovamente in Italia lo spettro della crescita zero. E anche se i dati del primo trimestre 2008 hanno un po’ risollevato le aspettative, ad oggi è da ritenere addirittura poco probabile per l’economia del Nord Est il traguardo di un modesto +1%.

∗ Questo saggio costituisce, con alcune modifiche, il capitolo sugli indicatori economici del volume Nord Est 2008. Rapporto sulla società e l’economia, a cura di D. Marini e S. Oliva, Marsilio, 2008. 1 Si veda l’ultimo Rapporto Mediobanca-Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 1996-2005, Milano, 2008. Per un’analisi dei percorsi di sviluppo delle medie imprese, sia consentito rinviare a Corò G., Grandinetti R., Strategie di crescita delle medie imprese, edizioni Il Sole 24 Ore, Milano, 2007. 2 Per una discussione di questo indicatore cfr. Istituto Commercio Estero, L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del Rapporto Ice 2006-2007, Roma, 2007. 3 Per una “cronologia della crisi” e per la sua “originalità” rispetto alle precedenti crisi finanziarie - nate non al centro ma in periferia, nei mercati emergenti (crisi russa, crisi asiatica, crisi messicana) – cfr. Osservatorio monetario, 1, 2008 (www.assbb.it/laboratorio/osservatorio.asp)

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Grafico 1. Dinamica del pil: il decennio 1999-2008

-2,0

-1,0

0,0

1,0

2,0

3,0

4,0

5,0

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: ns. elab. su dati Istat, Prometeia, Eurostat

Area Euro (13 Paesi aderenti al2007)

Nord Est

Italia

Così il primo decennio del nuovo secolo è oramai destinato ad essere consegnato alla storia economica come un periodo di crescita incredibilmente lenta. Il che contrasta con la rappresentazione prevalente dell’economia del Nord Est che si è venuta a costruire con una lunga fase di sviluppo accelerato, e che pochi ritenevano si potesse interrompere così bruscamente. Una spiegazione plausibile e rassicurante di questo rallentamento si potrebbe trovare nella legge dei “rendimenti marginali decrescenti”: tanto più alto è il livello di sviluppo economico, tanto più difficile è mantenere elevato il tasso di crescita. Tuttavia, per quanto apparentemente intuitiva, questa spiegazione non è molto sostenibile sul piano teorico, né trova riscontri empirici robusti. Infatti, fra le economie che dopo il 2000 si sono mostrate più dinamiche in Europa troviamo non solo alcuni new comers, come i Paesi baltici e alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale, ma troviamo anche Paesi con più elevati livelli di sviluppo, come Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Olanda, Irlanda e Regno Unito. Non troviamo, invece, la Grecia, il Portogallo, né, purtroppo, il Mezzogiorno d’Italia, che se fosse vera la legge dei rendimenti decrescenti, dovrebbe evidenziare tassi di sviluppo molto superiori a quelli medi europei. In termini teorici, l’idea che il tasso di crescita di un’economia abbia una relazione inversa al livello del prodotto pro-capite è stata messa in discussione da quando è emerso il ruolo dell’innovazione nella dinamica della produttività.4 E’ quest’ultima, infatti, la variabile chiave della crescita di lungo periodo, soprattutto per le economie già posizionate ad elevati livelli di sviluppo. Come vedremo fra poco, è proprio la bassa dinamica della produttività che spiega le difficoltà ad avviare un nuovo ciclo di sviluppo del Nord Est. Un altro aspetto da considerare è come la lentezza nella capacità di creare nuove risorse per il mercato allinei perfettamente il Nord Est all’economia italiana. Del resto, in questi anni non risulta si sia manifestato alcun processo robusto di decoupling tra ciclo economico del Nord Est e quello

4 Per una ricostruzione chiara ed efficace delle principali teorie della crescita economica si veda Helpman E., Il mistero della crescita economica, il Mulino, 2007. Un’analisi più tecnica è proposta da Musu, I., Crescita economica, il Mulino, 2007. Per una lettura storica dell’analisi economica sulla crescita, centrata in particolare sul ruolo dell’innovazione, si veda Warsh D., La conoscenza e la ricchezza delle nazioni, Feltrinelli, 2007.

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italiano. Anzi, proprio l’aggancio sistematico della congiuntura regionale a quella nazionale costituisce un tratto in parte inedito, almeno in queste dimensioni, del nuovo profilo economico del Nord Est.5 Considerando in termini più analitici gli ultimi dieci anni (graf. 1 e tab. 1), osserviamo che l’Italia ha superato la soglia di crescita del 2% solo una volta, nel 2000. Per il Nord Est si registra una dinamica un po’ più reattiva: dapprima segnata da un rallentamento più accentuato nel 2001 e nel 2002, e poi da un miglior “rimbalzo” a partire dal 2003. In ogni caso, la fatidica soglia del 2% è stata superata solo nel 2006 (oltre che nel 2000) e risulta appena sfiorata nel 2004. Si segnala, inoltre, che mentre nel triennio 2003-2005 il Nord Est sembrava tener bene il passo di sviluppo dell’“area euro” – qui intesa come l’area a 13 Paesi che condividevano la moneta comune all’inizio del 2007 – successivamente non risulta più essere in grado di reggerne il ritmo. Tab. 1 - La dinamica del prodotto interno lordo in termini reali. Anni 1999-2007 e previsioni 2008

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Trentino Alto Adige 0,7 5,0 -0,7 -0,8 0,8 1,0 1,6 1,8 1,7 0,8Veneto 1,4 4,4 0,8 -1,1 1,3 2,6 1,0 2,5 1,8 0,7Friuli Venezia Giulia 2,4 3,4 3,1 -0,4 -2,0 0,7 3,5 2,7 2,0 0,9Nord Est 1,5 4,3 0,9 -0,9 0,7 2,1 1,5 2,4 1,8 0,8Italia 1,9 3,5 1,8 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 0,5Area Euro (13 Paesi aderenti al 2007) 3,0 3,8 1,9 0,9 0,8 2,1 1,6 2,8 2,6 1,7

Fonte: ns. elab. su dati Istat, Prometeia, Eurostat E’ vero che in questi giudizi sulle dinamiche congiunturali, soprattutto quelle più recenti, la cautela non è mai troppa, specie quando si esaminano gli indicatori per livelli territoriali sub-nazionali. E’ ovvio, del resto, che tempestività e accuratezza non vadano sempre d’accordo, e la pressione spasmodica per conoscere e valutare “in tempo reale” l’evoluzione delle strutture produttive e sociali può indurre in errori non banali. A volte, infatti, la prima valutazione viene confermata da quelle successive, che possono contare su più ampie basi di dati e su più meditate verifiche. Altre volte le correzioni che con il tempo si rendono necessarie, a seguito dell’affluire di una migliore e più completa documentazione o dell’affinamento dei criteri interpretativi, possono risultare tutt’altro che marginali, giungendo fino a cambiare il segno di alcune variazioni. Nel graf. 2 possiamo vedere come gli stessi consuntivi proposti dall’Istat siano andati modificandosi nei successivi rilasci: ad esempio, la valutazione della dinamica del pil nel 2002 si è rivelata, alla fine, nettamente peggiore – con una recessione dell’1% – di quella fornita con i primi consuntivi ufficiali resi disponibili nel 2005. Viceversa, la prima valutazione estremamente negativa proposta per il 2005 si è successivamente attenuata, fino al punto da far emergere, invece di una seconda recessione, un modesto incremento del pil, valutabile tra l’1 e l’1,5%.

5 Secondo le analisi dell’Istituto Tagliacarne, la dinamica del pil nella maggioranza delle province nordestine è stato fortemente correlato alla dinamica del pil nazionale nel periodo 1995-2005: cfr. Capuano G., “A Venezia, Lucca e Prato la crisi sarà più pesante”, in Il Sole-24 ore, 17 marzo 2008.

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Graf. 2 - Il pil del Nord Est 2001-2008, secondo valutazioni successive

-1,5%

-1,0%

-0,5%

0,0%

0,5%

1,0%

1,5%

2,0%

2,5%

3,0%

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: ns. elab. su dati Istat-Prometeia

Istat, dbase ediz2005Istat, dbase ediz2006Istat, dbase ediz2007Prometeia, maggio2008

Tutto ciò, dunque, invita a prendere con cautela la valutazione proposta per il 2007 e, ancor più, le previsioni per il 2008. Tuttavia, come abbiamo già ricordato, le “sorprese” che i dati definitivi potrebbero riservare, non potranno essere tali da modificare l’immagine di fondo che, ormai, accompagna il giudizio complessivo su questo decennio di “bassa crescita”. 2. Implicazioni della bassa crescita L’opinione che emerge dall’analisi delle variabili macro-economiche può essere variamente addolcita o appesantita in relazione ai benchmark che si adottano e agli aspetti che si intendono sottolineare. Proviamo allora a leggere con maggiore dettaglio il quadro congiunturale, con l’obiettivo di ricavarne elementi utili per una valutazione più precisa sulle possibili implicazioni della bassa crescita. 2.1. Il freno agli investimenti In prima istanza, possiamo associare l’idea della bassa crescita a quella di uno “stato stazionario”, nel quale il problema principale è l’elevato costo di rinnovamento dello stock di capitale accumulato. Tale costo disincentiva, perciò, gli investimenti per l’innovazione, e questo avviene nel momento in cui, causa invecchiamento degli impianti, bisognerebbe, invece, aumentarli. Questo fenomeno non riguarda solo il capitale fisico, ma anche quello umano e sociale. Ciò è vero a cominciare dai dati demografici, dove sono sempre più evidenti le difficoltà del ricambio generazionale. Non meno evidenti sono i problemi che riguardano gli assetti istituzionali, sul cui rinnovamento pesa un coacervo di rendite acquisite, interessi organizzati e certezze ereditarie. Insomma, è facile immaginare che condizioni di bassa crescita si accompagnino ad una tendenziale avversione all’innovazione. Come ha osservato Benjamin Friedman6, questa relazione ha due facce: da un lato, infatti, la formazione di un blocco sociale avverso all’innovazione rappresenta l’esito molto probabile di una condizione di bassa crescita, in quanto nelle economie stagnanti tendono a prevalere logiche distributive, condizioni di avversione al rischio e varie forme di chiusura verso

6 Cfr. Friedman B.M., Il valore etico della crescita. Sviluppo civile e progresso economico, Università Bocconi editore, Milano, 2006.

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l’esterno; dall’altro lato, questo blocco costituisce un fattore che indebolisce le forze del cambiamento, riducendo le condizioni che possono far nascere nuovi progetti. In questo senso, una volta che il circolo vizioso viene avviato, non è semplice uscirne, soprattutto in presenza di una elevata mobilità delle risorse. Sul terreno squisitamente economico la bassa crescita ha come effetto immediato la maggiore rigidità della finanza pubblica: le spese delle amministrazioni sono più difficili da alimentare tramite prelievo fiscale, ma ancora più difficile è ri-orientarle e qualificarle. Se tra le pieghe dei bilanci si possono trovare risorse per risolvere problemi di singole categorie, è tuttavia più difficile reperire quanto serve per riforme importanti e investimenti strategici: basti pensare al ridisegno universalistico del Welfare (flexicurity), al rilancio del sistema della ricerca, dell’istruzione e dell’Università, alla realizzazione di grandi infrastrutture energetiche, tecnologiche e ambientali. Ciò nonostante, secondo le previsioni per il 2008 i consumi delle amministrazioni pubbliche rimangono comunque la componente più dinamica dell’economia. Come si evidenzia in tab. 2, questa situazione vale sia per il Nord Est che per l’Italia nel suo insieme. Se da un lato ci troviamo di fronte all’attesa funzione anticiclica del settore pubblico, dall’altro ciò conferma ancora una volta le difficoltà che si addensano attorno alle altre componenti della domanda interna: consumi privati e investimenti fissi lordi. Questi ultimi, in particolare, sembravano avere riacquistato vigore tra il 2004 e il 2006, facendo sperare in una ripresa duratura. Invece, nel 2007-2008 risultano la componente meno dinamica della domanda interna.

Consumi finali delle famiglie

Consumi delle Amministrazioni

pubblicheInvestimenti

fissi lordi

NORD EST1999 3,0% 2,9% 1,5% 4,5%2000 4,6% 3,8% 4,7% 6,6%2001 2,5% 0,9% 3,8% 5,9%2002 2,0% -0,3% 2,3% 7,4%2003 -0,4% 0,6% 2,1% -4,3%2004 1,4% 1,1% 1,9% 2,1%2005 2,1% 1,5% 2,3% 3,4%2006 1,3% 1,1% 1,1% 1,9%2007 1,2% 1,5% 1,1% 0,8%2008 0,5% 0,5% 0,7% 0,3%

ITALIA1999 2,5% 2,4% 1,4% 3,6%2000 3,3% 2,7% 2,2% 6,4%2001 1,6% 0,5% 3,9% 2,7%2002 1,2% -0,1% 2,5% 3,7%2003 0,5% 0,6% 2,0% -1,2%2004 1,4% 0,9% 2,3% 2,3%2005 1,0% 0,8% 1,9% 0,7%2006 1,4% 1,2% 0,9% 2,5%2007 1,3% 1,3% 1,3% 1,2%2008 0,5% 0,5% 0,9% 0,2%

Fonte: ns. elab. su dati Istat-Prometeia

Totale

di cui:

Tab. 2 - Nord Est e Italia. Dinamica delle componenti della domanda interna. Valori concatenati, anno di riferimento 2000, variazioni %

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2.2. Cresce ancora l’occupazione, ma è sempre ferma la produttività Non troviamo certo conforto, in questo excursus, andando ad analizzare la dinamica della produttività, così come usualmente misurata, nell’accezione più semplice e immediata, del prodotto per addetto. Dai dati esposti in tab. 3 emerge chiaramente che il pil viene sospinto ancora, per quel poco di crescita che si registra, soprattutto dall’espansione dell’occupazione: nella maggior parte degli anni osservati la dinamica di quest’ultima (sempre misurata in termini di unità di lavoro standard) ha fatto nettamente premio sull’incremento del pil per unità di lavoro. E se nel 2007 occupazione e produttività si erano all’incirca spartiti i meriti della ridotta crescita, nel 2008, secondo le previsioni disponibili, solo l’occupazione continuerà ad espandersi nel Nord Est (+0,7%), mentre la produttività, almeno a livello aggregato, resterà bloccata (+0,1%). Poiché dar troppo peso alle dinamiche di singoli anni può essere rischioso e distorcente, possiamo soffermarci sulla considerazione di dinamiche di più lungo periodo: in tal modo si limita la possibilità di localizzare precisamente i punti di svolta del ciclo ma si attenuano anche i possibili errori di misura, approdando quindi a valutazioni di medio periodo più affidabili. Con questa finalità possiamo mettere in evidenza che:

- nel decennio 1999-2008 il pil del Nord Est in termini reali è cresciuto del 16%; - in termini di pil pro-capite la crescita è stata nettamente inferiore, pari all’8%, perché di

pressoché pari rilievo è stata l’espansione, grazie all’immigrazione, della popolazione; - la crescita del pil pro-capite riflette soprattutto la dinamica positiva dell’occupazione

(+10%, superiore quindi a quella della popolazione)7, mentre il contributo della produttività è stato nettamente più modesto (+6%).

Tab. 3 - La dinamica del pil pro capite e della produttività. Confronto tra Italia e Nord Est

pil prezzi mercato (ml. di €, val. conc., rif.

2000)

popolazione residente a metà

anno (migliaia)unità di lavoro

totali (migliaia)

pil pro capite (val. conc.,

rif. 2000)

pil per unità di lavoro (val.

conc., rif. 2000)

pil prezzi mercato (ml.

di €, val. conc., rif.

2000)

popolazione residente a metà anno (migliaia)

unità di lavoro totali (migliaia)

pil pro capite (val. conc.,

rif. 2000)

pil per unità di lavoro (val.

conc., rif. 2000)

NORD EST1998 155.231 6.552 3.124 23.694 49.6821999 157.508 6.578 3.140 23.944 50.164 1,5% 0,4% 0,5% 1,1% 1,0%2000 164.325 6.609 3.218 24.865 51.064 4,3% 0,5% 2,5% 3,8% 1,8%2001 165.883 6.640 3.259 24.984 50.906 0,9% 0,5% 1,3% 0,5% -0,3%2002 164.363 6.687 3.276 24.580 50.169 -0,9% 0,7% 0,5% -1,6% -1,4%2003 165.472 6.762 3.306 24.473 50.058 0,7% 1,1% 0,9% -0,4% -0,2%2004 168.899 6.841 3.320 24.688 50.876 2,1% 1,2% 0,4% 0,9% 1,6%2005 171.402 6.906 3.321 24.821 51.616 1,5% 0,9% 0,0% 0,5% 1,5%2006 175.516 6.956 3.375 25.231 51.999 2,4% 0,7% 1,6% 1,7% 0,7%2007 178.688 7.012 3.402 25.482 52.524 1,8% 0,8% 0,8% 1,0% 1,0%2008 180.072 7.040 3.426 25.578 52.564 0,8% 0,4% 0,7% 0,4% 0,1%

var. 2008/1998 16% 7% 10% 8% 6%ITALIA

1998 1.127.736 56.907 22.863 19.817 49.3251999 1.149.124 56.916 22.984 20.190 49.996 1,9% 0,0% 0,5% 1,9% 1,4%2000 1.189.912 56.942 23.397 20.897 50.857 3,5% 0,0% 1,8% 3,5% 1,7%2001 1.211.782 56.977 23.816 21.268 50.880 1,8% 0,1% 1,8% 1,8% 0,0%2002 1.217.473 57.157 24.122 21.300 50.472 0,5% 0,3% 1,3% 0,2% -0,8%2003 1.217.131 57.605 24.272 21.129 50.145 0,0% 0,8% 0,6% -0,8% -0,6%2004 1.235.635 58.175 24.363 21.240 50.717 1,5% 1,0% 0,4% 0,5% 1,1%2005 1.242.518 58.607 24.401 21.201 50.921 0,6% 0,7% 0,2% -0,2% 0,4%2006 1.265.380 58.941 24.815 21.468 50.992 1,8% 0,6% 1,7% 1,3% 0,1%2007 1.283.813 59.329 25.071 21.639 51.208 1,5% 0,7% 1,0% 0,8% 0,4%2008 1.289.782 59.572 25.148 21.651 51.287 0,5% 0,4% 0,3% 0,1% 0,2%

var. 2008/1998 12% 5% 9% 7% 3%

Fonte: ns. elab. su dati Istat-Prometeia

Valori assoluti Var. %

7 Anche se misurato sulla base delle unità di lavoro e sul totale della popolazione (a differenza dell’ordinaria modalità, basata sul numero medio di occupati e sulla popolazione 15-64 anni), il tasso di occupazione risulta comunque aumentato.

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3. Confronti europei: una lenta erosione dei vantaggi accumulati? Per un’area ad elevato sviluppo come il Nord Est, la “bassa crescita” non è tanto da interpretare in valore “assoluto”, quanto in relazione alle dinamiche di aree con le quali siamo soliti confrontarci, quali possono essere le regioni europee a forte base industriale. Tale raffronto, oltre ad avere un valore analitico e simbolico, può generare effetti economici reali: infatti, vicinanza geografica e somiglianza strutturale sono condizioni che accentuano il confronto competitivo nelle scelte di investimento diretto e del capitale umano, e rendono perciò tali scelte più sensibili al differenziale nei tassi di crescita. Secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili (tab. 4), nel 2005 il pil per abitante nell’Unione Europea a 27 paesi risultava, a valori correnti, pari a 22.400 euro. Nell’area euro a 13 paesi il pil pro-capite saliva a 25.569 euro correnti (che diventano 25.246 se stimati in parità di potere d’acquisto). Nell’insieme dell’Unione Europea “storica” a 15, tali valori arrivavano a 26.652 euro se misurati a tassi correnti, e a 25.246 euro se, invece, sono espressi in parità di potere d’acquisto. Nel Nord Est si andava dai 27.263 euro pro capite del Friuli Venezia Giulia agli oltre 31.600 della provincia di Bolzano, con valori di circa 1.000 euro inferiori se tradotti in parità di potere d’acquisto. Pertanto, il pil pro-capite del Nord Est risultava essere nettamente superiore a quello medio europeo. Precisamente:

- del 41% nel caso della provincia di Bolzano; - del 27 e del 28% con riferimento rispettivamente al Trentino e al Veneto; - del 22% nel caso del Friuli Venezia Giulia.

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Tab. 4 - Prodotto interno lordo per abitante: confronto tra i Paesi europei e alcune delle principali regioni

1995 2005 1995 2005 1995 2005 1995 2005

Unione Europea (27 paesi) 14.628 22.400 100 100 14.628 22.400 100 100 Unione Europea (15 paesi) 18.055 26.652 123 119 16.958 25.246 116 113 Area Euro (13 Paesi) 18.304 25.569 125 114 16.953 24.804 116 111

Italia 15.149 24.281 104 108 17.741 23.474 121 105 Provincia Autonoma Bolzano-Bozen 21.317 31.666 146 141 24.965 30.613 171 137

Provincia Autonoma Trento 19.037 28.426 130 127 22.295 27.482 152 123 Veneto 17.807 28.643 122 128 20.854 27.691 143 124

Friuli-Venezia Giulia 17.462 27.263 119 122 20.449 26.357 140 118

Germania (p) 23.627 27.219 162 122 18.901 25.797 129 115 Baden-Württemberg (p) 26.473 30.433 181 136 21.178 28.843 145 129

Bayern (p) 26.638 32.041 182 143 21.310 30.367 146 136 Irlanda (s) 14.249 38.928 97 174 15.055 32.197 103 144 Spagna 11.590 20.933 79 93 13.436 23.069 92 103

Cataluña 14.084 24.814 96 111 16.327 27.346 112 122 Francia 20.211 27.348 138 122 16.993 25.077 116 112

Île de France 30.744 42.167 210 188 25.849 38.666 177 173 Rhône-Alpes 20.439 27.582 140 123 17.184 25.291 117 113

Olanda (p) 20.732 31.192 142 139 18.111 29.374 124 131 Austria 23.052 29.797 158 133 19.853 28.852 136 129

Kärnten 19.385 25.362 133 113 16.695 24.557 114 110 Romania 3.681 - 16 7.933 - 35 Slovenia 7.807 14.120 53 63 10.620 19.462 73 87 Regno Unito 15.036 29.968 103 134 16.338 26.715 112 119

Eastern 14.524 28.550 99 127 15.782 25.451 108 114 Croazia 7.035 - 31 11.192 - 50

s = Stime Eurostat per il 2005p = Per il 2005 dato provvisorio

Fonte: ns. elab. su dati Eurostat (database Regio)

Numeri indici (Eu 27=100)

Prodotto interno lordo per abitante (in parità di potere d'acquisto)

Numeri indici (Eu 27=100)

Prodotto interno lordo per abitante

Valori correnti Valori correnti

Questo differenziale si riduce di 4-5 punti se il confronto viene condotto non sui valori nominali ma su quelli corretti per tener conto dell’effettivo potere d’acquisto. Occorre inoltre ricordare che la media europea rappresenta un insieme di 27 Paesi in cui sono incluse economie dell’Europa centro-orientale che partono da livelli di sviluppo decisamente più bassi di quelli dell’Europa Occidentale, anche se il gap si va riducendo. In ogni caso, anche focalizzando il confronto con l’Europa a 15, le regioni dell’Italia del Nord Est appaiono in buona posizione, sia che si misuri il pil a valori correnti (+7-8%), sia che si utilizzino i valori corretti per tener conto dell’effettivo potere d’acquisto (quasi + 10%). Questo maggior livello pro-capite del pil nel Nord Est è attribuibile, secondo i dati riportati nell’ultima relazione della Commissione europea sulla coesione economica e sociale,8 quasi interamente al più alto livello di produttività (nel 2004 superiore di circa il 20% a quello dell’Unione a 27 paesi), mentre più modesto è il contributo del tasso di occupazione, solo di poco (circa un punto) superiore a quello medio europeo.

8 Cfr. Commissione europea, Regioni in crescita, Europa in crescita. Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, maggio 2007.

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Passando dal confronto con le medie generali dell’Europa a quello con le regioni europee confinanti (Euroregione) o che presentano caratteri strutturali simili, si osserva che il livello medio del pil-pro capite del Nord Est risulta: - inferiore a quello delle regioni tedesche della Baviera (Bayern) e del Baden-Wurttemberg; - allineato in valori nominali, ma superiore in parità di potere d’acquisto, a quello della regione inglese dell’East Anglia; - inferiore a quello della regione parigina dell’Ile de France, ma superiore – soprattutto in termini di effettivo potere d’acquisto – a quello del Rhone-Alpes; - superiore in termini nominali, ma pressoché allineato in termini di potere d’acquisto, a quello della regione spagnola della Catalogna; - nettamente superiore a quello delle altre aree dell’Euroregione, siano esse incluse nella Ue (Carinzia, Slovenia) oppure no (Croazia). Poiché il tasso di occupazione del Nord Est è inferiore o, al massimo, allineato a quello di queste regioni, è evidente che il miglior posizionamento relativo in termini di pil pro-capite dipende dal prodotto per addetto: a tale riguardo il Nord Est risulta superato (ma di poco) solo dalla Baviera e dall’East Anglia. Il confronto statico fra livelli di benessere sembra, dunque, premiare le aree del Nord Est. Tutto a posto, dunque? In realtà, se dall’analisi dei livelli di prodotto pro-capite passiamo a considerare le variazioni intervenute nel corso degli ultimi dieci anni, gli effetti della bassa crescita si manifestano con una certa evidenza. Infatti, guardando le variazioni tra il 1995 e il 2005 in termini di pil pro-capite a parità di potere d’acquisto, vediamo che le distanze si sono notevolmente ridotte rispetto alla media europea o sono aumentate rispetto alle regioni europee che già nel 1995 ci sopravanzavano.9 C’è anzi da osservare che nel periodo 2000-2005 il Nord Est è l’area europea che perde maggiori posizioni rispetto alla media dell’Unione europea a 27.10 Pur con tutte le cautele nell’uso dei dati sul pil a livello sub-nazionale, la tendenza verso l’erosione delle posizioni raggiunte a fine anni ’90, appare per il Nord Est inequivocabile. Questa area sembra, dunque, avere sofferto più di altre regioni europee il processo di ri-aggiustamento industriale seguito all’introduzione dell’euro e al processo di allargamento verso est. 4. L’impatto sulla distribuzione del reddito Crescere poco non significa che tutto rimane immobile. Al contrario, la bassa crescita può creare tensioni sociali e, soprattutto, effetti re-distributivi che non possono essere sottovalutati. Ma qual è stato, in particolare, l’impatto della bassa crescita sulla distribuzione personale del reddito? Alcuni dati essenziali a tale riguardo sono riportati in tab. 5. A livello nazionale l’incidenza delle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà non risulta significativamente cambiata nel triennio 2004-2006: si tratta sempre dell’11% circa. Nel Nord Est la quota media è largamente inferiore, pari a circa la metà. Tuttavia, con l’eccezione del Trentino, si colgono segnali di allargamento di quest’area di più acuto disagio sociale anche nelle aree del Nord Est. Infatti, se da un lato si conferma il dato secondo cui la distribuzione dei redditi nel Nord Est appare meno sperequata che nella media italiana, e ciò è reso possibile anche da un livello medio di reddito e di consumi più elevato, nondimeno va evidenziato che una quota non proprio irrisoria della popolazione residente nel Nord Est segnala condizioni economiche precarie.

9 Per quanto riguarda l’Italia, si nota che da un pil pro capite pari al 99% della media di Eurolandia nel 1991, è scesa al 90,5% nel 2007, superata dalla Spagna e incalzata dalla Grecia. Cfr. Confindustria, Cambiare per crescere. La performance dell’Italia nel contesto internazionale, aprile 2008. 10 In particolare, fatta 100 la media pil pro-capite parità di potere d’acquisto UE 27, il Veneto passa da un valore indice 140 del 2000 a 124; Bolzano da 159 a 144; Trento da 140 a 123; il Friuli V.G. da 131 a 118. Per un confronto, ricordiamo che, nello stesso periodo, il Baden Wurttemberg passa da 134 a 129; la Baviera da 140 a 136; la Catalogna da 119 a 122. Più in generale, l’UE 15 si stabilizza attorno ai valori 115-113.

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In particolare, il 6% della popolazione dichiara di incontrare difficoltà nel pagare le bollette o nell’affrontare spese mediche e di riscaldamento. Inoltre, circa il 10% della popolazione del Veneto e del Friuli Venezia Giulia dichiara di arrivare con fatica alla fine del mese, e oltre il 20% non riesce a sostenere spese impreviste. Tab. 5 - Reddito e condizioni economiche delle famiglie. Alcuni indicatori

Bolzano Trento VenetoFriuli Venezia

Giulia Italia

A. Reddito familiare netto, esclusi i fitti imputati, 2005Media 32.008 30.289 29.421 28.424 27.736 Mediana 27.082 27.068 24.879 23.987 22.460 Indice del Gini 0,267 0,253 0,271 0,262 0,321

B. Distribuzione delle famiglie nei quinti di reddito equivalente, inclusi i fitti imputati, 2005primo quintile 7,8 6,9 10,2 9,6 20,0secondo quintile 17,0 20,6 19,4 20,8 20,0terzo quintile 21,7 20,0 23,6 20,2 20,0quarto quintile 25,8 27,2 25,9 27,8 20,0quinto quintile 27,7 25,4 20,9 21,6 20,0

C. Indicatori di disagio economico (% di famiglie), 2006arriva a fine mese con molta difficoltà 5,0 3,4 11,0 10,3 14,6 non riesce a sostenere spese impreviste 18,1 17,0 23,6 22,6 28,4 è stata in arretrato con le bollette 3,7 1,7 6,9 5,2 9,3 non riscalda la casa adeguatamente 2,3 3,0 6,2 6,9 10,4 non ha avuto soldi per alimentari 3,6 3,1 3,4 2,7 4,2 non ha avuto soldi per spese mediche 4,0 2,8 6,1 5,1 10,4 non ha avuto soldi per vestiti necessari 7,6 5,8 12,6 7,8 16,8

D. I consumi delle famiglie (inclusi fitti figurativi) (valori medi annui in euro)2003 32.148 27.732 31.440 26.628 27.696 2004 37.116 26.652 32.592 29.796 28.572 2005 38.736 31.548 32.832 28.548 28.776 2006 - alimentari 4.944 4.740 5.328 4.812 5.604 - non alimentari 29.928 26.808 30.528 24.060 23.928 - totale 34.872 31.548 35.856 28.872 29.532

E. Composizione della spesa familiareAlimentari e bevande 14,2 15,0 14,9 16,7 18,9Spese personali (vestiti, salute) 18,5 17,4 15,5 14,7 16,3Abitazione, arredamento 35,5 41,3 38,5 39,4 36,9Trasporti-comunicazioni 17,4 16,0 18,6 17,0 16,8Altri beni e servizi 14,6 10,2 12,6 12,1 11,1

F. Incidenza di povertà relativa (% di famiglie al di sotto della soglia di povertà)2004 4,6 9,9 4,6 5,3 11,72005 4,0 6,1 4,5 7,2 11,12006 7,1 5,3 5,0 8,2 11,1

Fonte: Istat, Distribuzione del reddito e condizioni di vita in Italia (2005-2006), 17 gennaio 2008 Istat, I consumi delle famiglie , anno 2006, 5 luglio 2007 Istat, La povertà relativa in Italia nel 2006 , 4 ottobre 2007 In ogni caso è giusto osservare che il modello di sviluppo del Nord Est, basato su imprenditorialità diffusa e un’ampia partecipazione al lavoro, è riuscito finora ad assicurare, rispetto al resto d’Italia, una più equa distribuzione della ricchezza. Sempre guardando alla tab. 5 si osserva, infatti, che le famiglie presenti nelle fasce di reddito più basse (il primo quintile) nel Nord Est è pari a meno della

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metà di quanto osservato nella media italiana. Un’altra conferma viene dall’indice di concentrazione calcolato sui redditi familiari del 2005: in tutte le regioni del Nord Est risulta significativamente inferiore a quello calcolato a livello nazionale. L’interrogativo a cui è più difficile trovare una risposta con i dati disponibili è come si sia modificata tale situazione nel corso degli ultimi anni. L’ipotesi è che, oltre agli effetti re-distributivi innescati dai processi di ri-aggiustamento industriale, anche il fenomeno migratorio modifichi alcuni degli elementi caratteristici del modello sociale del Nord Est, per il quale il buon equilibrio distributivo ha rappresentato, finora, anche un fattore di integrazione. Si tratta, perciò, di un aspetto da tenere sotto osservazione e sul quale servono senz’altro specifici supplementi d’indagine. 5. L’evoluzione terziaria della struttura produttiva Un’altra prospettiva da cui guardare questa fase di bassa crescita è rappresentata dalle trasformazioni della struttura produttiva. A questo proposito, il dato sul numero di imprese attive per settore (tab. 6), continua a fornire evidenze che meritano di essere segnalate e che possiamo sintetizzare nei punti seguenti:

a. nel loro insieme, le imprese manifatturiere continuano a diminuire. E’ il sesto anno consecutivo in cui ciò accade. Da questa progressiva erosione è escluso il comparto alimentare, dove il numero di attori è, invece, vistosamente aumentato (+20% circa tra il 2000 e il 2007). I cali più consistenti, sia in valori assoluti che in valori relativi, sono segnalati per i comparti del legno-mobilio e per il sistema moda (tessile, abbigliamento, calzature). Tuttavia, è opportuno fissare l’attenzione su un fenomeno interessante che si è manifestato nel 2007 nel comparto dell’abbigliamento: per la prima volta in questo decennio il saldo fra imprese cessate e avviate risulta positivo. Probabilmente, la dura selezione competitiva che l’industria della moda ha attraversato nel corso degli ultimi anni inizia, lentamente, a dare segnali di stabilizzazione, con imprese più forti sul mercato, e la creazione di possibilità di entrata da parte di operatori innovativi;

b. la crescita delle imprese attive nel comparto delle costruzioni è a dir poco stupefacente: da 78.000 alla fine degli anni ’90 si è passati alle oltre 100.000 oggi attive. Nel 2007 la velocità di crescita si è “solo” attenuata: + 2.000 imprese rispetto a valori di incremento quasi doppi osservati tra il 2002 e il 2004. Dentro questa dinamica ci sono vari fattori: la crescita del mercato, certo, ma anche la frammentazione delle modalità organizzative e il forte incremento della presenza di lavoratori stranieri, non solo come dipendenti ma anche come piccoli imprenditori e artigiani, più o meno effettivamente “autonomi”;

c. nel comparto dei servizi preso nel suo insieme si è registrata una tendenza di crescita pressoché continua: da quasi 300.000 imprese presenti nel Nord Est alla fine degli anni ’90, si è passati ad oltre 330.000 attive attualmente. Più della metà di questo incremento è attribuibile ai servizi immobiliari, evidentemente collegati alla filiera-casa che, in questi anni, ha rappresentato un vero e proprio volano per l’economia, anche se con implicazioni non sempre positive.11 La quota rimanente dell’incremento è stata appannaggio dei servizi professionali, dei servizi alle persone e delle attività ricettive (alberghi-ristorazione). Un segnale importante, da monitorare adeguatamente, è la contrazione delle attività commerciali, iniziata nel 2005, arginata nel 2006 e ripresa intensamente nel 2007.

11 Sui rischi di una “ricchezza immobile” ci siamo soffermati, in modo circostanziato, nel Rapporto 2007, a cui sia consentito rinviare per un’analisi delle ragioni e dei rischi della forte crescita degli investimenti immobiliari, soprattutto in nuove costruzioni, che si è manifestata nel Nord Est, e in particolare in Veneto, dalla fine degli anni ‘90.

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Tab. 6 - Imprese attive per settore. Dati 2000-2007

2000-2001 2001-2002 2002-2003 2003-2004 2004-2005 2005-2006 2006-2007

A Agricoltura, caccia e silvicoltura 135.460 8.489- 7.249- 5.568- 3.307- 2.459- 3.519- 4.771- 35.362- B Pesca,piscicoltura e servizi connessi 3.334 365 198 189 63 62 15 162 1.054 C Estrazione di minerali 496 5 2 12- 9- 4- 9- 4- 31- D Attività manifatturiere 87.465 170 263- 876- 1.050- 822- 934- 700- 4.475- 91.940 -5%

Alimentari, bevande e tabacco 9.967 313 248 250 269 237 145 164 1.626 8.341 19%Tessili 2.923 87- 120- 191- 177 156- 92- 79- 548- 3.471 -16%Abbigliamento 5.784 151- 137- 235- 508- 104- 55- 93 1.097- 6.881 -16%Concia e calzature 2.855 105- 126- 128- 115- 135- 67- 28- 704- 3.559 -20%Carta, editoria e stampa 4.351 124 21 21- 39 61 25- 71- 128 4.223 3%Chimica, gomma e plastica 2.581 23- 18- 40- 104- 57- 53- 10- 305- 2.886 -11%Lavorazione dei minerali non metalliferi 4.323 23- 27- 35- 25 76- 56- 86- 278- 4.601 -6%Meccaniche e mezzi di trasporto 33.973 371 105 47- 400- 192- 140- 107- 410- 34.383 -1%Legno-mobili e altre manifatturiere 20.378 265- 237- 444- 441- 442- 607- 571- 3.007- 23.385 -13%Recupero e preparaz. per il riciclaggio 330 16 28 15 8 42 16 5- 120 210 57%

E Energia elettrica, gas, acqua 632 16 19 30 25 26 49 21 186 446 42%F Costruzioni 101.301 3.460 4.126 3.748 3.808 3.236 3.183 2.071 23.632 77.669 30%G Commercio e riparazioni 147.702 359 489 65 449 143- 76 895- 400 147.302 0%H Alberghi e ristoranti 40.572 474 278 148 518 363 305 288 2.374 38.198 6%I Trasporti e comunicazioni 23.476 167 114 68 411 7 585- 616- 434- 23.910 -2%J Intermediaz.monetaria e finanziaria 12.070 693 58 80- 202- 136 247 18 870 11.200 8%K Servizi immobiliari, noleggio, informatica, altri 79.397 5.215 4.056 3.262 4.096 4.127 3.782 2.898 27.436 51.961 53%

Attività immobiliari 39.638 3.111 2.779 2.319 2.925 2.915 2.586 1.762 18.397 21.241 87%Noleggio 2.403 9 89 64 109 37 20 36 364 2.039 18%Informatica 10.285 776 380 118 203 189 172 107 1.945 8.340 23%Ricerca e sviluppo 395 10 4 5 26 47 26 57 175 220 80%Altri servizi 26.676 1.309 804 756 833 939 978 936 6.555 20.121 33%

M Istruzione 2.079 113 78 56 141 229 93 7 717 1.362 53%N Sanità e servizi sociali 2.021 57 97 54 203 98 100 69 678 1.343 50%O Altri servizi alle persone 25.858 249 299 302 988 404 300 274 2.816 23.042 12%

Non classificate 1.173 1.658- 140- 329- 381- 1.329- 53- 340 3.550- 4.723 -75%TOTALE 663.036 1.196 2.162 1.057 5.753 3.931 3.050 838- 16.311 646.725 3%Totale esclusa agricoltura e pesca 527.576 9.685 9.411 6.625 9.060 6.390 6.569 3.933 51.673 475.903 11%

333.175 7.327 5.469 3.875 6.604 5.221 4.318 2.043 34.857 298.318

Fonte: nostra elaborazione su dati Infocamere

variazioni sull'anno precedentestock a fine 2007

variazione complessiva 2000-2007

Che sia necessario spostare l’attenzione sui servizi è confermato anche dai dati di contabilità economica regionale: nell’ultimo triennio la crescita del pil nel complesso dei servizi è stata nel Nord Est sempre superiore a quella media dell’economia e quindi a quella degli altri settori. Inoltre, dal 2003 la crescita del pil dei servizi del Nord Est è sempre stata superiore alla media italiana (tab. 7). Si tratta di segnali di trasformazione che, per un’economia industriale matura vanno nella direzione attesa. D’altro canto, la crescita dei servizi può trovare nel forte tessuto manifatturiero del Nord Est un interessante fattore di domanda. I processi di ri-posizionamento competitivo dell’industria, oltre a spingere l’occupazione manifatturiera verso la ricerca di un lavoro nei servizi, richiedono, infatti, la crescita di nuove funzioni di servizio alle imprese – ricerca e trasferimento tecnologico, consulenza organizzativa e legale, design, finanza, marketing, logistica, ecc – necessari per governare catene del valore sempre più globali. In questa prospettiva, lo sviluppo di un moderno mercato dei servizi non deve essere interpretato in termini di pura sostituzione della manifattura, bensì come condizione necessaria per fare evolvere l’attività industriale in un contesto competitivo aperto e sempre più contraddistinto dall’innovazione. In futuro c’è semmai da attendersi un’ulteriore terziarizzazione dell’economia, considerato che il Nord Est è ancora oggi una delle regioni europee con la più bassa quota di occupazione nei servizi.

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Agricoltura

Industria in senso

stretto Costruzioni Servizi Totale

NORDEST1999 4,7 1,2 -3,4 2,5 1,82000 -3,9 1,5 9,5 5,9 4,52001 1,7 -1,1 3,4 1,3 0,72002 -7,8 -1,0 9,1 -1,1 -0,72003 -10,5 -2,7 4,5 2,1 0,62004 13,1 3,1 -6,0 2,6 2,52005 0,0 0,9 7,1 1,4 1,62006 -1,5 1,9 1,8 2,7 2,32007 -1,6 1,7 0,6 2,2 1,92008 0,0 0,7 0,4 1,1 0,9

ITALIA1999 5,9 0,3 0,4 2,1 1,72000 -2,5 2,0 4,1 4,3 3,52001 -2,5 -0,2 5,6 2,4 1,92002 -3,2 -0,3 2,3 0,9 0,62003 -5,0 -2,7 2,3 0,4 -0,32004 13,2 0,9 1,5 1,6 1,72005 -4,4 -0,3 2,3 1,1 0,72006 -1,6 1,2 1,5 2,1 1,82007 0,0 0,8 1,6 1,8 1,62008 0,8 0,0 1,2 0,8 0,6

Fonte: ns. elab. su dati Istat-Prometeia

Tab. 7 - Dinamica del valore aggiunto per settore. Valori concatenati, anno di riferimento 2000

6. Un’economia trainata dalle esportazioni (e spinta dalle importazioni) L’economia del Nord Est ha sviluppato, ancora a partire dagli anni ’70, una forte propensione all’export. Questa apertura si è consolidata nel tempo, mostrando una particolare reattività durante i primi anni ’90, quando la flessibilità dei cambi è stata colta immediatamente dalle imprese come occasione per accrescere la proiezione sui mercati internazionali. Con l’entrata dell’Italia nell’euro la situazione tende a mutare, soprattutto quando, a partire dal 2002, migliora progressivamente il tasso di cambio sul dollaro. Dopo il difficile biennio 2002-2003, quando si tocca addirittura una contrazione dei valori correnti dell’export, le performance sui mercati esteri tornano a migliorare, pur rimanendo allineate a quelle nazionali. Nel 2006 le esportazioni sembravano avere ritrovato slancio, con una crescita in valore corrente del 13% (tab. 8).12 Tuttavia, nel 2007 si torna nuovamente a tassi reali di crescita modesti, anche se quest’ultimo dato, ancora provvisorio, potrebbe essere rivisto al rialzo dopo l’attribuzione definitiva delle origini delle merci alle aree sub-nazionali e il recupero dei ritardi sia nelle dichiarazioni delle imprese che nelle operazioni di

12 A causa degli effetti di correzione statistica nei dati definitivi si è preferito riportare solo la tavola dei valori correnti totali di import ed export. Si rinvia alle schede specifiche di Open (www.fondazionenordest.net/open) per una verifica puntuale sulla composizione merceologica e l’articolazione geografica dell’interscambio commerciale del Nord Est.

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digitazione da parte di alcuni uffici.13 In ogni caso, il raffreddamento dei mercati esteri sembra confermato anche da altri dati congiunturali (come gli ordinativi dell’industria), e questo accresce le preoccupazioni per una fase in cui la domanda interna non si prospetta, come abbiamo visto, particolarmente vivace. Tab. 8 – IL RILIEVO DEL COMMERCIO ESTERO: QUADRO GENERALE

valorevar. % anno

prec. valorevar. % anno

prec. valorevar. % anno

prec. valorevar. % anno

prec.

1991 18.300 15.220 108.315 116.5881992 19.803 8,2 16.048 5,4 113.329 4,6 119.875 2,81993 25.469 28,6 17.210 7,2 137.488 21,3 120.330 0,41994 29.970 17,7 20.324 18,1 159.092 15,7 140.673 16,91995 36.866 23,0 25.490 25,4 196.860 23,7 173.354 23,21996 37.987 3,0 24.213 -5,0 200.842 2,0 165.930 -4,31997 39.829 4,8 26.476 9,3 211.297 5,2 184.678 11,31998 42.459 6,6 29.030 9,6 219.987 4,1 195.596 5,91999 43.727 3,0 30.375 4,6 220.916 0,4 206.977 5,82000 50.540 15,6 37.170 22,4 260.282 17,8 258.479 24,92001 53.183 5,2 38.385 3,3 272.920 4,9 263.740 2,02002 53.383 0,4 39.365 2,6 268.994 -1,4 261.195 -1,02003 51.330 -3,8 38.492 -2,2 264.616 -1,6 262.998 0,72004 55.070 7,3 41.214 7,1 284.413 7,5 285.634 8,62005 55.497 0,8 42.868 4,0 299.923 5,5 309.292 8,32006 63.047 13,6 47.974 11,9 332.013 10,7 352.465 14,02007* 66.002 4,7 50.883 6,1 358.633 8,0 368.080 4,4

* Dati provvisoriFonte: elaborazioni O pen su dati Istat

NORD EST ITALIAEXPORT IMPORT EXPORT IMPORT

Mln di euro correnti Mln di euro correnti

Ciò nonostante, il Nord Est si dimostra l’area del paese a più elevata apertura internazionale: il rapporto fra valore complessivo dell’interscambio (export+import) e pil è oggi in Veneto pari al 57% (solo la Lombardia misura un valore più elevato), mentre in Friuli Venezia Giulia tale rapporto è al 48% (subito dopo il Piemonte). Questo rapporto è decisamente più basso, invece, per il Trentino Alto Adige (27%), ma ciò è anche dovuto alla minore incidenza dell’attività manifatturiera nel valore aggiunto regionale. Un dato che, infatti, fornisce ulteriori elementi di riflessione sulle caratteristiche del modello di apertura economica è il numero degli esportatori: nel complesso del Nord Est le imprese che hanno effettuato almeno un’operazione di vendita all’estero sono ben 30.000. Se si pesa questo valore sul totale delle imprese attive nell’industria in senso stretto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige risultano, rispettivamente, prima e seconda regione in Italia, mentre il Veneto è la quinta (dopo Lombardia e Liguria). A partire dal 2001 è tuttavia iniziata una fase più selettiva nella presenza estera delle imprese, e il numero di esportatori si è contratto nell’insieme delle tre regioni di circa 5.000 unità. Quest’ultimo risultato non va letto solo in negativo, bensì come conferma del processo di rafforzamento del tessuto produttivo costituito dalle medie imprese. Le difficoltà di ordine valutario e competitivo che le imprese incontrano nei mercati esteri tendono ad elevare la soglia minima efficiente degli esportatori. La ragione economica di questo processo di selezione sta anche nel fatto che solo una dimensione d’impresa adeguata consente di recuperare gli investimenti necessari per assicurare una presenza articolata e stabile nei nuovi mercati. Infatti, diversamente dal

13 Per il Veneto l’Unioncamere regionale stima che il tasso di crescita delle esportazioni anziché il 2,7% accertato dai dati provvisori possa arrivare al 7%, mentre quello nazionale dovrebbe passare dall’8% al 9,6% (cfr. Unioncamere Veneto, L’economia del Veneto nel 2007 e previsioni 2008, marzo).

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passato, quando esportare significava per molte piccole imprese affidarsi a qualche buyer straniero, la presenza sui mercati internazionali più dinamici comporta oggi investimenti in ricerca, comunicazione, marketing, assistenza legale, contrattuale e finanziaria, organizzazione di sistemi logistici e, in diversi casi, anche in reti distributive dirette. Servizi di questo tipo non sono sempre economicamente accessibili alle piccole imprese, salvo il caso in cui ci si presenta attraverso consorzi o filiere per l’internazionalizzazione. Un ulteriore elemento che contraddistingue le tendenze del commercio estero del Nord Est è il peso sempre più importante delle importazioni, in particolare di quelle provenienti dall’Europa centro-orientale e dall’Estremo oriente. Negli ultimi dieci anni, le importazioni sono cresciute del 40% in più rispetto alle esportazioni. E anche se il Nordest continua a segnare un attivo corrente con l’estero (per circa 16 miliardi di euro), il saldo normalizzato (rapporto fra saldo commerciale e interscambio) si è praticamente dimezzato nell’arco di un decennio. Nella crescita delle importazioni ha certamente inciso l’incremento del costo delle materie prime energetiche. Tuttavia, il peso di questa voce sul totale degli acquisti dall’estero rimane inferiore al 5%. Una parte molto più significativa dell’aumento delle importazioni è invece spiegata dai settori tipici dell’industria regionale e, in particolare, il tessile-abbigliamento, il conciario e il calzaturiero, l’arredamento, l’oreficeria: in tutti questi casi la dinamica delle importazioni è stata negli ultimi 10 anni pari o superiore a 1,5 volte la media dell’area. Se poi guardiamo alle zone di origine, vediamo affermarsi il ruolo dell’Europa centro-orientale, dove l’area dell’allargamento cresce a tassi da due a tre volte superiori la media Ue 15, ma emerge con ancora più forza, soprattutto negli anni recenti, il fenomeno Cina, da cui oggi proviene il 7% degli acquisti dall’estero del Nord Est, ma in alcune province a maggiore vocazione industriale, come Treviso, la quota supera il 15%. Questo fenomeno delinea un cambiamento profondo della struttura produttiva del Nord Est, dove la componente più dinamica dell’industria appare sempre più proiettata ad organizzare le operazioni manifatturiere a scala internazionale, sfruttando le condizioni di vantaggio offerte dalle economie emergenti. Molto probabilmente, tale fenomeno non è stato ancora metabolizzato dall’economia regionale, il cui tessuto produttivo e di servizio diffuso stenta ad assumere una configurazione post-industriale matura. Tuttavia, la creazione di “catene globali del valore” appare oramai una scelta irreversibile per l’industria del Nord Est: sarà dunque nello sviluppo di funzioni immateriali in grado di governare tali catene globali che quest’area potrà ritrovare un cammino di crescita sostenuta. 7. Conclusione: la necessità di un “doppio sguardo” Come abbiamo visto, leggere ed interpretare la fase più recente delle dinamiche economiche e sociali non è affatto agevole. Di certo tutti i fenomeni connessi alla globalizzazione – in particolare, l’incremento dei movimenti di persone, conoscenze, capitali, beni e servizi commerciabili, ecc. – aumentano significativamente le difficoltà di misura e di confronto nel tempo. Se può risultare abbastanza facile costruire un elenco delle opportunità e dei rischi che l’attuale fase prospetta, più difficile è pesare le une e gli altri, verificando se le prime possono superare i secondi. Anche perché non tutti i fenomeni colpiscono in pari misura i diversi strati sociali o i diversi settori economici. Basti pensare alle complesse ricadute della globalizzazione sulle dinamiche dell’inflazione. Mentre alcuni prezzi, come quelli dell’energia e degli alimentari, sono destinati ad un continuo aumento sia per i consumatori intermedi che per quelli finali a causa di una domanda mondiale in forte crescita e di un’offerta rigida, i prezzi di altri beni e servizi – trasporti, comunicazioni, beni elettronici di consumo, ecc. – sono invece mantenuti sotto controllo grazie alla serrata concorrenza su vasta scala e alle incessanti innovazioni tecnologiche ed organizzative. Allo stesso modo, la valutazione della fase congiunturale non può evitare di considerare congiuntamente due dati di fatto che testardamente non si lasciano ricondurre ad un denominatore comune. Da un lato dobbiamo riconoscere, come ci attestano i dati macro-economici, che il nostro sistema economico-sociale è incapace, nell’aggregato, di crescere durevolmente e qualitativamente

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(vale a dire trainato dalla produttività aggregata) e, nello stesso tempo, riesce (finora, almeno, è riuscito) ad evitare processi dirompenti di crisi territoriali o settoriali allargate. Dall’altro lato, la bassa crescita del pil non si associa necessariamente ad uno “stato stazionario” nel quale tutto è immobile. Al contrario, può rappresentare l’esito apparente di forti cambiamenti della struttura produttiva, la quale si è trovata d’un colpo a rispondere sia ad una crescente pressione concorrenziale esterna, sia a significativi mutamenti nella composizione sociale e nelle aspettative dell’offerta di lavoro. Serve dunque una sorta di “doppio sguardo”: per non scambiare, da un lato, la bassa crescita con un fenomeno di lenta e inesorabile deriva, ma, dall’altro, per non esaltare i mutamenti in corso oltre i risultati, nell’aggregato modesti, che essi fin qui hanno prodotto.