Minerbio dal Novecento a oggi - BraDypUS...Progetto graco BraDypUS ISSN: 2284-4368 ISBN:...

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Storie dal Territorio, 6 OttocentoDuemila Minerbio dal Novecento a oggi Carlo De Maria (a cura di) BraDypUS.net COMMUNICATING CULTURAL HERITAGE 2017 Istituzioni locali, economia e società

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  • Storie dal Territorio, 6OttocentoDuemila

    Minerbio dalNovecento a oggi

    Carlo De Maria (a cura di)

    BraDypUS.netCOMMUNICATING

    CULTURAL HERITAGE

    2017

    Istituzioni locali, economia e società

  • OttocentoDuemila, collana di studi storici e sul tempo presentedell’Associazione Clionet, diretta da Carlo De Maria

    Storie dal territorio, 6

  • In copertina:

    Frammento di vita cittadina: il capostazione e alcuni artigiani di Minerbio con i loro giovani garzoni, 1921. Archivio privato Francesco Nanni.

  • Carlo De Maria(a cura di)

    Minerbio dal Novecento a oggi

    Istituzioni locali, economia e società

    BraDypUS.netCOMMUNICATING

    CULTURAL HERITAGE

    Roma 2017

  • Progetto grafico BraDypUS

    ISSN: 2284-4368ISBN: 978-88-98392-65-0

    Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0.

    2017 BraDypUS Editorevia Oderisi Da Gubbio, 254

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    Ricerca storica promossa dal Comune di Minerbio e realizzata dall’Associazione Clionet

  • Minerbio dal Novecento a oggiIstituzioni locali, economia e società

    INDICE GENERALE

    PrefazioneLorenzo Minganti, sindaco di Minerbio

    Nota del curatore

    Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande GuerraCarlo De Maria

    Il Fascismo e la Seconda guerra mondiale a MinerbioElena Paoletti

    Sezione fotografica. Dall’Archivio privato Francesco Nannia cura di Carlo De Maria ed Elena Paoletti

    Mutamenti sociali e aspetti demografici dalla Ricostruzione a oggi (con appendice statistica)Matteo Troilo

    Economia e società a Minerbio (1945-2017)Tito Menzani

    La storia politico-amministrativa dal 1945 agli anni DuemilaCarlo De Maria

    Temi e luoghi della storia minerbiese

    La devozione popolare a Minerbio nel NovecentoCesare Fantazzini

    Il CastelloLuciano Rossi

    Indice dei nomi

    5

    7

    9

    27

    49

    77

    105

    129

    147

    169

    173

  • Minerbio dal Novecento a oggi Istituzioni locali, economia e società

    A cura di Carlo De MariaRoma (BraDypUS) 2017

    ISBN 978-88-98392-65-0p. 5-6

    Perché studiamo la storia?

    Da più di duemila anni l’uomo si pone questa domanda giungendo alle più

    diverse conclusioni.

    Io credo che, in fondo, la migliore risposta sia anche la prima che l’uomo si

    sia dato. Erodoto infatti scriveva che la sua ricerca, le sue Storie, avevano lo sco-

    po di evitare che il tempo cancellasse le imprese degli uomini, in particolare le

    eroiche gesta dei greci che avevano fermato i persiani. Questo era però solo la

    motivazione apparente.

    In realtà il suo bisogno di scrivere, ma soprattutto il bisogno degli ateniesi di

    ascoltare le sue letture, nasceva dalla domanda di storia che accompagnava la

    nascita della democrazia ateniese: perché una città che si rendeva conto per la

    prima volta della sua importanza, del suo ruolo e del suo valore, non poteva fare a

    meno di raccontarsi e di sapere cosa l’avesse preceduta. Altrettanto insopprimibile

    come quello di Orfeo, era il bisogno degli ateniesi di guardarsi alle spalle: non per

    cercare Euridice, ma per sapere su quali fondamenta poggiasse la loro polis.

    Ecco, io penso che il travolgente bisogno dell’uomo di “fare storia” sia sostan-

    zialmente ancora quello.

    Forse è ardito paragonare la nostra Minerbio ad Atene, per quanto non sia del

    tutto assurdo visto che condividiamo la medesima radice nel nome, però credo

    che ancora oggi una comunità non possa fare a meno di guardarsi periodica-

    mente alle spalle per controllare quanta strada abbia compiuto. A maggior ra-

    gione in un periodo in cui si riflette se Minerbio debba fondersi con i nostri vicini per dar vita ad un nuovo Comune, crediamo sia doveroso compiere un ulteriore

    significativo passo di indagine storica del nostro territorio.L’Amministrazione comunale ha così deciso di patrocinare questo progetto,

    per il quale si è avvalsa dell’eccezionale supporto scientifico dell’associazione

    Prefazione

    LORENZO MINGANTISindaco di Minerbio

  • Minerbio dal Novecento a oggi6

    di storici professionisti Clionet, sapientemente valorizzata dal Prof. Carlo De Ma-

    ria, e di chiedere nello stesso tempo un prezioso contributo al Dott. Cesare Fan-

    tazzini ed al Prof. Luciano Rossi, che già avevano dedicato il loro impegno alla

    ricerca storica locale. Questo lavoro vuole idealmente proseguire ed arricchire

    il percorso di studi storici compiuti in anni più o meno recenti, a cura in partico-

    lare delle associazioni culturali locali “La Pira” ed “Amici di Minerbio” che già vi

    si erano dedicate. Siamo convinti che la quantità e qualità degli studi locali sia

    proporzionale allo spessore sociale di una comunità.

    Confidiamo che anche questo studio possa aiutarci a promuovere valori comunitari fra i nostri concittadini, per aiutarci ad affrontare insieme le sfide dell’oggi e del domani.

    La nostra comunità deve certamente combattere quotidianamente con ne-

    mici meno scenografici di Dario e Serse, ma la lotta alla povertà, l’inclusione dei più deboli, la tutela sostanziale dei diritti civili e sociali, non sono battaglie il cui

    racconto sia meno necessario per aiutarci ad essere migliori sia come cittadini

    che come comunità.

  • Minerbio dal Novecento a oggi Istituzioni locali, economia e società

    A cura di Carlo De MariaRoma (BraDypUS) 2017

    ISBN 978-88-98392-65-0p. 7-8

    Questo libro nasce dall’incontro tra l’amministrazione comunale di Minerbio e

    l’associazione di ricerca storica Clionet. Quest’ultima è un network fra ricerca-

    tori, docenti e liberi professionisti, che svolgono attività di studio e di insegna-

    mento nell’ambito delle discipline storiche, dentro e fuori l’università. L’obiettivo

    prioritario è di uscire dal contesto strettamente accademico, per approfondire e

    valorizzare la storia delle amministrazioni e del tessuto associativo e imprendi-

    toriale, intrecciando gli aspetti istituzionali, politici ed economici che innervano

    la vita dei territori.

    La sede dell’associazione è a Bologna, nel cuore di una regione la cui storia è

    caratterizzata da tradizioni politiche e civili particolarmente attente alle libertà

    locali. Un patrimonio di etica civile da riscoprire e rilanciare di fronte alle sfide del XXI secolo. Nella nostra visione la storia locale, quando non rinuncia a un

    orizzonte interpretativo più ampio e riesce a mettere in connessione le vicende

    locali con il quadro nazionale, diventa un tassello fondamentale per la com-

    prensione delle dinamiche storiche generali. Questo respiro più ampio appare

    salutare alla ricerca, poiché altrimenti c’è il rischio di perdersi in un mondo co-

    munitario fatto di dettagli poco significativi.Con la consapevolezza della distanza che spesso separa gli ambienti della

    ricerca universitaria dalle concrete esigenze di conoscenza e approfondimen-

    to che emergono presso un pubblico più ampio, Clionet si è posta l’obiettivo

    di stabilire un dialogo con gli amministratori e gli operatori culturali attivi sul

    territorio. Il confronto che abbiamo aperto, a partire dal 2013, con i Sindaci e gli

    Assessori alla Cultura dei Comuni emiliano-romagnoli ci ha mostrato che tra le

    necessità più sentite in ambito culturale c’è quella di un’attenta riflessione sulla storia delle nostre comunità nell’età contemporanea. È vivo il desiderio di poter

    contare su ricerche puntuali e rigorose, ricche di dati e basate sulle fonti archivi-

    Nota del curatore

    CARLO DE MARIA

  • Minerbio dal Novecento a oggi8

    stiche e bibliografiche disponibili, ma nello stesso tempo scritte in maniera gra-devole e accessibile anche, e anzi soprattutto, a un pubblico di non specialisti.

    Il risultato ideale è quello di libri accurati ma agili nella lettura, arricchiti

    da una scelta di fotografie e immagini che li rendano accattivanti fin dal primo momento. Lavori a partire dai quali sarà possibile organizzare presentazioni e

    dibattiti pubblici, ed eventualmente anche un lavoro didattico nelle scuole o

    mostre storico-documentarie destinate a tutti i cittadini. Avendo percepito que-

    sti bisogni, Clionet si è mossa di conseguenza, affiancando all’attività di ricerca e di divulgazione, la creazione di una collana editoriale dedicata, appunto, alle

    “Storie dal territorio”.

    Alcuni “casi” di studio sono già stati affrontati secondo l’approccio appena delineato (il riferimento, per quanto riguarda la provincia di Bologna, è ai nostri

    libri su Castel Maggiore, Castenaso, Granarolo e Vergato), altri si aggiungeranno

    nei prossimi anni, con la volontà di comporre una “mappatura” storica del terri-

    torio bolognese, composta da tante monografie dedicate ai singoli Comuni. Nel consegnare alle stampe questo volume su Minerbio tengo a ringraziare,

    a nome di tutto il gruppo di lavoro, il Sindaco Lorenzo Minganti, che ha mostrato

    una rara sensibilità culturale verso l’importanza civica e formativa che racchiu-

    de in sé la conoscenza storica. Insieme a lui, rivolgo un sentito ringraziamento

    ai suoi collaboratori in Giunta, e in particolare all’Assessore alla Cultura William

    Bacchi, e ai funzionari e impiegati del Comune che ci hanno agevolato durante

    la ricerca: a partire da Aniello Iaccarino, responsabile per gli Affari generali e istituzionali e i Servizi alla persona, che ci ha consentito una ampia flessibilità nell’accesso all’Archivio storico comunale, e Maria Teresa Ursino, dell’ufficio Af-fari generali e istituzionali, che ha raccolto pazientemente per noi l’intera colle-

    zione di “Prometeo. Notiziario del Comune di Minerbio”.

    Durante il lavoro sono stati realizzati colloqui e interviste con protagonisti e

    conoscitori della storia minerbiese, come Federico Donini e Cesare Fantazzini,

    con persone impegnate nel sociale, come Rino Barilli, e con collezionisti e cultori

    di storia locale, come Francesco Nanni; quest’ultimo ci ha messo a disposizione

    la sua inedita collezione di foto dalla quale è tratta la sezione fotografica del libro. Siamo grati a tutti loro per il tempo dedicatoci e per le preziose indicazioni

    ricevute. Due studiosi locali, il già citato Fantazzini e Luciano Rossi, hanno contri-

    buto direttamente al volume con due testi relativi a luoghi e temi specifici della storia minerbiese. Mi si permetta un ringraziamento particolare proprio al Dott.

    Fantazzini per il dialogo aperto, franco e generoso stabilitosi tra noi.

    Infine, un grazie al personale della Biblioteca comunale di Minerbio, della Biblioteca di Statistica dell’Università di Bologna, dell’Archivio della Camera di

    commercio di Bologna e dell’Archivio di Stato di Bologna. Senza la loro collabo-

    razione il nostro lavoro sarebbe stato più difficile.

  • Minerbio dal Novecento a oggi Istituzioni locali, economia e società

    A cura di Carlo De MariaRoma (BraDypUS) 2017

    ISBN 978-88-98392-65-0p. 9-26

    Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande GuerraCARLO DE MARIA

    Introduzione

    La costruzione della democrazia in Italia non è legata unicamente alla vicenda

    dell’antifascismo e della Resistenza, e alla nascita della Repubblica. Il proces-

    so di democratizzazione, pur lento e contrastato, inizia nell’Italia liberale tra

    Otto e Novecento, in parte attraverso riforme operate “dall’alto” – ad esempio,

    dai governi della Sinistra storica di Agostino Depretis o dagli esecutivi guidati

    da Giovanni Giolitti –, in parte attraverso una spinta “dal basso” espressa dalle

    autonomie territoriali (i municipi) e dalle autonomie sociali (l’associazionismo

    popolare nelle sue varie declinazioni). Spinte, queste ultime, che furono anima-

    te dalle culture politiche più attente alla promozione delle autonomie. Nelle

    profonde differenze che intercorrono tra loro, si possono comunque ricordare a questo proposito sia il socialismo riformista, incarnato in queste terre soprat-

    tutto dalla figura di Andrea Costa, deputato del collegio di Minerbio – e, per questo, al momento della sua morte, nel 1910, il Consiglio comunale deliberò

    di devolvere una somma importante per le onoranze che si svolsero a Imola1 –,

    1  Archivio storico comunale di Minerbio, Atti del Consiglio comunale, 8 maggio 1910. «Spese per le onoranze funebri e offerta pel monumento ad Andrea Costa in Imola». Il sindaco Giuseppe Sa-battini, socialista, ricordava che: «In occasione della morte dell’On. Andrea Costa, Vice-presidente della Camera e già Deputato di questo collegio, la Giunta inviò una rappresentanza del Comune ai funerali in Imola ed una altra in Bologna con una squadriglia di pompieri; le conseguenti spese sono ammontate a £ 162,75 come alla distinta, debitamente liquidata dalla Giunta, che si rende ostensibile ai presenti». Senza discussione e con voto unanime il Consiglio approvava dette spese. Il Consiglio decideva poi di donare «£ 500 come contributo per il monumento ad Andrea Costa da erigersi a Imola». Su Costa si rimanda a Carlo De Maria (a cura di), Andrea Costa e il governo della

  • Minerbio dal Novecento a oggi10

    sia il cattolicesimo sociale che si pose all’origine di tante iniziative associative,

    educative e benefiche, specie nelle campagne: casse rurali, asili infantili, scuole di avviamento professionale, ecc.2.

    Per questo è importante puntare l’attenzione sulla dimensione locale, senza

    perdere di vista, però, l’orizzonte nazionale. Tracciare una storia del Comune

    di Minerbio all’inizio del Novecento significa anche indagare la dicotomia che si sviluppò tra le scelte compiute dall’amministrazione comunale e l’intervento

    crescente del governo in materia di controlli e regolamenti burocratici. Il terreno

    su cui di fatto si giocano, allora come oggi, i rapporti tra amministrazione centra-

    le ed enti locali, su cui concretamente si misura l’autonomia, cioè la possibilità di

    scegliere, di decidere senza interferenze e costrizioni superiori, era ed è quello,

    in gran parte tecnico-amministrativo, del sistema di rapporti e mediazioni. Un

    terreno del quale non conosciamo a tutt’oggi quasi nulla in termini storiografici3.Il quadro di riferimento normativo è presto detto. Nel 1882 la riforma del voto

    politico – annunciata dalla Sinistra liberale di Depretis fin dal 1876 – triplicò l’elettorato attivo, portandolo al 6,9% della popolazione totale. La riforma degli

    enti locali del 1888 equiparò l’elettorato amministrativo (ancora fermo a poco

    più del 2%) a quello politico e cominciò a rendere elettivi in consiglio comunale i

    sindaci, prima quelli dei comuni maggiori e poi tutti gli altri, in precedenza nomi-

    nati per regio decreto. Nello stesso tempo però la riforma del 1888 – promossa,

    lo ricordiamo, dal governo di Francesco Crispi, la cui linea politica era caratte-

    rizzata dalla volontà di rafforzare i poteri di controllo dello Stato – sottoponeva le deliberazioni comunali all’arbitrio di una Giunta provinciale amministrativa,

    guidata dal prefetto e dunque in grado di respingere nel merito qualsiasi prov-

    vedimento comunale.

    Il meccanismo dei controlli amministrativi divenne così l’indicatore più atten-

    dibile della natura dei rapporti sussistenti fra autorità centrali e istituzioni locali.

    Il discorso vale anche per l’impostazione di questo saggio, dove si cercherà di

    tenere presenti simultaneamente le scelte dell’amministrazione municipale, gli

    interventi degli organi di controllo, l’evoluzione dei bisogni sociali e la progres-

    siva organizzazione degli interessi.

    città. L’esperienza amministrativa di Imola e il municipalismo popolare. 1881-1914, catalogo della mostra promossa dal Comune di Imola per il centenario della morte di Andrea Costa (Imola, Museo di San Domenico, 17 aprile-6 giugno 2010), Reggio Emilia, Diabasis, 2010.

    2  Cfr. Mario Fanti, Carlo Degli Esposti, Minerbio nei secoli, Minerbio, Cassa Rurale ed Artigiana di Minerbio, 1977; Carlo De Maria, Un aspetto del «paese reale». Casse rurali e mutualismo cattolico nell’Italia di fine Ottocento, in “Parolechiave”, 2009, n. 42, pp. 103-120.3  Raffaele Romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, Bologna, Il Mulino, 1995², pp. 153-154.

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 11

    La modernizzazione dei servizi pubblici

    Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la presenza sulla scena pub-blica e la partecipazione politica dei lavoratori organizzati divennero aspetti

    caratterizzanti della nascente “società di massa”, insieme alla diffusione delle attività produttive, alla crescita urbana e allo sviluppo dei consumi. Di fronte a

    queste trasformazioni, le amministrazioni pubbliche furono chiamate a risolvere

    problemi di diversa natura: dalla costruzione di alloggi economici per i lavora-

    tori alla organizzazione dei trasporti; dai servizi educativi all’illuminazione delle

    strade. I progettisti e i tecnici più vicini alle esigenze di riforma sociale e di cre-

    scita civile, con l’appoggio delle amministrazioni locali più sensibili, cercarono

    di mettere in atto i primi esempi di pianificazione urbana, programmando, ad esempio, la realizzazione di case popolari e di servizi socio-sanitari (asili per

    l’infanzia, presidi medici) in grado di accogliere e assistere, in maniera decorosa,

    i lavoratori e le loro famiglie.

    Per tutte queste ragioni, anche studiando il “caso” di Minerbio particolare at-

    tenzione verrà prestata all’allestimento dei servizi pubblici e al loro sviluppo.

    Con modernizzazione dei servizi pubblici ci si riferisce proprio all’introduzione e al progressivo ampliamento di un’amministrazione di prestazione in vista del

    benessere cittadino. Si tratta di temi ancora attuali che sono relativi al rapporto

    tra amministrazione e innovazione, alla razionalizzazione del lavoro degli uffici e all’ascesa dei tecnici.

    Un esempio chiarirà i termini della questione. Nella primavera 1913, il sin-

    daco socialista di Minerbio Rinaldo Tinarelli, in carica dal 1911, di fronte alla

    bocciatura del bilancio preventivo da parte della Giunta provinciale ammini-

    strativa invitava il Consiglio comunale a dimettersi in massa, «giacché l’indirizzo democratico, che si è sempre cercato di imprimere nell’amministrare le cose del

    comune, è stato troncato di un colpo colla repulsa del bilancio 1913, col non con-

    cedere cioè i mezzi necessari per provvedere alle sempre crescenti esigenze mo-

    derne dei pubblici servizi». La maggioranza del Consiglio comunale si dichiarò favorevole alle dimissioni in massa e la Giunta rimase in funzione per il disbrigo

    degli affari ordinari, in attesa della nomina di un commissario prefettizio4.Ma come si era arrivati a quel punto? Qual era stata l’evoluzione dell’ammi-

    nistrazione minerbiese nel decennio precedente?

    4  Archivio storico del Comune di Minerbio (d’ora in poi, Ascm), Atti del Consiglio comunale, 30 apri-le 1913. Per il contesto storico, cfr. Cesare Fantazzini, Le costruzioni demolite nel 1912 per ricavare Piazza Cesare Battisti, in “Minerbio. Sagra settembrina”, 2002.

  • Minerbio dal Novecento a oggi12

    Dall’amministrazione dei notabili alla vigilia della Grande Guerra

    All’inizio del Novecento la piccola nobiltà locale controllava l’amministrazione

    cittadina. Il XX secolo, infatti, si apriva a Minerbio con la sindacatura del conte

    Francesco Cavazza, in carica fin dal decennio precedente. Inoltre, su indicazione dell’amministrazione comunale, un altro notabile locale, il conte Francesco Iso-

    lani, assessore della giunta Cavazza, assumeva nell’ottobre 1900 la guida della

    Congregazione di carità5. Le opere pie costituivano, allora, un «sistema comples-sivo di ammortamento dei conflitti e dei bisogni»6 e, intorno a esse, si stringevano legami assai stretti tra interventi assistenziali, gruppi sociali “fruitori” ed élites

    politiche locali7. Il peso delle opere pie sulla vita locale è, insomma, un fatto

    accertato8. Questi istituti erano nati a partire dal XIII secolo per iniziativa, dap-

    prima, di ordini religiosi e di confraternite, più tardi di singoli benefattori laici e

    religiosi, nobili e borghesi, tramite donazioni e lasciti9. In un contesto nel quale il

    sistema di welfare era a malapena agli inizi – sono del 1898 le leggi che riguar-

    dano l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e l’istituzione della Cassa

    nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai – l’intervento

    sociale veniva di fatto demandato a opere pie e congregazioni di carità, istituti ai

    quali lo Stato liberale affidava a norma di legge l’intero capitolo dell’assistenza o, meglio, della «beneficenza» (era questo il termine comunemente adottato nel dibattito pubblico, almeno fino alla fine dell’Ottocento)10.

    Accanto a queste vecchie istituzioni avevano preso piede nei decenni postu-

    nitari nuove forme associative: le società di mutuo soccorso. La libertà di riunirsi

    in associazione riconosciuta dallo Statuto albertino, l’arretramento delle istitu-

    5  Ascm, Atti del Consiglio comunale, 17 ottobre 1900. La presidenza della Congregazione di carità era una carica quadriennale, rinnovabile una volta, per un massimo di otto anni. Sull’origine delle congregazioni di carità, E. Bressan, Eliminazione del controllo religioso sull’assistenza e creazione delle Congregazioni di carità in epoca napoleonica, in V. Zamagni (a cura di), Povertà e innovazioni istituzionali in Italia. Dal Medioevo ad oggi, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 441-453.6  S. Lepre, Opere pie anni ’80. L’inchiesta conoscitiva economico-morale-amministrativa presie-duta da Cesare Correnti, in M. Bigaran (a cura di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, “Quaderni della Fondazione Basso”, n. 4, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 146-175, p. 169.

    7  Cfr. S. Sepe, Per una storia dell’attività dell’amministrazione statale nel settore dell’assistenza. Ipotesi di lavoro, in Bigaran (a cura di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, cit., pp. 127-145.

    8  Cfr. M. Degl’Innocenti, Il comune nel socialismo italiano. 1892-1922, in “Italia contemporanea”, 1984, n. 154, pp. 5-27.

    9  A. Appari Boiardi (a cura di), Gli statuti delle opere pie dell’Emilia e della Romagna. Profili storici e funzioni attuali, Bologna, Ibc Regione Emilia-Romagna, 1981.10  S. Lepre, Le difficoltà dell’assistenza. Le opere pie in Italia fra ’800 e ’900, Roma, Bulzoni, 1988.

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 13

    zioni ecclesiastiche nel quadro del nuovo Stato unitario, l’esperienza di lotta e le

    istanze patriottiche che si erano legate alle guerre di indipendenza favorirono un

    rafforzamento delle idee di laicità e secolarizzazione anche nell’ambito dell’assi-stenza e, più in generale, seppur gradualmente, nelle forme e nelle manifestazio-

    ni della vita popolare, soprattutto nei centri cittadini e urbani. Oltre a sviluppare

    forme di reciproca garanzia, tutela e assistenza rispetto a gravi eventualità della

    vita come malattia e infermità, le società di mutuo soccorso si posero all’origine di tanti altri istituti, nel campo del piccolo credito (casse operaie di prestiti e ri-

    sparmi), dell’educazione infantile, elementare e professionale (asili, scuole serali

    e domenicali, biblioteche popolari), dell’edilizia popolare (società edificatrici di case operaie), dei consumi (cucine economiche, magazzini e spacci sociali), ri-

    spondendo a precise esigenze della società civile. Si trattava di organismi di base,

    autogestiti, di piccole dimensioni, capillarmente diffusi sul territorio e dotati di un apparato amministrativo ridotto al minimo11.

    Minerbio aveva la sua Società operaia di mutuo soccorso, fondata nel 187112.

    Nei decenni a cavallo del 1900 il mutualismo coinvolse la vita di diverse cen-

    tinaia di minerbiesi appartenenti, perlopiù, agli strati popolari. Furono loro ad

    animare – con il sostegno economico, tecnico e ideale di esponenti della bor-

    ghesia delle professioni e della nobiltà liberale13 – una forma di autonomia as-

    sociativa fatta di semplici norme morali (rettitudine e laboriosità), di risparmi

    e contributi regolari, di diritti elettorali (la vita interna dei sodalizi si basava su

    regole pienamente democratiche), di possibilità previdenziali, di stimoli educa-

    tivi e retorica patriottica. A Minerbio, come in tanti altri piccoli comuni italiani,

    le società di mutuo soccorso rappresentarono, tra Otto e Novecento, uno degli

    strumenti privilegiati dai ceti popolari «per dar spazio alle proprie esigenze di socialità» con una ricaduta importante sull’educazione civile della popolazione, anche in termini di rispetto delle istituzioni14. Giova ricordare, a questo proposito,

    che quando il 29 luglio 1900 Umberto I venne assassinato a Monza dall’anarchi-

    co Gaetano Bresci, la morte del re d’Italia fu accompagnata nella popolazione

    11  Cfr. E. Arioti, Premessa, in Aa.Vv., Le società di mutuo soccorso italiane e i loro archivi. Atti del seminario di studio. Spoleto, 8-10 novembre 1995, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 1999, pp. 11-14.

    12  Società operaia di Minerbio, Sedici anni di vita sociale, 1871-1886, Minerbio, Tip. C. Bevilacqua, 1888.

    13  Ancora nel 1918 il conte Cavazza interveniva durante una assemblea dei soci, confermandosi un punto di riferimento per il sodalizio di Minerbio: Parole pronunciate dall’on. conte Cavazza nell’as-semblea della società operaia di Minerbio in memoria del maestro Enea Baroni: 3 novembre 1918, Minerbio, Tip. Bevilacqua, 1918.

    14  M. Ridolfi, Associazionismo e forme di sociabilità nella società italiana tra ’800 e ’900: alcune premesse di ricerca, in M. Ridolfi, F. Tarozzi (a cura di), Associazionismo e forme di sociabilità in Emilia-Romagna fra ’800 e ’900, “Bollettino del Museo del Risorgimento”, Bologna, 1987-88, p. 20.

  • Minerbio dal Novecento a oggi14

    minerbiese da «vivo rimpianto», a conferma – secondo le parole del sindaco, conte Cavazza – del «sincero attaccamento alle istituzioni monarchiche» che si era andato sviluppando nell’arco di pochi decenni di vita dello Stato unitario15.

    Insieme al mutualismo, a Minerbio si sviluppò la cooperazione, un’altra

    espressione dello spirito associativo popolare e di quello che si potrebbe defini-re come il «far da sé, insieme»: mettersi insieme perché si condivide un bisogno, unendo le forze per trovare una soluzione16. Come il mutuo soccorso la coope-

    razione esprimeva un associazionismo per e non un associazionismo contro, evidenziando un elemento propositivo più che antagonista; caratteristica che

    distingueva il mutualismo e la cooperazione dal sindacalismo. Storicamente, il

    seme della cooperazione è all’incrocio tra iniziativa economica e spirito di as-

    sociazione. Ci riporta, dunque, a quel patrimonio straordinario di generosità di

    intenti e di inventiva istituzionale che si ritrova studiando l’«economia sociale» a cavallo tra XIX e XX secolo. Da una parte ci si allontanava dalla conflittualità esasperata delle posizioni politiche intransigenti, dall’altra la cooperazione rap-

    presentò comunque una parte fondamentale del riscatto dal basso degli strati

    popolari, fornendo una via diversa e immediatamente praticabile rispetto allo

    sfruttamento capitalistico17.

    Un’altra caratteristica della cooperazione è quella di rappresentare un sinoni-

    mo di valorizzazione delle risorse locali. Non a caso il movimento cooperativo si

    radica soprattutto in quei territori che hanno forti tradizioni municipaliste, di auto-

    governo e di autonomia. Risponde a queste caratteristiche l’Emilia-Romagna e, in-

    fatti, già nell’inchiesta ministeriale del 1902 la cooperazione emiliano-romagnola

    si collocava al primo posto in Italia, una posizione che detiene ancora oggi.

    A Minerbio, come altrove, la cooperazione crebbe sfruttando importanti si-

    nergie con la politica locale. Il settore più vitale fu, fin dai primi del Novecento, quello della cooperazione di lavoro. In particolare, la Cooperativa fra i lavoranti

    muratori di Minerbio e la Società cooperativa fra i carrettieri di Minerbio svilup-

    parono, già a partire dalle giunte moderate di Cavazza e Isolani, una intensa

    collaborazione con il Comune, in materia di forniture (pietrisco e ghiaia per il

    mantenimento delle strade, ad esempio) e lavori pubblici.

    15  Ascm, Atti del Consiglio comunale, Anno 1900. «In esecuzione a deliberato di Giunta – aggiun-geva il sindaco – venne inviata una Rappresentanza comunale al trasporto in Roma della salma del Re».16  Cfr. Pino Ferraris, Far da sé, insieme, in “Almanacco delle buone pratiche di cittadinanza”, n. 1, Forlì, Una città, 2004, pp. 397-405.

    17  Vera Zamagni, Il movimento cooperativo emiliano-romagnolo: ruolo e identità, in Carlo De Ma-ria (a cura di), Bologna futuro. Il “modello emiliano” alla sfida del XXI secolo, Bologna, Clueb, 2012, pp. 57-62.

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 15

    Nel 1902, i due nobili minerbiesi si diedero il cambio alla guida del municipio.

    Il conte Cavazza, eletto alla Deputazione provinciale, rinunciò per incompatibi-

    lità alla carica di sindaco. Il 22 ottobre 1902 venne eletto al suo posto il conte

    Isolani, con Cavazza che rimaneva comunque in giunta come assessore. Uno dei

    primi atti della giunta Isolani, a conferma dello stretto legame con l’associazio-

    nismo popolare locale, fu il contratto per la fornitura della ghiaia con la locale

    cooperativa di birocciai18. Qualche mese dopo, nel febbraio 1903, Isolani pren-

    deva provvedimenti in aiuto degli operai disoccupati: distribuzione di sussidi ed

    esecuzione di piccoli lavori pubblici (sistemazione di strade e di maceri)19. Nella

    prima metà del 1904, per dissidi interni alla giunta, Isolani si trovò impossibilita-

    to a proseguire il suo lavoro. In aprile venne nominato dal prefetto un regio com-

    missario straordinario, Federico Masino20. Pochi mesi dopo, ad agosto, si tennero

    nuove elezioni, in seguito alle quali, divenne sindaco Gaetano Cantelli. La sua fu

    una breve parentesi, politicamente insignificante, a cui subentrò presto un’altra gestione commissariale. Nell’estate 1905 si tornò al voto e ad emergere fu la

    figura di Piero Capellini, eletto sindaco il 12 luglio 1905. La giunta Capellini si caratterizzò per un forte impegno nella modernizzazio-

    ne dei servizi pubblici. Nell’aprile 1907 venne deliberato l’impianto di una linea

    telefonica interurbana Bologna-Minerbio-Malalbergo, realizzata con un contri-

    buto economico dei tre comuni d’intesa con la Società italiana dei telefoni. La

    linea del telefono seguiva sostanzialmente il tracciato della tranvia Bologna-

    Malalbergo, inaugurata nel 1894, che collocava Minerbio lungo una importante

    via di trasporto e comunicazioni per persone e merci. Contestualmente a Minerbio veniva inaugurata una cabina telefonica per uso

    pubblico21. Due mesi più tardi fu deliberata l’esecuzione di alcune «opere d’igie-ne»: macello, fognatura, fornitura di acqua potabile per il Capoluogo. A questo proposito il sindaco Capellini specificava:

    La Giunta ha fatto compilare un progetto per la costruzione di un nuovo macello; pro-

    getto che ora presenta unitamente al riferimento tecnico, [opera] dell’Ing. Amedeo

    Maccaferri, nei riguardi altresì del modo di provvedere al miglioramento della fogna-

    tura del Capoluogo [...]. Per soddisfare inoltre i più sentiti bisogni di questa popolazio-

    ne, la Giunta pensa di esperire un mezzo idoneo per rifornire il paese di acqua buona

    ed in grande quantità, e quindi nella contingenza di dover contrarre un prestito per

    18  Ascm, Atti del Consiglio comunale, 30 novembre 1902. 19  Dei risultati di questi interventi si dava conto in Consiglio a giugno (ivi, 3 giugno 1903). 20  Dei risultati di questi interventi si dava conto in consiglio a giugno (ivi, 19 aprile 1904). 21  Ascm, Atti del Consiglio comunale, 18 aprile 1907.

  • Minerbio dal Novecento a oggi16

    opere d’igiene, vuole includervi la preventivata somma di £ 1.000 per eseguire perfo-

    razioni artesiane22.

    Indubbiamente operosa, la giunta Capellini fu però messa alle corde dopo le

    elezioni parziali del 7 luglio 1907, nelle quali prevalsero i socialisti, costringendo

    alle dimissioni nell’ottobre 1907 il sindaco e la giunta23. Prese momentaneamen-

    te le redini del Comune un commissario straordinario, Silvio Piva, che continuò

    sulla falsariga di Capellini. Nel febbraio 1908, in sede di presentazione del bilan-

    cio preventivo, il commissario Piva riteneva, ad esempio, «essere doveroso di-sporre pel miglioramento di alcuni pubblici servizi per assecondare le cresciute

    esigenze dei tempi moderni»24.Nel maggio 1908, dopo una nuova tornata amministrativa, venne eletto sindaco

    Giuseppe Sabattini, alla guida di una giunta socialista. Con Sabattini il movimen-

    to socialista arrivava compiutamente alla gestione amministrativa del Comune,

    segnando indubbiamente, tra luci e ombre, una svolta nella storia politica locale.

    All’atteggiamento paternalistico delle giunte di inizio Novecento, guidate dai

    notabili di Minerbio (Cavazza e Isolani su tutti), subentrava ora un atteggiamen-

    to di vera e propria adesione tra governo locale e organizzazioni operaie; un at-teggiamento che, come stiamo per vedere, finiva per togliere autonomia politica alla giunta Sabattini.

    Nel marzo 1909 la giunta socialista deliberò «la più possibile sollecita ese-cuzione al lavoro di fognatura», nell’ambito di un più ampio progetto per opere igieniche25, proseguendo di fatto il lavoro intrapreso dai predecessori. Il mese

    successivo, in maniera simile, il Consiglio comunale approvò il finanziamento delle «cucine gratuite per le famiglie dei disoccupati»26. I nodi venivano al petti-ne l’anno successivo, quando in febbraio la giunta si dimetteva in blocco:

    Riferisce il Sindaco che in occasione del lavoro straordinario d’espurgo dei fossi gli

    operai disoccupati non vollero all’inizio sottostare alle condizioni che, in base a pro-

    getto tecnico, erano state preventivamente stabilite dall’Amministrazione. Tale fatto

    persuase i componenti la Giunta di non godere più la fiducia della classe che rappre-sentano direttamente per cui decisero di rassegnare il mandato che a loro era stato

    conferito dagli elettori popolari. Aggiunge il Sindaco che nel frattanto, essendo inter-

    22  Ivi, 18 giugno 1907. 23  Ai termini dell’articolo 271 del testo unico della legge comunale e provinciale allora in vigore, ogni amministrazione aveva una durata di sei anni, ma ogni due anni si procedeva al rinnovo di un terzo del Consiglio comunale.

    24  Ascm, Atti del Consiglio comunale, 4 febbraio 1908.25  Ivi, 10 marzo 1909. 26  Ivi, 12 aprile 1909.

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 17

    venuto un sincero ravvedimento da parte degli operai, la Giunta ha poscia stabilito

    di rimanere al proprio posto non avendo nel momento altri motivi per provocare una

    crisi. Vuole però che a verbale venga trascritto il seguente ordine del giorno:

    “Le leghe di miglioramento del Comune di Minerbio, riunite in assemblea la sera del 27

    Febbraio 1910, deplorano gli inconvenienti avvenuti nell’esecuzione dei lavori di siste-

    mazione dei fossati comunali, i quali hanno indotto la Giunta comunale a rassegnare

    le proprie dimissioni; riconfermano la propria fiducia verso la Giunta e la maggioranza del Consiglio; si tengono certe che la voce fraterna e collettiva indurrà i compagni am-

    ministratori a rimanere al posto assegnato loro, onde assolvere completamente quel

    compito né breve, né piano che è stato ad essi deferito dalla volontà popolare; si augu-

    rano che, rinsaldati i rapporti, si ristabilisca un maggior contatto tra amministratori e

    amministrati, sia per la discussione di problemi di interesse pubblico, sia per prevenire

    e provvedere alla necessità delle classi più bisognose”27.

    La situazione si ripeteva pochi mesi più tardi, nel luglio 1910, quando sindaco e

    giunta rassegnavano nuovamente le dimissioni, perché ritenevano di «non più godere la fiducia e la stima delle organizzazioni operaie»28. La settimana succes-siva il sindaco dichiarava «avere la Giunta, in considerazione dei voti intervenuti in seno alle organizzazioni operaie, deliberato di ritirare le dimissioni; e quindi

    significa che non devesi procedere alle elezioni del Sindaco e della giunta, che debbono, in virtù di legge, compiere il [restante] quadriennio di funzione»29.

    È chiaro che dinamiche di questo tipo non potevano durare ancora per molto.

    Sabattini aveva i mesi contati. Dopo di lui prese le redini dell’amministrazione

    il già citato Tinarelli, che rimase in carica un paio di anni, dimettendosi nella

    primavera 1913 e lasciando il posto al Commissario prefettizio, Aldo Morandi.

    Cambiavano attori, strategie e orientamenti politici ma il tema fondamenta-

    le rimaneva lo stesso, quello della modernizzazione dei servizi. Nel settembre

    1913, per la provvista di acqua potabile del Capoluogo, Morandi deliberava la

    perforazione di un pozzo artesiano nel centro della nuova piazza:

    Considerando che il capoluogo del Comune di Minerbio difetta di acqua potabile, es-

    sendo i pozzi ivi esistenti inadatti agli usi domestici, sia per la vicinanza di depositi di

    letame e scoviglie in genere, sia per la vicinanza di acque di rifiuto e di pozzi neri, come è stato più volte e anche recentemente rilevato dall’Ufficiale Sanitario; mentre d’altra parte l’unica fontanella costruita nel 1908 dà acqua, dichiarata potabile solo dal lato

    bacteriologico, in quantità assolutamente insufficiente (2 litri al minuto primo, circa un litro per abitante al giorno) ai bisogni della popolazione, e per di più e sita in posizione

    scomoda (lungo il corso Umberto I° quasi dinanzi al Palazzo Comunale), lontano cioè

    dal grosso dell’abitato, che corrisponde al cosiddetto Castello; ritenuto che mediante

    27  Ivi, 27 febbraio 1910.28  Ivi, 13 luglio 1910.29  Ivi, 17 luglio 1910.

  • Minerbio dal Novecento a oggi18

    una perforazione nel centro dell’abitato, mentre si raggiunge lo scopo dell’approvvi-

    gionamento di acqua potabile pel Capoluogo, si evita la ingente spesa che si incon-

    trerebbe per un vero e proprio acquedotto, la cui costruzione del resto sarebbe, oltre

    che per le difficoltà finanziarie nelle quali versa il Comune, anche per altre ragioni, di difficilissima attuazione; attesoché il sorprendete risultato ottenuto dalla perforazione eseguita recentemente nella località Fornace, per conto della Ditta Bragaglia e soci,

    che ha fornito acqua potabile in esuberanza (circa 100 litri al minuto primo con una

    profondità di soli m. 74) costituisce il miglior affidamento di una completa riuscita, quando la perforazione vada oltre i 100 metri di profondità; visto il progetto tecnico

    compilato dall’ingegnere comunale Sig. Prof. Cav. Alfredo Grassi per la perforazione di

    un pozzo artesiano nel centro della nuova Piazza davanti all’abitato detto il Castello,

    punto più denso della popolazione…30.

    Si deliberava, insomma, di procedere all’attuazione del progetto predisposto

    dall’ingegnere comunale. L’anno successivo, 1914, un nuovo commissario pre-

    fettizio, Gilberto Gaiani, avviava la realizzazione del servizio pubblico di illu-

    minazione elettrica del capoluogo di Minerbio: l’appalto venne assegnato alla

    “Società per la fornitura di energia elettrica nei comuni di Baricella e Minerbio”.

    Quell’inverno, a causa delle forti nevicate che impedirono per diverse settimane

    ai braccianti di lavorare in campagna, e dunque di guadagnare qualcosa per il

    sostentamento delle loro famiglie, ormai ridotte alla fame, Gaiani deliberava

    di istituire cucine economiche nel capoluogo e nelle località di Ca’ de’ Fabbri,

    Tintoria e San Giovanni31.

    Nel luglio 1914 si tennero nuove elezioni comunali. Il commissario Gaiani ri-

    mase in carica fino ad agosto, quando venne eletto il nuovo sindaco, Armando Roda. Proprio in quei giorni scoppiava la Prima guerra mondiale.

    Volendo indicare, infatti, una data precisa per l’inizio del conflitto si fa soli-tamente riferimento al 3 agosto 1914, quando la Germania dichiarò guerra alla

    Francia e invase il Belgio. Il “fronte occidentale” franco-tedesco fu, tra il 1914

    e il 1918, il campo di battaglia principale di tutta Europa. Solamente il giorno

    prima, 2 agosto 1914, l’Italia aveva dichiarato ufficialmente la propria neutralità, sganciandosi dall’ormai storica alleanza con Austria e Germania. Il nostro paese

    sarebbe entrato in guerra dieci mesi più tardi, il 24 maggio 1915, al fianco della Triplice Intesa (Francia, Impero britannico e Russia).

    Il 2 agosto, a Minerbio, il consigliere di minoranza Bruno Zamboni, socialista,

    interveniva in Consiglio proponendo di «sospendere la seduta in segno di lutto per l’assassinio di Giovanni Jaurès, propugnatore del socialismo internazionale,

    e d’inviare un telegramma al partito socialista francese di cordoglio per la per-

    dita del grande propagandista». Pacifista convinto e grande dirigente politico,

    30  Ivi, 30 settembre 1913.31  Ivi, 9 febbraio 1914.

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 19

    Jaurès aveva cercato di scongiurare con tutti i mezzi diplomatici a disposizione

    quella che sarebbe diventata l’immane carneficina della Prima guerra mondia-le. Nella sua strategia, un movimento pacifista comune tra Francia e Germania avrebbe dovuto far pressione sui rispettivi governi tramite lo strumento dello

    sciopero generale. Non ebbe il tempo di vedere gli sviluppi di questo suo tenta-

    tivo disperato, in quanto il 31 luglio 1914 venne assassinato in un caffè di Parigi da un giovane nazionalista francese.

    Attraverso il suo nome la “grande storia”, quella degli eventi che cambiano la

    vita di tutti, arrivava per la prima volta a Minerbio.

    Pochi giorni dopo, nel suo discorso di insediamento, il sindaco Roda faceva una

    raccomandazione – in quelle ore drammatiche – al gruppo socialista in consiglio:

    Consiglieri della minoranza, dimenticate quello che sia puramente l’ideale, ed inol-

    tratevi con noi nella realtà della vita. Non intralciate l’opera nostra che non sarà cer-

    tamente opera di reazione; collaborate con noi, e per l’ausilio del vostro aiuto ve ne

    saremo grati; fate della critica non un’arma per combatterci, ma un sistema d’ammoni-

    mento, un sistema di correzione, e noi l’accetteremo, felici di poter, per merito vostro,

    rimediare a quello che sarebbe stato nostro involontario errore, felici, contenti di po-

    tercene andare un dì da questi scanni, senza avere nella coscienza il rimorso di essere

    stati degli inoperosi. Pensiamoci, amici, per non avercene poi a pentire, e più amara-

    mente; lavoriamo, in piena concordia, di un lavoro cosciente disinteressato, costante,

    tenace, per uno scopo unico e solo, il rinvigorimento del Comune e il bene del popolo32.

    Terminato il discorso del sindaco, il consigliere socialista Bandiera prendeva la

    parola per rendere noto che proprio quel giorno «in un convegno a Bologna dei rappresentanti le organizzazioni operaie sono stati presi i preliminari accordi

    per ravvisare ai mezzi migliori per scongiurare i gravi effetti del rincaro dei ge-neri alimentari e della disoccupazione in conseguenza dello stato bellico inter-

    nazionale». Il sabato successivo per iniziativa del sindaco di Bologna, il socialista Francesco Zanardi, i sindaci della provincia si sarebbero riuniti per decidere una

    linea di condotta comune. Per questo Bandiera invitava il nuovo sindaco di Mi-

    nerbio «a non mancare all’importante seduta». Da parte sua, Roda assicurava che, «pervenendogli l’invito del Sindaco di Bologna», avrebbe fatto del suo me-glio per sostenere tutti quei provvedimenti che potessero tornare «a vantaggio del popolo».

    32  Ivi, 6 agosto 1914.

  • Minerbio dal Novecento a oggi20

    Mobilitazione civile e organizzazione dei consumi.

    Tra 1914 e 1915, intorno alla figura di Zanardi, prese forma un vero e proprio coordinamento tra i sindaci della provincia, con l’obiettivo di mettere in campo

    tutta una serie di provvedimenti annonari per l’approvvigionamento alimentare,

    tra i quali l’acquisto di farina e l’apertura di spacci comunali per la vendita di ge-

    neri di prima necessità a prezzi calmierati. Provvedimenti come questi vennero

    deliberati a Minerbio nella seduta consigliare del 3 ottobre 191533.

    Nell’ambito delle politiche sociali, si accentuò dunque, negli anni di guerra,

    un vero e proprio “protagonismo” municipale. Pur nei ristretti limiti di libertà

    concessi da una miriade di disposizioni governative che regolavano, in modo

    sempre più stringente, ogni aspetto della vita della nazione, le amministrazioni

    comunali emiliane si impegnarono, sperimentando e innovando, a rispondere

    alle nuove necessità delle classi popolari. L’esempio arrivava spesso da Bologna.

    Già alla fine dell’aprile 1915, ad esempio, la Giunta comunale felsinea si riuniva per concordare i provvedimenti da adottare in caso di mobilitazione generale e

    guerra34. Le prime questioni ad essere affrontate furono l’approvvigionamento della città e l’assistenza ai bambini bisognosi e ai vecchi disagiati, con partico-

    lare riferimento alle famiglie dei richiamati alle armi. Per quanto riguarda le

    scuole elementari comunali, l’assessore all’Istruzione Mario Longhena studiò la

    possibilità di prolungare l’orario di maestri ed educatori e di servire la refezione

    due volte al giorno, prendendo accordi anche con l’Amministrazione dei Pii Isti-

    tuti educativi. L’operato delle istituzioni locali fu affiancato da pubbliche sotto-scrizioni per incrementare le risorse da destinare all’assistenza civile.

    Gli appelli in questo senso si intensificarono con il prolungarsi del conflitto. La necessità di fronteggiare una guerra di resistenza portò, non solo lo Stato ma

    anche i Comuni, a un intervento sempre più massiccio in ambito economico e

    sociale, soprattutto sul versante dell’organizzazione dei consumi e della tutela

    dei lavoratori come “consumatori meno abbienti”. Ci si adoperò per garantire a

    tutti i cittadini il minimo indispensabile per sfamarsi, attraverso l’introduzione di

    tessere annonarie per la distribuzione e il razionamento degli alimenti. A causa

    della guerra, infatti, i prezzi del pane e degli altri generi di prima necessità ave-

    vano subito un forte aumento. Di fronte alla grave questione del caro-viveri, fu

    in particolare il Comune di Bologna a segnalarsi, a livello regionale e naziona-

    le, per una innovativa sperimentazione istituzionale, con la creazione da parte

    della giunta Zanardi di un Ente autonomo dei consumi. L’amministrazione bolo-

    33  Ascm, Atti del Consiglio comunale.34  “Il Resto del Carlino - La Patria”, Bologna, 30 aprile 1915, 8 maggio 1915.

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 21

    gnese, cioè, non si limitò ad aprire spacci comunali, ma mise in campo uno stru-

    mento più duttile rispetto alla burocrazia municipale e a esso delegò la gestione

    di questa materia. Con l’Ente autonomo si tracciava una via nuova, che superava

    anche l’idea delle municipalizzazioni, costituendo a tutti gli effetti un modello che venne ripreso pochi mesi dopo dalla giunta Caldara di Milano e che fu poi

    fatto proprio dalla normativa nazionale35.

    A partire dal 1914-15, nelle grandi città come nei piccoli paesi, si costituiro-

    no spontaneamente numerosi comitati civici di assistenza, solitamente collocati

    in sedi messe a disposizione dalle amministrazioni comunali. A Minerbio que-

    sto accadde già nella seconda metà del 1914, quando per iniziativa del sindaco

    Roda un gruppo di cittadini si costituì in comitato provvisorio mettendosi subito

    all’opera per raccogliere soccorsi da elargire alle famiglie più bisognose dei ri-

    chiamati alle armi36.

    Promossi da esponenti di istituti ed enti cittadini, questi comitati – che non

    rivendicavano di regola nessuna appartenenza politica o confessionale – si po-

    nevano l’obiettivo di preparare, organizzare e coordinare tecnicamente tutte

    quelle attività civili e volontarie che potessero mitigare gli effetti della mobi-litazione militare sulla vita quotidiana della cittadinanza. Si trattava, dunque,

    di forme di preparazione civile basate essenzialmente sul volontariato e intese

    come “civico dovere”.

    Con l’effettivo ingresso in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, ai Comitati per la preparazione civile subentrarono dei più strutturati Comitati generali di

    assistenza pubblica, che rimasero generalmente in attività fino alla fine del 1919, affrontando così anche i primi problemi legati al dopoguerra. In stretto contatto con sindaci e amministrazioni locali, e grazie sia a contributi comunali che a do-

    nazioni private, i Comitati di assistenza pubblica si impegnarono in opere di soc-

    corso morale e materiale, con particolare riguardo alle famiglie dei combattenti

    e ai nuclei familiari più bisognosi residenti nei territori di competenza. Se molti

    comitati civici nacquero spontaneamente e dal basso, in altri casi la costituzione di comitati di intervento, pensati ad hoc per affrontare determinate emergenze, venne sollecitata dalle prefetture. Questo accadde in molti casi all’indomani del-

    la rotta di Caporetto, nell’ottobre-novembre 1917, per far fronte al consistente

    afflusso di profughi veneti e friulani, assistiti sul territorio emiliano con l’allesti-mento di dormitori, cucine economiche e punti di ristoro37.

    35  Roberto Balzani, Le tradizioni amministrative locali, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Emilia-Romagna, a cura di R. Finzi, Torino, Einaudi, 1997, pp. 599-646.36  Ascm, Atti del Consiglio comunale, Anni 1914 e 1915.37  M. Carrattieri, C. De Maria, L. Gorgolini, F. Montella (a cura di), Grande Guerra. L’Emilia-Romagna tra fronte e retrovia, catalogo della mostra itinerante promossa dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna per il centenario della Prima guerra mondiale, Bologna, Bradypus, 2014.

  • Minerbio dal Novecento a oggi22

    Nel quadro delle tante forme di impegno civico che presero corpo durante

    la Grande Guerra vanno sicuramente citati i Comitati femminili di assistenza e

    soccorso. Un fenomeno così diffuso che è lecito parlare di una sorta di mater-nage pubblico e di massa: con riferimento, cioè, alla tradizionale azione di cura caratteristica dell’atteggiamento materno, applicata nel frangente della guerra

    alle frustrazioni e ai traumi vissuti dall’intera comunità nazionale, sia al fronte

    che nelle retrovie. A Bologna, la Sezione femminile del Comitato di preparazio-

    ne civile si rivolse alla cittadinanza con un “caldo appello” per la raccolta di

    tutto quanto era necessario alla costituzione di nuovi “ospedali sussidiari”, nella

    preoccupazione che gli ospedali organizzati dal Governo e dalla Croce Rossa

    potessero rivelarsi insufficienti. Se ne trova notizia sul “Resto del Carlino” del 5 maggio 1915. In Emilia, e in particolare a Bologna, nacque nel giugno 1915

    il primo esempio italiano di Ufficio notizie, per offrire gratuitamente alle fami-glie dei richiamati un servizio di corrispondenza e informazioni in merito alla

    situazione dei militari al fronte. Grazie all’opera di circa 350 volontarie, l’Ufficio notizie compose un enorme archivio comprendente circa 14.000 schede relative

    ai caduti e ai dispersi provenienti dai Comuni della provincia di Bologna38. Nato

    per iniziativa della contessa Lina Bianconcini Cavazza di S. Martino in Soverzano

    (Minerbio)39, nella sua residenza bolognese di via Farini, l’Ufficio notizie ottenne il riconoscimento del Ministero della Guerra, della Prefettura e il sostegno della

    Camera di Commercio e della Cassa di Risparmio.

    Tra il 1915 e il 1918, metà delle famiglie italiane avrebbe perso un padre,

    un marito, un figlio al fronte, o lo avrebbe visto tornare invalido, oppure pazzo. La Grande Guerra è anche la storia di donne lontane e sole, di bambini rimasti

    orfani di padre, di genitori costretti a sopravvivere ai propri figli. Accanto alla dimensione militare del conflitto, ve ne è una altrettanto importante di carattere familiare, civile, sociale40.

    38  Ibid.39  Si veda il saggio di Cesare Fantazzini pubblicato in questo volume, con particolare riferimento al paragrafo 2. Si veda, inoltre, dello stesso autore, C. Fantazzini, Il Castello di San Martino in Sover-zano e il circostante territorio dal 1882 ad oggi, Bologna 2013, pp. 8-9. 40  M. Carrattieri, C. De Maria, L. Gorgolini, F. Montella (a cura di), Grande Guerra. Microstorie di guerra nelle lettere dal fronte dei soldati emiliano-romagnoli,  raccolta e pubblicazione di fonti inedite promossa dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna per il centenario della Prima guerra mondiale, Bologna, Bradypus, 2015.

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 23

    L’eredità della guerra

    La Grande Guerra è la vera apertura del Novecento, la sua “cifra simbolica” 41. Gli

    storici sono sostanzialmente concordi su questo, ma non è superfluo ripercorrere i motivi che stanno alla base di tale affermazione.

    La Grande Guerra è cifra simbolica del Novecento per diverse ragioni. Essa

    rivela, infatti, in maniera traumatica alcune caratteristiche fondamentali del XX

    secolo. Tanto per cominciare, si tratta della prima guerra industriale e tecnolo-

    gica della storia. Si tratta, inoltre, della prima guerra di massa; infine, da un pun-to di vista prettamente culturale, è l’evento che fa naufragare definitivamente l’idea – tutta ottocentesca e positivista – di un progresso lineare della società.

    L’idea, cioè, che grazie allo sviluppo della scienza e della tecnica ci si avviasse

    verso una età felice per l’intera umanità. I 13 milioni di morti della Grande Guer-

    ra si incaricarono di smentire questa convinzione.

    Tra il 1914 e il 1918 trovarono, in qualche modo, conferma quei nuovi orien-

    tamenti culturali che, a partire dal passaggio tra Otto e Novecento, avevano ri-

    velato la dimensione “notturna” e irrazionale dell’uomo (la psicoanalisi freudia-

    na) o avevano puntato il dito contro la mentalità piattamente produttivistica, e

    degradante dei valori umani e spirituali, che si imputava alla civiltà borghese e

    capitalistica: si pensi a poeti come Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, tra i primi.

    Nelle prospettive espresse dalla cultura europea dopo la cesura del 1914 (sia

    da un punto di vista cognitivo, che narrativo, che artistico) il frammento, il par-

    ticolare, l’esperienza individuale, prendono il posto del disegno compiuto, della

    grande narrazione. L’Europa che esce dalla Grande Guerra è una Europa in fran-tumi.

    Così come è in frantumi, sul piano politico, la civiltà liberale, che viene messa

    prepotentemente in discussione dall’ingresso delle masse sulla scena politica.

    La Prima guerra mondiale accelera in maniera imprevista e patologica il proces-so di democratizzazione. Che cosa significa? Vediamo meglio.

    Tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale, sotto la spinta delle trasformazioni socio-economiche di quei decenni, quasi tutti i paesi dell’Euro-

    pa occidentale aveva approvato leggi che allargavano il corpo elettorale fino a comprendervi la totalità o la stragrande maggioranza dei cittadini maschi mag-

    giorenni (prima di allora il diritto di voto era limitato a una porzione ristretta di

    maschi adulti, scelti in base al censo e all’istruzione). La dilatazione notevole

    della partecipazione politica a nuovi soggetti sociali prefigurò il progressivo pas-saggio dallo Stato liberale alla democrazia di massa.

    41  Cfr. Mariuccia Salvati, Il Novecento. Interpretazioni e bilanci, Laterza, Roma-Bari 2001.

  • Minerbio dal Novecento a oggi24

    Tra il 1914 e il 1918 questo processo, ancora in fase di consolidamento e di

    rodaggio, subì una accelerazione traumatica. In molti casi, i ceti popolari, spe-

    cie quelli provenienti dalle campagne, cominciarono a entrare nella politica, a

    conoscere la politica e ad appassionarsi ad essa, attraverso la guerra, con il suo

    carico di sofferenze (l’esperienza del fronte vissuta da milioni di giovani europei) ma anche di speranze (pensiamo alla rivoluzione russa dell’ottobre 1917).

    Nonostante l’età giolittiana avesse rappresentato un periodo di crescita eco-

    nomica e sociale del paese, l’Italia arrivava alla vigilia della Prima guerra mon-

    diale in condizioni arretrate rispetto alle maggiori potenze europee e con forti

    squilibri interni. Quasi il 40% della popolazione era costituito da analfabeti e il

    50% viveva di agricoltura, soprattutto nelle forme del bracciantato, della colo-

    nia, della mezzadria, della piccola e della piccolissima proprietà. La più larga

    fetta sociale del paese era ancora rappresentata dalle grandi masse contadine,

    le quali in maggioranza erano estranee alla vita politica, così come all’idea della

    guerra. Ma a essere scaraventato sul fronte alpino fu proprio il popolo contadi-

    no, che si trovò costretto a scoprire un mondo severo e ignoto. Molti soldati si

    accorsero solo allora, all’improvviso, che tra Italia e Austria c’erano le montagne,

    che lassù passavano i confini delle nazioni.Si trattò in ogni caso di una forma “patologica” e “traumatica” di democratizza-

    zione, proprio perché legata al clima della guerra, profondamente segnato dalla

    militarizzazione, dai rapporti gerarchici di comando e subordinazione, e da molte-

    plici contrapposizioni: a quella tra “amici” e “nemici” sul fronte militare, si aggiun-

    geva, nel contesto italiano, quella tra interventisti e neutralisti sul fronte interno.

    Al momento dell’armistizio, il 4 novembre 1918, i cittadini italiani sotto le

    armi erano oltre tre milioni, senza contare i prigionieri in mano nemica, circa

    600 mila. Tutto questo favorì l’affermarsi di un rapporto demagogico tra leader e massa, con il suo corollario di fanatismo, obbedienza e conformismo. E questo

    meccanismo prima di essere usato dal fascismo fu adoperato, durante il “biennio

    rosso”, dai rivoluzionari di sinistra, dai cosiddetti “massimalisti”.

    La cronologia di quel biennio è significativa. Nel 1919 nascono i Fasci italiani di combattimento capeggiati da Benito Mussolini. Lo stesso anno, nelle prime ele-

    zioni politiche con il sistema proporzionale, i due partiti di massa, quello sociali-

    sta guidato dai massimalisti e quello popolare recentemente fondato da Sturzo,

    ottengono importanti successi, indebolendo la leadership liberale. Nel 1920 agi-

    tazioni bracciantili e operaie, scioperi e occupazioni, si diffondono nel paese, coin-volgendo soprattutto le grandi fabbriche del Nord e i campi della Pianura Padana.

    Sotto l’impulso dell’esperimento sovietico in atto in Russia si propagano speranze

    rivoluzionarie, e oltre ai socialisti intransigenti si rinforzano il movimento anarchi-

    co e il sindacalismo rivoluzionario. Il PSI a guida massimalista registra un grande

    successo elettorale nelle elezioni amministrative dell’autunno 1920 conquistando

  • Carlo de Maria, Dall’inizio del XX secolo alle conseguenze della Grande Guerra 25

    circa 2.000 comuni a livello nazionale. Sul finire di quell’anno le squadre fasciste attaccano le amministrazioni comunali socialiste di Bologna e Ferrara.

    Insieme alle proteste sociali e all’instabilità politica, il grande problema del

    dopoguerra è rappresentato dal reintegro nella società di ufficiali e soldati smobilitati, la cui esperienza e visione del mondo non poteva che essere pro-

    fondamente segnata dagli anni trascorsi sotto le armi. Il più vasto e popolare

    movimento di reduci nacque nel 1919 con il nome di Associazione nazionale

    combattenti. L’ANC incarnava l’ideale, o se si vuole il mito, di un rinnovamento della vita nazionale a partire dall’esperienza di guerra. Era una sorta di “parti-

    to dei combattenti”, alternativo sia alla classe dirigente liberale sia ai partiti di

    massa, socialista e cattolico. Ma la scommessa, che caratterizzava inizialmente

    l’ANC, di conservare in campo democratico il cameratismo e la solidarietà cre-

    sciuti nelle trincee fu rapidamente persa. Pesò, indubbiamente, la scarsa atten-

    zione verso il fenomeno del reducismo da parte delle élites politiche liberali e,

    soprattutto, mancò un efficace intervento governativo a favore del reinserimen-to civile e lavorativo dei reduci. Anche per questo, gli ex combattenti comincia-

    rono gradualmente a confluire nel nascente movimento fascista.Nella polveriera che era la Pianura Padana in quegli anni, la disoccupazione

    poteva rappresentare una scintilla fatale. Ne era perfettamente consapevole il

    commissario straordinario Gilberto Gaiani, alla guida del Comune di Minerbio

    nei primi mesi del 1919, quando approvava in gran fretta l’esecuzione di alcuni

    lavori pubblici al fine di «arginare la minacciosa disoccupazione operaia»42.Nell’autunno 1920, Minerbio è uno dei tanti comuni italiani che finiscono nel-

    le mani dei socialisti massimalisti. Questi ultimi, contrariamente agli esponenti

    della tradizione socialista-riformista (alla Zanardi, per intenderci), non erano né

    preparati né consapevoli di cosa volesse dire amministrare un comune, giorno

    dopo giorno, in una situazione di crisi politica e sociale di quelle dimensioni. I

    massimalisti guardavano al Comune come a un avamposto rivoluzionario: il loro

    era un approccio politico-ideologico, fondamentalmente poco interessato alle

    questioni amministrative. Lo dimostra in maniera lampante il discorso di insedia-

    mento del nuovo sindaco di Minerbio, Raffaele Scaramagli, riportato nel verbale del Consiglio in terza persona:

    Solo la più rigida disciplina gli impone di sobbarcarsi il grave compito che egli accet-

    ta senza entusiasmo, date le condizioni poco lusinghiere nelle quali versa la finan-za del Comune. Dichiara che la nuova amministrazione non può al momento esporre

    42  Ascm, Atti del Consiglio comunale, gennaio-aprile 1919. Si trattava per lo più di lavori stradali «per ovviare alle deficienti manutenzioni degli anni di guerra». Per fare questo, Gaiani beneficiò di alcune agevolazioni previste dal Comitato speciale per i lavori contro la disoccupazione, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, e accese inoltre un mutuo presso la Cassa Depositi e Prestiti (270 mila lire da restituire in 35 annualità).

  • Minerbio dal Novecento a oggi26

    alcun programma specifico e fattivo, poiché solo dal prossimo congresso socialista verrà dato quell’indirizzo politico ed amministrativo che sarà fedelmente seguito allo

    scopo di difesa della sfruttata classe dei diseredati. Chiede il disinteressato consiglio

    dei colleghi e l’appoggio del proletariato, al quale egli dedicherà volonteroso tutte

    le sue energie. Sarà lieto se egli e l’Amministrazione dovranno cedere il posto solo a

    quei Soviet che nella Russia perseguono il più puro ideale politico. Manda ai compagni

    russi il fraterno saluto ed il fervido augurio per la piena vittoria nella lotta diuturna che

    combattono per il trionfo dell’ideale socialista. […]. Chiude proponendo al Consiglio

    l’approvazione del seguente ordine del giorno: “Nel solenne insediamento di questo

    Consiglio comunale l’animo nostro si rallegra per la vittoria ottenuta e spaziandosi per

    tutta Italia scienti che su 2.000 e più comuni sventola il vessillo rosso, ci rende superbi

    nell’affermare che il nostro ideale di fratellanza e d’amore è da tutti sentito dalla Sar-degna alla Dalmazia, dalle Alpi al Lilibeo [Capo Boeo o Lilibeo, l’estrema punta occi-

    dentale della Sicilia, in provincia di Trapani]. Siamo però rammaricati nel pensare che

    nostri duci, pionieri di libertà, soffrono in galera causa un malgoverno che ancora non vuol comprendere i tempi nuovi, e contro il quale noi energicamente oggi da questi

    scanni protestiamo, domani, se occorrerà, sulla piazza con qualsiasi mezzo pugneremo

    per strappare loro dalle ungue [latinismo per unghie] i nostri vessilliferi Errico Malate-

    sta, Armando Borghi e tanti altri, umili, rei soltanto di predicare al popolo le sante idee

    libertarie e comuniste” 43.

    L’ordine del giorno venne approvato dall’intero Consiglio comunale per acclama-

    zione. Ma nella seduta del 12 gennaio 1921, il sindaco comunicava che il prefetto

    di Bologna, come prevedibile, aveva fatto annullare, con decreto del 13 dicem-

    bre 1920, l’ordine del giorno votato in novembre giudicandolo «una manifesta-zione di carattere politico estranea alle attribuzioni del Consiglio comunale»44.

    La fine ingloriosa della Giunta Scaramagli viene ricostruita da Elena Paoletti nel saggio successivo all’interno di questo volume, ma quello che qui importa

    notare è che, in quel passaggio storico del primo dopoguerra, sia a destra che a

    sinistra, erano davvero pochi i sinceri difensori della democrazia.

    Nelle elezioni politiche della primavera 1921 si crearono liste comuni tra li-

    berali e fascisti. Intanto le strutture di base del movimento operaio e contadino

    (cooperative e camere del lavoro) subivano l’offensiva delle squadre fasciste, particolarmente intense e violente nelle campagne emiliane e nel Polesine. In

    novembre il fascismo si trasformò da movimento in partito: nacque a Roma il

    Partito nazionale fascista, che ebbe come primo segretario un ex sindacalista

    rivoluzionario, Michele Bianchi. Nel 1922, Mussolini avanzò la propria candida-

    tura al governo e organizzò una operazione militare per la conquista della capi-

    tale (la marcia su Roma). Alla fine di ottobre, riceveva dal re l’incarico di formare un nuovo governo.

    43  Ascm, Atti del Consiglio comunale, 28 novembre 1920.44  Ascm, Atti del Consiglio comunale, 12 gennaio 1921.

  • Minerbio dal Novecento a oggi Istituzioni locali, economia e società

    A cura di Carlo De MariaRoma (BraDypUS) 2017

    ISBN 978-88-98392-65-0p. 27-48

    In questo capitolo s’intende analizzare l’origine e l’ascesa del movimento fasci-

    sta a Minerbio, l’ingresso del comune nel secondo conflitto mondiale, la nasci-ta e lo sviluppo del movimento di resistenza al nazifascismo. La letteratura di

    riferimento per questo periodo storico non si presentava esaustiva per quanto

    riguarda il territorio minerbiese e si è rivelata particolarmente preziosa, quindi,

    la documentazione presente nell’Archivio storico comunale. Attraverso lo studio

    e la comparazione di fonti inedite ed edite è stato così possibile ricostruire un

    quadro apprezzabile, seppur non completo, delle vicende politico-istituzionali e

    socio-economiche del periodo 1922-1945.

    1. Dalla giunta socialista di Raffaele Scaramagli alla presa del potere del fascismo

    Le elezioni amministrative del novembre 1920 videro il Partito socialista, con

    due liste, arrivare a conquistare tutti e venti i seggi consigliari del comune di

    Minerbio, eleggendo a sindaco Raffaele Scaramagli (prima lista PSI 1.117 voti e seconda lista PSI 201 voti)1. Questa tornata elettorale segnò il ritorno al voto

    dei cittadini dopo gli anni della guerra, una gestione commissariale durata più

    1  Nazario Sauro Onofri, La strage di Palazzo d’Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Milano, Feltrinelli Editore, 1980, p. 251.

    Il Fascismo e la Seconda guerra mondiale a MinerbioELENA PAOLETTI

  • Minerbio dal Novecento a oggi28

    di quattro anni e una situazione di gravi agitazioni nelle campagne e nelle fab-

    briche, il cosiddetto «biennio rosso». Nelle campagne bolognesi l’astensione dal lavoro dei braccianti e mezzadri per il rinnovo dei patti colonici era durata 10

    mesi, dal gennaio all’ottobre del 1920, quando – con la mediazione della Pre-

    fettura – fu firmato il Concordato Paglia-Calda2. Si trattò del più lungo sciopero agricolo della storia provinciale. La vertenza promossa dalla Federazione pro-

    vinciale lavoratori della terra (Federterra) ebbe momenti di grande asprezza da ambo le parti, con gli agricoltori che piuttosto che cedere alle richieste dei

    mezzadri preferirono lasciare marcire nei campi la metà del raccolto e le leghe

    socialiste che promossero azioni di boicottaggio e invasioni delle terre.

    L’Associazione provinciale degli agricoltori di Bologna invitò più volte i propri

    soci a non firmare alcuna accettazione di capitolato colonico della Federterra e nell’aprile del 1920, infatti, la sezione minerbiese dell’associazione deliberò

    di «astenersi dal compiere singolarmente qualunque atto o dall’iniziare qual-siasi trattativa d’accordo con le organizzazioni operaie»3. In un documento del mese successivo, indirizzato alla Prefettura di Bologna, viene così descritta la

    situazione di alcune contrade di Minerbio, nel momento in cui si è avviata la

    falciatura del fieno e dei foraggi: «I coloni mezzadri falciano, però, soltanto la metà loro spettante e lasciano l’altra a disposizione dei proprietari che non pos-

    sono peraltro avere la manodopera se non la richiedono alla Lega, accettando

    le condizioni da questa fissate»4. In conclusione del documento si segnala che in molti terreni, tra cui quelli del Conte Isolani, le organizzazioni rifiutano la mano d’opera poiché non vi è l’accettazione del nuovo contratto di lavoro. Alla vigilia

    della firma del Concordato la situazione nella campagna bolognese è quella di uno “stato di militarizzazione” con le armi che compaiono da entrambe le parti.

    Appaiono anche i fascisti, con episodi di violenza in alcune zone del bolognese e

    2  Comunemente chiamato Concordato Paglia-Calda il patto stipulato il 25.10.1920 tra la Federa-zione provinciale dei lavoratori della terra e l’Associazione degli agricoltori bolognesi, compren-sivo di quattro patti per mezzadri, affittuari, braccianti e boari. Cfr. Lodovico Paglia, La mezzadria nell’economia agraria, Bologna 1921; Argentina Altobelli, La Federazione nazionale dei lavoratori della terra d’Italia. Storia, vite, battaglie, Bologna 1920; Giovanni Lorenzoni, Introduzione e guida a un’inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice postbellica in Italia, Roma, Treves Dell’Ali, 1929; Franco Cavazza, Le agitazioni agrarie in provincia di Bologna dal 1910 al 1920, Bologna, L. Cappelli, 1940; Mirco Dondi, Tito Menzani, Le campagne. Conflitti, strutture agrarie, associazioni, secondo volume dell’opera, Dalla guerra al “boom”. Territorio, economia, società e politica nei comuni della pianura orientale bolognese, Bologna, Edizioni Aspasia, 2005, pp. 77-81; Pietro Albenghi, Il Fascismo in Emilia Romagna. Dalle origini alla marcia su Roma, Modena, Mucchi Editore, 1989 pp. 169-173. 3  Archivio di Stato di Bologna, Gabinetto di Prefettura (d’ora in poi Asb, Gdp), b. 1329, cat. XVI, f. 1, Commissione provinciale di agricoltura, comitato speciale conflitti agrari, anno 1919-1920. 4  Asb, Gdp, b. 1329, cat. XVI, f. 1, Commissione provinciale di agricoltura, comitato speciale conflitti agrari, anno 1919-1920, Minerbio-agitazione agraria, 6 maggio 1920.

  • Elena Paoletti, Il Fascismo e la Seconda guerra mondiale a Minerbio 29

    la decisione assunta nel settembre dall’Associazione di difesa sociale di stipen-

    diare 300 uomini armati a sostegno dell’associazione degli agricoltori5.

    La vigilia delle elezioni, quindi, era stata segnata da una tensione crescente:

    le agitazioni operaie e contadine che perduravano da mesi avevano suscitato un

    forte allarme tra i proprietari terrieri e gli industriali e la stampa conservatrice

    paventava, in caso di vittoria socialista, la trasformazione dei comuni in succur-

    sali della Camera del Lavoro, nonché requisizioni e prelievi forzati di denaro

    per finanziare progetti collettivistici6. I risultati delle elezioni amministrative del 1920 vedono, tuttavia, un grande successo del PSI nel bolognese: sono conqui-

    stati 51 comuni su 61 e in 33 di questi i socialisti ottengono sia la maggioranza

    sia l’opposizione, come nel caso di Minerbio7. La giunta socialista minerbiese fu

    guidata da Raffaele Scaramagli, uno dei pionieri del movimento socialista a Mi-nerbio, che per molti anni ricoprì la carica di capolega bracciantile. Rientrato

    nel 1920, dopo aver combattuto nella guerra di Libia e nella Grande Guerra, Sca-

    ramagli fu uno dei massimi dirigenti della lunga lotta agraria di quell’anno e al

    momento della sua elezione a sindaco ricopriva il ruolo di direttore e contabile

    della Cooperativa di consumo di Minerbio8. Risale al 25 novembre 1920 la seduta

    di insediamento della giunta Scaramagli nella quale viene espresso un voto di

    solidarietà con i Soviet di Russia e condannata l’azione del governo italiano, pro-

    babilmente anche a seguito dei tragici fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna9. Le

    minacce dei nascenti gruppi fascisti locali alla nuova amministrazione socialista

    non tardarono ad arrivare, così come le violenze sui lavoratori delle campagne,

    che si intensificarono particolarmente nella primavera-estate del 1921.Il 3 aprile 1921 si tiene a Bologna la prima adunata dei fasci emiliano-ro-

    magnoli; Benito Mussolini è accolto alla stazione del capoluogo di provincia da

    migliaia di fascisti in parata e parla, acclamato, al Teatro comunale. Gli iscritti

    al Fascio di Bologna sono, a quella data, 5.130, ma molti di più i simpatizzanti

    ancora non tesserati. Tre giorni dopo, durante una scorribanda fascista nella fra-

    5  L’Associazione bolognese di difesa sociale si era formata nella primavera del 1920 e riuniva com-mercianti, industriali, agricoltori e possidenti in un unico blocco liberal-conservatore nelle cui fila convergevano esponenti liberali, radicali, repubblicani e nazionalisti.

    6  Albenghi, Il Fascismo in Emilia Romagna, cit., pp. 206-210. 7  Onofri, La strage di Palazzo d’Accursio, cit., p. 247.8  Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario S. Onofri (a cura di), Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Vol. V, Dizionario biografico, Edizione elettronica a cura del Comune di Bologna - Progetto Nuove Istituzioni Museali e Istituto per la storia della Resi-stenza e della società contemporanea nella Provincia di Bologna “Luciano Bergonzini” http://www.comune.bologna.it/iperbole/isrebo/strumenti/strumenti.php.

    9  Archivio storico del Comune di Minerbio (d’ora in poi Ascm), Gestione annonaria. Vertenza 1903-1924, Procedimento penale contro Scaramagli Raffaele.

  • Minerbio dal Novecento a oggi30

    zione di Cà de’ Fabbri, da un’automobile carica di fascisti ferraresi partono colpi

    di rivoltella contro un gruppo di operai: rimane ferita gravemente la bambina

    Giuseppina Pilati, di anni 5, la quale morirà poco dopo all’ospedale di Bologna.

    I fascisti, dopo il tragico episodio, proseguono liberi10. Nel maggio, da un gruppo

    di giovani che appartenevano alle Squadre d’azione del Fascio di Bologna, viene

    costituito ufficialmente il Fascio di Combattimento di Minerbio11. Sono mesi, questi, in cui gli squadristi bolognesi e ferraresi operano con ir-

    ruenza su tutto il territorio provinciale per smantellare le strutture sindacali so-

    cialiste e per distruggere gli uffici di collocamento al fine di poter conquistare il controllo dell’occupazione e piegare i sindacati dei lavoratori. Nel bolognese

    vengono distrutti: un giornale, 6 case del popolo, 7 camere del lavoro, 9 coopera-

    tive, 5 leghe contadine, 5 sezioni e circoli socialisti e comunisti, 2 circoli operai e

    ricreativi. Dai proprietari terrieri sono date oltre 2.000 disdette a mezzadri12. L’as-

    salto squadrista si concentra in particolare sulle strutture cooperative, con due

    obbiettivi principali: il capolega e la sede. Sul primo si scatenano intimidazioni

    e violenze che spesso arrivano alla cacciata dal luogo di lavoro e di residenza,

    la sede, invece, è saccheggiata e vandalizzata. Solo nel 1921 ben 23 cooperative

    del bolognese subiscono l’azione repressiva e la chiusura forzata; quelle che non

    vengono distrutte sono “fascistizzate”, con la nomina di nuovi amministratori.

    Mentre le lotte sindacali, pur nell’asprezza delle ultime fasi segnate dal boi-

    cottaggio e dalle invasioni delle terre, erano culminate nel negoziato, la violen-

    za squadrista rifiuta ogni logica negoziale. Se una forma di conflittualità forte e non immune da violenze caratterizzava da tempo la campagna bolognese, la

    violenza squadrista si pone ad un livello completamente inedito13.

    Nel 1921, secondo un rapporto della Camera confederale del Lavoro, gli attac-

    chi delle squadre fasciste hanno provocato 19 morti e 1.936 feriti da arma da fuoco

    o da colpi di bastone o manganello nella provincia di Bologna14. Contro i capilega

    e i semplici coloni si apre una vera e propria caccia all’uomo che vede anche a

    Minerbio assalti fascisti a danno dei canapini e di altri lavoratori delle campagne15.

    Nell’estate, come tentativo spontaneo di reazione alla violenza squadrista, si

    organizzarono anche nel bolognese alcune squadre armate che intendono usare

    10  Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese. Comune per comune, Bolo-gna, 1998, p. 156.

    11  Minerbio nel VII Centenario della Fondazione, Bologna, Stab. Poligrafici Riuniti, 1931, p. 129.12  Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese, cit., p. 9.13 Dondi, Menzani, Le campagne. Conflitti, strutture agrarie, associazioni, cit., p. 84.14  Albenghi, Il Fascismo in Emilia Romagna, cit., p. 421.15  Vedi testimonianza di Arrigo Cantelli in ANPI San Donato, Ne valeva la pena. Il testamento di Vinka e altre storie partigiane, 2012 (raccolta di videointerviste).

  • Elena Paoletti, Il Fascismo e la Seconda guerra mondiale a Minerbio 31

    la forza contro i fascisti. Queste formazioni armate prendono il nome di Arditi

    del popolo e vi confluiscono elementi diversi, provenienti da differenti esperien-ze politiche, anche se, in prevalenza, si tratta di anarchici e socialisti massima-

    listi. Tra il luglio e l’agosto del 1921 si organizzano piccoli gruppi di Arditi del

    popolo nella zona di Crespellano, Pianoro, Castenaso e Minerbio. Gli anarchici

    minerbiesi danno vita, sul modello dei Lupi Rossi di Crevalcore, ad una squadra

    denominata «lupini rossi»16. Le tensioni e le violenze raggiungono l’apice durante la stagione della treb-

    biatura quando i fascisti organizzano il boicottaggio delle trebbiatrici di pro-

    prietà delle cooperative rosse per spezzare la resistenza dei coloni aderenti alla

    Federterra e alla Lega delle cooperative. In questo contesto, il 15 luglio 1921,

    si verifica a Minerbio l’uccisione dell’agente agrario Giulio Onorato Toschi, che per primo, nel Comune, aveva deciso di assumere personale fascista per la treb-

    biatura del grano. Secondo alcune ricostruzioni17 il Toschi fu ucciso durante uno

    scontro a fuoco con alcuni lavoratori, secondo altre, invece, perse la vita a Can-

    telleria di Minerbio nei pressi della propria abitazione, colpito in serata da alcu-

    ni colpi di rivoltella. Il corpo di Toschi fu poi gettato nel fossato della strada e

    rinvenuto il giorno seguente dai viaggiatori del trenino Bologna-Malalbergo. Per

    l’omicidio dell’agente agrario furono arrestati e poi condannati dalla Corte d’As-

    sise di Bologna 10 persone, tra queste alcuni nomi noti in quanto iscritti al PCI e

    in seguito aderenti alle organizzazioni partigiane della zona.

    Si deve considerare che il comune di Minerbio si trovava in una posizione par-

    ticolarmente sfavorevole, schiacciato fra la violenza del Fascio bolognese e l’an-

    cor più aggressivo squadrismo ferrarese. Il Fascio estense conta nel giugno 1921

    7.880 iscritti distribuiti in 89 sezioni e tutte le 21 amministrazioni comunali della

    provincia risultano dimissionarie. L’organizzazione sindacale rossa non è riuscita

    a reggere l’urto dello squadrismo e la Camera del lavoro e le leghe di mestiere

    hanno visto il repentino passaggio dei propri iscritti ai sindacati economici con-

    trollati dai fascisti18. In tutta la regione Emilia-Romagna, nel giro di pochi mesi,

    fra il marzo e il luglio, gli effettivi del Fascio sono quasi raddoppiati, arrivando

    16  Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario S. Onofri (a cura di), Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Vol. I, Bologna dall’antifascismo alla Resistenza, Bologna, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna “Luciano Bergonzini”, 2005, pp. 171-172.

    17  Cfr. I nostri Caduti, in “Il Comune di Bologna. Rivista mensile del Comune”, luglio 1935, p. 99; Albertazzi, Arbizzani, Onofri (a cura di), Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese, cit., p.271. 18  Albenghi, Il Fascismo in Emilia Romagna, cit., p. 343.

  • Minerbio dal Novecento a oggi32

    per Bologna a 11.67019. Molto tesa è la situazione nei comuni appartenenti alla

    Bonifica Renana, un territorio molto vasto che interessa la parte più orientale delle province di Bologna, Ferrara e Ravenna. In questa zona l’intervento dei

    proprietari privati e poi dello Stato, delle province e dei comuni, ha trasformato

    zone paludose e infestate dalla malaria in terreni agricoli altamente produttivi,

    fornendo una nuova opportunità di lavoro a migliaia di braccianti e coloni impe-

    gnati anche nei lavori di prosciugamento e di ingegneria idraulica. Il Consorzio

    della Bonifica, diretto e finanziato da agrari, uomini d’affari e banchieri ferraresi e bolognesi, arriva a fornire lavoro per circa 2.500 braccianti nel periodo esti-

    vo e 5.000 in quello invernale. Nell’aprile del 1919 il Consorzio aveva stipulato

    un contratto con la Federterra con cui si impegnava ad assumere manodopera

    soltanto attraverso l’ufficio di collocamento gestito dalle organizzazioni con-federali delle tre province, versando poi ad esse una quota per il servizio reso.

    A partire dalla primavera del 1921 i sindacati fascisti iniziano a far assumere

    manodopera al di fuori delle procedure sfidando direttamente la Federterra, ri-fiutano qualsiasi compromesso con essa e tutte le ipotesi di accordo proposte dal prefetto Mori. Ottenuto l’appoggio della direzione del Consorzio, i fascisti

    attuano una serie di violenze a danno dei lavoratori che non intendono iscriversi

    alle Camere sindacali da loro controllate e, nel novembre, aggrediscono a colpi

    di bastone braccianti di Minerbio, Cà de’ Fabbri, Mazzolara e Granarolo in quan-

    to partecipanti ad una riunione indetta dalla CGIL.

    Alla fine dell’anno gran parte della manodopera impiegata nella bonifica passa attraverso l’ufficio di collocamento fascista e proviene per oltre i 2/3 dal ferrarese; quando il lavoro scarseggia i primi ad essere licenziati sono i lavorato-

    ri ancora iscritti alle leghe socialiste20.

    L’anno 1922 si apre a Minerbio con una nuova incursione fascista nel cen-

    tro e nelle campagne: il 4 gennaio vengono bastonati alcuni lavoratori che non

    avevano aderito ad uno sciopero indetto dal sindacato autonomo di ispirazione

    fascista, poi, nei pressi di Granarolo, è bastonato a sangue un contadino e dato a

    fuoco il pagliaio21. Le violenze proseguono, in tutta la campagna bolognese, sen-

    za che alcun fascista venga arrestato e processato e questo legittima e incorag-

    gia la pratica squadrista. Gli agricoltori, inoltre, attingono sempre più agli uomini

    del Fascio bolognese per compiere azioni coordinate su più comuni. Sono 49 le

    vittime della violenza fascista dal 21 novembre 1920 al 20 novembre 1922 nella

    19  Renzo De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966, pp. 8-11.

    20  Albenghi, Il Fascismo in Emilia Romagna, cit., pp. 407-411 21  Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese, cit., p. 156.

  • Elena Paoletti, Il Fascismo e la Seconda guerra mondiale a Minerbio 33

    provincia di Bologna, e si tratta di un calcolo per difetto22. Fra queste vittime non

    è conteggiato il mine