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Politecnico di Milano Facoltà di Architettura Civile Laurea Magistrale in Architettura, Progettazione Architettonica MILANO: NUOVE TERME TRA I PASSEGGI SUI BASTIONI E I BOSCHETTI DI PORTA ORIENTALE

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Politecnico di Milano Facoltà di Architettura Civile Laurea Magistrale in Architettura, Progettazione Architettonica

MILANO: NUOVE TERME TRA I PASSEGGI SUI BASTIONI E I BOSCHETTI DI PORTA ORIENTALE

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Relatore Arch. Prof. Marco Stanislao Prusicki Politecnico di Milano Relatore Arch. Prof. Giovanni Cislaghi Politecnico di Milano Relatore Arch. Prof. Alessio Schiavo Politecnico di Milano Anno accademico 2015/2016 Sessione aprile 2016

Alessio Bertocco 815734 Davide Bertocco 815732

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RINGRAZIAMENTI

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INDICE

1 – IL SISTEMA DELLE ACQUE MILANESI

1.1 Breve accenno sul sistema delle acque milanesi 1.2 L’idrografia milanese 1.3 Il problema idrogeologico 1.4 Il Redefossi 1.5 La situazione attuale 1.6 Approfondimenti

1.6.1 Acqualunga e roggia Gerenzana 1.6.2 Il Lambro 1.6.3 Il Lambro Meridionale 1.6.4 Il Naviglio Grande 1.6.5 Il Naviglio della Martesana 1.6.6 L’Olona 1.6.7 Il Seveso 1.6.8 La Vettabbia

2 – LA STORIA DEI GIARDINI PUBBLICI

2.1 La strada Marina 2.2 Nuove interpretazioni dell’area 2.3 Il progetto di Giuseppe Piermarini

2.3.1 Luigi Canonica 2.3.2 Luigi Cagnola 2.3.3 Giacomo Pinchetti

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2.4 La crisi di identità 2.5 Il raddoppio dei Giardini Pubblici-Balzaretto 2.6 L’Esposizione Industriale Italiana 2.7 Emilio Alemagna 2.8 Il progetto dell’ufficio Tecnico Comunale 2.9 Approfondimenti

2.9.1 Il Civico Museo di Storia Naturale 2.9.2 Il Civico Planetario “Ulrico Hoepli” 2.9.3 Il Collegio Elvetico, ora Palazzo del Senato 2.9.4 Il Fondo Dugnani, ora Palazzo Dugnani 2.9.5 Il Padiglione del Caffè 2.9.6 La Villa Reale

3 – RIFERIMENTI PROGETTUALI

3.1 L’ Architettura del ferro: le Serre 3.2 La Mediateca di Sendai, Tokyo, Toyo Ito, 1998-2000 3.3 La Mensa impiegati Pirelli, Giulio Minoletti, Giuseppe Chiodi, Giuseppe Valtolina, Milano Bicocca, 1955-1957 3.4 Il PAC (Padiglione di Arte Contemporane), Ignazio Gardella, 1948 3.5 Lo Spazio Oberdan, Gae Aulenti, Milano, via Vittorio Veneto

4 – RELAZIONE PROGETTUALE

4.1 La tipologia delle Terme: carattere e centralità urbana 4.2 Linee progettuali 4.3 Gli intenti progettuali e la scala territoriale 4.4 Il confronto col presente: orientamenti, quote e percorsi progettuali 4.5 L’impianto termale

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4.5.1 Le relazioni spaziali 4.5.2 La scoperta di un “mondo nuovo” 4.5.3 I materiali costruttivi

4.6 Dati normativi 4.7 Relazione strutturale

5 – CONCLUSIONI INDICE DELLE TAVOLE

BIBLIOGRAFIA

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ABSTRACT

Il progetto si fonda sul sistema delle acque milanesi come oggetto fondamentale di intervento per il riassetto dei bastioni di Porta Venezia, uno dei fulcri della città di Milano, riconoscendo sia la sua valenza storico-artistica che lo ha caratterizzata per un lungo periodo, sia i processi di trasformazione che hanno portato alla loro progressiva eliminazione dal paesaggio urbano, rielaborando nuovi temi concepiti come sviluppo di fondamenti provenienti dal passato, rivendicando le potenzialità intrinseche legate alla storia. Il luogo prescelto, è sede di un’evidente sovrapposizione di interventi susseguitosi negli anni, che negano l’identità ed il carattere che questa parte di tessuto urbano ha avuto nella storia. La riscoperta del canale Redefossi, con la sua giacitura trecentesca, ha reso possibile portare alla luce il bastione cinquecentesco, facendo decadere la sua caratteristica intrinseca di barriera invalicabile; inoltre ha portato alla luce le linee guida di intervento, parti cruciali del progetto, individuate in quest’ultimo asse e nell’antico tracciato della via Marina. Tali considerazioni sono avvalorate da ipotesi fatte nella storia, quando il Claricio presupponeva il tracciato della strada Marina come antico letto di un corso d’acqua, il quale permetteva l’ingresso del Seveso in città. Dall’altro lato l’asse dei bastioni ha assunto importanza a partire dall’inizio del ‘500, quando venne realizzato il progetto

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della cinta fortificata sull’asse Redefossi, rendendolo non solo un limite daziario ma anche militare. L’area fu sede di numerosi edifici di rilevanza storica come la basilica di San Dionigi, nodo del crocevia tra la strada per Monza e l’ingresso in città; di numerosi progetti di architetti illustri come il Piermarini che ne ridisegnò l’assetto dopo che nel ‘700, venendo meno l’esigenza difensiva e militare dei bastioni, fu prevista la loro trasformazione in passeggi pubblici. Fu luogo di progetti temporanei quali strutture provvisorie ed apparati celebrativi temporanei (obelischi, archi trionfali, tempietti e colonne) per onorare eventi politici, nozze regali, incoronazioni, vittorie di battaglie e nuovi ordini sociali con particolari festeggiamenti pubblici; ebbero risalto alcune esposizioni nazionali tra le quali quella del 1881, la quale lasciò dietro di sé una distruzione del paesaggio, rendendo inevitabile un restauro, affidato ad Emilio Alemagna. Le acque della cerchia interna del Naviglio furono tombinate in epoca fascista, mentre il sistema del Redefossi venne coperto precedentemente, nel primo decennio del ‘900, poiché causa di inquinamenti e di esalazioni nei quartieri limitrofi. La tombinatura del canale comportò un’importante trasformazione dell’area, portando alla formazione di un vuoto urbano, che divenne occasione di sperimentazione e progettazione in vista delle successive Fiere Campionarie di inizio secolo. Durante il corso del ‘900 l’area ha subito un generale adattamento ed omologazione. L’asse dei Bastioni di Porta Venezia ha perso la sua funzione di luogo pubblico di passeggio e la sua memoria storica per

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essere trasformato in un grande asse viabilistico; il corso d’acqua è stato sostituito da un progetto di giardini, rampe e scalinate nel verde. Da qui nasce la volontà di ridare “vita” a questo luogo, che ha una storia di notevole rilevanza alle spalle, sempre riconosciuto come luogo della quotidianità e d’incontro, di scambio sociale e di svago. A scala urbana, i vecchi tracciati che hanno caratterizzato l’area nel passato, riemergono, ponendosi come obiettivo la riconnessione del tessuto cittadino. A scala architettonica, l’edificio si inserisce in un contesto saturo di relazioni storiche, ad oggi invisibili, affiorando solo in parte all’aria, come in un rispettoso silenzio; inoltre, l’adozione della fruizione termale si pone come base la riflessione su una ricca tradizione di architetture, come Terme, Bagni Pubblici e Piscine, veri e propri edifici pubblici che fin da epoca antica, proprio in stretta relazione con il sistema delle acque, hanno svolto un ruolo spesso determinante, oggi negato, nel definire e caratterizzare le centralità urbane.

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1 IL SISTEMA DELLE ACQUE MILANESI

1.1 Breve accenno sul sistema delle acque milanesi Un importante ruolo nella ricerca progettuale spetta alle acque presenti nel territorio milanese. L’acqua è il principale elemento di organizzazione della forma della città e ad essa vanno ricondotte tutte le relazioni interne alla città stessa e le relazioni tra essa ed il territorio circostante ed evidenziate le ragioni alla base della fase progettuale. La loro morfologia e conformazione è cambiata molto nel corso dei secoli, tra chiusure frettolose dovute a necessità causate dal susseguirsi di eventi come le esposizioni internazionali, deviazioni di corsi e interventi vari. In questa ricerca definiamo le opportunità che ci hanno spinto ad effettuare una riapertura del canale Redefossi, acqua come parte viva del progetto, elemento attorno al quale ruota ogni ragionamento ed acqua come segno unificatore, visibile e tangibile in un contesto a tratti dispersivo ed abbandonato; ultimo ma non meno importante, acqua come memoria storica, come rivincita del passato su di un presente “spoglio” e monotono.

1.2 L’idrografia milanese

Una vera e propria cartografia e bibliografia delle acque milanesi si ha a partire dal 1807, anno in cui si decise di rinnovare il sistema di drenaggio della acque meteoriche.

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Come si può notare dalle carte esistenti, gli allineamenti dei corsi d’acqua milanesi sono pressoché paralleli tra di loro, seguenti una direzione del piano padano da nord-ovest sud-est. Fu grazie a due decreti del Regio Governo italico che si intraprese la realizzazione di un nuovo sistema stradale e la relativa tombinatura per la raccolta degli scoli. A nord della città scorre il Canale Villoresi, realizzato tra il 1877 e il 1890, quando infatti, in città era già stato interrato il laghetto di Santo Stefano e coperte diverse rogge, tra le quali l'Acqualunga che scendeva da Precotto per lo stradone di Loreto e dava acqua ai ruscelli dei neonati Giardini Pubblici. Esso collega Ticino ed Adda, fornendo acqua di irrigazione alle campagne settentrionali. Nella zona nord- Ovest di Milano, entrano in città vari corsi d’ acqua tra cui il Seveso, proveniente dai rilievi comaschi. Al momento segue in percorso parallelo alla via Ornato ed entra nel naviglio della Martesana in via Melchiorre Gioia tramite un percorso sotterraneo. Nel Medioevo, Seveso e Nirone erano i due canali che alimentavano le acque difensive del fossato a ridosso delle antiche mura. Il Naviglio della Martesana, costruito tra il 1457-1465, prende le sue acque dall’ Adda, nei pressi della città di Trezzo ed entra in città nei dintorni della via Padova. Quest’ ultimo, dopo la confluenza con i Seveso, dà origine al Cavo Redefossi, parte fondamentale del nostro progetto; riaperto in alcuni tratti, deviato ed arricchito, scorre maestoso lungo i principali assi all’ interno dei Giardini pubblici di Porta Venezia.

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Attualmente però esso scorre coperto attorno alla cerchia Orientale dei Bastioni, fino a Porta Romana, dove devia verso corso Lodi, via Cassinis e Rogoredo, sbucando poi in un condotto a cielo aperto (coperto anch’esso tutt’ oggi) lungo la via Emilia, per poi sfociare nel Lambro. Il tratto del Redefossi che va da piazza Medaglie d’ Oro al Lambro, venne scavato tra il 1783 e il 1786 per esaurire le frequenti esondazioni che avvenivano presso Porta Romana, Porta Ludovica e Porta Vittoria. Nella zona San Siro, il torrente Merlata e Mussa, seguendo percorsi sotterranei, confluiscono le loro acque nell’ Olona. Passando nella parte orientale della città, troviamo il Lambro settentrionale che, proveniente dal triangolo Lariano, scorre a cielo aperto e presso Melegnano raccoglie le acque del Redefossi, della Vettabbia e più a valle quelle del Colatore Lambro Meridionale. Proseguendo verso l’uscita della città, le acque raggiungono Porta Genova, dove il Lambro Meridionale, oltre ad accogliere le acque del fiume Olona, funge da scaricatore del naviglio Grande. Esso prende le sue acque dal Ticino, e confluisce in città da Porta Ticinese. Fu scavato tra il 1179 e il 1209 come canale di irrigazione, per poi essere allargato e reso navigabile, conferendogli appunto il nome “Grande”. Fu un grande intervento, che rese possibile trasporto di vari materiali tra il rivestimento per il Duomo di Milano. La presenza di tanti corsi d’ acqua fu fin da subito una grande risorsa per la città, sia per i vari trasporti che resero più facile la vita Ottocentesca, sia per il ruolo paesaggistico ed artistico che tanto caratterizzagli scorci milanesi.

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Infatti, sin dalle primissime carte di Milano, rappresentata a forma circolare, gli elementi messi in evidenza oltre alle cinte murarie difensive, erano proprio i sistemi di canalizzazione che si intersecavano tra loro per tutta l’estensione della città. Non tutti i canali presi in considerazione sono per così dire “naturali”, ma frutto di anni e anni di opere ingegneristiche che hanno portato Milano all’ aspetto attuale.

1.3 Il problema idrogeologico La città di Milano ed il suo hinterland, sin dall’epoca romana, presentano terreni coltivabili e sempre bonificati in tutta la pianura, con un’attenta gestione delle acque che garantiva un funzionamento efficace e durevole. Tutto ciò arrivò ad un punto di rottura nell’equilibrio del sistema idrico, determinata dalla completa copertura dei Navigli e dalla deviazione di alcuni corsi d’acqua verso la Vettabbia, che fu fino al 1930 scolmatore della fossa interna e punto in cui finivano gli scarichi fognari cittadini. La Vettabbia, nei progetti ingegneristici, doveva collegare l’Adda al Lambro; questo era possibile mediante l’aumento della sua portata dal momento che il Seveso non forniva abbastanza acqua. L’Olona fu deviato verso quest’ultima e venne usato per regolarizzare la parte occidentale di Milano, quindi il Naviglio Grande, venendo separato da esso, cambiò funzionamento. Dal 1860, infatti, venne a mancare una grande quantità d’acqua che in precedenza era destinata alla parte meridionale della città, mandando in crisi il sistema fluviale. Nei due secoli successivi, nonostante l’interramento dei canali interni e del fossato che circondava le antiche mura romane,

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si assiste al nascere di nuovi canali dediti all’irrigazione degli orti e dei giardini siti tra la cerchia dei Bastioni ed i Navigli. Così, l’acqua assunse un ruolo “romantico”, data la formazione di numerosi laghetti in stile inglese, che accentuarono l’aspetto di città d’acqua di Milano. Successivamente, però, l’acqua assunse un ruolo “scomodo” all’interno delle vie pubbliche; infatti a partire dal 1838 si iniziò ad interrare vari corsi d’acqua e nel 1857 scomparve inoltre il laghetto di Santo Stefano, con il conseguente progetto per la copertura dei Navigli attuata nel 1930.

1.4 Il Redefossi Milano, secondo le carte di Leonardo Da Vinci, è rappresentata efficacemente mediante tre cerchie concentriche collegate tra loro da numerose radiali seguenti l’antico cardo romano. Le cerchie interne indicano espressamente le antiche mura romane e medievali, mentre la terza è di definizione più incerta. Per questo motivo si ipotizza che corrisponda ad un’indicazione schematica dell’antico tracciato del Redefossi, costruito come fossato di difesa. Quindi, quest’ultimo, ha rivestito per oltre un secolo il ruolo di limite daziario (questo ne giustifica la forma poligonale). Esso è composto da sette tratti rettilinei che si incrociano strategicamente nei punti d’incontro dei principali tracciati territoriali, aspetto che ne fortifica la funzione di “controllore”.

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Tali vertici corrispondono alle porte d’ingresso alla città, costituendone il riferimento principale come forte radicamento culturale ed economico. Il Redefossi, sin dai tempi antichi, è stato quindi il limite più esterno della città giustificato anche dalla giacitura del recinto della sanità, ossia il Lazzaretto. Comprendendo la forma del Redefossi Trecentesco, si riesce ad approfondire il districato filo di relazioni che si sono instaurate nel corso dei secoli tra il fossato e il Bastione. Il Bastione Cinquecentesco però, non segue lo stesso tracciato del Redefossi Trecentesco: utilizza questo come traccia, ma ne modifica il corso in numerose occasioni, cingendo poi il castello. Alcuni elementi significativi vengono lasciati fuori dalla cinta muraria, a differenza del canale che li comprendeva, per cui il Redefossi può essere considerato come unico limite tra “interno” ed “esterno” della città, ed i Bastioni ne sono solamente una conseguenza. Un’adeguata cerchia di Bastioni, dimensionalmente e strutturalmente, verrà messa in opera solo nel periodo spagnolo tra il 1549 ed il 1560. Il Seveso, nella fase romana della città milanese, ebbe due deviazioni (l'una in epoca repubblicana, l'altra in età imperiale) lasciando attivo il suo alveo per accoglierne le piene da sfogare poi nella Vettabbia. Fu il più importante tra i fiumi e le rogge che provvedevano all'approvvigionamento idrico della città. Le cose, però, cambiarono quando fu costruito il naviglio della Martesana, completato e reso completamente navigabile fino alla Cassina de’Pomm nel 1471.

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Questo canale sfogava le acque in eccesso provenienti dall'Adda in parte nel Lambro e in parte nel Seveso, nel quale il naviglio terminava. Nel 1496 fu completato il tratto dalla Cassina al ponte delle Gabelle facendo sì che il Seveso e la Martesana si incrociassero. Il primo venne incanalato dando origine alla roggia Gerenzana, ma il carico idrico su Milano in caso di piene del Seveso e dell'Adda, diventò eccessivo e si avvertì l'esigenza di creare un canale che potesse scaricarle prima che entrassero attraverso la conca dell'Incoronata nel naviglio di San Marco, recapitandole direttamente nella fossa interna più a valle; nacque così lo scolmatore. Con la costruzione delle mura spagnole, il Redefossi le contornò dal ponte delle Gabelle fino a confluire nella Vettabbia, a quel punto già uscita dalla fossa interna, nei pressi di porta Lodovica. Ma la portata aggiunta alla Vettabbia, portò esondazioni sempre più numerose, in quanto non trova sufficiente sfogo nell'irrigazione dei terreni circostanti da porta Tosa fino a porta Lodovica. Si instaurò così una lunga polemica tra chi considerava come soluzione del problema un minore afflusso d'acqua verso la città e chi pensava che un migliore deflusso a valle avrebbe risolto il problema. Dopo la metà del secolo, illustri ingegneri-idraulici come Giovanni Antonio Lecchi e Dionigi Maria Ferrari, offrirono diverse soluzioni e progetti; sarà l'ingegnere Pietro Parea, che progetterà il prolungamento del Redefossi fino quasi a Melegnano. I lavori iniziarono nel 1783 e furono terminati nel giro di tre anni.

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Il percorso lungo i bastioni, a Milano, fu tombinato negli anni trenta, contemporaneamente alla copertura della fossa interna. La tombinatura del canale comportò un’importante trasformazione dell’area, portando alla formazione di un vuoto urbano, che divenne occasione di sperimentazione e progettazione in vista delle successive Fiere Campionarie di inizio secolo.

1.5 La situazione attuale Oggi la situazione idrografica di Milano risulta di più facile comprensione rispetto al passato. Partendo da est troviamo il Lambro, la Martesana, il Seveso, l’asse Olona-Lambro meridionale, il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese. Questi cinque corsi d’acqua costituiscono lo scheletro dell’intero sistema fluviale che scorre verso sudest. A sud della città invece, troviamo i tre depuratori che trattano le acque reflue ed i canali le cui acque, sfociano nel Po dopo aver irrigato l’intera pianura. A nord scorre il canale Villoresi che, irrigando i territori della sua sponda meridionale, travasa le acque nel bacino milanese. I numeri però, indicano che questa semplicità è solo apparente in quanto sul territorio comunale di Milano, il reticolo di corsi d'acqua naturali e artificiali ereditati dal passato ha uno sviluppo complessivo di 370 chilometri (anche se scorre per la maggior parte in alvei coperti).

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1.6 Approfondimenti Di seguito proponiamo degli approfondimenti sui diversi corsi d’acqua che interessano la città di Milano, distinguendoli tra naturali ed artificiali, ricordando che non sono due categorie separate ma "naturalità" e "artificialità" si intrecciano sovente nella vita di uno stesso corso d'acqua. 1.6.1 Acqualunga e roggia Gerenzana Sono legati in diverso modo al Seveso i due corsi d'acqua che seguono, completamente tombinati e invisibili nei loro percorsi. L'Acqualunga è un fontanile che nasce a Precotto, lungo viale Monza; ai tempi dei Romani era un affluente del Seveso e con esso contribuiva all'approvvigionamento idrico di Milano. Alcuni sostengono che confluisse qui nel Grande Sevese; in San Babila si trova un antico ponte romano, ormai distrutto, attribuito all’attraversamento di questo fontanile. Secondo fonti più certe, l'acqua del fontanile scorreva nei giardini di villa Finzi a Gorla e vi formava addirittura un laghetto, Esso arrivava a Loreto e scendeva per l'attuale corso Buenos Aires e Venezia, bagnando gli orti di porta Orientale e formando, alla fine dell'Ottocento, i ruscelli dei Giardini pubblici. L’ Acqualunga fu il primo corso d'acqua milanese sacrificato alla viabilità, finendo nel Redefossi. Dal Seveso nasce la roggia Gerenzana. Questa roggia rappresentava un "diritto d'acqua", una roggia privata dei marchesi Brivio-Sforza di cui irrigava le proprietà a San Giuliano Milanese, che venne mantenuto pur spostando il fiume ed il percorso.

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L’ultima sua parte ai confini della città è stata tombinata nel 1999. A porta Orientale la roggia alimentava con le sue acque depurate facendole scorrere attraverso mucchi di sabbia e ghiaia, il Bagno di Diana, la prima lussuosa "piscina" all'aperto di Milano e, subito dopo, in via Sirtori, attraversava lo stabilimento della Società Anonima Omnibus, che gestiva il trasporto pubblico milanese. 1.6.2 Il Lambro Il corso del fiume Lambro proviene dal Triangolo Lariano lungo la Valassina, continuando in Brianza, lambendo la città di Monza, e i comuni di Brugherio, Sesto San Giovanni e Cologno Monzese. Scorre ancora quasi interamente a cielo aperto, grazie al suo corso periferico nella città di Milano, bagnandone la fascia orientale per circa dieci chilometri. Entra, successivamente, da Cascina Gobba, attraversa il quartiere di Lambrate, Parco Lambro, l'Ortica e Monluè, uscendo nel territorio di Peschiera Borromeo. Qui è collocato uno dei tre depuratori del capoluogo (Milano sudest) e il Lambro ne riceve parte delle acque. Nel tratto milanese, il Lambro riceve la roggia Lirone, emissario dell'Idroscalo. A Corte Sant'Andrea di Senna Lodigiana il Lambro sfocia nel Po. Fino al 2005, il Lambro riceveva lungo il suo percorso praticamente tutti gli scarichi fognari di Milano, in parte direttamente (bacino est) e in parte tramite la Vettabbia e il Redefossi (bacino centrale), attraverso il Lambro meridionale che raccoglieva a sua volta quelli del bacino occidentale.

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1.6.3 Il Lambro Meridionale Il Lambro meridionale è un corso d'acqua che ha origine da uno scaricatore del Naviglio Grande in località San Cristoforo, a Milano, dove riceve anche in parte acque dell'Olona. Il colatore Lambro meridionale, ha una sua lunga storia autonoma: usciva al Carrobbio da una cloaca che i romani costruirono lungo l'attuale via Torino e per via Cesare Correnti dirigeva a sud nel letto del Nirone. Dopo l'entrata in funzione del sistema di depurazione delle acque di Milano, non riceve più reflui fognari ma soltanto esiti del reticolo di acque a bassa profondità dell'area a valle della darsena e quelle ancora altamente inquinate dell'Olona. Scorrendo a cielo aperto è spesso oggetto delle proteste dei cittadini che abitano nelle vie adiacenti. 1.6.4 Il Naviglio Grande Il Naviglio Grande fu costruito tra il 1179 ed il 1211; reso navigabile dal 1272, ha visto l'ultimo barcone carico di sabbia nel 1979. Attualmente è l'unico immissario della darsena di porta Ticinese. Esso alimenta il naviglio di Bereguardo, il Canale Ticinello, che si stacca attraverso un complesso di chiuse e raggiunge Binasco, formando il Navigliaccio per poi proseguire per il territorio di Lacchiarella con a roggia Belgioioso, la roggia Vecchia, la roggia Braschetta, al confine con Buccinasco, a cielo aperto come l'adiacente roggia del Mulino bruciato, la roggia Carlesca e numerose bocche che irrigano il triangolo formato col naviglio Pavese.

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A poche centinaia di metri dalla darsena ne esce la roggia Boniforte, l'ultima, tra quelle importanti, del Naviglio. Scorre in via Argelati, la prima traversa della ripa di Porta Ticinese e un tempo era gremita di lavatoi, dava acqua anche ai Bagni Ticino e irrigava le campagne. Dalla darsena escono due corsi d'acqua: il Naviglio Pavese e il cavo Ticinello, scolmatore della darsena, scorre parallelo al Cavo Vettabbia, cedendogli parte della sua portata, proseguendo poi nelle campagne meridionali di Milano per poi confluire nel colatore Lambro Meridionale. 1.6.5 Il Naviglio della Martesana Il naviglio della Martesana, proveniente dall'Adda, non ha problemi di piene eccessive scarica le sue acque in eccesso nel Lambro, che scavalca prima di entrare a Milano. La sua storia per i primi secoli è stata caratterizzata non dalle elevate piene ma bensì dall'insufficienza del livello d'acqua necessario alla navigazione. Oggi termina il suo percorso a cielo aperto alla Cassina de' Pomm, dove si attestava prima che Lodovico il Moro lo portasse in città, e dove oggi scompare sotto la superficie stradale. 1.6.6 L’ Olona

L'Olona, al giorno d’oggi, scorre invisibile sotto il manto stradale per tutto il suo percorso cittadino. Esso è stato il “fiume di Milano” per secoli; deviato in epoca romana, l'Olona raggiungeva Milano col nome Vepra, attraversando il territorio di quella che sarebbe diventata Pero. Il suo percorso attraversa gli attuali

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quartieri Gallaratese, Lampugnano e QT8. Nel tratto milanese riceveva le acque del torrente Guisa e del torrente Nirone, uniti nel Merlata o Fugone, provenienti dall'area boschiva delle Groane. Intercettava, all'altezza dell'attuale piazza Stuparich, il Lombra (o Mussa, o Pudiga) prendendone per un tratto l'alveo. Ne usciva, attraverso la Vepra appunto, alla Maddalena, per confluire nella Vettabbia. Nel XII secolo l'Olona era stato portato alla cinta di mura per contribuire all'allagamento della fossa e, alla fine del XVI, arrestato alle mura spagnole e fatto confluire nella nuova darsena pochi anni dopo. Le sue acque ne uscivano, mescolate a quelle del Naviglio Grande e della Martesana, attraverso il cavo Ticinello e il naviglio Pavese che irrigava le campagne. Fino al 1704 il fiume presentava un solo braccio terminale, ma a partire dal 1722 il fiume si biforca in due rami paralleli: Olona nuova quello settentrionale che più tardi si chiamerà roggia Molinara, Olona vecchia quello meridionale. La roggia però sarà chiusa alla fine dell'Ottocento. Nel piano regolatore generale del Beruto nel 1884 compare per la prima volta il percorso canalizzato esterno attuale. Ad oggi si può dire che l’Olona, nata alla Rasa di Varese, termina a Milano: fino al 1980 nella darsena di porta Ticinese, oggi a San Cristoforo nel Lambro Meridionale. 1.6.7 Il Seveso Il Seveso, proveniente dai rilievi del comasco, segna il confine occidentale della Brianza.

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Nel suo percorso milanese è completamente coperto. Fino ad oggi ha avuto il nome di Fiume Nero, per il colore delle sue acque. Esso si riversa nel naviglio della Martesana sotto via Melchiorre Gioia, a Milano, dando origine al Redefossi nella sua attuale configurazione. 1.6.8 La Vettabbia

La Vettabbia, è stato il primo naviglio di Milano e convogliava le acque del Seveso e dell'Olona in epoca romana. Dal 1930 divenne lo scolmatore della fossa interna, attraversando sotterraneamente la zona sudest di Milano, era alimentato da una parte delle acque del Seveso e del Molia; oggi riceve quelle del cavo Ticinello. A sud di Milano riceve le acque del Fontanile di Macconago, a Melegnano confluisce nel Lambro, subito dopo avere ricevuto il Redefossi. Nella Vettabbia si scaricano anche parte delle acque depurate a Nosedo. Entrambi i canali hanno rilevanti tratti che scorrono a cielo aperto nel territorio comunale: la Vettabia, da Morivione, attraversa tutto il Vigentino per dirigersi a Chiaravalle e attraversare poi San Donato Milanese.

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2- LA STORIA DEI GIARDINI PUBBLICI 2.1 La strada Marina Analizzando alcune carte storiche, quali le piante di Milano realizzate da Richini e Claricio, è possibile ipotizzare il tracciato della strada Marina come antico letto di un corso d’acqua, il quale permetteva l’ingresso del Seveso in città. La continuità di questo canale è stata interrotta a fine ‘400 con la costruzione del Lazzaretto. All’inizio del ‘500 venne realizzato il progetto della cinta fortificata sull’asse Redefossi, rendendolo non solo un limite daziario ma anche militare.

2.2 Nuove interpretazioni dell’area I Giardini Pubblici Milanesi rappresentano una vera e propria sintesi delle vicende storiche che hanno segnato la vita della capitale lombarda negli ultimi due secoli, in particolare rispecchiano l’evoluzione della storia artistica e architettonica della città. I Giardini Pubblici di Porta Venezia, che si estendono tra via Palestro, Corso Venezia, i Bastioni e via Manin, sono il primo esempio di giardino pubblico nonché il primo parco, nell’accezione moderna del termine, della città di Milano. Sono il frutto e l’espressione della trasformazione di un’antica parte della città, a suo tempo denominata Borgo di Porta Orientale, descritta dal Manzoni con immagini che riportavano all’ambiente tipico della campagna, in cui l’attuale tratto finale di Corso Venezia appariva come un

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viottolo fiancheggiato da un fosso sul quale prospettavano le mura di edifici secolari quali i conventi delle Carcanine e di San Dionigi con i loro orti rigogliosi. Quel luogo così impregnato dei valori più profondi e spirituali dell’uomo era quello ideale ove realizzare un parco cittadino ad uso pubblico. I Giardini Pubblici rappresentano una parte fondamentale nella memoria cittadina, vedendo “…un susseguirsi di generazioni che usufruivano del suo verde e dei suoi spazi. I bambini che rincorrevano cerchi ed affidavano le loro barche alle onde della fontana prospicente Palazzo Dugnani sono diventati padri e madri che seguivano con apprensione le evoluzioni dei figli in bicicletta e, poi, nonni che spingevano i passeggini dei nipoti nei vialetti ombrosi e silenti. Tutto questo non si è interrotto; un filo secolare ha cucito, lustro dopo lustro, il divenire della nostra città, le nuove abitudini, i nuovi costumi nell’immutato scenario del Parco1”. La nascita dei Giardini Pubblici di via Palestro ha inizio con la scelta, per nulla casuale, da parte dell’amministrazione austriaca dell’area di costruzione, rientrante in un’operazione di sistemazione urbanistica più ampia, tesa a valorizzare l’intero quartiere: investiva il Corso di Porta Orientale (oggi Corso Venezia) e la zona tra Porta Nuova e Porta Orientale, con l’adattamento dei Bastioni come luogo di passeggio. Veniva chiuso il fossato detto l’Acqualunga, che correva lungo il borgo ed erano previste rettifiche nel tracciato del Corso e importanti interventi monumentali, quale, per esempio, la costruzione del Palazzo Serbelloni. Veniva modificato il ruolo della cinta spagnola e smantellato l’aspetto difensivo e militare dell’ingresso in città.

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1 Silvana Garufi, Sandra Sicoli, I Giardini Pubblici di Via Palestro, Diakronia, 1997, Milano (cit. Marco Formentini)

2.3 Il progetto di Giuseppe Piermarini Nel 1769 venne incaricato l’architetto Giuseppe Piermarini di iniziare la costruzione della “porta del dazio”, collocata a Porta Orientale per controllare il traffico di questa parte della città. Da qui partivano le carrozzabili verso la Villa Arciducale di Monza e le ville delle famiglie nobili in Brianza. Veniva così a cadere il carattere militare che la porta aveva fino ad allora svolto nella cerchia spagnola, per acquistare invece, una funzione amministrativa e celebrativa. Quale apertura prospettica e privilegiata verso lo stradone di Loreto. La trasformazione dell’area di Porta Orientale proseguì con la “rettificazione dell’ultimo tratto” in previsione delle nozze tra Ferdinando, figlio di Maria Teresa, e Maria Beatrice Ricciarda d’Este, nipote del duca di Modena: “questa parte di città è la più amena, quella che gode di aria più salubre; l’ampiezza del luogo vi appresta tutto il comodo popolo e l’elevatezza di quello presenta un assai vasto e piacevole orizzonte. Da un lato si domina la pianura vasta, il giro delle non molto distanti colline, e finalmente l’alta catena de’ nostri monti a fronte di gran parte delle lontane Alpi, e dall’altro, uno de’ migliori aspetti della città. Si sale da questa insensibilmente alle mura; e nell’ora del passaggio scopresi la bellissima pompa dell’innumerabile quantità di carrozze, quivi schierate e di popolo che si sta divertendo2.” Per l’occasione delle nozze arciducali tutta la città venne addobbata e in parte restaurata, ma i festeggiamenti, che durarono dal 15 ottobre al 3 novembre 1771, ebbero luogo

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proprio nel Corso di Porta Orientale dove fu allestito un “Berseau” e un “Tempietto della Dea Flora”, costruito su una collinetta artificiale davanti al dazio. Per tutti gli “ornati”, dagli “orti pensili” appoggiati alle mura dei giardini che si affacciavano sull’ultimo tratto del Corso, ai festoni, ai “parterre”, venne incaricato il Piermarini che da quel momento iniziò a ricevere numerose commesse, anche da privati e da committenti residenti fuori Milano. Gli interventi di “embellissement” proseguirono con operazioni di selciatura all’interno dei Bastioni che, resi carrozzabili dal 1750, furono piantumati con piante di castano d’India nel 1789. Tali provvedimenti rientravano in una serie dipiù generale di norme di controllo che il Governo emanò per rendere più decorosa, funzionale e salubre la città. Si trattava di interventi nel settore del traffico delle carrozze, come pure della manutenzione, pavimentazione, allargamento delle strade, con la costruzione di marciapiedi e di opere di fognatura, tombinatura e supervisione delle rogge. In questo clima di rinnovamento e trasformazione si inserisce la proposta dell’impresario Giovanni Ambrogio Crippa di un “Passeggio Pubblico” da farsi nell’area di Porta Orientale. La soppressione del convento di Santa Maria Addolorata (detto anche delle Carcanine) e quello del complesso di San Dionigi, rientrarono in una politica più generale di soppressioni degli enti ecclesiastici avviata nella Lombardia Austriaca a cominciare dal 1769 da Maria Teresa e proseguita alla sua morte dal figlio Giuseppe II che sancirà, nel 1781, l’abolizione di tutte le corporazioni ecclesiastiche “non utili alla società”.

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L’avviso della demolizione di questi ultimi comparve nel 1783 con l’abolizione anche dei loro orti e giardini, spazi destinati ai Giardini Pubblici, dove saranno presenti arbori, siepi, case, luogo per il gioco del pallone. L’idea di creare un luogo verde pubblico era ritenuta un’esigenza non rinviabile, anche per contribuire al ornamento pubblico della città. Il progetto del Piermarini, pur nel taglio tradizionale di giardino all’italiana, fu di grande innovazione, da considerare come una delle prime realizzazioni di spazi verdi aperti al pubblico in Italia. L’ingresso, dalla parte della città, si ebbe attraverso la Strada Marina, ornata da una regolare alberatura, con cinque filari di olmi e tigli su ogni lato. Fu da qui, che nel 1778, venne inaugurato il Vaux-hall, il ritrovo per divertimenti sul modello inglese, con ritrovi di persone a piedi la sera, in un luogo di passeggio aperto e ben illuminato, con padiglioni verdi e giardinetti con sedili, musica, danze, giochi, fuochi artificiali, spacci di bibite, tabacchi e rinfreschi. Ciò che rende del tutto innovativa la proposta del Piermarini è che si tratta di un vero e proprio progetto di un’area di rilievo, individuata dagli amministratori come privilegiata per lo sviluppo edilizio, non periferico, ma all’interno delle mura cittadine. All’incrocio delle “alleès” degli alberi, a metà percorso, venne collocato un obelisco, con il preciso intento di creare, attraverso una serie di filari di piante, un viale centrale come asse prospettico. Il passeggio proseguiva in un’area suddivisa ad aiuole, con parterre che terminava nella “scalinata ad anfiteatro” che portava alla quota dei Bastioni.

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La zona centrale era destinata ai divertimenti, dove era previsto anche uno spazio ad uso sportivo ed uno per spettacoli e feste. Alberi, siepi, boschetti, tappeti verdi e viali ben distribuiti, un Circo, un Teatro diurno ed un Caffè erano il fulcro di questo spazio che lo rese delizioso e molto frequentato. La terza fascia del progetto presentava ancora delle aiuole regolari ed un “boschetto” collegato al passaggio delle carrozze di Porta Orientale. Con la creazione dei Giardini, tutta l’area veniva così modificata e valorizzata; nel 1783 venne costruito lo “stradone di Loreto” in direzione di Bergamo, oltre la cinta dei Bastioni e nel 1784 venne proposta l’apertura della contrada d’Isara (l’attuale via Palestro) larga circa 7 metri, per collegare il Corso di Porta Orientale con la Strada Marina, al cui incrocio tra il 1790 e il 1793 venne costruito, su progetto dell’architetto Leopoldo Pollack, allievo del Piermarini, la villa per il principe Ludovico Barbiano di Belgiojoso, dotata del primo giardino all’inglese entro le mura della città. Con l’annessione dell’area verde dell’ex Collegio Elvetico, nel 1787 si creò l’area dei cosiddetti “Boschetti”, una passeggiata (cara al Parini e ricordata dal Foscolo nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis) che costeggiando il Palazzo del Governo, immetteva nel cuore dei Giardini. Con l’allargamento dell’area dei Giardini alla Strada Marina e ai Boschetti, furono numerosi i lavori che si intrapresero nel giro di pochi anni, dall’abbellimento delle case circondariali con i tipici caratteri di “decoro” sanciti dal Regolamento delle Strade del 1784, allo spianamento dei terreni e alla formazione di nuovi viali, dalla preparazione dei Fossi per la

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divisione dei Giardini dalla Strada Marina, alla realizzazione della Gradinata e muri della Prospettiva verso il Bastione. La trasparenza della semplice cancellata che cingeva tutto il perimetro dei giardini, per un’area di 45.000 metri quadrati, più i 19.000 metri quadrati di Boschetti, è un segno della novità del progetto piermariniano, come pure l’insediamento dell’obelisco, un elemento di arredo con forte significato simbolico. Ma l’elemento di innovazione più significativo è l’ideazione di uno spazio verde permanente e non più una struttura provvisoria per gli svaghi. Nel cuore del giardino, inoltre, venne previsto il riutilizzo del caseggiato del Monastero di Santa Maria dei Sette Dolori per farne un salone per le feste popolari ed i balli. In contemporanea l’architetto venne chiamato a rispondere di tutti i boschetti, viali e parterre, progettati secondo uno schema formale simmetrico, ben distanziati con comodi spazi tra le aiuole e ben piantumati; di una serie di elementi di decoro quali urne e vasi ornamentali da mettere lungo le cancellate che delimitavano il Giardino. Per la custodia di questi fu incaricato Giovanni Borghi, mentre in qualità di Giardiniere operò Francesco Pratesi, che ebbe l’occasione di redigere relazioni sul suo stato di conservazione. I Giardini col passare del tempo divennero sede di numerose manifestazioni. Con questo intervento l’architetto gettò le basi per una nuova funzione morale ed educativa del giardino pubblico, elogiato da varie figure nella storia, lodando la creazione di spazi aperti a tutti, organizzati in viali alberati e refrigeranti. 2 Civico Archivio Storico, Fondo Strade, Cart 45 PG.36425 Milano, 4 gennaio 1863

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2.3.1 Luigi Canonica Sul finire del 1804 l’Amministrazione Municipale decise di dare “un nuovo ordine ai Giardini di Porta Orientale” con la demolizione del muro che recingeva lo spazio dedicato al Gioco del Pallone, l’eliminazione della Birreria e della Pasticceria, la costruzione di una nuova Fontana e la parziale modifica del tracciato delle aiuole. Inoltre venne prevista una ripiantumazione degli arbori. L’architetto designato fu Luigi Canonica, allievo del Piermarini; il suo progetto venne definito come il “meno dispendioso” ed il più adatto per il comodo collettivo e per le Feste Nazionali. 2.3.2 Luigi Cagnola

Sempre in questi anni fu affidato ad un altro architetto, Luigi Cagnola, l’incarico di progettare un Arco di Trionfo a Porta Orientale per le nozze di Eugenio di Beauharnais e di Amalia di Baviera. Il giardino venne definito come “luogo d’incontro e di svago per la città, luogo a contatto con il Bastione dov’è presente una gran folla, composta anche da bimbi e ragazzi, intenta a passeggiare e attratta dagli spettacoli del teatro, dai giochi del ciarlatano, dalle bancarelle, dall’albero della cuccagna3”. Sempre a Cagnola furono affidate una serie di opere che, se fossero state realizzate, avrebbero modificato grandemente il volto di Milano. Prima di tutto va attribuita a lui, l’ideazione di un “Giardino delle Piante” da realizzarsi nell’area tra il Lazzaretto, i Bastioni fino a Porta Nuova e il corso della Martesana. All’interno di

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questo giardino, ideato in gran parte secondo criteri simmetrici, ma con uno spazio anche sistemato all’inglese, avrebbero trovato sede, oltre agli Orti Botanici, i Boschetti, le serre, le vasche per le piante lacustri e alcune strutture didattiche, quali biblioteche e musei. Secondariamente il Cagnola progettò anche un Palazzo nei Giardini Pubblici, sul luogo dell’edificio piermariniano, come precedentemente aveva ideato il Canonica. Era previsto un ampio spazio centrale rettangolare perimetrato da colonne interne, cui si accedeva da gradinate. Nei quattro blocchi angolari avrebbero trovato sede il “Caffè”, la “Trattoria”, la “Sala di Compagnia” e la “Sala da Bigliardo”. Tutti questi progetti rimasero però su carta. 3 Milano e le sue vie, Giacomo Messaggi, studi storici per Felice Venosta, Milano, 1867

2.3.3 Giacomo Pinchetti In questi anni venne invece portato a termine un importante documento cartografico, la pianta di Milano Capitale del Regno d’Italia ordinata da Napoleone nel 1807 agli Astronomi di Brera. Nel gruppo di questi disegnatori era presente anche Giacomo Pinchetti, autore nel 1801 di una celebre pianta di Milano. Tale pianta, realizzata nel 1810 si configurava come un’immagine topografica così dettagliata, minuta ed elegante da rimanere punto di riferimento per tutta l’epoca risorgimentale. In essa sono ben riconoscibili i Giardini Pubblici, col tracciato piermariniano, i caseggiati, i Boschetti, il Corso di Porta

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Orientale, il giardino all’inglese di Villa Napoleone e le ortaglie del Palazzo Dugnani. I giardini pubblici furono riconosciuti ed apprezzati per moltissimi anni, il senso di piacevolezza dell’andare a passeggio lungo questi viali alberati, il senso di festa e allegria che veniva sprigionato da questi luoghi rimase immutato nel tempo. Furono ammirati in tal modo da essere citati nelle Guide della città milanese (circa in trenta edizioni) riconoscendo il loro valore simbolico e “terreno” anche da molti stranieri che venivano in visita; contemporaneamente, a partire dal terzo decennio dell’Ottocento, un notevole incremento anche nella produzione e diffusione delle stampe di vedute di Milano che diede luogo ad un fiorente commercio. Non a caso nelle Guide appaiono vedute di città, tra le quali i Bastioni, i Giardini Pubblici ed altri itinerari pittoreschi.

2.4 La crisi di identità

Gli anni seguenti del XIX secolo si aprirono con il rientro dei Francesi a Milano, dopo la vittoria di Napoleone a Marengo del 1800. Il figliastro di Napoleone, Eugenio Beauharnais, fu nominato vicerè e Melzi d’Eril, Gran Cancelliere; la sede del governo fu in via Senato e la residenza ufficiale della Corte in Palazzo Reale, ma il vicerè preferì la Villa Reale presso i Giadini Pubblici, terminata da Pollack nel 1796. Milano adempì al suo ruolo di capitale, soprattutto nel celebrare i fasti della corte napoleonica, rallegrando il popolo con feste, luminarie e fuochi d’artificio. Cagnola e Canonica predisposero, per volontà di Napoleone, un piano urbanistico che prevedeva grandi ristrutturazioni

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all’interno della città, con realizzazione solo dell’Arena, dell’Arco della Pace e la sistemazione di zona Castello e Foro Bonaparte, a causa della caduta e del declino dell’astro napoleonico. Tali ristrutturazione continuarono anche in epoca austriaca, con ristrutturazione delle facciate, ma con scarsi risultati espansionistici, per l’interno delle abitazioni e delle condizioni igienico-sanitarie. Di positivo si ebbe la crescita dei servizi pubblici: la regolare manutenzione dei selciati e delle trottatoie, le operazioni notturne di lavaggio e scopatura e quelle invernali di sfangatura e sgombero della neve dalle piazze e dalle strade.

2.5 Il raddoppio dei Giardini Pubblici-Balzaretto

In questo clima di innovazione si percepì la necessità di dotare la città di Milano di ulteriori passeggi, percorsi pubblici, giardini e spazi aperti, ampliando l’area del vecchio giardino fino all’area di proprietà Dugnani; la Congregazione Municipale decise di affidare il progetto e la direzione dei lavori all’Ingegnere Balzaretto. I Giardini furono consegnati nel dicembre 1862, con approvazione nel 1867, del Regolamento per la Sorveglianza e la Manutenzione dei Giardini Pubblici. Questo intervento determinò un fermento in tutta la zona circostante, con discussioni sulla demolizione della “Porta Nuova”, definitivamente abbandonata nel 1860 per volere dei cittadini, affermando il dovere di conservare le tracce di Milano risorta. Scongelate le demolizioni, si provvide alla sistemazione degli spazi esterni al giardino: fu creata la piazza Cavour, con

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un’aiuola centrale, in cui si posò il monumento a Camillo Benso Conte di Cavour, un filare d’alberi tutt’intorno e una pavimentazione in ghiaietto. La piazza fu collegata ai Bastioni tramite una nuova piazza intitolata a Manin, che insieme a via Isara, furono considerate come “dipendenze” del Giardino; rinominando inoltre la via Isara come via Palestro, in ricordo delle vicende politiche del 1848. Fu necessario anche il riordino di Palazzo Dugnani che venne mantenuto per sistemarvi il Museo Civico di Storia Naturale, inaugurato nel 1863. Il Giardino, compreso tra le vie Manin, Palestro, Venezia e Bastioni, fu delimitato da parapetti, cancelli o muro e, lungo la via Manin e la via Palestro, fu creata una fossa asciutta a terrapieno, a sostegno del cancello fisso; quest’ultima, sempre verde, svolgeva una funzione estetica e garantiva dalla via una vista paesaggistica completa. Lungo il perimetro del giardino si aprivano sette diversi ingressi: due su piazza Cavour, due su via Palestro, uno sui Bastioni dinanzi al Caffè, al quale si accedeva tramite un ponte di ferro, uno al vertice Nord- Est e l’ultimo su via Manin. L’area preesistente (fondo Dugnani) era un’area depressa, chiusa dai vecchi Giardini con filari di ippocastani e delimitata dall’alto argine dei Bastioni e dai fabbricati di via Palestro e via Manin, anch’esse sopraelevate. L’ing. Balzaretto, appassionato di paesaggio e di Giardini a schema libero, progettò una gradevole trasformazione del giardino, con movimenti di terra che raccordarono vari dislivelli; i viali furono allargati ed adornati con statue ed opere d’arte, vennero studiate le piantagioni e l’acqua fu imprigionata e costretta a correre lungo una linea prefissata.

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Ai piedi del Bastione scorre la Roggia Balossa che alimentava il laghetto, ma l’insufficiente pendenza di soli tredici centimetri costrinse il Balzaretto a creare una successione e di artifici: gli scogli e i dirupi, il laghetto e la sua isoletta, l’altipiano con il Caffè, costrinsero la Roggia Balossa a percorrere i Giardini diagonalmente, rinchiusa in un cunicolo a sezione non costante, nascosta sotto gli scogli e grotte, con sfocio davanti alla Villa Reale nella vasca rettangolare denominata “Sciattera”, proseguendo poi lungo i boschetti fino al Naviglio. Il Balzaretto produsse “qualcosa di veramente piacevole secondo la tradizione italiana di compostezza e di forma (…) ebbe l’arte di dipingere col verde contrastanti masse arboree e soprattutto dare l’illusione di molto orizzonte in spazio limitato4”. La parte meridionale del Giardino fu mantenuta pianeggiante e destinata alle piante autoctone e a quelle esotiche già ambientate, che risultavano, in questa zona, protette dal vento. I viali furono pensati per diverse funzioni, opportunamente dimensionati: lungo il perimetro quelli di notevoli dimensioni, per le grandi feste e i banchetti, quelli secondari di dimensioni minori, per il passeggio, conducevano il pubblico a radure ombreggiate ed a padigllioni vicino all’acqua “invitando al riposo”. L’effetto scenografico e funzionale fu accresciuto dallo studio delle piantagioni: duemilasettecento piante diverse per forma e colore delle foglie. Per dividere la zona di pianura dalle parti sopraelevate, fu posta in mezzo al laghetto “l’isoletta”, ideale linea di congiunzione delle due tipologie di giardino; pittoresco con

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movimenti di terra la parte Nord verso i Bastioni, e paesaggistico nella parte Sud verso via Palestro. Il Balzaretto, in tutto il suo progetto, si mostrò rispettoso dell’opera precedente del Piermarini, risultando in perfetto equilibrio con i Giardini vecchi, i Boschetti e la scalinata ai Bastioni, che conservò la sua funzione pedonale. Del suo progetto non vennero realizzati né la serra a croce greca, che doveva collocarsi davanti a Palazzo Dugnani, né la casa-torre ai piedi dei Bastioni, né il secondo Caffè-Trattoria, composto da tre padiglioni prospicente alla via Palestro, per questioni economiche. All’interno dei Giardini Pubblici furono insedianti anche animali in recinti o steccati, trovando ospitalità, durante l’inverno, nel Salone del Parco che nel frattempo subì molteplici trasformazioni: restaurata dal Balzaretto divenne per breve tempo salone di concerti; nel 1871 ospitò la prima Esposizione Industriale Italiana, e nel 1872 quella di Belle Arti, fino al 1881 quando fu inglobato nei padiglioni della grande Esposizione; infine, per il degrado raggiunto, anche a causa di un incendio, diventò magazzino municipale e deposito. Nel 1898 venne demolito per far posto all’odierno edificio del Museo di Storia Naturale. Il progetto del Balzaretto sollevò anche numerose critiche venendo definito “troppo pittoresco” con assenza di boschetti e radure tipiche del giardino tradizionale paesaggistico. 4 Rivista”Milano”, 1941, p.88

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2.6 L’Esposizione Industriale Italiana Nel 1878 l’ufficio tecnico costruì una grande serra in ferro e vetro a servizio dell’Esposizione Industriale Italiana inaugurata il 5 maggio 1881. La scelta ricadde su quest’area perché già in passato ospitò manifestazioni analoghe, per la vicinanza della stazione ferroviaria, la conformazione del suo spazio, che permise di costruire trentacinquemila metri quadrati di tettoia e la presenza abbondante di acqua, indispensabile per tenere in movimento le numerose macchine presenti. I Giardini furono occupati per tre quarti, compresi anche i Boschetti ed il Palazzo del senato. L’esposizione si chiuse il 1 novembre 1881, superando il milione di visitatori ed acquisendo la denominazione di Esposizione Universale. La facciata principale dell’ingresso della Nuova Esposizione fu progettata ed eseguita dall’ architetto Ceruti, utilizzando uno stile Risorgimentale. La manifestazione fu un successo per il mondo industriale, ma portò gravi danni ai Giardini Pubblici: furono irrimediabilmente compromessi i manti erbosi e i viali, abbattutti e danneggiati gli alberi e arbusti e demolita in parte la gradinata del Piermarini. L’accordo con il Comune prevedeva che nulla sarebbe rimasto di quanto costruito per l’Esposizione: padiglioni, chiostri, tettoie e le rotaie della ferrovia “speciale” per il traporto delle merci che giungevano fino a Corso Venezia; di fatto rimasero in piedi solo la vasca davanti al Palazzo Dugnani e l’Isba Russa.

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2.7 Emilio Alemagna A manifestazione conclusa, per il ripristino del giardino, si prese in considerazione il progetto dell’architetto conte Emilio Alemagna che, nella prima versione, prevedeva l’inglobamento della Villa Reale e del suo giardino, mantenendo cioè la continuità ottenuta con i padiglioni dell’Esposizione, pur considerando la Villa indipendente come proprietà. Il Comune, però, il 18 novembre 1881, approvò invece una variante contenente diverse modifiche rispetto al progetto iniziale e affidò la direzione dei lavori al conte Alemagna e all’ ing. Bignami Sormani. I lavori durarono per tutto il 1882 e apportarono sostanziali trasformazioni all’impianto del Piermarini e del Balzaretto. Fu eliminata la divisione esistente tra i Bastioni di Porta Venezia e dei Giardini, con dei movimenti di terra ed “al posto dell’antica gradinata del Piermarini, discendente dal Bastione al Gardino vecchio, fu sostituito un largo terrapieno con una gradinata a scogliere ed una cascata ad acqua”. Per la prima volta nella storia dei Giardini, la modifica delle sezioni dei viali proposta dall’Alemagna, creò i presupposti per il transito delle carrozze all’interno degli stessi. Fu trasformata anche l’area antistante la Villa Reale, eliminando la vasca a peschiera del Balzaretto, sostituendola con tappeti verdi; il laghetto fu ingrandito e creati nuovi tappeti erbosi lungo il suo perimetro. Anche l’area dei Boschetti verso via Palestro subì una radicale trasformazione eliminando “l’eccezionale bosco matematico della ragione” voluto dal Piermarini e mantenuto dal

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Balzaretto, sostituendolo con un giardino necessario a mascherare la larga e profonda fossa del canale Balossa. L’Alemagna fu molto sostenuto dall’opinione pubblica che riteneva il suo progetto un’opera di grande modernità, applicando schemi del giardino romantico quali prato erboso con quinte laterali di alberi ad alto fusto, eliminando definitivamente le aiuole fiorite progettate dal Balzaretto. Il suo progetto è l’ultimo grosso intervento che ha interessato i Giardini Pubblici, non ci sono state ulteriori espansioni in questo secolo, né grosse trasformazioni. L’amministrazione comunale ha sempre provveduto alla manutenzione dei Giardini e, per facilitarne la gestione, costituì varie commissioni di controllo. Si deve all’Alemagna anche la resa omogenea dell’area riservata al Giardino Zoologico, trattandola alla stessa maniera dell’area del resto del giardino, con viali curvilinei che creavano radure atte ad alloggiare gabbie e ricoveri per animali, il tutto ombreggiato dalle chiome degli alberi ad alto fusto esistenti. Uno specchio d’acqua alimentato dalla Roggia Balossa completava il quadro romantico dell’area. Non sempre la cura per gli animali ospitati è stata lodevole e i cittadini cominciavano a protestare per il cattivo odore preveniente da questi spazi. La municipalità allora cominciò a prendere in considerazione la possibilità di creare in un altro luogo lo zoo di Milano; nel 1923, dopo numerose polemiche e vagliate diverse soluzioni, si decise sistemare l’area tra via Manin e i Bastioni. Questo spazio è rimasto fino ai nostri giorni, precisamente negli anni ’90 con la morte dell’ultimo ospite, quando il

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Comune di Milano decise di risistemare l’area verde demolendo i padiglioni rimasti in piedi. Durante la seconda guerra mondiale, il Giardino, come buona parte della città, subì gravissimi danni, con la perdita dell’isoletta con il monumento a Carlo Porta, l’Isba Russa sopravvissuta all’Esposizione del 1881 e il Museo di Storia Naturale, che andò quasi del tutto perduto anche nelle sue collezioni.

2.8 Il progetto dell’ufficio Tecnico Comunale L’Amministrazione Comunale provvide negli anni ’50 alla ricostruzione dei Giardini. L’insieme di essi, con le aree circostanti come i Bastioni, la Villa Reale e i Boschetti, costituiscono ancora oggi un efficace sistema di verde urbano, avendo mantenuto quasi del tutto inalterato l’impianto botanico dell’Alemagna, che scelse oltre cento varietà di essenza arboree. Il patrimonio arboreo, di buona qualità e rara bellezza, fa assumere al parco un aspetto diverso ad ogni stagione. Alle costruzioni già esistenti nei Giardini si aggiunse in seguito il Planetario, dovuto alla munificenza di Hoepli e al progetto dell’architetto Portaluppi; al di fuori della cinta della piccola area che da sempre è rimasta proprietà privata, negli anni Trenta, nell’ occasione del alto Ovest di questa proprietà e in assenza dell’acquisizione della stessa da parte della Pubblica Amministrazione, fu permessa la costruzione della casa detta Torre Rasini, uno dei primi “grattacieli” di Milano, progettata dagli architetti Emilio Lancia e Giò Ponti.

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2.9 Approfondimenti 2.9.1 Il Civico Museo di Storia Naturale

Nel 1823 Giorgio Jann e Giuseppe De Cristoforis riunificarono le rispettive collezioni, sistemandole dell’appartamento di quest’ultimo, occupando dieci stanze, formando così la raccolta di genere più ricca in Italia. Il 27 Dicembre 1837 alla sua morte, il Comune di Milano ereditò tutta la sua collezione, così nel 1838 nacque il primo Museo Civico di Storia Naturale con direttore Jann. Nel 1847 il Consiglio Comunale stabilì di trasferire il Museo in Palazzo Dugnani inaugurato, poi, nel 1863. Nel 1889, su progetto dell’architetto Giovanni Ceruti, si iniziò la costruzione del nuovo edificio, che sarebbe diventata poi la sede stabile e definitiva del Museo: il corpo di fabbrica si disponeva intorno a due cortili sviluppato su due piani. I laboratori, le scuole, la biblioteca, la sala per conferenze ed i locali di direzione erano contenuti nel corpo centrale. L’edificio fu inaugurato il 18 aprile 1892 limitatamente al corpo centrale ed all’area Sud-Ovest, mentre l’ala Sud-Est fu costruita nel 1906 grazie alla concessione dell’avvocato Teodosio Cottini. L’edificio presenta diversi stili: romanico per gli archi e gli archetti pensili, gotico per i pinnacoli, rinascimentale per le cornici e gli ornamenti, composito per i capitelli, mentre il cotto ed i marmi gli donano un’aurea di ricchezza e raffinatezza. Fu devastato nel 1943 da un incendio e la sua inaugurazione dopo il ripristino, sotto la direzione dell’Ing. Egizio Nicheli, avvenne nel 1952.

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2.9.2 Il Civico Planetario “Ulrico Hoepli” Nel 1929 Ulrico Hoepli acquistò una macchina detta “planetario” che proiettava su una semisfera il moto apparente degli astri; in seguito lo vendette al Comune di Milano incaricandolo di costruire il fabbricato che avrebbe contenuto il detto planetario. Venne scelta l’area dei Giardini Pubblici e fu inaugurato il 20 Maggio 1930 sotto la progettazione dell’architetto Portaluppi. L’edificio è a pianta ottagonale in cui è inscritta la sala circolare coperta dalla cupola semisferica; all’ingresso si sviluppa un pronao con colonne ioniche concluso da un timpano ed una scalinata. Al centro della sala è presente la macchina di proiezione e le poltroncine originali girevoli sono state disposte ad anelli concentrici. All’esterno, le pareti laterali sono sottolineate da porte lignee con cornici in pietra su gradinate di cinque scalini. 2.9.3 Il Collegio Elvetico, ora Palazzo del Senato Il Collegio Elvetico fu voluto da San Carlo Borromeo per educare il clero svizzero e porre un argine al Protestantesimo. Esso sorge al posto di un preesistente convento di monache; i lavori di costruzione iniziarono nel 1608 nella quale l’architetto Fabio Mangone prevedeva due lunghe ali contrapposte ed una serie di cortili. Al sua morte nel 1629, prese in carico la costruzione il Richino, a cui si deve la particolare facciata ad esedra, scandita da aperture lineari, coronate da timpani triangolari al piano terra e curvilinei al piano superiore.

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Il portale centrale, da cui si accede al primo cortile a doppio loggiato, è sormontato da un balcone che immette nel vestibolo ovale. Il loggiato presenta colonne tuscaniche slanciate al piano terra e ioniche nell’ordine superiore. Il secondo cortile leggermente più piccolo del primo, presenta le stesse caratteristiche negli ordini. Nell’ala del portico lungo il loggiato si apre uno scalone a tre rampe con gradini in granito, balaustra e soffitto a volta reale a padiglione. Giuseppe II trasformò il Collegio Elvetico a Palazzo del Senato; fu diviso in due parti con un impalcato e sotto la direzione del Pollack fu trasformata anche la facciata. L’origine dell’Archivio di Stato risale al 1774, quando si riunirono in un unico luogo i documenti sparsi negli archivi milanesi. 2.9.4 Il Fondo Dugnani, ora Palazzo Dugnani Il Palazzo sorse alla fine del 1600 e fu uno dei primi edifici residenziali costruiti al di fuori delle mura medievali. Dal nome dei proprietari fu da sempre detta “della Cavalchina” fino agli anni cinquanta del XIX secolo quando fu intitolata a Manin, in ricordo dei martiri del risorgimento. La famiglia Dugnani la acquistò il 17 Settembre 1753 e la ingrandì inglobando tutte le aree ed i fabbricati compresi tra via Palestro, via della Cavalchina ed i Bastioni, annettendo anche la proprietà dell’Abbazia dei Padri Serviti. Questo trasformò l’antico podere rustico in un “parco di delizie”, quali l’orto e la vigna, che producevano frutta e verdura di ogni tipo.

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Ad Est del Palazzo c’era il giardino dei fiori che i padroni avevano conservato mantenendo il vecchio impianto con “campicelli di fiori variopinti5”. All’uscita, un largo viale, portava alla Roggia Balossi, al confine con il Vecchio Giardino Pubblico del Piermarini. Il 20 Dicembre 1835 la dama Teresa Dugnani Viani trasferì l’intera proprietà al Cav. don Giovanni Vimercati che, il 18 Dicembre 1846, la vendette all’Amministrazione Comunale, per il successivo ampliamento. Nel 1863, il Comune, vi alloggiò il Museo di Storia Naturale. Si accede al Palazzo dalla via Manin: la facciata, che segue la forma regolare della strada, ha delle finestre in stile barocco e un portone incorniciato da un arco con spalle in granito, mentre nell’angolo Sud-Ovest si intravede una torretta ottagonale con parapetto in ferro. La facciata rivolta verso il giardino invece, è movimentata e solenne e mostra l’importanza che si volle conferire a questa costruzione grazie anche al privilegio di godere di un apio spazio antistante, che dava respiro a tutta la costruzione. Il corpo centrale è arretrato rispetto ai due corpi simmetrici laterali, un portico tripartito da archi lo rende più leggero ed al di sopra si trova una loggia a tre archi spartita da lesene. Le ali laterali hanno una parte aggettante simile al corpo centrale, considerato un elemento innovativo per un palazzo milanese. Gli interni sono affrescati da Fernando Porta e da Tiepolo, che “dispone e muove intorno alle dee e alle ninfe vesti e veli pieni di vento, mentre i putti balzano tra le nuvole, portando fiori e frutti, collane e simboli6”. 5/6 Silvana Garufi, Sandra Sicoli, I Giardini Pubblici di Via Palestro, Diakronia, 1997, Milano

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2.9.5 Il Padiglione del Caffè Il Padiglione del Caffè è l’unico edificio, tra quelli progettati dall’Ing. Balzaretto, approvato dall’Amministrazione Comunale, che grazie al risparmio derivato dalla mancata costruzione del più grande caffè previsto lungo la via Palestro e la Torre dell’Acqua, riuscì a restaurare il Palazzo Dugnani. Questo caratteristico padiglione, conosciuto anche come Caffè di Monte Merlo, è un edificio a pianta centrale ottagonale sulla quale insistevano scomparti ariosi di cui è costituito. Questa peculiarità permetteva agli ospiti di godere del Giardino e delle sue prospettive da qualunque posizione. I corpi aggiunti sono di altezze differenti, motivo per la quale la facciata risulta molto movimentata, rifacendosi a ricordi della Grecia. Quattro balconi con parapetto e strutture in ferro ornano la parte centrale dell’edificio, mentre presenta delle finestrature in struttura metallica sulle altre quattro facciate. Tutti i locali sono voltati ed il Padiglione centrale si conclude con una cupola decorata all’interno; inoltre, dal Caffè si giungeva direttamente al tutt’ora esistente ponte di ferro. Attualmente il Padiglione ospita una scuola materna. 2.9.6 La Villa Reale La Villa Reale, di stile neoclassico, testimonia le raffinatezze dell’aristocrazia del XVIII. Fu costruita dal generale conte Ludovico Barbiano di Belgiojoso come residenza per sovrani (progetto affidato al Piermarini e trasferito al suo miglior allievo Leopoldo Pollack).

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L’impianto principale fu ultimato nel 1790 e poco più tardi il primo piano ed il vasto giardino all’inglese. Alla morte del Belgiojoso il governo acquistò la Villa per donarla poi a Napoleone entrando così nel patrimonio della corona e assumendo la denominazione di Villa Reale. L’edificio progettato con doppia fronte, l’una prospicente via Palestro ed i Giardini Pubblici, l’altra verso il giardino interno, presenta una facciata a tre piani con un corpo centrale con tre aperture ad archi al pian terreno, mentre i due piani superiori sono in stile ionico. Sono presenti inoltre dei bassorilievi di stile mitologico al di sotto della cornice; il fronte, invece, è chiuso da un cornicione a fregio decorato con elementi scultorei raffiguranti divinità pagane. L’edificio si sviluppa lateralmente con due corpi, ognuno di due piani, entrambi recintati con un muro bugnato. Sono presenti, infine, sculture neoclassiche di divinità e l’aspetto cromatico non è tralasciato, grazie alle tinte chiare dell’arenaria, per gli elementi decorativi e l’arancio per gli intonaci.

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3 – RIFERIMENTI PROGETTUALI

3.1 L’ architettura del ferro: le serre Nell’Ottocento ha inizio un capitolo dell’architettura che si protrarrà fino ai nostri giorni: l’architettura in acciaio e vetro. Questa tipologia nasce con lo sviluppo industriale, inizialmente in Francia ed Inghilterra, sviluppatosi poi anche in Italia, quando le fonderie cominciarono a produrre ghisa e acciaio in grandi quantità e le vetrerie proponevano vetri piani a prezzi convenienti. Acciaio e vetro divennero subito i materiali prediletti dagli ingegneri e dagli architetti, poiché consentivano la costruzione di grandi e ariosi volumi e la rinuncia alle pesanti e massicce strutture in muratura che caratterizzarono gli elementi portanti degli edifici fino a quel punto della storia. Le opere prodotte in questi anni vengono definite come “architettura dell’ingegneria” che ebbe principale applicazione in tre ambiti: la produzione di ponti in ferro, la realizzazione degli edifici ad armatura metallica e la realizzazione di coperture in ferro e vetro. Tra le tipologie edilizie sviluppatosi in questo campo troviamo le gallerie urbane, che collegano parti differenti della città con un percorso pedonale coperto, le serre botaniche, settore di sperimentazione, le stazioni ferroviarie, i grandi magazzini e le strutture per le grandi esposizioni. Inizialmente ci fu una fase in cui l’attività dell’ingegnere si limitava alla mera tecnica costruttiva, ma quando la conformazione strutturale interna si manifestò all’esterno, si

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iniziò a parlare di architettura con proprie modalità di scienza e tecnica delle costruzioni. Le Esposizioni Nazionali furono un campo fertile per la sperimentazione di questa tipologia edilizia. Le prime costruzioni d’acciaio e vetro furono delle serre per piante di vario genere, alcune di eccezionali dimensioni, chiamate in inglese “conservatories”, “glass houses” o “palm houses” per distinguerle dalle “orangerie” dell’epoca precedente, costruite in maniera convenzionale in muratura e legno. Uno dei primi che sperimentò questo nuovo tipo edilizio fu John Claudius Loudon, studioso e teorico inglese che si occupò dello studio sul miglioramento delle serre e delle varie coltivazioni, ricercandone la miglior forma in base all’incidenza solare. Il risultato delle sue ricerche fu la serra sferica, superficie in grado di garantire, in ogni momento dell’anno, l’incidenza perpendicolare dei raggi del sole su una delle facciate di vetro della serra, captando al massimo la radiazione solare. Nella sua proprietà di Bayswater, Loudon costruì, lungo un muro, serre di differente tipo e dimensione, utilizzando tredici diversi tipi di profilati metallici e vetri di differente formato. Una delle idee di Loudon fu quella di disporre le travi d’acciaio e i vetri nello stesso piano, per di ridurre l’ombra che le travi avrebbero gettato se fossero sporte verso il basso; Loudon sperimentò anche la ventilazione delle serre tramite aperture regolabili inserite nei tetti. La Palm House di Bicton Gardens è l’unica serra dell’inizio del secolo XIX che si è conservata fino ad oggi, sua opera di maggior rilievo.

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A lui si deve anche l’architettura delle serre nei parchi, infatti, quando si stabilì a Londra come urbanista e iniziò a vedere lo sviluppo della città ben ordinata e influenzata da grandi cinture verdi dette “greenbelts”. Un altro importante esempio di questo stile è la Palm House degli architetti Richard Turner e Decimus Burton che, nel 1841 progettarono l’edificio ai Royal Gardens a Kew, Londra. Questo edificio divenne un’icona essendo la più importante struttura sopravvissuta in metallo e vetro dell’epoca vittoriana. La novità della loro opera sta nella compenetrazione della parte centrale con le ali laterali; da questa risulta un ambiente lungo 110 metri. Questo edificio è un esempio di progettazione basata su una griglia spaziale determinata sia dalla distanza delle travi, sia dall’angolo della curvatura. Questo sistema ha permesso di razionalizzare la produzione degli elementi costruttivi. La costruzione s’ispira ai modelli dell’ingegneria navale, tramite l’uso di leggere, ma allo stesso tempo forti coste di ferro, che hanno reso possibile coprire un ampio volume lasciando disponibilità di spazio per la crescita delle palme. Il più prolifico lascito dell’epoca viene da Joseph Paxton, giardiniere, botanico ed architetto. Studiò giardinaggio in giovane età, fino a diventare capo giardiniere di Chatsworth. La sua prima opera costruita fu una gigantesca fontana, alta 85 metri e contemporaneamente cominciò a scrivere trattati scientifici. Lo studio come architetto lo portò a progettare le sue prime serre a partire 1828 e, tre anni dopo sviluppò dei nuovi particolari costruttivi per i tetti in vetro, il sistema Ridge-and-

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furrow (cresta e solco). Basandosi sugli studi antecedenti di Loudon tenne in considerazione l’inclinazione dei tetti vetrati per la riflessione e la trasmissione ottimale dei raggi solari. Nella costruzione delle sue serre, Paxton applicò il principio del tetto piegato perfezionandolo con delle travi che formavano contemporaneamente canali per raccogliere e deviare le acque piovane e la condensa. Tra il 1836 e il 1840 costruì la Palm House di Chatsworth, il “great Conservatory”. In occasione dell’Esposizione Mondiale di Londra, Paxton ebbe l’opportunità di sperimentare le potenzialità dell’acciaio e del vetro. Concretizzo i suoi studi con la costruzione del Crystal Palace (Palazzo di vetro), nel 1851. In quest’opera sono riassunti tutti i temi del progresso tecnologico e delle scienze avanzate fin a quel periodo; infatti, la struttura metallica, prima puramente tecnica, assume una valenza architettonica ed estetica. L’edificio fu eretto in soli nove mesi con un impianto schematico, simmetrico e fortemente longitudinale. L’edificio si divide in cinque navate interne composte da tre ordini secondo una sezione trasversale; la sua estetica, che si basava soprattutto sulla prevalenza dei vuoti, ossia le lastre di vetro e dei pieni, gli elementi metallici, contribuì in modo determinante a creare l’immagine estetica dell’epoca moderna. L’intenzione di questo tipo di costruzioni era quella d’intendere lo spazio esterno e lo spazio interno come un unico soggetto. Il successo dell’opera di Paxton fu dato, anche, dall’utilizzo di blocchi modulari ripetuti, che li rese semplici da trasportare e

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montare; questo aspetto fu ritenuto fondamentale dalla commissione del concorso per il progetto della serra. Questi elementi prefabbricati provenivano da differenti luoghi: le colonne in ghisa da Dudley, i componenti in legno da Chelsea e le travi in ghisa e il vetro da Birmingham. Questo palazzo, utilizzando la standardizzazione come modulo base, permetteva di poterlo ampliare in qualsiasi direzione, arrivando a coprire un’area di 93.000 metri quadrati. Il Palazzo di cristallo, considerato una meraviglia dell’architettura moderna, sollevò un grande entusiasmo verso le costruzioni di ferro e vetro. In tutto il mondo si cominciò allora a costruire serre di ogni tipo e a coprire le stazioni ferroviarie e le gallerie commerciali con grandi tetti d’acciaio e di vetro. Dopo l’Esposizione Mondiale, l’edificio fu smontato e ricostruito, con alcune modifiche, a Sydenham, al centro di un grande parco dove servì come museo e struttura espositiva. La sua storia terminò il 30 novembre 1936 quando venne completamente distrutto da un terribile incendio e non fu più ricostruito.

3.2 La mediateca di Sendai, Tokyo, Toyo Ito, 1998-2000 “La mia immagine iniziale per un progetto attualmente in costruzione era una scena acquatica. Un cubo trasparente, situato in pieno centro della città, si affaccia su un viale fiancheggiato da grandi cedri bellissimi e s’innalza per sette piani da una pianta quadrata con lati di cinquanta metri. Sette solai sottili sono retti da tredici strutture tubolari. Ogni elemento è un tubo irregolare e non geometrico e assomiglia

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alla radice di un albero che cresce in spessore verso l’alto […]. Nel margine accanto ai miei primi schizzi degli elementi tubolari avevo scritto: Colonne come alghe. Avevo immaginato dei tubi morbidi che ondeggiavano lentamente sott’acqua, dei tubi di gomma riempiti di fluidi.7” La Mediateca di Sendai, è stata progettata da Toyo Ito a nord di Tokyo, Giappone. Realizzata nel periodo 1998 e il 2000 su una area di 3 quasi 4000 mq, rappresenta l’edificio di punta dell’architetto giapponese e l’emblema di un secolo che si chiude e di uno nuovo che si apre. L’edificio si trova al centro della scacchiera urbana di cui è composta l’urbanistica cittadina, su uno dei viali alberati principali. Il progetto è costituito da una scatola di vetro quadrata, sette piani fuori terra di diversa altezza e con spessore di solaio ridotto per l’utilizzo del sistema costruttivo a sandwich, costituito da un doppio strato di acciaio con interposte travi strutturali. L’involucro trasparente consente di intravedere tutte le componenti strutturali dell’edificio, rimanendo comunque un involucro volumetrico senza perdere il suo aspetto unitario tecnologico. La costruzione assomiglia ad un gigantesco acquario, le vetrate filtrano la luce all’interno, che pare illuminato da un liquido di diverso colore a seconda dei riflessi filtrati dalle vetrate. La peculiarità del suo schema strutturale consiste nel ripercorrere le forme casuali della natura attraverso, sistema preso come riferimento nel nostro progetto, un sistema di tubolari metallici saldati insieme, che formano 13 cilindri

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costruttivi e che si sviluppano dal piano terra alla copertura, forando i piani quasi naturalmente. La struttura si erge verso l’alto compiendo diverse deformazioni di misura, rotazioni e torsioni irregolari, non definite secondo un ordine preciso, proprio come gli elementi naturali. Questi pilastri rappresentano il nodo strutturale di tutto l’edificio, simboleggiandone la solidità e la leggerezza al tempo stesso. Questi elementi verticali fungono inoltre da separatori verticali tra i vari ambienti che si distinguono ai vari livelli ma anche da contenitori di calore, umidità e dei flussi luminosi e dei collegamenti di mobilità verticale. L’edificio è dotato di un’infinita serie di dispositivi all’avanguardia per accedere a un esteso patrimonio digitalizzato ed ospita: una biblioteca tradizionale, una biblioteca per bambini, un cinema, diverse postazioni di navigazione Internet e due grandi spazi espositivi. Toyo Ito nella rivista Domus del marzo 2001 commenta la sua opera andando aldilà delle tipologie standard di edificio pubblico offrendo un nuovo modo di intendere l’architettura a servizio del cittadino. “È ormai sceso il sipario sull’epoca in cui Museo, Biblioteca e Teatro – in quanto specifiche tipologie architettoniche – potevano celebrare orgogliosamente il proprio ruolo di punti di riferimento culturali. I dipinti appesi alle pareti e i libri stampati su carta non occupano più una posizione di totale privilegio. I media elettronici li hanno trasformati in oggetti che si misurano per il loro valore relativo e non più come assoluti. In futuro, quadri, libri e film saranno considerati al pari dei media elettronici, quali i compact disc o i videotape, senza discriminazioni gerarchiche. La gente userà gli uni e gli

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altri in modo complementare: di più, la possibilità di fruire dei dipinti e dei libri attraverso i media elettronici finirà per distruggere la forma tradizionale del museo e della biblioteca. Queste strutture saranno fuse in un unico e solo tipo di edificio. Verranno tutti ricostruiti in una forma nuova – la mediateca – la quale sarà come un emporio aperto fino a tardi con tutti i tipi di media esposti gli uni insieme agli altri. Questa nuova forma di edificio di uso pubblico non sarà una presenza simbolica o virtuale, isolata al margine di una piazza deserta, staccata dalla vita della città: dovrà essere invece situata in prossimità di una stazione ferroviaria, per esempio, e restare aperta fino a mezzanotte, sette giorni su sette, pronta a servire il pubblico in ogni momento della vita quotidiana. Fin dall’antichità l’architettura è servita come mezzo per consentire all’uomo di adattarsi all’ambiente naturale: oggi è un prolungamento della pelle non solo rispetto al mondo della natura, ma anche a quello artificiale della città, dove l’architettura agisce come “abito” per i media. Quando è avvolto in quell’abito meccanico che si chiama automobile, l’uomo fa l’esperienza dell’espansione del proprio corpo fisico. E parimenti si può dire che chi indossa un abito “mediatico” faccia l’esperienza dell’espansione del cervello. L’architettura come abito mediatico può essere definita un cervello “esteriorizzato8”. L’interno della mediateca è stato curato e progettato non dal solo Toyo Ito, ma anche da diversi designer di fama mondiale che hanno studiato e caratterizzato i singoli piani in relazione alla funzione ed all’uso a cui erano destinati. La biblioteca si trova al sesto piano ed è completamente ricoperta da un involucro esterno trasparente che dona la

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vista sull’intera città senza divisione tra interno ed esterno, ma in rapporto continuo tra loro diventando un’unica entità. Gli altri spazi, pur essendo dotati di pareti trasparenti hanno elementi di oscuramento opacizzanti che filtrano e dosano la luce immessa. “All’origine di quanto Ito ha costruito o progettato, vi è il tentativo di rendere l’architettura immateriale, liberandola dai consueti involucri, dalla gravità e dalla ricerca di belle forme spaziali. Ito ha imposto al suo linguaggio una progressiva rarefazione. Seguendo questo indirizzo di ricerca, le opere di Ito finiscono per esaltare le valenze ottiche dei materiali e, al contempo, per ricorrere a forme sempre più libere. Ossessionata dalla leggerezza, l’architettura di Ito sembra rifuggire tutto ciò che può evocare gravità e appoggio. L’opera di Ito è l’esempio che scelte coraggiose e innovative non possano far altro che arricchire il territorio su cui sono fondate9”. 7/8 Toyo Ito, Domus, Marzo 2001 9 Tommaso Scotti, Il pensiero e la ricerca progettuale di Toyo Ito, Lifegate

3.3 La Mensa impiegati Pirelli, Giulio Minoletti, Giuseppe Chiodi, Giuseppe Valtolina, Milano Bicocca, 1955-1957 La mensa per gli impiegati della Pirelli, progettata da Giulio Minoletti e costruita tra il 1955 e il 1957, fu una dei primi esempi di “quell’architettura di vetro” che tanto si discostava dalla tradizione del secondo dopoguerra. “Una sala da pranzo per ottocento persone, ottocento commensali da servire in sette, otto minuti, per ciascun turno; venti minuti massimo di intervallo fra un turno e l’altro; una

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cucina capace di confezionare duemila pasti per volta, e in un giorno seimila. Inoltre massima meccanizzazione e, come se non bastasse un ambiente piacevole, comodo, accogliente, bello10. I principali aspetti che caratterizzano questo intervento sono due: il problema tipologico adatto ad ospitare ottocento persone ed il problema dell’adeguatezza, del comfort e del bello, a cui si deve aggiungere il problema insediativo, causa la costruzione in un lotto residuale e marginale. Il complesso della Bicocca infatti, è costituito da un principio di regole, forma e ordine indipendente dal resto della città, tanto che può considerarsi un “mondo autonomo”. Nel progettare la mensa, Minoletti e i due ingegneri hanno tenuto conto di questo fatto, infatti non hanno azzardato nessun tentativo di identificazione o distaccamento dal principio insediativo comune. Solo nel recinto interno al progetto, il sistema di relazioni si prende la libertà di creare nuove geometrie, creando un terzo livello, un terzo sistema che sottostà a quello milanese e a sua volta a quello della Bicocca. La mensa è suddivisa in due livelli di cui uno interrato che contiene gli impianti ed i servizi igienici del personale; al pian terreno invece, diviso in due campate di differente altezza, oltre alla grande sala della mensa, sono presenti il ristorante, le cucine, i locali di servizio, il bar, l’atrio e gli uffici. L’intero edificio è fiancheggiato su un lato da un giardino di 1000mq. La sovrapposizione delle due coperture, insieme al muro nero che divide l’ingresso dalla grande sala, con l’aggiunta della grande vetrata verso il giardino, costituiscono gli elementi

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fondamentali della composizione architettonica esterna ed interna dell’edificio. L’interno può dunque essere inteso come suddiviso, dal grande muro nero e dal nastro di distribuzione dei cibi, in tre zone principali in base alla funzione che essi svolgono; non è un insieme di spazi collegati tra loro, ma una “specializzazione” di un unico grande spazio per funzioni. Da questo si deduce che Minoletti, per la costruzione della mensa, sia partito da un lavoro prettamente figurativo e spaziale piuttosto che costruttivo e strutturale, ponendo ad ogni spazio una sua identità con diverse caratterizzazioni architettoniche. Strutturalmente ci sono diverse soluzioni per le diversi parti dell’edificio, seppur il loro insieme crea una linearità e una compattezza del volume molto chiari: sono presenti sette setti in calcestruzzo lungo il lati minori del rettangolo di base e i pilastri maggiori; i pilastri a loro volta non sono tutti uguali, ad Est sono intonacati e di sezione quadrata, mentre ad Ovest sono di sezione circolare con il cassero costituito da tubi di ferro che fa sia da armatura che da rivestimento. Questi si trovano all’esterno dell’edificio, appena fuori dalla grande vetrata da cui si può ammirarli per tutta la loro altezza. I tre ordini di pilastri sono coronati da travi in cemento armato sulle quali poggiano le travi di copertura, rovesciate, di cui la più grande è una trave reticolare all’ interno della quale scorrono gli impianti ispezionabili. Anch’esse, come gli altri elementi architettonici interni, sono volte a creare uno “spazio orientato” tale da spostare l’attenzione sulla grande vetrata e sul giardino antistante. Tre sono le vetrate presenti nell’ edificio, la prima svolge una funzione strutturale, la seconda funge da elemento unificatore ma anche divisorio tra le due coperture,

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volutamente rese riconoscibili singolarmente e non come un’unica copertura articolata, e la terza, la più spettacolare, ha una lunghezza e un’altezza che comprendono tutto l’edificio e funge da elemento di divisione tra la mensa ed il grande giardino. E’ presente inoltre un meccanismo elettrico in grado di abbassare la suddetta vetrata fino a farla diventare un parapetto che permetta l’affaccio sulla vasca d’acqua antistante. La scenografia verde antistante alla grande vetrata, in questo modo, diviene parte integrante dell’edificio, come elemento di fusione tra architettura e paesaggio. Unendo quindi in due aspetti architettonici appena citati, ormai lasciati uno slegato dall’altro, si ha la possibilità di intervenire fisicamente sull’aspetto paesaggistico del progetto, inserendo il contesto in maniera concreta all’interno di una concetto di base. Minoletti attua questo concetto inserendo una muratura di contenimento all’interno del terreno con altezza variabile e andamento curvilineo, originando un piano inclinato dalla geometria complessa visibile dalla vetrata principale della mensa. Da questa costruzione quindi si può dedurre che la struttura tipologica intesa come tipo edilizio, non viene più concepita come unico meccanismo di riproduzione, ma come punto di partenza di cui il percorso e la fine non sono stabiliti; Minoletti infatti, utilizza per la grande sala la tipologia ad aula, per l’ingresso una tipologia longitudinale( bruscamente interrotta da una piccola scala) che concorre a creare uno spazio basilicale ma che non si orienta verso la navata centrale come

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si era soliti vedere, ma verso il lato del giardino, aspetto inaspettato rispetto all’organizzazione planimetrica. Tutto ciò però risulta in armonia con il resto della composizione, con logiche proprie, creando un ambiente dinamico e sorprendente. 10Giacomo De Amicis, Giulio Minoletti, Mensa impiegati alla Bicocca, Ed. Unicopli, 2002

3.4 Il PAC (Padiglione di Arte Contemporanee), Ignazio Gardella, 1948 La storia del PAC inizia nel 1947 quando il Comune di Milano, individua nelle ex-scuderie della Villa Reale, distrutte dai bombardamenti del 1943, un nuovo spazio per le collezioni delle Civiche Raccolte del XX secolo. La Villa, sin dal 1921, era già sede della Galleria d’Arte Moderna, ma gli spazi erano insufficienti ad ospitare l’arte più recente ed un museo per l’arte contemporanea in potenziale crescita. Sono stati presentati diversi progetti per il restauro, ognuno dei quali rispondeva a filosofie contrapposte: la prima auspicava ad una fedele ricostruzione del precedente complesso architettonico e prevedeva solo l’adattamento dello spazio interno; la seconda, al contrario, prevedeva la costruzione di un nuovo edificio che rispondesse ai nuovi bisogni del museo. Gli elementi con cui l’architetto vincitore avrebbe dovuto confrontarsi erano molteplici: la Villa Belgiojoso, costruita alla fine del XVIII secolo in stile neoclassico dall’architetto Pollack, costruzione del tipo a corte con pianta a C ed il cortile

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principale aperto a nord verso la strada urbana separato da essa attraverso una cancellata in ferro ed un muro con finestre cieche; a sud della villa, il grande parco; il muro perimetrale delle vecchie scuderie della Villa Reale, distrutte dai bombardamenti; un corpo ancora integro che limitava ad ovest il cortile laterale della villa; i grandi alberi del parco di fronte ad essa. Nel marzo del 1948 viene incaricato della costruzione l'architetto Ignazio Gardella, che presenta un progetto che risponde perfettamente alle esigenze del museo: massima disponibilità e flessibilità dello spazio interno e possibilità di dosare e differenziare la luce degli ambienti. L 'edificio proposto da Gardella si insedia nello spazio dei rustici esistente, assumendo come dato di fatto il perimetro trapezoidale dove sorgevano le scuderie, creando un'area suddivisa in tre livelli verticali, differenziati come volumi luminosi, con due piani visibili dal parco e un solo piano verso Via Palestro. L’edificio conserva oltre alla forma originaria, anche il cortile rettangolare di servizio con cui le scuderie si collegavano alla villa: la corte è aperta a nord verso la strada, ed è separato da una cancellata e da un muro con finestre cieche. Come in origine, l'entrata al padiglione avviene da tale cortile ed è allineata con i portici che collegano il cortile di servizio con quello principale. E’ delimitato da tre facciate, nord, est e sud mentre il lato ovest è addossato ad una costruzione esistente ed è coperto da un tetto a capriate disposte parallelamente e rivestite in rame sulle quali si aprono i lucernari. La facciata nord, che dà sulla strada e quella est, rivolta verso il cortile di servizio, sono rimaste identiche a quelle del XVIII

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secolo, a meno dell'apertura del portone archivoltato in vetro e ferro che funge da ingresso. A differenza di quest’ultime, la facciata sud verso il parco è di nuova realizzazione e sostituisce quella distrutta dai bombardamenti: è divisa in due fasce orizzontali, di cui la superiore è una muratura continua, per delimitare la galleria. Oggi, in seguito ai lavori per l'impianto di condizionamento, la copertura è diventata piana ed i lucernari sono sostituiti dalla sola luce artificiale. Nella facciata verso il parco è presente una successione di pilastri metallici di maggiore e di minore altezza, alternati, di cui i più alti sostengono una pensilina, ed i meno alti i binari delle griglie bianche che coprono l'apertura vetrata nella fascia inferiore della facciata. Nel 1954, il Padiglione venne inaugurato come sede per le collezioni del XX secolo. Importante risulta da subito l’ esigenza di doversi confrontare con il mondo estero, infatti inizia dai primi anni dopo la sua costruzione, una mostra di Georges Roualt, attività espositiva che si alterna alla funzione di museo degli spazi. Successivamente, dopo vari restauri durati molti anni a causa di una profonda riqualificazione, ammodernamento e adeguamento alle normative per la conservazione (aerazione, luce, sicurezza), nel 1979 il PAC riapre abbandonando definitivamente il ruolo di museo a favore di mostre temporanee, strumenti di ricerca sull’arte del XX secolo e nuove sperimentazioni, con l’obiettivo di acquisire nuove opere d’arte per completare le collezioni civiche. Lo spazio museale, di 1200 mq, si articola attorno ad un volume centrale, è costituito da un unico ambiente articolato in alcune sale esagonali ed in molti ambienti di raccordo.

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“Il problema fondamentale è quello di ottenere uno spazio perfettamente definito ed articolato, che possa a sua volta suddividersi e riarticolarsi in modi diversi ma sempre coerenti, […] in uno spazio architettonico, cioè, che possa essere ripartito ed articolato secondo uno o più moduli senza che perciò si smarrisca l'unità ambientale […]. In altri termini, è verissimo che l'architettura del museo è soprattutto architettura del vuoto, ma è indispensabile che quel vuoto riceva una configurazione formale, e cioè diventi uno spazio. Questo duplice aspetto è stato capito e risolto in modo esemplare11”. Originariamente era suddiviso in tre differenti ambienti espositivi interni: il più basso, la galleria delle sculture, che dialoga direttamente con il giardino della Villa Reale, presenta un grande uso di vetro per quanto riguarda la finestratura occupante l'intera parete in modo tale da avere una luce diretta e naturale, radente di lato alle sculture, per accentuarne l'effetto plastico; nel secondo livello, pensato per ospitare la pittura, la scelta del materiale risulta più complessa, essendo prevista una luce naturale ma indiretta, soffusa. La soluzione sarà quella di nascondere il vetro alla vista da un moderno controsoffitto in metallo secondo un sistema detto Saeger: le lamelle metalliche che costituiscono la copertura si arrestano ad una certa distanza dalle pareti, permettendo sui dipinti quella proiezione diretta di luce che è negata al percorso dello spettatore. In questa maniera, nelle sale del padiglione si ha un contrasto più dinamico e vivace tra ombre e buio. Gardella introduce inoltre un'ulteriore innovazione rispetto al sistema Saeger: le lamelle infatti creano un'ombra meno densa e statica, un effetto di chiaroscuro del tutto nuovo.

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Il terzo livello, originariamente destinato all'esposizione di disegni, stampe, fotografia ed oggettistica, è una galleria rettangolare sopraelevata, illuminata con luce artificiale, che si affaccia sul secondo livello con una balconata. Il percorso espositivo si districa mediante una passeggiata continua che ne costituisce il transito e che è posta alla stessa quota delle sale e ne condivide l’altezza, senza interruzione con il soffitto, dato che le aperture che immettono luce in esse sono a tutta altezza. La galleria è illuminata dalla grande vetrata che si apre sul vicino parco e che occupa l'intera lunghezza della facciata; il soffitto si abbassa con due spioventi simmetrici ed inclinati e presenta un profilo poligonale che accentua la plasticità dell'ambiente. Lo scalone, posto all'inizio della passeggiata e di fronte alla prima delle sale, collega il piano rialzato con il ballatoio del piano superiore che a sua volta si affaccia sulla passeggiata sottostante. Il padiglione di Gardella è ,quindi, un esempio lampante di innovazione rispetto alla tradizione museale, non solo grazie al grande studio sulla luce degli ambienti, ma anche ad altri dettagli, come ad esempio, nella facciata sud, sono evidenziate le sole strutture verticali mentre quelle orizzontali sono nascoste e si ha una fusione tra tali elementi ed il muro di tamponamento. Si riscontra quindi una combinazione tra un utilizzo classico del metallo quale struttura portante ed un utilizzo dello stesso come decorazione, al punto che le due si fondono. Anche l’utilizzo di metallo e vetro nella struttura delle campate è insieme elegante e funzionale. Ogni campata è a due falde, la metà superiore di ciascuna falda è

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trasparente, la metà inferiore è opaca e realizzata con pannelli di rame. La struttura è in profilati di acciaio, con due bracci verticali che reggono in sospensione il controsoffitto, la porta e una passerella d'ispezione nel tratto intermedio (in leggero grigliato d'acciaio zincato per non ostacolare il percorso della luce). Da un punto di vista decorativo, si riscontra un ricorrente uso di metallo verniciato in bianco, sia nel reticolo delle griglie, sulla facciata sud, che nella originale ringhiera dello scalone. Nella vetrata sul parco, si riscontra la scansione complessa delle strutture verticali, principali e secondarie, alternate: il ritmo primario è dato dai montanti principali, di ordine gigante, corrispondenti alla struttura portante delle campate interne, mentre il ritmo secondario è costituito dai montanti intermedi, più esili e di ridotta altezza, che oltre a suddividere l'infisso hanno il compito di sostenere le guide laterali dei pannelli grigliati. Interessante è anche l'utilizzo della pavimentazione: gli ambienti posti a quota del terreno sono pavimentati in marmo, mentre gli ambienti posti a quota superiore sono sempre in legno. Questo tipo di pavimentazione ci riconduce ancora una volta all’ unione tra estetica e funzionalità, infatti il rivestimento di maggior resistenza viene quindi utilizzato dove il transito è più intenso, mentre quello più tenero e caldo dove il calpestio e l'usura sono inferiori. Dopo il 1980 però non vennero sempre rispettati i canoni di esposizione ordinata sui diversi livelli, ma proprio grazie a questa duttilità che il Padiglione riesce ad andare oltre la

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tradizione, adattandosi come luogo sensibile in sintonia con esperienze artistiche nuove ed eterogenee. Così, secondo il tipo di mostra, lo spazio funziona come un involucro non limitativo, ma come “un’agile struttura espositiva”, spesso oggetto di intervento da parte dell’artista. Nel 1996, dopo un attacco mafioso che lo distrusse nel 1993, il PAC viene ricostruito da Jacopo Gardella, figlio di Ignazio, secondo il progetto originario, ma con delle migliorie tecniche che lo portano allo stesso livello degli spazi espositivi più all’avanguardia. 11Argan, 1954, pacmilano.it

3.5. Lo Spazio Oberdan, Gae Aulenti, Milano, via Vittorio Veneto Lo Spazio Oberdan è un edificio dedicato alla cultura, creato e gestito dall'assessorato alla cultura dalla provincia di Milano. Progettato dall'architetto Gae Aulenti, si trova in piazza Oberdan a Milano, di fronte ai Giardini Pubblici; ha una superficie espositiva di 700mq e ospitare mostre d'arte visiva di rilevanza nazionale, e un auditorium dedicato alla poetessa milanese Alda Merini, nel quale sono ospitate rassegne cinematografiche e incontri a cura della Provincia o in collaborazione con la Fondazione Cineteca Italiana ed altri enti. Sono presenti inoltre uno spazio per piccole esposizioni temporanee nel foyer e punti informativi sulle principali manifestazioni culturali nazionali ed internazionali.

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La Sala Alda Merini, l’auditorium, si trova al piano terra, ha circa 200 posti a sedere ed è accessibile anche da un'entrata in piazza Oberdan. L'acustica della sala è stata studiata in modo tale da permettere il miglior utilizzo del materiale audiovisivo e musicale anche al pubblico con disabilità della vista o dell'udito, mentre un piccolo palco può ospitare spettacoli musicali e conferenze. La sala attualmente ospita la programmazione della Fondazione Cineteca Italiana, che qui ha la sua sede centrale di proiezione, oltre a rassegne video cinematografiche, presentazioni di libri ed incontri anche in collaborazione con importanti realtà milanesi impegnate in questo campo. In questo edificio è presente, come citato in precedenza, al piano terra, uno spazio dedicato alle mostre. Una grande sala attrezzata costituisce il cuore centrale dello spazio espositivo. Da questa sala lo spazio si sviluppa lungo i due lati per poi ricongiungersi nell'atrio, dove si trova la balconata che affaccia sull'ingresso.

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4 – RELAZIONE PROGETTUALE

4.1 La tipologia delle Terme: carattere e centralità urbana Gli edifici termali, caratterizzati dalla presenza al loro interno dell’acqua, sono una risposta, architettonica alla presenza dell’acqua in città. Essi infatti, detti “terme urbane” devono inserirsi all’interno del contesto in maniera ragionata con un elemento che sia di facile lettura e con un chiaro impatto sul tessuto, definendo nuove centralità urbane come fulcro e centro della vita collettiva della città. Già in precedenza si è visto come molte aree nei dintorni sono o sono state caratterizzate dalla presenza di bagni pubblici, tra cui l’area tra le Gabelle e Via Castelfidardo dove i lavatoi rendevano possibile la cura dell’igiene personale a tutta la popolazione; o fin da epoca antica, come Terme, Bagni Pubblici e Piscine, veri e propri edifici pubblici, proprio in stretta relazione con il sistema delle acque, hanno svolto un ruolo spesso determinante, oggi negato, nel definire e caratterizzare le centralità urbane. Purtroppo al giorno d’oggi non resta traccia di questi edifici, ma la conformazione dell’area rimanda chiaramente alla stratificazione dei progetti che l’hanno resa tale.

4.2 Linee progettuali

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Partendo da un’accurata analisi di varie carte storiche riguardanti gli avvenimenti e l’evoluzione temporale che hanno caratterizzato l’area dei Giardini Pubblici, è stato possibile ricostruire le varie stratificazioni di un paesaggio complesso intriso di relazioni di vario genere, in alcuni casi conservate nel tempo, in altri scomparse del tutto. Le piante di Milano realizzate da Richini e Claricio, ci mostrano come sia possibile ipotizzare il tracciato della strada Marina come antico letto di un corso d’acqua, il quale permetteva l’ingresso del Seveso in città, la cui continuità è stata interrotta a fine ‘400 con la costruzione del Lazzaretto. All’inizio del ‘500 venne realizzato il progetto della cinta fortificata sull’asse Redefossi, rendendolo non solo un limite daziario ma anche militare. Come citato in precedenza, nel corso del ‘700, venendo meno l’esigenza difensiva e militare dei bastioni, fu prevista la loro trasformazione in passeggi pubblici: furono realizzati dei passeggi in quota con al centro la parte carrabile destinata alle carrozze e delimitata da filari di alberi e ai lati i percorsi pedonali. I bastioni conseguirono quindi un nuovo carattere urbano e persero la funzione difensiva per scoprirsi come luogo privilegiato di passeggio sopraelevato rispetto al livello del traffico cittadino. In particolare, il tratto compreso tra Porta Orientale e Porta Nuova divenne di fondamentale importanza nella struttura urbana e di fruizione particolarmente piacevole grazie al progetto di Piermarini del 1789, con la regolarizzazione dello spessore della sommità del bastione, inglobando i due

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cavalieri che erano presenti tra le due porte, e il completamento tramite quattro filari di alberi ai lati. L’architetto si occupò anche dell’area dei Giardini Pubblici, che nella seconda metà del XVIII secolo erano un appezzamento di terreno leggermente depresso, sul bordo settentrionale delle mura spagnole, di proprietà della famiglia Dugnani. La sistemazione a verde prese avvio da un progetto di Piermarini mai realizzato. Nel 1789 furono realizzati i Boschetti, con due serie di allineamenti di cinque file di alberi (tigli, olmi e ippocastani), inizialmente concepiti come spazio destinato alla ricreazione. La strada Marina subì l’ampliamento della sua sezione per essere poi trasformata in percorso di passaggio per carrozze e pedoni. Furono previsti diversi accessi ai giardini; quello principale fu posizionato in corrispondenza della scala per creare una terrazza panoramica di affaccio alla strada Marina e al nuovo progetto dell’architetto. Numerose stampe dell’Ottocento testimoniano inoltre la progettazione di strutture provvisorie ed apparati celebrativi temporanei (obelischi, archi trionfali, tempietti e colonne) per onorare eventi politici, nozze regali, incoronazioni, vittorie di battaglie e nuovi ordini sociali con particolari festeggiamenti pubblici. È questo il caso di alcuni progetti di Luigi Cagnola per Porta Orientale con un arco trionfale provvisorio. Dopo le Cinque Giornate (1848), il Comune affidò a Balzaretto l’incarico di ampliare i Giardini sull’area di Palazzo Dugnani e relative pertinenze, acquisite dal Comune. I Giardini vennero inaugurati nel 1862, con un disegno all’inglese, inoltre fu progettato sul Monte Merlo il Padiglione del Caffè nel 1863, trasformato in Scuola Materna dopo la ristrutturazione del 1920.

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I Giardini ospitarono negli anni successivi alcune Esposizioni Nazionali merceologiche, le quali portarono in città diversi visitatori nazionali ed internazionali e consacrarono Milano come capitale economica italiana. Una di queste esposizioni fu quella del 1881, la quale ebbe un successo inatteso. I padiglioni coprirono tutto il giardino vecchio compreso il Salone, la Villa Reale e il parterre del Balzaretto davanti alla Villa Reale; altri padiglioni di ristoro erano sparsi nel verde e furono inoltre predisposti importanti arredi. Molti danni furono però provocati ai Giardini dall’Esposizione del 1881, fu quindi necessario procedere ad un restauro di notevole entità, affidato ad Emilio Alemagna e a Bignami Sormani, i quali apportarono alcune modifiche al progetto di Balzaretto, sostituirono la scalinata di Piermarini con una doppia rampa che racchiude una cascata e risistemarono i Boschetti con una disposizione più irregolare. Le acque della cerchia interna del Naviglio furono tombinate in epoca fascista, mentre il sistema del Redefossi venne coperto precedentemente, nel primo decennio del ‘900, poiché causa di inquinamenti e di esalazioni nei quartieri limitrofi. La tombinatura del canale comportò un’importante trasformazione dell’area, portando alla formazione di un vuoto urbano, che divenne occasione di sperimentazione e progettazione in vista delle successive Fiere Campionarie di inizio secolo. In realtà, le ristrettezze economiche imposero di lasciare da parte l’estetica e nel 1920, in occasione della prima Fiera Campionaria, si preferì una sistemazione più economica con strutture prefabbricate in legno lungo l’asse dei bastioni.

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Durante il corso del ‘900 l’area ha subito un generale adattamento ed omologazione. All’inizio degli anni ’30 furono ultimati gli smantellamenti delle mura spagnole; tuttavia il tratto di Porta Orientale fu solamente troncato, per terminare non più a Porta Nuova, ma in Piazza della Repubblica, modificandone in modo considerevole l’impatto visivo. L’asse dei Bastioni di Porta Venezia ha perso la sua funzione di luogo pubblico di passeggio e la sua memoria storica per essere trasformato in un grande asse viabilistico; il corso d’acqua è stato sostituito da un progetto di giardini, rampe e scalinate nel verde redatto dall’Ufficio Tecnico del Comune, affiancato dalla linea tramviaria.

4.3 Gli intenti progettuali e la scala territoriale L’acqua del Redefossi, pur scorrendo ancora oggi sotto il manto stradale, si è notevolmente allontanata dalla memoria collettiva. Con la riapertura di questo canale, infatti, si assume il sistema delle acque come oggetto fondamentale di intervento per il riassetto del luogo riconoscendone la sua specificità, negata nel corso del tempo portando alla loro progressiva eliminazione dal paesaggio urbano, ed esprimendo nuovi progetti per gli spazi della vita collettiva che ne sappiano interpretare le potenzialità per un rinnovamento profondamente radicato alla sua storia, definendo e caratterizzando nuove centralità urbane. Il progetto presentato si inserisce in rispetto al territorio, in un “celato silenzio, come un taglio al di sotto della collina in cui inserire un nuovo mondo nascosto” ridando alle acque, quel valore intrinseco perso negli anni.

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L’intento progettuale è una sorta di “attualizzazione del passato”, non in forma nostalgica come mera riproposizione di un passato ormai sparito, ma riporta alla luce e ridà vita ad uno spazio che fu un elemento fondante per la collettività, riscoprendo le tradizioni che fecero dei Giardini un punto di riferimento per la città intera. Lo studio approfondito di quest’area ha permesso di creare un progetto in grado di innestarsi all’interno di un sistema complesso, ricco di relazioni tra acqua, verde, dislivelli e preesistenze. Sin dal principio è emersa l’importanza dei due assi storici definiti dal corso del Redefossi e dall’antico tracciato della strada Marina; anche da qui nasce la volontà di riaprire il canale d’acqua, riproponendo un luogo di passeggi, che scorre accanto al bastione, ricucendo il tessuto urbano disgregato. La strada Marina è attualmente un luogo di passaggio privo di carattere proprio, omologato al resto dei giardini e risultato di una sovrapposizione di interventi, per la quale risulta necessario ridare un ruolo di risalto e di riconnessione di un’area frammentata. Per rivalorizzare quest’asse è stato ripensato il verde, non come progetto paesaggistico vero e proprio, ma come intenzione, come suggestione, riproponendo il quasi matematico, geometrico progetto fatto dal Piermarini, regolarizzando le alberature, dando vita a due viali principali come percorso privilegiato nel parco che inviti e porti l’attenzione sul complesso termale. Il quartiere sottostante è stato reso pedonale grazie anche alla riproposizione dei Boschetti progettati dal Piermarini

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ampliando questa suggestione di un mondo funzionante ormai privo di ogni significato. Questa tesi, insieme a quella della riapertura del canale, è avvalorata inoltre dalla riapertura di un tratto della Roggia Balossa, elemento che “accompagna fino alla grande scala” e risulta essere un segno di definizione marcato, sia delle volontà progettuali, sia come segno tangibile della storia del giardino, dividendone i due “momenti” principali, quasi spezzandolo in due parti distinte. Sulla base dello studio dei progetti temporanei di Piermarini e Cagnola, è risultata interessante inoltre la scelta di conferire monumentalità ed importanza all’accesso e all’affaccio sul parco creando un fulcro e punto di snodo tra gli assi storici ed attuali dell’area, rappresentato dalla rivisitazione della scala del Piermarini, mantenuta come traguardo prospettico e luogo di sosta privilegiato.

4.4 Il confronto col presente: orientamenti, quote e percorsi progettuali Gli orientamenti di progetto influenzano direttamente i percorsi che caratterizzano l’impianto, sia per quanto riguarda la disposizione dell’edificio, sia facendo affiorare in superficie un portico vetrato che funge da filtro, lasciando libera la vista tra l’asse viabilistico e l’area verde, che seguendo la giacitura del Redefossi Trecentesco mantiene la funzione di “chiusura” del parco. L’area è morfologicamente complessa, con diversi e repentini cambi di quota che, dando vita a numerosi dislivelli, caratterizzano l’area del giardino.

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Con la progettazione di percorsi e collegamenti si ottiene un disegno generale che garantisce l’intersezione tra il “nuovo” ed il “vecchio”. Un limite invalicabile è rappresentato dalla presenza del cavalcavia stradale, posto a +125.5m slm, al di sopra del bastione Cinquecentesco, definito come confine tra l’edificio termale e il canale Redefossi; inoltre, il Caffè del Balzaretto che, dall’alto della sua quota sul Monte Merlo viene ricondotto alla sua originaria funzione di caffè, è stato ricollegato al centro termale tramite la riqualificazione del ponte che lo collega al cavalcavia. Questa caratteristica intrinseca del canale e del bastione, che con il suo “sepolto cavaliere” fungono da limite dimensionale per l’edificio termale, è allo stesso tempo negata venendo superata tramite attraversamenti pedonali che permettono la riconnessione tra il giardino e la via Vittorio Veneto, ricucendo le due parti di città.

4.5 L’impianto termale 4.5.1 Le relazioni spaziali A tutte le quote l’edificio segue e sottolinea l’orizzontalità del luogo, data dalla giacitura sia del bastione che del fiume. In particolare l’impianto si sviluppa su tre livelli, mantenendosi prevalentemente ipogeo, confermando il “rispetto” storico-paesaggistico, precedentemente menzionato. In linea con tale pensiero, la struttura portante dell’edificio è indipendente dal bastione, pur inserendosi al suo interno,

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lasciando la sua struttura inalterata, come se fosse un “elemento museale esposto” all’interno di una scena completamente nuova. L’elemento di riconoscimento a livello urbano è il corpo vetrato; esso fuoriesce dalla quota del manto stradale, rivolto verso il giardino, conferendogli un senso di leggerezza e trasparenza, garantendo la permeabilità della vista. La struttura portante è formata da portali in acciaio (a sezione quadrata di quaranta centimetri, sormontati da travi a sezione rettangolare di spessore ottanta centimetri) che ancorano saldamente l’edificio a terra e generano un modulo regolare che scandirà la forma dell’edificio sia spazialmente che concettualmente; tale modulo deriva dalla scansione interna data dai contrafforti del bastione, rendendolo visibile idealmente anche sulla facciata interna rivolta verso il parco. Grazie anche a degli affacci privilegiati ricavati in questa struttura, che si protendono verso il parco al di là del limite della vetrata, l’edificio sembra volersi “aggrappare” al disegno del verde, mantenendo un rapporto diretto con il parco. La costruzione prosegue da entrambi i lati “ricostruendo” il fronte stradale, verso corso Buenos Aires, con un portico appoggiato su di un livello inclinato, che si pone come conclusione di una passeggiata adiacente al parco, e dalla parte opposta, proseguendo dal Caffè, con un portico vetrato nella quale si innesta una serra, un orto urbano a disposizione della comunità. Il fronte sul Redefossi è stato trattato coscienziosamente in maniera diversa, lasciando intatta la trama del bastione cinquecentesco, conferendogli importanza e magnificenza.

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Al di sopra di esso, sono stati reinterpretati gli antichi passeggi piermariniani, con due filari di alberi ed un affaccio privilegiato sul canale, collocati secondo la stessa giacitura. Dalla quota stradale si accede al fulcro della composizione, la piazza sovrastante la scala piermariniana, luogo di sosta privilegiato e collegamento verticale tra i due livelli. 4.5.2 La scoperta di un “mondo nuovo” Giungendo alla quota stradale si possono cogliere fisicamente i passaggi che lasciano permeare il proseguo della strada Marina, che collegano il parco con la piazza Oberdan, ricucendo le due parti di città, aspetto venuto meno nel corso del tempo a causa della presenza della rettifica del bastione cinquecentesco. Al di sotto della piazza gli spazi sono organizzati secondo varie funzioni, ovvero in concomitanza spaziale con lo spazio Oberdan e l’omonima piazza troviamo un edificio progettato come suo ampliamento, con un piccolo auditorium e uno spazio espositivo; nel centro una zona ristoro racchiusa in un parallelepipedo completamente vetrato che sembra incastrarsi al di sotto del manto stradale, “estraniandosi” dal resto della composizione, ma rafforzandone il fulcro centrale, che si affaccia sulla piazza antistante. Qui troviamo anche l’ingresso all’edificio termale, posto perpendicolarmente al giardino piermariniano in modo da sottolineare ancora di più l’orizzontalità e continuità di questi percorsi. Varcando la soglia dell’edificio si accede in un luogo dove la percezione spaziale è volutamente compressa, in modo tale da suscitare nel visitatore un sentimento di curiosità, grazie

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allo scorcio visibile dell’impianto termale sottostante e della vista di una parte dell’antico bastione. Un percorso obbligato accompagna il visitatore in una zona riservata a spazi per negozi e ristoro in stretto contatto col bastione, posto come “elemento contemplativo”, essendo l’intera struttura dell’edificio slegata ed indipendente da esso. A questo livello sono presenti due ballatoi, riservati ai bagnanti, che si protraggono verso il parco e che, oltre a spezzare il ritmo regolare della facciata, permettono un affaccio diretto sul verde. Proseguendo al piano inferiore, troviamo la zona degli spogliatoi che funge da filtro tra la “passeggiata” a ridosso del bastione e la zona delle vasche. Usciti da essi lo spazio si dilata notevolmente, giungendo nella grande aula e si viene inondati dalla luce proveniente dalla doppia vetrata. La direzione assiale della distribuzione interna delle vasche segue la giacitura del bastione e del Redefossi; esse sono divise in vasche a diverse temperature, per adempire alle differenti funzioni; a ridosso del muro che divide le due zone si trova una fascia di stanzette più intime che ripropongono il concetto di “percorso termale” protrattosi fin dagli antichi romani con calidarium – tepidarium – frigidarium, garantendo comunque una certa libertà di azione. Lungo il perimetro dell’edificio si trovano l’area fitness, locali di servizio e zone massaggi. Nonostante ogni elemento segua la giacitura longitudinale alla base del progetto, tutti i percorsi sono pensati in modo tale da rivolgere lo sguardo verso la grande vetrata, che affaccia direttamente sul tratto di Roggia Balossa riaperto e

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sulla relativa scarpata del giardino, quasi da “unire” i due elementi architettonico e paesaggistico in una sola entità. Per quanto riguarda la parte strutturale, oltre ai portali esterni, l’ossatura della struttura è data da sei pilastri di acciaio, che si attorcigliano su loro stessi, schermati nella parte superiore dove vengono a contatto con i ballatoi, nella parte inferiore negli altri casi, dove accolgono luoghi di relax introversi. La struttura presenta, in tal modo sia una funzione strutturale portante, sia una funzione estetica e funzionale. Essi ricevono, anche, i pesi che provengono dalla soletta stradale, tramite un sistema di travi reticolari nascoste all’interno del controsoffitto dell’aula, lasciando alla vista un volume semplice, quasi “puro”, che rifletta la luce proveniente dall’esterno. Alla quota più bassa si può uscire dall’edificio ritrovando il rapporto diretto con l’acqua, di un tratto della Roggia Balossa, affiancata dalla scarpata che porta la luce all’interno dell’edificio. Il sistema di oscuramento della vetrata è stato pensato come elemento invisibile, nel momento in cui non è in funzione, tramite un sistema di tendaggi, azionabili accedendo al corridoio di ottanta centimetri interposto tra le due vetrate, progettato appunto come spazio manutentivo, di servizio e tecnologico per la coibentazione. Tutto il sistema di impianti depurativi e di ricircolo dell’acqua sono posti al piano inferiore rispetto al livello delle vasche, in appositi locali tecnici accessibili mediante una scalinata posta al limite occidentale del complesso termale, adiacente al ponte che porta al Caffè Balzaretto.

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Il sistema di ventilazione è posto all’interno della soletta stradale, che con la sua massiccia sezione e con l’aggiunta di un controsoffitto, contiene le tubature dell’impianto, i cavi dell’impianto elettrico e le travi strutturali dell’edificio. 4.5.3 I materiali costruttivi Ogni materiale costruttivo dell’impianto è stato pensato sia da un punto di vista contestuale, sia da uno tecnologico e funzionale. Infatti, la facciata della piazza esterna e la scalinata ad essa inserita, sono state progettate con un rivestimento di pietra in ceppo di Grè, materiale dell’architettura lombarda fin dal dominio spagnolo, che cita direttamente la tradizione Milanese. La pavimentazione accanto al manto stradale è composta da piastrelle di cemento grezzo, dovendo sopportare gli agenti atmosferici e distinguendosi dalla zona carrabile. Quella a livello del parco è rivestita in lastre di granito. Per quanto concerne la facciata vetrata, è scandita da portali strutturali in acciaio nero che sorreggono una copertura con anima in cemento armato rivestita dallo stesso acciaio dei portali, creando uniformità visiva ed estetica alla composizione. Tutta la parte strutturale verticali, è costituita da pilastri cavi in acciaio a sezione circolare di ottanta centimetri (per quanto riguarda i pilastri nella zona vasche), a sezione rettangolare, con controventatura interna, di quaranta per ottanta centimetri (per quanto riguarda la struttura a ridosso dei contrafforti del bastione).

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I serramenti sono composto da un telaio di acciaio nascosto dai portali, con interposte due lastre di vetro temperato. L’interno è ricoperto una pavimentazione in gres porcellanato di colore chiaro ed antiscivolo; le pareti verticali sono intonacate di bianco, mentre le stanze per il percorso termale sono in legno di betulla, con il suo caratteristico colore chiaro ed adatto a sopportare rapidi aumenti e sbalzi di temperatura ed umidità. Gli interni delle vasche d’acqua sono rivestiti da mosaici ceramici di vari colori.

4.6 Dati normativi Di seguito uno schema riassuntivo dei dati quantitativi dell’edificio per piscine, in conformità agli aspetti normativi del CONI, approvati nel 1999. - Superficie totale: 10540 mq (divisi sui due livelli: 3638 mq a quota +119.6 m slm 6902 mq a quota +114,5 m slm) - Superficie spogliatoi: 614 mq (111 al quota +119,6 m slm riservati al personale e 503 a quota +114,5 m slm per il pubblico) - Superficie vasche: 1037 mq - Numero posti spogliatoio: 115 - Numero massimo utenti presenti contemporaneamente: 518

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- Numero cabine a rotazione: 28 - Numero docce: 26 - Numero servizi all’interno degli spogliatoi: 12 - Presenza dei seguenti servizi: o Un’infermeria con bagno per disabili o Due spogliatoi per istruttori o Magazzini adiacenti alle vasche ed un magazzino senza

accesso diretto dalla vasca o Un ufficio per il personale o Una palestra per il riscaldamento o Un punto di ristoro con servizi igienici o Uno spazio ad uso commerciale

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4.7 Relazione Strutturale

ANALISI DEI CARICHI

SOLAIO S01 H = 2,90 m

PESO PROPRIO G1 = 1,50 KN/mq + 25*0,20 KN/mq = 6,50 KN/mq

PERMANENTI G2 = 2 KN/mq + 1 KN/mq + 0,50 KN/mq = 3,50 KN/mq

manto stradale impianti controsoffitto

ACCIDENTALI Q = 6 KN/mq

QTOT = G1 + G2 + Q = 16 KN/mq

SOLAIO S02 H = 0,50 m

PESO PROPRIO G1 = 25*0,10 KN/mq = 2,50 KN/mq

PERMANENTI G2 = 1 KN/mq + 0,50 KN/mq = 1,50 KN/mq

Impianti controsoffitto

ACCIDENTALI Q = 4 KN/mq

QTOT = G1 + G2 + Q = 8 KN/mq

MATERIALI STRUTTURALI

TRAVE TIPO 01 (RETICOLARE)

Acciaio Fe430/S275, σamm = 190 MPa

Profilo HEB400 A = 187,60 cmq

b = 30 cm

HTOT = 226 cm + 30 cm = 256 cm

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TRAVE TIPO 02 (RETICOLARE)

Acciaio Fe430/S275, σamm = 190 MPa

Profilo HEM300 A = 303,10 cmq

b = 31 cm

HTOT = 226 cm + 31 cm = 257 cm

TRAVE TIPO 03 (RETICOLARE)

Acciaio Fe430/S275, σamm = 190 MPa

Profilo HEM300 A = 303,10 cmq

b = 31 cm

HTOT = 156 cm + 31 cm = 187 cm

TRAVE TIPO 04

Acciaio Fe430/S275, σamm = 190 MPa

Profilo HEM1000 A = 444 cmq

h = 100,8 cm

PILASTRO TIPO 01

Acciaio Fe430/S275, σamm = 190 MPa

Profilo cavo circolare d = 21,91 cm

sp = 0,80 cm

PILASTRO TIPO 02

Acciaio Fe430/S275, σamm = 190 MPa

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Profilo cavo rettangolare a = 50 cm

b = 30 cm

sp = 2 cm = 20 mm

PILASTRO TIPO 03

Acciaio Fe430/S275, σamm = 190 MPa

Profilo cavo rettangolare a = 50 cm

b = 30 cm

sp = 1,6 cm = 16 mm

CALCOLO DELLE STRUTTURE TIPICHE

TRAVE TIPO 01

Ltrave = 24 m

Lsolaio = 7,5 m

QTOT = 16 KN/mq

q = 16 KN/mq * 7,5 m = 112 KN/m

Ac * H2 = 625*q*Lt3 = 625*112 KN/m*(24000 mm)3 = 9600000

48 E 48*210000*104

Ac * H = q* Lt2 = 112KN/m*(24000 mm)2 = 42442

8 σamm 8*190 MPa*103

Ac = 42442

H

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42442 * H2 = 9600000

H

H * 42442 = 9600000

H = 226 cm

Ac = 187,6 cmq

Da profilari: HEB400 A = 197,8 cmq

h = 40 cm

b = 30 cm

HTOT = 226cm + 30 cm = 256 cm

TRAVE TIPO 02

Ltrave = 16,5 m

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Lsolaio = 16 m

QTOT = 16 KN/mq

q = 16 KN/mq * 16 m = 256 KN/m

Ac * H2 = 625*q*Lt3 = 625*256 KN/m*(16500 mm)3 = 7130357

48 E 48*210000*104

Ac * H = q* Lt2 = 256KN/m*(16500 mm)2 = 45853

8 σamm 8*190 MPa*103

Ac = 45853

H

45853 * H2 = 7130357

H

H * 45853 = 7130357

H = 156 cm

Ac = 296 cmq

Da profilari: HEM300 A = 303,1 cmq

h = 34 cm

b = 31 cm

HTOT = 156cm + 31 cm = 187 cm

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TRAVE TIPO 03

Ltrave = 24 m

Lsolaio = 9 m

QTOT S01 = 16 KN/mq

qS01 = 16 KN/mq * 9 m = 144 KN/m

TIRANTE Ainfl = (4,9 m + 6,8 m) * 3,7 m = 43,29 mq

QTOT S02 = 8 KN/mq

N = 43,29 mq * 8 KN/mq = 346,32 KN

qS02 = 346,32 KN / 24 m = 14,43 KN/m

qTOT = 144 KN/m + 14,43 KN/m = 158,43 KN/m

Ac * H2 = 625*q*Lt3 = 625*158,43 KN/m*(24000 mm)3 = 13579714

48 E 48*210000*104

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Ac * H = q* Lt2 = 158,43KN/m*(24000 mm)2 = 60036,6

8 σamm 8*190 MPa*103

Ac = 60036,6

H

60036,6 * H2 = 13579714

H

H * 60036,6 = 13579714

H = 226 cm

Ac = 265 cmq

Da profilari: HEM300 A = 303,1 cmq

h = 34 cm

b = 31 cm

HTOT = 226cm + 31 cm = 257 cm

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TRAVE TIPO 04

Ltrave = 18 m

Lsolaio = 3,6 m

QTOT S01 = 16 KN/mq

qS01 = 16 KN/mq * 3,6 m = 57,6 KN/m

TIRANTE Ainfl = 4m * 4 m = 16 mq

QTOT S02 = 8 KN/mq

N = 16 mq * 8 KN/mq = 128 KN

qS02 = 128 KN / 18 m = 7,1 KN/m

qTOT = 57,6 KN/m + 7,1 KN/m = 64,7 KN/m

Ix = 300 * 5 * qTOT * Lt3 = 300 * 5 * 64,7 KN/m * (18000 mm ) 3 = 7018794642 mm4 = 701879 cm4

384 E 384 * 210000

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Wx = q * Lt2 * 106 = 64,7 KN/m * (18 m )2 * 106 = 13791316 mm3 = 13791 cm3

8 8

σamm 190

Da profilari: HEM1000 A = 444 cmq

h = 100,8 cm

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PILASTRO TIPO 01

Hinterpiano = 7,5 m

Ainfl = 24 m * 11 m = 264 mq

QTOT = 16 KN/mq

N = 264 mq * 16 KN/mq * 1,05 = 4435,2 KN

Apil = ω * N = 1,2 * 4435,2 KN * 103 = 28011 mm2 = 280 cmq

σamm 190 MPa

280 cmq / 8 pilastrini = 35 cmq

sp * perimetro = 35 cmq

sp * φ * π = 35 cmq

fissando φ = 21,91 cm (da profilari)

sp = 0,5 cm = 5 mm

imin = 7,54 cm

λ = 750 cm / 7,54 cm = 100

da tabelle ω = 1,77

Apil = ω * N = 1,77 * 4435,2 KN * 103 = 41317,4 mm2 = 413 cmq

σamm 190 MPa

413 cmq / 8 pilastrini = 51,625 cmq

sp * perimetro = 51,625 cmq

sp * φ * π = 51,625 cmq

fissando φ = 21,91 cm (da profilari)

sp = 7,5 mm

sp = 8 mm

imin = 7,47 cm

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λ = 750 cm / 7,47 cm = 101

da tabelle ω = 1,80

Apil = ω * N = 1,80 * 4435,2 KN * 103 = 420 cmq

σamm 190 MPa

420 cmq / 8 pilastrini = 52,5cmq

sp * perimetro = 52,5cmq

sp * φ * π = 52,5cmq

fissando φ = 21,91 cm (da profilari)

sp = 8 mm

Da profilari: PROFILO CAVO CIRCOLARE d = 21,91 cm

sp = 0,8 cm = 8 mm

PILASTRO TIPO 02

Hinterpiano = 4 m

Ainfl = 24 m * 8 m = 192 mq

QTOT S01 = 16 KN/mq

QTOT S02 = 8 KN/mq

QTOT = 24 KN/mq

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N = 192 mq * 24 KN/mq * 1,05 * 2 piani = 9676,8 KN

Apil = ω * N = 1,1 * 9676,8 KN * 103 = 56023, 58 mm2 = 560 cmq

σamm 190 MPa

560 cmq / 2 pilastrini = 280 cmq

sp * perimetro = 280 cmq

sp * b * a = 280 cmq

fissando a = 50 cm e b = 30 cm (da profilari)

sp = 280/ 50 * 30 cm = 1,86 cm , sp = 2 cm da profilari

imin = 18,1 cm

λ = 400 cm / 18,1 cm = 22,1

da tabelle ω = 1,01

Apil = ω * N = 1,01 * 9676,8 KN * 103 = 51439,8 mm2 = 514 cmq

σamm 190 MPa

514 cmq / 2 pilastrini = 257 cmq

sp * perimetro = 257 cmq

sp * b * a = 257 cmq

fissando a = 50 cm e b = 30 cm (da profilari)

sp = 257/ 50 * 30 cm = 1,71 cm , sp = 2 cm da profilari

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Da profilari: PROFILO CAVO RETTANGOLARE a = 50 cm

b = 30 cm

sp = 2 cm = 20 mm

PILASTRO TIPO 03

Hinterpiano = 4 m

Ainfl = 17,1 m * 8 m = 141,9 mq

QTOT S01 = 16 KN/mq

QTOT S02 = 8 KN/mq

QTOT = 24 KN/mq

N = 141,9 mq * 24 KN/mq * 1,05 * 2 piani = 7151,76 KN

Apil = ω * N = 1,1 * 7151,76 KN * 103 = 41404,93 mm2 = 414 cmq

σamm 190 MPa

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414 cmq / 2 pilastrini = 207 cmq

sp * perimetro = 207 cmq

sp * b * a = 207 cmq

fissando a = 50 cm e b = 30 cm (da profilari)

sp = 207/ 50 * 30 cm = 1,38 cm , sp = 1,6 cm da profilari

imin = 18,3 cm

λ = 400 cm / 18,3 cm = 22

da tabelle ω = 1,01

Apil = ω * N = 1,01 * 7151,76 KN * 103 = 38017 mm2 = 380 cmq

σamm 190 MPa

380 cmq / 2 pilastrini = 190 cmq

sp * perimetro = 190 cmq

sp * b * a = 190 cmq

fissando a = 50 cm e b = 30 cm (da profilari)

sp = 190/ 50 * 30 cm = 1,27 cm , sp = 1,6 cm da profilari

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Da profilari: PROFILO CAVO RETTANGOLARE a = 50 cm

b = 30 cm

sp = 1,6 cm = 16 mm

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5 – CONCLUSIONI

Il complesso termale con il suo orientamento si pone come interprete degli attori principali del progetto, sottolineandone le giaciture e rafforzandone l’identità che possiedono in rapporto al contesto circostante. L’importanza della riapertura dell’acqua e della riconnessione del tessuto cittadino permettono di ricostituire delle forti relazioni, ormai sparite, che garantiranno una definizione di nuove centralità urbane, riportando alla luce la memoria storica e la quotidianità vissuta in epoche passate, intrinseca in questo luogo. Il progetto quindi si pone come obiettivo un punto d’incontro fra questi attori, rievocando momenti storici ben precisi, ma attualizzati al contesto odierno. Inoltre, si fonda anche sul rapporto con il contesto circostante, prospettandosi come un intervento “rispettoso”, in grado di garantire l’integrità al monumento storico ed instaurando delle forti relazioni con esso e con il giardino. La natura sembra entrare nell’edificio, instaurando una relazione biunivoca con il bastione. Questo porta alla definizione spaziale e funzionale dell’edificio, modellato e scavato, lasciando intatta la parte con rilevanza storica, introducendo un’aria innovativa e moderna.

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BIBLIOGRAFIA

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Il nuovo Giardino di Milano, Zanetti Francesco, Milano, F. Zanetti tipografo-editore, 1869 Le vie di Milano, Vittore e Claudio Buzzi, Ulrico Hoepli editore, Milano, 2005 Milano e i suoi Palazzi: Porta Orientale, Attilia Lanza, Marilea Somarè, Romana e Ticinese, libreria Meravigli Editrice, 1992. Milano: costruzione di una città, Giuseppe De Finetti, Giovanni Cislaghi, Mara De Benedetti, Piergiorgio Marabelli. Milano, Etas Kompass, 1969 Milano tecnica dal 1859 al 1884, pubblicazione fatta a cura del Collegio degli ingegneri ed architetti, con la collaborazione dei signori Ajraghi Francesco, 2. Ed, Milano, Edizioni Archivolto, 1988. Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Musaeum Septalianum una collezione scientifica nella Milano del Seicento, Antonio Aimi, Vincenzo De Michele, Alessandro Morandotti, Firenze, Giunti Marzocco, 1984 (Biblioteca del Museo di Storia Naturale, 28 F 75) Storie e leggende nei Giardini pubblici di Milano, Poggiali Ciro, Milano, Cordani 1942

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Articoli “Bagni pubblici in Milano”, Città di Milano, anno XXXI, Luglio 1915, pp. 309-317 (Emeroteca digitale braidense) "Della Inalveazione del Torrente Redefosso, saggio storico idraulico", dai torchi di Gio. Bernardoni, Milano, 1819 “I nuovi Bagni Popolari a Milano”, Giannino Ferrini, L’Edilizia moderna, II, 1893, pp. 74-76_ (Biblioteca Civica Sormani)

“Milano, l’anomalia di Porta Nuova”, Giovanni Cislaghi, Giornale della facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano Bovisa, n°2 dicembre 2009, in occasione del Premio Mantero 2009 – Inaugurazione dell’Anno Accademico 2009-2010 “Una mensa di fabbrica”, Giuseppe Trevisani, articolo da “Pirelli, rivista d’informazione e di tecnica”, n°1, febbraio 1957

Tesi di Laurea Complesso Termale a Porta Nuova, Maria Cristina Diano, Sara Rizzetti, Beatrice Spolidoro, rel. Marco Prusicki, co-rel. Giovanni Cislaghi, Milano, Politecnico, 2010/2011. (Tesi datt. - Politecnico di Milano, Architettura, Laurea in Architettura, Facoltà di Architettura Civile, A.a. 2010/2011, Sessione dicembre) Il caso del Naviglio Martesana: programmi di azione per la valorizzazione, Paolo Colombo, Tornaghi Marco, rel. Maria

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Cristina Treu, correl. Angela Colucci, Milano: Politecnico, 2000/01. (Tesi datt. - Politecnico di Milano, I Facolta’ di Architettura Milano Leonardo, Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica Ambientale, A.a. 2000/01, Sessione marzo) Milano Porta Garibaldi: una nuova piazza del Mercato ritrova l’antico confine della citta’, Maria Ghirardi, rel. Marco Prusicki, co-rel. Giovanni Cislaghi, Milano, Politecnico, 1994/95. (Tesi datt. - Politecnico di Milano, Architettura, Laurea in Architettura, Indirizzo Progettazione Architettonica, A.a. 1994/95, Sessione dicembre) Terme a Porta Nuova, Il disegno del Redefossi a Porta Nuova: limite, forma e utilizzo dell’acqua in città, Claudia Candia, Caterina Cerisola, Caterina Spelta, Margherita Villa, rel. Giovanni Cislaghi, co-rel. Marco Prusicki, Milano, Politecnico, 2010/2011. (Tesi datt. - Politecnico di Milano, Architettura, Laurea in Architettura, Facoltà di Architettura Civile, A.a. 2010/2011)

Sitografia

www.archiviostorico.fondazionefieramilano.com www.ordinearchitetti.mi.it www.pacmilano.it www.storiadimilano.it

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Riferimenti cartografici

“Carta Tecnica Comunale”, Sito del comune di Milano, 1972 “Pianta della città di Milano”, Antonio Vallardi, Raccolta Bertarelli, Milano, 1884 “Pianta della città di Milano”, Astronomi, Raccolta Bertarelli, Milano, 1814 “Pianta della città di Milano”, Carlo Maria Richini, Raccolta Bertarelli, Milano, 1603 “Piano Regolatore Pavia-Masera” ,Raccolta Bertarelli, Milano, 1910-1912