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Parchi, giardini e pubblici passeggi. La costruzione del verde urbano e la sua conservazione Il “Verde Pubblico”, nell’accezione a noi nota, nasce nell’Ottocento quale esito di un’evoluzione urbana e politica delle città. Gli spazi verdi da sempre presenti nei nuclei abitati in quest’epoca acquisiscono un valore diverso, divenendo spazi della rappresentazione sociale. Così insieme ai parchi e ai pubblici passeggi creati ex novo, anche i giardini delle antiche ville patrizie, da sempre tradizionalmente aperti alla cittadinanza, vengono acquisiti al patrimonio civico e dotati di arredi come panchine, lampioni, fontanelle, chioschi. In questi anni con la creazione di luoghi verdeggianti destinati ad un pubblico sempre più vasto non solo si afferma la democratizzazione della visione paesaggistica, ma anche che sia dovere dell’amministrazione civica farsene carico. Nel XX secolo si assiste da una parte ad un’estensione della dotazione di verde pubblico alle zone più esterne della città, ma in parallelo si verificano anche le grandi lottizzazioni dei parchi e delle zone agricole. L’arresto del processo che tende ad annientare il verde urbano si può riconoscere intorno agli anni ‘60, quando riprende l’acquisizione delle grandi ville da parte delle amministrazioni comunali e si attiva non solo l’azione di riappropriazione di tali spazi da parte della cittadinanza, ma quella di tutela. I saggi che seguono analizzano la caratterizzazione dei parchi pubblici sorti a cavallo tra XIX e XX secolo, quali spazi della cittadinanza intesa in senso ampio nei quali si concretizza la democratizzazione della visione paesaggistica, quanto sui temi inerenti le possibili azioni di restauro per questi preventivabili. Maria Piera Sette, Maria Letizia Accorsi, Maria Vitiello 1885

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Parchi, giardini e pubblici passeggi. La costruzione del verde urbano e la sua conservazione Il “Verde Pubblico”, nell’accezione a noi nota, nasce nell’Ottocento quale esito di un’evoluzione urbana e politica delle città. Gli spazi verdi da sempre presenti nei nuclei abitati in quest’epoca acquisiscono un valore diverso, divenendo spazi della rappresentazione sociale. Così insieme ai parchi e ai pubblici passeggi creati ex novo, anche i giardini delle antiche ville patrizie, da sempre tradizionalmente aperti alla cittadinanza, vengono acquisiti al patrimonio civico e dotati di arredi come panchine, lampioni, fontanelle, chioschi. In questi anni con la creazione di luoghi verdeggianti destinati ad un pubblico sempre più vasto non solo si afferma la democratizzazione della visione paesaggistica, ma anche che sia dovere dell’amministrazione civica farsene carico. Nel XX secolo si assiste da una parte ad un’estensione della dotazione di verde pubblico alle zone più esterne della città, ma in parallelo si verificano anche le grandi lottizzazioni dei parchi e delle zone agricole. L’arresto del processo che tende ad annientare il verde urbano si può riconoscere intorno agli anni ‘60, quando riprende l’acquisizione delle grandi ville da parte delle amministrazioni comunali e si attiva non solo l’azione di riappropriazione di tali spazi da parte della cittadinanza, ma quella di tutela. I saggi che seguono analizzano la caratterizzazione dei parchi pubblici sorti a cavallo tra XIX e XX secolo, quali spazi della cittadinanza intesa in senso ampio nei quali si concretizza la democratizzazione della visione paesaggistica, quanto sui temi inerenti le possibili azioni di restauro per questi preventivabili.

Maria Piera Sette, Maria Letizia Accorsi, Maria Vitiello

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Giardini, rovine e città; appunti per un dialogo Maria Piera Sette

Università di Roma La Sapienza – Roma – Italia Parole chiave: giardini, rovine, città, aspetti storici, azioni di restauro e criteri di salvaguardia. Con l’affermarsi della moderna coscienza storica, nasce gradualmente l’avvertenza per lo spazio-ambiente e le sue diversificate valenze; ciò che significa spostare il baricentro dell’attenzione dall’individualità delle ‘cose’, al quadro d’insieme delle diverse architetture, antropiche e vegetali, il quale, espressione del sistema natura-cultura, rappresenta la sintesi dell’organizzazione fisica e formale dei luoghi1. In questo senso, la presenza di antiche testimonianze entro il contesto della città contemporanea, è indubbiamente un tema di grande significato e uno dei problemi più dibattuti del nostro tempo dove il collegamento tra passato e presente si definisce e si risolve entro lo spazio della città attuale e dove i valori della storia che qualificano insiemi altamente stratificati, di fronte alle potenzialità di una felice combinazione fra vegetazione e rovine, motivano, quali elementi di connessione, il ripetuto utilizzo di “aree verdi”. Di conseguenza, riconosciuti i “caratteri identitari dei luoghi”, nell’intento di delineare il rapporto fra il ‘verde’, le presenze storiche e la forma della città è necessario recepire come tali “presenze” vivano fianco a fianco tanto da comporre, in un medesimo spazio, il succedersi storico. L’argomento abbraccia le tematiche progettuali modulate sulle “presenze” antiche e rivolge particolare attenzione ai modi attraverso cui viene posta in essere la dialettica fra le preesistenze e le cosiddette “architetture vegetali” che, in quanto “materia vivente” sono, per loro natura, una realtà dinamica che assume un proprio ruolo funzionale, spesso ritenuto indispensabile all’organizzazione di nuove spazialità. Se si guardano le esperienze fin qui condotte, occorre sottolineare come il tema della rovina, intesa quale elemento significante, acquisisca un particolare rilievo nel disegno del giardino e, analogamente, si deve registrare come proprio le componenti ‘verdi’ contribuiscano ad organizzare la trama spaziale del sito di cui tali testimonianze sono parti integranti. In sostanza, la rovina fa il suo ingresso nel disegno del giardino e il giardino interviene nella costruzione di un ‘sistema’ di rapporti che prospetta un raggio d’azione più ampio, volto a trattare temi e problemi inerenti le varie declinazioni della disciplina architettonica, comprese le valenze operative; tanto quelle introdotte dalle vestigia antiche, quanto quelle richieste dal loro contesto ambientale. Ovviamente l’avvertenza per lo spazio-ambiente e le sue diversificate valenze nasce gradualmente: dapprima si studiano i suoi elementi, poi, raggiunta la consapevolezza della loro irriproducibilità, si opera per conservarne le specificità comprese quelle delle “architetture vegetali” che, in quanto “materia vivente” sono, per loro natura, una realtà dinamica; ciò che significa delineare le relazioni che intercorrono tra aspetti storici, azioni di restauro e criteri di salvaguardia. È una materia di riflessione che mostra continui “aggiustamenti” dottrinari vagliati in rapporto all’evoluzione del “concetto di conservazione”, il quale all’interno del processo di trasformazione va, di fatto, a modificare un insieme polimaterico, vegetale e non; un “palinsesto” i cui caratteri (formali e materici), derivando dall’«azione congiunta dell’opera 1 Un riferimento primario di queste idee si può identificare nell’enunciazione “unità di natura e cultura” data da Rosario Assunto colui che si occupa dell’idea di paesaggio trattando di estetica del bello; una scuola di pensiero che sviluppa, in posizione dominante, anche il tema del giardino che si qualifica come un “paesaggio modellato”. Fra i suoi scritti in merito vedi: R. Assunto, ll paesaggio e l’estetica. Arte, Critica e Filosofia, Napoli 1973; dello stesso autore, «Paesaggio, ambiente e territorio. Un tentativo di precisazione concettuale», in Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, XVIII (1976), pp. 45-48.

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dell’uomo e della natura» offrono l’opportunità di ragionare sui mutevoli atteggiamenti che ogni età stabilisce con i tempi trascorsi e con le loro testimonianze. A tal proposito, definita la stretta connessione che lega ogni elemento all’ “insieme delle condizioni circostanti”, occorre sottolineare che anche per i giardini la dialettica storico-estetica rappresenta l’asse portante di tutta la riflessione sull’argomento; d’altra parte, quella del giardino è una realtà complessa, ricca di elementi e di connessioni, suscettibile di continui rinnovamenti dovuti ai processi di trasformazione propri dei cicli vitali della sostanza vegetale. Peraltro, al di là delle singolarità di complessi differenziati – ville, giardini, parchi storici, passeggiate pubbliche – non si può non riguardare l’“effettiva storicità” urbana comprensiva di aree ed organismi ‘verdi’ i quali, una volta compenetrati con gli altri elementi dell’“insieme sistemico” di cui fanno parte, seppur distinguibili, si fanno veicolo di comunicazione e diventano ‘segni’ che vivificano il carattere del luogo. Di fatto, quando le ragioni della storia cominciano ad essere oggetto di considerazione, si evidenzia un progressivo apprezzamento di tutti i segni che scaturiscono dal processo evolutivo di stratificazione; in questo senso, anche la vicenda del giardino va delineandosi dapprima su principi di autonomia disciplinare da cui nasce l’idea stessa di giardino ‘monumento’; successivamente, nell’ambito degli adattamenti all’istanza paesaggistica si può cogliere una certa propensione a mantenere i caratteri testimoniali dei giardini preesistenti.

Roma, giardino al Mausoleo di Augusto in Campo Marzio, progetti di Antonio Muñoz per la sistemazione del Mausoleo, 1934 (Capitolium, n. 10, 1938; b, c, d – Museo di Roma, Gabinetto

Comunale delle Stampe, da B. Buonomo, F Cesarano, M.C. Lapenna, Mausoleo d’Augusto, Pantheon, Piazza Navona. Dinamiche di trasformazione, Roma 2015); la prevista piantumazione di cipressi, mostra la volontà di riproposizione del giardino cinquecentesco annesso al palazzo

Soderini (XVI secolo), espressione di rara sintesi tra conformazione del sito, giardino, architettura e preesistenza

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Diversamente, sul finire dell’Ottocento, prende avvio la moderna storiografia del giardino e si delinea un nuovo rapporto fra città e natura; nondimeno, il ruolo del verde, legandosi strettamente ad una diversa idea di città cambia radicalmente: “da spazio privato, recinto protetto, diventa spazio pubblico [e] luogo di passeggio”. È così che l’arte del giardino, inizialmente connessa a scopi utilitari, adempie in seguito a “finalità estetiche, voluttuarie o decorative”2 e se pure Leon Battista Alberti è convinto che “fra tutte le costruzioni di pratica utilità …la più salutare [sia] il giardino”3, è naturale che l’esperienza umanistica lo associ all’opera di abbellimento e al “decoro” cittadino infatti “li giardini si fanno per dilettazione di chi [li] fa edificare …[e]… sicondo la comodità del loco”4.

2 Trattando di infrastrutture e agglomerati urbani, Bruno Zevi accenna anche al giardino individuando “una concezione mitologica della natura che si prolungherà nel Medioevo e nel Rinascimento”; B. Zevi, Paesaggi e città, Roma 1995, p. 37. 3 L.B. Alberti, L’Architettura, trad. G. Orlandi, Milano 1966, lib. IX, cap. II, p. 160. 4 Di Giorgio Martini , Trattati di architettura, ingegneria e arte militare, ed. a cura di C. Maltese, Milano 1967, Giardini, II trattato, p. 348.

Caerleon (Isca Augusta), Galles, resti dell’anfiteatro romano riedificato al tempo di Caracalla (II sec. d.C.) nella loro attuale sistemazione ‘a verde’ (foto dell’autore, 1985)

Kildrummy Castle, Aberdeenshire, Scotland, le rovine del castello medioevale (XIII secolo) offrono un singolare quadro paesaggistico (foto dell’autore, 1991)

Ostia, Roma, area archeologica, a) - la definizione dei giardini nella zona degli scavi nel progetto di Michele Busiri Vici (1941) redatto in occasione dell’Esposizione universale di Roma

e b) - in una veduta attuale del medesimo contesto

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È ben noto che fra Sei e Settecento il verde entra nella scena urbana come spazio della socialità; luogo ‘collettivo’ che avvia il concetto di parco naturalistico sul quale si fonderà il parco pubblico Ottocentesco che si lega indissolubilmente ad un avanzato processo di urbanizzazione; ciò significa che il verde, in connessione con il costruito, assume un proprio ruolo funzionale e indispensabile all’organizzazione di nuove spazialità. In questo senso, risulta determinante il condizionamento che le “presenze antiche” trasmettono agli interventi che fanno assumere al ‘verde’ valore di tessuto connettivo qualificandolo come parte strutturale del contesto urbano; ciò significa che, introducendo l’uso pubblico del giardino, il patrimonio verde – ancorché inserito su “ruderi densi di significato e di storia” - partecipa alla vita della città, concretizzando un’idea di giardino che resta quello del “tradizionale «luogo di delizie»5. Nondimeno, è indubbio che dal tempo della Rinascenza in poi, parte dell’eredità del passato venga considerata patrimonio del proprio presente, da inserire nella contemporaneità e congiungere con le sue espressioni. Di qui, il ruolo privilegiato che l’elemento rovina assume per connotare il disegno del giardino; d’altra parte, come ritiene Marc Augé, «le rovine aggiungono alla natura qualcosa che non appartiene più alla storia, ma che resta temporale» vale a dire che «la rovina è il tempo che sfugge alla storia: un paesaggio una commistione di natura e di cultura che si perde nel passato ed emerge nel presente»6. In generale si evidenzia la funzione della rovina come esperienza estetica e memoria fisica del passato; un tema che assume particolare rilievo fra XVIII e XIX secolo quando oltre all’intento documentario e scientifico, viene incentivata la lettura percettiva e prospettica del relativo paesaggio. Di fatto, quando il ‘rovinismo’ segna il Settecento con grande pluralità di vicende dense di significati, la cosiddetta ‘cultura della rovina’ va a considerarne le componenti simboliche ed evocative, sollecitando riflessioni e pensieri attraverso «il ruolo preminente di elemento significante»7. Senza dubbio la presenza fisica della rovina diventa elemento costitutivo del paesaggio e sarà Georg Simmel a chiarire il significato di questa presenza osservando che nell’architettura si realizza – se l’opera vive nella sua compiutezza – un singolare equilibrio fra «la materia meccanica pesante e la spiritualità formativa»8. Una uguaglianza che tuttavia si infrange quando la costruzione va in rovina; in effetti – ribadisce Simmel – in una rovina architettonica crescono altre forze e altre forme: quelle della natura. In sostanza, il ‘culto delle rovine’ tende ad assumere intonazioni quanto mai diversificate che, nel tempo, vengono a qualificarsi come vere e proprie ‘correnti’ caratterizzate dai valori riconosciuti: estetici, morali, eruditi, archeologici, antiquari. Molto schematicamente si può dire che nell’Ottocento le posizioni prevalenti sono essenzialmente due: la prima, alla quale appartengono coloro che vedono nella rovina una nuova opera, un singolare intreccio di arte e di natura; l’altra è invece propria di chi ravvisa nella rovina la testimonianza mutila, ma ancora riconoscibile, di un’opera e quindi la considera soprattutto come materiale di storia. Due atteggiamenti che qualificano in modo del tutto diverso e peculiare le relative proiezioni operative9.

5 A. Tagliolini, I giardini di Roma, Roma 1980, n. ed. 2006, p. 175. 6 M. Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Torino 2004, pp. 37, 94 (ed. originale Le temps en ruines, Paris 2003). 7 T. Matteini, Paesaggi del tempo, Firenze 2009; un contributo di certo significativo che affronta la complessa problematica dei significati della ‘rovina’ e la definizione delle sue relazioni con il paesaggio. 8 G. Simmel, Die Ruine, in Id., Philosophische Kultur, Leipzig 1919, pp. 125-133; trad. It. «La rovina», in Rivista di Estetica, XXI, 8, 1981, pp. 121-127; in particolare p.122. 9 Per una sintesi di maggior dettaglio cfr. quanto ho già trattato sull’argomento: M.P. Sette, «Le rovine di Zsámbék. Note sull’esemplarità di un restauro», in Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura, n. s., 15-20 (1990-92), pp. 973-988.

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Di qui la pluralità di azioni volte a modificare, nel senso di “aggiornare”; ma è pur vero che, durante tutto l’Ottocento ed oltre, venga sistematicamente riproposta la ricerca di articolate risoluzioni connesse all’attualità dei luoghi. Di fatto, la presenza di vestigia storiche mentre diventa spesso il pretesto per realizzare un’immagine celebrativa, rende esplicite le esigenze di ‘decoro urbano’ tanto che, di fronte alle potenzialità di una felice combinazione fra vegetazione e rovine, motiva il ripetuto utilizzo di ‘aree verdi’ quali elementi di connessione fra «temporalità diverse»10. La questione resta centrale; ciò che determina i molteplici interventi atti a “valorizzare” soprattutto quelle rovine monumentali comprese nella parte di città “riservata alle antiche memorie”, fatte valere nella definizione di un vero e proprio ‘parco urbano’, «privo di moderne costruzioni e lasciato unicamente a giardini»11. In realtà, la sola presenza delle antiche memorie sembra essere sufficiente per determinare un rapporto di continuità con il passato e configurare il giardino – frutto dell’associazione di architetture e vegetazione – come luogo arricchito dal loro contatto; peraltro, è ben noto come il più delle volte si aspiri a “mostrare l’antico”, esaltando alcuni caratteristici effetti naturali scelti e valorizzati per ottenere specifici motivi compositivi. D’altra parte, parlando di ‘soluzioni’, occorre fare riferimento ai criteri d’intervento e sapere che «l’atteggiamento di un’epoca rispetto all’architettura dei tempi passati dipende sempre dal modo con cui s’impostano i problemi dell’architettura presente»12; di conseguenza anche la sistemazione di rovine monumentali può essere vista come «un tentativo di musealizzazione all’aperto dei singoli reperti entro uno spazio inevitabilmente nuovo o rinnovato, trasformato in giardino della memoria, e quindi anch’esso una sorta di museo»13. Di qui, l’importanza di una programmazione finalizzata all’ “unità di architettura e giardino”, alla necessità di porre in essere azioni di manutenzione che sole permettono a un bene, per sua natura in continuo divenire, di conservare le caratteristiche che contribuiscono a definirne l’identità. Tutto ciò fa emergere i termini del dibattito contemporaneo e segna i confini di un’operatività intesa a far dialogare le parti che si legano in un rapporto di «relazionalità consistemica»14; in altri termini, si tratta di evidenziare le correlazioni e le interrelazioni fra gli elementi che strutturano l’insieme identificabili sia nel ‘sistema naturale’ sia nel ‘sistema antropico’; ciò che significa osservare “gli effetti reciproci di questa coesistenza” e rileggerne il risultato quale “totalità”, solidale e unitaria, di più sistemi.

10 M. Makarius, Ruines, Flammarion, Paris, 2004, p. 226. 11 Modalità prevista anche per la sistemazione della area centrale romana così come indicato dalla “Commissione di architetti e ingegneri per l’ampliamento e l’abbellimento della Città di Roma” (1870); I. Insolera, F. Perego, Archeologia e città, Roma-Bari, 1983, p. 3. 12 L. Benevolo, «La conservazione dell’abitato antico», in Problemi urbanistici di Roma (a cura di) Luigi Piccinato, fondazione Aldo Della Rocca, Milano 1960, pp. 109-122, in particolare p. 113. 13 Il contributo, con ampiezza di vedute e di riferimenti, considera il caso romano; E. La Rocca, «Roma eterna, o della fragilità visiva delle rovine», in Roma, paesaggi contemporanei, Atti del convegno di studi 28-30 maggio 2008, (a cura di M. Righetti, A. Cosma, R. Cerone), Roma 2009, pp. 257-280; in particolare p. 267. Circa l’“odierna correttezza, o meno, di una dimensione archeologica del e nel restauro”, vedi anche P. Fancelli, «Rovine, scavi, assetti: al di là del restauro archeologico», in Palladio, 44, luglio-dicembre 2009, pp. 133-146. 14 Si richiama l’attenzione sulla necessità di una visione unitaria dove le singole componenti risultino legate da un rapporto dialettico; G.Miarelli Mariani, Centri storici. Note sul tema, «Strumenti 6», Roma 1993; p. 45.

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The Palmela Park – One private Park in the “Portuguese Riviera”, Cascais, 1850-1910

Ricardo Cordeiro ISCTE-Instituto Universitário de Lisboa – Lisboa – Portugal

Keywords: Private Park; Cascais; Portugal; XIX and XX centuries.

«Cascais appeared with its long reaches of wall and bomb-proof casements like a Moorish town, and by the help of a glass I distinguished a tall palm lifting itself above a cluster of white buildings»1. «... No other Riviera can match the fragrant windless airs that float about the strip of coast between Monte Estoril and Cascais. The mistral is unknown; there is a double fruiting season; the climbers and flowering shrubs blaze with colour under a sky... Monte Estoril itself is the Biarritz of this coast partly by reason of its superb situation protected by the headland at Cascais, where the rocks rise high and the sea-spray is magnificent, and backed, by the Serra da Sintra partly because it has at least»2.

This paper focuses on the urban and social impact of Palmela Park in the Cascais life style and the importance of private and public policies for the development and maintenance of this type of urban spaces between second half of the nineteenth century and first decade of the twenty century in Portugal. 1. The owner – The third Duchess of Palmela, D. Maria Luísa de Sousa Holstein

On 14th of October in 1862, with 21 years old, the titles inherited by D. Maria Luísa de Sousa Holstein are confirmed. She was the third duchess of Palmela, second marquise of Faial, third countess of Calhariz and countess of Sanfrè, in Piemont, Italy. The last title had inherited from his great-grandmother, Princess of Holstein. After seven months, the marriage of D. Maria Luísa and António Brederode, led by the Cardinal Patriarch of Lisbon, takes place in a private ceremony in the chapel of the Rato Palace at Lisbon. According to Berta Leite, «The wedding party was so luxurious that it gave a shout in the capital, and the rich rooms of the Rua da Escola Politécnica (Rato Palace) were open to the public for two days»3. In addition to the Palaces of Rato and Calhariz, D. Maria Luísa it was the owner of many other properties in the Lisbon and its surroundings. The dukes of Palmela for decades being the capital's largest owners. The palace Angeja-Palmela, with a large botanical garden in Lumiar, the Aranhas Farm in Loures and São Sebastião Farm in Sintra, are some examples of the vast heritage. In 1874, in the bastion of Conceição Velha in Cascais, the dukes set up another holiday residence, a cottage in the English style. Outside the country, they had several properties in France and the county of Sanfrè in Piemont with its imposing palace. 2. Building of the Palmela Palace and Park in Cascais, 1870-1900

In 1874, in the bastion of Conceição Velha in Cascais, at the moment deactivated, acquired by the Palmela family from the state in 1868 or 1869, the third dukes of Palmela built next to the

1 W. Beckford, «Plains of Cascais», in Italy, Spain and Portugal, New York, Wiley and Putnam, 1845, p. 98. 2 «Peeps at Portugal, its Riviera and its Cintra: an exquisite climate», in The Bystander, London, England, Wednesday 15 July 1914, pp. 38-40. 3 B. Leite, «Duquesa de Palmela», in A mulher na história de Portugal, Lisboa, Centro Tipográfico Colonial, 1940, pp. 229-230.

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sea one cottage in English Neo-gothic Style. A palace built precisely on the site of the demolished Fortress of Our Lady of Conceição (Nossa Senhora da Conceição), it was acquired by the dukes in order to build there a summer residence. The aristocratic family, like others, spent the months of September, October and November in Cascais, transforming completely the everyday life of the village. This and others important families, including the royal family and, consequently, the Portuguese Royal Court, contributed to the transformation of the village of Cascais in the second half of the nineteenth century. In 1870 decade, at a time that Cascais has lost its strategic importance in the defence of the coast of Lisbon, King Luis I married with Maria Pia di Savoia, adapted the former home of the governor of the Citadel as the holiday residence, freeing it from its military function. The presence of the monarch attracted not only the Royal Court but also figures of the intellectual and literary world. The project of the Palmela palace, locally known as “dukes of Palmela Abbey”, belongs to the English architect Thomas Henry Wyatt. The design respect the revivalist English architecture, more properly English Neo-Gothic style. Designed by Thomas Wyatt the Palmela palace should be understood in terms of the knowledge the taste of the third duchess, D. Maria Luísa de Sousa e Holstein, the main promotor of the work. A family of diplomats, the Palmela’s maintained many contacts with England, knowing, with certainty, all the development and fortune achieved by the so-called English Perpendicular Gothic, used here. The architect travel to Cascais with the purpose of knowing the place, since the whole surrounding scenario was felt as fundamental in the conception of the project. The delivery of the 30 drawings (of which 16 remain) will have taken place in 1873, beginning the works still in that year or the next. The concern with the exterior is well expressed in the profusion of windows, gazebos and bay-windows that are observed in the palace, trying to maximize the implantation by the sea. The plan is asymmetrical, almost “spontaneous”, much to the liking of English architects, giving an idea of the an old house and not a recent construction, developing in differentiated

volumes with pointed roofs and using the materials of the region as was practiced on Anglo-Saxon lands. The main facade loses preponderance and the whole set presents an almost total absence of decorative elements. Exception made to the main door coronate by the coat of arms of the family of the duchess of Palmela. In the interior, an atrium

orders the vertical and horizontal distribution of the building. In the early

1880s were realized other interventions, believed to have been carried out by the architect and master of works José António Gaspar. The latter added two faceted bodies and two binoculars to the west rising, with the aim of creating a chapel space, not listed in the Thomas Henry Wyatt project. The deficiency of this work meant that between 1890 and 1895 the dukes of Palmela commissioned to José Luís Monteiro the renovate this wing, which the architect did by raising a floor in the bodies attached to the building and eliminating the coverings of the

Fig. 1 – General view of the Palmela Palace, Cascais, 1900, Postcard (private collection)

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following two prisms. In 1895 building one support for coachmen and was erected the stables at the risk of Italian architect Cesar Ianz. About the Cascais and the Palmela palace Branca Gonta Colaço wrote: «The village of Cascais starts barely out of Monte Estoril, through the pine forest that belongs to House of Palmela. To the right of the promenade, on our way to Cascais, there they are, the high pines, undulating peaks. A few steps away we see, on the left, the English-style house, adorned with creepers, tall, pointed black roofs, which an English architect built on the demolished fort of the Nossa Senhora da Conceição for the Duchess of Palmela, D. Luísa. It was the second home of the Dukes in Cascais. The first, rented, was at the entrance to the village and occupied it in all the time that the present palace was built»4. Around the palace was constituted a park with ample space, characterized by a rough terrain, large trees and watered by a water line (Stream of Boqueiros). Located on the border between Cascais and Monte

Estoril, it was built by the dukes of Palmela around 1870. The duchess herself, sculptress and potter, following closely the construction of the garden, so that the space reflected your own taste, that we can consider English-style/Landscape Garden. Probably the design, the works and the plantations in this park was in charge of the João Batista Possidónio,

disciple of Jacob Weist. Possidónio was a director of the “Monteiro-Mor” botanic

park (until 1912), other property of the Palmela family in Lisbon. This botanical park, an area that integrated the gardens and part of the old agricultural centre, has about eleven hectares and is crossed by a stream that, in the entrance, runs in the open sky and follows later in a section piped dated of the XVIII century. The botanical garden was started by Domenico Vandelli, an Italian botanist/naturalist, in the second half of the XVIII century, in the time of the third Marquis of Angeja and continued by the Palmela Family. The first duke of Palmela bringing more rare species to the garden and statuary ornamentation and the design of some areas followed the typical layout of English gardens, popular at the time. The property was adapted to the park, maintaining the characteristic areas – garden, rose garden, orchard, meadows, pinewood and vegetable garden – and increasing botanical diversity. Here is the first Araucaria Heterophylla known in mainland Portugal. The Palmela park had a privileged view on the Atlantic Ocean. The hill of this park it was densely wooded and marked by the water line and yours water tanks, which served as reservoirs of fresh water enjoyed by visitors on the hottest days. Another of the characteristics of this park it’s your many dirt tracks flanked by large stones that protect the vegetation, shrubs and trees. Despite being private this park was open to all who wanted to enjoy it especially in September and October, villegiatura months in Cascais. This park, like others in Portugal and in Europe, was an important space for the sociability’s, where one could see and 4 Branca Gonta Colaço; Maria Archer, Memórias da Linha de Cascais, Parceria António Maria Pereira, Lisboa, 1943, p. 342.

Fig. 2 – General View of the Cascais Bay and Palmela Palace, Cascais, 1900, Postcard (private collection)

1895

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be seen, a space where people from different status converged for a different activities promoted with different objectives, such as to help the most unprotected. Taking advantage of the months of villegiatura and greater occupation of the village of Cascais, the president of Sociedade Protectora das Cozinhas Económicas de Lisboa (Soup Kitchens of Lisboa), the third duchess of Palmela, launches the idea of holding a charity fundraising event at in your residence next to the sea. These parties were already part of the bathing season. The sociability practices of the elites moved wherever they went, allowing the rising classes to put into practice their longings for social valorisation. Cascais prided itself on being at the dawn of autumn the true Royal Court. With ample space, ephemeral constructions, large trees and watered by a water line the Palmela park was the scene of many parties, including bazaars, exhibitions of the magic lantern, puppet shows, phonograph,

theatrograph, Tente des Sort (fortune games), Tombola (raffle) and Mât de cocagne. One of the biggest parties was held between 13th and 16th October 1900. At this charity party, organized by the duchess of Palmela and your daughter marquise of Faial, participated 12054 persons, a large number considering

that Cascais had as resident population 3275 people.

3. The Palmela Park as a space of sociability and a space of social intervention

Between the 13th and 16th of October in 1900, under the control of the daughter of the duchess of Palmela, D. Helena Maria, a large festival is organized in the surrounding park of the Palmela palace. This festival had the objective to raise money for the Soup Kitchens of Lisbon, directed by third duchess of Palmela. The according to Jaime Artur da Costa Pinto, Mayor of Cascais, wrote on the first page of the annual report of Sociedade Protectora das Cozinhas Económicas de Lisboa in 1900, this park «was a great attraction for the public, because of the rugged terrain, a view of the ocean and great shadows of the lush grove and the beautiful and expensive plants that fill the park». Maria Luísa Martins, in her work about the maritime tourism on the nineteenth century, emphasizes that the Palmela park, located between the bastion of Nossa Senhora da Conceição and Monte Estoril, is one of the favourite places for holidaymakers to spend the afternoons. It was customary for the dukes to promote events in that park during the months of September and October5. Around 12054 thousand people participated in this festival. In 1900 the Village of Cascais (Parish of Nossa Senhora da Conceição) had only 3275 thousand souls. The money collected was 7:571$015 réis. This money included the entrance tickets, the payments for many activities and for some services, as well as for the games of fortune and 5 Maria Luísa Afonso Martins, A vilegiatura marítima no século XIX: de Belém a Cascais, Master Thesis in Social Contemporary History, Lisboa, ISCTE, 1996.

Fig. 3 – Palmela Palace and Park view, Cascais, 1900, Postcard (private collection)

1896

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others objects sold. In the garden could be found the following distractions: Puppet Theatre, phonograph, magic lantern, cinematograph, Tente des Sort (fortune games), Bazaar, Tombola’s (raffle) and Mast of Cocagne. These distractions were always accompanied by the three musical bands, bagpipes, folk dances, and at night the public see the fireworks. The bazaars of fortune it was a success. An orchestra performed during the three days with a more classic repertoire. The ephemeral buildings designed by the Portuguese famous architect Rosendo Carvalheira sprinkled the whole park with the animations and electric light. They took advantage to make money with just everything. In addition to the aforementioned entry and the payment of amusements, the rent of chairs, water was sold, as well as innumerable artistic postcards made or donated by benefactors who went there. Several donations were also raised that totalled the sum of 222 $ 900 réis. For the success of this initiative the Cascais Town Hall contributed, the workers sent by the king order, the marquises of Faial, the count of Faria and Rosendo de Carvalheira. As well as the battle of flowers of 1899, other great festival organized by the duchess, reduced the prices of the train of Lisbon – Cascais by to attract a greater number of visitors. About this charity festival Branca Gonta Colaço wrote: «In the Palmela Park were the parties are of great elegance, animated and lively, that filled with enthusiasm the youth aristocratic of the beginning of this century (XX century) – those youth of who now have rare and white hair. In October of 1900 the Duchess D. Luísa presided over a Kermess held in her park. The Kermess was in the fashion, and the feathered ladies, dressed in rustling silks, were delighted to sell the well-rolled notes, where the happy numbers give the right to a jar, a cookie box, a box of gloves ... At that party at Palmela Park, which yielded about five “contos” (Portuguese money) for charity purposes, there was a rich tombola (raffle), a tickets with ten pennies

value, were only objects with ten pennies value, and in which only silver objects – trays, tea services, cutlery, etc. (…) As a maximum attraction of the party, a few cinematic projections were shown on the screen, a great novelty for the time and a decoy of the public – an incipient cinema, in the genre of

the magic lantern. The program contained

three films. The assistance was all standing, in compact mass, in front of the screen. And the astonishment was to see and speak. The Palmela park appeared illuminated the electricity, wonderful thing and never seen, produced by its particular machine. The audience admired the rows of lamps as a rare spectacle. In another place existed the puppet theatre, showing his “bonecagem”(dolls) – what they called the “electro-magic theatre”. For the public the most admired at the party was the electric lighting and the cinema – called animatograph, in that time that no longer returns»6.

6 Branca Gonta Colaço; Maria Archer, Memórias da Linha de Cascais, Lisboa, Parceria António Maria Pereira, 1943, pp. 357-358.

Fig. 4 – Palmela Park view, Cascais, 1900, Postcard (private collection)

1897

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4. Conclusions

The third Duchess of Palmela used her fortune to increase the real estate of the family. In the 1870 decade ordered the project for a palace to be constructed in the property located in Cascais. With the construction of the palace came the need to build a park that occupied all the property from the ocean to Monte Estoril. The design and construction of the park obeyed to the orders of a specialist and the own taste of the aristocrat. Several species of plants, shrubs and trees were planted in the rugged terrain. Beyond to the “exuberant green” this park was marked by a watercourse, its water tanks and its dirt roads, all in English style. Despite being a private park the owners put it at the disposal of the population and all people can enjoy the space, its shadows, its waters and its superb view by the Atlantic. In addition to being enjoyed as a space for entertainment and leisure, this park allowed for the coexistence between people of different statutes, assuming it as a space of sociability. A space of sociability that has allowed on several occasions to raise funds for social causes through the organization of festivals, Kermess, and others activities. Benefiting from a unique landscape, the palace and the park of the dukes of Palmela taking on an important memory of the Cascais experience between the end of the XIX century and the beginning of the next century, when this village became the summer resort of the royal family and, consequently, the Portuguese Royal Court. This important park in the urban planning and social life of Cascais in XIX century was transformed a public park in the twenty century, participated in the transformation the small fishing village in a one of the most important tourist and bathing poles of the Iberian Peninsula. Bibliography R. Anacleto, «O Palacete Palmela», in O Neomanuelino ou a reinvenção da arquitetura dos Descobrimentos, Lisboa, Inst. Port. do Património Arquitetónico e Arqueológico,1994. F. de Andrade, Cascais, vila da corte: oito séculos de história, Cascais, Câmara Municipal de Cascais, 1964. B. G. Colaço; M. Archer, Memórias da Linha de Cascais, Lisboa, Parceria António Maria Pereira, 1943. R. Cordeiro, Filantropia. As Cozinhas Económicas de Lisboa (1893-1911), Master Thesis in Modern and Contemporary History, Lisboa, ISCTE-IUL, 2012, http://hdl.handle.net/10071/5510 F. Le Cunff, Parques e Jardins de Lisboa, 1764-1932, do Passeio Público ao Parque Eduardo VII, Master Thesis in Contemporary Art History, Lisboa, FCSH-UNL, 2000. J. A. França, História da Arte em Portugal – O Pombalismo e o Romantismo, Lisboa, Presença 2004. M. L. Martins, A vilegiatura marítima no século XIX: de Belém a Cascais, Master Thesis in Social Contemporary History, Lisboa, ISCTE, 1996. A. N. Pais, Uma família de colecionadores: poder e cultura, antiga coleção Palmela, Lisboa, Casa-museu Dr. Anastácio Gonçalves, 1ª ed. 2001. R. H. da Silva, Cascais, Lisboa, Presença, 1998. Other Resources W. Beckford, «Plains of Cascais», in Italy, Spain and Portugal, Wiley and Putnam, New York, 1845. «Peeps at Portugal, its Riviera and its Cintra: an exquisite climate», in The Bystander, London, England, Wednesday 15 July 1914, pp.38-40. Sociedade Protectora das Cozinhas Económicas de Lisboa, Relatório da Direcção – Parecer do Conselho Fiscal da Sociedade Protectora das Cozinhas Económicas de Lisboa, Lisboa, Imprensa Nacional, 1894.

1898

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Piazza Re di Roma. Il ruolo del verde nella definizione dello spazio urbano

Maria Letizia Accorsi Università di Roma La Sapienza – Roma – Italia

Parole chiave: piazza Re di Roma, piazza a stella, piazza-giardino, pianificazione del verde. “Piazza Re di Roma, attraversata dalla via Appia Nuova, è una delle poche piazze a stella realizzate, rispetto alle molte che furono progettate dal Piano Regolatore del 1909”, redatto da Edmondo Sanjust di Teulada alla vigilia della scadenza di quello in vigore1. Entro le aree di espansione, previste dal nuovo strumento urbanistico, ricade anche il quartiere Appio Tuscolano fuori porta S. Giovanni. “È questa la zona [di ampliamento] più importante della città di Roma perché ha una superficie che supera i due Km2 e perché presenta già tracce […] di uno sviluppo crescente che va ognora più intensificandosi”. La disposizione proposta da Sanjust si basa su due criteri: seguire possibilmente l’orografia, “evitando riempimenti e spianamenti di soverchia altezza [e] profittando della configurazione stessa [del terreno] per ricavarne partiti estetici” nonché contenere “le demolizioni, anche di fabbricati di poca importanza”; salvare l’esistente “rappresenta un risparmio notevolissimo nelle spese di esecuzione e per conseguenza una maggiore probabilità che il piano si compia in tempo breve” 2. Il nuovo quartiere si fonda sopra cinque arterie principali ed è costituito soprattutto da fabbricati e da villini3, questi ultimi sono posti in parte lungo il margine orientale dell’area, delimitato dalla circonvallazione, e in parte nel settore occidentale, a valle del nuovo tracciato che da porta Metronia conduce verso Ponte Lungo dove si intesta la via Appia Nuova, per la quale è previsto l’allargamento fino a 40 metri, la trama viaria principale si completa poi con le vie che da porta S. Giovanni si diramano verso la stazione Tuscolana, la zona dello scalo merci di S. Lorenzo e la porta S. Sebastiano4. Circa l’esecuzione effettiva del piano, nel programma biennale proposto da Sanjust, tra i lavori prioritari, rientra anche l’intervento di ampliamento della via Appia Nuova la cui espansione è prevista “dalla parte destra per chi guarda da porta S. Giovanni verso la 1 E. Sanjust di Teulada, Piano Regolatore della città di Roma 1908. Relazione presentata al Consiglio Comunale di Roma dall’autore del progetto, Roma, 1908; I. Insolera, Roma moderna, Torino, Einaudi, 20108, pp. 89-101; fig. 11, P. Ostilio Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Roma –Bari, Laterza 2000, pp. 12-15. 2 E. Sanjust di Teulada, Piano Regolatore … op. cit. alla nota 1, pp. 10-11; 29-32. 3 “Il piano prevede che vengano costruiti tutt’intorno alla città tre tipi di abitazioni denominati «fabbricati», «villini», «giardini» […]. I «fabbricati» possono arrivare fino a 24 metri di altezza, i «villini» devono essere di soli due piani oltre il piano terreno e circondati da ogni parte da giardinetti, i «giardini» possono essere costruiti solo per 1/20 della loro area”. Queste disposizioni incontrano immediatamente l’opposizione dei proprietari dei suoli destinati a villini e giardini che si mobilitano ed ottengono l’incremento del volume edificabile. La cosiddetta “operazione palazzina” annulla i benefici del piano creando aree ad alta densità nate per sommatoria di varianti puntuali, riferite al singolo lotto, e quindi non recepite dal piano globale dei servizi che restanosottodimensionati. I. Insolera, Roma moderna …op. cit. alla nota 1, pp. 90-96. 4 Nel 1911 Hermann Josef Stübben, presente a Roma per il Congresso Internazionale degli Architetti, viene invitato dall’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura e dalla Società degli Ingegneri e Architetti Italiani a esprimersi in merito al piano del 1909, in quella occasione egli redige alcune proposte progettuali alternative che, tuttavia, ebbero poca risonanza. Una di queste riguarda il nuovo quartiere Appio dove rispetta l’organizzazione del settore occidentale (a valle del nuovo tracciato tra porta Metronia e Ponte Lungo), elimina l’impianto a stella della piazza e riorganizza “lotti, verde e tipologie in un sistema insediativo articolato” e rispettoso delle qualità paesistiche dell’area. Cfr.: V. Fraticelli, Roma 1914-1929. La città e gli architetti tra le guerre eil fascismo, Roma Officina Edizioni, 1982; M. P. Sette, Gli elementi portanti della struttura di Roma negli anni Trenta, in Il centro storico di Roma: storia e progetto, a cura di R. Cassetti e G. Spagnesi, Roma, Gangemi, 2004, pp. 127-139.

1899

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campagna” (fig. 1). L’Amministrazione capitolina pone mano alla progettazione nel 1912, ma solo nel gennaio del 1915 si giunge alla soluzione definitiva indicata come “5° progetto”5, ciò lascia intendere un’elaborazione lunga e travagliata; le varianti riguardano principalmente la diversa distribuzione del transito pedonale, veicolare e rotabile tanto lungo la via, quanto in corrispondenza della piazza. In base ai risultati della licitazione privata (22 luglio 1915) e in forza del contratto stipulato in data 13 gennaio 1916 l’appalto viene affidato alla Società Anonima Cooperativa Unione Edilizia ed ha per oggetto la “sistemazione del piazzale esterno alla porta S. Giovanni” con la “copertura della Marrana dell’acqua Mariana”, la “sistemazione della zona stradale di via Appia Nuova”, “del piazzale centrale di raggio pari m. 80”, e la “sistemazione provvisoria del piazzale a Ponte Lungo”6. Dagli elaborati grafici la “sovrastruttura stradale” risulta costituita da due marciapiedi laterali, fiancheggiati da due zone carrabile che serrano la carreggiata centrale, destinata a sede dei binari del tram, con doppia fila di alberi posti alla distanza di 1 metro dai cigli di demarcazione della corsia preferenziale. La piazza ha un pianta stellare, definita dalla penetrazione delle arterie circostanti che si innestano su uno snodo centrale ritagliando sei spicchi destinati a verde. In una prima versione (fig. 2a) il piazzale è attraversato dalla tramvia ed il nucleo centrale appare molto dilatato a danno delle aiuole che si configurano come episodi deboli dominati dalla trama viaria. Nella seconda proposta (fig. 2b), invece, le rotaie circondano la piazza che si caratterizza quindi come un vero e proprio giardino, centrato attorno ad una fontana e chiuso da una cancellata, in questo caso ai settori coltivati viene data la massima estensione possibile; la tipologia adottata è quella ottocentesca del giardino pubblico collocato all’interno di una piazza. La proposta definitiva (14 febbraio 1916) giustappone meccanicamente le due precedenti: conserva la trama architettonica della configurazione a giardino ma elimina la recinzione esterna e la fontana centrale per consentire il passaggio del tram sul rettifilo dell’Appia. Quest’ultima versione progettuale viene inviata al Servizio giardini che provvede al disegno del verde (fig. 3). Nella soluzione proposta le aiuole sono concepite come spazi chiusi alla fruizione, delimitati da “spalliere di mortella” e definiti, nel loro assetto compositivo, da piantagioni regolari di essenze arboree (Cupressus sempervirens, Pinus in varieta, Cedrus deadara, Ulmus campestris) ed arbustive (Nerium oleander, Laurus nobilis e cespugli di sempreverdi) disposte secondo schemi geometrici triangolari o allineate lungo segmenti circolari che, ricomposti entro il disegno d’insieme, creano una disposizione a rondò concentrici. La funzione ricreativa (di sosta e riposo) è suggerita dalla panchine collocate lungo i viali, entro i margini delle aiuole. Analizzando il progetto si può osservare che l’impianto generale della piazza è frutto di un compromesso tra due soluzioni che si giustappongono senza creare unità compositiva: la trama architettonica centripeta viene negata dalla direttrice di attraversamento, infatti l’asse rotabile scardina il fulcro della composizione riducendolo a mero centro geometrico e inserisce una linea di forza che in realtà si sovrappone casualmente al disegno complessivo. I lavori iniziati il 3 settembre 1915 procedono a rilento, la Cooperativa assuntrice fa “rilevare le difficoltà economiche sorte a causa del perdurare dello stato di guerra” e chiede la modifica dei termini contrattuali. Per dare una svolta ai lavori, “vivamente sollecitati dalla cittadinanza”, l’amministrazione intavola le trattative con l’impresa e il 16 ottobre del 1920 si

5 Nota manoscritta relativa agli adempimenti amministrativi del progetto, Archivio Storico Capitolino (d’ora in poi ASC), Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore, Pos. 9, b. 90, fasc. 88. 6 Capitolato particolare per l’appalto dei lavori occorrenti per l’allargamento a 40 metri della via Appia Nuova … (13 gennaio 1916), ASC, Atti Pubblici, 13 gennaio 1916.

1900

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giunge alla modifica del contratto allora vigente7. Contestualmente l’Ufficio V – Edilizia presenta un nuovo progetto di sistemazione della piazza con l’asse di percorrenza centrale dilatato fino a 40 metri per consentire il passaggio dell’intera arteria stradale (le due sedi laterali carrabili e la carreggiata centrale rotabile). La porzione superstite dell’impianto radiale perde la forte connotazione centripeta a causa della rimozione del nucleo centrale circolare completamente assorbito dal nuovo asse sul quale i cunei verdi si attestano con terminazioni rettilinee creando una lieve scalettatura nel tratto medio della linea di corda, più arretrato rispetto ai laterali (figg. 4a e 4b). L’impianto stellare accoglie gli assi di penetrazione e moltiplica le visuali verso la città, a volte le vedute sono definite solamente dall’edificato che si attesta lungo i percorsi, altre volte invece sono caratterizzate da episodi particolari: in un caso la Porta S. Giovanni, nell’altro la caserma Zignani costruita al termine di via Albalonga. Come indicato sin dalle prime fasi di studio, il rettifilo dell’Appia, asse portante del sistema, è sottolineato da un’alberata composta da pini e pioppi, in questo caso la scelta del filare misto è dettata esclusivamente da ragioni di natura colturale: “per [ottenere] un effetto rapido […] l’alberata nella piattaforma centrale della via sarà formata con pini e pioppi italici alternati, questi ultimi da tagliarsi in avvenire [dopo circa 20 anni] quando i pini avranno raggiunto la conveniente altezza”8. Si utilizza una specie a crescita rapida per colmare il vuoto del sesto d’impianto e dare consistenza alla quinta arborea in attesa che le chiome degli esemplari di Pinus pinea giungano a serrarsi. Tale indicazione è confermata da alcune foto storiche che mostrano l’uso di specie alternate nel viale centrale, oggi caratterizzato dalla sola presenza dei pini. Dalle medesime foto si evince che filari alberati bordano anche i viali radiali e il perimetro esterno (fig. 4b). L’impianto a stella che caratterizza la piazza dal processo formativo alla formulazione prima viene arbitrariamente sostituito, negli anni Ottanta del Novecento, da una nuova configurazione a giardino disegnata forse contestualmente ai lavori per la realizzazione della stazione della linea metropolitana A. La piazza occupa l’intero sedime circolare reso libero dalla rimozione della rete tramviaria, le aiuole sono ridisegnate ad andamento reniforme e ricomprendono in parte i filari preesistenti assorbiti entro gruppi arborei di nuova piantumazione, disposti in associazioni naturali. Le nuove geometrie smaterializzano i cunei verdi pertanto si perde quel senso di continuità tra costruito, infrastrutture e architetture vegetali (fig. 5). Oggi le quinte urbane fanno da sfondo ad uno spazio in sé concluso governato da altri criteri compositivi come avviene nella vicina piazza di Villa Fiorelli, realizzata da Raffaele de Vico in ottemperanza alle direttive del piano del 1931 che intende conservare entro un perimetro ellittico il nucleo centrale dell’antica villa, convertito in piazza-giardino, ma in questo caso la vicenda storica è completamente diversa da quella di piazza Re di Roma9. Dal punto di vista della fruizione, poi, la nuova piazza si configura come uno spazio verde ricreativo, dotato anche di un’area giochi, tuttavia le condizioni al contorno non appaiono adeguate per la presenza della rotatoria carrabile ad alto scorrimento, per la mancanza di una valida protezione dai pericoli del traffico e per la costante interferenza della realtà urbana circostante: le ridotte dimensioni dell’area impediscono di allontanarsi dalla città per

7 533a Proposta al Consiglio Comunale (24.09.1919), ASC, Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore, Pos. 9, b. 90, fasc. 88. 1. 8 Appunto manoscritto, ASC, Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore, Pos. 9, b. 90, fasc. 88a. Su questa tecnica colturale confronta anche M. Rohde, La cura dei giardini storici. Teoria e prassi, edizione italiana a cura di M. de Vico Fallani, Firenze, Leo S. Olschki, 2012, pp. 61-62. 9 Un’antica villa romana restituita al patrimonio pubblico dei giardini, in «Capitolium» , anno VII, n. 11, 1931, pp. 577-580; M. de Vico Fallani, Raffaele de Vico e i giardini di Roma, Firenze, Sansoni Editore 1985, p. 93; A. Cremona, Villa Fiorelli, in Le Ville a Roma. Architetture e giardini dal 1870 al 1930, a cura di A. Campitelli, Roma, Argos, 1994, pp. 125-126.

1901

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incontrare le atmosfere del giardino10. In definitiva l‟intervento ultimo ha cancellato i caratteri identitari del luogo, strettamente legati alla vicenda urbanistica del quartiere, ed ha attribuito al verde un ruolo che non si addice alla qualità dello spazio considerato.

Fig. 1. Planimetria della via Appia Nuova fra Porta S. Giovanni e Ponte Lungo con l’indicazione degli espropri, ASC, Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore, Pos. 9, b. 90, fasc. 88.1

Fig. 2a “Planimetria della via Appia Nuova fra Porta S. Giovanni e Ponte Lungo, Rapp. 1:500,

particolare del piazzale centrale” (1915); Fig. 2b Proposta di variante disegnata su un foglio di carta lucida appuntato alla copia eliografica; ASC, Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore, Pos.

9, b. 90, fasc. 88

10 Molti sono i giudizi negativi espressi in passato sulla tipologia della piazza-giardino: nel 1927 Dario Barbieri, riferendosi alla sistemazione di piazza Vittorio Emanuele II, scrive: “Non hanno potestà di ristoro e sollievo i geometrici giardini che vengono qua e là tracciati nel mezzo dei più intensi agglomerati edilizi; essi non sono altro che una varietà di piazze, sovente di aspetto più triste e soffocato […]. Per apprezzare il fascino del verde è necessario un senso di raccoglimento, di silenzio di pace, che in essi è troppo spesso una chimera” (D. Barbieri, Per la grande Roma. Formazione e sviluppo delle grandi città moderne, Firenze 1927, p. 208) citato in M. de Vico Fallani, Storia dei giardini pubblici di Roma nell’Ottocento, Roma, Newton Compton editori, 1992, p. 183. Qualche anno più tardi, nel 1931, Luigi Piccinato esprime lo stesso giudizio criticando la modalità ottocentesca di inserire il giardino pubblico nel mezzo di una piazza circondata da un carosello viario poiché le zone verdi destinate alla sosta, al riposo, al gioco alle attività sportive “collegate a sistema (e mai isolate) dovrebbero essere indipendenti dalle arterie di traffico e mai assolutamente identificarsi con queste”. L. Piccinato, Le zone verdi del nuovo piano regolatore di Roma, in «Capitolium», anno VII, n. 5, 1931, pp. 234-242. Sull‟argomento confronta anche U. Gawlik, Aspetti della pianificazione del verde e dello sviluppo urbano in Roma nel primo e nel secondo terzo del XX secolo, in Raffaele de Vico. I giardini e le architetture romane dal 1908 al 1962, Firenze, Leo S. Olschki, 2017, pp.7-71. Le immagini delle figure 1, 2(a-b), 3 e 4(a) sono di proprietà dell'Archivio Storico Capitolino che ha concesso l'autorizzazione alla pubblicazione.

1902

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Fig. 3 Pianta della sistemazione a giardino del piazzale circolare con l’indicazione delle specie, Rapp. 1:200 (14 febbraio 1916), ASC, Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore, Pos. 9, b.

90, fasc. 88a

Fig. 4a Proposta di variante per la sistemazione della piazza dei Re di Roma a via Appia Nuova, Planimetria, Rapp. 1:500, ASC, Ripartizione V Lavori Pubblici, Piano Regolatore, Pos. 68, b. 625, fasc. 8; Fig. 4b Piazza Re di Roma in una foto d’epoca, in fondo a via Albalonga si vede la caserma Zignani

Fig. 5 Piazza Re di Roma in una foto degli anni Ottanta del Nocevento

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Conservazione e trasformazione del versante gianicolense Il ruolo del verde nella pianificazione

romana ai tempi del governatorato Maria Vitiello

Università dell’Aquila – L’Aquila – Italia Parole chiave: Roma, Gianicolo, piano regolatore, Piacentini, alberate, parchi pubblici. 1. I piani urbani di Roma Capitale e il sistema del verde Una ricerca che voglia affrontare lo studio del ruolo assunto dalla vegetazione nella pianificazione urbana di Roma Capitale e negli anni del Governatorato non può non trovare l’avvio che nel piano redatto nel 1870 dalla Commissione di Ingegneri e Architetti presieduta da Pietro Camporese 1. In questo documento, benché consistente in una relazione priva di allegato grafico, il verde evocato dallo scritto possiede una valenza paesaggistica pressoché lirica, dotata di tonalità pittoresche che sono apertamente legate al gusto dei giardini all’inglese, introdotto in Italia da Ercole Silva e diffuso a Roma con l’arte di Francesco Bettini, architetto, botanico e giardiniere del cardinale Doria sul finire del XVIII secolo2. In questo piano la vegetazione ricadente tra l’Aventino, San Saba, il Celio e il Palatino assume l’aspetto di una sequenza di “deliziosi giardini”, ha sia la funzione di raccordare in un’unica suggestione i principali monumenti del passato, sia il ruolo di costruire un sistema capace di legare i grandiosi ruderi della Roma imperiale alle “moderne costruzioni”. Cioè, accanto al disegno della cosiddetta ‘passeggiata archeologica’, che riprende e perfeziona l’idea del prefetto De Tournon per il Jardin du Capitole, e che con la pianificazione del 1871 giunge ad estendersi fino alle Terme di Tito e all’Appia, all’interno del sistema urbano è programmata una strutturazione complessa dell’impianto vegetazionale. Con questo si organizza non solo il grande parco archeologico sito nel cuore della città, ma anche una corona di piccoli giardini di quartiere legati da impianti lineari di alberature e ricomposti da ampie aree riservate a boschi e a prati, i quali si dispongono in una sorta di ‘cintura verde’ della città3. Al 1871 le opere di sistemazione del Pincio e del versante nord-occidentale del Gianicolo sono già avviate4. L’amministrazione pontificia ha già voluto sia la realizzazione di una strada carrozzabile (l’attuale via Garibaldi realizzata dall’ingegner Arcangeli tra il 1865 e il 1868) al fine di rendere più facile accesso al complesso di S. Pietro in Montorio dal rione di Trastevere, sia la sistemazione di un giardino all’inglese nell’area delimitata dalle propaggini edificate del rione e la Mostra dell’Acqua Paola5.

1 La Commissione è nominata dalla Giunta provvisoria di Governo il 30 settembre 1870 (ASC, Verbali del Consiglio Comunale, 1870-71, All. 1 pp. 339-346). Il testo della relazione è pubblicato integralmente in Urbanistica, n. 27, 1958, pp. 75-76. 2 Sulla diffusione dei giardini all’inglese si veda la prefazione di G. Venturi in E. Silva, Dell’arte dei giardini inglesi, eds, Venturi G. (I ed. Milano 1800), Milano, Vallardi 1976. Si veda anche: A. Campitelli, «La diffusione del giardino “all’inglese”», in A. Campitelli, A. Cremona, a cura di, Atlante storico delle ville e dei giardini di Roma, Milano, Jaca Book 2012, pp. 199-210. 3 La relazione del Prefetto de Tournon al Ministro dell’Interno è in M. De Vico Fallani, Raffaele de Vico e i giardini di Roma, Firenze 1985, pp. 11-12. Si veda anche F. Panzini, Per i piaceri del popolo: l’evoluzione del giardino pubblico in Europa dalle origini al XX secolo, Bologna Zanichelli 1993, pp. 125-139. 4 C. Impiglia, «La nascita dei pubblici passeggi», in A. Campitelli, A. Cremona, op.cit. 2012, pp. 235-249. 5 P. Cacchiatelli, G. Cleter, Nuova strada del Gianicolo. Sezione principale fino a S. Pietro in Montorio, in Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX, Roma 1860. Anche in: M. De Vico Fallani, Storia dei giardini

pubblici di Roma nell'Ottocento, Roma, Newton Compton 1992, pp. 242-243; A. Cremona, A.M. Cerioni «L’epopea del ricordo delle memorie e dei monumenti pubblici del Gianicolo», in C. Benocci, M. Fagiolo, a

1905

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La Commissione presieduta dal Camporesi nella relazione di accompagnamento al piano del 1870 registra queste opere di sistemazione, ne prevede il completamento e precisa che nella progettazione dell’espansione urbana: «[ci] si è vivamente preoccupati non solo di rispettare ovunque le vestigia, ma di farne risaltare la bellezza artistica, facendo loro corona di deliziosi giardini. Questi […] potrebbero estendersi sui versanti dell’Aventino e del Celio […] del Palatino e dell’Anfiteatro Flavio. Anche altre parti della città sarebbero allietate da ameni giardini […come…], quelli che si progetta nella prossimità della Porta Maggiore e sul Gianicolo »6. Invero la felice intuizione di eleggere le alture del Gianicolo a luogo ameno per una piacevole passeggiata risalirebbe a papa Paolo V, il quale nel 1608, in occasione dei lavori di ripristino dell’Acqua Traiana, manifestava l’idea di «fare una nuova strada dalla piazza di San Pietro […] verso la porta de Cavalli Leggieri ed perfino sopra Santo Honofrio verso la vigna dei Signori Lanti, che sarà di molta ricreazione per andare a spasso»7. La programmazione urbana tardo Ottocentesca sembra voler dare piena attuazione a quella intuizione papale, spostando, tuttavia, il valore della passeggiata da una primitiva esigenza elitaria, di piacere solitario e di godimento estetico del paesaggio ad una fruizione collettiva dello stesso.

cura di, Il Gianicolo, Roma Artemide, 2016 pp. 221. A. Cremona, «Passeggiata del Gianicolo», in A. Campitelli, eds, Verdi delizie. Le ville, i giardini, i parchi storici del Comune di Roma, Roma De Luca, 2005, pp. 45-47. 6 Relazione dei lavori per l’ampliamento ed abbellimento di Roma, in Urbanistica, n. 27, 1958, pp. 78-80. 7 De Vico Fallani, op.cit. 1992, p. 242-243 (appendice 1).

Fig. 1 - Stralcio del Piano regolatore del 1883. In evidenza il Rione Trastevere e l’area del crinale gianicolense. Si noti la presenza dell’alberata che avrebbe dovuto costeggiare il

circuito delle Mura al fine di creare un sistema resiliente, al tempo stesso di iato tra l’antico e il nuovo e di protezione delle mura

1906

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Ed è a questa precisa volontà di democraticizzazione della delizia paesaggistica che deve essere legato il progressivo aprirsi al pubblico dei tenimenti privati, dei giardini e dei parchi annessi alle grandi ville, precisamente programmata all’interno di questo primo progetto dell’espansione urbana di Roma Capitale.

Benché l’accorgimento progettuale più significativo in questa contenuto sia dato più che dall’apertura dei grandi giardini privati alla cittadinanza, dalla previsione di un grande viale alberato, dotato di un’ampiezza di circa quaranta metri e guidato da un doppio filare di alberature, che avrebbe dovuto correre lungo tutto il circuito delle mura Aureliane. A questo elemento urbano sembra essere riconosciuta non solo la funzione di raccordare le macchie dei giardini e dei parchi posti ai bordi della città costruita, ma anche quella collegarli al nucleo monumentale della passeggiata archeologica, facendo del verde in un grande sistema urbano funzionale e vegetazionale8. L’immagine evocata dalla descrizione del viale presente nella relazione riprende quella del boulevard fiorentino elaborato dal Poggi nel 1865, o il ‘Ring’ viennese, benché sia sostanzialmente ridimensionata nelle proporzioni generali di quest’ultima e sia fondamentalmente priva dell’intenzionalità demolitiva della preesistenza, presente invece nell’esempio austriaco. Certo è che l’idea di una grande infrastruttura viaria e vegetale, che da principio si accostasse alla cinta muraria per finire con l’inglobarla diventandone una sorta di anello protettivo, viene ripresa più volte nelle diverse ipotesi formulate negli anni nei piani urbanistici romani. Così anche la Commissione incaricata nel 1871 della valutazione delle modalità di ingrandimento e abbellimento della città

nella relazione finale scrive: «L’area occupata dai nuovi quartieri verrà chiusa da un grande viale alberato, il quale dipartendosi dalla trinità dei Monti, o da quei pressi, avrà termine alla chiesa di S. Giovanni in Laterano, ove si congiungerà con quella che avviluppar deve il resto della città»9. L’alberata, dunque, sembra essere proposta come uno strumento per una pianificazione ‘moderna’ della città e, soprattutto, come il mezzo principale per la valorizzazione e la conservazione integrale della cinta muraria, similmente a quanto programmato per il 8 «Si osserva tracciata interamente lungo le Mura di Roma una grandiosa strada larga metri quaranta, la quale dovrebbe continuarsi per tutto il perimetro della Città […] perché procura alla popolazione un’amena passeggiata arricchita da una doppia fila di alberi». Relazione Camporesi, in Urbanistica, n. 27, 1958, pp. 78-80. 9 Ivi

Fig. 2 - Il Messaggero, 29 febbraio 1931

1907

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potenziamento espressivo dei resti monumentali presenti nei siti archeologici inclusi nell’area urbana. Più in generale alla flora è serbato il compito di creare delle intercapedini resilienti, qualificate da volumi verdeggianti, architettonicamente definiti ma intrinsecamente mutevoli, capaci, quindi, di assorbire le differenze e collegare sistemi percettivamente e funzionalmente disgiunti. Il Gianicolo raccoglie entrambe le sollecitazioni. 2. Il ruolo svolto dal Gianicolo nella democraticizzazione del paesaggio negli anni del governatorato. Tra conservazione e trasformazione del verde

All’interno di questa articolazione complessa, composta da elementi lineari e da ampi giardini, il sistema esteso e verdeggiante del versante gianicolense è interpretato sia come parco, sia come passeggiata. All’interno della gran massa arborea raccontata dal Vasi 10 viene programmato un percorso che in parte si insinua nelle fitte alberature di Villa Corsini, in parte si apre al paesaggio, in parte si lega alle architetture esistenti e in parte, infine, ne esige la loro demolizione11. Questa è la base strutturale del giardino pubblico individuato dal piano del 1873, uno spazio dedicato alla Regina d’Italia e perciò denominato “Passeggiata Margherita”. Si tratta di un cammino che dal Bosco Parrasio si snoda attraversando il giardino dei Farnese, dei Corsini e dei Lante e, tagliando la sommità del colle, ridiscende a valle verso porta Santo Spirito. È un’opera che nel 1884 vede l’inaugurazione di un primo tratto, ma la cui conclusione si avrà tardi, quando a poco a poco il grande giardino che accompagna il viale alberato verrà trasformato in una galleria di “memorie partiottiche”, un vero e proprio sacrario della memoria collettiva. Infatti, similmente a quanto formulato sul finire del Settecento da Christian C.L. Hirschfeld nel suo trattato sui giardini, il versante gianicolense viene adornato di statue, lapidi e busti degli eroi garibaldini, sui quali far tendere l’attenzione dei nuovi cittadini italiani.

La vocazionalità paesaggistica del crinale gianicolense, benché modificata da questa chiamata celebrativa che sposta la particolarità del sito da luogo di svago a spazio educativo della collettività, non viene però mai negata, neanche nelle progettazioni del 1909 e del 1931, quando la lottizzazione giunge a toccare anche Villa Sciarra, prevedendone l’edificazione parziale attraverso la definizione di aree residenziali adibite a villini «ornati di viali e giardini per rendere ancor più gradevole quella

amenissima posizione»12. Quell’importante lezione di composizione urbana del verde che si è potuta osservare nelle prime pianificazioni per Roma Capitale, conservatasi fino al 1883, si perde gradualmente in una progettualità scarna e sempre più prettamente edilizia, nella quale ogni previsione si 10 G. Vasi, Delle magnificenze di Roma Antica e Moderna, Roma 1747-1761, Roma 1761. 11 M. Vitiello, «Villa Corsini al Gianicolo. Trasformazioni polisemico el vrde nella pianificazione otto-novecentsca. Questioni aperte e problemi di restauro», in M.P. Sette, a cura di, Il verde nel paesaggio storico di Roma. Significati di memoria, tutela e valorizzazione, Roma Quasar, 2016, pp. 57-66. 12 Urbanistica, cit, p. 79. In proposito anche: A.M. Racheli, «Ville e giardini nei primi piani urbanistici di Roma Capitale», in V. Cazzato, a cura di, La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano fra ‘800 e ‘900, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1999, p. 399; R. Cassetti, G.F. Spagnesi, Roma, il verde e la città, Roma

Gangemi, 2002.

Fig. 3 - Passeggiata carrozzabile a San Pietro in

Montorio, 1868

1908

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risolve nell’indicazione di percorsi e di case e il piano regolatore diviene sostanzialmente un calcolo di cubature. Quell’idea moderna e visionaria, viene, però, recuperata nel 1916 da Marcello Piacentini13. Egli in un suo scritto incentrato sulla preservazione della bellezza urbana ed è anticipata l’idea progettuale per La Grande Roma, che sarà poi pubblicata nel 1925 sulla rivista ‘Capitolium’14.

Fig. 4 a) Piacentini, Idea per la Città di Roma, 1915-1916 (in Lupano, 1991, rielaborazione grafica

dell’A con in evidenza la cintura verde ottenuta dalla sequenza di parchi, giardini, squares e alberate). Fig. 4 b) I centri dell’arte e della Cultura, 1939, ACS, MPI, Archivio disegni 1925-1960, b.

36, f.5 (da Travaglini 2008)

In questo scritto, nel quale è ribadita anche l’avversione agli sventramenti pure se nella versione edulcorata del diradamento giovannoniano, è riconosciuta nella conservazione integrale dell’ambiente storico l’unica forma di tutela della città antica e lo “Anello dei Parchi” è dato come l’unico strumento efficace per “isolare la città vecchia dai quartieri moderni”15. Il modello di riferimento dichiaratamente indicato dall’autore è quello della struttura cittadina di Chicago, nella quale i grandi giardini pubblici: Jackson, Hayde e Washington Park “formano un solo grandissimo parco”. Ma il precedente romano è proprio nel piano del Camporese, pure se nel testo non viene effettuato mai alcun riferimento a quella previsione. La determinazione di Piacentini è quella di disegnare per Roma una cintura verde a protezione della città antica, ottenendola attraverso la fusione delle grandi masse arboree offerte da: Villa Umberto, Valle Giulia, Giardino zoologico, Pincio, Gianicolo e Passeggiata archeologica, che al tempo erano già spazi usati e condivise dalla cittadinanza. A questi giardini esistenti si sarebbero dovuti unire altri spazi verdi ottenuti sia attraverso l’acquisizione pubblica di nuove ville storiche, sia con la creazione di nuovi giardini, in modo che si potesse giungere a definire un unico grande sistema interconnesso da un viale che, Piacentini stesso definisce: “la passeggiata più bella”. Tale grandioso viale alberato, immerso a sua volta nel verde dei parchi, non avrebbe dovuto fungere solo da filo conduttore per l’apprezzamento delle bellezze monumentali dell’antica Roma. Il suo compito, invece, avrebbe dovuto essere quello della pausa, dello straniamento,

13 M. Piacentini, Sulla conservazione della bellezza di Roma e sullo sviluppo della città moderna, Associazione artistica fra i cultori di Architettura Roma 1916, in Marcello Piacentini e Roma, Bollettino della biblioteca della Facoltà di Architettura dell’università degli studi di Roma “La Sapienza”, n. 53, 1995, pp. 72-81. 14 M. Piacentini, La Grande Roma, in Capitolium, I 1925, n. 7, pp. 413-420. Anche M. Lupano, Marcello

Piacentini, Roma Laterza, 1991; V. Vannelli, Marcello Piacentini e La Grande Roma, Roma Lulu, 2010. 15 Ivi.

1909

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della separazione dell’esistente storicizzato dall’espansione edilizia della nuova Roma, che avrebbe dovuto essere altrove, oltre la coltre del verde. Tuttavia, se l’interconnessione verdeggiante della corona dei parchi fino al 1883 vede il progetto di un percorso naturalistico, vivace, evidentemente ispirato ai giardini all’inglese, con il disegno di Piacentini la romanità irrompe sia nell’impostazione dei parchi, sia nella strutturazione rigidamente simmetrica dei grandi percorsi delle alberate e degli squares; quelli che lo stesso descrive ne Lezioni stenografate di edilizia cittadina, ovvero spazi qualificati da piantagioni di: lecci, ippocastani, acacie, i ligustri oppure elci, cipressi o pini16. L’idea innovativa di collegare non solo visivamente, ma materialmente il Pincio con il Gianicolo, attraverso una relazione non più semplicemente visiva, ma praticata concretamente attraverso tagli e sventramenti nel corpo edilizio della città, è presente solo nel piano approvato nel 193117.

Come spesso accade all’interno di questo programma confluiscono idee e sperimentazioni progettuali probabilmente elaborate in altre sedi, discusse, forse, come proposte progettuali di rinnovamento urbano presentate nell’ambito della Mostra dell’Urbanistica e dell’Edilizia organizzata a Roma nel 1929 in concomitanza con il Congresso internazionale della Federation for housing and Town Planning o come approfondimenti di piani particolareggiati, come precisa l’allievo di Piacentini Eugenio Fuselli18. Il tema progettuale è la creazione di un accesso monumentale al Gianicolo. Ciò che accomuna le molte proposte progettuali che si sono potute rinvenire nelle collezioni archivistiche è la previsione della demolizione del carcere di Regina Coeli unitamente ad un’ampia area del tessuto edilizio posto a ridosso della Lungara.Il disegno compositivo in tutte le elaborazioni ad oggi rintracciate, è articolato attorno ad un lungo rettifilo che raccoglie attorno a sé i nuovi edifici in una sorta di “Cittadella della Cultura”. Il progetto prendeva atto quella sorta di vocazione culturale del Gianicolo che già vedeva la presenza delle accademie di Spagna, di America e d’Italia e prevedeva l’esecuzione dell’auditorium e del conservatorio di musica19. L’accesso monumentale è costituito da un percorso sviluppato in asse con Ponte Mazzini; il quale collega attraverso rampe e gradonate il fronte della Chiesa Nuova con pianoro posto sul crinale, dove si

16 M. Piacentini, Lezioni stenografate di etica cittadina, 1924, in Bollettino della Biblioteca della Facoltà di Architettura “La Sapienza”, n. 53, 1996, pp. 18-56. 17 M. Fagiolo, «L’occhio di Giano», in C. Benocci, M. Fagiolo, op.cit. 2016, pp. 19-33. 18 E. Fuselli, La sistemazione del Gianicolo e la città della cultura e dell’arte, Roma, 1939. 19 Trastevere: società e trasformazioni urbane dall'Ottocento ad oggi. Catalogo della mostra: Museo di Roma in Trastevere, 15 dicembre 2007-24 marzo 2008, a cura di C.M. Travaglini. E.M. Steinby, Ianiculum-Gianicolo: storia, topografia, monumenti, leggende dall'antichità al Rinascimento, Roma Institutum Romanum Finlandiae, 1996.

Fig.6 - Prospetti della sistemazione del Gianicolo dopo l’abbattimento del

carcere Regina Coeli, BNCR ARC 15 IV, 2/7-9 (da Travaglini 2008)

Fig.5 - Particolare del PR di Roma del 1931

1910

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trova oggi innalzato il monumento in onore di Garibaldi. La conformazione delle piazze, il sistema delle acque e delle alberature, pur rimanendo all’interno delle tematiche barocche, muta in ciascuna proposta progettuale rinvenuta, ma in tutte rimane sostanzialmente inalterata sia l’idea di articolare le nuove masse edilizie attorno ad un percorso rettilineo, sia la simmetria del sistema, sia la profonda alterazione all’assetto urbano e vegetazionale che l’attuazione di un simile progetto avrebbe originato20.

Figg. 7a)-7b) - Eugenio Fuselli, Sistemazione degli accessi al Gianicolo, 1939 (disegni datati 1927)

ASC, Capitolina Stragr 734, inv. CAP 000051049 - Tavole 1-2

Malgrado le massicce demolizioni dell’edificato su via Lungara e la totale demolizione del carcere di Regina Coeli, unitamente alla radicali alterazioni a cui sarebbe stata sottoposta la vegetazione rigogliosa del Gianicolo con le sue macchie boscose, e allo straniamento dell’assetto compositivo dato dal Fuga al sistema dei percorsi del giardino storico dei Corsini (divenuto in parte sede dell’Orto Botanico e della Passeggiata) avrebbero sconvolto completamente l’assetto del generale colle, sono sostenute dalla Reale Accademia d’Italia e giustificate, come spesso accade in questi casi, dall’insalubrità e dalla mancanza

di pregio estetico dei luoghi21. E l’idea progettuale riceve le lodi del Duce e il plauso della stampa. L’idea piacentiniana del sistema ascensionale, che riprendeva le sistemazioni monumentali del “Campidoglio di Michelangelo e il Palatino degli Horti Farnesiani”, che contraddiceva lo spirito stesso del Gianicolo, come evidenzia Fagiolo, destinato alla contemplazione dall’alto e non ad una “sistemazione acropolica”, si sposa tuttavia con lo spirito di romanità evocato dal fascismo 22. Tanto è che nel 1940 Piacentini scrive: «La sistemazione degli accessi al Gianicolo doterà il vecchio centro del Rinascimento di un parco vicinissimo e formerà un

20 Il Popolo di Roma, 16 dicembre 1939. 21 Reale Accademia d’Italia, Ufficio tecnico. Relazione fotografica a S.E. il Presidente circa alcuni problemi urbanistici del quartiere intorno alla Farnesina, 1938, ASC, Archivio fotografico, Album OX, Foto n.856 e sgg. 22 M. Fagiolo, op.cit. 2016, pp. 29-30.

Fig.8 - Relazione fotografica, ASC, Archivio

fotografico, Album OX, Foto n. 856

1911

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assieme che, se per alcuni lati potrà paragonarsi alla passeggiata dei colli di Firenze, sarà però assai più grandioso e suggestivo»23. Non mancano, però, voci fuori dal coro. Le critiche, tuttavia, sono incentrate soprattutto sulla dimensione eccessiva dei “casoni” che avrebbero dovuto accogliere le nuove residenze e per lo spostamento della fontana dell’Acqua Felice lungo i giochi d’acqua del nuovo percorso. Nulla si dice in merito alle alterazioni profonde che il progetto avrebbe causato al sistema compositivo storico del giardino dei Corsini disegnato dal Fuga, né alla perdita del materiale arboreo che ciò avrebbe comportato24.

Fig. 9a) 9b) Relazione fotografica, ASC, Archivio fotografico, Album OX, Foto n. 856, n. 857-858

Eppure siamo a ridosso degli anni in cui sono state promulgate le prime leggi di tutela dello stato. Alla Rosadi-Nava del 1909 ha fatto seguito quella sulla protezione di ville, parchi e giardini del 1912. E, considerando che i primi elaborati progettuali per il rimodellamento del versante gianicolense sono datati 1927, ancor più vicina è quella del 1922 della quale avrebbero dovuto sentirsi le eco dei vivaci dibattiti che l’accompagnarono; scontri di cui Benedetto Croce fu un grande protagonista.

Figg. 10a) 10b) - Sistemazione del Gianicolo, plastico, BNCR, ARC 15 IV, 2/1-4 (da Travaglini 2008)

Secondo la legge del 1912 un giardino merita tutela perché è uno spazio progettato e ordinato dall’uomo e, in quanto tale, capace di esprimere un particolare estro artistico, all’interno di un determinato periodo storico o rispetto ad un certo orientamento culturale. Circostanza che ne fa, appunto, un Bene Culturale da tutelare. Il comune di Roma in ottemperanza a tale dispositivo aveva anche studiato nel 1913 un regolamento contenente un nutrito elenco di giardini da conservare: Villa Lante, Villa

23 L. Piccinato, «Zone verdi del nuovo piano regolatore di Roma», in Capitolium, 7, 1931, pp. 234-242. 24 Sulla vicenda si veda M. Fagiolo, op.cit. 2016, p.31; M. Fagiolo, R. Cassetti, Il verde e la città, Roma Gangemi, 2002.

1912

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Cecchini, Villa Corsini, Villa Aurelia-Savorelli, Villa Abamelek sono tutte inserite nell’elenco dei giardini storici che «non si devono distruggere»25. In realtà il documento non è mai approvato dalla giunta Nathan. E ad osservare la rapida espansione edilizia romana avvenuta dopo questa data, si comprende quanto avrebbe potuto incidere sulla storia della città l’approvazione di tale provvedimento. Così, nel gennaio del 1941 sembrò quasi che il progetto fosse sul punto di essere realizzato. Poi l’entrata in guerra dell’Italia ne bloccò l’esecuzione e i danni al rione furono causati dai bombardamenti, che colpirono piazza Biondo, via Portuense e via Ettore Rolli, provocando la distruzione di edifici e decine di morti.

Fig. 13 a)- Sistemazione della falda Nord-Est del Gianicolo, Planimetria, 1939, BNCR ARC 15 IV 2/6 (da Travaglini 2008); Fig. 13 b)-Planimetria della sistemazione del Gianicolo dopo l’abbattimento

del Carcere Regina Coeli, BNCR ARC 15IV, 2/7-9 (da Travaglini 2008)

25 ASC, Ufficio V, Ispettorato Edilizio, 1913, prot. 09614/1913. Inoltre si evidenzia che I documenti di cui alle figure 7a), 7b), 8), 9a), 9b) sono di proprietà dell’Archivio Storico Capitolino che ha concesso l’autorizzazione alla pubblicazione.

Fig.11 - Progetto Accesso al Gianicolo, 1928, Luce A/28°002502 (da Travaglini 2008) Fig. 12 - Fig. 12-Progetto per la sistemazione della zona di Regina Coeli, plastico, BNCR, ARC

15 IV, 2/1-4 (da Travaglini 2008)

1913

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Fig. 14a) - Schema planimetrico delle preesistenze alla progettazione degli anni Trenta. Il giardino di Villa Corsini, benché smembrato e divenuto in parte di pertinenza comunale, in parte di pertinenza demaniale, conserva ancora tracce della sistemazione settecentesca progettata da Ferdinando Fuga per il cardinale Neri Corsini. Nei diversi colori la frantumazione delle proprietà (da Vitiello 2016 ); Fig. 14 b)-Foto del giardino di Villa Corsini poi Orto Botanico, 1900 ca., con in evidenza il doppio

sistema di assi visivi realizzato dal Fuga (da Travaglini 2008); Fig. 14 c)- Foto aerea del Gianicolo, 1920 ca., (da Travaglini 2008)

Fig. 15 - Analisi dei progetti di sistemazione dell’accesso al Gianicolo in rapporto con il sistema storico del verde esistente. Nel “Progetto 1” si evidenzia una sovrapposizione indifferenziata dei

nuovi percorsi sulle presistenze prospettico-compositive del giardino dei Corsini. Nel “Progetto2” è manifesta la volontà di conciliare l’istanza storico-estetica della preesistenza con il nuovo sistema

percettivo messo in atto nella pianificazione che si affianca all’esistente senza cancellarlo. Nel “Progetto3”, quello elaborato dal Fuselli che confluisce nella pianificazione del 1931, è chiaro che

alla preesistenza non è riconosciuto alcun valore; non solo il percorso serpentinato taglia con indifferenza i quelli esistenti prevedendo la demolizione degli elementi architettonici del giardino, ma non è sentita neanche l’esigenza di rappresentare ciò che è presente sul versante gianicolense, se non

in una parte estremamente marginale

1914

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Riqualificazione ambientale dei parchi urbani e policy implication.

Milano e Napoli: Due casi di governance a confronto Vincenzo Rusciano

Università di Napoli Parthenope – Napoli – Italia Valentina Cattivelli

Eurac Research – Bolzano – Italia Parole chiave: parco urbano, Milano, Napoli, governance, cittadinanza attiva, sostenibilità, valorizzazione territoriale. 1. Introduzione Sulla scorta di alcune esperienze internazionali (Madrid, Barcellona, per esempio), anche alcune metropoli italiane si sono attrezzate per la riqualificazione di spazi verdi e agricoli al fine di ridurre la pressione antropica sulle risorse naturali locali, il suolo in primis, per migliorare la qualità dell’ambiente e il benessere dei cittadini (Colding, 2007; Ghose & Pettygrove, 2014). Il Parco Agricolo sud Milano, tra i primi in Europa per estensione, ha resistito alle pressioni per la sua conversione in spazi residenziali e produttivi, pur soffrendo di difficoltà nella gestione dovuta alla sua estensione tra ben 61 comuni lombardi. Grazie alla ritrovata importanza post Expo, non è solo sede di imprese agricole, ma anche di nuovi attori che rendono più fitta e articolata la locale food chain (ortisti, GAS, ecc). La gestione del verde pubblico nel Comune di Napoli si sofferma su politiche di riqualificazione degli spazi dismessi. La nascita degli orti nel parco urbano De Filippo, terzo per estensione della città partenopea, rientra in questo obiettivo di riqualifica dell’area pubblica, favorendo la promozione di prodotti locali e la conoscenza di tecniche di coltivazione con scambi culturali e politiche di reintegrazione. Tale obiettivo viene raggiunto con la collaborazione fra tutti gli stakeholders di riferimento. I governi locali, con la cittadinanza attiva, hanno l’opportunità di incentivare tali pratiche con costi sociali esigui rispetto ai vantaggi in termini ambientali sociali e reputazionali. Il presente intervento si propone di analizzare, in una logica comparata e riferita agli ultimi tre anni: - le caratteristiche dei due parchi in parola - la mappatura degli attori che li animano (governi locali, imprese, cittadini, GAS, ecc.) - le soluzioni adottate per il loro governo, riqualificazione e promozione. 2. Il Parco Agricolo Sud Milano: un parco, tante vocazioni

Il Parco Agricolo Sud Milano è uno dei parchi agricoli costituiti da più tempo in Europa. È stato infatti istituito formalmente nel 1990; tuttavia, la sua presenza e diffusione nel territorio urbano e periurbano della provincia di Milano ha avuto inizio alcuni decenni prima. Oggi comprende le aree agricole e forestali di 61 comuni e si estende per 47 mila ettari. Al suo interno, seppur interrotto da insediamenti residenziali e produttivi, più o meno dispersi sul territorio, vi è un complesso sistema paesaggistico rurale e naturale, costituito da una rete di acque sotterranee e superficiali, specie vegetali autoctone e coltivate, in cui insistono cascine, castelli e abbazie dal grande valore artistico e culturale.

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Figura 1. La mappa Del Parco Agricolo Sud Milano. Fonte: sito internet, ultimo accesso 2017

Le sue finalità sono strettamente legate alla vocazione agro-silvo-colturale del territorio a confine con la più estesa area metropolitana della Lombardia e comprendono la tutela e il recupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, nonché la connessione delle aree esterne con i sistemi di verde urbano, l’equilibrio ecologico dell’area metropolitana, la salvaguardia, la qualificazione e il potenziamento delle attività agro-silvo-colturali in coerenza con la destinazione dell’area; la fruizione colturale e ricreativa dell’ambiente da parte dei cittadini‖ (Atto costitutivo). Nel parco, insistono quindi varie attività, da quella agricola, sia condotta professionalmente che per finalità sociali, ma anche turistico-ricreative e ambientali. Per quanto concerne le prime, quelle agricole condotte professionalmente, esse sono molto diffuse su tutto il territorio. Il sito internet del parco ne offre una mappatura e dà la possibilità all’utente di misurare la distanza esistente tra di esse. Ciò può essere molto utile non sono per disegnare percorsi ricreativi e visite aziendali, ma anche per riorganizzare la distribuzione nei vicini mercati cittadini dei prodotti agricoli in modo più efficiente, economico e con un minore impatto ambientale.

Figura 2. Mappa delle cascine nel Parco Agricolo Sud Milano. Fonte: sito internet Citta´ metropolitana

Milano, 2017

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Ciò è particolarmente importante anche per l’attività dei 24 GAS (Gruppi di acquisto solidale) presenti (tutti attivi, di dimensioni medio-piccole) e dei Mercati contadini. La mappa sotto riportata evidenzia a riguardo tutta la strategicità del loro posizionamento di questi ultimi rispetto ai comuni dell’area.

Figura 3. Fonte: sito internet Città metropolitana Milano, 2017

Nel Parco si registra il più elevato numero di orti urbani di tutta la regione. Quasi tutti i comuni interessati hanno infatti avviato progetti per la promozione della integrazione di categorie svantaggiate, in primis gli anziani o i percettori di basso reddito, attraverso la coltivazione di piccoli appezzamenti di terreno dati in concessione per un periodo di tempo limitato. Gli orti cosi coltivati riducono l’impatto delle attività antropiche e ad abbelliscono tutta l’area. Diventano poi punto di ritrovo e elemento di interesse all’interno dei percorsi storici e paesaggistici offrendo ai visitatori momenti di svago, apprendimento che possono essere vissuti sia a piedi che in bicicletta. Il parco promuove infatti molte iniziative di turismo rurale essendo fruibile in tutte le stagioni e avendo relazioni privilegiate con le realtà agricole locali. Molte di queste sono poi rese speciali dalla certificazione del Marchio del Parco che costituisce un ulteriore aspetto di primario interesse per lo sviluppo quest’area. 3. Chi governa il Parco? Tanti soggetti per un comune intento di valorizzazione

Il Parco Agricolo Sud Milano è stato istituito con la legge regionale n. 24 del 1990, oggi sostituita dalla legge regionale n. 16 del 2007. La normativa regionale lo classifica come parco agricolo e di cintura metropolitana, evidenziando così la sua posizione geografica, in un contesto densamente urbanizzato. Attualmente, è gestito dalla città metropolitana di Milano. Anche dopo la trasformazione della provincia di Milano in area metropolitana, il gestore non è cambiato, se non di denominazione. La sua attività, oltre che dalle leggi in materia di gestione di parchi agricoli e di leggi regionali per la tutela del territorio, è disciplinata da un regolamento. Comprende le aree delimitate che interessano 61 Comuni. Tuttavia, qualsiasi Comune dell’area Milanese potrebbe richiedere l´inclusione nel parco qualora possegga determinati requisiti di ruralità. I Comuni possono richiedere all’Ente Gestore di aderire al Parco proponendo l’inclusione in esso di propri territori in ordine alle finalità previste della legge istitutiva.

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La sua governance interna è molto semplice. Al vertice vi è un presidente, affiancato per le attività amministrative da un direttore che, a sua volta, si avvale di una organizzazione con pochi livelli gerarchici. L’organo di direzione politica è costituito, oltre che dal presidente, dai consiglieri in rappresentanza degli enti che, in qualche modo, sono coinvolti nella gestione. Attualmente, vi fanno parte 6 sindaci di comuni compresi nel territorio del parco, due consiglieri della città metropolitana di Milano, i rappresentanti delle associazioni degli ambientalisti e degli agricoltori, oltre che il presidente dell’assemblea dei sindaci. L’assemblea dei sindaci è costituita dai sindaci dei 61 comuni del Parco e formula pareri sul regolamento interno e sulle sue modifiche, sulla proposta di piano territoriale di coordinamento, sugli altri strumenti di pianificazione. È qui che convergono gli interessi, le tensioni e le idee di tutti i comuni. I loro rapporti quindi sono catalizzati‖ da questo organo che li ordina, li coordina al fine di verificare l’idoneità delle proposte di sviluppo presentate dell’organo di vertice e di sottoporne di nuove. Esiste poi un Comitato Tecnico Agricolo che offre un supporto tecnico a tutti gli interventi riguardanti l’esercizio dell’attività agricola. È poi prevista una Commissione per il paesaggio del Parco Agricolo Sud Milano che opera nell’ambito della valutazione di compatibilità paesaggistica rilasciando pareri consultivi obbligatori, relativamente ai procedimenti per il rilascio di autorizzazioni ed accertamenti di compatibilità paesaggistici. Nel parco poi opera l’Associazione per il Parco Sud Milano Onlus. Nata per favorire la costituzione del parco nel 1985, è oggi ancora attiva per la valorizzazione e la tutela del territorio del Basso Milanese della sua agricoltura, della cultura e valori testimoniati da mille e mille gioielli architettonici, nonché di una natura inaspettata, meravigliosa anche se spesso sconosciuta agli stessi milanesi. Ad oggi, si fa portatrice delle istanze soprattutto dei suoi associati, per lo più semplici cittadini, che vorrebbero più misure per la riduzione dell’inquinamento o la sua valorizzazione in chiave educativa e turistica‖ (sito internet associazione). GAS, Produttori dei mercati della Terra e anche aziende agricole possono poi attivamente aderire alle iniziative previste dal Distretto di Economia solidale del Parco Agricolo Sud Milano (DESR), attivo dal 2008, grazie alla iniziativa di diversi soggetti dell’economia solidale milanese, delle associazioni ambientaliste e delle istituzioni locali. I promotori sono la Cascina Forestina tra i pionieri della coltivazione biologica e della vendita diretta nel Parco Sud, il GAS di Baggio, con la sua quasi decennale storia ed esperienza anche di iniziativa sociale, la Rete nazionale di Economia solidale, col suo contributo teorico e di pratiche concrete. L’obiettivo dei suoi aderenti è la salvaguardia e la riqualificazione del Parco e della sua agricoltura. Questa rete oggi conta una ventina di GAS, una decina di aziende agricole, esponenti della finanza etica, banche del tempo, botteghe del commercio equo, associazioni e comitati a difesa del territorio e due comuni virtuosi, S. Giuliano e Corsico, tramite progetti specifici. Il coordinamento della rete e delle sue attività è in carico ad un Comitato verso il DESR, dal quale si snodano i Tavoli settoriali, in primo luogo dei GAS e degli agricoltori, e i Gruppi di lavoro tematici sui progetti che il Comitato ha attivato (energia, paniere, orto collettivo, percorsi culturali e di conoscenza delle cascine, gestione del conflitto e della partecipazione democratica, comunicazione, frutteto biologico). Gli obiettivi del DESR riguardano la salvaguardia della vocazione agricola e ambientale del parco, oltre che il sostegno alla redditività agricola e alla multifunzionalità aziendale. 4. Un parco urbano nella zona est di Napoli: il parco De Filippo, tra recupero del territorio e creazione di una governance partecipata

Una rigenerazione territoriale efficace è possibile solo mediante l’incontro tra i bisogni dei diversi stakeholders: l’amministrazione comunale, gli ortolani e un soggetto che funga da tramite. All’interno del parco De Filippo che si trova a Ponticelli, zona orientale di Napoli, si è dato vita ad un progetto di orticoltura urbana che tenta di coniugare diverse dinamiche territoriali. Questo

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parco è il terzo parco urbano della città per grandezza (con i suoi 12 ettari) ed è stato realizzato agli inizi degli anni ´90. A causa di atti vandalici è stato chiuso nel 2008 e riaperto solo nel 2015; ora una sua parte è stata assegnata all’associazione Lilliput per la creazione di un progetto di orticultura urbana. Al suo interno, ci sono numerosi percorsi di accesso e aree gioco per bambini, aree di sosta e un percorso podistico pedonale di circa 1,5 km che circonda tutta l’area. La sua prima riqualificazione è stata su iniziativa dei cittadini che spontaneamente hanno cominciato a ripulire il parco ormai abbandonato da rifiuti e materiali che lì venivano depositati. Il centro Lilliput propone un percorso di cura personalizzato per coloro che vogliono intraprendere un programma di recupero mantenendo i rapporti con la propria comunità di appartenenza. Offre sostegno e accoglienza, a soggetti con problemi di consumo di droghe o affetti da ludopatia. Realizza attività di promozione sociale e culturale, attraverso percorsi interattivi con le scuole e le associazioni del territorio. Utilizza una metodologia di lavoro integrato che prevede la collaborazione del pubblico e del privato sociale.

Figura 4. L’orto urbano realizzato nel parco De Filippo, a Ponticelli (fonte nostra elaborazione)

All’interno del parco, vi è anche un orto, assegnato dal Comune di Napoli, con un protocollo d’intesa del 2015, all’A.S.L. Napoli 1 con il centro diurno Lilliput. L’idea principale è quella di creare uno spazio dedicato non solo agli utenti, ma anche ad altre famiglie, associazioni e cittadini per sensibilizzarli alla protezione e alla cura del vicinato. Le persone hanno la possibilità di prendere in custodia un piccolo appezzamento di terreno con i membri delle scuole, delle associazioni, dei comitati di città, delle chiese e delle organizzazioni di archeologia. Insieme al centro di Lilliput, tutti questi attori hanno formato poi una rete che potrà essere utile per ulteriori progetti. 5. Chi governa il Parco? Molti attori locali per un recupero del territorio partecipato e condiviso

Il centro Lilliput ha tentato di creare una rete per la gestione dei vari appezzamenti che compongono lorto urbano. Alcune terrazze del parco sono state date in gestione da Lilliput ad altre associazioni (Libera, Emergency ecc.), gruppi o istituzioni, in primis scuole. Si tratta di un bell’esempio di aggregazione che coinvolge oltre ai ragazzi delle associazioni anche la gente del quartiere, oltre che di qualifica ambientale. La nascita degli orti nel parco De Filippo rientra in un progetto del 2011 di riqualifica dell’area pubblica, un parco a colori‖, promossa dall’associazione Le Kassandre e da un master in progettazione partecipata e mediazione di comunità organizzato dalla Fondazione Mediterraneo. Lo scopo della riqualifica era mettere questi spazi a disposizione della comunità per attività

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commerciali e culturali, favorendo ovviamente scambi culturali e integrazione. Alla fine il progetto ha coinvolto associazioni, singoli cittadini anche stranieri, comitati, esponenti religiosi. Numerosi sono stati gli atti vandalici e i furti di attrezzature. I vandali hanno più volte hanno distrutto ed incendiato il parco urbano. La necessità di maggiore sicurezza ha spinto i volontari a raccogliere le firme per una petizione indirizzata al Comune e alla Prefettura di Napoli. Le adesioni sono state circa 1600 atte a chiedere agli amministratori maggiore sicurezza all’interno del parco pubblico, di servire l’area di appositi servizi igienici, ma anche di realizzare un adeguato impianto di illuminazione nella parte riservata agli orti. Gli stakeholders che interagiscono in questa area afferiscono sostanzialmente a tre settori che agiscono in tale progetto e si coordinano per la gestione del parco cercando di avere una visione Comune.

Rapporti istituzionali Rapporti sociali Rapporti cittadini Comune di Napoli Chiesa Santi Pietro e Paolo, Ponticelli Comitato Cittadino Assessorato all’Ambiente Comune di Napoli Chiesa S.mo Rosario Maria delle

Grazie del Felaco, Ponticelli

Presidente VI Municipalità Comune di Napoli Emergency Direttore U.O.C. Dipendenze ASL NA1 Libera Centro Diurno Lilliput ASL NA1 DSB 32 Associazione Culturale ―Arteteca‖ Collegio dei Periti Agrari e Periti Agrari Laureati

Associazione Culturale ―Pax Cultura‖

Istituto Scolastico Archimede Associazione Promozione Sociale ReMida

Istituto Scolastico Calamandrei Associazione Culturale Arcobaleno Istituto Scolastico. Sannino / Petriccione Associazione Ardea Istituto 48° Circolo Madre Claudia Russo

Tabella 1: gli attori che interagiscono per la gestione dell’orto urbano realizzato nel parco De Filippo, a Ponticelli (fonte nostra elaborazione)

Mensilmente tutte le realtà che gestiscono tale parco, coordinate dall’associazione Lilliput, si incontrato per definire e concordare le azioni da intraprendere e per valutare criticità da dover sottoporre all’amministrazione locale. Dai vari incontri tenuti con gli stakeholders di tale progetto si è potuto evidenziare che gli elementi volti a conseguire la funzione ambientale in tale parco sono: - Effetti di recupero del territorio e di mitigazione urbanizzazione - Recupero delle specie vegetali locali - Miglioramento delle produzioni locali - Aumento di conoscenza delle tecniche di coltivazione - Utilizzo fertilizzanti naturali Inoltre il centro Lilliput è riuscito ad ottenere quattro borse lavoro che evidenziano prodromi tangibili di funzione economica, creando una possibilità occupazionale. In tale progetto sono riscontrabili punti di debolezza, di forza e possibili minacce I punti di debolezza restituiscono le difficoltà che si trovano nella realizzazione del progetto:

- Percezione d’insicurezza legata al contesto sociale e ambientale; - Difficile legittimazione del proprio intervento dei soggetti istituzionali da parte della

cittadinanza; - Difficile legittimazione del proprio intervento dei soggetti non istituzionali;

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- Difficoltà nell’acquisizione di credibilità di tali progetti; - Difficoltà a dotarsi di sistemi normativi;

Punti di forza e opportunità costituiscono le caratteristiche della popolazione su cui il progetto può fare perno:

- Diffusa propensione alla cooperazione tra pari; - Assenza di pregiudizi verso gli i soggetti svantaggiati; - Presenza diffusa di soggetti orientati alla socialità; - Volontà estesa di condividere le competenze agricole;

Le minacce rappresentano le caratteristiche della popolazione che possono compromettere la realizzazione del progetto:

- Elevata età della popolazione e target non uniforme - Presenza di alcuni soggetti antagonisti al progetto - Diffidenza della popolazione nei confronti di soggetti esterni all’orticoltura - Percezione di inerzia dell’intervento istituzionale

Gli eventi durante l’anno sono molteplici e diversificati e vanno da incontri con le scuole del territorio a veri e proprio workshop con università. A novembre 2016 si è tenuto un Workshop Internazionale dedicato all’autocostruzione per sistemi di gestioni delle acque con materiali di riciclo. Questa ha coniugato come protagoniste diverse realtà della zona Est di Napoli tra le quali Università Federico II, Habitat Unit – Berlino, MASE – Cile, REMIDA, ed è Patrocinato dall’Ordine degli Architetti di Napoli. Tali iniziative vanno a considerare i parchi urbani come possibile strumento strategico per una concezione nuova di benessere che porti ad uno sviluppo sostenibile delle nostre città. Il concetto di città sostenibile fa riferimento molto più spesso a restrizioni e divieti su grande scala, piuttosto che a pratiche di vita positive concretamente promosse e reinserite dalle autorità pubbliche nelle nostre città. 6. Conclusioni

La gestione dei parchi urbani è questione concertata. La loro estensione su vasti territori che si va oltre i tradizionali confini amministrativi impongono sistemi di governance multiattoriale. All’interno del loro disegno si fa particolarmente attenzione alla assegnazione delle responsabilità e delle competenze. Ciò avviene mediante atti regolamentari oppure progetti concertati e soprattutto attraverso la partecipazione di una pluralità di soggetti, pubblici e privati, che, di concerto, sono chiamati ad operare per favorire la corretta gestione dei parchi. Ciò vale sia per Milano che per Napoli. La prima infatti ha determinato con appositi regolamenti i rapporti tra i comuni partecipanti che poi trovano naturale destinazione nelle assemblee e negli altri organi gestionali dell’ente parco. A ciò si aggiunge, la promozione delle relazioni tra i vari attori attraverso la realizzazione di progetti come la messa in rete dei piccoli produttori o dei comuni per la realizzazione di esperienze di orticultura sociale. Questa attività è poi favorita anche dall’azione aggregante‖ dei GAS e del Distretto rurale. In ogni caso, tutti questi sforzi per la convergenza dei vari interesse sfocia poi in una diversità di intenti che riflette la vocazione multifunzionale (turistica, agricola, sociale ambientale) del parco stesso. Dall’analisi del caso studio relativo al parco urbano di Ponticelli, emerge una gestione incentrata sulla riqualificazione del territorio, inteso come recupero di spazi dismessi con l’utilizzo di coltivazioni locali tipiche favorendo inclusione sociale tra varie realtà disomogenee tra loro. Il progetto risulta ben organizzato e tenta di superare le difficoltà di ottemperare alle esigenze dei vari attori locali caratterizzati da differenti target e condizioni socio-economiche. Il rapporto con l’amministrazione pubblica viene mediato dal partner capofila (centro diurno Lilliput). Purtroppo non sono mancati all’interno della struttura atti di vandalismo che hanno minato l’efficacia del progetto e si auspica una regolamentazione interna tra le varie anime dell’area al fine di favorire una gestione più efficiente del parco urbano.

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Tali attività vanno ad alimentare quel che è definito innovazione sociale afferente alla sfera urbana (Muolaert et al., 2013) creando la possibilità di determinare il mutamento urbano dal basso partecipando alla nascita ed ampliamento di tali attività vedendo il parco urbano come spazio pubblico multifunzionale. A sostegno di tale tesi si è potuto notare un favorevole supporto da parte della cittadinanza attiva, sostanzialmente entusiasta delle attività e dei progetti attuati, nonostante non siano mancati ostacoli dovuti ad un tessuto sociale delicato, caratterizzato da livelli di criminalità ancora non del tutto sradicati e non sempre combattuti in modo efficacie dall’amministrazione locale. Attraverso la creazione di orti all’interno di un parco urbano può avvenire un recupero e conseguente valorizzazione delle produzioni locali e tipiche a rischio di estinzione, rigenerandole mediante la trasmissione alle nuove generazioni, creando quella che viene definita social ecologicalmemory for ecosystem management‖ (Barthel et al, 2010). Inoltre svolgono un ruolo importante nella fruizione del tempo libero (Lipovská, 2013), riuscendo a creare un ambiente di condivisione sociale tra tutti gli stakeholders coinvolti creando un cardine di riferimento tra l’identità territoriale e la valorizzazione della cultura popolare. Si può sicuramente affermare che i giardini urbani si presentano come un valido strumento contro il degrado ambientale e la speculazione (Ghose & Pettygrove, 2014). Dunque la propensione agli orti urbani non è più mossa da esigenze di sopravvivenza, anzi superato il periodo dei Relief gardens‖ (giardini di soccorso‖ nel tentativo di fornire cibo per i bisognosi) e dei Victory gardens‖ cioè giardini guerra, orti piantati in residenze private e parchi pubblici per fornire un supporto all’alimentazione, si è arrivati ad un concetto di urb-benessere, che risponde a tutte le sfere fisiche e mentali del nuovo concetto di salute. Bibliografia S. Barthel, C. Folke, & J. Colding. «Social–ecological memory in urban gardens–Retaining the capacity for management of ecosystem services», Global Environmental Change 2010, pp. 255-265. J. Colding, «Ecological land-use complementation’ for building resilience in urban ecosystems», Landscape and urban planning 81.1, 2007, pp. 46-55. R. Ghose and M. Pettygrove, «Actors and networks in urban community garden development» Geoforum, 2014 pp. 53, 93-103 H. Graham, D.L Beall, M. Lussier, , S.McLaughlin, S. Zidenberg-Cherr, «Use of school gardens in academic instruction», Journal of Nutrition Education & Behavior, 2005, pp. 37, 147–151. B. Lipovská, «The fruit of garden tourism may fall over the wall: Small private gardens and tourism» Tourism Management Perspectives, 2013, pp. 114-121. F. Moulaert, «The international handbook on social innovation: collective action, social learning and transdisciplinary research», Edward Elgar Publishing, 2013, pp. 1-500. Città Metropolitana Milano, sito internet. www.ortosocialeponticelli.onweb.it

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Kepos e paradeisos, due tradizioni a confronto Marta Pileri

Università di Roma La Sapienza – Università di Roma – Italia Parole chiave: giardino pubblico, politica, storia dell’arte dei giardini, estetica

1. Introduzione Tentare l’esegesi dell’idea di giardino, nell’antichità e oggi, è un’operazione ardua che si traduce nell’interpretazione di tutti quegli aspetti – simbolici, storici, estetici, politici, botanici, ecologici e molti altri – che lo attraversano e, insieme, concorrono a formarlo matericamente. È necessario un approccio multidisciplinare che, mancando a chi scrive, rende inevitabilmente parziale questo testo; si può cercare però di focalizzare il significato politico del giardino, nelle sue espressioni più esemplificative, per capire come poter vivificare oggi il rapporto tra il giardino – nuovo e storicizzato – e la complessa, dinamica, fluida società attuale. Vi è infatti un forte legame tra il giardino (o parimenti il parco) e la politica intesa non solo come forma governativa ma come società da cui il giardino deriva, vita della polis e di chi la abita: il giardino è un prodotto dell’uomo, e come tale portatore dei suoi valori culturali. «[…] I giardini di un’epoca diventano rivelatori dello spirito che la anima quanto possono esserlo la scultura, la pittura, o le opere di scrittori»1. Nel giardino si esplicita il rapporto tra l’uomo e una natura immagine del mondo, «Eterna metafora della vita e immagine etica che investe il comportamento con le regole attive, vitali, a cui l’uomo è tenuto»2. 2. Il paradiso di Sardi

«Si dice che questo Ciro, quando Lisandro venne da lui per portargli i doni degli alleati, tra gli altri segni di cordialità gli abbia mostrato personalmente anche il paradiso di Sardi. Lisandro ne rimaneva meravigliato: gli alberi erano belli, piantati a distanza regolare e tutti formavano angoli perfetti; molti e gradevoli erano i p rofumi che li accompagnavano nella loro passeggiata»3. Con queste parole Senofonte fa raccontare a Socrate il paradeisos di Ciro a Sardi. Siamo alla fine del V secolo a. C., e i persiani hanno mutuato dalle popolazioni assiro-babilonesi il rapporto gioioso dell’uomo con una natura rigogliosa, abbondante, sacra. Le piantagioni sono soprattutto di grandi alberi (platano, palma, cedro, vite, alberi da frutto) disposti in filari regolari all’interno di quelli che, inizialmente boschi, possono chiamarsi i p rimi parchi (seppure non nel senso moderno del termine) della storia dell’arte dei giardini. Questi parchi sono situati vicino a una fonte d’acqua che li vivifica in forma di bacini, canali, laghi; rappresentano «il più grande ornamento del paese, e quindi erano i primi ad essere devastati dal nemico; contenevano piantagioni utili e legno prezioso, ma soprattutto grandi riserve di caccia. […] erano oggetti della massima importanza, tanto che la dimora vera e propria, cioè il palazzo, vi spariva dentro, e l’intera residenza veniva chiamata sinteticamente paradiso»4. Molteplici funzioni ha il parco: approvvigionamento, appagamento dei sensi, scenografia per la vita del re, cornice di udienze, ricevimenti e banchetti; è interessante a questo proposito notare che, in occasione di alcuni avvenimenti, i re aprivano i loro parchi per grandi feste popolari.

1 P. Grimal, L’arte dei giardini. Una breve storia, Roma, Donzelli Editore, 2000, p. 4. 2 M. Venturi Ferriolo, Giardino e filosofia, Milano, Guerini e Associati, 1992, p. 13. 3 Senofonte, Economico, Milano, BUR, 2015, p. 103. 4 M. L. Gothein, Storia dell’arte dei giardini, vol. I, Città di Castello, Leo S. Olschki Editore, 2006, pp. 43, 58.

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Senofonte nell’Economico ci informa dell’importanza assegnata all’attività agricola e alla piantagione di alberi, attività degna di esser praticata dal re stesso. Più avanti nel testo, l’autore insiste sull’analogia tra l’attività militare e quella agricola, entrambe ugualmente importanti e rette ambedue dalla stessa volontà ordinatrice del sovrano. Ecco allora il significato simbolico attribuito al parco: metafora politica del potere del re che ordina, geometrizza la natura così come comanda i suoi sudditi. Il re persiano vive letteralmente nel grembo di una natura benedetta (e la sua tomba si trova spesso all’interno di un boschetto funerario) che egli ordina secondo il suo volere, sentendo in quest’atto creatore la traduzione concreta della propria sovranità e legando alla bellezza e prosperità dei parchi l’immagine della sua potenza.

Assurbanipal durante un pranzo nel suo parco, da M. L. Gothein

3. Il kepos greco

Rispetto ai paradeisos persiani, l’esperienza greca non ha prodotto nulla di simile nell'arte dei giardini: non esistono rilevanti giardini privati e quelli conosciuti, persino quelli magnificati nell’epica omerica come il giardino di Alcinoo, sono poco più che orti. Il motivo di questo vuoto è da ricercarsi, seguendo la tesi di Massimo Venturi Ferriolo e di Marie Luise Gothein, nella costituzione democratica della Grecia, ovvero in quella struttura originale della società antica che è la polis. Così, l'assenza di una classe signorile privilegiata detentrice del potere impedisce lo sviluppo dell'arte dei giardini privati (che infatti avverrà in epoca ellenistica, quando la Grecia con la conquista di Alessandro Magno entrerà in contatto con i paradisi dell’Asia). L’arte dei giardini in Grecia appartiene invece alla sfera pubblica, ovvero ai luoghi della vita politica e religiosa della comunità: è nota la piantagione di alberi nell’agorà di Atene da parte di Cimone nel V secolo a. C.; numerose sono le descrizioni di giardini integrati agli spazi dei Ginnasi e d elle Accademie; la Gothein stessa afferma che «è in questi ginnasi, con i loro santuari, i sepolcri, le passeggiate riccamente adorne di statue e di sedili, con gli stadi e gli ippodromi circondati da viali, che vanno ricercate le radici dell’arte greca dei giardini»5. Inoltre è forte in Grecia come in Persia la sacralità del singolo albero e del boschetto, legati entrambi al luogo del tempio, alla divinità e alle sepolture. Occorre notare però che persino questi luoghi sono privi di una volontà ordinatrice della natura. Non solo: i templi sembrano disposti in modo casuale, non c’è un t empio uguale all'altro per dimensioni e posizione, e l’organizzazione dello spazio è apparentemente

5 M. L. Gothein, op. cit., p. 99.

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irrazionale. In realtà non è così. Le parole di Christian Norberg-Schultz possono aiutarci a comprendere meglio lo spazio greco, il rapporto tra le architetture e la natura e, attraverso di esso, quello tra la natura e l’uomo greco: «La localizzazione [dei templi] greca non era affatto arbitraria, ma determinata piuttosto dalla percezione dei significati dell’ambiente naturale. […] I santuari greci […] sono determinati dal carattere del luogo, il topos. […] Nella città greca mancano gli assi dominanti, e la posizione degli edifici principali è ancora determinata dal paesaggio circostante»6. L’uomo greco recepisce la varietà e s pecificità dei suoi paesaggi e, lungi dal volerli assoggettare alla sua mano, vi si sente parte integrante, adattando le sue architetture a quello che Norberg-Schultz chiama topos, ovvero al genius loci. L’uomo, stupito davanti allo spettacolo della natura, è dentro alla natura, essa stessa giardino, kepos ovvero grembo materno. Calza a proposito un passo del Fedro di Platone, in cui Socrate esce dal ‘confine’ della città e si incammina nella campagna circostante alla ricerca del locus amœnus adatto per filosofare. Il luogo è così descritto: «Per Era, che bel posto! Il platano è alto e ha la chioma molto ampia, alto e ombroso anche il bellissimo agnocasto: è al culmine della fioritura e rende profumato tutto il luogo. La sorgente è molto gradevole e scorre sotto il platano con acqua freschissima, come si può s entire con il piede. […] E poi, com’è piacevole e d olce la brezza di questo posto: una melodia estiva che fa da eco al coro delle cicale. Più elegante di tutto è l’erba, in dolce pendio, che si presta ad accogliere morbidamente il capo di chi vi si stenda»7.

Tempio di Atena Pronaia a Delfi

4. Versailles: aux miracles de l’art fait céder la nature

È impossibile ridurre in poche righe il salto bimillenario che separa l’esperienza persiana da quella della Francia del Re Sole. L’associazione di idee tra il paradiso asiatico e il giardino formale francese è suggerita dai condivisi principi compositivi, nel giardino o parco, di ordine e simmetria come esplicitazione del potere del sovrano, principi che in queste due esperienze, pur molto lontane nel tempo, diverse per natura del territorio e soluzioni formali raggiunte, raggiungono le espressioni più esemplificative.

6 C. Norberg-Schultz, Il significato nell’architettura occidentale, Milano, Electa Editore, 2012, p. 24. 7 Platone, Fedro, Milano, BUR, 2006, pp. 19, 21.

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Tuttavia per comprendere appieno il significato sotteso ai giardini di Le Nôtre è necessario capire il quadro culturale e sociale in cui essi furono creati, quadro che li distanzia dai paradisi asiatici e ne fa il trampolino di lancio verso la modernità. Dopo l’esperienza dell’Impero Romano, sintesi superba e originale delle tradizioni ellenistica, egiziana, mediorientale, l’eredità dell’arte dei giardini attraversa, in Occidente, quello stravolgimento socio-culturale che è stato l’affermarsi del cristianesimo. Il giardino si è fatto Eden e, come questo, ha alzato un muro intorno a sé: riproduzione di un luogo altro, separato dal mondo, un luogo ideale da cui l’uomo è stato cacciato. Il mondo, al contrario, è “suolo maledetto”8, la natura è nemica, la terra arida e d esolata; «L’uomo così esiliato in una terra ingrata piena di rovi e spine, nella triste necessità di coltivarla col sudore della fronte […] conservò sempre la memoria di questo soggiorno delizioso che aveva perduto per colpa sua […] Da questa impressione segreta e naturale della bellezza di tale luogo originario [derivano] gli sforzi che gli uomini hanno sempre fatto […] per avvicinarvisi per quel che può la natura umana»9. Con queste parole Delamare, al servizio del Re Sole, giustifica l’origine dei giardini, attribuendone la creazione all’azione dei re attraverso la signoria sulla natura; curiosamente proprio lui distingue la tradizione del kepos greco dalla quella – a cui si ricollega – dei paradisi orientali10. Non è corretto spiegare la morfologia del giardino, dall’hortus conclusus a Versailles, solo col desiderio dell’uomo di riprodurre un paradiso perduto: Grimal ci ricorda anche che le civiltà più lontane dalla natura sono quelle che nella contingenza ne hanno subìto la furia, come un periodo di carestie11. Tuttavia è innegabile che fino all’affrancarsi dell’uomo dal principio di autorità religiosa, nel XVII secolo, persino gli organici e raffinati impianti cinquecenteschi delle ville italiane restano all’interno di un muro, protetti, separati da una natura ostile da cui debbono difendersi. L’uomo del XVII secolo è un uomo in profonda crisi; le nuove scoperte geografiche e scientifiche minano le sue certezze, lo detronizzano da centro dell’universo e mettono in discussione le verità dogmatiche cristiane12. L’armoniosa geometrizzazione delle forme come specchio dell’ordine divino fa posto a opere vibranti cariche di tensione, di dubbio; la visione statica, accentratrice rinascimentale cede ad uno sguardo più dinamico, centrifugo, teso oltre i confini del mondo conosciuto. Infine, cade il muro13. E a Versailles (prima a V aux-le-Vicomte), in cui la scelta delle specie vegetali, dei colori, delle visuali prospettiche, della combinazione di pieni e vuoti, di masse arboree ed elementi ornamentali quali parterres, boulingrins, berceaux etc. risponde ad una volontà progettuale che «ai miracoli dell’arte fa cedere la natura»14, vediamo che oltre il giardino, a fargli da cornice e orizzonte per l’occhio dell’osservatore, c’è la natura selvaggia; il canale d’acqua, perpendicolare all’asse, sparisce nella natura. Per la prima volta dopo molti secoli, l’infinito torna nel giardino: tra dentro e fuori, più nessun confine. L’uomo, finalmente, è pronto per affrontare la natura.

8 Genesi, 3, 17. 9 N. Delamare, Traité de la Police, in M. Venturi Ferriolo, op. cit., p. 104. 10 Vedi su questo tema M. Venturi Ferriolo, op. cit., e Pensare il giardino, a cura di P. Capone, P. Lanzara, M. Venturi Ferriolo, Milano, Guerini e Associati, 1992. 11 P. Grimal, I Giardini di Roma antica, Milano, Garzanti, 1990. 12 Si veda su questo tema B. Brecht, Vita di Galileo, Torino, Einaudi, 1963. 13 «Ma tutti questi giardini sono semplicemente altrettante versioni del “paradiso” quadripartito e cintato da un muro, adattate con grande abilità a u na varietà di luoghi. Fu André Le Nôtre, nel baldanzoso Seicento, ad abbattere il muro dell’Eden.» in C.W.Moore, W.J. Mitchell, W. Turnbull Jr., La poetica dei giardini, Padova, Franco Muzzio Editore, 1991, p. 15. 14 F. de Malherbe, Œuvres poétiques, Paris, Flammarion editore, 1993.

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Giardini di Versailles

5. La moderna democratizzazione del giardino

L’associazione suggerita ‘autoritarismo – giardino formale’ ci lascia immaginare per la società moderna un giardino informale, o a ddirittura affatto un giardino (e il ritorno alla ‘prima’ natura15). Tuttavia anche questo binomio è semplicistico: il r inato ‘sentimento della natura’ che ha investito l’Europa già dal Seicento, nato come esigenza spirituale di poeti, filosofi, pittori (da Bacone a Goethe16) si traduce materialmente nella formulazione inglese del giardino paesaggistico, e «[…] va considerato alla stregua di quello geometrico. Suo obbiettivo è l a combinazione della natura selvaggia con un’arte che metta in valore le parti attrattive e elimini i punti difettosi; aggiunge le sue invenzioni alle necessità della bellezza dissimulando abilmente la sua presenza»17. L’uomo non si limita più a bearsi nel kepos e imita la natura per guidare, con mano sottile, le emozioni dell’osservatore attraverso il giardino; tuttavia ora egli è dentro la natura, luogo di sentimento, di conoscenza e, come tale, da salvaguardare. Questo nuovo s entire va poi messo in relazione con il rapido cambiamento che la società subisce negli anni della Rivoluzione industriale, per cui insieme alla città evolve la concezione degli spazi collettivi: da pubblico passeggio delle corti, abbellimento della città e luogo di svago della nobiltà (nascono a Parigi nella seconda metà del Seicento i boulevard) il giardino si trasforma in luogo di ricreazione e salubrità per la nuova classe proletaria. Si veste di nuove funzioni, risponde a mutate esigenze, diviene sfogo naturale di una popolazione che sopporta dure condizioni di lavoro, mentre collassano le condizioni igienico-sanitarie di città ‘esplose’18. Ecco perché, nonostante le aperture dei giardini alla cittadinanza siano in uso, come concessione del proprietario, già nella Francia del XVII secolo (e prima, nelle ville cinquecentesche italiane con la lex hortorum), la nascita del giardino pubblico moderno coincide con la democratizzazione della società e d el giardino stesso, nell’Inghilterra ottocentesca.

15 Sulla definizione di prima e seconda natura vedi Cicerone, De Natura Deorum, libro II, 152. 16 Si vedano, tra gli altri, gli scritti di W. Temple, A. Pope, Shaftesbury, J. Addison, W. Hogarth, Montesquieu, J. J. Rousseau, T. Whately, H. Repton. 17 E. André, Traité général de la composition des parcs et des jardins, Marsiglia, Laffitte Editore, 1984. 18 Si veda sull’argomento F. Panzini, Per i piaceri del popolo, Bologna, Zanichelli Editore, 1993.

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Il giardino – come simbolo e come spazio materico – è tutt’oggi attraversato dalla questione sociale, più che mai attuale; nell’involuzione qualitativa delle città contemporanee, in cui il confine tra città e campagna è dissolto nel paesaggio di cemento delle periferie, a quali istanze deve rispondere? Quale immagine di mondo rispecchia oggi il giardino, di quale idea oggi è depositario?

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Villa Venosa in Albano Laziale – note di storia e conservazione

Genna Negro Università di Roma La Sapienza – Roma – Italia

Parole chiave: Villa Venosa, storia dei giardini di Roma, restauro dei giardini 1. Lo stato dell’arte dei giardini a Roma

Il 1885, anno in cui il principe di Venosa, Ignazio Boncompagni Ludovisi (1845-1913)1 inizia la costruzione della nuova Villa di Albano, ricade nello stesso periodo storico in cui si assiste alla decadenza delle più belle ville romane che vengono vendute e distrutte per lasciare spazio ai nuovi palazzoni destinati alla grande massa di impiegati della nuova Capitale d’Italia. A differenza di quanto stava accadendo in altre Nazioni, Roma stava assistendo ad un periodo critico per l’Arte dei giardini2. Ignazio fin da giovane aveva manifestato il suo atteggiamento politico a favore dell’Unità d’Italia. Divenuto Senatore del Regno nel 1886, indirizzò la sua forza vitale verso la cultura e in particolare verso l’Arte dei giardini, a tal punto che decise di acquistare una villa già esistente ad Albano Laziale e trasformarla in una villa di carattere moderno. Si dedicò con passione ai lavori di costruzione e di trasformazione, riuscendo a conferirle un carattere unico e a renderla una delle più belle ville romane e italiane. L’amore per i giardini da parte dei Boncompagni risaliva già a suo padre, Antonio, che ebbe gran premura di coltivare ed arricchire la famosa villa di Roma, conservando la parte classica e ampliandola con un carattere di parco all’ inglese3. Il progetto per il nuovo impianto di Villa Venosa fu affidato a Beniamino Mauri, esperto giardiniere brianzolo di grande maestria, già capo giardiniere della villa paterna. Nel 1859 la villa iniziava a prendere le sembianze definitive, circondata dal nuovo grande parco di stile inglese (fig. 1). Come nella villa di Roma, vi erano bellissime spalliere di alloro e lauroceraso, che circondavano i viali secondari verso la parte bassa, a ricordo dei labirinti dei giardini classici; il viale principale era già tracciato e percorreva l’intero parco con andamento serpentino, ed alberi rari erano disposti a boschetto o isolati. Desideroso di conoscenza, Ignazio costituì una piccola e completa biblioteca di opere di botanica e di giardinaggio con lo scopo di garantire un completo sviluppo a ciascuna pianta. Stimolato da esperti e appassionati tra i quali Alfonso Astesiano, un politico che possedeva a Roma un giardino ricco di una grande varietà di piante, Ignazio Boncompagni stabilì di conferire al suo nuovo impianto il carattere di un parco di collezione.

1 Il Principe Ignazio Boncompagni Ludovisi era il secondogenito di Don Antonio, principe di Piombino. Prese attivamente parte alla vita politica seguendo le orme del padre, che sin dalla più tenera età gli aveva trasmesso i principi del liberalismo e del patriottismo. Si dedicò con dedizione alla conoscenza e all’Arte dei giardini. 2 Cfr. M. de Vico Fallani, Storia dei giardini di Roma nell’800, Roma, Newton Compton Editori, 1992, pp. 15-44. Altre notizie fondamentali sullo stato dell’Arte dei giardini in Italia e a Roma, in: L. Dami, Il Giardino italiano: tesori d’arte Italiana, Milano, Bestetti & Tumminelli, 1924, e in: M. Pasolini, Il giardino italiano, Loescher, 1915. 3 In generale lo stile inglese si era diffuso in Italia con ritardo rispetto ad altri Paesi come la Francia e la Germania; in particolare, nell’Italia del Nord si diffuse già nei primi dell’Ottocento, mentre nell’Italia centrale verso la metà dell’Ottocento. Tutti i giardini nuovi venivano realizzati secondo questo stile paesaggistico. Per quanto riguarda invece i giardini antichi esistenti, raramente questi vennero distrutti, lo stile inglese venne adottato soltanto nelle zone periferiche o in quelle di recente acquisizione.

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Pianta della Villa Venosa in Albano Laziale (da La Villa Venosa in Albano Laziale, 1917) 2. Memoria, riconoscimento ed importanza della Villa

L’unica testimonianza oggettiva che descrive la villa allo status dell’apice del suo splendore è il libro dedicato al Principe dopo la sua morte dalla moglie Teresa Marescotti, pubblicato del 1917 ed edito in soli 300 esemplari4. Il libro inizia con un’apologia del principe firmata da Ferdinando Martini (1841-1928)5 e prima della descrizione analitica di ogni parte della villa con il prospetto sistematico di ogni individuo vegetale presente, contiene un’interessantissima introduzione del noto botanico Giuseppe Cuboni (1852-1920)6 che inquadra il tema particolare in un più ampio quadro

4 La Villa Venosa in Albano Laziale, Bergamo, Officine dell’Istituto italiano d'arti grafiche, 1917, con scritti di Ferdinando Martini, Giuseppe Cuboni, Anna Evangelisti, Alfonso Astesiano, Emilio Chiovenda, Giovan Battista Traverso. 5 Giornalista e scrittore, Ferdinando Martini prese attivamente parte alla vita politica. Fu uno dei fondatori dell’istituto dell’Enciclopedia Italiana. 6 Noto biologo e agronomo italiano, Giuseppe Cuboni fu pionere della patologia vegetale. Si dedicò allo studio e sperimentazione venendo a conoscenza di due importanti parassiti della vite: la Peronospora e la Fillossera.

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storico internazionale, ricavato, come dichiara lo stesso autore, dall’opera di Maria Luisa Gothein Geschichte der Gartenkunst, la cui prima edizione risaliva proprio a quegli anni, e che egli definisce: «la più dotta e completa di quante sono state finora pubblicate sull’argomento»7. Il volume è corredato da un disegno della planimetria (fig.1) del parco al tempo del Principe che riporta accuratamente e dettagliatamente lo stato dei luoghi con l’indicazione dei singoli alberi raffigurati con modelli grafici specifici a seconda che si tratti di alberi a portamento fastigiato o globoso, palme, massivi, bordure e aiuole. Cinquantasei tavole, delle quali dodici a colori e quarantaquattro in bianco e nero, ottenute da fotografie ritoccate, ci mostrano la villa sotto i suoi molteplici aspetti pittoreschi che ci fanno rivivere con meraviglia e stupore la magia e la bellezza di una villa unica in tutta i suoi aspetti. Il Principe riuscì appieno a riportare lo splendore nell’Arte del giardini ideando e realizzando una villa degna di essere ricordata per la semplicità delle forme sinuose e per la ricchezza, mai vista prima di allora, con 364 specie differenti e 3426 esemplari, che non aveva nulla a invidiare alla famosa villa fiorentina del Principe Anatolio Demidoff8. 3. Analisi descrittiva della composizione della villa

La villa si estendeva su un terreno di circa sette ettari in leggero declivio posto nelle vicinanze di villa Corsini; l’ingresso principale dava sulla via Appia, (tratto Borgo Garibaldi) mentre due ingressi secondari, uno su via della Stella e uno su via della Cecchina permettevano l’accesso sui due lati. L’impianto della villa, nel massimo del suo splendore, era dovuto a tre fasi storiche. La prima è compresa tra gli anni 1857–1859, in cui prende forma l’ossatura del parco, con la presenza di un numero rilevante di conifere quali pini, abeti, cedri, e poi viali serpentini di lecci, platani, aceri e tigli, disposti, come già accennato, ora a gruppo ora isolati. A questa fase si deve il carattere del parco, che fu di puro stile inglese. Vi è l’abolizione della linea retta per dare spazio alla sinuosità del viale principale, che curvando ora a destra ora a sinistra creava visuali inaspettate, zone di ombra e di luce. La seconda fase risale agli anni compresi tra il 1859 e il 1885, durante i quali il Principe conferisce alla villa un carattere di modernità mediante l’inserimento delle prime piante esotiche, ad eccezione delle quattro palme da dattero sul piazzale di accesso al parco, già esistenti prima di tale anno (fig. 2). Non mancavano le piante rampicanti con lo scopo di mascherare luoghi o oggetti poco gradevoli alla vista e per conferire un aspetto romantico e suggestivo. La terza fase che conduce all’apice dello splendore della villa è riconducibile agli anni che seguono il 1885, durante i quali il Principe, appassionandosi e dedicandosi sempre più con grande interesse alle piante esotiche, decide di trasformare la villa in giardino di collezione, inserendovi piante uniche e rare fino ad allora non presenti in nessun altro giardino di Roma e dintorni, e né in Italia. Il rigido clima invernale, non idoneo per le piante esotiche, bisognose di caldo ed umidità, convinse il Principe a realizzare dodici serre. Ogni serra ospitava piante differenti. La prima ad essere costruita, nel 1885, fu la cosiddetta Serra della Lodoicea che ospitava, oltre essere il ricovero di molte piante tropicali, la rarissima palma delle isole Seycelles, palma che destava invidia a tutti gli ospiti del Principe. A seguire fece realizzare la Serra olandese, la serra temperata o arancera, la serretta sotto l’arancera, la serra fredda per la

7 La Villa Venosa in Albano Laziale, Bergamo, Officine dell'Istituto italiano d'arti grafiche, 1917, p. 4. 8 Fu una delle più belle ville di stile inglese ottocentesche di Firenze ricca di serre e collezioni botaniche rarissime; la villa venne interamente distrutta durante i lavori per l’ingrandimento di Firenze.

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palma grande, la serra di moltiplicazione, la serra degli Odontoglossum particolarmente amata dal Principe.

Piazzale d’ingresso con Poenix Dactylfera (da Vila Venosa in Albano Laziale)

Boschetto di lecci presso la Capanna (da Vila Venosa in Albano Laziale)

Fece costruire un Tepidario, due serre per le rose, la serra dei garofani e la serra fredda per le palme piccole. In Storia dell’Arte e dei Giardini, la Gothein, nel capitolo dedicato al giardino paesaggistico inglese, riporta alcuni passi del saggio L’arte orientale dei giardini di Champers: «[…] si deve far divertire lo spettatore, tenere continuamente sveglia la sua attenzione, e stimolare la curiosità commovendo lo spirito per mezzo di una contrastante varietà di sensazioni».9 Il

9 M. L. Gothein, Storia dell’Arte e dei giardini: dall’Egitto al Rinascimento. Spagna e Portogallo – Dal Rinascimento fino ai nostri giorni, edizione italiana a cura di M. de Vico Fallani e M. Bencivenni, Firenze, Olschki, 2006, p. 958.

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Principe riesce appieno a stupire lo spettatore che, con cambi fluidi e repentini di direzione, si imbatte in scenari differenti, si trova di fronte a bellezze inaspettate, a singoli alberi da ammirare in tutta la loro bellezza ed eleganza. Villa Venosa vantava di essere la più bella villa fino ad allora mai realizzata. Come riportano Alfonso Astesiano, Emilio Chiovenda (1871–1941)10 e Giov. Battista Traverso (1878–1955)11 nel capitolo dedicato a La villa: «Il Principe di Venosa amava di cuore le piante della sua Villa, si occupava seriamente del loro benessere, non voleva che soffrissero in alcun modo; e avvenne talvolta che, se un ramo adagiandosi al suolo ingombrava il passaggio, egli preferì deviare il passaggio anziché tagliare il ramo. […] Pensava tutto, regolava tutto da sé, perché competente e studioso»12. Dal viale principale serpentino si dipartiva una serie di viali secondari. Dall’ingresso principale ci si imbatteva dapprima in una vegetazione tipica italiana con viale di lecci e platani, per poi imbattersi inaspettatamente in una serie di palme ora disposte isolate ora a gruppetto: Jubaea chilensis, Cocos Odorata, Washingtonia robusta. Si poteva ammirare la bellezza della Cycas revoluta, che, come riporta Anna Evangelista nella sezione ‘Sguardo generale’ del volume su Villa Venosa, si presentava «con stipite alto un metro e mezzo e cinta all’intorno da numerosi polloni, che rivaleggiano con la pianta madre per la bellezza delle fronde».13 Piantò anche la rarissima Rhapidophyllum histrix della Florida. Della stessa scena faceva parte il boschetto del Vascone con la funzione di distribuire l’acqua all’intero parco. Subito dopo, il cambio di direzione coincide con il cambio della scena: una capanna di forma esagonale domina il quadro (fig. 3); tutt’intorno aiuole di begonie e altri fiori dai colori vivi. Un paesaggio montano coglie inaspettato il visitatore con un folto bosco di abeti e varie conifere; fra queste un altissimo esemplare di Cupressus macrocarpa var. Lambertiana, un Cedrus Libani e un Cedrus atlantica. Le serre erano circondate da rose. Nel parco vi erano inoltre numerose sorgenti d’acqua arrangiate artisticamente, come la roccaglia centrale dalla quale una cascata d’acqua si frangeva in una vasca colma di papiri e calle. 4. Osservazioni conclusive Nonostante la loro importanza botanica, storica ed artistica, la Villa e il parco, nel corso degli anni, hanno subìto una infausta sorte. Dopo il passaggio al comune di Albano l’intera proprietà è stata frazionata: muri, recinti e alte reti suddividono materialmente il vecchio giardino. Edifici incongruenti hanno preso il posto delle serre, degli spazi di sosta e delle aree destinate ad orto per la coltivazione di fiori recisi. La massa uniforme ma contenuta del bosco a carattere montano ha preso il sopravvento. Emozioni di stupore che un tempo affascinavano il visitatore si sono trasformate in senso di inquietudine e desolazione. Un recente sopralluogo ha permesso di prendere visione dello stato dei luoghi. L’antico ingresso principale che dava su via Appia ha perso il suo valore monumentale. Parte dell’edificio principale è stato occupato da un asilo che si estende anche sull’area dell’antico cortile di servizio. Dove il viale curvava per dare spazio all’antico tennis e discendeva in linea retta davanti ad una specie di anfiteatro, oggi sorge la sede dell’Istituto del Turismo “Sandro Pertini”. Una rilevante porzione del parco, aperta al pubblico, versa in condizioni d’incuria e d’abbandono: i viali, appena leggibili in alcuni tratti, sono per lo più scomparsi e soffocati

10 Laureatosi in scienze naturali nel 1898, Chiovenda mostrò sin da subito il suo interesse sulla flora della val d’Ossola realizzando realizzando un erbario di oltre 20.000 campioni. 11 Botanico e micologo italiano, all’età di soli venti anni realizzò un catalogo delle piante vascolari. La Società Botanica Italiana gli concesse la pubblicazione del «Bollettino bibliografico della botanica italiana» (1914-1916). 12La Villa Venosa in Albano Laziale, Bergamo, Officine dell'Istituto italiano d'arti grafiche, 1917, p. 41. 13Ibidem, p. 39.

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della fitta vegetazione spontanea; alberi caduti ostacolano il percorso, alberi che un tempo dovevano apparire nella loro splendida forma sono circondati da ailanti cresciuti spontaneamente; i maestosi lecci svettano senza forma, asfissiati anch’essi da vegetazione infestante (fig. 4).

Viale di Lecci invasi da vegetazione infestante (2017, foto dell’autrice)

Numerosi polloni spontanei di Celtis australis sovrastano le strutture delle “Grotte di pozzolana”; la cascatella, con la vasca un tempo piantata a papiri e calle, è quasi irriconoscibile, inaridita e semi distrutta. Un maestoso Cedrus atlantica domina ancora oggi la scena; sono riconoscibili alcune palme e i lecci appartenenti all’impianto originario. Solo due delle dodici serre, non più funzionanti ma ancora in piedi, sono testimoni della attenta cura del Principe per le piante che necessitavano di ricovero invernale. Nonostante il recente interesse volto al restauro dei giardini storici, formalmente celebrato con l’elaborazione della Carta dei Giardini Storici detta “Carta di Firenze” del 198114, monumenti come la Villa Venosa in Albano laziale sono semi distrutti e praticamente ignorati dalle istituzioni pubbliche preposte alla tutela del nostro patrimonio artistico.

14 Cfr: Protezione e restauro del giardino storico, a cura di Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Regione Toscana Giunta regionale, Firenze, 1987, e Tutela dei giardini storici: Bilanci e prospettive, a cura di Vincenzo Cazzato, Roma, Ufficio Studi del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 1989.

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