MI mar_mag 2014 ok

60
Musica Insieme COntemporanea fra Schoenberg, Maderna e nove prime esecuzioni Viaggio musicale attraverso l’Europa con il violino di Janine Jansen Primavera di stelle con il klezmer della Mahler, la Russia di Bashmet e il pianoforte di Lupu e Volodos marzo/maggio 2014 Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.2/2014 – anno XXIII/BO - € 2,00

description

MI mar_mag 2014 ok

Transcript of MI mar_mag 2014 ok

Musica Insieme COntemporaneafra Schoenberg, Madernae nove prime esecuzioni

Viaggio musicale attraverso l’Europacon il violino di Janine Jansen

Primavera di stelle con il klezmerdella Mahler, la Russia di Bashmete il pianoforte di Lupu e Volodos

marzo/maggio 2014

Sped

izion

ein

A.P.

-D.L

.353

/200

3(c

onv.

inL.

27/0

2/20

04n°

46)a

rt.1,

com

ma

1,D

CB

(Bol

ogna

)-B

imes

trale

n.2/

2014

–an

noXX

III/B

O-€

2,00

SOMMARIOn. 2 marzo - maggio 2014

EditorialeParole, parole, parole… di Fabrizio Festa 9

50

29

52

12

14

Per leggereMusica in catalogo: Berio, Beacco, Murakamidi Chiara Sirk

Il calendarioI concerti marzo / maggio 2014

24Il profiloLeoš Janácek di Fabrizio Festa

26I luoghi della musicaDalla scena al dipinto di Maria Pace Marzocchi

Da ascoltareL’intellettuale leggerezza di Jansen, Volodos, Lupue Romanovsky di Lucio Mazzi

Musica Insieme in AteneoFra Russia e Germania di Elisabetta Collina

MICO - Musica Insieme COntemporaneaLe mille voci dell’oggi di Fulvia de Colle

18IntervisteJaan Bossier di Anastasia MiroItamar Golan di Cristina FossatiArcadi Volodos di Alessandro Di Marco

2022

Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme

In copertina: Janine Jansen6 IM MUSICA INSIEME

9IM MUSICA INSIEME

EDITORIALE

PAROLE, PAROLE, PAROLE…

Fabrizio Festa

È davvero singolare osservare la disparità cheesiste tra la centralità del dibattito sulle vi-cende culturali (cittadine e nazionali) e lamarginalità che le medesime rivestono dalpunto di vista dell’impegno delle risorse.Prendiamolo come un dato di fatto. Cosìsi discute anche con una certa quale durezzasu una mostra-grande evento, ma in un con-testo in cui parrebbe proprio che nessunoin realtà voglia sfruttare tale “evento” perle potenzialità che potrebbe avere. Certo,che Bologna non riesca a valorizzare i suoitesori (tanti e importanti), e si sia costret-ti a importare un quadro celebre per attrarrevisitatori non può non lasciare una qualcheperplessità. Si tratta, però, di un dejá-vu.Quante volte, infatti, su queste stesse pa-gine abbiamo scritto che la programmazionemusicale bolognese non ha nulla da invi-diare a quella delle altre capitali europee del-la musica, e che anzi, considerando il rap-porto tra il numero degli abitanti (e quin-di della possibile utenza) e la qualità/quan-tità della programmazione medesima, Bo-logna primeggia in Europa (e non solo).Dunque, quel dibattere sembra non volerandare al punto: valorizzare al meglio le ri-sorse in campo. E ora che anche la nostraventisettesima stagione volge verso la sua

conclusione, vorremmo richiamare l’at-tenzione su un semplice, ma significativodato: chi sarà di scena al Manzoni da mar-zo a maggio. Ovvero chi saranno i nostriospiti. Si comincia coi Solisti della MahlerChamber Orchestra, poi Yuri Bashmetcon il suo ensemble, il violino di Janine Jan-sen accanto alla tastiera di Itamar Golan,ed infine due straordinari pianisti: RaduLupu e Arcadi Volodos. Si tratta di alcunitra i maggiori protagonisti della scenamusicale internazionale, che Musica Insiememette a disposizione della città, inserendoliin un quadro di attività formative e infor-mative articolato e coerente. Ed è propriotale coerenza e tale articolazione a sostenerela nostra affermazione: cioè che mettiamoa disposizione della città il nostro impegnodi operatori culturali. Abbiamo coinvoltoil pubblico dei comuni della provincia e glistudenti degli istituti secondari superiori.Quelli dell’Università, anche, e quelli cheamano la contemporanea. Sempre tenen-doli informati grazie proprio a questa rivista,le cui pagine sono state più volte offerte achi opera come noi nella musica, ma sen-za ottenere risposta. Che il nostro modo diprocedere, le nostre scelte programmatichee persino il nostro tipo di comunicazionespesso vengano copiati non lo consideria-mo un titolo di merito. Al contrario, pre-feriremmo, e senza neppur pensare alla tan-to invocata cabina di regia, che ci si ac-cingesse tutti a collaborare animati dal me-desimo spirito: valorizzare concretamenteil frutto di tanto impegno.

Foto

Fran

cesc

oM

amm

arel

la

12 IM MUSICA INSIEME

MUSICA INSIEME IN ATENEO

incere una, o magari più, impor-tanti competizioni internazionaliè a tutt’oggi la maniera di acqui-

sire la chiave d’accesso per una significa-tiva carriera internazionale. LeonardoColafelice, oggi poco più che diciottenne,ha già collezionato un palmarès di tuttorispetto. Marta Argerich lo ha premiatoalla “YAMAHA USASU Piano Compe-tition”. Dal Giappone agli Stati Uniti,dove vince lo “Hilton Head”. Ed infine– per il momento – eccolo tornare nelvecchio continente, in Danimarca perl’esattezza dove conquista il primo premioal Concorso di Aarhus. Dunque, Leo-nardo Colafelice approda a Musica In-sieme in Ateneo già forte di un riconosci-mento oseremmo dire planetario, che ci facredere sia solo l’inizio di una brillantis-sima carriera. Che sia un virtuoso, e cioèami presentare in pubblico brani impe-gnativi, attraverso i quali mettere in lucetutto il suo talento, lo dimostra il pro-gramma, sotto il segno della musica russa,che ha scelto per questo suo recital bolo-gnese, che lo vedrà esibirsi all’Auditoriumdei Laboratori delle Arti giovedì 20marzo. In apertura troviamo quel vero eproprio tour de force pianistico che sonole Variazioni su un Tema di Corelli op. 42composte da Sergej Rachmaninov. Iltema in oggetto è quello della celebreFollia (nella dodicesima tra le Sonate diCorelli), danza che peraltro si avvale diun altrettanto celebre basso ostinato. Ra-chmaninov è ormai nel pieno della suamaturità quando porta al debutto que-sta, che diverrà presto una delle sue pa-gine più eseguite ed amate dal pubblico.A seguire Prokof ’ev, le Visions Fugitivesop. 22, e quella che da molti è conside-rata tra le più impervie pagine pianisti-che dell’intero repertorio: i Tre Movi-menti da Petruška di Igor Stravinskij.Dunque Novecento russo, un Nove-

cento in cui il pianoforte viene portatoancora oltre i limiti. L’ultimo degli ap-puntamenti di Musica Insieme in Ate-neo, realizzato lunedì 7 aprile in colla-borazione con il Centro la Soffitta,braccio produttivo del Dipartimentodelle Arti dell’Università di Bologna,vedrà invece in scena tre esperti came-risti, in un programma dal titolo “Nelsalotto di Clara Schumann”: il clarinet-tista Andrea Massimo Grassi, il vio-loncellistaMichael Flaksman e la pia-nista Anna Quaranta. Una formazionela loro che ha trovato nell’Ottocentoriscontri importanti, e che seguendo ilfil rouge di quest’edizione di MusicaInsieme in Ateneo rivolgerà le sue atten-zioni al repertorio tedesco. Concluderàla loro esibizione l’intenso Trio in laminore op. 114, frutto di un Brahmsnel pieno di quella straordinaria matu-rità, in cui videro la luce molti tra isuoi capolavori. Del compositore diAmburgo anche la pagina che verrà pre-sentata in apertura di concerto, trattasempre da quella splendida maturità. Sitratta, infatti, della Sonata in mi be-molle maggiore op. 120 n. 2 per clari-

netto e pianoforte. Tre anni all’incircaseparano queste due opere: il Trio data1891, nel 1894 debutta invece la So-nata. Che il clarinetto sia il filo con-duttore tra questi due pezzi è più cheuna singolare coincidenza. Brahms giànell’estate del 1890, dopo aver portato atermine il Quartetto op. 111, sembravadeciso a chiudere la sua carriera. A farglicambiare idea un incontro casuale:quello col clarinettista Richard Mü-hlfeld, che ovviamente cercò di convin-cerlo a comporre per il suo strumento,quel clarinetto che proprio nel contestodella musica tedesca ed austriaca avevaconquistato uno spazio di primo piano.Ecco allora il Trio, poi il Quartetto op.115 e le due Sonate op. 120. Coerente-mente tra le due opere brahmsiane tro-viamo l’omaggio a chi Brahms lo avevascoperto e lanciato sulla scena: RobertSchumann. Suoi i Fantasiestücke op. 73,originariamente composti (nel 1849)proprio per clarinetto e pianoforte, edei quali poi Schumann stesso preparòuna versione per violoncello; ed è ap-punto quest’ultima che ascolteremo.

Si conclude il viaggio di Musica Insieme in Ateneo con uno straordinario talentopianistico al suo debutto a Bologna, e con un trio di esperti cameristi, ospiti

di un ideale salotto in casa Schumann di Elisabetta Collina

Fra Russia e Germania

marzo 2014 giovedìLeonardo Colafelice pianoforteMusiche di Rachmaninov, Prokof’ev, Stravinskij

20

aprile 2014 lunedìAndrea Massimo Grassi clarinettoMichael Flaksman violoncelloAnna Quaranta pianoforteMusiche di Schumann, Brahmsin collaborazione conCentro La Soffitta – Dipartimento delle Arti

7

CALENDARIOMARZO - APRILE 2014

L’ingresso a tutte le manifestazio-ni della rassegna è gratuito per glistudenti ed il personale docente etecnico amministrativo dell’Univer-sità di Bologna; gli inviti posso-no essere ritirati presso la sededell’URP in Largo Trombetti n. 1la settimana precedente ciascunconcerto (Lunedì, Martedì, Mer-coledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30;Martedì e Giovedì dalle 14,30alle16,30). Il giorno del concer-to, tutti i cittadini potranno ritiraregli inviti ancora disponibili, recan-dosi all’URP negli orari di apertura.

VLaboratori delle Arti /Auditorium

(Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b) ore 20,30

14 IM MUSICA INSIEME

re concerti in tre mesi comple-teranno la nona edizione diMusica Insieme COntempora-

nea, nell’ormai più che rodata – eideale – sede dell’Oratorio di San Fi-lippo Neri, sotto i riflettori quello cheè oggi a tutti gli effetti l’ensemble resi-dente della rassegna: il FontanaMIX.Scorrendo dunque i tre appuntamenticonclusivi, troviamo il completamentodi quel “Paesaggio Voce” che si è apertolo scorso febbraio con il concerto de-dicato a due capolavori della vocalità‘popolare’ come Folk Songs di Berio eKantrimusik di Kagel. Il 25 marzo,affidato al soprano Livia Rado e sottola direzione di uno specialista ricono-sciuto della contemporanea qual èMarco Angius, ecco proposto infattiper “Paesaggio Voce II” quel PierrotLunaire di Arnold Schoenberg, stra-volgente opera pionieristica della vo-

calità da camera del Novecento; ac-canto al Pierrot, ascolteremo poi laprima esecuzione italiana di abroad(per voce, strumenti ed elettronica, sutesti di Pessoa) del giovane composi-tore Daniele Ghisi, il cui lavoro si è giàfatto strada nei teatri di tutta Europa.Su questo impaginato torneremo frapoche righe, raccogliendo le riflessionidello stesso Angius, mentre ricordiamoper il terzo appuntamento dell’itine-rario “Paesaggio Voce”, il 16 aprile, leprime esecuzioni assolute di opere diNicola Evangelisti e Andrea Sarto, e leprime italiane di Stefano Gervasoni eFrancesco La Licata, tutti brani carat-terizzati dal rapporto fra la voce e unparticolare strumento solista. Sarà in-vece dedicata a Bruno Maderna, dicui ricorrevano nel 2013 i quaran-t’anni dalla morte, la serata conclu-siva del 16 maggio, che vedrà il Fon-

tanaMIX affiancato all’ensemble Ac-croche Note di Strasburgo, dove il pro-getto ha visto la luce.Tornando per così dire alle origini dellavocalità contemporanea, abbiamochiesto a Marco Angius di parlarci delcapolavoro di Schoenberg che ascolte-remo il 25 marzo, e le sue parole sisono estese ad una più ampia ed esau-stiva panoramica sulla contempora-neità.Proprio lo scorso ottobre è uscitaper Stradivarius una sua incisionedel Pierrot Lunaire di Schoenberg,con la stessa Livia Rado nel ruolodi voce narrante/cantante: su qualielementi in particolare si è concen-trato per questa nuova lettura?«Con Livia abbiamo lavorato su questastraordinaria partitura maturando dellescelte specifiche per ciascun brano.Ogni volta che si presenta l’occasionedi dirigere il Pierrot lunaire, mi trovo ascoprire aspetti e dettagli sempre nuovie sorprendenti. Per questo sono felicedi affrontarlo ora con FontanaMIX,un ensemble che conosco da tempoper l’impegno nella musica contem-poranea ma con cui non avevo maicollaborato prima. Sono dunque par-ticolarmente entusiasta di immergermiin questa nuova avventura, nonchéonorato dell’invito dell’amico France-sco La Licata. Le mie scelte di lettura sibasano sul rovesciamento del rapportotra voce ed ensemble e sulla riscopertadi un diverso modo di materializzaremusicalmente le visioni contenute neitesti, ispirandomi peraltro a quantoSchoenberg stesso immaginava. Ho vo-luto evidenziare come siano gli stru-menti a parlare, urlare, sussurrare

Si completa con numerose prime esecuzioni e col Pierrot Lunaire – di cui ci parlaMarco Angius – il progetto “Paesaggio Voce” di Musica Insieme COntemporanea,per concludere il cartellone sulle note gioiose di Bruno Maderna di Fulvia de Colle

Le mille voci dell’oggiT

MICO - Musica Insieme COntemporanea 2014

Marco Angius

15IM MUSICA INSIEME

quelle stesse immagini poetiche evo-cate dalla voce in una logica discorsivache non la pone al centro degli eventima a lato di essi (anche fisicamente)ovvero la fagocita in una rete implaca-bile tessuta dal gruppo strumentale.Senza dubbio la forza comunicativa delPierrot risiede anche nella ghirlanda diforme brevi e talvolta aforistiche in cuiè articolato, quasi degli incipit piutto-sto che pezzi veri e propri, miniature dacui scaturisce un’energia emotiva (e so-nora) deflagrante. Il flusso di coscienzadella Sprechstimme (voce parlante), schi-zofrenico o allucinato che sia, segue unatraiettoria imprevedibile e di fatto dis-sociata dall’ensemble. Da un lato ab-biamo questo gruppo agguerrito di cin-que esecutori (con cambi strumentali divolta in volta diversificati) e dall’altro ilcorpo assente della voce, lo Sprechgesang(canto parlato), come se i brani fosseroil risultato di un montaggio fittizio tradue dimensioni distinte, la cui colli-sione genera una materia rappresenta-tiva di grande impatto psicologico, dalleinfinite implicazioni sonore. È una par-titura irrinunciabile per chiunque vogliaaccostarsi alle avanguardie artistiche delNovecento e al senso più autentico delcomporre. In fondo l’aneddoto di Puc-cini che ascolta il Pierrot a Firenze nel1924 risulta in tal senso emblematico equasi fatale (per Puccini, intendo)».Alla voce di Livia Rado è affidatauna delle novità più sconvolgentidella scrittura di Schoenberg: loSprechgesang, appunto, sul qualel’autore era assai preciso e pre-scrittivo: come lo spiegherebbe adun ascoltatore non ‘tecnico’?«Schoenberg è stato preciso e prescrit-tivo su ciò che non va eseguito spie-gandolo nella celebre prefazione allapartitura. Egli ricorre a una X su ognigambo di nota dello Sprechgesang,come se volesse cancellarne il conte-nuto e la consistenza. Si fa spesso rife-rimento allo stile da cabaret cheavrebbe ispirato in qualche modo leintuizioni di Schoenberg per un recitarcantando così deformato e anti-natura-

listico. Le note cantate sono infatti ra-rissime in tutta l’opera e la novità ri-siede proprio qui. La dissociazione travoce e strumenti di cui parlavo avvienein funzione dello Sprechgesang inquanto questa modalità recitativatronca il legame armonico in modo sur-reale o drammatico. Penso all’ultimonumero, O alter Duft, in cui il pro-fumo di un’armonia trapassata – perce-pibile nel mi maggiore mancato del-l’inizio – sembra attraversato dalla vocein un abbraccio impossibile perché ap-punto privo d’intonazione fissa. Le re-lazioni melodiche tra linea vocale edensemble sopravvivono però come imi-tazione astratta quando gli strumentifanno il verso alla voce tentando grot-tescamente di recitare al suo posto».

Lei ha pubblicato anche un’impor-tante monografia su SalvatoreSciarrino e numerosi saggi ed arti-coli su compositori viventi o vissutinel secolo scorso. Quanto è impor-tante secondo lei ancora oggi farconoscere l’opera dei musicisti delXX e XXI secolo?«Nel mio caso è una ragione di ricercaartistica ed esistenziale strettamenteconnessa ai miei interessi di interpretee studioso. La musica contemporanea,inoltre, ha una forte valenza didattica eformativa ancora sottovalutata; se èvero, citando Bloch, che nel far musicacerchiamo noi stessi, un repertorio chesi evolve e rinnova continuamente puòoffrire spunti di studio e maturazioneinesauribili. Ne è prova che chi dirigeBoulez può affrontare il repertorio clas-sico ma non è così scontato il contra-rio, se non a prezzo di cadere nell’or-rida e perniciosa routine. Il discorso èin realtà più ampio e complesso perchériguarda anche la coscienza di sapercomprendere e trasmettere un reperto-rio che solo in apparenza si presentaostico. Di recente ho proposto, propriocon Livia Rado, un programmaBach/Ferneyhough nella stessa serataconstatando – come prevedevo – cheesistono troppi preconcetti sugli orien-tamenti e i gusti del pubblico. Che ilpubblico cerchi o non cerchi questotipo di esperienze d’ascolto non ri-guarda l’essenza delle opere contem-poranee (o del Novecento storico) maaspetti più inerenti alla società e altempo presente, di cui non competecerto a noi artisti farci carico. Il nostrocompito, da un punto di vista etico emorale, è semmai quello di far cono-scere questo genere di produzione mu-sicale rendendola interessante e signifi-cativa, ma anche esprimendo attraversodi essa convinzioni e idee che possonocambiare o migliorare la società stessain modo più o meno indiretto».Lei è un direttore di riferimento perla musica contemporanea, come ènata la sua passione per questorepertorio?

CALENDARIOmarzo - maggio 2014

Musica Insieme COntemporanea

marzo 2014 martedìFONTANAMIX ENSEMBLELivia Rado sopranoValentino Corvino violinoMarco Angius direttorePAESAGGIO VOCE IIMusiche di Ghisi, Maderna, Schoenberg

25

aprile 2014 mercoledìFONTANAMIX/SolistiIris Lichtinger voce e flauti dolciChiara Telleri oboeEva Zahn violoncelloWalter Zanetti chitarraPAESAGGIO VOCE IIIMusiche di Evangelisti, Maderna,Sarto, Gervasoni, La Licata

16

maggio 2014 venerdìENSEMBLE ACCROCHE NOTEFONTANAMIX ENSEMBLEFrançoise Kubler voceGiovanni Hoffer cornoFrancesco La Licata direttoreMADERNA SÉRÉNADEMusiche di Maderna, Aralla, Perez Ramirez,Cappelli, Ballereau

16

Oratorio di San Filippo Neri(Via Manzoni 5) ore 20,30

«L’attitudine è subito emersa da quandomi occupo di musica, cioè da sempre. Lamaturità interpretativa invece è altra cosa,richiede applicazione costante e occa-sioni continuative di esperienze sulcampo. Faccio qualche esempio: l’operaDie Schachtel di Franco Evangelisti, con-tenuta nello stesso cd del Pierrot lunairecui lei faceva riferimento sopra, l’ho sco-perta quando avevo quindici anni mal’ho incisa solo venticinque anni dopo.Così per la musica di Sciarrino che ho co-minciato a studiare intorno ai diciot-t’anni ma che ho diretto per la primavolta a trenta: quando Sciarrino mi haproposto di dirigere al suo posto Studiper l’intonazione del mare (2000), si èpresentata un’opportunità salvifica e de-cisiva per dare una svolta ad anni di ap-prendistato e gavetta e di ciò gli sonosenz’altro grato».Il programma del 25 marzo si com-pleta con una prima esecuzione ita-liana di Daniele Ghisi, dove unasorta di contrappunto fra acustico edelettronica rappresenterebbe l’alter-narsi di realtà e ‘altrove’: c’è un par-ticolare motivo per cui a suo avvisoil brano di Ghisi ben si sposa al Pier-rot di Schoenberg?«Trovo che sia un ottimo accostamentoper la scelta della programmazione e l’ori-ginalità della proposta. Il dato comunepiù esterno è il numero sette di cui sicompongono entrambi i lavori (nel casodi Schoenberg è una connotazione esote-rica di ventuno componimenti raggrup-pati in «tre volte sette» poesie di Giraud,così come il primo motivo musicale che sicompone di sette diverse note). Forse an-che l’aspetto onirico, di memoria subli-minale – che nella composizione di Ghisiviene suggerito dall’interazione tra una

meta-dimensione elettronica e una acu-stica strettamente correlate – può acco-stare abroad agli affascinanti deliri acusticidel Pierrot lunaire. Comunque le saprò ri-spondere meglio dopo aver effettivamenteconcertato e diretto il brano di Ghisi, inquanto tra una partitura e la sua realizza-zione corrono molti altri stadi intermedi.Quando si analizza una composizionenon bisogna dimenticare che ci si occupadi un sistema di segni e non di suoni, la

cui esegesi ci saluta ai margini dell’eventomusicale in senso stretto. Le note sono se-gni immobili e muti mentre i suoni sonocorpi che vibrano e in tal senso credo chela partitura rappresenti un progetto cheattende letture a oltranza. Ogni partituraè incompiuta finché un interprete nonprova a offrirne una possibile, ulterioremessa in opera (per completarla solo mo-mentaneamente, diciamo)».Il concerto del 25 marzo si inseriscein un trittico di appuntamenti cheMICO dedica al “Paesaggio Voce”.Come definirebbe, in sintesi, il nuovoutilizzo della voce nella musica con-temporanea?«È una domanda che richiederebbe mol-teplici risposte vista la situazione attualeestremamente differenziata e al tempostesso globalizzata. Dalla voce possiamoaspettarci ancora molte sorprese e sco-perte ma è sul concetto di nuovo – cosìcome su quello di contemporaneo – chedobbiamo intenderci. Cos’è che rende at-

tuale e necessaria un’opera? Penso che vadafatta una distinzione specifica per la pro-duzione di teatro musicale, che costitui-sce un luogo elettivo d’invenzione in-torno alle possibilità espressive della voce.Inoltre le potenzialità di trattamento elet-tronico in tempo reale hanno profonda-mente inciso sul modo di percepire ilcanto e i fenomeni vocali rispetto, peresempio, all’epoca di Schoenberg. Se-condo me l’innovazione non è più insitanell’uso vecchio o nuovo della voce ma simisura su altri livelli e parametri (e menche meno a livello di scrittura): nel rap-porto col testo, con la drammaturgia, inun lavoro di concertazione che agisca sulsuono, sullo spazio e sul tempo di emis-sione/percezione. La vocalità di Monte-verdi, ad esempio, è antica o sempre at-tuale? Voglio riferirmi a un caso per mesignificativo: recentemente ho ascoltatol’Orfeo orchestrato da Respighi (1934) esono rimasto sconcertato non solo dal ri-sultato musicale, di una bellezza dirom-pente, mai retorica o scontata, ma so-prattutto da una carica inventiva che miha fatto scoprire un Monteverdi a coloricome nessuna stitica ricostruzione filolo-gica avrebbe mai potuto. Dico questoperché non si tratta di rifugiarsi in un pas-sato ormai inesistente e irraggiungibile(Respighi mantiene intatti gli unici repertirimasti: il canto e la linea del basso), madi reinventarlo di sana pianta per arric-chire il presente reagendo all’imperanteinutilità estetica che ci accerchia. Del fu-turo, però, non parlo proprio».

MICO - Musica Insieme COntemporanea 2014

I biglietti per i concerti di MICOsi possono acquistare onlinecollegandosi al sito:www.musicainsiemebologna.ito www.vivaticket.it e nei puntivendita del Circuito Vivaticket.Il giorno del concerto inoltrei biglietti saranno in venditaa partire dalle 19 pressol’ORATORIO DI SAN FILIPPONERI (Via Manzoni, 5).PREZZI: Posto unico € 10.Abbonati Musica Insieme, studentiUniversità e Conservatorio € 7.

ACQUISTO BIGLIETTI

Livia Rado

FontanaMIXensemble

16 IM MUSICA INSIEME

Mahler Chamber Soloists, i cuimembri provengono da quattropaesi diversi, hanno fatto del dia-

logo interculturale uno dei loro scopiprincipali. Jaan Bossier, arrangiatore eclarinettista, ci racconta del suo rapportocon il pubblico, dell’interesse per la mu-sica klezmer e delle attività della MahlerChamber Orchestra, in seno alla quale siè formato l’ensemble.La Mahler Chamber Orchestra è statafondata sotto gli auspici di un grandeMaestro come Claudio Abbado, re-centemente scomparso: come, e aquale scopo, è nata l’Orchestra?«Tutti i fondatori della Mahler ChamberOrchestra erano membri della GustavMahler Jugend Orchester. Questa era,ed è ancora, un luogo in cui i giovanimusicisti provenienti da tutta Europa,durante il periodo di studio, hanno lagrandissima opportunità di lavorare coni principali direttori d’orchestra delmondo. Io ero uno di quei fortunati. Nel1997 alcuni di noi presero l’iniziativa diformare un’orchestra da camera e di con-tinuare a fare musica insieme. Così ènata la Mahler Chamber Orchestra, conil grande supporto di Claudio Abbado».Quanto è influenzato il vostro mododi lavorare dal fatto che i membridell’ensemble provengono da diversipaesi europei?«Sono convinto che accostare varie cul-ture, grazie alle influenze reciproche, siaun arricchimento della società e che portila nostra musica ad un livello differente!Questo è uno dei nostri pilastri. Nei no-stri programmi voglio presentare i di-versi background dei musicisti, mostrarecome si integrano passioni ed opinionidiverse, e come questo sia un grande con-tributo per la creatività e l’ispirazione».

La Mahler Chamber Orchestra ha la-vorato, e lavora tanto in Italia: comepercepite il pubblico italiano e il pa-norama musicale in generale del no-stro paese?«È vero, io personalmente ho suonatomolto in Italia, e ho davvero avuto espe-rienze notevoli. Ovunque abbia suonato,ho notato un grande interesse per an-dare ai concerti, per vivere la musica. AFerrara, la città in cui ho sicuramentesuonato di più in Italia, il pubblico è unpo’ speciale. Ricordo situazioni in cuipersone che non avevo mai visto prima(ad esempio una signora che lavora inuna biblioteca, i gestori di un ristorante,il proprietario di un negozio) hanno co-minciato a parlarmi di uno degli ultimiconcerti in cui ho suonato, o di unaprova aperta a cui hanno assistito. Que-sto dimostra che le nostre facce sono co-nosciute in città, che le persone vengonospesso a teatro e ci ascoltano! Il che ov-viamente crea un contatto con il pub-blico anche da parte nostra. Noi comin-ciamo a conoscere le persone e poco allavolta ci sentiamo a casa nelle città delNord Italia. Lasciatemelo dire, questonon succede ovunque! Naturalmente al-l’estero sentiamo anche parlare del disa-stro politico nei confronti della cultura inItalia (ma non solo in Italia)! Credo chela cultura sia sempre stata il fondamentodi ogni società. Sottrarre poco alla voltaogni pietra da questo muro, alla fine di-struggerà l’intera società».La Mahler Chamber Orchestra ha ri-cevuto numerosi riconoscimenti per ilsuo impegno nel sociale e soprat-tutto per l’educazione. Ci parla delprogetto “MCO Landings”?«Penso che l’educazione sia una delle no-stre attività principali. Non si tratta solo

di suonare nelle scuole o rendere accessi-bile una prova ai giovani. È la responsa-bilità di ogni singolo musicista di pren-dersi cura della prossima generazione.Sul palcoscenico voglio ‘rivoltare’ i cuoridei giovani ancora alla ricerca di se stessi.Voglio mostrar loro come le emozionisiano per me la linea guida nella vita.Non dobbiamo essere spaventati dalleemozioni, al contrario, dobbiamo aprircicompletamente agli altri e volare in li-bertà, persi nella musica. So che questonon è possibile per tutti, ma credo didover mostrare alle persone che così ac-cade a me. I nostri programmi educativicon la Mahler Chamber Orchestra sonotroppo vari per essere descritti qui bre-vemente. Posso dire che “landings” si-gnifica che siamo sempre un’orchestra inviaggio. Ovunque noi ci fermiamo pro-viamo a offrire qualcosa di più di unconcerto. Veniamo a contatto con glistudenti del luogo in tanti modi. Lavo-riamo insieme alle giovani orchestre, se-guiamo progetti di musica da camera,diamo lezioni individuali, facciamo proveaperte per le classi, ecc. Ma abbiamo an-che un progetto in tutto il mondo checoinvolge i bambini non udenti! A Fer-rara cooperiamo anche con un ospedaleche utilizza la musica come terapia».Come avete concepito il programmadel concerto per Musica Insieme eperché avete deciso di suonare lamusica klezmer alternata al reperto-rio cameristico?«Come dicevo, il mio obiettivo è mo-strare i diversi background e le diverseculture dei musicisti, proprio come ac-cadrà nel concerto per Musica Insieme.Essendoci incontrati tutti all’internodella Mahler Chamber Orchestra, io e ilgruppo che ascolterete a Bologna suo-

JAAN BOSSIER - MAHLER CHAMBER SOLOISTS

L’INTERVISTA

Con un affascinante programma dalla classica al klezmer, debuttaa Musica Insieme l’ensemble formato dalle prime partidella Mahler Chamber Orchestra di Anastasia Miro

L’anima della musica

I

18 IM MUSICA INSIEME

navamo insieme musica classica, ma ave-vamo tutti una passione per il klezmer.La nostra fisarmonicista ed io suoniamoanche molta musica contemporanea. Iouso nella mia musica klezmer questisuoni provenienti da differenti scenarimusicali. A volte si presentano comemelodie arrangiate o come suoni inseritinelle improvvisazioni. Il pubblico puòcomprendere queste connessioni musi-cali proprio grazie all’inserimento di mu-sica classica e moderna nel programma.Prima dell’intervallo suoneremo un Triodi Mozart e uno di Max Bruch, un re-pertorio classico ovviamente adatto aidue strumenti melodici del nostro en-semble: il clarinetto e la viola. Non sonoinoltre il tipo di persona che fa solo unacosa nella vita. Non sopravvivrei solosuonando in un’orchestra, o insegnando,o qualunque altra cosa. Ho bisogno diuna combinazione di tutto… amo lamusica, amo suonare in orchestra e faremusica da camera! Sento il bisogno diaiutare i giovani, per questo insegno. Lostesso avviene con il klezmer. È una cosache è cresciuta negli anni. Ho sempreavuto in qualche modo bisogno di espri-mere me stesso in questa musica, così hocominciato a studiarla. In un concerto

del genere, infatti, mostro le molte pas-sioni che condivido con gli altri».Secondo lei in che modo le opere diStravinskij e Bruch sono state in-fluenzate dalla musica popolare?«Penso che ad un certo punto quasi ognicompositore mostri interesse per la mu-sica popolare, come alla ricerca delle ori-gini della musica. Il popolare è stato in-tegrato in così tante composizioniclassiche da Mozart, Schubert, Dvořák,Brahms, Bartók… Un esempio relativo aBruch possiamo trovarlo nel quinto deisuoi Otto Studi op. 83, dove integra nellamusica un canto popolare rumeno. Lacomposizione forse più nota di Stravin-skij, Le Sacre du Printemps, proviene dasemplici elementi etnici e rurali, trascrittiin puro ritmo. Questo è chiaramente vi-sibile nella sua coreografia originale del1913. Un altro esempio sono le sue Li-riche giapponesi, sempre del 1913. Nel1917, insieme a Ferdinand Ramuz, Stra-vinskij lavorò su un concetto, una per-formance flessibile, con meno mezzi pos-sibili, da realizzare in luoghi diversi, senzala necessità di una grande sala da con-certo. Dopo la fine della guerra i dueelaborarono un’opera da camera, basatasu una combinazione di elementi etnici,

e concettualmente senza tempo: Histoiredu Soldat. Il testo, una fiaba popolare, èbasato su un racconto di Afanas’ev. Le in-fluenze musicali derivano da melodie po-polari russe, dal tango, dal valzer, dalragtime… Essendo questa opera da ca-mera concepita per essere rappresentataovunque, egli portò la musica alle per-sone, al “popolo”. Come un dono al cla-rinettista Werner Reinhard, che colla-borò con Stravinskij per Histoire, egliscrisse questi brevi pezzi solistici [Trepezzi per clarinetto solo, ndr], di cui ilprimo movimento è basato su una me-lodia popolare russa».Come descriverebbe il Kegelstatt Triodi Mozart?«Non ci sono testimonianze sulle circo-stanze in cui Mozart ha scritto il suoTrio.Possiamo leggere molte spiegazioni e ten-tativi di ricostruzione, ma nessuno sa re-almente perché quest’opera abbia quelsottotitolo (che in italiano suona come“Trio dei birilli”). Sappiamo che Mozartcompose un duo per due corni (forse dibassetto?) mentre giocava una partita a bi-rilli. Così gli appassionati di musicaamano ipotizzare e seguire la stessa teoriaper il Trio. Ma non siamo sicuri, e, a contifatti, per me non ha nessuna importanza.Direi che sono un amante della musica“poco concreto”, nel senso che amo sem-plicemente questo brano, cui poi può farseguito un qualsiasi altro brano che amo.Questo approccio potrebbe dare luogo auna lunga discussione a proposito dellaprassi storica, dei dettagli della partitura edi ciò che veramente conta in una per-formance e sul modo in cui assemblo ilprogramma per un concerto. Ma forse neparleremo la prossima volta!».Che cosa rappresenta il klezmer perJaan Bossier?«Gli arrangiamenti che eseguiremo perMusica Insieme sono nati da una pas-sione che da sempre mi anima nel faremusica. Anche nell’ambito della musicaclassica sono sempre alla ricerca della li-bertà all’interno di una cornice stilistica.Ho allargato i confini di questa libertàraccogliendo e rielaborando io stesso icanti ebraici e lasciando che le diverseprovenienze dei vari musicisti dell’en-semble si fondessero insieme in una mu-sica klezmer molto individuale».

19IM MUSICA INSIEME

ituano di nascita, ma israelianodi adozione, Itamar Golan giova-nissimo viene ripetutamente pre-

miato dall’American-Israel CulturalFoundation con borse di studio che gliconsentono di studiare con il MaestroEmmanuel Krasovsky. Trasferitosi alNew England Conservatory of Musicdi Boston, esordisce come solista, arri-vando a esibirsi con la Israel Philhar-monic Orchestra e i Berliner Philhar-moniker, sotto la direzione di ZubinMehta, oltre che con l’Orchestra Sinfo-nica del Teatro alla Scala, sotto la dire-zione di Riccardo Muti. Pianista fra ipiù seguiti della sua generazione, calca iprincipali palcoscenici del mondo, maben presto si consacra letteralmente allacameristica, per divenire uno dei piani-sti più ricercati da colleghi come MischaMaisky, Vadim Repin, o Shlomo Mintz,fino a Janine Jansen, che accompagnerànel suo debutto a Bologna per MusicaInsieme il prossimo 14 aprile. Cosi par-lava di lui Julian Rachlin, in un’intervi-sta concessa al nostro magazine in oc-casione di un concerto per la Stagione2007/08 di Musica Insieme: «Potrei direche Golan è una sorta di Bruno Caninoda giovane. A lui non interessa fare il so-lista, pur avendolo fatto e con successo.Itamar si è specializzato nella cameri-stica, e di conseguenza si dedica a que-sta con una passione davvero profonda.Inoltre, passiamo insieme molta partedell’anno. Viaggiamo moltissimo in-sieme, e stiamo negli stessi alberghi ov-

viamente. Insomma, siamo on the road.Ebbene, per poter esserlo senza pro-blemi, oltre alla passione ci dev’essereun’amicizia vera. Tra Itamar e me, e miritengo perciò davvero fortunato, esistequest’amicizia, e influisce positivamentesul nostro modo di suonare assieme.Ormai, potrei dire che anche durante leprove non abbiamo più bisogno delleparole: cresciamo insieme, sentiamo as-sieme, respiriamo assieme».Da solista richiesto e apprezzatodalle più prestigiose orchestre a li-vello internazionale, è passato a de-dicarsi esclusivamente alla cameri-stica. A cosa è dovuta questa scelta?«La scelta si è profilata come una vera epropria svolta esistenziale. Da giovanis-simo studiavo ovviamente il repertoriosolistico, tenevo concerti e recital, ma inseguito attraversai una crisi, non possocerto definirla di mezza età, ma piutto-sto di gioventù: smisi del tutto di suo-nare per un lungo periodo, e quando fuipronto a ritrovare me stesso, la mia vo-cazione, incontrai i miei compagni d’in-fanzia e cominciammo a fare musica dacamera, con violini, violoncelli e clari-netti… così in qualche modo ho intra-preso quel percorso, e da allora ho tro-vato sempre più difficile affrontareancora il repertorio solistico. Sentivoche esso non mi apparteneva completa-mente, non possedendo fra l’altro quelche si dice ‘cuore e nervi saldi’. Certo,sono qualità necessarie a qualsiasi in-terprete, in qualsiasi genere si cimenti;

tuttavia la carriera solistica, la solitu-dine sul palco richiedono doti partico-lari. Così mi è capitato di suonare as-sieme a molti diversi strumenti, èaccaduto in maniera del tutto naturale;ma non la definirei una scelta decisa,piuttosto una debolezza…».Lei è oggi senza dubbio il pianistada camera più richiesto dai migliorisolisti; quale è il segreto di questosuccesso?«Semplicemente il fatto è che sono statodavvero fortunato negli anni a lavorarecon artisti incredibili. I miei incontrisono solitamente dettati dal caso e nonprogrammati; mi piace andare incon-tro a quello che decide il destino nelprendere molte decisioni e spero di con-tinuare a suscitare l’interesse degli arti-sti anche negli anni a venire».Suonare i più grandi repertori concolleghi diversi, la porta in qualchemodo a cambiare la sua interpreta-zione di ciascun pezzo in manieraconsistente? O meglio, come si ac-costa alle differenti idee dei suoi dif-ferenti partner?«Con ogni partner il tipo di lavoro chefaccio è differente, con alcuni è piùspontaneo e istintivo, con altri è un la-voro più preciso e attento ai dettagli. Cisono quindi tanti modi e percorsi difare musica e ricercare la verità artistica.Anche il mio ruolo cambia da un mo-mento all’altro, a volte mi ritrovo nelruolo di colui che guida, altre volte inquello di chi segue. Si tratta di una co-

ITAMAR GOLAN

L’INTERVISTA

20 IM MUSICA INSIEME

Il partner più richiesto dai migliori solisti internazionali– Musica Insieme lo ospiterà accanto a Janine Jansen il 14 aprile –

si racconta, svelando una vera e propria passione per il nostro Paese di Cristina Fossati

Un pianista per amico

“ “Sono felice di ritornare a Bologna con la mia amica Janine Jansen,

una musicista unica, oltre che un'artista fra le più versatili

L

stante rotazione dei ruoli in cui il pro-prio ego non deve preoccuparsi delruolo che riveste, ma mirare a rag-giungere il miglior risultato possibile».L’anno scorso ha suonato per iConcerti di Musica Insieme alfianco di Vadim Repin. Che ricordoha di quel concerto?«Ho un ricordo molto bello di Bolo-gna dal momento che ho suonatospesso nella vostra città, l’ultima voltafu appunto l’anno scorso con Repin.Sono dunque molto contento di ri-tornarci con la mia amica Janine Jan-sen, che, secondo il mio punto di vista,è una musicista unica, oltre che unadelle artiste più versatili nella sua abi-lità di affrontare sempre nuove sfide ar-tistiche e mettere a confronto compo-sitori diversi con stili differenti.Davvero pochi artisti sono in gradodi farlo. Siamo inoltre molto contentiche Bologna sia parte di un lungo touritaliano, dal momento che l’Italia hada sempre un posto speciale nel nostrocuore; la nostra passione per il cibo, ipaesaggi e la cultura italiana è davveroimmensa».Janácek ha elaborato la Sonataper violino J 7/7 all’inizio dellaprima guerra mondiale, e di que-sta opera disse: «Guizzavano nellamia mente i bagliori dell’acciaioaffilato…». Quanto è importanteconoscere la storia compositiva diun’opera per suonarla al meglio?«Sicuramente da una parte è impor-tante sapere quando e perché un’operaè stata composta, dal momento che laconoscenza di questi particolari è cul-tura e coscienza artistica; dall’altraparte la sola conoscenza intesa comepossedere certi tipi di informazioni èuna cosa di poco conto; tu puoi essereintelligente e colto ma essere poverocome interprete e non avere certe abi-lità artistiche. A volte inoltre è anchebello imbattersi in una nuova opera la-vorando come se si avesse davanti unapagina bianca, quindi senza alcun tipodi pregiudizio che possa influenzare latua visione artistica e il tuo sentire ilbrano. Quindi, in conclusione, se-condo me l’ideale sarebbe la combina-zione della conoscenza e della ricercadell’anima della musica».

21IM MUSICA INSIEME

ARCADI VOLODOS

L’INTERVISTA

22 IM MUSICA INSIEME

Chiare, mature, meditate le opinioni e le posizioni estetiche del pianista russoche debuttò a Bologna per Musica Insieme nel 2001, protagonista in questi

anni di una carriera strepitosa di Alessandro Di Marco

Una profonda passione

rcadi Volodos, ovvero del pia-nismo brillante, ma profondo.Di quel pianismo capace, cioè,

di farci provare il brivido del trapezista,ed al tempo stesso di far risuonare lecorde più intime del nostro animo. Mu-sica Insieme è lieta di tornare ad ospi-tarlo sul suo palcoscenico, tanto più chelo ascolteremo in un programma impe-gnativo e ricco di suggestioni. Baste-rebbe leggere i nomi dei compositori:Schubert, Schumann, Brahms. Come adire il cuore pulsante della produzionepianistica, il nucleo anche emotivo diquella passione romantica che farà pro-prio del pianoforte – e del pianista na-turalmente – il suo motore più efficienteed efficace. Di tutto questo Volodos èepigono modernissimo, come lui stessodel resto ci racconta nell’intervista chesegue. Dalle sue parole apprendiamo lafatica degli esordi e l’importanza di unincontro, che gli ha cambiato la vita. Eapprendiamo anche giudizi interessanti,la voce di Volodos emergendo qua e là,è il caso di dirlo, fuori dal coro.Quali sono stati i suoi più importantimaestri (non soltanto in ambito mu-sicale)?«Galina Egiazarova, la mia insegnante dipianoforte, è stata per me anche unaguida spirituale. È stata la prima personache mi ha fatto credere in me stessocome musicista in generale, e nello spe-cifico come pianista. Ho cominciato adinteressarmi al pianoforte all’età di 15anni, davvero assai tardi per poter anchesolo immaginare di intraprendere una

carriera come virtuoso. Nella scuola doveho incominciato c’era un corso di pia-noforte complementare. Quindi non uncorso principale, perché in quella scuolagli studi erano concentrati sulla dire-zione corale. Molti mi dicevano che eratroppo tardi, che mi sarebbero mancatele basi per suonare professionalmente ilpianoforte. Ed è in questo ambiente chel’incontro con Galina è stato determi-nante: mi ha aiutato non solo a for-marmi come pianista, ma anche comepersona e come musicista. Non mi hainsegnato soltanto la tecnica. La sua eraeducazione nel senso più ampio del ter-mine. Mi faceva ascoltare, ad esempio, lesinfonie di Beethoven e di Mahler e nediscutevamo a lungo. I suoi giudizierano importanti per me allora come losono adesso, anche se non sempre siamostati d’accordo su tutto».I suoi primi ricordi musicali?«Il mio patrigno è un grande intenditoredi musica e un collezionista di dischi. Incasa avevamo anche incisioni rare di pia-nisti del passato. Rachmaninov così èstato il mio grande maestro. Ammiravoil suo modo di suonare, la sua persona-lità musicale. Adoravo pure Sofronitski,Cortot, Feinberg».Entrambi i suoi genitori erano can-tanti, e lei stesso ha iniziato come cidiceva frequentando una scuola co-rale: che importanza ha nella suaattività la capacità di far ‘cantare’ ilpianoforte?«Mi fanno spesso questa domanda. Madevo dire che il canto non è mai stato la

mia disciplina preferita. In più nellascuola che ho frequentato studiavamoprincipalmente direzione corale, ma nonla tecnica vocale vera e propria. Certo hocantato nel coro, ma è stato molto no-ioso, perché, oltre al repertorio classicocorale, dovevamo studiare molte can-zoni sovietiche di qualità musicale me-diocre. Insomma non posso dire che ilcanto abbia avuto un ruolo principalenel mio avvicinamento al pianoforte.Quello che mi ha aiutato sono da un latogli studi musicali interdisciplinari chemi sono stati impartiti in quella scuola,e dall’altro l’atmosfera generale che vi re-gnava, i musicisti che vi lavoravano e imiei compagni appassionati di musica».Quali sono, fra i tanti premi e rico-noscimenti (anche personali) ricevutinella sua carriera, quelli che consi-dera i più significativi?«Con l’età si dà meno importanza ai giu-dizi, alle critiche, ai premi. Per me per-sino gli applausi e le lodi del pubblicodopo un concerto non sono molto si-gnificativi, perché queste manifestazionisono spesso dovute ad abitudini cultu-rali, piuttosto che ad un vero e consape-vole apprezzamento. C’è un pubblicocaloroso e un altro piuttosto freddo, maquesto non ha niente a che vedere conl’impatto che la musica ha avuto su diloro. Quello che conta per me è la qua-lità di ascolto nella sala durante il recital,il silenzio, il feedback immediato che ri-cevo dal pubblico, quell’energia che sisente quando si comunica con la genteattraverso la musica».

“ “Per me conta la qualità di ascolto nella sala, il silenzio, quell’energiache si sente quando si comunica con la gente attraverso la musica

A

C’è un compositore del passato (odel presente) che meriterebbe di es-sere scoperto, o rivalutato?«Attualmente suono molta musica diFederico Mompou. L’anno scorso ho in-ciso un cd interamente dedicato a que-sto grande compositore catalano [il let-tore lo troverà recensito nella rubrica Daascoltare di questo numero, ndr]. Mi di-spiace di non ascoltare la sua musica piuspesso nelle sale. Certo questa musicanon è di facile reperibilità. Devo direche io stesso ho impiegato molto tempoa scoprire la sua immensa dimensionemetafisica. Però sono rimasto subito af-fascinato dalle sue armonie, dalle sue so-norità nostalgiche. Per Mompou il si-lenzio è tanto importante quanto isuoni, il che richiede una speciale con-centrazione nell’ascolto. Forse per questaragione è difficile suonare questa musicanelle grandi sale. Ma una volta perce-pito, questo silenzio nella musica diMompou ci rimanda a noi stessi, ci fa vi-vere in maniera acuta la nostra solitu-dine, le nostre vibrazioni interiori, ci faperdere la nozione del tempo».Comehascelto ilprogrammacheese-guirà per Musica Insieme?«Sotto l’urgenza di un bisogno creativodi comunicare qualcosa al pubblico inun dato momento. Devo ‘essere inna-morato’ di un compositore, conoscere latotalità delle sue opere (per pianoforte,musica da camera e pezzi orchestrali) e ilsuo linguaggio musicale. Per esempio,suono a casa tutte le sonate di Schubert,i suoi Lieder, i pezzi da camera, le sinfo-nie, sebbene in recital presenti solo po-che delle sue opere. Bisogna essere sicuridi poter dare qualcosa di speciale al pub-blico, altrimenti non vale la pena dedi-care così tanto impegno a questo nostromestiere».Che cosa lega le due composizioni diSchubert che eseguirà nel suo recitalbolognese?«Semplicemente, la Sonata D 279,come molte opere giovanili di Schu-bert, è incompleta, manca il finale. Diconseguenza, l’Allegretto in do maggiore,composto più tardi, la completa perfet-tamente».Parlando ancora del suo program-ma: sia i Sei Pezzi op. 118 di Brahmsche le Kinderszenen di Schumann

cono le sovvenzioni per la cultura el’educazione. Un grande sbaglio! Nellungo periodo, l’esito sarà privare del-l’avvenire uomini e nazioni. Degradare illivello culturale della popolazione è fa-cile, ma per rieducarla occorreranno ge-nerazioni. Certo, la musica classica,come l’arte in generale, non è mai statapatrimonio del grande pubblico. La suafruibilità richiede un certo livello di edu-cazione. Ma il sogno dei musicisti clas-sici è proprio quello di condividere laloro arte con il un pubblico il più vastopossibile. Credo che sia possibile ‘ren-dere popolare’ la musica classica, cosìcome ogni arte in generale».Parlando di giovani, che suggeri-menti darebbe a chi si appresta oraad intraprendere la difficile carrieradi musicista ‘classico’?«Non credo di poter dare consigli.Ognuno cerca la propria strada e deveimparare dai propri errori...».

sono dedicate alla stessa persona,ossia Clara Schumann. A suo avviso,c’è in queste opere qualche relazio-ne con la personalità, o con il piani-smo di Clara, di cui abbiamo nume-rose testimonianze dell’epoca?«Non conosco la personalità di ClaraSchumann né il suo modo di suonare ilpianoforte. Penso che questi pezzi nonabbiano relazioni tra di loro, a parte ap-punto il fatto, come lei ha rilevato, chesono dedicate alla stessa persona...».Oggi lamusica classica – come la cul-tura in generale – soffre di una diffu-samancanzadisupportoeconomico,e d’altro canto è sempre più difficileconquistare i giovani alla frequenta-zione ‘regolare’ dei concerti: qualioperazioni promozionali o educativesi potrebbero intraprendere per mi-gliorare la situazione?«Credo che il problema sia la mancanzadi volontà politica. Con la crisi si ridu-

23IM MUSICA INSIEME

uando ci si avvicina a composi-tori come Leoš Janácek si com-prende immediatamente come

la storiografia della musica – cioè le basiteoriche sulle quali poi si è fondata l’inter-pretazione della storia dell’arte dei suoni –contenga troppo spesso elementi di naturaideologica fortemente fuorvianti. La miapersonale esperienza di studente rimandaalle “tesine” di storia della musica (la verti-ginosa lista che caratterizzava l’esame distoria della musica in Conservatorio), nellequali si alludeva alla formazione di maiben delineate “scuole nazionali”. Questeavrebbero preso vita nel secondo Otto-cento, per poi confluire nel mare magnumdella fine dell’epoca romantica all’incircaall’inizio del XX secolo. In questa cornice,tra i protagonisti stava Leoš Janácek. Vuoiperché vide la luce in Moravia, all’epoca,insieme alla Boemia, parte integrante del-l’Impero Asburgico, in quella Brno che an-cora oggi ne è la città capoluogo; vuoiperché nacque nel 1854 (il 3 di luglio),quindi a metà del secolo, e la sua vita pe-

raltro terminerà in tempi moderni, il 12agosto del 1928, quando la sua Moraviagià non sarà più asburgica, essendosi for-mata dopo la fine della prima guerra mon-diale la Repubblica Cecoslovacca. Inoltre,che Janácek abbia dimostrato un interesseparticolare per le tradizioni musicali po-polari della sua terra è un fatto acclarato.Per molti anni si è dedicato agli studi mu-sicologici, focalizzati sulla tradizione fol-klorica morava, e certamente tali studi– che lo portarono nel 1906 a pubblicareun’ampia silloge dei Canti nazionali cechiin Slesia e in Moravia – hanno avuto unaspecifica influenza sulla sua estetica com-positiva. Ma accanto a questi andrebberoconsiderati altri elementi, altrettanto im-portanti. Come l’incontro con Dvoráknegli anni della formazione praghese(1874-1875). Gli anni trascorsi in seguitoa specializzarsi presso il Conservatorio diVienna. E poi gli studi di psico- e fisio-acustica, che Janácek approfondì in quelmedesimo periodo, affrontando le ricerchedi Wundt e Helmholtz. Infine, da nonsottovalutare è la sua adesione al movi-mento politico fondato dal filosofoTomasMasaryk, figura centrale nella vita politicanon solo morava prima e cecoslovacca poi,ma più in generale europea proprio neicruciali primi trent’anni del Novecento.Un movimento d’ispirazione socialista,con forti venature progressiste, nel qualetrova ampio spazio una delle variazionisul tema del “popolo”, architrave del pen-siero filosofico (ed estetico) romantico.Insomma, più che di scuole nazionali, sidovrebbe parlare di variazioni sul tema di“popolo”. In questo Janácek è tra i più ori-ginali. Il “popolare” nella sua musica nonè presentato come un mero contributocoloristico. Anzi, spesso è riletto e filtratoattraverso la sua personalissima conce-zione non solo della composizione, ma

anche dell’armonia, di cui troviamo pun-tuale ed illuminante descrizione nel Trat-tato completo di armonia, dato alle stampenel 1913. Dunque, Janácek – seguendoquella linea che quasi un secolo prima erastata tracciata da Schiller – costruisce ilsuo pensiero musicale intrecciandolo conriflessioni di tipo estetico, politico, ideo-logico, la cui somma trova esito concretonelle sue partiture. Basterebbe pensare allamatura Messa Glagolitica. Oppure, al-l’opera satirica Il viaggio del signor Bruceksulla Luna, pagine che, pur nel loro porsiai due estremi dell’esperienza artistica diJanácek, ben ne esemplificano la sostanzaideologica. Peraltro, da sincero epigonodel romanticismo, Janácek è convinto chele forme musicali vadano piegate alle esi-genze dell’espressione e del sentimento.Ecco il secondo Quartetto d’archi LettereIntime. E naturalmente l’opera lirica:Jenu°fa, Kát’a Kabanová, L’Affare Makro-pulos, dove Janácek non esita ad omag-giare persino il gotico, che del romantici-smo è venatura intensa e potente.Insomma, i temi patriottici, l’elementopopolare, non sono pertinenza di una pre-sunta (ma inesistente) scuola nazionale,ma s’inseriscono nel contesto di quellalunga onda romantica, la cui schiuma an-cora bagna persino i nostri giorni. In que-sta prospettiva, Janácek è tra i più sensibiliinterpreti della modernità, qui intesacome la transizione tra Otto- e Nove-cento. Il suo è un contributo fortementeinnovativo, pur innestandosi nelle robusteradici di quanto era venuto sviluppandosinei primi cinquant’anni del XIX secolo.Potremmo inserirlo in quel novero di in-novatori, i Mahler, i Korsakov, i Respighi,il cui contributo poi troverà eco nella se-conda metà del XX secolo, magari in am-biti del tutto o in parte diversi, comequello della musica per film.

IL PROFILO

24 IM MUSICA INSIEME

Q

LEOŠ JANÁCEK

Tra i più sensibili interpreti della modernità, il compositore moravo è sempre statolegato alle tradizioni popolari della sua terra, che risuonano fra l’altro nella Sonata

per violino in cartellone per Musica Insieme il 14 aprile di Fabrizio Festa

Tra folklore e ideologia

Leos Janacek (1854-1928)

’11 novembre 1834 al Teatro Comunale di Bolognaandò in scena Anna Bolena, tragedia lirica di Felice Ro-mani musicata da Gaetano Donizetti. Una serata trion-

fale anche per l’eccellenza della primadonna Giuditta Pasta, cherinnovò il successo del 1830 alla ‘prima’ di Santo Stefano al Tea-tro Carcano di Milano. Il giovane Donizetti, nell’ottobre diquell’anno ospite della cantante nella villa di Blesio sul lago diComo, in poco più di un mese ultimò lo spartito, tracciando unruolo appositamente ritagliato sulle doti vocali del soprano, e adun tempo perfettamente consequenziale con il nuovo libretto diRomani, che per la storia dell’infelice moglie di Enrico VIII avevaattinto soprattutto all’omonima tragedia del conte bologneseAlessandro Pepoli edita a Venezia nel 1778, fondata sulla tema-tica della tirannide a quel tempo molto in voga.Tra gli spettatori del Teatro Comunale vi era anche il pittorerusso Karl Brjullov – allora ospite dello scultore Cincinnato Ba-ruzzi – che restò folgorato dall’interpretazione della cantante. Nesortì il Ritratto di Giuditta Pasta nella scena della pazzia dell’“AnnaBolena” di Donizetti: un’immagine a grandezza naturale che a Bo-logna fece molta impressione, contribuendo alla nomina di Ac-cademico d’onore del pittore pietroburghese. Solo dopo qualcheanno il ritratto fu consegnato a Giuditta Pasta, che lo conservònella villa di Blesio fino alla morte nel 1865, destinandolo poial Teatro alla Scala nel cui museo si trova tuttora.Ma quello di Brjullov non fu l’unico dipinto ‘bolognese’ dedi-cato alla tragica eroina donizettiana. Nel 1843 Alessandro Guar-dassoni vinse il Piccolo premio Curlandese di pittura (riservatoagli allievi dell’Accademia bolognese) con la tela Anna Bolenaforsennata sentendosi priva del diadema reale, organizzata pri-vilegiando un punto di vista fortemente ravvicinato e fissando,come in uno scatto fotografico avanti lettera, il momento in cuila regina, rinchiusa nella torre di Londra prima della condannaa morte, vaneggia sulla sua sorte. Privata dell’emblema regale, maancora regalmente abbigliata come indicano l’abito arabescatod’oro, la sopravveste di velluto rosso bordata di ermellino e la col-lana con il ritratto del re, Anna Bolena è preda di un turbamentoestremo, tradotto nel gesto esasperato e negli occhi sbarrati, chefissano lo spettatore senza vederlo. I colori sono accesi, quasi vio-lenti, accentuati da quel fascio di luce che investe la regina. Ri-spetto al dipinto di Brjullov, che lascia spazio alla messinscenadella prigione e all’impeto dell’azione, Guardassoni ha inqua-drato lei sola: buio tutt’intorno, se non fosse per il poco lume chefiltra dalla stretta finestra…Vera primadonna da melodramma, l’Anna Bolena di Guardas-soni concentra il gesto della follia bloccandolo in un’istantaneache è per sempre la scena XII del secondo atto, quando l’azioneprecipita verso la catastrofe tragica secondo la poetica manzo-

niana, e l’eroina appare nel delirio e nel vaneggiamento tra unsogno ingannevole di felicità e l’improvvisa coscienza della realtà:È questo giorno di nozze. Il re m’aspetta……manca a compiere il delitto d’Anna il sangue, e versato sarà.La tela, di proprietà dell’Istituzione Galleria d’Arte Moderna diBologna, è ora esposta in Pinacoteca, insieme ad altri dipinti ot-tocenteschi scelti da un corpus di parecchie centinaia, per per-mettere la visione, seppur temporanea, di una parte delle operedelle raccolte statali e civiche che sono ancora in attesa di quel‘Museo dell’Ottocento’ da collocare in un luogo che verrà…

I LUOGHI DELLA MUSICA

26 IM MUSICA INSIEME

L

Nell’ambito della mostra dedicata ai dipinti dell’Ottocento a Bologna, ospitata presso laPinacoteca Nazionale fino al 27 aprile, spicca il ritratto della tragica eroina donizettianadi Maria Pace Marzocchi

Dalla scena al dipinto

Alessandro Guardassoni (1819-1888), Anna Bolena forsennata (1843)

L’Ottocento a Bologna nelle collezionidel MAMbo e della Pinacoteca NazionalePinacoteca Nazionale – Bologna, via delle Belle Arti 56fino al 27 aprile 2014

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278

[email protected] - www.musicainsiemebologna.it

Lunedì 14 aprile 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

I SOLISTI DI MOSCAYURI BASHMET..........................................viola e direttore

Lunedì 17 marzo 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Musiche di Britten, Paganini, Cajkovskij

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

JANINE JANSEN........................................violino

ITAMAR GOLAN...........................................pianoforte

Musiche di Chausson, Janácek, Schubert, Ravel

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 12 maggio 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

ARCADI VOLODOS...................................pianoforte

Musiche di Schubert, Brahms, Schumann

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

Lunedì 10 marzo 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

MAHLER CHAMBER SOLOISTSJAAN BOSSIER................................................clarinetto

ANNA PUIG TORNÉ......................................viola

ULRICH ZELLER...............................................contrabbasso

AN RASKIN.........................................................fisarmonica

SIMON CRAWFORD-PHILLIPS...........pianoforte

Musiche di Mozart, Bruch, Stravinskij, tradizionale/Jaan Bossier

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

RADU LUPU.....................................................pianoforte

Musiche di Schumann, Schubert

Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

I CONCERTI marzo/maggio 2014

Martedì 8 aprile 2014AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Rarità sonore

Da Mozart alla musicaklezmer: questo l’originalepercorso dei MahlerChamber Soloists,l’ensemble che ha fatto deldialogo interculturale unodei suoi principali obiettividi Luca Baccolini

Lunedì 10 marzo 2014

30 IM MUSICA INSIEME

ncrociare le date dei compositori regala sempre sorprese. Efa sembrare la storia della musica, in apparenza così dilata-ta, un salotto dalla genealogia ristretta. Max Bruch (1838-

1920) è segnalato compositore di sicuro avvenire da Ignaz Mo-scheles (1794-1870), a sua volta allievo di Salieri, il cui coevo èquasi offensivo specificare. Mentre il placido e barbuto tedescocompone i suoi Otto Studi op. 83 per clarinetto, viola e pianoforte,Igor Stravinskij ha già compiuto 28 anni: sembrano pochi, maa quell’età ha appena lasciato la Russia per la pri-ma volta. Destinazione fatale: Parigi. È il 1910.Dalle parti di Berlino si fa musica intima e cre-puscolare, dall’altra fermentano idee che di lì apochi mesi daranno tre manrovesci alle abitu-dini musicali del vecchio continente ormai pron-to alla guerra: L’oiseau de feu, Petruška e Sacre duprintemps. Mondi reciprocamente alieni batto-no la stessa terra, respirano la medesima aria, siguardano, si voltano le spalle, ma convivono. Èil destino dei longevi trovarsi prima o poi pro-iettati nel futuro, forse vivendolo loro malgra-

do come un abuso. In fondo, persino l’ottantaseienne VaughanWilliams, in Inghilterra, scrive ancora la sua Nona Sinfonia quan-do i futuri Beatles si stringono la mano per le presentazioni, altramonto degli anni Cinquanta. Quella di Bruch, però, è un’espe-rienza da non sacrificare frettolosamente al totem del modernismo.E chi lo ricorda solo per il suo Concerto per violino op. 26 (men-delssohniano fino al parossismo) gli rende cattiva giustizia qua-si come se lo dimenticasse del tutto. La sua musica è onestamente

romantica dall’inizio alla fine: non ha un pe-riodo pre, né un periodo post, né una fase ditransizione. Il suo conservatorismo legato aMendelssohn e Schumann, unito alla lonta-nanza antipode da Liszt e Wagner, può sug-gerirci in apparenza il ritratto di quel sinfoni-smo tedesco involuto e stantio che, dopo Bee-thoven e Schumann, non seppe trovare fino aBrahms un nuovo e altrettanto valido epigo-no. Quella generazione, tra gli anni Venti e iTrenta del XIX secolo, crebbe una lunga e dia-fana nomea: Gernsheim, Fuchs, Draeseke, Die-

I

An Raskin

Simon Crawford-Phillips

L’ensemble è costituito dalle prime parti della Mahler Chamber Orchestra, nata su iniziativa di Abbado nel 1997 e formata da45 membri provenienti da 20 paesi diversi. L’orchestra si prefigge fra i suoi scopi la promozione del dialogo interculturale e lamobilità delle arti e della musica attraverso le frontiere, e, grazie all’origine plurinazionale dei suoi membri, nel 2011 è stata no-minata Ambasciatrice Culturale dell’Unione Europea. I musicisti della Mahler Chamber Orchestra si riuniscono regolarmente indiverse formazioni cameristiche – tutte note con il nome diMahler Chamber Soloists – per intensificare, nella pratica dellamusica da camera, quello che considerano l’elemento fondamentale della loro orchestra: il reciproco ascolto e la comunica-zione all’interno di un gruppo di personalità musicali consapevoli e autonome. Nel concerto per Musica Insieme saranno im-pegnati Jaan Bossier, clarinettista e arrangiatore belga, nella Mahler Chamber Orchestra fin dalla fondazione, la spagnolaAnna Puig Torné alla viola, che collabora con le principali compagini europee, e il pianista Simon Crawford-Phillips. Ne-gli arrangiamenti klezmer si uniranno a loro il tedescoUlrich Zeller al contrabbasso e la belgaAn Raskin alla fisarmonica.

I protagonisti

trich, Goetz, Bronsart. Virtuosi alcuni, ma spesso compositoridi terz’ordine. Bruch, invece, se ne stacca vistosamente ancor oggi,perché è illuminato da una vena melodica genuina, subito ri-conoscibile, come ebbe in dono l’europeizzato Anton Rubinsteinin Russia. «Quello è Bruch», si potrà dire dopo averne ascolta-to i tre concerti per violino, le tre sinfonie (magistralmente in-cise da Kurt Masur), la Scottish Fantasy o il celebre Kol Nidreiebraico per violoncello e orchestra. O ancora, la musica coralee certe forme cameristiche talmente desuete già ai loro tempi (unSettimino del 1849 e unOttetto del 1920!) da ispirare tenerezza.Non meno inconsueto è l’organico degli Otto Studi in pro-gramma. La formazione per clarinetto, viola e pianoforte apparedi rado nella storia della musica, benché percorra trasversalmentei secoli da Mozart (che sarà in programma con il Kegelstatt Trio)a Françaix. Ciò che importa, all’ascoltatore, è l’impasto timbri-co molto più morbido e levigato rispetto ai trii con la tradizio-nale presenza del violino primadonna. E questo insolito amal-gama regala finezze espressive inaspettate, oltre che un suono ge-neralmente più pastoso, che appaga il palato senza mai pungerlo.

Il modello degli Otto Stu-di, per quanto raro, non ètuttavia nuovo, e giunge aBruch dalle Märchenerzä-hlungen op. 132 di Schu-mann, scritte per lo stessoorganico e capaci di ispira-re in epoca contemporaneal’Hommage à Robert Schu-mann op. 15 di Kurtág, an-cora con clarinetto, viola epianoforte. Si ascolterà dun-que una pagina intima e

calda, segnata da tinte crepuscolari (tutti gli otto pezzi, tranneil settimo, sono in tono minore), come un momento di canta-bile riflessione di un compositore di 72 anni che, saltata la pa-rabola wagneriana, rimane inevitabilmente immune anche al di-battito post-wagneriano. Verrebbe persino da assemblare un qua-dro di famiglia, pensando che il figlio di Bruch, Max Felix, era

LUNEDÌ 10 MARZO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

Wolfgang Amadeus MozartKegelstatt Trio in mi bemolle maggiore KV 498per clarinetto, viola e pianoforteMax BruchOtto Studi op. 83 per clarinetto, viola e pianoforteIgor StravinskijTre Pezzi per clarinetto soloTradizionale/Jaan Bossierarrangiamenti per ensemble klezmer

31IM MUSICA INSIEME

MAHLER CHAMBER SOLOISTS

JAAN BOSSIER clarinetto

ANNA PUIG TORNÉ viola

ULRICH ZELLER contrabbasso

AN RASKIN fisarmonica

SIMON CRAWFORD-PHILLIPS pianoforte

Introduce Giuseppe Fausto Modugno, concertista e docentedi pianoforte principale presso l’Istituto “OrazioVecchi” di Modena

Anna Puig Torné

Ulrich Zeller

Foto

Den

izSa

ylan

Lunedì 10 marzo 2014

un brillante clarinettista e fu, come il padre che insegnò al bo-lognese Ottorino Respighi, un brillante docente di composizione.In questo romanticismo schietto e schierato, si colgono tutte lefascinazioni etniche che ispirarono altri e più ascoltati brani bru-chiani: dalla Fantasia Scozzese alla Suite su temi russi, passandoper le setteDanze Svedesi, composte in origine proprio per cla-rinetto (con pianoforte) e solo successivamente orchestrate. Ne-gli Otto Studi però, il filone nordico vira a meridione, per con-cedere echi della musica popolare balcanica, forse suggeriti dal-la principessa Sophie zuWied, futura regina d’Albania, nonchédedicataria dell’opera.C’è invece un altro dedicatario con meno sangue blu in corpo,ma ben più ingombrante per la storia della musica. La sua om-bra si staglia nei Tre Pezzi per clarinetto solo di Igor Stravinskij,che piace immaginare come prodromi di Preghiera per un’om-bra di Giacinto Scelsi. Sembra incredibile che queste brevi pa-gine siano state scritte nel 1919, solo nove anni dopo gli Stu-di di Bruch. Ma la loro contiguità cronologica rientra voluta-mente nel suggestivo accostamento di questo programma. Il cla-rinetto di Stravinskij, ora ombroso ora acutissimo, ora serratoora meditativo, nasce da Werner Reinhart, l’amico clarinetti-sta dilettante, fondamentale nel finanziare la prima esecuzio-ne de L’Histoire du soldat diretta a Losanna da Ernest Ansermet.È per gratitudine, forse non disinteressata, che l’autore occhieggiacosì il suo mecenate arricchito dal commercio di cotone e caf-fè: «Volevo ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me.Perciò ho scritto questi pezzi, sapendo che voi volentieri suo-nate lo strumento per la vostra cerchia di amici». Sono pensierimusicali in libertà in cui vengono convogliati richiami di can-zoni dell’epoca prebellica e sonorità giapponesi, ma anche schiz-zi di tango e di jazz. Un concentrato di suoni in meno di cin-que minuti di ascolto, che nel programma di Musica Insiemepresenterà un’originale serie di interludi con improvvisazioni klez-mer. Le stesse, poi, che ispirarono Stravinskij nella locanda “DerGolem”, aWinterthur, in Svizzera, dove Reinhart aveva allestitoanche una libreria musicale stravinskiana. Storie tra mecenati-smo e amicizia il clarinetto ne ha fornite parecchie, forse per lasua capacità innata di legare e sedurre. E anche il Kegelstatt Triodi Mozart, con lo stesso organico bruchiano, nasce da un’ami-cizia prima ancora che da una committenza. L’agiografia mo-zartiana sostiene che le note siano state scritte durante una par-tita estiva a birilli (da qui il nome dell’opera, che in tedesco suo-na appunto come Trio dei birilli). Più prosaicamente, sono i pri-mi d’agosto a Vienna in un anno, il 1786, che per Mozart se-gna l’inizio della fine sul piano economico, poi morale e infi-ne fisico. In quell’anno turbolento, dopo il contrastato debut-to delleNozze, e con introiti sempre più magri dall’attività con-certistica, Mozart trova un momento di pace in compagnia diqualche amico fidato. Tra questi, in particolare, vi è Anton Sta-dler, che si ripresenterà fino all’ultimo, e non senza chiacchie-riccio postumo, nella vita di Mozart. In quella partita di bowling

ante litteram è lui il clarinettista che suggerisce di comporre leprime note in giardino. E cinque anni dopo sarà il dedicata-rio di quel miracolo musicale che è il Concerto per clarinettoKV 622. Ma la sua presenza non si esaurisce alle intestazionisullo spartito, alle quali s’aggiunge quella del Quintetto KV 581e di una parte concertante per clarinetto nella Clemenza di Tito.Anton Stadler, fratello massone, è anche il discusso deposita-rio di alcune partiture mozartiane. Avute per gretto opportu-nismo, si legge in qualche letteratura: spartiti in cambio di sol-di, giri di cambiali tra affratellati della stessa loggia, debiti nononorati, commerci sottobanco. Ma la scena bucolica ispiratadalTrio dei birilli fa pensare ad altro. C’è una malinconica se-renità campestre in questo lavoro, privo di forzature esterne,che abdica ai doveri del virtuosismo salottiero e ai contrastiespressivi, in favore di un immediato fluire domestico. Singolarel’organico, ma pure la struttura, con l’Andante che dal centrosi sposta all’inizio, per lasciare il campo alMinuetto e all’Alle-gro finale; e l’impasto sonoro che rifugge il contrasto dei soli-sti, cercandone la fratellanza. Così nacque questo divertimentoestivo, e Stadler stesso si accinse a suonarlo al clarinetto, men-tre l’autore attaccava alla viola. Di quella partita a birilli nonsapremo mai il risultato, ma sappiamo che fu uno degli ulti-mi squarci non angosciosi nella vita di Mozart. Per questo èfacile scorgere nel clarinetto il timbro caldo e dolente di unanostalgia mal curata nel passato, eppure già impellente nel fu-turo. Presaga ma sorridente. La consapevolezza malinconica del-la finitezza del mondo. Quindi, perché strepitare ancora?

DA ASCOLTARE

Dopo un’incisione per Sony Classical del Primo e del Ter-zo Concerto di Beethoven, solista e direttore Leif OveAndsnes, che ha fatto incetta di premi (Prix Caecilia2013, Gramophone Awards 2013, iTunes Best of2012), la Mahler Chamber Orchestra ha appena con-cluso la seconda, attesissima tappa del suo BeethovenJourney, uscita nel febbraio di quest’anno e contenen-te il Secondo e il Quarto dei suoi Concerti. Fra le sueultime fatiche discografiche va poi segnalata quella cheè stata definita «la più emozionante interpretazione d’in-sieme degli ultimi anni»: ossia il sodalizio con StevenIsserlis e quello rodatissimo con Daniel Harding (che laMCO l’ha per così dire ricevuta direttamente dalle manidi Abbado), impegnati nei Concerti per violoncello diDvořák. Se il Sunday Times ha paragonato l’esecuzio-ne di Isserlis ai più audaci abbandoni di Jacqueline duPré con in più la maturità e la saggezza dell’esperien-za, l’ultima registrazione della MCO (Nimbus Re-cords 2013) è stata acclamata come un’incisione-guidaverso l’opera del futuro: si trattava della prima mondialedi Written on Skin, scritta e diretta da George Benjamine vincitrice dell’International Opera Award 2013.

Priva di una sede fissa, la Mahler può definirsi un’orchestra ‘nomade’, i cui membri,provenienti da diverse nazionalità, ne fanno un’ambasciatrice del dialogo interculturale

Lo sapevate che...

32 IM MUSICA INSIEME

elegata ad un ruolo subalternorispetto al violino, più adatto,per le sue caratteristiche timbri-

che e la maggiore estensione verso il re-gistro acuto, a sostenere le parti solistichein orchestra, la viola trovò la sua pienarealizzazione solo a partire dal XIX se-colo. Fu nel Novecento, però, che l’in-teresse per le sue potenzialità espressive edrammatiche contribuì a dare vita adun vero e proprio repertorio dedicatoallo strumento, grazie anche a virtuosidel calibro di Primerose, Tertis e PaulHindemith, il quale dedicò alla violaquattro concerti e varie sonate, che ese-guiva egli stesso come solista. E violistaera stato anche Benjamin Britten, di cuiBashmet e i Solisti di Mosca eseguirannouna delle più intime e intense partiturededicate allo strumento: Lachrymae –Reflections on a Song of John Dowland. Lagenesi compositiva di Lachrymae risale al

1949, quando Britten, per convincere ilcelebre violista e amico William Prime-rose a partecipare al festival di Aldeburgh,promise di scrivere un pezzo apposita-mente per lui. La prima esecuzione, in-fatti, avvenne esattamente un anno dopo,il 20 giugno 1950, con Primerose allaviola e lo stesso Britten al pianoforte.Scritte originariamente per pianoforte eviola, queste variazioni su un song diJohn Dowland, furono poi riarrangiateper orchestra d’archi dal compositore in-glese nel 1976, poco prima di morire,per un altro illustre violista, Cecil Aro-nowitz. Prima ancora che il caratterecompositivo di Britten, Lachrymaemettein risalto due caratteristiche del suo uni-verso musicale: il forte interesse per icompositori del Cinque-Seicento inglesee l’amore per la viola, suo primo stru-mento, che qui diviene indiscussa pro-tagonista. Le undici parti di cui si com-

R

Il violista più apprezzato sulla scena internazionale, legatoa Musica Insieme da un duraturo sodalizio, guida i suoiSolisti di Mosca in un omaggio all’Italia di Daniele Follero

Ricordi d’Italia

Lunedì 17 marzo 2014

34 IM MUSICA INSIEME

L’Orchestra dei Solisti di Mosca è stata fondata da Bashmet nel 1984, ed è com-postadastrumentisti chesonotuttivincitoridiconcorsi internazionali.Riconosciutadalla critica come una delle migliori formazioni cameristiche del momento, ha te-nuto tournées in tutto il mondo ed è stata protagonista delle celebrazioni per ilcentenariodelConcertgebouwdiAmsterdamedellaCarnegieHall diNewYork.Con un repertorio molto ampio, che si estende dal barocco ai contemporanei, èspesso dedicataria di nuove opere per viola e orchestra di importanti composi-tori, tra cui va ricordato Alfred Schnittke. La strepitosa carriera internazionale diYuri Bashmet inizia nel 1976, dopo la vittoria del Primo Premio al Concorso in-ternazionale di Monaco. La prodigiosa sonorità e il magistrale dominio dell’arcone fanno uno dei solisti più apprezzati al mondo. Ha collaborato con i nomi piùprestigiosi del panorama internazionale, tra cui Sviatoslav Richter, Natalia Gut-man, Gidon Kremer, Mstislav Rostropovič, Viktor Tretiakov, il Quartetto Borodin.Dal1997èdirettoreartisticodelFestival internazionale“Elba IsolaMusicaled’Eu-ropa”, e dal 2000 è sua la direzione artistica della “Stagione Musicale a VillaAbamelek”,residenzaitalianadell’AmbasciatoreRusso.Dal2003ricoprel’incaricodi direttore principale ed artistico dell’Orchestra Sinfonica “Nuova Russia”.

I protagonisti

pone la partitura sono intese come ‘ri-flessioni’, più che variazioni, sulla melo-dia di If my complaints could passionmove, lirica scritta da Dowland nel1597. Fatta eccezione per l’ultima, in cuila linea melodica del brano compare perintero, l’elaborazione del tema principaleriguarda solo alcune note, in partico-lare le prime quattro. Questo tetracordoascendente, lamento languido e dolo-roso come una ferita d’amore, rappre-senta le fondamenta di tutta la compo-sizione e il suo utilizzo ne determina ilprofilo sia armonico che melodico. Brit-ten lo utilizza per costruire frammentimusicali alla base dei quali il timbrodella viola infonde un carattere scuro,malinconico ma anche spettrale, come leatmosfere rarefatte del Lento iniziale, incui il tema compare per la prima volta

35IM MUSICA INSIEME

con valori molto lunghi, per poi per-dersi nel dialogo tra il solista e il resto de-gli archi. I riferimenti alla melodia prin-cipale diventano sempre più opachi e sidisperdono nella materia musicale, finoa riaggregarsi nel movimento finale. Pre-sentare il tema per intero solo alla finecapovolge la struttura classica del Temacon variazioni. In questo caso, la pre-sentazione della melodia principale nonè più un punto di partenza, ma diventail momento della ricostruzione di tutti iframmenti, delle ‘riflessioni’ presentatein precedenza. Tra le quali non man-cano citazioni da altre opere dello stessoDowland, come nel caso della sesta va-riazione, in cui compare un accenno adun’altra sua lirica, Lachrymae (Flow mytears) che dà il titolo alla composizione.Se Britten sfrutta la cupezza timbrica

della viola, in Souvenir de Florence Caj-kovskij ne esalta le potenzialità melodi-che. Al di là, infatti, di uno stile incon-fondibilmente russo, nel suo esplicitoomaggio al Bel Paese è proprio con lemelodie ariose e cantabili che il compo-sitore russo identifica il ricordo dell’Ita-lia e, in particolare, di Firenze, città dovesoggiornò più volte. Per nulla preoccu-pato di apparire anacronistico agli occhi(e, soprattutto, alle orecchie) di chi, ne-gli stessi anni, tentava di affrancarsi dallostereotipo che associa la musica italianaunicamente al belcanto e alle melodieorecchiabili, Cajkovskij chiarì la sua po-sizione in poche righe: «Non mi piaceche Busoni faccia violenza alla proprianatura e che si sforzi di apparire tedescoad ogni costo. Qualcosa di simile ap-pare anche in Sgambati. Entrambi si ver-

LUNEDÌ 17MARZO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

I SOLISTI DI MOSCA

YURI BASHMET viola e direttore

Benjamin BrittenLachrymae op. 48aper viola e archiNiccolò PaganiniConcertino in la minoreper viola e archiPëtr Il’ic CajkovskijSouvenir de Florencein re minore op.70 per archi

Introduce Marco Beghelli, docente nelDipartimento delle Arti dell’Università diBologna, dove coordina l’Archivio del Canto

gognano di essere italiani e hanno paurache nelle loro composizioni appaia qual-cosa che possa anche solo somigliare aduna melodia». I quattro movimenti delsestetto d’archi Souvenir de Florence po-trebbero considerarsi la traduzione inmusica dello stesso concetto. Cajkovskijarrivò per la prima volta in Italia il 20novembre 1887, ospite di Nadežda vonMeck, sua ammiratrice e benefattrice.Sarà lei la fonte d’ispirazione del sestetto,la cui idea e i primi abbozzi nacqueroproprio in quel primo soggiorno ita-liano, sebbene per una vera e propriastesura il compositore attendesse poi treanni. Pensato per un’esecuzione in casadella von Meck, Souvenir de Florenceesordì sì in forma privata, ma all’Hotelde Russie di Pietroburgo, durante leprove della Dama di Picche. La primaesecuzione pubblica, invece, si tenne nelnovembre del 1892, sempre a San Pie-troburgo, presso la Società di Musica daCamera, cui il sestetto fu dedicato. Piùche nel profilo dei temi, inconfondibil-mente legati allo stile del compositorerusso, è l’uso della melodia, nel Souvenir,ad essere tipicamente “italiano”. Già nelprimo movimento, Allegro con spirito, informa-sonata, il tema dalle reminiscenzepopolari, energico e molto marcato rit-micamente, che si impone all’inizio, la-scia il posto ad un secondo motivo me-lodico cantabile, quasi operistico.Un’armoniosità che si ritrova anche nelsuccessivo Adagio cantabile e con moto, incui la viola e il violoncello si abbando-nano a un dolce duetto, accompagnatodal pizzicato degli altri archi e interrottoda una breve sezione centrale, totalmentecontrastante, in cui gli strumenti si spo-stano, vibranti, ansiosi, sul registro alto.Nell’Allegretto moderato le melodie diispirazione popolare riaffiorano, soste-nute da un ritmo di danza e dalla violasolista, piombata in un malinconico re-gistro grave, seguito da un elegante Trio,che rievoca più da vicino certe soluzionistrumentali dello Schiaccianoci. Il finale

ha un carattere spiccatamente polifonicoe al suo interno contiene anche unabreve fuga, senza che ciò intacchi l’am-pio respiro delle melodie.Il repertorio da camera di Paganini pre-senta esattamente l’altra faccia del musi-cista avvezzo alla dimensione concerti-stica, acclamato e osannato genio delviolino e domatore di grandi platee. Nellepartiture per piccoli ensemble emerge illato più intimo del musicista, una mag-giore attenzione per una musica d’in-sieme che «non è però musica da consu-mare e da mettere in un canto; è musicad’intrattenimento, certo, ma non d’oc-casione, e scritta con un’attenzione per iparticolari che rivela come Paganini la te-nesse in alta considerazione» (Prefumo).Se la fama di eccellente violinista attri-buita a Paganini è conclamata ed ha rap-presentato, nel tempo, uno degli elementiche più hanno contribuito ad accrescereil suo mito, è meno noto che il compo-sitore ligure fu anche un virtuoso di altristrumenti, tra i quali la chitarra e la viola,che trovarono grande e importante spa-zio proprio nelle sue partiture cameristi-che. Tra queste spiccano i quindici Quar-tetti, scritti tra il 1818 e il 1820, neiquali la chitarra sostituisce il secondoviolino, dando vita ad una formazione

inedita rispetto al classico quartetto d’ar-chi. Il Quindicesimo Quartetto in la mi-nore, che i Solisti di Mosca eseguirannoin una trascrizione per soli archi (deno-minata Concertino in la minore per violae archi), si distingue dagli altri poiché laparte del solista non è affidata al violino,bensì alla viola. Una scelta, questa, checonferisce al colore di tutta la composi-zione un tono scuro, drammatico. Inequilibrio tra stile concertato e sonati-stico, il Quartetto si apre con unMaestosodominato da un primo tema vigoroso,energico, il cui sviluppo si impone sulladolcezza del secondo motivo, spaziandonei diversi ambiti tonali dei quattro stru-menti e sfruttandone sia le potenzialitàtimbriche sia quelle virtuosistiche. Alprimo movimento segue un Minuetto acanone in cui, nella versione originale, ilTrio è affidato alla sola chitarra. L’espres-sività della viola torna protagonista nelsuccessivo, intensissimo Recitativo (An-dante sostenuto con sentimento), seguitodallo spiccato lirismo dell’Adagio canta-bile. Il finale, affidato a un Rondò (Alle-gretto) dai tratti popolareggianti e moltolontano dalle atmosfere drammatiche deiprecedenti movimenti, sembra rompereun incantesimo, riportando l’ascoltatoredal sogno alla realtà del quotidiano.

36 IM MUSICA INSIEME

Bashmet è il direttore artistico del Festival che si tiene in occasione delle Olimpiadidi Sochi, con numerosi concerti e 9 prime assolute di opere per viola a lui dedicate

Lo sapevate che...

Lunedì 17 marzo 2014

DA ASCOLTARE

Fra le ultime uscite del foltissimo catalogo discografico di Yuri Bashmet insiemeai Solisti di Mosca, va annoverato il cd Onyx del 2007 dedicato a Stravinskije Prokof’ev, e vincitore di un Grammy Award, cui ha fatto seguito nel 2008 l’in-cisione di un’antologia ‘cinematografica’ di autori estremorientali come Tan Dun(il Premio Oscar La Tigre e il Dragone) e Toru Takemitsu, in uno struggente omag-gio (intitolato appunto Nostalghia) al regista russo Tarkovskij. Dalla sovieticaMelodija alla Deutsche Grammophon, sembra proprio che tutte le major abbianoda sempre corteggiato quello che è ormai da decenni il violista più celebre del-la classica. Per restringere dunque il campo al programma del concerto per Mu-sica Insieme, è da ricordare il remastering del 2000 dell’incisione che vedevaBashmet a fianco del leggendario Sviatoslav Richter, e che riuniva quelli chesono con ogni probabilità i tre capolavori novecenteschi per viola e piano: leSonate di Šostakovič e Hindemith, e Lachrymae di Britten. Era il 1993, l’etichettaera la mitica Melodija, appunto, declinata per l’esportazione extra-URSS comeMK, ossia Mezhdunarodnaja Kniga (letteralmente “Libro Internazionale”).

una vera gara dialettica ed esteticaquella tra i compositori dell’Otto-cento e le grandi forme ereditate

dalla tradizione del classicismo: la sonata,la sinfonia, il concerto… Secondo la con-cezione estetica romantica, che affondavale sue radici negli scritti dei grandi filosofiapparsi sulla rivista berlinese Athenäum, laforma prestrutturata doveva essere infattisostituita dal ‘frammento’ che, come diceSchlegel, è «simile a una piccola operad’arte, deve essere completamente sepa-rato dal mondo circostante e perfetto inse medesimo, come un riccio». Piccolo ca-polavoro essenziale ed autosufficiente, ilframmento (che in musica ci piace chia-mare ‘foglio d’album’), prescindendo dal-l’apparente contraddizione che ce lo faimmaginare come ‘parte’ di qualche cosa,racchiude invece completo il mondoespressivo dell’autore, non deve rispon-dere a nessuna forma precostituita, siadatta ogni volta alle necessità espressive

e concretizza l’istantaneità dell’ispirazioneesaurendosi nello spazio di poche pagineo, a volte, anche solo di poche battute. Senei casi migliori (ad esempio in Chopin)il frammento era stato sublimato e idea-lizzato in un ambito quasi totalmenteastratto, Schumann, che aveva tra le sueletture preferite proprio i testi dei letteratitedeschi dei primi decenni del secolo,compie un passo ulteriore e risolve il pro-blema dell’apparente frammentarietà in-serendo ogni brano all’interno di un pen-siero di ben più ampio respiro. Da unlato, attraverso l’invenzione del ‘ciclo’,pagine di diversa natura e di diversa strut-tura e ampiezza raggiungono proprio nelloro accostamento una superiore unità,una logica e un senso, proponendoci la vi-sione di mondi poetici lontanissimi doveogni piccolo brano nella sua originalità èparte di un più vasto universo. Nel ‘ciclo’,infatti, pagine di semplice forma bipartitao tripartita, con strutture rigide o in di-

È

Un raffinato programma ottocentesco, fra Schumanne Schubert, per l’atteso ritorno nel cartellone di MusicaInsieme del pianista rumeno di Maria Chiara Mazzi

Martedì 8 aprile 2014

38 IM MUSICA INSIEME

Nato in Romania nel 1945, Radu Lupu ha debuttato a soli dodici anni in un con-certo con un programma interamente costituito da musiche da lui stesso com-poste. Dopo la vittoria in tre importanti concorsi internazionali, il “Van Cliburn”nel 1966, l’“Enescu” nel 1967 ed il Concorso di Leeds nel 1969, ha dato inizioa una lunga e straordinaria carriera che da oltre cinquant’anni lo vede esibirsiregolarmente nelle sale più rinomate e con le più prestigiose orchestre europeeedamericane, tracuiBerlinerPhilharmoniker,RoyalConcertgebouwOrchestra,Wiener Philharmoniker, London Philharmonic Orchestra, Chicago SymphonyOrchestra e Orchestre de Paris. Ha collaborato con direttori del calibro di Da-niel Barenboim,Riccardo Muti, Carlo MariaGiulini, Herbert von Karajan, Clau-dio Abbado. Si esibisce in tutti i più importanti festival e rassegne musicali ed èospite regolare dei Festival di Salisburgo e di Lucerna. Ha ricevuto il Premio “Ar-turo Benedetti Michelangeli” e, per ben due volte, il prestigioso Premio “Ab-biati”, assegnato dall’Associazione dei Critici italiani.

Radu Lupu

Sonatavs miniatura

39IM MUSICA INSIEME

suso (come scherzi o minuetti) o di sin-golarità senza antecedenti né eredi, vi-vono ciascuna di una perfetta autono-mia, ma acquistano senso solo collegateinsieme, con uno sguardo allargato diesplicito intento descrittivo o narrativo,per raccontare storie (come accade adesempio in Carnaval o in Kinderszenen) oper dare suono a contenuti letterari e fi-losofici (come in Davidsbündlertänze oin Kreisleriana). Dall’altro lato stanno le‘raccolte’, dove il compositore affiancabrani spesso preparati in epoche e conmotivazioni diverse, come accade neiBunte Blätter (composti da Schumannper ragioni e in momenti diversi tra il1836 e il 1849 e pubblicati nel 1852;“Fogli multicolori” perché inizialmenteera sua intenzione far pubblicare ognibrano su pagine di colori diversi), chepur non pensati organicamente sono tra-sformati in pura espressione poetica coe-rente dal fatto di essere stati riuniti pro-prio in quel modo dall’autore stesso.Quattordici pezzi, di forma varia, i primiotto più brevi, gli ultimi sei più vasti, co-stituiscono la raccolta alla quale con unabuona quota di falsa modestia l’autorevoleva inizialmente dare il nome di Spreu,letteralmente ‘pula del grano’, o, metafo-ricamente, come le ‘nugae’ catulliane,cianfrusaglie, inezie, cose di poco conto.Tuttavia, come i letterati non rinuncianoal romanzo, i musicisti non rinuncianoalla sonata, che pure esteriormente ap-partiene alla categoria delle forme ‘preco-stituite e rigidamente strutturate’. La af-frontano a modo loro, non solo e nontanto allontanandosi dai modelli (a quelliaveva già rinunciato Beethoven!), ma tra-sferendovi le stesse istanze che trovavanofulminea attuazione nel frammento.Come scrive Rattalino proprio a propo-sito di Schubert, «la sonata non esprimepiù la volontà di trasformare il mondo,cioè la tendenza ad esercitare una pres-sione psicologica nei confronti dell’ascol-tatore. Il tempo della musica non simbo-lizza più il tempo della coscienza: è untempo onirico nel quale l’attimo si dilatae si riempie di una infinità di contenutipsicologici senza condurre alla catarsi».Paradossalmente, è proprio Schumann,cioè colui che fa della ‘forma-frammentoridotta alla sua originaria unità’ il suo ca-

MARTEDÌ 8 APRILE 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

RADU LUPU pianoforte

Robert SchumannBunte Blätter op.99Franz SchubertSonata in la maggiore D 959

Introduce Maria Chiara Mazzi, docenteal Conservatorio di Pesaro e autricedi libri di educazione e storia musicale

Foto

Mar

yR

ober

ts

vallo di battaglia, ad apprezzare e a capireforse per la prima volta la grandezza e ilcoraggio delle sonate di Schubert. Schu-bert che con gli ultimi capolavori del1828 (D 958, 959 e 960) aveva tentatoinvano di conquistare una Vienna ostilealla sua arte e che di lui aveva saputo ap-prezzare unicamente quei ‘fogli d’album’che il compositore preparava quasi soloper garantire la propria sopravvivenza.Eppure è proprio in queste ultime com-posizioni, pubblicate postume da Dia-belli nel 1839, che prende il via unanuova strada per questa forma che dopoBeethoven sembrava non avere quasi piùnulla di nuovo da dire. «Queste sonate misembrano spiccatamente differenti dallealtre sue» scrive Schumann proprio rife-rendosi ai tre ultimi capolavori, «special-mente per una molto più grande sempli-cità d’invenzione, per una volontariarinuncia a brillanti novità in cui egli altravolta si compiaceva, per lo sviluppo dicerte generali idee musicali, mentre altravolta sovrapponeva periodo su periodo.Come se ciò non potesse aver mai fine,non fosse mai in imbarazzo per prose-guire, corre avanti di pagina in paginasempre musicale e ricco di canto, inter-rotto qua e là da singoli sentimenti vio-lenti, ma che presto si calmano nuova-mente». E continua: «Se volessimodimostrare nei particolari perché le sue

opere debbano essere dichiarate compo-sizioni di altissimo valore occorrerebberodei volumi, cosi multiformi sono i pen-sieri e le azioni dell’uomo, altrettantomolteplice è la musica di Schubert. Ciòche egli vede con l’occhio e tocca conmano, si trasforma in musica». Questecomposizioni costituiscono quindi un’al-ternativa alla funzione della musica perpianoforte nell’epoca della Restaurazione,della quale le Sonate di Beethoven sem-brano totalmente dimenticarsi. Un’ipotesialternativa, ma anche una possibilità difuturo di una forma che il romanticismonon avrebbe rifiutato, nonostante i pro-clami sulla ‘libera ispirazione’. In esseSchubert si libera del ‘fantasma di Bee-thoven’ e mostra al futuro come questaforma avesse le potenzialità per esprimerela nuova poetica, divenendo la migliorerisposta a chi si chiedeva quale stile sona-tistico fosse possibile utilizzare dopo gliultimi capolavori beethoveniani in questocampo. La risposta schubertiana è chia-rissima, frutto di una genialità diversa daquella del grande tedesco a lui contem-poraneo: in un clima culturale e artisticomutato, con uno strumento dalle possi-bilità espressive più avanzate, si può scri-vere qualsiasi cosa, considerando Beetho-ven non come punto di partenza, macome esempio di una fase della storia or-mai conclusa. Il sonatismo di Schubert

non è lo specchio di un’idealità eroica enon possiede i messaggi di fratellanza uni-versale e di impegno verso l’umanità dellamusica beethoveniana, poiché questiideali erano crollati col Congresso diVienna. Esso è il ritratto dell’ambienteculturale di una città stanca, in cui il mes-saggio si fa personale ed è rivolto ai pochiamici del salotto o del circolo. Tuttaviaquesta concezione musicale, lungi dal-l’essere di basso profilo e di poco impe-gno, possiede una ricchezza e un’origina-lità dalle quali è assente il virtuosismofine a se stesso, e che pone Schubert oltreBeethoven, a costruire l’esempio di unmondo ideale che vivrà per tutto l’Otto-cento. Le ultime sonate per pianoforte,poi, sono come parole che il compositorenon rivolge più a nessun altro che a sestesso. E in particolare proprio questa So-nata in la maggiore sembra attingere auna serenità lontana dalla quotidianità,quasi nella consapevolezza dell’imminentedistacco. In questo modo si spiega l’ener-gia, ma anche il vagare fantastico delprimo movimento, affiancati alla lanci-nante tristezza del secondo, da alcuni cri-tici definito una “berceuse del dolore”. Aquesta pagina si contrappone lo Scherzo,che ha la semplicità danzante del mondoviennese, prima del conclusivo Allegretto,apoteosi di quella “divina lunghezza”tanto apprezzata da Schumann. Si trattadi un rondò dalla chiarezza e dalla lumi-nosità quasi arcadica e che, pur velato amomenti di una strana inquietudine, sichiude con un vigore e una positività chericorda le decise affermazioni del movi-mento iniziale. Finisce, la Sonata (per leg-gere ancora Schumann) «di buon umore,leggero e gentile, come se l’indomani po-tesse di nuovo cominciare. E se sul suoepitaffio sta scritto che lì giacciono sot-terrate “un prezioso possesso, ma ancorpiù belle speranze”, noi vogliamo ricor-darci riconoscenti soltanto del suo “pre-zioso possesso”. Arrovellarsi su che cosaegli avrebbe potuto ancor raggiungere nonconduce a nulla. Egli ha fatto abbastanzae sia venerato chi come lui ha vagheg-giato e portato a compimento tante cose».

40 IM MUSICA INSIEME

Radu Lupu inizia a studiare il pianoforte a 6 anni nella nativa Romania e debutta inpubblico a soli 12 anni, con un intero programma di musiche da lui stesso composte

Lo sapevate che...

Martedì 8 aprile 2014

DA ASCOLTARE

Riassumere in poche righe l’impegno discografico di un artista come Radu Lupuè pressoché impossibile. Il suo percorso in vinile comincia negli anni Settantadel secolo scorso ed ovviamente arriva ai file audio dei nostri giorni. Dunque,più o meno quarant’anni di lavoro in studio, nei quali certi elementi sono peròsempre presenti. Beethoven, ad esempio. Ma anche e soprattutto Schubert. Perla Decca incide una scelta delle Sonate già nel ’75 e nel ’77. Poi ancora nel’91 e nel ’93 eccolo incidere un’antologia liederistica con Barbara Hendricks.Nel mezzo, molto Beethoven, abbastanza Brahms, qualche Mozart (inclusala registrazione dei concerti per due e tre pianoforti realizzata assieme a Mur-ray Perahia per la Sony ancora nel 1991). Scavalcato il millennio, Schubertcontinua a trovare ampio spazio nella discografia di Lupu, mentre di Francke Debussy troviamo solo l’incisione delle Sonate per violino e pianoforte pro-posta nel 1988 in una compilation di cd. Fedele alla Decca, la casa discograficainglese lo omaggia nel 2010 e nel 2011 di due fondamentali antologiche: TheComplete Decca Solo Recordings e The Complete Decca Concerto Recordings.

Al suo debutto nel nostrocartellone, la straordinaria

violinista olandese sceglie unprogramma che attraversa

l’Europa fra Otto e Novecentodi Valentina De Ieso

Padri e figli

Lunedì 14 aprile 2014

habrier, Colette, Cortot, De-bussy, d’Indy, Fauré, Mallarmé,Monet. Potrebbe sembrare l’in-

dice dei nomi in calce ad un volume sul-la cultura francese del tardo Ottocento,ma potrebbe anche verosimilmente esserela lista degli invitati nelle mani del mag-giordomo di casa Chausson, a Parigi, inuna sera qualunque. Nel suo salotto siriunivano infatti artisti, compositori,poeti, che in lui trovavano un amico e unmecenate colto e generoso. Come se-gretario della Societé Nationale de Mu-sique infatti, circondato dalle menti piùbrillanti del suo tempo, Chausson ricreòun mondo ideale, dove contemplareopere d’arte, o ascoltare musica, sfug-gendo alla depressione che lo tormenta-va già dalla più tenera età. Nato nel 1855,unico sopravvissuto di tre fratelli, Amé-dée-Ernest Chausson si portò addosso ilfardello delle angosce materne, crescen-do in un ambiente isolato, nelle mani diseveri precettori che ne fecero un uomodi rara cultura e di ancor più rara insi-curezza e fragilità (il destino avrebbe poidato ragione alla madre, quando una ca-duta in bicicletta lo avrebbe ucciso qua-rantaquattrenne). Il padre, collaborato-re del Barone Haussmann, sognava perlui la carriera politica, che Ernest non in-traprese mai. Studiò invece al Conser-vatorio di Parigi con Massenet e Franck,ma il momento decisivo per la sua for-mazione musicale fu il viaggio a Bay-reuth, insieme a d’Indy, per assistere allaprima di Parsifal, da cui fu completa-

C

mente folgorato. Fece della diffusione del-le idee wagneriane una vera e propria mis-sione, applicandole soprattutto nella suaproduzione teatrale. Insicuro e forte-mente critico verso se stesso, Chaussondubitava delle proprie abilità compositi-ve, e a conti fatti anche Poème op. 25 è lastoria di una rinuncia. Nel 1896 il cele-bre violinista Eugène Ysaÿe gli commis-sionò un concerto per violino, ma Chaus-son, sostenendo di non sapere affronta-re una forma così complessa, propose unbrano in forma libera. Vi lavorò per po-chi mesi, ma non senza continui ripen-samenti, tanto che l’opera ha cambiato ti-tolo per ben tre volte: Le Chant del’amour triumphant, Poème symphoniqueed infine solo Poème. Il canto dell’amoretrionfante era un racconto diTurgenev, cheChausson stimava profondamente. Sivociferava che l’argomento dell’opera, untriangolo amoroso nella Ferrara cinque-centesca, fosse ispirato alla relazione di Ga-briel Fauré con la giovane figlia dei me-cenati di Turgenev. Chausson, che co-nosceva tutti gli implicati nella vicenda,aveva deciso di metterla in musica, per poirinunciarvi. Aveva approntata una ver-sione con accompagnamento pianistico,ma fu nella veste orchestrale che l’operafu presentata prima a Nancy e poi a Pa-rigi da Ysaÿe, nell’aprile del 1897, con untale apprezzamento del pubblico da scon-certare lo stesso compositore. I cupi ac-cordi iniziali del pianoforte lasciano spa-zio all’intervento del tema del violino: unamelodia struggente, sentimentale, poi

ripresa dal pianoforte. I due strumenticontinuano ad alternarsi: brevi inter-venti del pianoforte interrompono lun-ghe frasi appassionate del violino, sino alfinale, un climax di struggimento ed esa-sperazione. La forma estremamente liberalascia fluire un sentimento debordante, oradoloroso, ora pieno di passione: il mon-do interiore turbato di un gentiluomo al-l’apparenza elegante e posato, che ha com-battuto tutta la vita contro i suoi fanta-smi infantili.Chausson era appena nato quando JosephRavel, dal collegio svizzero in cui studiava,scriveva alla madre chiedendole il per-messo di imparare a suonare la tromba.A quanto pare l’autorizzazione non arri-vò mai ed egli divenne uno stimato in-gegnere. La passione per la musica rima-se però intatta tanto che suo figlio Mau-rice sosteneva di aver ereditato da lui quel-l’inclinazione che lo avrebbe portato a di-ventare uno dei compositori più impor-tanti della modernità. E proprio mentrePoème incantava Parigi, Ravel si approc-ciava per la prima volta alla composizio-ne di una sonata per violino. L’opera nonpiacque, troppo influenzata dallo stile delsuo maestro Fauré (si diceva), troppo le-ziosa, completamente diversa dalla Sonatain sol maggiore che trent’anni dopo, ese-guita al pianoforte dall’autore stesso e daGeorge Enescu, fu presentata al pubbli-co della Sala Érard. La stesura dell’ope-ra era iniziata nel 1923, ma fu comple-tata solo nel 1927. Il compositore descrissela genesi della sonata dicendo: «Già ave-

vo in mente la forma assai singolare, lascrittura strumentale e persino il caratteredei temi di ciascuna delle tre parti ancorprima che l’ispirazione m’avesse suggeri-to uno solo di questi temi». L’Allegretto ini-ziale, dal carattere gentile e arioso, è in-trodotto da un grazioso tema al pianoforteche prelude a quello del violino. Il secondomovimento, Blues, è introdotto dai piz-zicati del violino solo, che alludono al tim-bro del banjo, giocando sulle possibilitàtimbriche e riproponendo stilemi ritmi-ci tipici del jazz. La sonata è conclusa dalPerpetuum mobile che si snoda tra scalevorticose, doppie note e glissandi, che ter-mina improvvisamente nello strania-mento dei due strumenti ormai sovrap-posti senza alcuna fusione, a dimostrarequella che Ravel considerava la inconfu-

Dopo il debutto a Londra con la Philharmonia Orchestra diretta da Vladimir Ashkenazy nel 2002, Janine Jansen ha datoinizio ad una brillantissima carriera che la vede collaborare con i più celebrati direttori quali Mehta, Maazel, Jurowski, Har-ding, Pappano, Jansons. Viene regolarmente invitata ad esibirsi con le più prestigiose compagini, tra cui Royal Concertge-bouw Orchestra, Berliner Philharmoniker, London Symphony Orchestra, Orchestre de Paris e New York Philharmonic. Mol-to attiva anche nella musica da camera, cura l’annuale International Chamber Music Festival di Utrecht, ed è membro degliSpectrum Concerts di Berlino. Suona un meraviglioso strumento “Barrere” di Antonio Stradivari (1727) messole a disposi-zione dalla Elise Mathilde Foundation.

Nato a Vilnius, ma emigrato giovanissimo in Israele, Itamar Golan è oggi uno dei pianisti più richiesti sulla scena interna-zionale: in più di vent’anni di carriera ha suonato con le maggiori orchestre, quali Israel Philharmonic e Berliner Philhar-moniker diretti da Zubin Mehta, Royal Philharmonic con Daniele Gatti, Orchestra Filarmonica della Scala e Wiener Phil-harmoniker diretti da Riccardo Muti, oltre ad aver accompagnato solisti come Vadim Repin, Julian Rachlin, Mischa Maisky,Shlomo Mintz, MaximVengerov, Martin Frost.

LUNEDÌ 14 APRILE 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

JANINE JANSEN violino

ITAMAR GOLAN pianoforte

43IM MUSICA INSIEME

Leoš JanácekSonata JW 7/7Franz SchubertFantasia in do maggiore D 934Amédée-Ernest ChaussonPoème op.25Maurice RavelSonata in sol maggiore

Introduce Giordano Montecchi. Saggista ecritico musicale per quotidiani e riviste, insegnaStoria della musica al Conservatorio di Parma

Janine Jansen

Itamar Golan

tabile incompatibilità tra i due.Un secolo esatto prima della Sonata di Ra-vel, veniva data alle stampe la Fantasia indo maggiore per violino e pianoforte D934 di Franz Schubert. È l’ultimo annodella breve vita di questo giovane, che eradivenuto un musicista quasi per caso, av-viato alla musica dal padre, un maestro ele-mentare di origini morave. Schubert ri-comincia a comporre per il violino doponove anni di silenzio dalle Sonate del 1816e del 1817. È su richiesta dell’amico e vir-tuoso Joseph Slawyk che scriverà il Ron-dò brillante in si minore D 895 e a seguirela Fantasia. In forma libera, e senza so-luzione di continuità, è costituita da epi-sodi isolabili, a partire dall’Andante mol-to dove si manifesta il tema principale, digrande lirismo, affidato al violino. Dopol’Allegretto, si presenta il Tema con varia-zioni, costruito sul tema di un Lied diSchubert, Sei mir gegrüsst D 741. Infineil Presto ripropone il trema iniziale. LaFantasia, oggi considerata il suo capola-voro per violino, venne stroncata dallastampa viennese. «La Fantasia del SignorSchubert – riporta un quotidiano del-l’epoca – supera il tempo che i viennesisono disposti a dedicare ai loro piaceri este-tici. La sala si è progressivamente svuotata,e il nostro corrispondente vi confessa cheanch’egli non saprebbe dirvi come si siaconcluso questo pezzo di musica».Proprio negli anni in cui il padre di Chaus-son nella sua elegante dimora pariginaprendeva atto, suo malgrado, che il fra-gile figlio quindicenne non sarebbe maidivenuto un importante uomo politico,nel suo piccolo villaggio, un altro maestroelementare moravo, Jirí Janácek, scopri-va che il talento musicale di suo figlio Leošpoteva rivelarsi una risorsa per sfamare lanumerosa famiglia. E se per Chausson lafanciullezza fu una prigione solitaria,nello scritto autobiografico Senza timpa-ni, Janácek ricorda una vita chiassosa e fe-lice, tra i versi degli animali della fattoriae la musica che si faceva in casa, col pa-dre organista e il coro dei nove fratelli. Ilpadre lo inviò in un convento a Brno af-

finché fosse istruito alla musica, che spe-rava potesse divenire una remunerativaprofessione. Egli morì però quando Leošaveva appena dodici anni. Janácek va-gheggiò quegli anni felici per il resto deisuoi giorni, e proprio alle voci della suagente si ispirò per i suoi importanti stu-di sul linguaggio. Come Bartók e Kodá-ly, Janácek raccolse canti popolari che perònon riutilizzò nelle sue opere, ma ne ap-prese e adottò la struttura sintattica, ap-plicandola alla musica colta. Divenne uncompositore di fama europea e, una cin-quantina di anni dopo, quando stava perscoppiare il primo, tragico, conflittomondiale era ormai una figura di riferi-mento. A quest’epoca risale la Sonata perviolino J 7/7. In una Moravia ancora au-stroungarica, Janácek guarda all’ingresso

della Russia in guerra come unica possi-bile via alla liberazione del suo popolo.E come un omaggio a questa nazione èspesso stato letto quell’occhieggiare del-la Sonata al folklore russo. Scriverà chequesti pensieri lo avevano ispirato acomporre: «guizzavano nella mia mentei bagliori dell’acciaio affilato, la miamente eccitata ne percepiva i clangori».Il movimento iniziale, Con moto, si aprecon un’ampia frase cantabile del violino,accompagnata dal tremolo del pianofor-te, che lascia subito spazio a brevissimimotivi quasi singhiozzati. Su questa al-ternanza è costruito tutto il movimento.Segue la Balada, intensa e vibrante, dalsapore folklorico, probabilmente il primonucleo composto da Janácek, ben primadello scoppio della guerra. Il brevissimoAllegretto prelude all’Adagio finale dallaforma rapsodica: dopo una pensosa in-troduzione, seguita da passaggi energici,quasi violenti, termina nella desolazione,con una forma che rimanda ad un cora-le, una sorta di compianto. E proprio aBrno, la città dove fu costretto a trasfe-rirsi ancora bambino, la Sonata fu eseguitanel 1922. Applaudito come il più gran-de compositore moravo, Janácek coronavacosì le aspettative del padre che lo avevamandato in quella città quasi sessant’anniprima per regalargli un futuro.

Nel 2003 Janine Jansen ha ricevuto il prestigioso “Premio per la Musica” conferito dalMinistero della Cultura olandese, la più alta onorificenza per gli artisti dei Paesi Bassi

Lo sapevate che...

44 IM MUSICA INSIEME

Lunedì 14 aprile 2014

DA ASCOLTARE

La discografia di questa strepitosa artista olandese è davvero ricca, e tutta nelsegno della Decca. A partire dal 2003 sono ben oltre la decina i cd pubbli-cati, che le hanno procurato numerosi premi, e rispecchiano la sua attività sianella musica da camera, sia come solista con le più grandi orchestre. Con Chail-ly nel 2006 ha inciso due Concerti di Bruch e l’op. 64 di Mendelssohn, men-tre al 2008 risale la registrazione del Concerto per violino e orchestra di Čaj-kovskij con la Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniel Harding. Dell’annosuccessivo è il cd con la London Symphony Orchestra, diretta da Paavo Jär-vi, con Britten e Beethoven, terzo disco più venduto in Olanda nell’ambito del-la classica. Con Jurowski e la London Philharmonic Orchestra ha registrato nel2012 il Concerto per violino n. 2 di Prokof’ev. Altrettante fatiche riguardanoil versante cameristico, con il Quintetto per archi di Schubert e Verklärte Nachtdi Schoenberg, sempre del 2012. Al fianco di Golan, suo partner nel concertoper Musica Insieme, ha inciso Beau soir (2010), una raccolta di celebri pagi-ne francesi per violino, da Debussy, a Fauré e Ravel, terzo cd più venduto inOlanda nel campo della classica.

Lunedì 12 maggio 2014

Il sipario della ventisettesimastagione di Musica Insiemesi chiude con un recital delpianista russo, da quasi vent’anniprotagonista indiscussodei palcoscenici più prestigiosidi Mariateresa Storino

Oltrela forma

oi siamo abituati, dal nomeche porta una cosa, a con-cludere su questa cosa stes-

sa», scrive Robert Schumann nelle primerighe della sua visionaria recensione sul-la Symphonie fantastique di Berlioz: unaconstatazione sulle modalità di organiz-zazione del nostro mondo percettivo, tan-to più vera nell’arte sonora, che ‘perde’ lasua concretezza in uno svolgersi tempo-rale privo di rewind. «Per una fantasia ab-biamo delle esigenze, altre per una so-nata», prosegue Schumann. Siamo nel1835, il compositore sta combattendo coni problemi della grande forma, con l’ine-

vitabile riferimento all’opera di Beetho-ven. La produzione strumentale del co-losso di Bonn è la pietra di paragone chetutti i compositori romantici devono af-frontare, lo scoglio che può essere approdosicuro o divenire luogo di perdizione.Forte fu l’influsso di Beethoven suFranz Schubert, la cui contemporanei-tà fu causa di notevole ‘disagio’, ma, allostesso tempo, di impulso alla creazionedi una scrittura idiomatica e foriera del-lo sviluppo del linguaggio musicale. Iprimi tentativi di questo confronto,particolarmente intenso tra il 1815 e il1817, sfociano in un gruppo di sonate

per pianoforte, tra cui la Sonata in domaggiore D 279. Schubert è in cerca delproprio stile pianistico; sono «anni diesperimento» di cui resta traccia in ma-noscritti incompleti e in sonate dall’ar-ticolazione ‘singolare’ dal punto di vistadella scelta dei movimenti. Come nellaprima Sonata D 157, Schubert conclu-de la Sonata D 279 con un Minuetto.Come spiegare la presenza di unMinuettonell’architettura di una sonata? Il suo luo-go, da sempre, è quello del penultimo mo-vimento; il pubblico si aspetta un Allegro,magari in forma-sonata o in forma di ron-dò, certo non quest’antico ricordo di dan-

«N

46 IM MUSICA INSIEME

47IM MUSICA INSIEME

LUNEDÌ 12 MAGGIO 2014AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

ARCADI VOLODOS pianoforte

Franz SchubertSonata in do maggiore D 279Allegretto in do maggiore D 346Johannes BrahmsSei Pezzi op.118Robert SchumannKinderszenen op.15Fantasie in do maggiore op.17

Introduce Fabrizio Festa, compositore,docente di Conservatorio e saggista

za settecentesca. Lo stato frammentariodel manoscritto della Sonata per lungotempo ha lasciato incerti sull’esistenza diun possibile quarto movimento; nel1927 Walter Rehberg promosse l’Alle-gretto D 346 a questa funzione, ma i ri-lievi filologici successivi gettano ombrasulla plausibilità di questa scelta.L’approdo di Schumann al modello bee-thoveniano passa attraverso l’esperienzadi Schubert, Mendelssohn e Weber, pre-decessori che hanno ‘dissodato’ il terre-no della tradizione e reso meno pressantel’eredità ma, certo, non meno incisiva. LaFantasie in do maggiore op. 17 è unomaggio a Beethoven, ma è anche unomaggio a Clara Wieck ed a Franz Liszt,così come è un riflesso del mondo poe-tico del romanticismo letterario: un cro-cevia in cui confluiscono esperienze per-sonali e tipologie formali. La genesi del-la Fantasie è intricata. Nel 1835, in oc-casione del 65° anniversario della nasci-ta di Beethoven, un comitato presiedu-to da August Wilhelm von Schlegel pro-muove una raccolta fondi per l’edifica-zione di un monumento alla memoria delcompositore, da erigere a Bonn. L’annosuccessivo Schumann pubblicizza l’even-to sulla Neue Zeitschrift für Musik con unsaggio in quattro parti dal titolo Monu-ment für Beethoven. Parallelamente, a di-versi editori propone il progetto di unaGrosse Sonate dal titolo Obolen auf Bee-thovens Monument: Ruinen, Trophäen,Palmen (Oboli per il monumento di Bee-thoven: rovine, trofei, palme), i cui proventisaranno in parte destinati alla raccoltafondi di Schlegel. L’omaggio non è soloesteriore; nel movimento Palmen il com-positore inserirà una citazione dall’Alle-gretto della Settima Sinfonia. Nel 1837il brano è ancora in fase di gestazione, maecco affacciarsi un primo cambiamento:il titolo sarà Phantasie. Completata l’ope-ra nel 1838, il progetto viene ancora unavolta modificato: in una lettera a Clara,Schumann descrive il primo movimen-to «come il più appassionato» che abbiamai scritto, «un profondo lamento che sileva verso di te». Alla lode a Beethovensi associa dunque una dichiarazioned’amore a Clara. Sulla traccia di questanuova dedica il compositore riformula il

titolo in Dichtungen. Ruinen, Siegesbogenund Sternbild (Poema. Rovine, arco ditrionfo e costellazione). Nel 1839 la casaeditrice Breitkopf & Härtel pubblica lapartitura con il titolo Fantasie, la dedi-ca a Franz Liszt e un motto posto in epi-grafe tratto dalla poesia Die Gebüsche (Icespugli) di Friedrich Schlegel: «Attraversotutti i suoni, nel variopinto sogno dellaterra, se ne leva uno sommesso per coluiche ascolta in segreto». Quel “suono som-messo” è sì destinato a Clara, ma è rico-noscibile da tutti, o meglio doveva esserlo:è una citazione dall’ultimo Lied del ciclodi Beethoven An die ferne Geliebte (Al-l’amata lontana). Questo messaggio in-

Arcadi Volodos

Per la sua tecnica prodigiosa,unita ad una altrettanto raraespressività, Arcadi Volodos siè guadagnato fra i tanti titoli an-che quello di “genio della tastie-ra”. Formatosi con Galina Egia-zarowa e Dimitri Bashkirov, daquasi vent’anni calca i palcosce-nici più prestigiosi di tutto il mon-do, sia in recital pianistici che co-me solista con compagini quali iBerliner Philharmoniker, l’Or-chestradelConcertgebouwdiAm-sterdam, laLondonPhilharmonicOrchestra, o ancora le Filarmo-niche di Chicago e New York, ol’Orchestra del Gewandhaus diLipsia.Hacollaboratoconipiù im-portantidirettori,comeLorinMaa-zel,ValeryGergiev,Myung-WhunChung,JamesLevine,ZubinMeh-ta,SeijiOzawaeRiccardoChail-ly. Autore di funamboliche tra-scrizioni pianistiche di brani or-chestrali, i suoi numerosi cd (tuttipubblicatidaSonyClassical),dallivedelsuodebuttoallaCarnegieHall(1999)all’ultimaincisionede-dicata ai brani pianistici del ca-talanoFedericoMompou,hannoricevutoiprincipali riconoscimentidella critica e della stampa spe-cializzata, dal “Preis der Deut-schenSchallplattenkritik”al“Gra-mophone Award”, dall’“EchoKlassik” al “Diapason d’Or”.

48 IM MUSICA INSIEME

Lunedì 12 maggio 2014

timo riporta i due innamorati, ormai pros-simi al coronamento del loro sognod’amore, ai tempi della prima stesura del-la Fantasie, a quel 1836 in cui il padre diClara si opponeva all’amore dei due gio-vani. Sembra plausibile che all’annunciodella sottoscrizione promossa da Schlegel,Schumann decida di completare la Fan-tasie (inizialmente quindi composta perClara) aggiungendo due movimenti; a la-voro ultimato, il compositore non puòcerto far passare inosservato il grande con-tributo dato da Liszt alla causa di Bee-thoven (senza la generosità del virtuosonon ci sarebbe stato alcun monumento),così gli tributa un doveroso segno di gra-titudine dedicandogli l’opera. Il messag-gio intimo alla sua amata Clara s’intrec-cia con un omaggio pubblico in un’ope-ra che Charles Rosen valuta come «la pro-va più riuscita e originale delle grandi for-me» di Schumann. Nel primo movi-mento, «da eseguirsi in modo assoluta-mente fantastico e appassionato», anno-ta il compositore, in alternanza al «tonodi leggenda» dell’episodio centrale, col-pisce la forza del rinvio al Lied beetho-veniano; come scrive con limpidezzaadamantina Rosen: «la frase si presentacome una scheggia della memoria anchea coloro che non hanno mai udito il ci-clo di Beethoven: essa è suonata nella suaforma originaria solo alla fine, ma ri-chiama, ora sciolte e stabilizzate, tutta l’ec-citazione e la tensione precedenti». È iltrionfo del frammento musicale, forma ro-mantica per eccellenza, di cui Schu-mann è un fulgido seguace.La poetica del frammento, forma com-piuta dalle infinite interpretazioni, si in-carna in ambito musicale in miniature,pezzi brevi, quadri di genere, per lo piùdestinati al pianoforte. Il frammentomusicale può essere autonomo, o divenireelemento tematico di grandi forme,come nella Fantasie op. 17, o ancora nu-cleo originario di cicli, come nelle Kin-derszenen (Scene infantili) op. 15 diSchumann. Inevitabile è l’accostamento

delle Kinderszenen all’Album für die Ju-gend (Album per la gioventù) dello stessoautore, ma si tratta di composizioni condiversa destinazione. Le Kinderszenensono «immagini retrospettive di un vec-chio, per i vecchi», precisa Schumann;sono reminiscenze del mondo dell’in-fanzia, immagini che l’età adulta eleggea simbolo di una felicità perduta. Arti-colato in tredici quadri, ciascuno intro-dotto da un titolo evocativo di un mo-mento particolare dello scenario dome-stico del bambino, la funzione di ricor-do del ciclo si comprende solo con l’ul-timo brano Der Dichter spricht (Il poetaparla), quando ormai il bambino si è ad-dormentato, stanco della mosca cieca, delcavallo a dondolo, di sognare. Un moti-vo si cela in tutte le scene, quel motivoche il poeta – non ancora svelatosi – in-tona malinconicamente con una sesta mi-nore nel primo quadro Von fremdenLändern und Menschen (Da paesi ed uo-mini stranieri). La poetica del frammen-to suggella altresì il catalogo delle opereper pianoforte solo di Brahms con le quat-tro raccolte opp. 116-119, composte trail 1892 e il 1893. I sei Klavierstücke op.118, quattro Intermezzi intrecciati a unaBallata (n. 3) e a una Romanza (n. 5), va-gano nel ‘paesaggio’ formale della minia-tura pianistica: dalla breve forma-sonata

(n. 1), alla forma ternaria (n. 2, 3, 6), altema con variazioni (n. 5). La varietà ar-monica, quanto quella espressiva, è sor-prendente: al delicato lirismo del secon-do Intermezzo in la maggiore e alla Ro-manza in fa maggiore dal sapore arcaico(quasi empfindsam, rievocando lo stile diCarl Philipp Emanuel Bach) fanno dacontraltare il luminoso e appassionato In-termezzo n. 1 in la minore e la Ballata insol minore. In questo ventaglio di forme,armonie e caratteri si nasconde però unelemento connettivo: alla base di ciascunbrano risiede uno stesso nucleo di tre suo-ni, ripreso dalla Sonata op. 5. L’Intermezzoche chiude la raccolta è «la pagina piani-stica forse più dolorosa di tutta l’opera»di Brahms, scrive il musicologo MaurizioGiani: «il primo tema è un lamento di chinon ha più voce per esprimere la propriasofferenza». La sezione centrale in sol be-molle maggiore imperversa con una scrit-tura a mo’ di fanfara, dal tono fiero e de-ciso, che smorza l’opprimente desolazio-ne della prima parte, ma è solo un’illu-sione, l’eroismo del Brahms giovane si èormai affievolito. La visione del mondoin età matura perde lo slancio verso il fu-turo: malinconicamente l’anima si ripie-ga, e quel vago sentore di un mondo al-tro riprende la forma del nostalgico can-to in tonalità minore.

DA ASCOLTARE

Che Volodos si sia voluto imporre fin dai suoi esordi come brillante virtuosodella tastiera ce lo dimostrano proprio le sue incisioni discografiche di queglianni. Siamo alla fine del XX secolo, decennio Novanta. Volodos è un venten-ne che ha incontrato sulla sua strada Thomas Frost, già produttore discogra-fico al fianco di Vladimir Horowitz. Sarà Frost, che lavora per la Sony, a por-tarlo in cima alle classifiche discografiche, tant’è che nel 1999 vince il “Gram-my Award” per la miglior registrazione strumentale con un live: quello registratoalla Carnegie Hall. Risultato che si ripeterà nel 2010, e ancora con un live: Vo-lodos in Vienna. Che poi in questa discografia trionfino i compositori russi nonè certo motivo di sorpresa. Abbonda Rachmaninov (piano solo e concerti), nonmanca Čajkovskij, e poi Liszt e Schubert. Non mancano neppure le antologie,come appunto il recital viennese dove accanto ad una scelta di brani di Skrja-bin troviamo i Valse nobles et sentimentales di Ravel e poi Bach e Liszt.

Volodos, seguendo le orme dei genitori, inizia da bambino a studiare canto. Si dedicaallo studio del pianoforte solo quindicenne, presso il Conservatorio di San Pietroburgo

Lo sapevate che...

Signori, “il catalogo è questo”: lo ha de-ciso e compilato Enzo Beacco nel vo-lume Offerta musicale. La musica dalleorigini ai nostri giorni (Il Saggiatore, 953pagine). L’impressionante lavoro del-l’autore, saggista, giornalista e critico, hacomportato, come primo passo, l’indi-viduazione di un corpus di 144 opere.Beacco le ha scelte dalla storia della mu-sica occidentale, dalle origini (Epitaffiodi Seikilos, il primo brano musicale checi resta, di datazione incerta, 100 d.C.,pare) ai giorni nostri, con un brano em-blematico, Tierkreis di Karlheinz Stoc-khausen, di cui a pagina 866 si dice:«Scrivere musica per carillon è come in-ciderla su pietra». Qui il cerchio si chiu-de, perché anche l’antichissima melo-dia greca era fissata su pietra e Tierkreis,lo zodiaco in tedesco, rimanda allestelle, le stelle al cosmo, di cui la mu-sica per i filosofi, come bene spiega nelprimo capitolo il volume, era metafo-ra. Non finisce qui: nel 2006 l’Acca-demia Filarmonica di Bologna com-missiona a Stockhausen una nuovacomposizione. Lui decide di completarela versione orchestrale di Tierkreis, manon riesce ad arrivare alla fine, man-cando il 5 dicembre 2007. Forse sonocoincidenze, forse. L’autore ci spiegacome ha scelto le 144 opere: «Ognunaè scelta non solo perché vive nella suaepoca e contribuisce a modificarla, maperché supera l’esame del tempo ed è

tuttora in repertorio, disponibile ad unascolto libero e immediato, a casa, inrete. È parte di un sistema di stelle fis-se e segna una tappa in un percorso perdefinizione vago e confuso». E ancora:«Le composizioni sono autonome, perconsentire letture discontinue. Sono daimmaginare come tessere squadrate diun antico mosaico bizantino e macchiediffuse di una modesta tela di JacksonPollock o di Robert Rauschenberg.Suggeriscono connessioni con ciò chesta intorno, ma non impongono map-pe definitive». Nel catalogo troviamo igrandi che tutti conoscono (Bach, Mo-zart, Liszt, Brahms), gli “operisti” (Ver-di, Bellini, Wagner), e i grandi che pur-troppo non sono ancora patrimonio diun pubblico esteso (Frescobaldi, Cavalli,Lully, Purcell, per esempio). Un catalogotanto include e altrettanto esclude,non potrebbe essere altrimenti, eppu-re quello di Beacco riesce più a soddi-sfare la voglia di conoscenza e a far na-scere ulteriori curiosità, piuttosto che acreare malumori per le inevitabili as-senze. I riferimenti ad incisioni disco-grafiche, oculate indicazioni bibliogra-fiche e minuziosi indici sono un’ulterioreprova di quanto questo lavoro si met-ta a disposizione del potenziale lettore.

Enzo BeaccoOfferta musicale. La musicadalle origini ai nostri giorni(Il Saggiatore, 2013)

Luciano BerioScritti sullamusica(a cura di Angela Ida DeBenedictis, Einaudi, 2013)

A dieci anni dalla morte diLuciano Berio vede la luce laraccolta pressoché completadei suoi scritti editi ed inedi-

ti (Einaudi, pagine 569). Inquadrati in un am-bito cronologico compreso tra il 1952 e il2003, questi testi accompagnano il lettore nel-la vastità degli interessi umani e artistici che abi-tavano le riflessioni del compositore. Il volumesi divide in quattro sezioni: conferenze e relazionitenute a convegni o in prestigiose istituzioni in-ternazionali (tra queste due lezioni a Harvard, del1967, finora inedite), saggi e articoli inerenti lamusica propria e altrui, il lavoro nello Studio elet-tronico, il teatro, il rock, la musica popolare e tan-to altro. Inoltre: note di sala, voci enciclopedi-che, ricordi e omaggi a compagni di strada, pro-fili non solo di musicisti, ma anche di pittori escrittori da festeggiare o da commemorare.Conclude la raccolta il capitolo “Discutere”, conreazioni alimentate da letture o dibattiti. Il vo-lume degli Scritti sulla musica, a cura di AngelaIda De Benedictis, introduzione di Giorgio Pe-stelli, offre idee, dati, testimonianze indispensa-bili per conoscere Berio, compositore che si ri-vela anche nella pagina scritta, e la sua opera.

Murakami HarukiRitratti in jazz(Einaudi, 2013)

Il catalogo di Murakami Ha-ruki, scrittore nato a Kyotonel 1949 e cresciuto a Kobe,si arricchisce di un altro ti-tolo, pubblicato in Italia da

Einaudi. Ritratti in jazz è la storia di una pas-sione sconfinata per il jazz, come già testimo-niato in altri libri dello stesso autore. In cin-quantacinque racconti si snoda la storia di unrapporto intimo, profondo con questa musicae di una crescita, in cui il gusto cambia, si af-fina, seguendo le stagioni della vita. Da Chet Ba-ker a Fats Waller, da Ella Fitzgerald a Eric Dol-phy, da Miles Davis a Stan Getz, ci sono i pro-tagonisti di un genere che trova innumerevoliappassionati anche in Giappone. Il tono èconfidenziale, caldo, privo di specialismi e ric-co d’informazioni, curiosità, aneddoti. Ad ognicantante o musicista sono dedicate appena trepagine, che certo non esauriscono la carriera ditanti grandi artisti, eppure, da frasi brevi, conun tono lieve, dai ricordi (Murakami ha gesti-to per diversi anni un jazz club prima di dedi-carsi alla scrittura) nascono ritratti illuminan-ti. Il testo, che fa sempre riferimento ad un di-sco storico, è accompagnato dalle illustrazionidi Wada Makoto.

PER LEGGERE

MUSICAIN CATALOGO

Una primavera di letturecon la prima raccoltacompleta degli scritti diLuciano Berio, una storiadella musica in 144 opere,e una serie di ritratti in cuiprotagonista è il jazz

di Chiara Sirk

50 IM MUSICA INSIEME

52 IM MUSICA INSIEME

Se lavori con chi conosci bene, nella mu-sica le cose funzionano molto meglio.Questo deve aver pensato Janine Jansenconvocando per queste registrazioni alcunieccezionali musicisti che, appunto, sonoanche suoi amici. Così nel Doppio Con-certo per violino e oboe, BWV 1060, tro-viamo il pluripremiato Ramon OrtegaQuero all’oboe, nelle due Sonate n. 3 en. 4 addirittura il padre, il clavicembali-sta Jan, e nel piccolo, ma vigoroso en-semble che l’accompagna nei Concerti perviolino n. 1 e n. 2, il fratello violoncelli-sta Maarten. E che le cose funzionino be-nissimo lo sentiamo fin da subito perce-pendo come la violinista cerchi un’asso-luta consonanza con l’ensemble, piutto-sto che imporsi come solista. Un buon ser-vizio alla musica, ma una cosa che ti vie-ne di fare se senti di avere un intento, unanimo e un sentore comune con chi tisuona accanto. Ma se anche il violino del-la Jansen non si impone mai, è impossi-bile non apprezzare la sensibilità con cuil’artista riesce a donare a questo reperto-rio una meravigliosa leggerezza senzatradirne in nulla il suo peso intellettua-le. A ciò si unisce una tecnica perfetta chefa sembrare semplice anche il passaggiopiù complesso, ma questo è proprio deigrandi strumentisti, un po’ meno comune,se vogliamo, è coniugare correttezza tec-nica e grande espressività. E questo è pro-prio dei musicisti eccezionali. Quale è Ja-nine Jansen, 300.000 copie vendute dalsuo esordio discografico nel 2004 per laDecca, e il domicilio stabile nei primi po-sti delle classifiche specializzate mondia-li. Ottima la registrazione e quindi il suo-no. Facilmente avrete già incisioni di que-sti brani, ma l’ascolto di questo disco po-trebbe riservarvi qualche sorpresa.

Janine JansenBach Concertos(Decca, 2013)

INTELLETTUALE LEGGEREZZAAlla nuova edizione bachiana che vedeprotagonista Janine Jansen fanno dacorteggio le splendide rarità tastieristichedi Lupu, Volodos e Romanovsky

“Il nuovo Horowitz”, “il nuovo Michelangeli”, “il nuovo Richter”…c’è questo malvezzo di affibbiare etichette e paragoni a qualsiasi astronascente (non solo della musica). È successo anche a Volodos, al suo

apparire ormai vent’anni fa, e di queste etichette (che lui giustamente respinge: «A cosaservirebbe mai un nuovo Horovitz?») non si è ancora liberato. E dire che il suo genio as-soluto, il suo talento straordinario non merita di essere paragonato, ma di essere apprezzatoper quello che è, ossequiando lo stile incredibile che miscela immenso virtuosismo e im-mensa musicalità. Questo album dedicato a un compositore atipico, perché lontano daogni scuola (seppure profondamente iberico), come il catalano Federico Mompou, neè solo l’ennesima conferma: il naso fuori da un repertorio eseguito, inciso e ascoltato mi-gliaia di volte, alla ricerca di qualcosa di sconosciuto ai più, ma che egli ritiene «di qua-lità eccezionale e in grado di aprire nuovi mondi». Ma non si pensi a un estemporaneoghiribizzo: sono alcuni anni che il pianista esplora il repertorio di Mompou, del quale,per questo cd, ha scelto alcuni pezzi dai cicli Scènes d’enfants (1915-18),Charmes (1920-21) e Música Callada (1959-67), che erano tra i favoriti dello stesso compositore.

Arcadi VolodosVolodos plays Mompou(Sony, 2013)

DA ASCOLTARE

Edizione Blu-Ray Audio di questo album pubblicato come lp nel1973 e come cd nel 2000. In effetti sono 40 anni che questa in-credibile interpretazione di Lupu dei Concerti in la minore di Griege Schumann (assistito splendidamente dalla London Symphony

Orchestra, diretta da André Previn) fa scuola. Ma grazie al progresso tecnico, ogni nuo-va release rivela cose nuove. È successo con l’edizione in cd rispetto al vinile, e succe-de col Blue-Ray rispetto al cd. Merito di un’ottima registrazione originale, ma, ovviamente,soprattutto di un’interpretazione rimasta nei decenni quasi insuperata.

Radu LupuGrieg, Schumann: Piano Concertos(Decca, 1973)

di Lucio Mazzi

L’idea di Rachmaninov era di realizzare una grande opera ispira-ta al Faust di Goethe. Rinunciò quasi subito, ma intanto la Pri-ma Sonata op. 28 era composta. Al suo apparire non fu un trion-

fo, anzi, e da allora è stata decisamente trascurata, pur entrando nel repertorio, anchediscografico, di grandi come Ashkenazy, Weissenberg o Lugansky. E ora di Romanovsky,che la propone con la consueta brillantezza ed espressività, accanto alla n. 2 op. 36,per la quale adotta la lezione di Horowitz, combinando elementi della versione origi-nale (secondo e terzo movimento) e di quella riveduta (primo movimento).

Alexander RomanovskyRachmaninov: Russian Faust(Decca, 2014)

BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA,BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO

E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO,COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA,

COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CAMST, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA,FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO,

GRUPPO HERA,MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION,M. CASALE BAUER, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT BANCA,

UNINDUSTRIA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, REGIONE EMILIA-ROMAGNAPROVINCIA DI BOLOGNA, COMUNE DI BOLOGNA

EditoreFondazione Musica Insieme

Galleria Cavour, 2 – 40124 BolognaTel. 051 271932 – Fax 051 279278

Direttore responsabileFabrizio Festa

In redazioneBruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier,

Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi

Hanno collaboratoLuca Baccolini, Elisabetta Collina, Valentina De Ieso, Alessandro Di Marco,Daniele Follero, Maria Pace Marzocchi, Lucio Mazzi, Maria Chiara Mazzi,

Anastasia Miro, Chiara Sirk, Mariateresa Storino

Grafica e impaginazioneKore Edizioni - Bologna

StampaGrafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

Registrazione al Tribunale di Bolognan° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia:

54 IM MUSICA INSIEME