Mi disegni la scuola? Passaggi e permessi per diventare grandi · Centro Psicologia di Gorgonzola...
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Mi disegni la scuola?
Passaggi e permessi per diventare grandi
Manuela Emilia Colombo
Scuola di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva - Gruppo F
Centro Psicologia di Gorgonzola
Tutor Laura Toma
Anno 2013
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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Counseling
nelle trasformazioni del ciclo di vita
Mi disegni la scuola?
Passaggi e permessi per diventare grandi
Grazie,
prima di tutto a
Valeria, Francesca, Silvia, Alessandro,
a Laura Toma
ai docenti della Scuola di Counseling
alla Associazione Capirsi Down Monza ONLUS
alla Scuola Materna Maria Ausiliatrice di Brugherio
a tutti i genitori che ho incontrato per motivi diversi,
e per ultima,
ma non per ordine di importanza,
a Piera Campagnoli
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Indice
Introduzione ............................................................................................................. 4
1. Capitolo – I cicli di sviluppo
1.1. Nascita di una madre. E di un padre. ................................................. 9
1.2. I sette stadi di Pamela Levin ................................................................ 11
1.3. Passaggi e permessi per i genitori ...................................................... 14
1.4. Passaggi e permessi per i figli .............................................................. 17
1.5. Dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria ............................... 20
2. Capitolo – Figli si nasce, genitori si diventa
2.1. Gli stili genitoriali .................................................................................... 22
2.2. Emozioni tra bambini e adulti ............................................................ 27
2.3. I circoli viziosi e i circoli virtuosi delle relazioni ................................. 29
3. Capitolo – L’aiuto del Counseling
3.1. Come e perché ..................................................................................... 33
3.2. La consapevolezza del genitore e il cambiamento del figlio .... 37
3.3. Esperienze a confronto: percorsi di counseling .............................. 39
Conclusioni ............................................................................................................. 42
Appendice
Quando il bambino ha una difficoltà o un ritardo psicomotorio ............... 44
Bibliografia .............................................................................................................. 49
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Introduzione
Ognuno di noi convive tutta la vita con un doppio desiderio:
rispetto alla famiglia il doppio desiderio di appartenere e di individuarsi;
rispetto al proprio sé, di essere autonomi e maturi e di non essere soli.
Whitaker (1989)
Ognuno di noi è figlio.
E ogni bambino che nasce trasforma figli in genitori.
Figli si nasce, genitori si diventa.
Ogni genitore accompagna le fasi di crescita dei propri figli aiutandoli a
raggiungere la loro autonomia con amore, con fatica, con entusiasmo,
a volte con dolore, ma sicuramente cercando di fare il meglio possibile.
Ogni bambino concepito da una coppia la trasforma in famiglia. E
questo piccolo nucleo, racchiuso da un invisibile quanto solido confine,
viene riconosciuto dalle famiglie di origine e dalla società, come luogo
dove saranno trasmessi al nuovo nato gli affetti e le regole per poter
stare al mondo.
Ogni individuo, per divenire padre o madre, deve integrare gli aspetti
delle sue diverse identità precedenti, quelle di bambino, di figlio, di
maschio o di femmina, di adulto sposato e di coniuge, con la nuova
identità genitoriale. Questa nuova identità prende forma e colore con la
nascita del figlio, ma inizia a esistere già nell’immaginario di ciascuno
durante la gravidanza e si disegna definitivamente accompagnando il
piccolo nella crescita. Si trasformano così sia il mondo interiore che le
relazioni dei nuovi genitori. Mamma e papà diventano la base di un
triangolo relazionale il cui vertice è identificato dal nuovo nato. Ciascun
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genitore, essendo anche figlio, ha sviluppato un legame con la propria
madre e il proprio padre e così via; i segmenti che uniscono genitori e
figli si moltiplicano creando una rete intergenerazionale sempre più
complessa che circonda il nuovo cucciolo d’uomo. Inevitabilmente i
nuovi genitori si portano dentro un patrimonio emotivo ricevuto in dote
dai propri genitori e rielaborato nella coppia coniugale, che a loro volta
trasmetteranno, consapevolmente o meno, come eredità affettiva al
piccolo.
Uomini e donne, divenuti genitori, utilizzeranno la capacità affettiva che
hanno coltivato negli anni precedenti per allevare il proprio bambino. Il
rapporto con il piccolo metterà alla prova la qualità e la consistenza
delle loro capacità relazionali.
Ogni figlio esige questi legami di amore e di premure che, giorno dopo
giorno, gli permetteranno di sviluppare le proprie connessioni concettuali
nella mente e le relazioni umane nel mondo reale.
Se mamma e papà hanno capito come ci si rapporta con se stessi e
con gli altri, saranno in grado di donare al proprio figlio una vita psichica
autonoma, aiutandolo a diventare un individuo che sa vivere quei
legami che lo uniscono agli altri esseri umani con quel taglio del
cordone ombelicale che rende tutti figli.
“Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli” è di fondamentale
importanza, come conoscere le necessità e i bisogni propri e del figlio
può essere di sostegno e incoraggiamento.
La crescita umana è fatta di stadi che si ripetono continuamente nel
corso della vita e le diverse fasi di sviluppo dei figli riattivano nei genitori
bisogni e angosce che fanno parte della loro storia evolutiva. A volte
chiedere aiuto quando ci si sente in difficoltà permette di diventare
genitori capaci di prendersi cura di sé e di rispondere in modo
sufficientemente adeguato alle necessità dei figli.
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Essere genitore con successo significa lavorare molto duramente.
Occuparsi di un neonato o di un bambino che fa i primi passi è un lavoro
che impegna 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 alla settimana, e che spesso
crea molte preoccupazioni. Dare tempo e attenzioni ai bambini significa
sacrificare altri interessi e altre attività.
L’intensità dei sentimenti che i genitori provano per un figlio, l’emozione
che sentono per lui quando sorride per la prima volta o quando
comincia a parlare o a leggere, è inimmaginabile finché non la
sperimentano. Tutto ciò comporta tanta pazienza e fatica. Spesso
momenti di frustrazione, delusione e vulnerabilità sono così intensi da
compromettere il vivere quotidiano dei genitori stessi.
Un percorso breve di counseling professionale è in questi casi molto utile
perché i genitori possano ritrovare quegli equilibri che col tempo e con
la fatica dell’accudimento del nuovo nato, vengono compromessi. Le
situazioni non vengono più riconosciute per quello che sono realmente e
si trasformano in momenti di vero e irrimediabile sconforto. Inoltre
accompagnare nelle varie fasi di crescita i figli comporta una
risperimentazione di vissuti personali che possono mettere ulteriormente
in crisi i genitori.
Un confronto con se stessi e con le proprie forze, mediato dall’intervento
di un counselor, può risultare costruttivo e permettere ai nuovi genitori di
vedere in maniera più obiettiva le reazioni emotive e i bisogni personali
al fine di crescere serenamente i propri figli.
Giorgia frequenta la prima elementare, è brava a scuola. Dopo aver
pranzato con la mamma svolge subito i compiti; due pomeriggi alla
settimana frequenta un corso di ginnastica ritmica. Gioca e si diverte
con i suoi giocattoli. Ogni tanto però, fa i capricci e fa i dispetti alla
sua sorellina Anna di 2 anni. “Anna è piccola ma Giorgia è grande
dovrebbe capire……. Ma perché deve far così? Perchè si mette a fare
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i capricci? Non c’è motivo!” Mamma Giulia non ne può più. La
situazione peggiora mese dopo mese e mentre ad Anna viene concesso
tutto perché è “piccola”, a Giorgia viene chiesto sempre più di essere
“grande”; Giorgia allora continua a provocare la mamma per
richiamare la sua attenzione. Accompagnata in un breve percorso
personale Giulia riguarda le situazioni quotidiane e si accorge che
Giorgia è si più grande di Anna…. ma ha solo sei anni! Raccontare le
dinamiche delle due sorelline e ripercorrere i sentimenti che le
provocano, permetteranno a Giulia di ridimensionare le sue
apprensioni e di essere più serena anche nei confronti delle esigenze
di Giorgia che diminuisce fortemente la sua dose di capricci.
Prima, come figli, si è oggetto di cura in una modalità unidirezionale;
attraverso la coppia si sperimenta una modalità reciproca: io mi prendo
cura di te, tu ti prendi cura di me; quando si diventa genitori, si definisce
la nostra capacità di prendersi cura di qualcun altro per sempre.
"Essere radicati in qualcuno per poter mettere radici in un altro con cui
diventare coppia per poi poter offrire ancora ad un altro l'intreccio di
queste radici". Queste le parole di Bertolini e Neri che esprimono con una
splendida immagine, quanto sia complesso e affascinante questo
intreccio che si chiama “ciclo della vita”.
Dalla mia esperienza personale come mamma, attraverso la mia
esperienza professionale nell’ambito di una genitorialità compromessa
dall’handicap, fino agli studi e ai tirocini sperimentati grazie alla scuola di
Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva di Gorgonzola, è nato un
profondo interesse sulle tappe evolutiva del “ciclo di vita”, con
particolare attenzione ai passaggi e ai permessi che i piccoli, ma anche
i grandi, necessitano di avere per poter completare il proprio processo di
crescita.
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Il counseling è, in questo ambito, un valido aiuto per imparare a
riconoscere e a riconoscersi quelle “piccole” difficoltà che entrano
inevitabilmente nella relazione tra genitori e figli a più livelli parentali, o
più semplicemente tra generazioni. Il nostro vissuto da figli porta ad una
personale strutturazione di ciascuno come genitore e fa emergere
emozioni a volte contrastanti. Riuscire ad accogliere, elaborare e poi
restituire in maniera pulita queste emozioni ai figli è il percorso che il
counseling può offrire.
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1. Capitolo – I cicli di sviluppo
1.1. Nascita di una madre. E di un padre
Daniel N. Stern, da Nascita di una madre:
«Fino a non molto tempo fa, avevo sempre pensato
che una madre fosse semplicemente una donna con
una responsabilità in più, che le richiedeva azioni e
reazioni nuove.
In realtà ogni neomadre sviluppa un assetto mentale
fondamentalmente diverso da quello che aveva in precedenza ed
entra in un campo dell’esperienza sconosciuto alle non-madri».
Tutti abbiamo un’organizzazione psichica di base, cioè un assetto
mentale. Dopo aver sospinto ai margini la vita mentale preesistente,
l’assetto materno andrà ad occupare con forza l’area centrale della
vita interiore della neomamma e le imprimerà un carattere del tutto
diverso.
Quando una donna si prepara a diventare mamma affronta
un’esperienza che non ha eguali nella vita e per un certo periodo di
tempo il fatto di avere un bambino determinerà i suoi pensieri, le sue
paure o le sue speranze, le sue fantasie; influenzerà le sue emozioni e le
sue azioni e affinerà perfino il suo sistema sensoriale e di elaborazione
delle informazioni.
La precedente organizzazione mentale rimarrà sullo sfondo per un
periodo di tempo variabile. Poi, mano a mano che le parti pratiche della
vita richiederanno di nuovo la sua attenzione, l’assetto materno
retrocederà in secondo piano senza però sparire del tutto, resterà dietro
le quinte e riaffiorerà ogni volta che il figlio avrà bisogno di lei perche è
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ammalato o si è cacciato in qualche guaio, o si trova in pericolo: subito
reagirà come madre indipendentemente dalla sua età.
Con la nascita del bambino la neo-mamma assume un nuovo ruolo
all’interno della famiglia di origine, nonché una posizione chiave nella
successione delle generazioni. Di colpo si inserisce da protagonista nel
flusso della storia del nostro pianeta. La propria identità viene modificata
dallo sguardo degli altri.
Il giorno in cui è nato il figlio diventa il punto di partenza di un nuovo
calendario personale.
C’è poi anche un forte cambiamento nell’ambito sociale.
Diventare madre è un processo in evoluzione che cresce con tempi non
necessariamente uguali per tutte.
Questo processo di trasformazione si può riassumere in tre fasi:
1. nascita fisica La gravidanza e il parto permettono di prepararsi a
diventare madre fisicamente
2. nascita psicologica I mesi successivi al parto portano piano
piano alla nascita di una madre psicologicamente attenta
(L’effettivo accudimento comporta la strutturazione della nuova
identità materna e l’incontro con le responsabilità)
3. nascita sociale e politica Adattamenti necessari
(l’integrazione con il resto della vita: vita matrimoniale e
lavorativa)
Il processo che porta a diventare madre inizia con la gravidanza ma non
ha mai fine. Resterà per sempre parte di sè e sarà ulteriormente
elaborato e trasformato a mano a mano che i figli cresceranno, se ne
andranno di casa, si sposeranno e avranno figli a loro volta.
È importante non dimenticare che, accanto a lei (la madre), c’è un
uomo impegnato a percorrere il cammino che lo porta a diventare
padre. La neomamma deve trovare un modo per assimilare nel
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rapporto di coppia la sua nuova identità materna. Il neo padre deve
dedicarsi a costruirsi un proprio “assetto paterno”. I padri devono
districarsi tra un passato tradizionale e un futuro ancora non ben definito.
Le coppie sviluppano ruoli materni e ruoli paterni assegnando a
ciascuno specifici compiti familiari. Questa divisione di ruoli e di compiti
deriva dalle “credenze culturali genitoriali”.
Una prima grande differenziazione tra modalità organizzative della
famiglia che si viene a creare alla nascita di un figlio è quella tra famiglie
tradizionaliste e famiglie egualitarie, che verranno meglio illustrate nel
secondo capitolo. Entrambe le modalità presentano elementi positivi e
negativi, e sta ai genitori e alla loro volontà di relazionarsi e comunicare
la buona riuscita della nuova vita familiare. Anche la nuova veste dei
genitori, come educatori più consapevoli soprattutto dal punto di vista
pedagogico, porta a una nuova ri-strutturazione del sistema famiglia
che, come tutte le grandi trasformazioni culturali e sociali, presenta le
sue zone d’ombra e vive molte resistenze.
1.2. I sette stadi di Pamela Levin
Quando un bimbo nasce inizia, senza più fermarsi, il suo personale
processo per “diventare grande”. La crescita umana è un ciclo di
sviluppo composto da stadi che cominciano nell’infanzia e si ripetono
continuamente nel corso della vita.
Durante ciascuno di questi stadi, gli individui sperimentano conflitti, si
confrontano con le conseguenze delle proprie azioni, e sviluppano
risorse interne, nella speranza che esse li porteranno ad affrontare con
successo lo stadio successivo.
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Vivere significa confrontarsi quotidianamente con ciò che accade
intorno noi e, soprattutto, confrontarsi con le emozioni delle persone che
interagiscono con noi.
Si può dire che i bambini nascono in una posizione fondamentalmente
sana, e, incontrando genitori che manifestano un atteggiamento
positivo e accogliente verso se stessi e verso gli altri, possono crescere in
maniera sana.
Per incoraggiare i genitori nel difficile compito di allevare i propri figli e
per ridurre le loro frustrazioni è importante renderli consapevoli dei
bisogni, che nelle diverse fasi evolutive, sperimentano insieme ai figli. È
importante che i genitori prestino attenzione ai propri bisogni per poter
avere le energie e le disponibilità necessarie per prendersi cura dei
propri figli.
Educare i bambini implica insegnare loro a usare il proprio pensiero, le
proprie emozioni e il proprio comportamento, in modo che siano
responsabili di se stessi e sappiano risolvere i problemi che, di volta in
volta, si troveranno ad affrontare.
Se i genitori si prendono buona cura di sé, sono capaci di aver cura dei
propri bambini; e, in questo modo, i bambini avranno un modello su cui
fare riferimento nel prendersi cura di se stessi.
Pamela Levin sostiene che, a partire dall’infanzia, si viene per la prima
volta, a contatto con la struttura dei primi sei stadi di sviluppo e che
successivamente si risperimenteranno (settimo stadio) attraverso le
situazioni che si incontreranno durante tutta la propria esistenza.
Essere genitori fa ritornare, come in un “flash-back” ai bisogni e alle
angosce che caratterizzano la fase evolutiva del proprio bambino e
questo può essere doloroso. Ma se i genitori, essendo oggi persone
adulte, riconoscono questi bisogni per quello che sono, possono
riaffrontare certi problemi che non hanno risolto a suo tempo in maniera
soddisfacente, e trovare una soluzione più adeguata.
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Ogni ciclo di sviluppo è una tappa evolutiva che prosegue per tutto
l’arco della vita; durante ciascuno dei sette stadi di sviluppo primari e
della loro risperimentazione nascono dei conflitti che portano alla
definizione di risorse che servono a sviluppare potere e abilità e, di
conseguenza, a rafforzare l’autostima.
Il libro "I cicli dell'identità" di Pamela Levin si chiude con una citazione di
un pensiero di un indiano pellerossa; citazione che ci ricorda che tutti i
fenomeni della natura sono ciclici:
«Le cose cambiano, poi ritornano al loro inizio. Al pari dei cicli che
percorrono il sole e la luna, il cielo, i corpi degli uomini e degli animali, i
nidi degli uccelli, i giorni e le stagioni, tutto ritorna in un cerchio. Il
giovane diviene vecchio, e dal vecchio il giovane nasce e cresce. E' il
cammino scelto dal Grande Spirito".
Sacajawa, Guida indiana Shoshoni della spedizione Lewis e Clark.
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L'esperienza della vita quotidiana ci insegna che non tutte le persone
completano in modo produttivo le varie tappe e fasi della loro esistenza
Possono infatti scontrarsi, in modo inconsapevole, al di fuori della loro
coscienza, con messaggi che sabotano la propria crescita.
1.3. Passaggi e permessi per i genitori
Generalmente il mondo interno dei genitori, ovvero le sensazioni e le
emozioni, guida le loro interazioni con il bambino quando si tratta sia di
nutrirlo, di giocare con lui, sia di accompagnarlo nei passaggi importanti
del suo percorso di vita.
Spesso il disagio per i genitori nell’educazione dei figli è la scarsa
conoscenza che hanno di se stessi e del figlio che stanno allevando.
Provare a conoscere (e a ri-conoscersi) le necessità e i bisogni propri e
del figlio può essere di sostegno e incoraggiamento.
J. Clarke (1978) esplicita chiaramente, in una sua affermazione, i principi
da cui partire per poi poter migliorare i nostri pensieri e di conseguenza
le nostre azioni:
«I tuoi genitori hanno fatto il meglio che potevano. Tu come
genitore hai fatto il meglio che potevi. Se vuoi ora puoi usare
questi nuovi strumenti; non è mai troppo tardi per
cominciare».
Nella crescita umana interviene un insieme di importanti fattori
individuali che accompagnano in maniera univoca ciascun individuo:
unicità del figlio e suo personale modo di rispondere agli stimoli
unicità dei genitori, che si pongono di fronte al bambino con il loro
peculiare modo di essere
unicità della loro interazione, dovuta al particolare incontro di quel
determinato bambino con quei genitori.
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Il processo di crescita è, di fatto, molto complesso; non è solo
un’interazione di causa-effetto (“se attiverò questo comportamento,
otterrò questa reazione”). I comportamenti, gli atteggiamenti e i
messaggi che i genitori possono dare a se stessi e ai figli sono molto
importanti e sono diversi a seconda della tappa evolutiva che si sta
attraversando. Per questo motivo una coppia può ritrovarsi a dover
chiedere aiuto in una specifica fase della sua crescita per diventare
genitori sempre più consapevoli.
A volte si mettono in atto dei comportamenti con i figli che portano a
conflitti; essendo coinvolti nella situazione anche con la propria
emotività, i genitori non riescono a rivedere da soli le dinamiche che
hanno portato allo scontro. Rielaborare le ciò che succede attraverso
l’aiuto di una persona esterna al conflitto può essere utile per trovare un
nuovo modo di affrontare la situazione. Qualche volta può bastare
parlarne con una amica con figli un po’ più grandi dei propri, che ha già
affrontato la stessa situazione. Ma non sempre è sufficiente; perciò
rivolgersi allo sportello pedagogico della scuola o ad un counselor,
facendo qualche incontro per capire meglio cosa sta succedendo e
cosa si sta provando, può essere importante.
È bene prestare attenzione alle caratteristiche specifiche di ogni tappa
evolutiva, ai comportamenti che aiutano i bambini ad attraversare
quella determinata fase e comprendere alcuni possibili problemi,
evidenziando quali interventi possano avere effetto positivo sulla
crescita. Inoltre, riconoscere i permessi che gli adulti hanno necessità di
dare a se stessi e i bisogni che è importante che soddisfino, fa in modo
che i genitori siano in grado di avere cura dei propri figli nel momento in
cui risperimenteranno, insieme ai figli stessi, quel determinato stadio di
sviluppo.
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Un esempio: primo tra tutti i permessi che è necessario dare ai propri figli
e che è necessario riconoscersi anche come genitori è il permesso di
esistere.
Il bambino, per ottenerlo, non deve guadagnarselo ne deve mettersi
nella condizione di dover gratificare qualcuno per sentirsi accettato. E
questo vale anche per i genitori.
E ancora, come si può altrimenti aiutare qualcuno, in primo luogo la
propria prole, a crescere, a esistere, a imparare a sentirsi competente se
non si è in grado di darsi la possibilità di esserlo noi stessi?
“Tu sei competente”. È un messaggio da inviare a ogni età; dire al
bambino che è bravo perché ha imparato a richiamare l’attenzione
dell’adulto piangendo quando è bagnato, complimentarsi con lui
perché ha scelto i giocattoli che vuole portarsi in macchina, lodare il
figlio maggiorenne che ha superato l’esame per la patente sono
messaggi fondamentali per i nostri figli. Per poterli passare a loro, i
genitori devono però averli ricevuti a loro volta: se questo non è
successo, quando erano piccoli, è utile che imparino a riconoscerseli da
adulti, anche con l’aiuto di qualcuno che gli permetta di rielaborarli.
Elemento fondamentale perché i genitori possano acquisire un metodo
per risolvere i problemi che si trovano ad affrontare nell’allevare i figli è
avere una buona autostima personale, affinché possano poi
trasmetterla ai figli.
L’autostima può essere definita come un:
insieme di atteggiamenti che una persona ha verso se stessa e
verso gli altri, atteggiamenti che comprendono: l’accettazione
delle proprie competenze e dei propri limiti, la capacità di
gestire e utilizzare le regole sociali in modo flessibile, il
riconoscimento dei propri diritti e le capacità di agire
assertivamente, sapendo gestire in modo efficace le critiche.
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(Assertività: capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie
emozioni e opinioni senza tuttavia offendere né aggredire l'interlocutore)
L'autostima permette alle persone che la sperimentano di sentirsi
fiduciose delle proprie competenze, capaci di prendersi cura di se stessi
e degli altri senza, per questo, danneggiarli o prevaricarli, imponendo
loro la propria personalità.
Importante è non confondere l’autostima con l’egocentrismo, con la
spavalderia o con sentimenti di superiorità che, al contrario, sono
modalità che nascono da una negativa considerazione di sè.
1.4. Passaggi e permessi per i figli
Conoscere cosa succede ai propri figli durante le varie tappe di sviluppo
permette ai genitori di essere più consapevoli dei bisogni e dei permessi
che i bambini hanno necessità di soddisfare.
Appena nati, ossia durante la prima tappa evolutiva, i bambini hanno
bisogno fondamentalmente di esistere: di essere riconosciuti come
persone degne d’amore indipendentemente da quello che fanno. Nel
secondo stadio, fino a circa 24 mesi, si passa dall’essere al fare, al
bisogno di conoscere, esplorare. “Puoi fare le cose in modo autonomo e
allo stesso tempo ricevere sostegno e protezione, mi piace che prendi
iniziative, esplori e sperimenti cose nuove, puoi essere curioso e intuitivo”:
questi sono i permessi che i genitori devono concedere ai propri figli in
questa fase. Inizia poi lo stadio della prima separazione, che dura fino a
circa i tre anni. “Sono contento che tu sperimenti ed esamini le cose,
che scopri le tue capacità e i tuoi limiti; sono contento che tu stia
crescendo; puoi pensare con la tua testa, puoi avere idee diverse dalle
mie e fare le tue scelte; sono contento che ti separi da me”: questi sono
alcuni dei permessi che porteranno il bambino alle prime autonomie
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che sperimenterà in maniera pratiche durante il periodo prescolare. Il
quarto stadio, che corrisponde al periodo della scuola dell’infanzia, è il
periodo della socializzazione e della costruzione della propria identità.
Quando finalmente il bambino ha capito che può separarsi dai genitori,
perché quando torna a casa è sicuro di ritrovarli, può affrontare
serenamente il mondo esterno e cominciare il proprio cammino verso
l’autonomia. Ecco alcuni permessi da dare ai figli in questo stadio: “puoi
essere grande (potente) e avere ugualmente dei bisogni da soddisfare;
non è necessario che ti senta male, impaurito, triste o arrabbiato per
ottenere che io mi prenda cura di te e ti presti attenzioni; puoi renderti
conto delle conseguenze dei tuoi comportamenti; puoi scoprire come
sei fatto: le persone vanno bene comunque, maschi o femmine che
siano”. Dai sette anni si passa al quinto stadio, lo stadio dell’attività
creativa, della costruzione e della competenza, che si sviluppa durante il
periodo della scuola primaria. In questa fase è necessario fare in modo
che possa avere i seguenti permessi: “puoi pensare prima di fare
diventare tua una regola; puoi farcela; puoi scoprire un tuo modo di fare
le cose; fidati delle tue sensazioni e dei tuoi sentimenti”.
Ultimo stadio, il sesto, ovvero il compimento della prima sperimentazione
dei cicli di sviluppo: lo stadio dell’adolescenza o della separazione. È lo
stadio che permette di diventare adulti, di esistere separatamente dai
genitori pur sapendo che i genitori potranno comunque darci una
mano, perche “puoi essere una persona grande e avere ancora dei
bisogni”.
È comprensibile che sia necessario aver concluso nel migliore dei modi
ciascuna tappa evolutiva per affrontare la successiva, e, per i genitori,
riconoscersi determinati permessi per poterli concedere ai propri figli.
Dai 19 anni si risperimentano durante tutto il ciclo della vita, alcune
situazioni che ci portano a stimolare nuovamente quei bisogni e a
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richiedere quei permessi, che se precedentemente non abbiamo
soddisfatto, possiamo in ogni momento riprendere e rielaborare. Il
counseling interviene efficacemente nei momenti critici di passaggio
durante la crescita dei figli, permettendo ai genitori di rielaborare la
propria fatica con uno sguardo ai figli che crescono da una parte, ma
anche e soprattutto ai propri bisogni personali dall’altra.
Mamma- Io ieri sera alle otto e mezza sono andata in camera, ero
stanchissima! Mattia piangeva, perché voleva la mamma ma io non ce
l’ho fatta!
Counselor- Eri molto stanca e avevi bisogno di staccare ….
Mamma- Si non stavo in piedi. E questi momenti da sola mi aiutano.
Prima mi sentivo in colpa, ma adesso no. Ho fatto luce su questo
aspetto: non è che lo lascio da solo, è con suo papà e suo fratello. E io
riesco a riposare
Counselor- Non l’hai abbandonato! Hai solo dedicato un po’ di tempo
al tuo bisogno di riposare.
Mamma- Proprio così. E ora ho capito che questo è importante,
perché mi fa stare meglio e se sto bene riesco a non arrabbiarmi
sempre coi miei figli perché sono troppo stanca!
Questo piccolo stralcio di colloquio, sembra trattare un tema banale: la
stanchezza di una madre che accudisce due figli piccoli. Ma se la
mamma non riconosce il suo bisogno di riposo e non si dà il permesso di
ritagliarsi quella mezzora in più di sonno per rigenerarsi, potrebbe
ritrovarsi in una situazione sempre più faticosa, compromettendo in
maniera più complessa la relazione col suo bambino. Non sentirsi in
colpa di avere un bisogno, è fondamentale.
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Se gli adulti riconoscono i propri bisogni e trovano delle strategie per
risolvere i problemi che questi bisogni comportano, avranno la capacità
di riconoscere anche i bisogni dei propri figli durante le loro fasi di
crescita, e troveranno il modo di non giudicarli e di aiutarli a crescere
attraversando i conflitti che si creeranno in maniera costruttiva.
1.5. Dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria
La scuola dell’infanzia ha ancora l’aspetto di una famiglia, ma allo
stesso tempo è già una scuola, e rappresenta per molti bambini il
“tirocinio” alla vita di società. Le maestre seguono i bambini con affetto
e competenza, facendo particolare attenzione alla personalità di
ciascuno, però ci sono già orari, regole e un minimo di disciplina da
rispettare. Preparare un bambino alla scuola dell’infanzia significa
innanzi tutto favorire la sua indipendenza e la sua autonomia.
L’ingresso nella prima classe della primaria è, se vogliamo, un momento
ancora più carico di emozioni. La qualità delle relazioni familiari influenza
notevolmente il loro adattamento scolastico, la loro capacità di
ambientarsi in classe, di superare i primi ostacoli e integrarsi con i
compagni.
Il compito dei familiari è quello di ascoltare, sostenere, rassicurare,
mostrarsi sereni, rilassati e fiduciosi, senza voler negare che il primo
impatto con la realtà scolastica sia un passaggio delicato. Per fare
questo occorre che i genitori possano esplicitare le proprie ansie e i
propri dubbi per poterseli riconoscere e quindi elaborare.
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Non si può passare i permessi ai bambini se non si passano a
noi stessi. È sempre possibile darsi dei permessi
Se un genitore è felice e disteso (anche se
occupatissimo), il suo amore saprà espandersi e
moltiplicarsi. Come i bambini hanno dei bisogni
anche gli adulti ne hanno e per soddisfare quelli
dei loro figli, è importante che si occupino dei
loro, che si nutrono per poter nutrire, che si
prendono cura di sé, per poter prendersi cura dei figli. il rischio è che se
ciò non avviene si sviluppino meccanismi o dinamiche intrafamiliari che
possono portare anche a situazioni patologiche.
Interventi di counseling individuale, di coppia o di gruppo, permettono
di risistemare, in maniera preventiva, i sensi di colpa, individuare le
necessità che non vogliamo riconoscerci perché culturalmente
considerate dei tabù, riappropriarci dei permessi che forse non abbiamo
avuto ma che non potremmo concedere ai nostri figli se non li facciamo
propri.
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2. Capitolo - Figli si nasce, genitori si
diventa
2.1. Gli stili genitoriali
Genitori: tradizionalisti ed egualitari
In modo naturale madri e padri tendono automaticamente a decidere
chi si occupa del bagnetto o del bucato, degli appuntamenti col
pediatra o dell’alzata notturna per il pasto, a seconda della realtà
culturale in cui sono a loro volta vissuti. Ci sono due grandi “categorie” in
cui i genitori si identificano: i tradizionalisti e gli egualitari. In varie
modalità si sovrappongono, ma sotto molti aspetti sono modi molto
diversi di vivere la genitorialità.
Nell’organizzazione tradizionale, il padre dà per scontato che sia la
madre a occuparsi completamente delle cure del bambino. A volte
condivide il lavoro della sua compagna, ma lo fa per aiutarla e non
perché senta che sia un suo ruolo preciso nei confronti del piccolo. Il
papà è quindi colui che può creare una rete di supporto, che possa
essere una sorta di protezione di quell’area franca dove la mamma
possa imparare ad aver cura del piccolo.
Il padre non è immediatamente coinvolto nella sopravvivenza del
piccolo e la madre sente piano piano, sempre più, la responsabilità di
tenere in piedi la famiglia.
In questa situazione nascono alcuni atteggiamenti in contrapposizione:
la mamma non capisce come il proprio marito possa rivolgersi verso
l’esterno in una fase così delicata, e il marito non capisce come la
mamma sia così costantemente coinvolta dal nuovo arrivato.
Il padre dedica al figlio meno tempo rispetto alla mamma, soprattutto
nel momento del gioco, e il suo livello di tolleranza è limitata; e se
costretto a restare col piccolo potrebbe addirittura irritarsi. Anche le
mamme si irritano, ma in questo modello tradizionale di accudimento il
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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padre passa il compito alla moglie, indipendentemente dal livello di
irritazione di quest’ultima.
È proprio su questo punto che, a volte, si innescano le fatiche coniugali
durante i primi anni di vita dei figli. Il cambiamento deve avvenire a
livello culturale: gli schemi acquisiti sono quelli che spingono bambini e
uomini da una parte a occuparsi del mondo esterno, e bambine e
donne ad occuparsi di quello interiore.
Il padre sente come suo compito non tanto la cura vera del figlio
quanto il fatto di insegnargli qualcosa, di introdurlo nel mondo in
generale, campo dove si sente più a suo agio e ha maggiore sicurezza.
Nella società contemporanea, molti uomini riconoscono i cambiamenti
avvenuti nei ruoli genitoriali, anche se non sono ancora in grado di
metterli in pratica in maniera costante. I problemi nascono quando tra
uomo e donna non c’è accordo circa la natura del matrimonio e i
rispettivi ruoli. Quando la moglie comincia a riesaminare il marito sulla
base della sua idoneità come padre, potrebbe mettere in pericolo il loro
rapporto di coppia. A questo punto può essere necessario un aiuto per
riprendere in mano situazioni che altrimenti potrebbero avere delle
conseguenze importanti sulla vita futura della famiglia.
Il modello tradizionale ha comunque i suoi vantaggi, a patto che madre
e padre, che svolgono ruoli differenti ma complementari, siano
d’accordo e continuino, serenamente, il loro legame di intimità.
Un numero crescente di coppie, oggi, crede nell’importanza di
condividere le cure del bambino e la maggior parte degli aspetti della
vita familiare. I fattori fondamentali che alimentano la spinta verso il
matrimonio egualitario sono principalmente tre: entrambi i genitori
lavorano a tempo pieno per mantenere la famiglia; l’ideologia
femminista, che ha portato una rivoluzione culturale; e la famiglia
sempre più mononucleare dove i ruoli di nonni, zii, fratelli e sorelle sono
sempre meno presenti.
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Anche questo tipo di cogenitorialità non è comunque sempre la
soluzione perfetta: condividere tutti i compiti che l’accudire un bambino
comporta è più facile pensarlo che metterlo in pratica, poiché non si
riesce sempre a dividere le cose perfettamente a metà. La reciproca
verifica sullo svolgimento dei propri compiti, la concorrenza in cui si
entra, a volte, rischiando sentimenti di gelosia, quando un genitore ha
l’impressione che il bambino si trovi meglio con l’altro, possono portare a
conflitti all’interno della coppia.
Una cosa è chiara: i modelli di famiglia stanno cambiando, e non è
facile districarsi in nuove situazioni e nuovi ruoli.
Genitori che educano
I genitori hanno un ruolo educativo da sempre. La novità storica del
nostro tempo è quella dei genitori che vogliono prendersi cura dei figli,
nella ricerca della migliore educazione possibile. I valori contenuti nella
Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia del 1989 portano,
anch’essi, una trasformazione sostanziale nel rapporto genitori-figli,
basata sul rispetto dei bisogni infantili, sulla non violenza e sull’ascolto.
Oggi i genitori sono più sensibili ai contenuti pedagogici. Alla nascita di
un figlio fanno, infatti, maggiore riferimento a libri ed esperti, piuttosto
che a mamma o papà, o ai nonni. Manca però, a livello sociale, il
sostegno dato dalla condivisione tra famiglie di un atteggiamento da
mantenere con i figli sotto il profilo educativo, e di una condivisione delle
fatiche e dei rischi di cui i genitori si devono far carico per far crescere i
propri figli. In questa situazione la famiglia si è abituata a privatizzare
fortemente l’educazione e quando è costretta a delegarla alle diverse
istituzioni preposte, tende ad assumere un atteggiamento di forte
controllo, al punto che le situazioni di attrito e conflitto tra genitori e
insegnanti sono all’ordine del giorno.
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Questo cambiamento, come tutte le grandi trasformazioni culturali e
sociali, ha bisogno di tempo per emergere ed essere consolidato in
maniera costruttiva.
Oggi siamo quindi in una fase di transizione. La famiglia contadina dove
il figlio era considerato una risorsa, o la famiglia borghese, che si
fondava sulla formalità, dove il figlio doveva onorare e garantire la
discendenza genealogica della famiglia, sono ben lontane dalle
famiglie di oggi. A partire dagli anni cinquanta-settanta la famiglia si
trasforma, fondandosi sull’innamoramento e sulla reciprocità
sentimentale, dove gli unici responsabili sono gli sposi, essa tende a
nuclearizzarsi, creando un’armonia dove gli affetti sono l’elemento
centrale.
La famiglia nucleare di oggi è una vera e propria novità storica, nella
quale si cerca un rapporto diverso con i figli e una relazione
comunicativa più profonda, basata sull’ascolto dei bisogni reali.
Inoltre, le condizioni sociali e culturali sono radicalmente cambiate negli
ultimi 40 anni; la bassa natalità ha portato, come conseguenza, una
proiezione del proprio bisogno di amore sull’unico figlio, che farà fatica
a crescere e ad allontanarsi dal nucleo familiare originario.
Tutti questi cambiamenti portano al passaggio dalla famiglia normativa
alla famiglia affettiva.
La cultura genitoriale dei nostri giorni vive la difficoltà che nasce da
un’interpretazione in senso iperprotettivo del ruolo affettivo-relazionale. È
un’interpretazione legittima, ma non meno pericolosa di quella
autoritaria, poiché nasconde il rischio di un eccesso di controllo e di un
blocco del processo psicoevolutivo. L’essere guidati è, per i figli, una
necessità imprescindibile, che ha una sua evoluzione specifica. Il
processo che conduce a liberarsi dalle figure guida (la cosiddetta
ribellione adolescenziale) è fondamentale per potersi assumere la
propria autonomia.
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Cosa si può fare
Il temine latino “educazione” significa tirare fuori, cioè lavorare sulla
creatività, su un’identità positiva, ricca di risorse e potenzialità da
sviluppare.
Ciò che manca ai figli è l’ascolto da parte dei genitori.
L’ascolto offerto dal genitore serve a creare quella distanza emotiva
che favorisce la capacità del figlio di sviluppare la propria autonomia, il
proprio essere persona originale, separata dal destino dei genitori. Si
tratta di porsi nella relazione con un atteggiamento di profondo rispetto,
includendo anche la dimensione conflittuale che, inevitabilmente, si
origina con la nascita di un nuovo individuo all’interno di un contesto
familiare.
Spegnere la televisione e stare assieme. In casa, ai giardini, con altre
famiglie.
La migliore protezione che possiamo offrire ai bambini è favorire la loro
crescita, l’incontro vitale con la realtà e con gli altri, l’esperienza della
vita. I bambini hanno bisogno di rischiare, di sfidare se stessi e mettersi
alla prova; solo in questo modo potranno varcare la soglia dell’infanzia
al momento giusto. Non si deve temere se questo procura loro anche
sofferenze o frustrazioni: la paura è quella che rimangano, piuttosto, ai
margini della vita, soffocati dalla abilità adulta di programmare tutto,
anche per loro.
Uno degli strumenti principali che la famiglia educativa ha a disposizione
per attuare il proprio scopo, ovvero quello di dare una buona
educazione ai propri figli aiutandoli a crescere come persone autonome
e ben individuate, sono le regole. Si può definire la regola come quella
mappa di orientamento che i genitori consegnano ai figli per insegnare
loro a gestire la propria vita in condizioni di libertà. La regola non
struttura necessariamente i rapporti sociali, ma li regolamenta
garantendone il buon funzionamento.
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2.2. Emozioni tra bambini e adulti
Sappiamo bene cosa sono le emozioni, e gli scienziati ci stanno dando
continuamente supporti scientifici su cui riflettere ulteriormente. Tutti
abbiamo provato amore e odio, rabbia e gioia. Quello che affascina e
incuriosisce è cosa lega stati mentali come questi al groviglio che
chiamiamo “emozioni”, che cosa rende tanto diverse queste ultime da
altri fenomeni mentali per i quali non usiamo questo nome, e come
fanno ad influenzare le percezioni, i ricordi, i pensieri e i sogni. A volte
non si riesce a comprendere se è la persona a controllarle o sono loro a
controllare le persone.
Le emozioni sono delle funzioni biologiche del sistema nervoso e sono
rappresentate nel cervello. È decisamente diverso considerarle come
semplici stati psicologici, indipendenti dai meccanismi cerebrali
sottostanti. Le ricerche psicologiche sono preziosissime, ma studiare le
emozioni in quanto funzioni cerebrali porta molto più lontano.
Oggi, i meccanismi cerebrali delle emozioni presentano una base
scientifica che permette di capire meglio cosa siano, come operino e
perché abbiano tanta influenza sulla vita di ciascuno.
Le emozioni sono “percezioni” che capitano e che non possono venire
generate a comando. Quello che si può fare è predisporre delle
situazioni esterne che portino degli stimoli capaci di innescare
automaticamente delle emozioni. In altre parole, è possibile creare non
delle emozioni, ma delle situazioni in grado di modularle. Non si ha quasi
nessun controllo diretto sulle risposte emotive. Inoltre, le emozioni, una
volta che sono state provate, diventano il movente di comportamenti
futuri e, a volte, possono mettere nei guai. Quando la paura diventa
ansia, il desiderio lascia il posto all’avidità, o il fastidio alla rabbia, la
rabbia all’odio, l’amicizia all’invidia, l’amore all’ossessione o il piacere a
una forma di dipendenza, le emozioni cominciano a remare contro. Ci
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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vuole igiene emotiva per conservare la salute mentale. Le emozioni
possono avere conseguenze utili ma anche patologiche.
Le interazioni emozionali tra genitori e figli sono della massima
importanza. Crescere figli emotivamente intelligenti è, oggi più che mai,
di importanza vitale, proprio per le diverse situazioni familiari che si
creano connesse ai conflitti di coppia e ai divorzi, alla stimolazione
multimediale e di gruppo, sempre più precoce, dei ragazzi di oggi. Una
buona educazione dei figli comincia dal cuore dei genitori e continua,
momento per momento, nello stare vicini ai figli quando la tensione
emotiva cresce, quando essi sono tristi, arrabbiati o spaventati. L’essenza
dell’essere genitori consiste nell’essere presenti in un modo particolare,
quando, soprattutto, conta davvero.
Di fronte a un conflitto i genitori non necessitano della sola intelligenza;
l’essere buoni genitori implica l’emozione. Questa implicazione
comporta,però, una relazione con i figli dove anche i genitori non
rinneghino i propri sentimenti e accolgano l’emozione del figlio senza
cercare di distrarre la sua attenzione dal sentimento, né rimproverandolo
per il fatto di provarlo.
Gottman definisce 5 fasi attraverso le quali avviene il processo che
permette al genitore di accogliere le emozioni del figlio e i
comportamenti che queste emozioni comportano:
quando il genitore
1. diventa consapevole dell’emozione del bambino
2. riconosce in quella emozione un’oppportunità di intimità e
insegnamento
3. ascolta con empatia e convalida i sentimenti del bambino
4. aiuta il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che
sta provando
5. pone limiti, mentre esplora strategie per risolvere il problema in
questione
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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Fondamentale per i figli sono il rispetto e la considerazione da parte dei
genitori, che non significa che non ci saranno più momenti di fatica o
sentimenti offesi, tristezza o stress. Il conflitto è un fatto normale all’interno
della vita famigliare.
Cominciare ad interrogarsi sulle proprie reazioni ai sentimenti negativi dei
figli, a partire dall’età prescolare, (quando cominciano davvero a
nascere i primi veri conflitti) è importante.
Infatti, abbiamo ereditato per tradizione una tendenza a svalutare i
sentimenti dei bambini soltanto perché questi ultimi sono più piccoli.
Prendere sul serio le loro emozioni non è facile, perché significa riuscire a
guardare le cose dalla loro prospettiva.
Questo non implica essere genitori permissivi, dando ai figli ragione
qualunque cosa facciano. Differenziandosi dai genitori autoritari, che
hanno la caratteristica di imporre molti limiti e di aspettarsi
un’obbedienza rigorosa anche senza dare spiegazioni, essere dei
genitori autorevoli significa porre dei limiti più flessibili, fornendo ai figli
spiegazioni e molto affetto.
Tutte queste considerazioni sono frutto di studi che recentemente hanno
dimostrato che praticare forme positive di disciplina durante la crescita
dei figli, lodarli più che criticarli, premiarli più che punirli, incoraggiarli più
che scoraggiarli, permette loro di crescere più serenamente e con
un’intelligenza emotiva più spiccata.
2.3. I circoli viziosi e i circoli virtuosi delle relazioni
La presenza dei genitori, le prime figure con cui il piccolo entra in
contatto alla nascita, è fondamentale, perché consente al bambino di
comprendere la differenza tra mondo esterno e interiore. Inoltre i genitori
sono un modello per la costruzione del rapporto con gli altri.
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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I bambini piccoli tendono a collegare le emozioni a situazioni ed eventi
concreti; per esempio, la gioia può essere ricondotta ai baci e alle
coccole dei genitori, la tristezza alle punizioni, la rabbia ai dispetti degli
altri bambini e la paura ai ladri, al buio, al temporale (paure molto
frequenti nei piccoli).
Crescendo, i bambini arrivano a comprendere sempre di più i propri stati
d’animo e quelli altrui e, intorno ai sei anni, riescono a mascherare le
proprie emozioni, manifestando quello che gli altri si aspettano da loro.
È necessario che i genitori insegnino ai figli a riconoscere cosa provano a
livello emotivo.
Occorre, innanzitutto, che i genitori, per primi, siano consapevoli delle
proprie emozioni: solo una buona conoscenza di se stessi può aiutare a
comprendere gli aspetti emotivi dei propri figli. È fondamentale
riconoscere il fatto di provarle e identificare correttamente i propri
sentimenti.
Successivamente, è possibile ascoltare con empatia i sentimenti del
bambino: i bisogni del figlio (paure, timori, preoccupazioni) vanno
accolti con attenzione, interesse e comprensione. I bimbi, anche piccoli,
hanno spesso molto da dire, ma non sempre vengono ascoltati.
Accogliere quello che dicono, non significa registrare solo il dato
comunicato, ma riflettere insieme, provando a porsi nella loro
prospettiva e a condividere i loro vissuti. In questo modo si aiuta il
bambino a trovare le parole per definire le emozioni che prova. Ogni
emozione ha un nome ben preciso. Imparare a nominarle significa
incominciare a riconoscerle, a distinguerle e a padroneggiarle in modo
più consapevole.
È importante riconoscere al bambino la sua capacità di capire cosa gli
succede di fronte ad una precisa situazione. La presentazione di un
problema del figlio (per esempio, la paura del buio o del temporale)
porta spesso i genitori ad attivarsi alla ricerca di diverse soluzioni, nel
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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tentativo di risolverlo completamente. Il rischio che si corre è però quello
di sostituirsi completamente al piccolo. Essendo, però, lui il padrone delle
sue emozioni e del suo modo di essere e pensare, va supportato,
aiutato, accompagnato e non escluso dalla risoluzione del problema.
E’ importante verbalizzare l’emozione, darle un
nome e aiutare il bambino a esprimerla. Parlare
delle emozioni aiuta a gestirle. Con lo sviluppo
delle sue capacità verbali, il bimbo si dota di
uno strumento in più per gestire la propria
emotività. È per questo che, in genere, è così difficile per un bimbo in
età prescolare gestire rabbia, pianto ma anche le emozioni positive.
E’ importante riconoscere l’emozione del bambino: mai negarla o
minimizzarla:
“Non arrabbiarti!” – reazione: “come faccio a non arrabbiarmi? Mi
arrabbio ancora di più, non riesco a non arrabbiarmi”
“Non essere arrabbiato!” – viene letto come: “non ESSERE te stesso”
“Non è niente, cosa vuoi che sia?” - reazione: “per me è tutto, per
me è importante!”
Queste risposte fanno sì che il bambino non si senta compreso,
accettato, aiutato.
Piuttosto è meglio spiegare i motivi per cui il
comportamento non è accettabile e trovare
insieme una soluzione e suggerire alternative, vie di
mezzo, proporre un premio per il comportamento
richiesto (rinforzo positivo).
“Vedo che sei arrabbiato. Ti capisco, ma se ti
comporti così puoi farti male o fare male a qualcun altro …. cosa
possiamo fare per riuscire a giocare insieme?”
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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Solo dopo che il bambino ha espresso (come sa e come può) la sua
emozione e si è sentito compreso (e non negato), può calmarsi e
affrontare il discorso sul piano razionale.
Inutile tentare di controllare l’emozione con la logica finché l’emozione
è forte; è difficile per gli adulti, “figurarsi” per i bimbi. E’ una questione
fisica, neurologica. Le neuroscienze hanno portato una spiegazione
scientifica: il lobo frontale che controlla le emozioni finisce di svilupparsi
solo dopo l’età di dieci anni.
Non è necessario sforzarsi di interpretare o capire il
moto emotivo del bimbo.
E’ molto più importante riconoscerlo e far sapere al
bimbo che l’abbiamo recepito.
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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3. Capitolo - L’aiuto del counseling
3.1. Come e perché
Il difficile compito di far crescere i figli verso
l’autonomia comporta dei passaggi inevitabili e a
volte dolorosi, che i genitori devono imparare ad
affrontare. Accogliere gli inevitabili conflitti – fra
genitori stessi, con i figli e con gli insegnanti – e
trasformarli in occasioni arricchenti, di conoscenza reciproca, è una
parte necessaria di questo percorso. È importante distinguere una regola
da una punizione, e riconoscerne l’importanza e il senso educativo nella
chiarezza della comunicazione e nella sostenibilità personale. È
importante capire che una regola per esser educativa deve essere
concordata e condivisa, e che i figli ne hanno assoluto bisogno, come di
un argine, di un confine di sicurezza.
I genitori devono essere consapevoli che un rapporto piacevole non è la
cosa più importante; può andar bene nella relazione con i nonni e con
gli amici, ma il genitore non è semplicemente un amico. Fare resistenza
per insegnare ai figli come conquistarsi la vita può essere faticoso, ma
dà soddisfazione e consente loro di imparare a vivere anche senza
genitori.
Bisogna provare a coniugare l’educazione alla felicità, i conflitti con la
crescita, la fatica con l’autonomia.
Quando il rapporto educativo non è adeguato alle necessità evolutive
dei bambini, questi ultimi finiscono per presentare sintomi psicofisici,
comportamentali ed emotivi che preoccupano come vere malattie.
I genitori di oggi, per acquisire la compiacenza del figlio ed evitare di
vivere situazioni di tensione, interpretano il proprio ruolo in senso
prevalentemente gradevole e affettuoso, e si impegnano più nel
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convincerlo che nell’educarlo. Inoltre, le figure che la società
tradizionale offriva a sostegno delle famiglie – nonne, zii,, vicini di casa,
ecc – sono quasi completamente scomparse, e si vive sempre piu isolati
nelle proprie mura domestiche. La figura dell’adulto si è via via
stemperata in un ruolo di eterno giovane, assumendo un esclusivo
riferimento affettivo; i genitori trascurano il dovere di essere punti di
riferimento sicuri, stabili, continuativi, in grado di garantire un
attaccamento primario nel primo anno di vita del bambino e la
capacità di stare al mondo negli anni successivi. La chiarezza delle
regole educative e una giusta distanza relazionale sono fondamentali
per il benessere dei bambini.
I genitori tendono a vivere i figli in una dimensione emotiva: l’obiettivo
della relazione con i figli è quello di star bene insieme, vivere belle
emozioni, creare una dimensione affettiva positiva. il bisogno dei genitori
è quindi quello di realizzare se stessi: avere una famiglia felice.
Il bisogno dei figli è, piuttosto, quello di
crescere e di essere accompagnati verso
l’autonomia, ed è prioritario rispetto a quello
di star bene con i propri genitori.
Alcuni elementi interferiscono profondamente e compromettono
l’impostazione educativa della relazione.
La paura di ferire, che deriva dai fantasmi di origine
autobiografica legati a sofferenze presunte o reali vissute nella
propria infanzia.
La convinzione che un bambino che piange stia sicuramente
soffrendo, quando il pianto, a livello infantile, è lo strumento di
comunicazione per antonomasia. Se si interpreta il pianto soltanto
come espressione di sofferenza, a un bambino basta poco per
metterci in difficoltà.
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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Il rispecchiamento narcisistico che fa in modo che il genitore viva il
figlio solo in relazione alle proprie aspettative personali senza
riuscire a stabilire quella naturale separazione fra alterità: “io sono
io, mio figlio è un’altra struttura di vita, di destino di esperienza”. Il
legame simbiotico fondamentale nei primi mesi di vita deve, via
via, trasformarsi e rappresentare un argine contenitivo per i
bambini. Argine che rappresenta i limiti di cui i bambini hanno
necessità per incanalare la propria energia che, altrimenti, si
disperderebbe.
Per mettere in atto certe modalità e strategie è necessario riconoscersi
le capacità di poterlo fare.
In tal senso anche Rogers sostiene «Gli individui hanno in se stessi ampie
risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé, gli
atteggiamenti di base e gli orientamenti comportamentali. Queste
risorse possono emergere quando può essere fornito un clima definibile
di atteggiamenti psicologici facilitanti »
L’intervento di counseling può, quindi, aiutare a “tirar fuori” queste
personali potenzialità e a prevenire situazioni di disagio.
Il counseling è, per sua natura, una competenza relazionale, in quella
che è definita relazione d’aiuto tra colui che è portatore di una richiesta
e il counselor che la accoglie. Il counselor, attraverso il colloquio,
permette alla persona che chiede aiuto di promuovere un
cambiamento.
È un approccio basato sulla centralità della persona, persona degna di
fiducia, in grado di valutare la propria situazione, di comprendere se
stesso, di fare scelte e agire di conseguenza. Per il counseling, la persona
ha in sé le risorse per superare i momenti di difficoltà e il counselor ha il
compito di accompagnare la persona a ritrovare la capacità e
l’autonomia per poter scegliere in che direzione andare.
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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Il punto focale del colloquio diventa, quindi, l’individuo e non il
problema, poiché lo scopo non è quello di risolvere una particolare
problematica portata dal cliente, ma quello di aiutare la persona a
crescere, affinché possa affrontare sia il problema contingente, sia quelli
successivi, in maniera più consapevole e integrata.
È importante offrire ai clienti la possibilità di comprendere ciò che
davvero sono, di conoscersi e di interpretare significativamente la loro
esperienza personale.
Il counseling significa ascoltare nel profondo, prestando attenzione alle
parole, ai pensieri, ai significati espliciti ma anche sottesi alle intenzioni, ai
gesti ai toni di voce, perché molto spesso le sole parole portano un
messaggio e il tono della voce, i gesti e la postura ne portano altri.
La persona diventa protagonista a tutti gli effetti della relazione.
Il counseling è un intervento rivolto alla persona in situazione di disagio. Il
disagio può essere inteso come malessere lieve e correlato alle situazioni
della vita quotidiana. Oppure può essere legato a momenti di difficoltà
nell’affrontare le trasformazioni che il ciclo della vita comporta. O
ancora, il disagio può essere causato dalla perdita di una condizione di
stabilità che provoca una sofferenza, a volte intensa, ma circoscritta nel
tempo.
Il disagio è compatibile con la vita quotidiana; una persona con disagio
può gestire la propria vita, anche se con fatica e difficoltà. È umano
cercare, quindi, di risolvere quelle problematiche che portano malessere
per ritrovare un buon equilibrio interiore e pratico che permetta di vivere
serenamente.
Affrontare meglio i cambiamenti che la vita comporta e le
momentanee difficoltà che ne ostacolano il sereno sviluppo è l’aiuto
che il counseling può dare attraverso interventi brevi, limitati nel tempo.
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Per i genitori in difficoltà, il counseling offre uno spazio di ascolto in un
tempo ben preciso: quello personale, quello del momento in cui sta
succedendo la fatica. Non è necessario ritrovare cause antiche o nuove
proiezioni future. Ogni genitore lavora con il counselor nel qui ed ora.
Accoglienza, non giudizio, ed empatia sono gli ingredienti di questo
ascolto, che permettono ai genitori la libertà di raccontare ad alta
voce, senza essere giudicati. Esprimere a parole quello che uno sente,
pensa e vive, aiuta a riflettere e ad analizzare con maggior distacco
quello che accade. Il colloquio di counseling aiuta a comprendere quali
siano le strategie migliori da mettere in atto, o semplicemente a capire
che la situazione fa parte del momento di crescita ed è inevitabile.
3.2. La consapevolezza del genitore e il cambiamento
del figlio
Il progetto che ho svolto durante il tirocinio nella scuola materna dove
ho affrontato il passaggio alla scuola primaria insieme ai bambini di 5
anni e ai loro genitori, e i vari colloqui che ho condotto con genitori di
bambini e ragazzi in età scolare, mi portano a fare una riflessione.
I colloqui svolti hanno evidenziato chiaramente il bisogno dei genitori di
potersi tranquillizzare sui passaggi di vita dei propri figli e la necessità di
condividere insieme pensieri e paure.
I genitori hanno apprezzato, particolarmente, gli incontri di condivisione
alla scuola materna, soprattutto per la possibilità che hanno avuto di
“ripassare” le tappe evolutive che caratterizzano questo passaggio
specifico, approfondendo i bisogni dei bambini di quella età e
riconoscendo i propri.
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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Che cosa accade quando si inizia la prima classe della primaria lo
sanno tutti: nuova scuola, nuovi compagni, si comincia ad imparare a
leggere e a scrivere e cosi via. La parte ludica di questa esperienza si
ridimensiona rispetto ai tempi della materna, e cominciano le prime
prove e le prime frustrazioni. Tutto serve per crescere. Questo è un punto
importante di cui, a volte, non si è davvero consapevoli come genitori.
La qualità delle relazioni familiari influenza notevolmente l’adattamento
scolastico dei figli, la loro capacità di ambientarsi in classe, di superare i
primi ostacoli e integrarsi con i compagni.
Il compito dei familiari è quello di ascoltare, sostenere, rassicurare,
mostrarsi sereni, rilassati e fiduciosi, senza voler negare che il primo
impatto con la realtà scolastica sia un passaggio delicato.
Per fare questo occorre che i genitori possano esplicitare le proprie ansie
e i propri dubbi per poterli riconoscere e quindi elaborare.
Ecco che in un clima facilitante di scambio e condivisione, i genitori, in
gruppo o individualmente, hanno potuto rendersi conto delle proprie
difficoltà e hanno saputo anche rispondersi, riflettendo su cose a cui
probabilmente da soli non avrebbero pensato. I bambini di 5 anni non
sanno realmente cosa sia la scuola primaria: non ne hanno esperienza
diretta, quindi non la conoscono davvero. Hanno delle idee, perché gli
adulti hanno raccontato loro le proprie. Quindi, l’attenzione è proprio su
quello che noi adulti comunichiamo ai nostri figli: queste saranno le idee
che poi i figli faranno proprie.
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3.3. Esperienze a confronto: percorsi di counseling
Mamma- Io ho delle ansie con Lucrezia che con Luca non ho avuto.
Pero ho proprio riflettuto su questa cosa qui, dopo gli incontri che
abbiamo fatto, qui: le ansie sono mie! E sto cercando di non passarle
a lei! Lei non parla con gli adulti …. cosa farà con le maestre?
Questo mi preoccupa. Se a lei una persona non le va, non le va. Ma
più la sproni a parlare, come per esempio a salutare una persona che
non le va di salutare, sicuramente non spiccica una parola. Poi io so
tutto quello che succede, alla scuola materna …. cosa è successo alla
gita, cosa ha fatto la sua amica in mensa e cosi via …..
Counselor- Lucrezia ti racconta tutto quello a cui lei è interessata, ma
se non vuole parlare con qualcuno, non lo fa e basta.
Mamma- Ieri non c’è stato verso di rispondere alla sua maestra, le ha
detto un ciao veloce ed è uscita, e se la sgrido è peggio!!! Alla sua
maestra l’ho detto fin dall’inizio: se non parla molto con lei … è
perché è fatta un po’ cosi. Poi quando abbiamo parlato della scuola
del prossimo anno si è messa a piangere perché non avrebbe più
rivisto ne la maestra ne i suoi compagni.
Non sempre si può entrare nel mondo dei bambini, né tanto meno nei
loro pensieri. Lucrezia spesso non vuole salutare nemmeno la sua
maestra della scuola materna quando finisce la giornata e la mamma,
a volte, la rimprovera. Quasi però piange al pensiero che quando
passerà alle primaria non la vedrà più. A Lucrezia la sua maestra sta a
cuore, ma sentirsi obbligata a parlare con lei per forza, non la interessa.
In effetti, uno dei nuovi bisogni che i bambini hanno affacciandosi al
quinto stadio di sviluppo verso il passaggio alla scuola primaria è quello
di potersi fidare dei propri sentimenti, di cominciare a fare le cose a
proprio modo, di sapere di potercela fare da soli.
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Mattia è un bimbo adottato, arrivato in famiglia a 3 anni e mezzo con
una diagnosi di lieve ritardo mentale. In realtà oggi, che ha 6 anni e
frequenta l’ultimo anno di scuola materna, ha dimostrato che
probabilmente il ritardo era dovuto all’abbandono e alla mancanza di
riferimenti adulti nei primi anni di vita. Questo ultimo anno di scuola
materna è un po’ difficile rispetto alla relazione con i genitori adottivi, in
quanto Mattia mette in atto una serie di sfide relazionali
Mamma- […]Tu hai davanti questo bambino bellissimo, di sei anni,
che però ha della parti di adolescente stronzo di quattordici e delle
parti di neonato di due … non è facile. Da un lato hai paura, chissà
cosa ha vissuto prima, dall’altro lato ti senti anche forte, queste sfide
qui ti rafforzano. Però, insomma, è dura. Questi giorni faticosi ……..
Quello che è accaduto in questi giorni è l’apice di due settimane,
forse anche di più, è un intensificarsi di provocazioni e strafottenza e
dell’ignorarti ….
Counselor- Da questi racconti mi sembra che Mattia sia in quella fase
provocatoria, dove ha bisogno di cominciare a prendere le distanze.
Oggi, dopo tre anni che è con voi, ha capito che può contare su di voi
e può cominciare ad affrontare un primo distacco. Può cominciare a
sperimentare la sua vita autonoma e prova a vedere come può fare.
Solitamente la fase del primo distacco succede tra il primo e il
secondo anno di vita. Ma per Mattia è oggi che ha consolidato la fase
di attaccamento con voi e che quindi sa di potersi allontanare senza
perdervi. È un bisogno fisiologico quello di separarsi, ma attiva in
questo modo la tua emotività. E’ un po’ come metterti alla prova
dicendo: allora io sto crescendo, ormai sono quasi convinto, anche se
non ancora del tutto, che posso contare su di voi, perché questo poi lo
fa vedere con l’affetto, allora posso fare un passo in più, che è quello
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di provare ad allontanarmi, sapendo però che posso tornare alla
base.
Mamma-[…] Questa lettura non l’avevo mai fatta, ma effettivamente
la riconosco, perché il suo tentativo è quello di stare in piedi da solo;
per cui tu ci sei in casa, lui lo sa e per questo può non considerarti,
ignorarti, mangiare con un estraneo dall’altra parte del tavolo….. ti
guardo in faccia, ci sei e può comunque stare da solo perché
finalmente è sicuro che non scapperai!!!! Bello questo davvero, ….
letta cosi è positiva. Proverò a lasciargli spazio, come dire, non
dando peso all’aspetto sminuente, ma invece……..Va bene stai li
perché sei grande, puoi star li coi grandi e non volermi con te.
Mattia ora ha capito che può contare sui suoi genitori, sul fatto che non
verrà ancora abbandonato, e cosi può iniziare ad allontanarsi da loro. I
genitori possono e devono dare spazio a questi primi tentativi di
allontanamento perché possa riconoscersi “grande”. I comportamenti di
sfida letti non pensando a lui come persona ma alla sua condizione di
bambino adottato, di ritardo cognitivo e così via, facevano perdere di
vista il normale sviluppo, anche se con tempi più allungati, che tutti i
bambini attraversano per poter crescere e allontanarsi.
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Conclusioni
Il termine genitorialità non coinvolge l'essere genitori reali, ma è uno
spazio psicodinamico, autonomo, che fa parte dello sviluppo di ogni
persona. Ovviamente, l'evento concreto della nascita di un figlio e le
tappe evolutive che il figlio attraversa per diventare adulto, attivano, in
un modo particolare e molto intenso, questo spazio mentale e
relazionale, rimettendo in circolo tutta una serie di pensieri e fantasie
legati al proprio essere stati figli, alle modalità relazionali ritenute più
idonee, ai modelli comportamentali da avere.
Durante le fasi evolutive dei nostri figli può succedere di aver bisogno di
aiuto per poter superare momenti di difficoltà che altrimenti
diventerebbero veri e propri problemi.
Anche in questo ambito “prevenire è meglio che curare” e la
conoscenza e il confronto possono essere un aiuto molto importante,
insieme alla rielaborazione delle situazioni attraverso percorsi brevi di
counseling familiare o individuale.
Su un vecchio diario ritrovato nella scatola dei ricordi della mia
adolescenza, ho riscoperto questa frase: “vivere non è copiare ma
inventarsi”. È un pensiero che mi piaceva molto, e che ancora oggi
condivido. Credo che l’elemento centrale del lavoro del counselor sia
proprio quello di aiutare le persone a vivere consapevolmente la propria
vita e a essere se stesse, e non la copia (bella o brutta) di qualcun altro.
Per ritrovare la vera essenza di sé, è utile, ogni tanto, guardarsi dentro e
guardare le relazioni che ci legano agli altri.
Che siano figli, partner, insegnanti, amici, o semplicemente persone che
incontriamo per caso, non possiamo fare a meno di vivere queste
relazioni con la consapevolezza che ciascuna di esse avrà un peso nel
nostro futuro.
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L’importante è riuscire ad essere coerenti con se stessi, con i propri
principi e con i propri sentimenti. Per fare questo è necessario poter
rielaborare le cose che accadono, guardandole da un altro punto di
vista, per capire perché ci hanno portato conflitti o fatiche.
L’aiuto di un counselor che accompagna in queste rivisitazioni, permette
di riconoscere le potenzialità presenti in ciascuno di noi, per
comprendere e correggere ciò che ci provoca disagio.
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Appendice
Quando il bambino ha una difficoltà o un ritardo
psicomotorio
Prima ancora che l’evento nascita sia compiuto, ossia prima del
momento del parto, la futura mamma principalmente, insieme al futuro
papà, immagina come sarà il proprio figlio o la propria figlia, e comincia
ad affrontare e ad adattarsi ai primi cambiamenti che via via si
presentano nella sua “nuova” vita.
Il pensiero che qualcosa non possa funzionare al momento dell’incontro
col proprio bambino sognato per nove mesi, esiste ma altro è prevedere
il trauma che il genitore deve affrontare di fronte all’effettiva nascita di
un bambino con disabilità.
Quando si scopre, non solo che quel figlio immaginato non arriverà mai,
ma che, al suo posto, c’è qualcuno che non ci si aspettava di
incontrare, la cosa più sconvolgente è che tutto quello che ci si
immaginava per lui improvvisamente non esiste più. Non si riesce più ad
immaginarlo come scolaro, come adolescente o come adulto; come
persona che si differenzia da noi e che possa seguire una sua strada.
“Ma io questa estate avevo già prenotato le vacanze in Sardegna con il
viaggio in aereo, ci potremo andare??”
Alessia, madre di Luca, 2 giorni, affetto da trisomia21 senza
complicazioni cardiache.
“Ho chiesto a mio marito di non mettere nessun fiocco nascita fuori
dalla porta del nostro palazzo.”
Luna mamma di Livia, 10 giorni, emorragia celebrale durante
il parto per un distacco di placenta
Manuela Emilia Colombo - Scuola Triennale di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva 2013
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Il corso del tempo si ferma, e quando il tempo si ferma si blocca anche
la capacità di andare con l’immaginazione oltre il presente. Il futuro non
si vede più, perché diventa emotivamente inimmaginabile. Nello stesso
modo viene cancellato il passato con le sue fantasie e i suoi sogni: esiste
solo un presente difficile in cui ci si sente prigionieri.
Questo accade anche quando la disabilità o la difficoltà del figlio viene
diagnosticata durante i primi anni di vita.
Il percorso di adattamento a cui va incontro la mamma di un figlio con
disabilità o ritardo di sviluppo è, in qualche modo, prevedibile; quello
che non è prevedibile è la singola reazione di quella specifica famiglia di
fronte a quella precisa situazione. Alcune caratteristiche comuni a
queste madri sono la necessità di vedere al di là dell’handicap, i dubbi
sulla propria competenza materna, la paura di non riuscire ad amare
quel figlio, e la necessità di reinventare il matrimonio partendo da nuove
basi.
“Meno male che ho anche Veronica, così so di essere una mamma
normale!”
Anna, mamma di Veronica 3 anni e di Giulia, ancora nella
pancia, venuta a conoscenza della presenza della trisomia 21 nel
corredo cromosomico della seconda figlia.
Invariabilmente, il punto di partenza è la notizia del possibile handicap.
La coppia o la famiglia, prima di venire a conoscenza di questa nuova
situazione, nella maggioranza dei casi, non aveva problemi particolari.
L’apprendere il problema del figlio comporta un enorme quantità di
lavoro emotivo nelle settimane successive all’evento. Questo è un
momento fondamentale per chiedere aiuto, per fare in modo che
questa fatica sia accolta e contenuta, e che le energie che servono per
affrontarla siano condotte nella direzione giusta.
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Nella gran parte delle situazioni di handicap, nessuno può sapere come
evolverà la vita del bambino e con quali tempi. Questa incertezza è la
parte più difficile da accogliere per i genitori; non sapendo
precisamente cosa potrà essere in grado di fare il proprio figlio, i genitori
non riusciranno a crearsi quell’immagine del futuro che permetterà al
figlio di esistere davvero. Le persone esistono se sono pensate.
Accettare circostanze che si discostano dalla norma richiede spesso
tempi molto lunghi. Superare la negazione iniziale e ridefinire le distanze
tra il bambino immaginato e quello reale con le sue imperfezioni, è
fondamentale. A volte può essere utile il conforto e l’appoggio di una
figura professionale che possa accompagnare i genitori a lavorare sul
loro vissuto, sulle emozioni che stanno provando. Un percorso di
counseling personale o di coppia può aiutare a ricostruire la realtà
concreta ed emotiva, evitando di scivolare, da una parte, nella paralisi
di un pessimismo distruttivo (che potrebbe provocare danni più seri dal
punto di vista psicologico) e dall’altra, nella negazione ottimistica (che
potrebbe impedire di prendere misure terapeutiche realistiche e arrivare
a una pace interiore più stabile).
Ciò che accomuna la maggior parte delle mamme è la voglia di
scoprire come sarà il carattere del proprio figlio, come affronterà la vita.
Le preoccupazioni create dall’handicap e i relativi dubbi su quello che il
piccolo sarà in grado di fare e in quale misura, bloccano qualsiasi
scoperta della sua vera personalità. “Quali sono i suoi pregi, le sue
attitudini, le preferenze, le inclinazioni e le sue antipatie naturali?”
Queste sono le cose che i genitori devono riuscire a guardare al di là
dell’handicap, ciò che anche quel figlio potrà avere. Vedere oltre la
difficoltà però non è facile, perché spesso si tende a misurare tutto in
relazione all’handicap, perdendo parte della sua individualità.
Un altro aspetto importante è l’identificazione che ogni madre compie
sul proprio figlio: il figlio come una continuazione di se stesse. In una
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situazione in cui il bimbo presenti un handicap, questa reazione
potrebbe essere di totale rifiuto: il pensiero di morte su quel bambino
“diverso” è un sentimento terribile ma possibile, e da accogliere in tutta
la sua vastità.
La rielaborazione e l’accoglienza di sentimenti cosi devastanti, e in un
certo senso contrastanti con la “bellezza” di diventare madre, è
necessaria per ritrovare l’equilibrio interiore con se stessi e poter di nuovo
condurre una vita serena e appagante, anche con una nascita difficile.
Non bisogna perdere di vista ne se stessi né il proprio partner, nonostante
le difficoltà. Inoltre non bisogna trascurare i propri bisogni.
La maggior parte delle mamme di un bambino con handicap o nato
prematuro vive una forma di trauma durante le prime settimane e i mesi
che seguono il parto. Queste madri non devono essere lasciate sole.
Hanno bisogno di qualcuno che le aiuti a sentirsi convalidate come
madri in quelle aree, anche se molto ridotte, in cui possono
effettivamente sentirsi tali. Hanno bisogno di guardare il loro bambino
per quello che sa fare, non per quello che non gli riesce. Hanno bisogno
di una persona che le accompagni a ricostruire il passato che si è
frantumato nel momento in cui qualcuno ha parlato di handicap e a
riscoprire il futuro che non riescono più a concepire e a vedere.
Pediatri, infermieri, neurologi, fisioterapisti e tutte le figure professionali
che si occupano del bambino sono fondamentali per il suo benessere,
ma serve anche qualcuno che possa fare una sintesi tra le diverse
metodologie, inevitabilmente disomogenee, che frammentano la
visione che la madre ha del problema, e che conducano quet’ultima a
ritrovare il suo bambino “intero”, anche se con la sua “speciale
normalità” (Ianes, 2006). Il counseling familiare può diventare un valido
supporto per ridefinire, insieme ai genitori, la propria identità e quella del
proprio figlio.
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La partenza Paola e Simona (Montobbio Lepri 2000)
“In una scuola materna del comune di Genova, come in moltissime altre scuole
della città, lavora da alcuni anni, in qualità di ausiliaria, una giovane donna dal
dolce viso orientale. Si chiama Paola ed è, come tutte le persone, unica ed
irripetibile, ciò non dimeno appartiene ad una categoria: è handicappata
mentale. Fa parte anche di una sottocategoria: è una persona con Sindrome di
Down; ha?, ha avuto?, avrà per sempre? Questa malattia (?). menomazione (?),
stigma (?) peculiarità (?), caratteristica (?).Per i colleghi della scuola, per i
bambini, per i genitori, Paola è Paola e basta.
Questa scuola materna è frequentata anche da una bambina, Simona, anch’essa
con tratti orientali , anch’essa persona unica ed irripetibile, “scritta” (dalla
Natura? da Dio? Dagli uomini? Dagli specialisti? Dai genitori? Dagli
operatori?) alla stessa categoria di Paola, e anche alla stessa sottocategoria:
quella dei congiunti del Dottor Down.
La mamma di questa bambina, nell’accompagnarla a scuola, ha osservato a
lungo silenziosamente Paola al lavoro, quando accoglie i bambini sulla porta
della scuola, quando li aiuta a togliersi il cappotto e a mettersi il grembiulino
colorato o a lavarsi le mani, o infine quando scende in cucina per aiutare nella
preparazione dei cibi.
Guardando Paola la mamma di Simona ha cambiato atteggiamento verso la
propria bambina: una volta ha confidato a un’altra mamma: “ora, io e mio
marito, abbiamo capito cosa potrà fare da grande”.
La stessa cosa, in forma diversa, è stata detta anche dalla maestra di Simona.
Paola ha regalato ai genitori della piccola “sorellina” Down un immaginario
nel mondo dei grandi, e questo ha consentito ai genitori (e alla maestra) di
pensare a Simona in termini di progetto di vita e di educazione verso un obiettivo
nel mondo degli adulti.
Il viaggio di Simona verso il mondo dei grandi è cominciato davvero con questa
intuizione-scoperta della sua mamma.”
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Bibliografia e fonti
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personale e genitoriale in Società Italiana di Neuropsichiatria
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Bocchi Gianluca, Ceruti Mauro – Educazione e globalizzazione –
2004 Raffaello Cortina
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Carkhuff Robert– L’arte di aiutare – 1973 Erickson
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Fiorilli Caterina, Albanese Ottavia – I processi di conoscenza dei
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Franta H., Colasanti A. R. - L’Arte dell’Incoraggiamento - 1991.
Giani Gallino Tilde– Il mondo disegnato dai bambini – 2008 Giunti
Goleman Daniel – Intelligenza Emotiva – 1995 Bur
Gottman Jhon – Intelligenza emotiva per un figlio – 1997 Bur
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LeDoux Joseph – Il cervello emotivo – 1996 Baldini Castelli
Mastromarino R. - Prendersi cura di sé per prendersi cura dei propri
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Montobbio Enrico, Lepri Carlo – Chi sarei se potessi essere – 2000
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Nardone Giorgio – Modelli di famiglia – 2001 Tea
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Novara Daniele – Bambini ma non troppo – 2000 Edizioni La
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Novara Daniele – Dalla parte dei genitori – 2009 Le comete Franco
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Novara Daniele – La grammatica dei conflitti – 2011 Edizioni Sonda
Puviani Vanna– Le storie belle si raccontano da sole – 2006 Edizioni
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Rogers Carl R. – Un modo di essere – 1983 Psycho
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Sunderland Margot – Aiutare i bambini a esprimere le emozioni –
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Sunderland Margot – Il tuo bambino come educarlo e capirlo –
2007 Tecniche nuove
Twerski Abraham J. – Su con la vita, Charlie Brown! – 2000 Oscar
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Watzlawick Paul – Pragmatica della comunicazione umana – 1967
Astrolabio