Mi avevano promesso il paradiso

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La mia vita e la verità sull’attentato al papa

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Ali Agca

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© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A.Lorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)Sede: Via Melzi d’Eril, 44 - Milano

isbn 978-88-6190-404-0

Prima edizione: gennaio 2013

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Sommario

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Questo libro 3

Nella povertà assoluta 7Voglia di riscatto 19L’odio innanzitutto 27Un combattente militante 37La guerra islamica 55L’Iran e Khomeyni mi aspettano 73Il guerriero Ali 85«Devi uccidere il papa» 97Prima dell’attentato 109Il giorno fatidico 129Le false verità dei processi 141Chi ha rapito Emanuela Orlandi 149L’incontro con il papa 161La battaglia finale 173

AppendiceCronologia della vicenda giudiziaria 189

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Sono cresciuto nell’odio. Nell’odio per l’Occidente, i cri-stiani, gli ebrei, gli Stati Uniti d’America. Sono cresciuto credendo che contasse soltanto imporsi, affermarsi, se necessario annientando i propri nemici. Nessuno mi ha mai detto che esisteva un’altra possibilità: porgere l’altra guancia, rispondere alla sete di potere e affermazione, di distruzione e odio, con la loro antitesi, l’amore.

Sono passati parecchi anni dal 13 maggio 1981, giorno in cui ho sparato al papa in piazza San Pietro. Trentadue per l’esattezza, trenta dei quali li ho trascorsi in carcere, fino al 2000 in Italia, a Roma, nelle prigioni di Rebibbia e Regina Coeli, poi ad Ascoli Piceno e ad Ancona. Nel 2000 ho ottenuto la grazia e, quindi, l’estradizione in Turchia. Ma anche lì ho dovuto saldare i conti con la giustizia, fino al 2010, l’anno della liberazione definitiva.

Nel carcere di Istanbul ho scontato la pena per una sentenza del 1980 che mi riconosceva colpevole dell’assassinio di Abdi İpekçi, giornalista e direttore del quotidiano liberale «Milliyet» ucciso il 1° febbraio 1979. In realtà non ero stato io a sparare. Era stato il mio amico appartenente ai Lupi grigi, Oral Çelik.

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Io avevo fatto soltanto da palo. Ma mi assunsi tutta la responsabilità. Certo, è vero, avevo partecipato anch’io all’organizzazione dell’omicidio. Ma non avevo sparato.

Un uomo ci può mettere anni a capire di aver sba-gliato. La conversione, chiamiamola pure così, può essere molto lenta, una goccia che cadendo sempre nello stesso punto riesce a intaccare anche la scorza più dura. Anche per me è stato un cambiamento di sguardo e di prospettiva lento, maturato nei lunghi anni in cui sono stato costretto alla detenzione. Eppure questo cambia-mento ha avuto un inizio. C’è stato un giorno, un’ora, perfino un minuto preciso nel quale la metamorfosi è cominciata.

Il 27 dicembre 1983 uno spillo bucò quasi impercetti-bilmente l’enorme massa di odio che avevo dentro. L’odio, quell’odio cieco che chiede solo morte, ha impiegato poi anni ad andarsene del tutto. Eppure il miracolo è stato possibile, e lo è stato grazie a quella puntura, a quello spillo invisibile.

Quel giorno, mentre ero rinchiuso in una cella d’isola-mento del carcere di Rebibbia, dopo il tentato omicidio a Giovanni Paolo II, un secondino ha aperto lo spioncino della porta blindata e si è rivolto a me.

«Mehmet Ali Ağca, preparati. Una persona ha chiesto di vederti.»

Non conosco nessuno in Italia. Nessuno ha mai chiesto di me.

«Chi è?» chiedo incredulo.«È lui, Ali.»«Lui chi?»

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