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V ALERIO MEUCCI Ripellino a Praga: l’autoritratto del viandante Stando a quanto racconta Angelo Poliziano, Cosimo de’ Medici era solito affermare: «Ogni pintore dipinge di sé» 1 . Ecco, tra i molti modi possibili per farlo, scelgo di leggere Praga magica come un autoritratto del suo autore, magari alla maniera dell’Arcimboldo, di cui si dichiarava scolaro ed aiutante. In fondo mi sento autorizzato a farlo dallo stesso Ripellino, che ne Il trucco e l’a- nima, affermava: «ogni rievocazione trapassa in un racconto, ogni discorso sugli altri è un diario truccato» 2 . La Cecoslovacchia, lo ricordò anche Italo Calvino, fu la fonte prima delle sue gioie e delle sue pene: Ripellino si identificò straordinariamente con i sortilegi, le luci malate, le cattedrali, i fantasmi del mondo boemo. Praga assunse per lui una dimensione ad un tempo letteraria ed esistenziale, divenne il funerario scrigno barocco in cui racchiudere le sue radici precarie. La lontananza forzata cui fu costretto dalla fine degli anni ’60, l’impossibilità del farvi ritorno contribuirono a generare il suo capolavoro in prosa, dal titolo enigmatico, seducente, evocativo. Come il barone Detlev von Liliencron, all’inizio del libro Ripellino è certo di aver già vissuto, in una vita precedente, nella capitale boema, ed inanella una fantasmagoria di possibili, suggestive metempsicosi: si traveste, si camuffa, si insinua nelle viuzze, diviene girovago frequentatore di bettole, alchimista, fat- tucchiere, ciarlatano. Qualcuno ha scritto che Praga magica è «una lunghissima, tormentata e quasi maniacale dichiarazione d’amore» 3 : come un amante, Ripellino vorrebbe aver conosciuto, vissuto, amato la sua città anche nel passato più remoto: «una cosa sola è sicura, che da secoli io cammino per la città vltavina, mi mescolo 177 1 A. POLIZIANO, Detti piacevoli, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1983, p. 67. 2 A. M. RIPELLINO, Il trucco e l’anima, Torino, Einaudi, 1965, p. 137. 3 M. LUNETTA, Ripellino, ovvero la scrittura come poligrafia totalizzante, in AA.VV. A.M. Ripellino, poeta slavista, Atti del Convegno di Studi (Acireale 9-12 dicembre 1981), a cura di M. Grasso, in «Lunarionuovo», V, 21-22, 1983.

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VALERIO MEUCCI

Ripellino a Praga: l’autoritratto del viandante

Stando a quanto racconta Angelo Poliziano, Cosimo de’ Medici era solitoaffermare: «Ogni pintore dipinge di sé»1. Ecco, tra i molti modi possibili perfarlo, scelgo di leggere Praga magica come un autoritratto del suo autore,magari alla maniera dell’Arcimboldo, di cui si dichiarava scolaro ed aiutante. Infondo mi sento autorizzato a farlo dallo stesso Ripellino, che ne Il trucco e l’a-nima, affermava: «ogni rievocazione trapassa in un racconto, ogni discorso suglialtri è un diario truccato»2.

La Cecoslovacchia, lo ricordò anche Italo Calvino, fu la fonte prima delle suegioie e delle sue pene: Ripellino si identificò straordinariamente con i sortilegi, leluci malate, le cattedrali, i fantasmi del mondo boemo. Praga assunse per lui unadimensione ad un tempo letteraria ed esistenziale, divenne il funerario scrignobarocco in cui racchiudere le sue radici precarie. La lontananza forzata cui fucostretto dalla fine degli anni ’60, l’impossibilità del farvi ritorno contribuirono agenerare il suo capolavoro in prosa, dal titolo enigmatico, seducente, evocativo.

Come il barone Detlev von Liliencron, all’inizio del libro Ripellino è certodi aver già vissuto, in una vita precedente, nella capitale boema, ed inanella unafantasmagoria di possibili, suggestive metempsicosi: si traveste, si camuffa, siinsinua nelle viuzze, diviene girovago frequentatore di bettole, alchimista, fat-tucchiere, ciarlatano.

Qualcuno ha scritto che Praga magica è «una lunghissima, tormentata equasi maniacale dichiarazione d’amore»3: come un amante, Ripellino vorrebbeaver conosciuto, vissuto, amato la sua città anche nel passato più remoto: «unacosa sola è sicura, che da secoli io cammino per la città vltavina, mi mescolo

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1 A. POLIZIANO, Detti piacevoli, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1983, p. 67.2 A. M. RIPELLINO, Il trucco e l’anima, Torino, Einaudi, 1965, p. 137.3 M. LUNETTA, Ripellino, ovvero la scrittura come poligrafia totalizzante, in AA.VV.

A.M. Ripellino, poeta slavista, Atti del Convegno di Studi (Acireale 9-12 dicembre 1981), acura di M. Grasso, in «Lunarionuovo», V, 21-22, 1983.

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alla moltitudine, arranco, gironzolo, annuso tanfo di birra, di fumo di treni, dimelma fluviale».

Lo scrittore è a tal punto coinvolto nella sua rêverie, da divenirne un perso-naggio: «e perciò come potrei scrivere con distaccata e sussiegosa dottrina, inbell’ordine, un esauriente trattato, soffocando la mia irrequietezza, il mio argen-to vivo col rigor mortis dei metodi e la lana caprina delle pedanti disamine?»4, epoco prima «questo mio dittamondo praghese è un libro sconnesso, sbandato, afrastagli, scritto nell’insicurezza e nei mali, con disperaggine e con pentimenticontinui, con l’infinito rimorso di non conoscere tutto, di non stringere tutto,perché una città, anche se assunta a scenario di una flanerie innamorata, è unadannata, sfuggente, complicatissima cosa»5.

Ripellino trasfigura dunque Praga in una reinvenzione poetica («ora che nesono lontano, forse per sempre, mi chiedo se Praga esista davvero o se piuttostonon sia una contrada immaginaria come la Polonia di Re Ubu»); nel suo croce-via ritrova anche le origini siciliane, nei profumi, nei colori, nel turgore dolcia-stro della decomposizione e dello sfacelo, nello splendore moribondo di unbarocco che si fonde con quello delle chiese gotiche boeme: «perché sebbene iosia imbrattato dalle fuliggini del Mitteleuropa, nutrito di mille umori stranieri ecome arrivato sin qui con un carrozzone dipinto di calderai, tuttavia nella baroc-ca e ferale Sicilia affondano le mie radici»6.

In Praga magica l’autore ci offre indicazioni preziose per comprendere la suapersonale ripresa del barocco: «l’atletismo delle metafore, l’ottica e la ridondanzateatrale, l’abuso di paradossi, di iperboli, di agghindamenti, di emblemi, le accumu-lazioni asindetiche, l’estasi, il senso dello sfacelo, il continuo assillo del nulla»7.

Tali elementi, che avvicinano secondo lo scrittore siciliano i maggiori poeti boe-mi alla statuaria barocca praghese, contraddistinguono notoriamente anche tutta lasua produzione letteraria. Le tre anime simbiotiche di Praga, tedesca, ceca, ed ebrai-ca, rappresentate emblematicamente da Franz Kafka, rispecchiano i tria corda diRipellino, «praga era più bella della mia prediletta città di Palermo, asserì Liliencroncon un accostamento che mi ingombra l’anima di duplice malinconia. Nel poemaSvetlem Odenà, carrellata sulla città vltavina, Seifert prorompe: “Praga era più belladi Roma”. In queste frasi mi sembra iscritto il vacillante triangolo della mia vita»8.

Ripellino si sofferma a lungo soprattutto nel ghetto ebraico di Praga: la fedenei miracoli, l’ironia beffarda verso se stessi e verso gli oppressori, i virtuosismiintellettuali che eludono la rovina, la malinconia che pervade tutto uniscono leculture ceca ed ebraica alla sua sensibilità siciliana.

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4 Ivi, p. 23.5 Ivi, p. 22.6 A.M. RIPELLINO, Di me, delle mie sinfoniette, in Poesie, 1952-1978, cit., p. 249.7 ID., Praga maica, cit., p. 242.8 Ivi, p. 324.

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Avvinto da un inguaribile horror vacui, egli tenta di ricordare e raccontareogni cosa; coinvolge il lettore in un dialogo complice, lo mette in guardia controil fascino intossicante dei dedali praghesi, lo invita ad assistere alla rappresenta-zione postuma di splendori da preservare da una rovina imminente.

Chi legge è chiamato a farsi pellegrino di questo visionario itinerarium men-tis in inferos, le cui stazioni sono le bettole, i vicoli, i laboratori arcani deglialchimisti, le chiese gotiche, le sinagoghe del ghetto, il Castello, la corte di Ro-dolfo II.

E non è raro che in questa allucinazione letteraria si animino fantocci, doc-cioni, armadi, cappelli, e che vivano una propria esistenza sonnambulica.

Chi conosce Ripellino, sa quale importanza rivestano per lui gli oggetti piùumili della quotidianità, in particolare i cappelli, cui nelle liriche talvolta affidafragili speranze di salvezza e redenzione.

Chiunque apra lo scrigno di Praga magica e accetti di addentrarsi nel suolabirinto onirico, vi si immerge con tutti i sensi: lo investono raffiche di zolfo edi odori provenenti dal ghetto, grida di mercanti, campane, storte e alambicchi,in una fantasmagoria visionaria di luoghi, oggetti e personaggi, non importa sereali o immaginari. Su tutto dominano il Castello e la Rocca Hradcany, raggiun-ta la quale, aveva promesso lo scrittore Jiri Karasek, si avverte di non esseremai stati più vicini alla morte.

Se il lettore prova a distanziare lo sguardo dal ritratto di donna, languido eaffascinante, che Ripellino va dipingendo, si accorge di come i luoghi di Pragadisegnino i lineamenti del suo autore. Sulla tela della città boema l’autoreproietta se stesso, simbolizza la propria esistenza, la amplifica in allegoria, e lanarrazione sfuma in confessione autobiografica. Con la sua pena irredimibile,con l’eterno eludere la morte, con la strenua resistenza ad un’oppressione seco-lare, Praga gli si presenta come rispecchiamento ideale: è la denuncia dell’op-pressione di chi si sente “altro”, diverso, debole; sul piano storico e politico èl’altro volto dell’impero asburgico, è l’anti-Vienna, il rifiuto dei valori monar-chici, la sconfessione dell’idillio da operetta della capitale austriaca, parallelosimbolico del vuoto benessere contemporaneo.

Anche quando rievoca i maggiori scrittori boemi, Ripellino dissemina letracce di un proprio ritratto, ed instaura con loro un singolare processo di identi-ficazione.

Si riconosce nel poeta Karel Hynek Macha per «il male di vivere, l’enigmadell’oltretomba, l’eterno nulla, il pessimismo senza rimedio, il pianto per la fre-schezza che muore, l’amarezza del disinganno»9; a Jaroslav Hasek lo accomuna-no le «fitte di insicurezza, di crepuscolare sgomento»; a Jiri Orten l’ossessionedel nulla, l’eterno errore, il senso della vanità, la coscienza della colpevolezza.

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9 ID., Praga magica, cit., p. 58.

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Con Orten, Ripellino condivide anche l’amore per gli animali e gli oggettiumili, la consapevolezza di non poter cambiare nulla, i presagi di morte, lo scri-vere fino all’estremo, «quanto più presso alla fine tanto più chiaro splenden-do»10. E soprattutto li accomunano le ragioni della scrittura: «Poesia comecaparbietà, argine che respinge ancora la morte […] ricerca dell’essenza del-l’uomo nell’impenetrabile nulla che lo avviluppa, ma insieme barlume di spe-ranza, anche quando ormai la candela brucia da entrambi i lati»11.

Sono cardini che innervano anche la poetica ripelliniana, espressione dellasolitudine esistenziale dell’autore, del suo viversi da emarginato nel panoramaletterario italiano, costretto nella gabbia riduttiva della propria attività accade-mica, con l’ansia struggente di non essere dimenticato.

Nella storia di Praga c’è un marchio antico ed indelebile, un dolore maiestinto: la tragedia della Montagna Bianca del 1620. Da quella disfatta, la Cittàsulla Moldava conobbe l’emarginazione, la decadenza, l’oppressione straniera.

Con la partecipazione di chi sembra aver vissuto quei giorni, Ripellinoricorda il saccheggio a cui fu sottoposto il Castello: «Dopo la battaglia dellaMontagna Bianca, il Duca Massimiliano di Baviera, nel lasciar Praga il 17novembre 1620, si portò dietro, in compenso dell’aiuto prestato a FerdinandoII, non meno di mille e cinquecento carri con ori e preziosi trafugati al Castel-lo»12.

Il Castello, simbolo e orgoglio del popolo boemo, fu poi svilito nel 1780,sotto Giuseppe II, a caserma d’artiglieria; le opere d’arte furono messe all’asta,a condizione che appena acquistate fossero immediatamente portate via. Il loroposto fu occupato da depositi di munizioni, e Ripellino, con precisione quasimaniacale, elenca tutto ciò che fu portato via, perché la memoria non svaniscaper sempre.

In Praga magica il presente ed il passato confluiscono sempre l’uno nell’al-tro, anzi, «l’incantesimo della Montagna Bianca», scrive Ripellino, «ha fermatola città vltavina nel tempo […]. Tutti i luoghi di Praga […] sono impregnati dipassato. Si erge dinanzi a voi da ogni parte»13.

La maledizione della Montagna Bianca appare come un revenant anche nellarepressione della Primavera di Praga del 1968, senza la quale, forse Pragamagica non sarebbe mai stato scritto.

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10 Ivi, p. 66.11 Ivi, p. 68.12 Ivi, p. 97.13 Ivi, p. 201.

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Ripellino crea continuamente ostinati legami tra passato e presente, l’unoimmagine e specchio dell’altro: «ancora oggi pesanti stivali calpestano Praga,ne strozzano l’inventiva, il respiro, l’intelligenza»14.

Con la stessa partecipazione indignata, ferita, offesa, traumatizzata, Ripelli-no denuncia i soprusi che in ogni tempo hanno determinato la condizione dellaCittà che Andrè Breton definì «Capitale d’Europa»: «ma io contro tutti iMydlàri (i boia) che hanno infuriato e che infuriano ancora su Praga, non mistancherò mai di gridare: in ignem aeternum, in ignem aeternum»15.

Nel luglio del 1968 Ripellino era infatti a Praga, testimone della repressionedella “Primavera” e del crollo del governo di Dubcek; anche dopo l’invasionedella città da parte dei carri del Patto di Varsavia, per mesi le sue commosse,furenti ed indignate cronache giornalistiche per “L’Espresso”, “La Stampa”,“L’avanti”, “Il giornale”, hanno continuato a difendere strenuamente l’origina-lità, l’autonomia e la dignità della cultura ceca.

Un libretto ormai introvabile, uscito nel 1988 per i caratteri della Scheiwil-ler, I fatti di Praga, raccoglie alcuni dei più significativi articoli e reportagedello scrittore siciliano di quel periodo. Il dramma di Praga divenne anche unodei motivi ricorrenti della produzione poetica di Ripellino, dalla raccolta Notiziedal diluvio, del 1969.

Da quella silloge il male di vivere, la sfiducia nella capacità salvifica dellapoesia e lo scetticismo verso il futuro uscirono da una dimensione privata perassumere proporzioni collettive: «come illudersi ancora nella poesia, quandoalcuni governi / mandano ancora in prigione per divergenza ideologica? /Quando esistono campi di pena e segrete e tortura / e l’uomo è schiacciato daisoccorrimenti fraterni, / dalle moine di una premurosa censura?»16. E ancora:«se un dittatore, un barsabucco, un facanappa / con la sua banda sbilenca direferendari e buffoni / calpesta la libertà, che ne sarà di K.?»17.

Praga magica inizia e vive nel nome di Franz Kafka e Jaroslav Hasek, gliscrittori che «meglio di altri espressero la sua condanna senza rimedio, e perciòil suo malessere, il suo malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, lasua ironia carceraria».

K. è reincarnazione novecentesca, insieme allo Sveik di Hasek, del mito delPellegrino, «eroe precipuo della dimensione magica di Praga»18.

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Ripellino a Praga: l’autoritratto del viandante

14 Ivi, p. 6.15 Ivi, p. 194.16 A.M. RIPELLINO, in Notizie dal Diluvio, in Poesie, 1952-1978, cit., p. 88.17 Ivi, p. 88.18 A.M. RIPELLINO, Praga magica, cit., p. 49.

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Il capostipite di questa figura è il viandante del romanzo allegorico Labirinto delmondo e paradiso del cuore, dello scrittore Jan Amos Komensky’, un’opera, ricordanon a caso Ripellino, scritta nel 1623, «dopo la disfatta della Montagna Bianca»19.

Nella rievocazione ripelliniana, a lui fa seguito il Pellegrino Zoppo, protago-nista dell’omonimo romanzo del 1936 di Josef Capek: a lui lo scrittore sicilianosi sente legato per la capacità di vivere nonostante l’infermità fisica, per l’osti-nata gioia di esistere, per il suo proclamarsi, quantunque sui margini, zoppo efuori dal gioco «senza dubbio felice»20.

Il Pellegrino è qualcuno che si aggira in un mondo labirintico, in cui si sovrap-pongono e confondono gli interni e gli esterni, al punto tale che il suo eterno vaga-re può apparire ossimorica immobilità; ha scoperto l’ipocrisia degli uomini e l’as-surdità della vita, e rifiuta di conformarvisi. Pertanto è colpevole, e condannato asoffrire; è consapevole della vanità di qualunque impresa umana, e allo stessotempo sa di non poter cambiare le sorti del mondo. Resta sui margini, quindi,lacerato da un profondo senso di estraneità e di alterità, alla ricerca di un rifugiointeriore: chi conosce le raccolte poetiche di Ripellino, coglierà le analogie conScardanelli e gli altri, spauriti, attoniti alter ego dell’autore, che sconvolti dallaviolenza dell’uomo e della natura, anelano alla fine ad affetti domestici, privati.

A differenza però del Pellegrino di Komensky, Scardanelli non può trovarepace e significato all’esistenza, neppure nel rapporto con Dio, perché quando lova a trovare scopre che anche Lui ormai è invecchiato, goffo, malato di diabete,stanco, anche Lui impotente a mutare le sorti dell’umanità. In altre occasioniDio è il crudele artefice, il responsabile ultimo della sofferenza umana: «Dioesige l’impossibile/ Dio ci obbliga a morire»21: con lui Scardanelli non ha deci-samente un buon rapporto, si sente troppo una creatura reietta, punita per colpe,lo sappiamo, sconosciute e non commesse.

Scardanelli avvicina il mito del Pellegrino ad un’altra creatura praghese, adun altro travestimento per il destino dello scrittore: il clown, il pagliaccio. Nellarivisitazione ripelliniana, il clown è l’incarnazione della sconfitta, dello scaccoinevitabile alla fine del proprio numero. La variazione estrema su questo tema èl’identificazione del clown con il Cristo, il salvatore sacrificato.

Da Baudelaire in poi, questo motivo è piuttosto ricorrente nella letteraturaeuropea del Novecento: Jean Starobinski ricorda ad esempio che per il poetafrancese Max Jacobb «la buffoneria fu contemporaneamente smorfia di umilia-zione e variante parodistica dell’imitazione di Cristo»22.

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19 Ivi, p. 49.20 Ivi, p. 55.21 Per le raffigurazioni di Dio come crudele persecutore si veda A. M. RIPELLINO, Notizie

dal diluvio, Torino, Einaudi, 1969, pp. 45; 53. Per la visita di Scardanelli in Paradiso si vedaNotizie dal diluvio, cit., p. 79.

22 J. STAROBINSKI, Ritratto dell’artista da saltimbanco, Torino, Bollati Boringhieri, 1998,p. 128.

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Nel cinema, poi, il connubio tra il Clown ed il salvatore sacrificato vive innumerose incarnazioni, dai fratelli Marx a Charlie Caplin, che tentano di resti-tuire ordine ad un mondo malato, subendo sempre le conseguenze del propriocoraggio ingenuo e confusionario.

A Praga, il clown, il fool scelto da Ripellino come emblema dell’essenzastessa del popolo ceco è il soldato Svejk, dello scrittore Jaroslav Hasek: fingen-dosi sciocco e attraverso una obbedienza parodistica e totale ai superiori, Svejksmaschera l’insensata follia della guerra dietro la retorica della propaganda, e neesce indenne.

Ad unire inoltre il romanzo che lo vede protagonista (Le vicissitudini delbravo soldato Svejk durante la prima guerra mondiale, 1921) a Praga magica,il carattere di feroce, sarcastico requiem, per il declino dell’impero austriaco.

Ripellino identifica la propria sorte e la condizione del poeta con quelle delpellegrino e del clown: nel Congedo alla Fortezza d’Alvernia, riconosce di con-cepire la vita come il grottesco calvario di un clown, e scrive: «il poeta saràsempre […] un “fool”, rifiutato dall’Indifferenza e sommerso da quell’EternoBuon Senso che oggi chiamano Civiltà dei Consumi, – un fuori sesto, un X adisagio, che si sente colpevole di tutto, senza aver colpa di nulla»23.

Il senso di colpa, basso continuo persistente, è un’altra caratteristica ricor-rente nelle figure dell’epopea praghese, un ulteriore punto di contatto tra i mitidella Città d’Oro, la storia privata dello scrittore siciliano e la sua concezionedel destino del poeta.

In Kafka ed Hasek il tema della colpa è legato ad un sistema giudiziario cheinchioda gli uomini con leggi, cavilli, procedure. Un tribunale disumano spingegli imputati ad inventare colpe mai commesse, fino a che essi stessi se ne con-vincano, e a confessarle per abbreviare l’agonia della tortura. L’impotenza del-l’uomo di fronte a questa morsa entra anche nelle liriche dello scrittore sicilia-no: «come illudersi nella poesia, quando alcuni governi / immergono gli inno-centi in vasche di sterco e di urina / e con cachinni da iena, con frigide smorfieda volpe / dànno agli oppressi giusquiamo e scopolamina, / perché inventino leproprie colpe?»24, ed ancora: «il pensiero, essi dicono, è un vizio che annebbia icervelli: e perciò liste di rèprobi, cìngoli, trappole, kàtorghe, carceri»25.

In Praga magica si avverte un’eco di questi versi: «(Città in cui) basta unbagliore di pensiero ribelle negli occhi, per essere scaraventati in sozze e spa-ventevoli carceri, in immonde catorbie, con pane ed acqua di tribolazione»26.

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Ripellino a Praga: l’autoritratto del viandante

23 A.M. RIPELLINO, Congedo a La Fortezza d’Alvernia, in Poesie, 1952-1978, cit., p. 59.24 ID., da Notizie dal diluvio, in Poesie, 1952-1978, cit., p. 88.25 Ibid.26 A.M. RIPELLINO, Praga Magica, cit., p. 234.

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È difficile ancor oggi individuare nel panorama italiano un’esperienza lette-raria affine a quella di Ripellino: Gesualdo Bufalino in un’intervista affermòesplicitamente di sentirsi vicino a lui, e sono affiorati talvolta i nomi di AldoPalazzeschi, di Lucio Piccolo, di Guido Ceronetti. Borges affermava che ogniscrittore inventa i propri predecessori e in Praga magica Ripellino dichiara lapropria vicinanza al poetismo, l’avanguardia boema degli anni Venti per cui«l’arte è una sola, cioè la poesia», «creazione sovrana»: come affermava il fon-datore Karel Teigé, «per poesia intendiamo naturalmente un’opera costruitaintenzionalmente con qualsiasi materiale e inoltre qualsiasi espressione armoni-ca dell’uomo»27.

I poetisti proclamavano la fusione delle forme estetiche; nella loro arte con-fluivano suggestioni provenenti dal cinema, dalla musica, dal teatro, dalla pittu-ra e Ripellino è erede consapevole di quella tradizione:

Mi piacerebbe però, nonostante io di nessuno possa dirmi “fratello” nell’arte, mi piace-rebbe riuscire a rendere, in certe pagine, il sassofono di Charlie Parker, le scardanellicheestraneazioni di Holderlin, la poesia saltimbanca di Chaplin, o dei Marx Brothers o di BusterKeaton, le affusolate candele di Beardsley, che possano illuminarsi con uno “scherzo” diMahler28.

Nelle liriche di Ripellino entrano l’universo di cartapesta dei poetisti praghe-si, il loro esotismo, i bisticci verbali, le giocolerie clownesche: sono l’altro voltodello spirito ceco, opposto e complementare alla lugubre tetraggine kafkiana,sono l’ironia disperata sull’orlo della rovina.

Come ha ricordato opportunamente anche Sergio Corduas, i poetisti teoriz-zavano un progetto complessivo, di rifondazione dell’arte e della società, inun’ottica di liberazione ed emancipazione dell’uomo.

Ripellino condivide con loro soprattutto la fiducia nel potere salvifico dellapoesia, ed il tentativo di liberarla da una dimensione esclusivamente estetica,per farla divenire vita, «per farla agire sull’esistenza degli uomini». «Fare poe-sia» per Ripellino, lo ricordava in una prosa del 1975, «vuol dire difendere lasempre insidiata libertà dell’uomo»29.

La dimensione civile dell’impegno letterario, lontana da qualunque omolo-gazione di partito, è costante nella sua produzione, ed egli sceglie per sé il ruolodi profeta inascoltato, condannato a morire per aver svelato gli scomodi orroridel mondo.

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27 K. TEIGÉ, Arte e ideologia, Torino, Einaudi, 1982, citato da S. Corduas, in Atti, cit., p. 58.28 A.M. RIPELLINO, nell’intervista Angelo Maria Ripellino e la magia della scrittura, a

cura di C. Bologna, in «La Fiera Letteraria», 15, V, 1975.29 A.M. RIPELLINO, Di me, delle mie sinfoniette, in Poesie, 1952-1978, cit., p. 251.

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«Muoia Geremia perché ha profetato», scrive in Notizie dal Diluvio, «ma ècerto: / sparita la stirpe degli Aridi, un giorno / parecchi avranno sete di biancafantasia. / Per loro io lavoro, per di qui a cento anni»30.

Con i poetisti Ripellino condivise il tema della primavera come garanzia,illusione, che Praga sarebbe durata nel tempo, nonostante gli stermini, le repres-sioni, le esecuzioni capitali.Ma il trionfo del clown è effimero, è soltanto un elu-dere il Nulla.

Nelle ultime raccolte di Ripellino cresce la sfiducia nella funzione taumatur-gica dei versi, e l’esercizio della scrittura diviene un fragile amuleto personalecui affidarsi per sopravvivere.

Anche in Praga magica, si avverte una rovina incombente, una prossimainvasione di salamandre, o magari di robot, moderni golem senz’anima: lo scrit-tore siciliano tenta di stipare tutto nel suo eruditissimo armadio letterario, diconsegnare all’eternità ogni luogo, ogni leggenda, di sottrarre all’oblio ogni bet-tola, ogni vicolo, con l’ansia di non riuscire a finire di chi, come Tulàk, ilVagabondo di Capek, sente di avere ancora tanto da dire.

La malinconia inestirpabile da cui è intossicata Praga, che Guido Ceronetticandidò ad essere «la capitale dell’infelicità», si acuisce nelle ultime pagine,quando cresce il rimpianto dell’autore che deve congedarsi dalla sua città edalla sua re-invenzione letteraria. Praga diviene città-sarcofago, che racchiudefigure e splendori che sfilano sulla scena forse per l’ultima volta, prima che suloro cali definitivamente il sipario.

Non è un caso che il capolavoro di Ripellino si concluda ricordando l’ultimaserata del teatro Za Branou (Alla porta), prima che fosse chiuso per sempredalla censura sovietica. L’Arrivederci – addio, con cui il pubblico salutò la con-clusione del Gabbiano di Anton Cecov, è lo stesso con cui Ripellino si congeda,consapevole di non potervi più tornare, dalla città in cui sperava di poter tra-scorrere il suo Lebensabend, la sua vecchiaia.

Praga magica è quindi alter-ego e autoritratto dell’autore. Egli vi si ricono-sce e si identifica nelle radici in diverse culture, nella condanna scritta nella sto-ria, nel pessimismo e nel senso di colpa dei pellegrini, nella libertà di pensierocalpestata da chi detiene il potere, nella percezione di una esistenza minacciatada altri, nella disperata allegria dei pagliacci e dei poetisti, nel tenere a bada larovina incombente con i travestimenti e gli splendori del barocco.

Ripellino fu per l’ultima volta a Praga nell’aprile del 1969, per una serata alCaffè Viola, organizzata in suo onore e dedicata alla poesia.

Sperava di farvi ritorno; non è stato così, almeno in questa transitoria espe-rienza terrena. Praga oggi è una delle più belle città d’Europa, ed una delle mete

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Ripellino a Praga: l’autoritratto del viandante

30 ID., in Notizie dal diluvio, in Poesie, 1952-1978, cit., p. 73.

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turistiche più ambite; in questi giorni ha vissuto le elezioni che hanno visto lavittoria del centrosinistra, e sotto la guida del Presidente Vaclav Havel si avviaprobabilmente a confluire nell’Unione Europea. Forse ha perso parte della suanebbia notturna, della sua malsanìa intossicante. Credo però che Ripellino,come l’immortale conte di Saint Germain delle storie dell’alchimia, continui adesservi presente, con la sua opera insostituibile di difesa e diffusione della cultu-ra ceca, altrimenti destinata a rimanere sconosciuta per molto tempo, almeno inItalia.

Rimangono il suo patto eterno con la letteratura, il suo rifiuto di ogni asser-vimento ed omologazione ideologica e culturale, il suo testamento esistenzialedi coerenza e di profonda umanità: «bisogna compiersi fino in fondo, essere,prima che vengano a prenderti»31.

Il convegno del premio Grinzane Cavour tenutosi il 12 ed il 13 novembre del1998 a Praga è stato un riconoscimento del suo ruolo fondamentale di mediatorepartecipe di culture. Ripellino era ben consapevole di questa sua funzione: nel-l’introduzione al saggio del 1968 Letteratura come itinerario nel meraviglioso,scriveva: «sin dall’inizio delle mie interpretazioni mi proposi di considerare lecose russe e slave dal contesto della nostra cultura, e coi termini del nostro lin-guaggio critico»32.

Italo Calvino ricordava come l’ingegno italiano si sia spesso realizzato acontatto con altre lingue ed altre culture: anche a chi scrive piace credere che ilre di Sicilia e il re di Boemia del Racconto d’inverno di Shakespeare, evocatisulla soglia di Praga magica, si siano alla fine uniti nella reincarnazione nove-centesca di Angelo Maria Ripellino.

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Valerio Meucci

31 ID., Praga magica, cit., p. 68.32 ID., Letteratura come itinerario nel meraviglioso, Torino, Einaudi, 1968, p. 6.