Metereologia Per i Piloti Di Volo a Vela_BN Plinio Rovesti

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Metereologia Per i Piloti Di Volo a Vela

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PLINIO ROVESTI

METEOROLOGIA PER I PILOTI DI VOLO A VELA

Quinta edizione·

riveduta ed ampliata

EDIZIONI DELL'AERO CLUB D'ITALIA

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Dedico queste pagine alla memoria di WALTER GEORGII di Meteorologia Maestro insigne che da le solitudini solenni dei monti e dei piani argentini m'insegnò a scrutare il cielo cercando per l'ala silenziosa nuove e più sicure vie verso l'infinito.

P.R.

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PREFAZIONE ALLA 5a EDIZIONE

Con questa 5° edizione dell'opera di Plinio Rovesti l'Aero Club d'Italia offre ai volovelisti italiani la possibilità di aggior­nare le proprie conoscenze tecnico sportive nel campo della meteorologia applicata al volo a vela, sia tenendo conto delle più moderne acquisizioni della scienza meteorologica in gene­rale, sia in base alle recenti norme internazionali di previsione stabilite dall'Organizzazione Scientifica e Tecnica del Volo a Vela (OSTIV), unitamente all'Organizzazione Meteorologica Mondiale (0.M.M.).

Oltre all'adozione dei nuovi simboli internazionali, Rovesti ha aggiunto alla sùa pregevole opera due nuovi capitoli: uno dedicato all'illustrazione ed al pratico impiego del nomogram­ma di Herlofson (il nuovo diagramma termodinamico adottato dal Servizio Meteorologico dell'Aeronautica per lo studio dello stato termodinamico dell'atmosfera); ed un altro dedicato ai nuovi metodi di calcolo elettronico di previsione meteorologica.

L'intera opera è stata inoltre riveduta ed ampliata, in rela­zione alle esperienze condotte dall'autore nelle regioni appen­niniche dell'Italia centrale durante questi ultimi anni di intensa attività, in collaborazione con i volovelisti italiani e stranieri che hanno partecipato a Rieti ai Campionati Italiani di Volo a Vela.

Questa quinta edizione di un'opera più che ventennale, può dirsi ora aggiornatissima e completa. Con la sua pubblicazione l'autore contribuisce validamente non solo alla formazione dei piloti di volo a vela, ma anche a quella degli sportivi dell'aria in genere, i quali, volando su apparecchi di modesta potenza, sono parimenti interessati alla conoscenza approfondita di quei fe­nomeni micrometeorologici che talora favoriscono e talora ostacolano la navigazione aerea.

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L'Aero Club d'Italia, nel pubblicare questa 5a edizione dell'opera di Rovesti, è pertanto conscio e compiaciuto di con­tribuire ad una sempre migliore formazione dei piloti sportivi ed alla soluzione di molti problemi riguardanti la sicurezza del volo.

Roma, aprile 1982

Guido Baracca Presidente dell'Aero Club d'Italia

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CAPITOLO PRIMO

LA METEOROLOGIA ED IL VOLO A VELA

Un pilota di volo veleggiato, che non sia provveduto di larghe ed organiche conoscenze meteorologiche, non è concepibile. Credo al contrario, che tale pilota debba avere la massima familiarità con quei fenomeni e con quelle leggi che gli rivelano quale influenza hanno le condizioni di equilibrio dell'atmosfera, il terreno, la vegetazione, l'umidità, la temperatura, la pressione e il vento nell'origine delle correnti aeree. Egli deve sapere dove e come lo attenderanno aree di turbolenza e cilindri d'aria ascendente o discendente e qualunque al­tro di quegli invisibili eppur importanti fenomeni, di cui palpita in ogni momento l'atmosfera e che costituiscono la sua vita profonda.

Disse molto bene chi definì il pilota di volo a vela come un pilota "da cattivo tempo": proprio il contrar:io di molti turisti aerei, che so­no soltanto piloti del tempo buono, dell'aria limpida, del cielo sereno e del vento morto. Un pilota di volo a vela degno del proprio nome deve saper identificare, con un solo sguardo alle carte meteorologi­che del tempo ed ai diagrammi termodinamici, le masse d'aria stabile ed instabile, nonché l'andamento dei venti in superficie ed in quota, che tanta importanza hanno per il suo volo. Diremo di più: un pilota di volo a vela, ben addestrato al suo mestiere, deve possedere una tale conoscenza dell'atmosfera e dei suoi fenomeni, che gli consenta di muoversi nell'aria a suo bell'agio, in ogni momento, non già abban­donato al caso, ma con la chiara visione della strada da percorrere, degli ostacoli da superare, delle risorse da sfruttare, delle mete da raggiungere. I migliori voli veleggiati, vogliam dire quei voli che di tanto in tanto per il loro straordinario andamento suscitano la sba­lordita meraviglia del pubblico profano, non sono frutto di casi for­tuiti, come qualcuno può essere tentato a credere, ma frutto di con­sumata esperienza tecnica, congiunta ad una profonda conoscenza del cielo, in virtù della quale il pilota sa scoprire ed usare a proprio vantaggio le inesauribili sorgenti di energia che l'atmosfera ha nel suo seno e che il profano neppure sospetta.

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Chi, dun_q~e, come noi, ritiene che il volo a vela sia una cosa seria -seria per i ti~P che si propone, seria per il contributo che reca alla so­luzione d'importanti problemi pratici e scientifici, seria per l'adde­stramento fisico e spirituale che esige - deve auspicare che in tutti co­loro che vi si dedicano non manchi una egualmente seria preparazio­ne tecnica e scientifica, sì che si esca dall'empirismo dilettantesco, sempre infecondo e spesso dannoso, e l'attività voleveliera esplicata con criteri e metodi razionali, raggiunga i suoi alti obiettivi. Ora, proprio perché si riconosce oggi da ogni parte la verità di queste con­siderazioni preliminari, in ogni paese civile, dove il volo sia ricono­sciuto come potente fattore di progresso umano e come tale sia prati­cato ed organizzato, si esige che accanto alla preparazione puramente tecnica del pilotaggio si aggiunga lo studio, sempre più approfondi­to, dei fenomeni atmosferici e, in particolare, di quelli che hanno col volo più stretti rapporti.

Tale studio è compiuto dalla "meteorologia", ossia da quella; tra le scienze fisiche naturali, che ha per oggetto l'analisi delle proprietà dell'atmosfera e l'indagine sulla natura e sulle leggi dei fenomeni che si svolgono nel suo seno. Scienza molto giovane, questa, poiché se è vero che le sue prime conquiste si ebbero quando cominciò a trovare applicazione nella ricerca scientifica il metodo sperimentale e si fog­giarono i primi strumenti misuratori di fenomeni atmosferici (il baro­metro torricelliano è del 1643) è arn:he vero che, nella sua forma ra­zionale, essa non risale oltre il secolo scorso: anzi, solo nella seconda metà di esso la meteorologia cominciò ad essere organizzata su basi tali da consentire osservazioni sistematiche, capaci di condurre a ri­sultati pratici.

Oggi mettendo quotidianamente in relazione radiotelegrafica mi­gliaia di stazioni meteorologiche disseminate per tutto il mondo e raccogliendone e coordinandone le osservazioni, è possibile redigere quei bollettini che contengono i presagi del tempo: presagi che, seb­bene riferibili a brevi periodi, tuttavia rendono segnalati servigi alla navigazione marittima ed aerea.

Vi sorto poi, due branche della meteorologia, che hanno una spe­cialissima importanza in ordine al volo a vela, e sono la microclima­tologia e l'aerologia.

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I meteorologi sogliono guardare i fenomeni atmosferici sotto un punto di vista generale, quale esso si presenta a partire da una certa distanza dal suolo (suppergìù da un metro e mezzo). Così quando parlano di temperatura dell'aria intendono rappresentare lo stato ter­mico dell'atmosfera in libera circolazione a distanza dal suolo, non quello degli strati aerei aderenti al terreno. I volovelisti considerano invece con il massimo interesse questi strati a contatto col suolo, per­ché proprio dalle condizioni di essi traggono origine le torrenti termi­che che interessano il volo a vela. Perciò i dati della meteorologia nei problemi volovelistici non sono sufficienti: occorre in questi, la co­noscenza delle condizioni fisiche dell'aria nei pressi del suolo, tenen­do conto delle infinite forme di influenza esercitate dalla costituzione geologicà dello strato superficiale, dalla forma del terreno, dalla co­pertura vegetale, dalla densità e dall'altezza delle piante, dall'orien­tamento del pendìo rispetto ai raggi solari e così via.

Dallo studio degli strati aerei aderenti al suolo si ricavano i dati che definiscono il "microclima" di un certo luogo, e tale studio è com­piuto dalla "microclimatologia", ossia da quella branca della meteo­rologia che ha per oggetto specifico l'analisi dell'ambiente aereo prossimo al suolo, circoscritto a zone ristrette del suolo. Tali dati vengono poi inquadrati nel vasto schema del clima atmosferico, allo scopo di precisare le relazioni esistenti tra le condizioni presso il suo­~o e quelle della libera atmosfera. I fenomeni che si producono in questa, cioè i fenomeni che avvengono negli strati d'aria che non so­no a contatto immediato col suolo, sono studiati dall'aerologia, l'al­tra branca della meteorologia che ha una specialissima importanza in ordine al volo a vela. Nella libera atmosfera i fenomeni assumono spesso aspetti molto diversi da quelli che sogliono avere nelle regioni più basse, così che è frequente il caso di leggi che, ritenute un tempo sempre valide, debbano poi essere modificate in relazione alla distan­za dalla superficie terrestre a cui i fenomeni avvengono. In via gene­rale, si può dire che negli strati prossimi al suolo si ha una grandissi­ma varietà nello svolgimento dei fenomeni atmosferici, così che rie­sce assai arduo fissare leggi e formulare previsioni: negli strati elevati si ha invece una maggiore uniformità di comportamento, che permet­te più attendibili deduzioni e più sicuri presagi.

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Non ostante i progressi innegabilmente grandi della meteorologia, della microclimatologia, e dell'aerologia, bisogna riconoscere che l'atmosfera è un regno ancora misterioso. Comunque sia, poiché i fi­ni di questa elementare esposizione sono eminentemente di carattere pratico ed a noi interessa soprattutto la conoscenza di quella zona dell'atmosfera che costituisce l'oggetto proprio dell'aerologia, ad es­sa dedicheremo soprattutto la nostra attenzione.

Tale zona~ caratterizzata dal fatto che l'atmosfera vi conserva, sia pure con densità descrecente, la medesima composizione, essendo presenti i suoi elementi essenziali in proporzione quasi costante, l'os­sigeno e l'azoto. Orbene, in questa zona i primi dieci o dodici Km co­stituiscono la "troposfera" o sfera dei movimenti la quale è caratte­rizzata: 1) da una continua agitazione della massa d'aria dovuta al variare della temperatura ed al gioco molteplice dei venti; 2) dalla presenza di vapore acqueo, che sale incessantemente a formare le nu­bi, fino a quei tenui, leggerissimi candidi cirri, che segnano della tro­posfera l'ultimo confine; 3) dal continuo decrescere della temperatu­ra col progredire della quota.

Per completare queste prime nozioni sull'argomento che ci interes­sa aggiungeremo che dalla superficie terrestre fino a 8-17 Km (8 sui poli, 17 sull'equatore, 11-12 sulle regioni temperate) si estende latro­posfera, il cui limite superiore è detto stratopausa; da 50-60 Km a 80-85 Km si ha la mesosfera, limitata superiormente dalla mesopausa; da 80-85 a 700-800 Km si ha la termosfera, il cui limite superiore è la termopausa, in fine al disopra di 800 Km, si estende l'esosfera.

Mentre, come abbiamo detto, nella troposfera l'andamento medio della temperatura con l'altezza è caratterizzato da una diminuzione più o meno regolare della prima col crescere della seconda, nella stra:­tosfera la temperatura resta pressoché immutata (su un valore medio intorno a -60°C per le latitudini temperate) fino all'altezza di circa 20 Km, indi aumenta per portarsi ad un massimo di quasi 0°C intorno a 50 Km (in corrispondenza della stratopausa); successivamente dimi­nuisce fino ad un minimo di circa -90°C intorno a 80-85 Km (in corri­spondenza della mesopausa), per poi aumentare nuovamente e deci­samente.

Non è però degli strati atmosferici sovrastanti la troposfera che in-

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tendiamo occuparci in questa nostra trattazione, anche se i risultati recentemente conseguiti nel campo cosiddetto del "volo a vela d'on­da" hanno aperto ai volovelisti lo sconfinato e seducente regno degli spazi stratosferici. Il volo a vela trova il suo naturale e più esteso campo d'azione nella troposfera, nella zona cioè in cui si generano quelle correnti termiche e dinamiche che incessantemente rimescola­no le masse d'aria e che costituiscono per esso l'elemento insostituibi­le. E anche l'aerologia, la scienza che ci interessa cosi da vicino, limi­ta la sua indagine alla troposfera, dei cui fenomeni cerca di rendersi sempre più consapevole, allo scopo di giungere a dominarli. Poiché, anche qui, come in tant'altre cose, sapere è potere.

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CAPITOLO SECONDO

LA PRESSIONE ATMOSFERICA

Non si può conoscere bene un fenomeno atmosferico né tanto me­no prevederlo, se non si conoscono i fattori naturali che lo determi­nano o che hanno, in qualche misura influenza su di esso. È quindi necessario far precedere allo studio particolare dei fenomeni atmo­sferici interessanti il volo a vela l'esame di quegli elementi o fattori meterologici che, ora soli e ora insieme, sono cagione del prodursi e del modificarsi di quelli.

Tra tali fattori sta, in primo luogo, la· "pressione" e su questa per­tanto convergerà dapprima il nostro esame.

Prima questione: che cosa è la pressione atmosferica? L'atmosfera - parola che nel suo significato originario vuol dire

"sfera d'aria" - è un immenso involucro gassoso che circonda la ter­ra e la segue nel suo infaticato andare attraverso gli spazi siderali. Ora poiché, i gas per loro natura tendono ad espandersi in tutto l'am­biente che trovano libero, si sarebbe tentati a pensare che, obbeden­do a questa naturale tendenza, l'aria dovesse fuggire dalla terra per espandersi attraverso gli immensi spazi interplanetari.

Perché non avviene questo? Perché l'aria sebbene invisibile ed impalpabile, è pur sempre un cor­

po e, in quanto tale, è soggetta pur essa alla forza di gravità che la tie­ne avvinta al nostro pianeta e la obbliga, se pur riluttante, a seguirne il cammino intorno al sole. Per effetto di tale forza cosmica, a cui nulla può sottrarsi, anche l'aria ha un peso, che Galileo per primo in­tuì e dimostrò, e che oggi sappiamo anche agevolmente misurare. Già dal 1860 il fisico francese Régnault trovò che il peso di un litro d'aria pura e secca alla temperatura di 0°C e alla pressione di 760 mm., è di 1,29276 grammi.

Se l'aria ha un peso, è ovvio che lo faccia sentire sulla terra e su tutte le cose che sono su di essa: in altri termini, esercita una pressio­ne. La quale, evidentemente, è più forte negli strati prossimi al suolo,

Il

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sottoposti come sono al peso di tutta la massa atmosferica, mentre è più lieve negli strati superiori, sui quali incombe una massa d'aria mi­nore. Tale pressione dell'aria, o pressione atmosferica, si fa sentire su tutti i corpi come una forza diretta perpendicolarmente alle super­fici dei corpi stessi e, secondo il noto principio di Pascal, con intensi­tà uguale in tutte le direzioni.

Seconda questione: Quale è il valore della pressione atmosferica? Fu Evangelista Torricelli (1608-1647), grande fisico e matematico

faentino, discepolo e successore di Galilei nell'insegnamento, il pri­mo che ne dimostrò il valore mediante quell'esperienza a tutti nota, da cui doveva nascere poi il barometro a mercurio, ossia il più perfet­to strumento che si conosca per misurare la pressione dell'aria.

Con questa esperienza (che il Torricelli ideò e che il suo discepolo Vincenzo Viviani più tardi eseguì) fu dimostrato che al livello del ma­re la pressione atmosferica equivale alla pressione esercitata da una colonna di mercurio alta 760 millimetri. Si convenne così di indicare come "pressione normale" quella di una colonna di mercurio dell'al­tezza di mm. 760, alla temperatura di 0°C, con l'accelerazione della gravità che si ha al livello del mare e alla latitudine di 45°. Tuttavia, siccome non è appropriato esprimere con una misura di lunghezza la pressione, la quale è il rapporto tra una forza e una superficie, così, dopo l'anno 1914, si ricorse ad altra unità di misura, espressa con unità assolute del sistema C.G.S., il "millibar" (mb). Sappiamo dal­la fisica che l'unità di forza è la "dina", quella forza cioè che, ope­rando sulla massa di un grammo, le imprime l'accelerazione di un centimetro al secondo per secondo. Sappiamo anche che, la densità del mercurio è 13,595 e che, pertanto la massa della colonna mercu­riale è pari a 76 x 13,595 =grammi 1.033,22. Il valore normale della accelerazione della gravità - espresso in unità del sistema C.G.S. - è 980,665. Se moltiplichiamo questo valore per la massa otteniamo la pressione normale, espressa in unità C.G.S. e cioè:

dine/cm2 980,665 x I .033,22 =dine/cmi 1.013,250

Orbene poiché la dina per centimetro quadrato è una unità molto piccola, Bjerknes introdusse il millibar, che è mille volte più grande

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di quella. Segue che la pressione normale può dirsi uguale a 1013 mb. Quando si abbia la pressione espressa in mm di mercurio e la si voglia esprimere in millibar, basta moltiplicarla per 4/3; quando invece si abbia il valore della pressione espresso in millibar e lo si voglia espri­mere in millimetri, basta moltiplicarlo per il rapporto inverso, cioè per 3/4.

Terza questione: come si possono seguire le variazioni della pres­sione?

Come abbiamo già ricordato, partendo dalla classica esperienza del Torricelli si giunse alla creazione di uno strumento a cui si diede il nome di "barometro"; il quale permette di misurare in qualsiasi luo­go e tempo, la pressione atmosferica, con le variazioni della quale so­no connessi i più importanti fenomeni metereologici. Anche oggi, tutti i barometri a mercurio in uso si ricollegano sostanzialmente all'apparecchio usato per realizzare quella famosa esperienza. Sono costituiti essenzialmente: nella parte inferiore, da una vaschetta in cui si trova libera una certa quantità di mercurio; nella parte superio­re, da un tubo di vetro di conveniente lunghezza e di diametro non troppo piccolo, affinché non riesca sensibile la depressione capillare; in fine da una scala graduata, posta a lato della colonna barometrica, sulla quale si può leggere direttamente l'altezza raggiunta dal mercu­rio (Fig. 1).

Bisogna tener presente che la temperatura ha una infleunza non trascurabile nel determinare le indicazioni del barometro, sia provo­cando una variazione di densità nel mercurio, sia causando l'allunga­mento o l'accorciamento della scala metrica annessa allo strumento. Per tale fatto è necessario apportare alle indicazioni del barometro altre rettifiche, che si possono desumere da apposite tabelle tenendo conto della temperatura indicata dal termometro. Nella pratica, allo scopo di rendere paragonabili i valori della pressione presi in luoghi diversi e in condizioni pure diverse di temperatura, si conviene di ri­durre il valore letto sulla scala barometrica a quello che si avrebbe, se la temperatura fosse di 0°C. Anche per queste rettifiche soccorrono tabelle già calcolate, le quali forniscono i valori da aggiungere o da togliere, secondo che la temperatura è sotto oppure sopra zero. Si

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vuoto

Fig. I

conviene di ridurre i valori forniti dal barometro anche per quanto ri­guarda la latitudine, dato che la forza della gravità terrestre varia in rapporto con essa. Per ciò la stessa altezza della colonna barometrica può indicare delle pressioni tra loro notevolmente diverse. Quindi al­lo scopo di rendere paragonabili tra loro i valori di pressione desunti a latitudini assai diverse, si conviene di ridurre tutti i valori forniti dal barometro alla gravità normale, considerando come peso specifico

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normale del mercurio, quel peso che l'unità di volume assume al li­vello del mare e a 45° di latitudine. Anche in questo caso, apposite tabelle forniscono i valori di correzione per ogni grado di latitudine.

Quando si procede a queste indispensabili riduzioni e correzioni, i dati del barometro a mercurio ricavati per diverse località sono bene paragonabili fra loro. È facile capire, però, come i valori della pres­sione atmosferica misurati contemporaneamente in diversi punti del­la Terra ad ore convenute, debbano venire ridotti anche ad un livello comune, cioè al livello del mare, per far sì che le pressioni registrate in luoghi diversi possano essere confrontate tra loro nelle carte del tempo, ed abbia senso parlare di alte o basse pressioni.

I barometri a mercurio sono sempre piuttosto ingombranti ed allo­ra per misurare la pressione nei casi in cui non sia necessaria una as­soluta precisione, o quando non sia possibile fare altrimenti, si ricor­re ai barometri metallici.

È tale il barometro olosterico, costituito essenzialmente da una o più capsule metalliche assai schiacciate, completamente chiuse e vuo­te d'aria. La pressione atmosferica tende a schiacciare le capsule co­stituite da una lamina sottile e perciò facilmente deformabile, mentre una molla interna oppone allo schiacciamento una conveniente resi­stenza. Un giuoco di leve trasmette i movimenti della lamina ad un indice mobile, davanti al quale è fisso un quadrante graduato prece­dentemente su un barometro a mercurio: si può così avere con molta approssimazione il valore della pressione atmosferica.

Quando interessa rilevare l'andamento della pressione in un dato periodo di tempo, si ricorre al barometro registratore, detto anche "barografo" (Fig. 2).

Per le necessità del pilota è stato creato "l'altimetro", il quale non è altro che un barometro metallico dove, accanto all'indicazione in millibar della pressione, si può leggere anche quella dell'altezza corri­spondente in un'atmosfera convenzionale.

Gli altimetri moderni sono calibrati in base alle condizioni della cosiddetta "atmosfera standard" od "atmosfera tipo", fissate nell'agosto del 1950 dalla O.A.C.I. (Organizzazione Aeronautica Ci­vile Internazionale).

Nell'atmosfera tipo l'aria viene considerata come un gas perfetto e

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Fig. 2

secco avente la stessa composizione a tutte le quote, trascurando le variazioni di peso d~vute alle variazioni dell'accelerazione di gravità con l'.altezza e la latitudine. La tropopausa viene collocata all'altezza di 11.000 metri, con una pressione pari a 226,3 mb. La temperatura al livello -del mare risulta pari a 15°C e la pressione a 1013,25 mb.

La temperatura diminuisce con l'altezza in ragione di gradi 0,65 per 100 metri.

L'altimetro può essere talora munito, come il barometro registra­tore, di una puntina scrivente su apposito tamburo girevole: si ha al­lora il "barografo altimetrico", il quale traccia il diagramma da cui si può dedurre tutto l'andamento del volo, sia per quanto riguarda la pressione e la quota raggiunta, sia per quanto concerne i tempi impie­gati nelle varie fasi del percorso.

Spesso - quando occorra esplorare l'atmosfera - al barografo alti­metrico si associano altri strumenti, di cui diremo più innanzi, quali il termografo e l'igrografo, per la misurazione della temperatura e dell'umidità atmosferica: un tale complesso di strumenti prende il nome di "meteorografo" ed ha una grandissima importanza per i sondaggi dell'atmosfera che si effettuano per i bisogni del volo a vela.

Non essendo le condizioni dell'atmosfera identiche a quelle teori­che che il costruttore dello strumento altimetrico ha tenuto presenti per la sua graduazione, è necessario apportare alle indicazioni dell'al-

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timetro delle rettifiche le quali vengono desunte da apposite tabelle, a seconda del genere dello strumento e della temperatura di calibrazione.

Le differenze di pressione, di temperatura e di altezza sono tra loro in una stretta relazione che è regolata dai principi della statica dei gas. Quando la temperatura aumenta o diminuisce, l'aria si espande o si contrae. È facile capire, pertanto, che quando un aereo vola in una atmosfera più calda di quella dell'aria tipo, l'altimetro di bordo indica una quota più bassa della reale; mentre al contrario, quando vola in una atmosfera più fredda di quella dell'aria tipo (temperatura di calibrazione), le altezze indicate dall'altimetro sono maggiori di quelle reali.

Gli altimetri moderni sono forniti di un quadrante con due gradua­zioni; una, quella barometrica, è fissa; l'altra - quella altimetrica - è girevole. Prima di partire, il pilota gira la scala mobile in modo che l'indice barometrico venga a coincidere con la quota conosciuta del punto di partenza. Quando si vola da una regione di bassa pressione ad un'altra di pressione maggiore, le letture dell'altimetro, arrivando a destinazione, saranno inferiori a quelle reali; e, al contrario, volan­do da una regione di alta pressione ad un'altra di pressione minore, le altezze indicate dall'altimetro saranno superiori.

Per regolare gli altimetri ci sono quattro procedure, per le quali ci si vale dei seguenti dati:

I) "QFE". Il QFE è la pressione atmosferica corrispondente al li­vello ufficiale dell'aeroporto. Pertanto, un altimetro regolato sul QFE indica le altezze rispetto al livello dell'aeroporto, ossia zero quando si trova al suolo.

Il QFE viene computato con un barometro a mercurio oppure con un barometro aneroide. Quando si dispone di un altimetro sensibile i valori del QFE possono anche essere dedotti disponendo le lancette delle altezze sul valore zero, leggendo poi il valore della pressione nel­la finestrella della scala ausiliaria.

2) "QFF". Il QFF è la pressione atmosferica al livello del mare, calcolata mediante speciali tabelle, partendo dalla pressione osserva­ta sull'aeroporto, cioè dal QFE.

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Un altimetro regolato sul QFF indica le altezze al di sopra del livel­lo del mare, ossia le altitudini.

3) "QNH". Il QNH è la pressione atmosferica al livello del mare, calcolata mediante la relazione pressione-altezza dell'atmosfera tipo, partendo dalla pressione osservata sull'aeroporto, cioè dal QFE.

Praticamente, per aeroporti poco elevati, QFF e QNH danno risul­tati identici. Infatti, entrambi indicano pressioni ridotte al livello del mare. La differenza sta nel fatto che per il QFF la riduzione avviene in base ad un calcolo che tien conto delle condizioni termiche del mo­mento; mentre per il QNH la riduzione vien fatta in base all'aria "ti­po".

Volando in zone montagnose è opportuno regolare il proprio alti­metro in base al QNH emesso dalle stazioni meteo di vetta onde evi­tare errori di quota; poiché è facile capire che, adottando la procedu­ra QFF, l'errore di quota potrebbe essere notevole.

4) "QNE". Il QNE non è una pressione, bensì un livello, cioè il li­vello barico dell'aeroporto. Infatti il QNE è l'altezza che intercorre, in atmosfera tipo, tra la pressione atmosferica dell'aeroporto e quella standard di 1.013,25 mb.

Osservata in un aeroporto la pressione atmosferica, cioè il QFE, la semplice consultazione delle tabelle dell'atmosfera tipo fornirà l'al­tezza corrispondente, ossia il QNE dell'aeroporto. Questo valore di­penderà dalla pressione regnante sull'aeroporto; quindi non fornirà in generale la quota dell'aeroporto.

Benchè la regolazione dell'altimetro di bordo sul QFE sia la più semplice e, perciò, la più usata nell'atterraggio tuttavia quella sul QNE è da preferirsi per atterraggi su campi molto elevati.

Quarta questione: come è distribuita la pressione nel tempo e nello spazio?

Osservando l'andamento della pressione durante il giorno, quando le condizioni del tempo sono buone, si nota che essa è diversamente distribuita nelle ventiquattro ore, toccando due massimi circa le 10 h e le 22 h, e due minimi circa le 4 h e le 16 h. L'andamento diurno del-

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la pressione è grandemente influenzato da diversi fattori, quali sono la temperatura, l'umidità atmosferica, la posizione geografica, lana­tura del terreno e così via.

Per quanto riguarda la distribuzione della pressione sulla faccia della terra, occorre avvertire prima di tutto che nelle carte meteorolo­giche si usa congiungere con linee dette "isobare", i luoghi di una da­ta regione o anche di tutta la terra, che hanno in un determinato mo­mento pressione uguale, essendo tutti i valori osservati come già si disse riferiti alla temperatura di 0°C, alla latitudine di 45° e al livello del mare.

Una superficie dello spazio, in ogni punto della quale regni la stes­sa pressione, costituisce una superficie "isobarica". Le variazioni in altezza della superficie isobarica vengono rappresentate mediante "isoipse", così come nelle carte topografiche i rilievi montani vengo­no rappresentati mediante curve di livello. Nei bollettini, le situazioni meteorologiche in quota vengono normalmente riprodotte nelle "to­pografie assolute" di 700 e 500 millibar. Le altezze delle isoipse sono indicate in decine di metri.

Le linee isobariche al livello del mare ed in quota, non hanno un andamento regolare ma assai vario, testimoniando così l'ineguale di­stribuzione della pressione sulla terra ed in quota. Tuttavia questa varietà non è affatto capricciosa, cioè tale da escludere qualsiasi schema facilmente riconoscibile, sibbene è tale da riprodurre con una relativa regolarità dei tipi che la meteorologia classifica e di cui pre­vede la formazione e lo sviluppo.

I meteorologi, in base ad osservazio.ni sistematiche, hanno potuto stabilire come normalmente si distribuisce la pressione sulla faccia del globo, a seconda delle varie zone geografiche e delle varie stagio­ni. Apposite cartine mostrano chiaramente a seconda delle varie epo­che dell'anno, dove si determinano le zone di pressione massima e minima e come si passi gradatamente dall'una all'altra attraverso zo­ne intermedie.

Orbene, chi prenda un po' di familiarità con quelle cartine non tar­da ad accorgersi che le isobare tendono a disporsi con una certa rego­larità in determinate maniere: tendono cioè a riprodurre alcune figu­re che nel linguaggio della meteorologia, prendono il nome di "tipi isobarici". Noi ne facciamo qui, ora, appena un cenno

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5 Fig. 3

fugace, ma ci riserviamo di toccarne più di proposito altrove quando verremo a parlare della previsione del tempo.

I tipi isobarici più comuni sono i seguenti: Il "ciclone", zona di bassa pressione circondata da zone di pres­

sione alta: le sue isobare assumono la forma di ellissi (Fig. 3) - (1) con l'asse maggiore avente, nelle.nostre regioni, direzione NE; presenta linee chiuse, quasi concentriche.

L'"anticiclone", zona di alta pressione circondata da zone di pres­sione bassa. Anche le sue isobare assumono la forma di ellissi, meno regolari però di quelle del ciclone (Fig. 3) - (2).

La "saccatura", zona di bassa pressione, derivata da un ciclone espanso, che si frappone fra due aree anticicloniche e penetra in una regione di alta pressione. In essa le isobare assumono forma di una V o di una U. Le saccature a V, come vedremo, sono associate ai fronti (Fig. 3) - (3).

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Il "cuneo" o "promontorio", zona di alta pressione derivata da un anticiclone espanso, che si incunea tra due depressioni. Nella sua figura le linee isobariche si dispongono a forma di U, come nella sac­catura (Fig. 3) - (4).

Il "pendio", fascia di transizione tra una zona di alta pressione ed un'altra di pressione bassa. Nella Fig. 3 (5), le isobare che segnano il digradare dall'una all'altra zona assumono un andamento parallelo quasi regolare.

L"'istmo" e la "sella" sono tipi isobarici secondari che si presen­tano, l'uno come una zona molto stretta ed allungata di alta pressio­ne inserita tra due depressioni, l'altro, come una zona di bassa pres­sione inserita tra due anticicloni vicini.

Infine il "punto neutro" è una zona situata tra due anticicloni e due cicloni, nella quale, pertanto, la pressione aumenta in direzione degli anticicloni, e diminuisce in direzione dei cicloni (Fig. 4).

I meteorologi seguono con attenzione il formarsi ed il dissolversi di questi diversi tipi isobarici, avendo l'osservazione dimostrato come essi esercitino influenze caratteristiche sulle condizioni generali del tempo. Possiamo dire fin da questo momento che chi sappia leggere bene un carta isobarica, non è solo in grado di arguire, con grandissi-

Fig. 4

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ma probabilità di dare nel segno, il tempo che fa su una determinata regione ma ha per di più un buon fondamento per arguire anche il tempo che farà, sia pure limitatamente a un breve ciclo di ore. Ciò spiega abbastanza l'interesse che i meteorologi dimostrano per i vari tipi isobarici e giustifica quanto se n'è detto qui e il più che, partico­larmente per i cicloni e gli anticicloni, se ne dirà altrove.

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CAPITOLO TERZO

LA TEMPERATURA

Lo studio della temperatura atmosferica ha un'importanza gran­dissima in ordine al volo a vela, poiché sono appunto le variazioni di questo fattore meteorologico che dànno origine alle correnti vertica­li, ai venti, alle nubi, alle precipitazioni, a quel complesso insomma di fenomeni atmosferici che ora favoriscono, ora ostacolano il volo veleggiato~

Ci proporremo pertanto, anche su questo argomento alcune que­stioni, intorno alle quali raccoglieremo tutti gli insegnamenti che ci parranno utili ad una compiuta conoscenza di esso.

Innanzi tutto ci domandiamo: donde e come si g~nera la tempera­tura atmosferica?

La temperatura, si sà, è un effetto del calore, e questo - secondo quanto insegna la fisica - è una forma particolare di energia, che met­te in moto gli atomi e le molecole di cui è costituita la materia. Il di­verso stato in cui ci si presenta lo stesso corpo, ora solido, ora liqui­do, ora aeriforme, non da altro dipende che dal diverso ritmo del moto che anima le estreme particelle che lo compongono. Se per ipo­tesi noi riuscissimo ad arrestare ogni moto nella materia, avremmo in essa la totale assenza di calore: giungeremmo cioè al freddo vero e proprio, ossia a quel limite che la fisica chiama "zero assoluto" e che è posto a 273 gradi sotto lo zero del termometro centigrado. Quel li­mite è considerato come la base naturale della scala della temperatu­ra, il punto a cui deve essere riferita ogni misura, che voglia avere va­lore assoluto, poiché si ritiene che non esistano temperature inferiori a quella.

La dottrina suesposta si applica anche ai gas che compongono l'at­mosfera. Devono essi pure essere considerati come un mondo di cui tutte le innumeri minuscole particelle sono, per effetto del calore, in continua agitazione. Il moto che anima le loro molecole varia di velo­cità in relazione alla temperatura assoluta. Se questa scendesse allo

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zero assoluto, si avrebbe nell'atmosfera una immobilità mortale. Tra corpi a temperatura diversa avvengono scambi di calore con tenden­za all'equilibrio termico.

I meccanismi di propagazione del calore nell'atmosfera sono tre: la conduzione, la convezione e la radiazione.

La conduzione consiste nel passaggio di calore per contatto da un corpo più caldo ad un altro più freddo. L'aria che riposa sopra una superficie calda acquista calore per conduzione. Quella che riposa so­pra una superficie fredda si raffredda per semplice contatto.

La convezione è il trasferimento di calore per mezzo delle correnti verticali.

La radiazione è il mezzo di trasferire energia radiante sotto forma di onde.

L'energia calorifera che provvede allo svolgimento dei fenomeni meteorologici proviene interamente dal sole.

Orbene come può il calore del sole giungere alla terra se gli spazi interplanetari sono vuoti di materia e manca perciò il mezzo, che par­rebbe indispensabile, alla propagazione del calore?

Secondo teorie recenti, che godono ormai di largo credito nel mon­do scientifico, il sole emette una serie infinita di onde elettromagneti­che, le quali si diffondono nel vuoto, in tutte le direzioni, investendo, tra gli altri corpi celesti, anche la nostra terra.

Questo particolare modo di propagarsi del calore per mezzo di on­de, procedenti in linea retta e alla velocità di trecentomila chilometri il minuto secondo, è appunto indicato in fisica col termine di "radia­zione".

L'intensità delle radiazioni dipende, naturalmente, dalla tempera­tura del corpo che le emette e varia col variare di essa. Se, ad esem­pio, riscaldiamo progressivamente una barra di ferro, notiamo che da principio emette soltanto radiazioni calorifiche, percepibili col no­stro tatto, ma non percepibili dal nostro occhio: siamo a quella fase di radiazione che i fisici chiamano "a temperatura bassa" o anche "radiazione infrarossa" e "radiaz~one d'onda lunga". È questo il ti­po di radiazioni emesse dalla superficie terrestre.

Se riscaldiamo maggiormente la barra di ferro, la vedremo a grado a grado farsi luminosa, passando da un rosso scuro a un rosso sem-

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pre più vivo e chiaro, fino ad un bianco lucentissimo; siamo alla fase di "radiazione a temperatura alta" o anche "radiazione ad onda cor­ta", che è il tipo di radiazioni emesse dal sole.

Il processo, per effetto del quale la radiazione ondulatoria si tra­sforma in calore, si denomina "assorbimento". Per esso si ha un au­mento di temperatura nel corpo assorbente: aumento che, a parità di condizioni, varia a seconda della loro conducibilità, del loro calore specifico e della diversa capacità che i corpi hanno di assorbire la ra­diazione. Per la misura di questa i fisici si basano sopra un tipo parti­colare di corpo, il "corpo nero perfetto", che è quello che assorbe tutta la radiazione che riceve. Di solito, un buon assorbente è anche un buon irradiatore, come un cattivo assorbente è anche un cattivo irraçliatore. Così uno specchio, dotato di alto potere riflettente, as­sorbe ed emette radiazioni in minima misura.

La radiazione solare, che la superficie terrestre può assorbire, di­pende dalla diversa capacità d'assorbimento delle sue singole zone, ossia dalla specifica natura del terreno in ciascuna di esse, come pure il raffreddamento, che la terra subisce durante la notte, dipende dalla diversa capacità d'irradiazione delle zone stesse.

Quando la superficie terrestre si compone di corpi che sono cattivi conduttori del calore, questo si trasmette al sottosuolo con estrema lentezza e l'assorbimento avviene quasi totalmente nel primo strato superficiale; mentre al contrario nei corpi buoni conduttori di calore, la superficie si scalda di meno ed il calore si trasmette in profondità. Un suolo di buona conduttività calorifica dispone di riserve di calore che possono ritornare alla superficie quando il calore ricevuto è mi­nore di quello irradiato. Se il suolo riceve più calore di quello che emette, si riscalda; se ne riceve meno, si raffredda.

La irradiazione termica del suolo si verifica sia di giorno che di notte; è facile capire però che a mezzogiorno la terra riceve più calore di quello che perde, mentre poco prima del tramonto del sole, è supe­riore la perdita al guadagno. In conclusione il suolo è soggetto a forti oscillazioni termiche nel corso del giorno e dell'anno.

Bisogna ora aggiungere che quella certa quantità di calore, che il termometro attesta presente nell'atmosfera, non è che solo in parte l'effetto del passaggio attraverso di essa dei raggi solari; in parte ben

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più grande, ossia per circa il 700/o del suo valore, è invece l'effetto della irradiazione terrestre, in quanto la superficie della terra assorbe la radiazione solare e, col calore ricevuto e poi irradiato, riscalda l'at­mosfera. È un fatto provato dalla fisica che il mezzo attraverso il quale si propaga il calore radiante, non si riscalda sensibilmente: chi non sa, per esempio che i raggi solari, per mezzo di una comune lente biconvessa, si possono raccogliere e concentrare su un pezzo di carta fino a provocarne l'accensione, senza che per questo la lente si riscal­di sensibilmente? Ebbene, avviene su per giù la stessa cosa per quan­to concerne il calore solare, ed è questo fatto che spiega come si ab­biano temperature molto più elevate negli strati atmosferici vicini al suolo che non in quelli che dal suolo sono lontani. Il contrario avver­rebbe, se l'atmosfera si riscaldasse per il diretto assorbimento dei raggi solari.

Non si deve tuttavia immaginare che la terra sia del tutto scoperta di fronte al sole ed esposta quindi ai pericoli ed ai danni di una ecces­siva insolazione: nell'aria è sempre presente in maggiore o minore misura, il vapore acqueo, il quale costituisce come un velo provvi­denziale, che per un verso arresta in parte i raggi del sole, diminuen­done l'eccessivo ardore, e per l'altro verso vieta che si disperda trop­po rapidamente il calore assorbito dalla terra e da questa irradiato poi nell'atmosfera.

Anche le nubi giuocano un ruolo importante nel bilancio degli scambi termici dell'atmosfera. È provato, infatti, che uno strato di nubi irradia, tanto verso l'alto quanto verso il basso e in tutte le lun­ghezze d'onda, il calore assorbito. Così il calore irradiato verso la terra da uno strato di nubi basse viene a compensare, almeno in par­~e, la perdita di calore che la terra stessa subisce durante le notti nu­volose. Durante il giorno, invece, le nubi ostacolano la radiazione so­lare e possono riflettere fino all'SOO/o del calore che ricevono.

A sua volta la terra, che durante il giorno ha immagazzinato im­mense quantità di calore solare, ne irraggia nello spazio durante la notte - sopra tutto nelle notti calme e serene - una quantità assai grande.

C'è, insomma, nella natura un circolare silenzioso e perenne di ca­lore, che alimenta la vita del mondo.

Domandiamoci ora: come si misura la temperatura?

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Non è difficile accorgersi che la temperatura dell'atmosfera muta continuamente e che può essere importante misurare codeste varia­zioni e determinarne le cause. Rimandando alle pagine prossime lo studio di queste ultime, vogliamo accennare qui a quegli strumenti che servono a misurare la temperatura e che, insieme col barometro, costituiscono un sussidio indispensabile per la previsione e la valuta­zione dei fenomeni meteorologici: i "termometri".

I termometri di uso comune sono fondati su la dilatazione dei cor­pi, fenomeno che si accompagna sempre con l'azione del calore. Il ti­po più conosciuto di termometro è quello a mercurio. È costituito es­senzialmente di un cannello sottile di vetro, di sezione. costante, ter­minante nella sua parte inferiore con un bulbo contenente una. certa quantità di mercurio. Per la graduazione occorre riferirsi a tempera­ture ben conosciute e facilmente riproducibili, in modo che esse pos­sano costituire i punti di riferimento per segnare le altre temperature: così, nella pratica comune, il livello che il mercurio assume quando il termometro è posto nel ghiaccio fondente, è indicato da O; il livello che assume quando il termometro viene immerso nei vapori che si sprigionano dall'acqua bollente alla pressione di 760 mm., è indicato con I 00; lo spazio che intercorre tra i due punti così fissati, si suole dividere in 100 parti uguali, che prendono il nome di gradi centigradi ( 0 C); al di sotto dello zero e oltre il 100, la graduazione può prosegui­re con lo stesso ritmo decimale.

Nella meteorologia sono molto usati i termometri "a massima" e "a minima", che servono ad indicare la temperatura massima e mini­ma prodottasi in un determinato periodo di tempo. Il termometro a massima è un comune termometro a mercurio, recante in prossimità del bulbo, una lieve strozzatura: crescendo la temperatura, il mercu­rio si dilata, supera la strozzatura ed avanza nel cannello termometri­co; diminuendo la temperatura, il mercurio è impedito dal tornare nel bulbo della strozzatura sì che continuerà a segnare nel cannello la temperatura massima a cui si è arrivati. Il termometro a minima è un termometro ad alcool, munito nell'interno del cannello di un indice che di solito è un cilindretto di porcellana scorrevole e leggero: se la temperatura aumenta, l'alcool, dilatandosi, può per la sua scorrevo­lezza passare tra l'indice e il cannello, senza che il primo venga spo-

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stato; se la temperatura diminuisce, l'alcool, restringendosi, si ritira a causa della tensione superficiale del menisco e trae con sé l'indice; il quale così viene ad indicare la temperatura minima che si é raggiunta.

Negli osservatori meteorologici è particolarmente usato il termo­metro registratore o "termografo". Non è in sostanza altro che un termometro metallico (così denominato perché si fonda sulla dilata­zione dei metalli sotto l'azione del calore), nel quale le temperature si possono registrare con continuità per mezzo di una punta scrivente sulla carta avvolta intorno ad un tamburo cilindrico regolato nel suo movimento da un congegno ad orologeria. È possibile con esso cono­scere con precisione tutto l'andamento della temperatura nell'ambito delle 24 ore del giorno.

Veniamo ora a proporci una terza questione; come è distribuita la temperatura nello spazio e nel tempo?

È importante notare subito come dalla ineguale distribuzione oriz­zontale della temperatura sulla faccia della terra, dipendano tutte le agitazioni ed i movimenti che si osservano ad ogni istante nella tropo­sfera e che hanno tanta importanza nel campo del volo.

Orbene, da luogo·a luogo la temperatura differisce per le cause se­guenti:

Primo: per la sfericità della terra. Se infatti si tiene presente che i raggi del sole giungono tutti paralleli sulla terra, è facile avvedersi che essi si distribuiscono in misura diversa sulla sua superficie, con la conseguenza di un diverso riscaldamento da luogo a luogo. È noto, infatti, che i raggi solari cadono perpendicolarmente o quasi, sulla zona torrida, mentre cadono sempre più obliquamente di mano in mano che si va verso i poli. È evidente che - per quella legge della fisi­ca la quale afferma che la quantità di calore ricevuta dall'unità di su­perficie di un corpo, aumenta con l'aumentare dell'angolo formato dai raggi col piano della superficie - la temperatura andrà crescendo dai poli all'equatore: in altre parole, la temperatura varia con la lati­tudine.

Secondo: per la diversa distribuzione delle terre e delle acque. Poi­ché infatti il suolo si riscalda più delle acque, si ha questa conseguen­za che sui mari e sulle terre prossime ai mari la temperatura è assai di­suguale da quella di regioni continentali, se pur poste alla medesima

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latitudine: in queste un grande riscaldamento diurno ed estivo in con­trasto con un grande raffreddamento notturno ed invernale; in quelle un riscaldamento e un raffreddamento assai più miti e un passaggio graduale dalle massime alle minime, sia diurne che stagionali. Come poi avvenga che il suolo si riscaldi più che le acque, si comprende da diverse considerazioni. Mentre il 5uolo, infatti, riflette una quantità piccola della radiazione solare, l'acqua ne riflette, specie in determi­nate condizioni, una assai maggiore. Inoltre, essendo il suolo opaco, l'assorbimento del calore avviene solo nel suo strato superficiale; l'acqua invece che è trasparente, lascia penetrare in profondità i raggi del sole e il suo calore. In fine, il calore specifico del suolo, ossia quella quantità di calore che si richiede per elevare di un grado 1a temperatura della sua unità di massa, è minore di quello dell'acqua. Questa, per di più, elimina, nel processo di evaporazione, una note­vole parte del calore solare assorbito e, in fine quando è in moto, su­bisce un rimescolamento degli strati superiori con quelli sottostanti, per effett~ del quale viene a ritardarsi il processo di riscaldamento della sua massa: fatto questo che ha poi la sua contropartita in un ri­tardo pure del processo di raffreddamento.

Terzo: per la natura del suolo. È questo un punto che interessa in particolare modo il pilota volovelista, che come vedremo meglio più innanzi, ha bisogno di trovare correnti calde ascendenti che lo man­tengano in volo. Orbene, siccome le rocce che compongono la crosta terrestre non hanno lo stesso calore specifico, così accade di osserva­re notevoli variazioni di temperatura da luogo a luogo anche in regio­ni non molto estese. Inoltre la presenza o l'assenza di vegetazione ha molta importanza come fattore della temperatura locale, giacché le piante assorbono una parte assai notevole del calore solare che esse impiegano nelle loro molteplici funzioni vitali. Può quindi aversi tra due luoghi, anche vicini, un sensibile divario di temperatura, quando l'uno di essi sia coperto di ricca vegetazione e l'alt~o sia invece nudo e arido o, come avviene nei centri abitati, coperto di case. Infine, an­che il grado di umidità del terreno influisce sul riscaldamento del suo­lo: la maggior parte del calore che arriva ai pantani ed ai prati acqui­trinosi viene infatti assorbita nel processo di evaporazione; ben poco è quello che contribuisce ad elevare la temperatura del suolo. I terreni

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coperti di neve assorbono gran parte della radiazione calorifera in­frarossa, non diversamente da ciò che accade con le superfici anneri­te, impiegandola, però, in evaporazione e fusione, mentre le radia­zioni luminose ed i raggi ultravioletti vengono quasi completamente riflessi. È facile capire, pertanto, come le distese nevose non cedano calore all'aria in contatto con esse e come la neve, dal punto di vista volovelistico, presenti qualche interesse soltanto in quei punti dove chiazze di roccia o di terreno scoperto determinano notevoli salti di temperatura fra la superficie nevosa e quella del suolo nudo.

Lafigura 5 riporta le differenze di temperatura rilevate nello stesso istante su diversi tipi di terreno in un giorno sereno di primavera, alle dieci del mattino. Tali dati comparativi dimostrano che le differenze di temperatura tra il suolo arido e quello con vegetazione sono rile­vanti.

È importante per la meteorologia conoscere e fissare le medie toc­cate dalla temperatura nei vari luoghi, e stabilire per ognuno di essi la media giornaliera. In generale si osserva che la massima temperatura non si ha a mezzogiorno ma un paio d'ore dopo, e la temperatura mi­nima non si ha a mezzanotte ma poco prima del levar del sole. Si dice "escursione diurna" la differenza tra la temperatura massima e la temperatura minima riscontrata durante un dato giorno. Nelle carte meteorologiche le linee che uniscono tutti i punti che hanno una stes­sa temperatura in un dato momento si chiamano "isoterme".

Ci resta da studiare in fine la distribuzione verticale della tempera­tura: una tale indagine è di importanza capitale per i problemi del vo­lo a vela.

Fig. 5

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Abbiamo già avuto occasione di dire nelle pagine precedenti come la temperatura diminuisca progressivamente con la quota. Diremo ora come il gradiente verticale indicante tale diminuzione s'aggiri, nelle zone di media latitudine, su 0,6°C per ogni cento metri di altezza.

È molto importante notare come nello strato d'aria vicino al suolo si possa riscontrare, in giorni di grande calura un gradiente termico straordinariamente forte. La figura 6 mostra i valori assunti dalla temperatura in uno strato d'aria tra il suolo e 60 metri di altezza, fis­sati in una rapida registrazione termo-elettrica. Si rileva da essa che tra il suolo e i 15 metri si è riscontrato un gradiente termico verticale medio di 2,9°C per ogni metro di elevazione. Tale fatto ha come con­seguenza un aumento della densità dell'aria lungo la verticale, per cui si determina una spontanea circolazione sotto forma di sottili filetti d'aria fredda discendenti e di sottili filetti d'aria calda contempora­neamente ascendenti. Questo fenomeno prende il nome di autocon­vezione e si produce soltanto in prossimità del suolo nel cosiddetto "strato limite termico". Esso si riscontra nei giorni molto caldi dell'estate ed è spesso reso visibile su zone surriscaldate, ad esempio sulle strade asfaltate, ove può dar luogo a strani fenomeni ottici, per cui gli oggetti lontani appaiono capovolti, come se si rispecchiassero in un'acqua tranquilla.

Lungo una interminabile autostrada appare all'orizzonte un verde bosco, folto di alberi che si specchiano nell'acqua. Il bosco in realtà esiste, ma lo specchio d'acqua non è che l'effetto di un gioco di luci. L'aria che compone lo strato limite termico, surriscaldata per il con­tatto con l'asfalto ardente, è rarefatta ed ha minor potere rifrangente rispetto a quella degli strati più alti. I raggi provenienti dal bosco, passando attraverso gli strati di diversa densità si incurvano. All'au­tomobilista che di lontano sopravviene, giungono due fasci luminosi: uno, diretto, che gli dà la visione degli alberi veri e proprii; l'altro, in­diretto, dal basso verso l'alto, che gli dà l'immagine capovolta del bosco riflesso e quindi il miraggio di uno specchio d'acqua.

Nei giorni di gran calura estiva, il flusso dell'aria termicamente ascendente sopra lo strato limite termico è reso spesso visibile dal le­varsi dal suolo fortemente riscaldato di vorticose trombe di polvere,

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che salgono a spirali sinuose, trasportando con sé pezzi di carta, fili di paglia e foglie secche.

Una questione di particolare interesse è quella di determinare iJ comportamento della temperatura di una massa atmosferica in movi­mento verticale.

Sappiamo già che, in una massa atmosferica in riposo la tempera­tura diminuisce con l'altezza e che si dà il nome di "gradiente termico verticale" alla misura di quella diminuzione riferita a 100 metri d'al­tezza. (Di passaggio diciamo che tale gradiente varia da luogo a luo­go e anche in uno stesso luogo, a seconda delle condizioni generali dell'atmosfera).

Una massa aerea in movimento ascendente si ritrova a. doversi di continuo mettere in equilibrio di pressione con l'atmosfera che cç>sti­tuisce l'ambiente e poiché questa, di mano in mano che si sale si va rarefacendo, anche quella deve rarefarsi, cioè espandersi. Ora, que­sto espandersi secondo una nota legge fisica, è accompagnato da una diminuzione di temperatura che è pari a circa 1°C ogni 100 metri. Qualora invece, la massa aerea si trovi in movimento discendente, ha luogo il fenomeno opposto: avviene cioè, la compressione di essa e, con la compressione, un aumento della sua temperatura, secondo la legge fisica già ricordata.

Ora, il fatto importante, su cui desideriamo richiamare l'attenzio­ne del lettore, è questo, che le variazioni. di temperatura nell'aria in movimento verticale, conseguenti al fenomeno della dilatazione o della compressione, avvengono senza che si abbia alcuno scambio di calore con la massa atmosferica in seno alla quale avviene il movi­mento. A questo processo si dà in meteorologia il nome di "trasfor­mazione adiabatica".

La distribuzione verticale della temperatura può essere facilmente e utilmente rappresentata in un diagramma "temperatura-altezza", costituito da un sistema di assi rettangolari. In esso i valori della tem­peratura sono riportati sulla coordinata orizzontale e quelli della pressione, ossia dell'altezza, su quella verticale. La linea a tratto con­tinuo rappresenta il regime reale della temperatura, ossia quello della massa atmosferica in riposo ("curva di stato"), mentre .Ja linea a tratto discontinuo indica l'andamento adiabatico di una particella

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d'aria isolata supposta in movimento verticale, ossia le variazioni che in essa la temperatura subirebbe con il progredire o il regredire dell'altezza. A scopo illustrativo riportiamo nella figura 7 un dia­gramma temperatura-altezza, che rappresenta un caso di distribuzio­ne verticale della temperatura fino a 1000 metri di quota, e su di esso richiamiamo l'attenzione dei volovelisti per la grande importanza che tale distribuzione ha nella formazione di quei movimenti ascendenti termici, che, come vedremo in seguito, tanto interessano il volo a vela.

Con ciò che abbiamo detto fin qui, l'importante argomento tocca­to non è esaurito. Bisogna tener presente che le leggi fin qui esposte si applicano soltanto a masse d'aria nelle quali non siano in corso pro­cessi di condensazione poiché il gradiente determinato v.ale unica­mente per l'aria secca. Ciò lascia comprendere che c'è anche...uu altro caso da considerare, e cioè quello di una massa aerea satura di-vapore acqueo, pur essa in ascesa o in discesa adiabatica: è il caso che ci ri­serviamo di illustrare nel prossimo capitolo, essendo esso strettamen­te connesso con l'umidità atmosferica, di cui ci resta ancora da dire.

Qui nel concludere la trattazione della materia in esame, vogliamo sottolineare che la legge, a cui più volte abbiamo accennato, secondo la quale la temperatura subisce un abbassamento che progredisce col

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Fig. 7

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progredire dell'altezza, è soggetta a frequenti ed importanti infrazio­ni a causa delle così dette "inversioni termiche", ossia per la forma­zione di strati d'aria, nei quali la temperatura aumenta procedendo dal basso verso l'alto.

Tali strati di inversione termica possono formarsi frequentemente vicino al suolo nelle notti calme e serene, allorquando per la forte ir­radiazione terrestre il suolo e gli strati d'aria ad esso prossimi, si raf­freddano molto e l'assenza di movimento nell'atmosfera impedisce il consueto rimescolarsi delle masse d'aria. Si nota però che, particolar­mente in pianura, tali strati di inversione sono poco estesi e si disper­dono appena il sole, sorgendo, riattiva le correnti aeree verticali. Im­portanza assai maggiore hanno per il volo a vela gli strati di inversio­ne che si formano in quota, dove essi sono spesso intimamente colle­gati con la stratificazione delle nubi e dove assumono estensioni assai notevoli. (Fig. 8).

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Il fenomeno dell'inversione termica ha luogo spesso sui 2000 metri circa. (banchi di strato-cumuli), ma non è raro riscontrarlo alle quote di formazione di altri tipi di nubi, da 500 metri (banchi di strati) a 8000 metri (banchi di cirrostrati). Durante le ore notturne col raf­freddamento della massa atmosferica, gli strati di inversione subisco­no un abbassamento. Quello che importa soprattutto rilevare, ai fini pratici che ci siamo proposti, è che essi costituiscono come una zona di sbarramento dei moti ascendenti dell'aria, cioè di quelle correnti termiche di cui tanto si vale il volo a vela, e che favoriscono l'accu­mulo di vapore acqueo e quindi la formazione di nubi sotto di esse.

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CAPITOLO QUARTO

L'UMIDITÀ ATMOSFERICA

L'aria - come già avemmo occasione di dire - contiene sempre una certa quantità di vapore acqueo: aria assolutamente secca non esiste in natura. Ora non possiamo ritenere di" conoscere bene l'atmosfera, se non studiamo questo elemento, che è causa di fenomeni grandiosi, i quali hanno importanza fondamentale per il volo a vela. In questo capitolo, pertanto, ci proponiamo di studiare i seguenti fenomeni:

a) l'evaporazione; b) la condensazione; c) la precipitazione.

Sappiamo dalla fisica che tutti i corpi, sotto l'influenza del calore, mutano di stato: da solidi si fanno liquidi, da liquidi si fanno aeri­formi. Si ha nel primo caso la "fusione", nel secondo la "vaporizza­zione". L'acqua non si sottrae a questa legge generale: per effetto del calore si muta in vapore e si riversa nell'atmosfera soprastante.

Si conoscono due modi di passaggio dell'acqua dallo stato liquido a quello gassoso: un passaggio rapido e tumultuoso, che si effettua a temperatura costante per una data pressione, da tutti i punti della massa liquida e prende il nome di "ebollizione"; un passaggio lento ed insensibile, che avviene solo alla superficie della massa liquida e prende il nome di "evaporazione". Orbene, è quest'ultimo il feno­meno che più interessa la meteorologia per la importanza grandissi­ma che esso ha nell'economia dell'atmosfera.

La fisica ne ha accertato le leggi. Essa insegna infatti che l'acqua ev~pora a tutte le temperature, pur essendo vero che l'evaporazione è tanto più rapida quanto più elevata è la temperatura e più estesa la superficie evaporante. Essa insegna, inoltre che l'evaporazione varia. con il variare della pressione: lenta, se la pressione è alta; rapida se la pressione è bassa; quasi istantanea nel vuoto, dove la pressione è nulla.

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Si dà il nome di "calore latente di vaporizzazione" a quella quanti­tà di calore che è necessaria per far evaporare un grammo di liquido. Si è trovato sperimentalmente che il calore latente di vaporizzazione dell'acqua alla temperatura di 100°C (temperatura di ebollizione) e alla pressione normale, è di 539 calorie. Alla temperatura di l5°C (sempre considerando la pressione normale) è di 589 calorie. Ciò si­gnifica che, in uguali condizioni di pressione atmosferica, il calore necessario al processo di vaporizzazione è tanto maggiore quanto più bassa è la temperatura dell'ambiente.

Concludiamo queste nozioni preliminari osservando che il calore assorbito nel suddetto processo di vaporizzazione viene sottratto, per la sua massima parte, alla massa liquida evaporante, la quale pertan­to, per effetto del processo stesso, si raffredda considerevolmente.

Ora, si pensi all'immensa superficie libera che l'acqua presenta all'atmosfera, nella quale può riversare i propri vapori; si pensi a .quelle forze naturali che agitano di continuo le masse d'aria, di cui è avvolta la terra; si pensi all'enorme quantità di calore che il sole ri­versa sulla crosta terrestre, di dove poi irradia nell'atmosfera, della quale allevia la pressione: non è difficile arguire da tutto questo le proporzioni grandiose che il fenomeno dell'evaporazione acquea ha nell'economia atmosferica. Quelle proporzioni, poi, vengono rese ancora maggiori per la traspirazione e la respirazione degli animali e delle piante e per le innumerevoli combustioni che di continuo avven­gono sulla terra: tutti. questi fatti sono accompagnati sempre dallo sviluppo di notevole quantità di vapore acqueo. Sono fiumi invisibili che salgono così, per l'aerea levità delle loro onde, sia perché portati da quelle correnti ascendenti, che il volovelista ben conosce, verso le oceaniche profondità dell'atmosfera, di dove ridiscenderanno poi, mutati in pioggia e neve, sulla terra, compiendo un ciclo che si rinno­va da migliaia di secoli.

Non sarà inutile, a questo punto, rilevare un errore grossolano, in cui cadono molti e che consiste nell'indicare col nome di vapore ac­queo quello che tale non è. Le nubi? Vapore acqueo, sentenziano co­storo. La nebbia? Vapore acqueo. I fiotti candidi che si sprigionano dalle vaporiere? Vapore acqueo. L'alito di uomini e di animali che, nella fredda stagione, si colora come un lieve fumo bianco? Vapore

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acqueo. Ora, tutte queste affermazioni del volgo sono errate. Il va­pore acqueo è, di sua natura, invisibile ed impalpabile e ciò che gli ignoranti spesso designano con tal nome altro non è che acqua, pro­dottasi per il fatto che il vapore, salito dalla terra o dall'acqua o espulso dalla vaporiera o espirato da un animale, venendo a contatto con l'aria più fredda, si condensa, dando luogo alla formazione di miliardi di goccioline d'acqua o di aghetti di ghiaccio, che costitui­scono poi le nubi, le nebbie, i fiotti candidi usciti dalla vaporiera, lo "spirto" che fuma "da la larga narice umida e nera" del pio bove carducciano.

Ma, se il fluire degli invisibili fiumi di vapore acqueo nell'atmosfe­ra è incessante, non deve credersi che sia senza limiti, esistono, al contrario, dei limiti ben definiti, entro i quali l'evaporazione è conte­nuta. La fisica ha studiato e fissato questi limiti e parla, ad esempio, di aria "satura", col quale termine vuol indicare che una certa massa d'aria ad una determinata temperatura, contiene la massima quantità possibile di vapore acqueo. Questo poi, non diversamente da tutti gli altri gas liberi nell'aria secca, esercita una pressione sua, per cui quel­la indicata dal barometro è, solo in parte, l'effetto della pressione dell'aria secca, essendo per un'altra parte dovuta alla tensione del va­pore acqueo. Si definisce pertanto come "tensione" del vapore d'ac­qua nell'atmosfera quella pressione che esso eserciterebbe se esistesse solo nell'aria. La tensione varia col variare della temperatura. A zero gradi, la tensione massima, ossia la "tensione di saturazione", misu­rata in millimetri di mercurio, è di 4,57, pari a 6, 11 millibar. Quando si trovano presenti una massa d'aria ed una massa d'acqua, il feno­meno della evaporazione continua fin che la massa d'aria sovrastante non sia satura, cioè fin che il vapore acqueo non abbia raggiunto quella massima densità che gli è consentita dalla temperatura dell'aria.

La figura 9 rappresenta un diagramma della temperatura e della tensione del vapore. Le linee curve indicano la tensione del vapore sa­turo corrispondente ad una data temperatura. Dall'esame di queste curve si rileva come per un aumento di temperatura di 10°C, la capa­cità dell'aria di contenere vapore acqueo risulti quasi raddoppiata.

Prima di procedere oltre nel nostro studio, fermiamoci un momen-

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to a considerare alcuni fatti di comune osservazione, i quali vengono a confermare quei principi regolatori del fenomeno dell'evaporazio­ne, che abbiamo più sopra illustrato. Un panno bagnato si asciuga più rapidamente in una giornata calda che in una giornata fredda: perché? Perché l'aumento della temperatura rende più intensa l'eva­porazione. Ancora: un panno bagnato asciuga più rapidamente in una giornata di vento che in una giornata di calma: perché? Perché l'aria con maggiore contenuto di umidità, portata via dal vento, vien sostituita da aria più secca, nella quale l'evaporazione riprende con rinnovata intensità. Inoltre, se versiamo sulla mano una sostanza che evapori molto rapidamente, ad esempio, un po' d'alcooi, avvertia-

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mo, mentre questa asciuga, una certa sensazione di freddo: perché? Perché l'evaporazione è un fenomeno che comporta l'allontanamen­to delle molecole della sostanza evaporante e ciò, come abbiamo det­to, non può mai avvenire senza assorbimento di calore sottratto ai corpi esistenti nell'ambiente.

Questi fatti di comune osservazione permettono di richiamare con­clusioni di ordine generale, a cui la meteorologia è giunta mediante osservazioni più complesse ed estese, e cioè: che di regola, l'evapora­zione avviene con intensità maggiore d'estate che d'inverno, in gior­nate di vento che in giornate di calma; che, dove essa è più forte, os­sia là dove abbondano acque e folte vegetazioni; si ha abbassamento di temperatura (non usiamo noi, d'estate, spandere acqua sui pavi­menti e lungo le strade per rinfrescare l'atmosfera?), mentre dove es­sa è scarsa o nulla, cioè sui folti abitati e sui terreni aridi e rocciosi, si ha temperatura più alta; che, parallelamente e conseguentemente la formazione di correnti termiche ascendenti è ritardata nel primo caso e facilitata invece nel secondo. Dal che si vede come i fenomeni atmo­sferici siano interdipendenti e come, per una esatta valutazione di es­si, bisogni tener conto di tutti i fattori che concorrono a determinarli e a modificarli. Chiudendo questa digressione e tornando al nostro studio, riteniamo importante spiegare il significato di alcuni termini che sono di uso comune in meteorologia e che dovremo noi pure usa­re con qualche frequenza nel corso della nostra esposizione. Così: si dice "umidità assoluta" la quantità, espressa in grammi, di vapore acqueo che è contenuta, in un determinato momento, in un metro cu­bo d'aria; si dice "umidità relativa" il rapporto tra il peso del vapore effettivamente contenuto in un dato volume d'aria e il peso di quello che vi dovrebbe essere contenuto perché l'aria sia satura. Se per esempio, in un metro cubo d'aria, alla temperatura di 15°C, trovia­mo contenuti gr. 5, 12 di vapore acqueo (umidità assoluta), mentre la tavola igrometrica ci fa sapere che, a quella stessa temperatura, ne occorrerebbero gr. 12,8 perché si abbia la saturazione, l'umidità rela­tiva sarà data dal quoziente:

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E poiché si usa esprimere l'umidità relativa in percentuale, essa sarà:

UO/o = 100 X 0,4 = 40%

Il quale rapporto significa che l'umidità, presente in quel momento e a quella temperatura nell'atmosfera considerata, è il 40 per cento di quella che occorrerebbe per la saturazione. Aggiungiamo che l'umi­dità relativa può essere espressa anche dal rapporto tra la tensione ef­fettiva del vapore contenuto in una massa d'aria ad una certa tempe­ratura e la tensione massima, o tensione di saturazione, che, a quella stessa temperatura, il vapore acqueo potrebbe raggiungere. Per "umidità specifica", in ~ine, si intende il peso (espresso in grammi) del vapore acqueo contenuto in un Kg. di aria normale (umiàa). Per il volovelista l'umidità specifica è particolarmente impo~tante perché acconsente di esprimere lo stato igrometrico dell'aria mediante una grandezza che non varia durante il moto. Infatti, un Kg. d'aria ap­partenente ad una corrente termica ascendente, pur continuando, nel corso della sva salita, ad espandersi, porterà con sè, a qualsiasi quota

Fig. 10

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lo stesso numero di grammi di vapore acqueo. Tavole appositamente redatte danno, sen­

za bisogno di ricorrere a calcoli complicati, i valori dell'umidità relativa, dell'umidità spe­cifica, della tensione del vapore secondo le varie temperature e le varie pressioni, per­mettendo così una rapida valutazione di que­sti elementi indispensabili al meteorologo. Lo strumento che si usa a tale scopo si chia­ma "psicrometro", costituito nella sua so­stanza da due termometri, uno dei quali ha il bulbo scoperto ed asciutto, l'altro lo ha in­vece avvolto in una sottile tela di lino, co­stantemente inumidita con acqua distilla­ta (Fig. 10). Ora, siccome l'acqua evapo­ra spontaneamente, sottraendo calore al bul­bo termometrico, avviene che il termometro

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bagnato segna, rispetto all'altro un dislivello di temperatura, che è tanto maggiore quanto più intensa è l'evaporazione, vale a dire quan­to è minore l'umidità assoluta dell'ambiente: infatti la fisica insegna che la evaporazione è nulla, quando l'aria è satura, mentre si fa tanto più intensa quanto più l'aria è lontana dal punto di saturazione. Coi valori della temperatura forniti dai due termometri e con l'ausilio delle tavole psicrometriche, i valori dell'umidità vengono rapidamen­te calcolati.

Allo scopo di poter seguire con continuità le variazioni dello stato igrometrico dell'aria in un determinato periodo di tempo, si ricorre agli igrometri registratori o "igrografi". Anche qui si hanno delle puntine scriventi su un foglio di carta avvolto intorno ad un rullo mosso da un sistema ad orologeria. Le alterazioni subite in rapporto all'umidità atmosferica da un fascio di capelli digrassati, vengono trasmesse a una leva a cui è assicurata la punta scrivente.

Osservando l'andamento dell'umidità specifica atmosferica nell'ambito del giorno, si è notato che essa ha, come la temperatura, un massimo ed un minimo: questo, poco prima del levar del sole; quello, poco dopo che si è toccata la più alta temperatura della gior­nata.

Contrastanti, invece, sono gli andamenti dell'umidità relativa e della temperatura, e se ne capisce facilmente la ragione. L'umidità relativa, infatti, comincia a salire nelle ore del pomeriggio, tocca il massimo nelle ore della notte e ridiscende poi verso il mattino, per raggiungere il minimo nelle ore più calde del giorno (Fig. 11).

L'umidità relativa subisce, normalmente, una forte diminuzione con la quota. Spesso, però, tale variazione avviene in maniera molto irregolare, in dipendenza della situazione meteorologica e della sta­gione. Bisogna inoltre tener presente che i fattori idrografici, orogra­fici, termici, fanno sentire la loro influenza, in misura or più or meno notevole, soprattutto negli strati inferiori dell'atmosfera.

Ad ogni modo, come vedremo più avanti, la distribuzione verticale dell'umidità ha un'importanza fondamentale quando si tratta di for­mulare un pronostico per il volo a vela. Per il volo termico, per esem­pio, conviene che le masse d'aria siano umide negli strati inferiori, cioè vicino al suolo e non in quota, vicino alla base delle in-

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versioni termiche, dove soprattutto quando il vento aumenta di velo­cità, si produce spesso la degenerazione dei cumuli in spesse cappe di stratocumuli, che possono arrivare a· coprire gran parte del cielo e a compromettere seriamente l'attività termoconvettiva.

Abbiamo più addietro definito come "umidità relativa" il rappor­to tra la quantità di vapo're acqueo effettivamente presente in un dato volume e quella che vi sarebbe contenuta se l'atmosfera fosse satura. Tale rapporto sarà uguale a O nell'aria perfettamente secca; sarà uguale a una frazione propria nell'aria umida ma non satura; sarà uguale a I nell'aria satura. Ora, poiché sappiamo che la pressione di saturazione è in relazione strettissima con la temperatura, è facile comprendere che se, per una causa qualunque, viene ad abbassarsi la temperatura dell'atmosfera, oppure se nell'atmosfera viene introdot­to nuovo vapore acqueo, così che la quantità che viene a trovarsi in essa sia maggiore di quella comportabile, una parte di vapore si con­denserà, dando luogo a quei fenomeni meteorologici che conosciamo col nome di rugiada, di brina, di nebbia, di nubi, di pioggia.

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Fig. 11

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La temperatura a cui una massa d'aria umida può essere raffred­data, a pressione costante, senza provocare la condensazione si chia­ma "temperatura del punto di rugiada", o semplicemente "punto di rugiada". Se una massa d'aria, dopo aver raggiunto la temperatura del punto di rugiada, si raffredda ulteriormente, inizia il processo di condensazione. Perché questo avvenga è necessario che siano presen­ti nell'aria i cosiddetti "nuclei di condensazione", intorno ai quali si deposità l'acqua in minutissime stille. Tali nuclei sono costituiti da minuscole particelle igroscopiche provenienti dall' acqua marina e dalle combustioni terrestri. Se l'atmosfera è povera o, addirittura, priva di questi nuclei, la condensazione non ha luogo e si determina la condizione dell'aria "soprassatura" di umidità: condizione nella quale la tensione del vapore acqueo contenuto nell'atmosfera rag­giunge valori più alti di quelli normali.

L'importanza che ha per il volo a vela il fenomeno della condensa­zione, così come avviene nelle particolari condizioni proprie delle correnti ascendenti verticali, ci suggerisce l'opportunità di una nuova digressione (che verrà ripresa nei prossimi capitoli) per descrivere quello che avviene in una massa d'aria in ascesa adiabatica. Abbiamo già avuto occasione di dire che quando l'aria si eleva adiabaticamen­te, vale a dire senza scambio di calore con la massa circostante, si raf­fredda di un grado per ogni 100 metri di quota. Orbene, quando una certa quantità d'aria umida, non satura, si solleva adiabaticamente, subirà nella sua salita un progressivo raffreddamento, così che, ad una certa altezza, raggiungerà la temperatura del punto di rugiada e se, superato tale punto, continuerà il moto ascendente, si condense­rà, dando luogo alla formazione di nubi. Da questo momento, oltre all'espansione ed al raffreddamento, si ha anche un altro fenomeno: col processo di condensazione si determina la liberazione del calore latente di vaporizzazione, per effetto del quale viene rallentato il prQ­cesso di raffreddamento dell'aria ascendente.

Abbiamo già avuto occasione di rilevare come in meteorologia si usi chiamare "calore latente" il calore che è assorbito o ceduto nei cambi dello stato fisico dell'acqua atmosferica. Ad esempio, la fusio­ne del ghiaccio si realizza mediante assorbimento di calore, in ragio-

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ne di circa 80 piccole calorie per ogni grammo liquefatto, mentre, co­me abbiamo visto nelle pagine precedenti, per convertire un grammo di acqu~ in vapore si spendono 598 piccole calorie. Anche il ghiaccio evapora, benché più lentamente dell'acqua, e durante l'evaporazione assorbe un numero di calorie uguali alla somma di quelle richieste per i due cambi di stato successivi, cioè 80 + 590 = 678 piccole calorie.

I cambi di stato inversi si effettuano con produzione di calore. L'acqua, congelando a 0°C, cede all'ambiente 80 calorie per grammo di ghiaccio formato, mentre nella condensazione del vapore acqueo vengono liberate 598 calorie per ogni grammo d'acqua prodotto.

Confrontando i calori latenti di vaporizzazione e di condensazione con i calori specifici dell'aria e dell'acqua, non è difficile arguire le proporzioni grandiose che i cambi di stato fisico dell'acqua atmosfe­rica assumono nella distribuzione della temperatura in seno all'ocea­no aereo.

Infatti, tali valori indicano, per esempio, che le 598 piccole calorie liberate dalla condensazione di un grammo di acqua, elevano di circa 2°C la temperatura di un metro cubo d'aria, e che le 80 calorie libera­te dalla congelazione di un grammo d'acqua possono scaldare lo stes­so metro cubo d'aria di altri 0,25°C.

Abbiamo già avuto occasione di dire cosa s'intende per gradiente adiabatico secco. Ora dobbiamo dire del gradiente adiabatico saturo; il quale non è, come il gradiente adiabatico secco, costante, ma varia a seconda della temperatura dell'aria. Se quella è elevata, la quantità di calore prodotta dalla condensazione sarà notevole, perché forte sarà la quantità di vapore che, per tale condizione, si condenserà. Se invece la temperatura è bassa, piccola sarà la quantità di vapore che si condenserà e piccola pure la quantità di calore che si svilupperà per effetto di essa. Il fatto appare particolarmente manifesto nei casi di temperature molto basse: il contenuto di umidità è allora così ridotto che il gradiente adiabatico saturo è quasi uguale a quello secco. Nei casi di temperature alte invece il gradiente adiabatico saturo è quasi la metà di quello secco, vale a dire di circa 0,5°C per ogni cento metri d'altezza (Fig. 12). Come regola generale, possiamo dire che tali con­dizioni si verificano, durante l'estate, alle latitudini medie, fino a quote di 3-4.000 metri.

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Sospendiamo, per ora, lo studio dell'aria satura, che riprenderemo nei prossimi capitoli, e riassumiamo i concetti finora fissati intorno ai gradienti della temperatura.

1) "Gradiente verticale reale" della temperatura, in una colonna d'aria disposta verticalmente e supposta in quiete, è la diminuzione che la temperatura subisce per ogni 100 metri di quota secondo la verticale del luogo.

2) "Gradiente adiabatico secco,, è la misura del raffreddamento che subisce una particella d'aria non satura per ogni 100 metri di ele­vazione verticale nell'atmosfera.

3) "Gradiente adiabatico saturo" è la misura del raffreddamento

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che subisce una particella d'aria satura per ogni 100 metri di elevazio­ne nell'atmosfera.

Venendo ora all'ultimo punto dell'argomento che ci siamo propo­sti di studiare nel presente capitolo, ossia alla "precipitazione", no­tiamo innanzi tutto il fatto, dimostratoci dall'esperienza di ogni gior­no, éhe, pur avendosi nubi nel cielo, non sempre si hanno precipita­zioni. Perché? Perché le goccioline minutissime, che costituiscono la nube, talora si aggregano in gocce più grosse, che poi preci~itano al suolo, talora invece non si aggregano affatto tra loro o, se pur si ag­gregano, avviene che durante la caduta si disgregano nuovamente, cosi che la precipitazione cominciata ad una certa altezza, si arresta ad un'altra e cioè prima di raggiungere il suolo. Accade, in altre pa­role, questo, che si mantengono liquide, durante la discesa, per un tratto più o meno notevole e poi, giungendo a zone dove l'aria non è più satura, evaporano di nuovo e il vapore riprende la sua salita verso l'alto, rinnovando un ciclo che costituisce la vita misteriosa e fervida della nube. Ora, fin che tali minutissime goccioline non si aggregano per dare luogo alle goccie grandi di cui è formata la pioggia, si ha un particolare stato della nube che i meteorologi chiamano condizione di "stabilità colloidale", mentre quando l'aggregazione avviene ed ha luogo la precipitazione, si ha la condizione opposta di "instabilità colloidale". I principali fattori, che sogliono determinare il passag­gio dalla prima alla seconda di tali condizioni o stati, sono: la gros­sezza delle goccioline, la loro temperatura e carica elettrica, la turbo­lenza che può aversi nell'interno della nube e la presenza in questa di cristalli di ghiaccio.

Questi nostri cenni sommari sul fenomeno della precipitazione si limitano a quelle forme che hanno un rapporto, sia pure indiretto, col volo veleggiato. Ad ogni modo essi verranno ampliati quando studieremo le nubi convettive.

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CAP~TOLO QU.INTO

STABILITÀ E INSTABILITÀ ATMOSFERICA

Prima di inoltrarci nello studio delle condizioni che determinano la formazione delle correnti termiche ascendenti e discendenti, che è ar­gomento capitale per il volo a vela, riteniamo indispensabile soffer­marci a spiegare alcuni concetti e alcuni termini riferentisi a fenome­ni che hanno stretta attinenza con quell'argomento.

Cominciamo col chiarire il concetto di "equilibrio atmosferico", sia in senso assoluto, sia in relazione alle condizioni atmosferiche che concorrono a determinarlo o ad alterarlo.

Una massa d'aria permane in equilibrio fino a che non intervengo­no cause perturbatrici dello stato in cui si trova. Tuttavia lo stato di equilibrio dell'aria non è sempre identico: i meteorologi parlano in­fatti di equilibrio stabile, di equilibrio instabile, di equilibrio indiffe­rente, in un senso analogo a quello in cui, in fisica, si parla dell'equi­librio dei corpi solidi.

Si dice quindi che una massa d'aria trovasi in "equilibrio stabile" quando, dopo aver subito una certa perturbazione, tende a ricom­porsi nell'assetto primitivo. Se, per fare un esempio, una particella d'aria si sposta, per una causa qualsiasi, verso l'alto, accadrà che, se la sua temperatura diminuisce più rapidamente di quella dell'ambien­te circostante, verrà a trovarsi in ambiente più caldo e perciò meno denso: sarà quindi, per questo, sollecitata a riabbassarsi e a riprende­re la posizione primitiva. Un fenomeno inverso si avrebbe, è chiaro, nell'ipotesi che il moto della particella d'aria considerata fosse di­scendente. n concetto di equilibrio atmosferico stabile o, più sempli­cemente, di "stabilità atmosferica" può essere figurato da una palli­na collocata nell'interno vuoto di una sfera: la pallina, infatti si spo­sta dalla propria posizione di riposo ogni volta che la sfera viene agi­tata, ma ritorna alla posizione primitiva non appena cessa l'azione perturbatrice. (Fig. 13-A)

Si dice che una massa d'aria si trova in stato di "equilibrio indiffe-

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Si dice in fine che una massa d'aria si trova in stato di "equilibrio instabile" o "labile" quando basti a determinarne il cambiamento anche una perturbazione minima e, a cambiamento avvenuto non so­lo manchi la tendenza a riprendersi lo stato primitivo, ma vi sia anzi

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una decisa ripugnanza. Per illustrare, come nei due casi precedenti, il concetto con una immagine, si pensi ad una pallina posta sulla som­mità di una sfera: basterà una minima perturbazione di questa perché quella precipiti, senza che per essa rimanga alcuna possibilità e nep­pure una minima tendenza a riprendere spontaneamente la posizione di prima (Fig. 13-C). Nel campo meteorologico, una particella d'aria, che si solleva in una atmosfera instabile, arriva a tutte le quo­te con una temperatura costantemente superiore a quella dell'am­biente e, trovandosi ad essere meno densa, e perciò più leggera di questa, è continuamente sollecitata a salire; e salirà, difatti, fin che permanga quella disparità di condizioni.

Come subito s'intende, un'atmosfera instabile è la più propizia per il volo a vela. La più propizia, diciamo, non la sola propizia, poiché, in verità, correnti ascendenti possono generarsi anche in regime di stabilità atmosferica, sebbene esse, in tali condizioni, non raggiunga­no quote molto elevate. Il loro moto ascendente diminuisce infatti ra­pidamente e cessa del tutto quando si esaurisce la loro energia termi­ca: ciò che si ha quando raggiungono quel livello a cui la loro tempe­ratura e quella dell'ambiente sono uguali.

Dopo quanto abbiam detto, è facile capire quale stretta relazione intercorra fra i tre stati di equilibrio atmosferico sopra descritti e il gradiente termico verticale della massa d'aria supposta in riposo.

Ebbene, in base alle osservazioni dell'aerologia possiamo dire che, rispetto ai movimenti verticali di una particella non satura: a) quan­do si ha nell'aria uno stato di equilibrio indifferente, il gradiente ver­ticale della tenyperatura è uguale al gradiente adiabatico secco, ossia di l °C ogni 100 metri; b) quando invece si ha nell'aria uno stato di equilibrio stabile, il gradiente verticale della temperatura è inferiore al gradiente adiabatico secco, e cioè meno di l °C ogni 100 metri; e)

quando in fine si ha nell'aria uno stato di equilibrio instabile il gra­diente verticale della temperatura è superiore al gradiente adiabatico secco, e cioè più di l °C ogni 100 metri.

Bisogna però tener presente che queste norme sono valide unica­mente nel caso di stratificazioni atmosferiche nelle quali non siano in corso processi di condensazione, perché altrimenti, come già abbia­mo detto, la presenza di aria satura richiede la sostituzione della

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adiabatica secca con l'adiabatica satura e le norme stesse debbono es­sere modificate.

Infatti, una particella ascendente umida, ma non satura, seguirà un processo adiabatico secco fino al raggiungimento della quota di saturazione e un processo adiabatico saturo dopo la saturazione. Nel caso pratico di un cumulo, la corrente termica ascendente seguirà un processo adiabatico secco dal suolo sino alla base di condensazione di esso, e un_processo adiabatico saturo nell'interno della nube. Ana­logamente, pertanto, a quanto si è potuto stabilire per l'aria secca, si possono stabilire le seguenti regole per l'aria satura: a) una massa d'aria satura è in equilibrio stabile se in essa il gradiente verticale del­la temperatura è inferiore al gradiente adiabatico saturo; b) una mas­sa d'aria satura è in equilibrio instabile, se in essa il gradiente vertica­le della temperatura è superiore al gradiente adiabatico saturo; e) una massa d'aria satura è in equilibrio indifferente, se il gradiente vertica­le della temperatura è uguale al gradiente adiabatico saturo .

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Fig. 14

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Un altro ~roblema di interesse pratico, che si connette con quanto abbiam fin qui detto, è quello di sapere se e come dallo stato di equi­librio dell'atmosfera si possa arguire la presenza in essa di ascenden­ze termiche.

Orbene, questa presenza può essere facilmente accertata con l'uso di un diagramma "temperatura-altezza" che rappresenti la distribu­zione verticale della temperatura della massa atmosferica. Se, trac­ciandolo, si adotteranno delle scale tali, per cui un grado della scala delle temperature a 100 metri della scala delle altezze siano rappre­sentati da un segmento di uguale lunghezza, la distribuzione adiaba­tica della temperatura risulterà, rappresentata da una retta inclinata di 45° sull'asse delle ascisse.

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È chiaro che in un diagramma rappresentante una massa atmosfe­rica in equilibrio stabile, la curva della temperatura reale risulterà tracciata a destra della linea adiabatica, mentre, nel caso di una massa atmosferica in equilibrio instabile, tale curva sarà a sinistra. (Fig. 14).

A scopo illustrativo, riporteremo alcuni diagrammi, rappresentan­ti Io stato di equilibrio di determinate masse atmosferiche; e ne illu­streremo il significato, servendoci dei chiari esempi pratici a cui più volte udimmo far ricorso il professor Georgii per spiegare ai voloveli­sti argentini il fenomeno della formazione di correnti termiche.

Immaginiamo di trovarci, in un sereno mattino d'estate, su un campo di volo, cinto tutt'intorno da verdi prati e da fitti boschi.

Sotto l'azione della radiazione solare le varie zone di terreno si ri­scaldano in misura diversa. Sul campo di volo, raso e secco, l'aria raggiunge una temperatura che supponiamo di 23°C. Sui boschi adiacenti, naturalmente più freschi, la temperatura raggiungerà, sempre secondo la nostra supposizione, solo i 20°C, ossia 3°C in me­no che sul campo di volo.

Ebbene, che avverrà? Avverrà che la massa d'aria sovrastante il campo, riscaldata in mi­

sura maggiore dell'aria circostante, si dilaterà più di questa, si farà meno densa e perciò più leggera: sarà quindi sollecitata a salire. Essa si costituirà come una grande bolla costretta ad uscire dal proprio stato di riposo dal fatto che, per la coesistenza di due differenti tem­perature allo stesso livello, è venuto a mancare il primitivo stato di equilibrio.

Ora, il diagramma della figura 15 illustra l'andamento in salita di questa corrente locale isolata, fornendoci i valori delle temperature toccati alle diverse quote, sia dall'aria ambiente, supposta in riposo, sia dall'aria della bolla, messasi in movimento. Si rileva così:

1) che per l'aria in riposo il gradiente termico conserva, dal suolo fino ai 1000 metri, il valore costante di 0,8°C per ogni cento metri e, dai 1000 ai 2000 metri, il valore, pur esso costante, di 0,6°C per ogni 100 metri;

2) che per l'aria in movimento ascendente (rappresentata dall'adia­batica secca), il raffreddamento per espansione adiabatica è costante­mente di 1°C per ogni 100 m.

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Orbene, confrontando le curve di temperatura dell'aria in riposo (temperatura reale) e dell'aria in movimento ascendente, ricaviamo che l'aria sovrastante il campo di volo, supposta di 3°C più calda dell'aria circostante, può salire fino a 1200 metri. A tale quota, anzi, essa possiederà una certa velocità verticale, tanto che, per forza di inerzia, riuscirà a salire ancora un centinaio di metri. Quando, però,

. la sua energia termica sarà esaurita, essa ridiscenderà alla sua quota di equilibrio di 1200 metri - dove la sua temperatura e quella dell'am­biente sono uguali - e qui, dopo alcune oscillazioni si stabilizzerà.

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Simili situazioni meteorologiche sono caratteristiche delle prime ore del mattino in giornate estive e serene. Ora, è interessante consi­derare le condizioni delle ascendenze quali vengono a determinarsi verso il mezzogiorno di una di tali giornate calde e senza nubi. Gli strati atmosferici, per la forte insolazione, si riscaldano notevolmen-

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te e il loro equilibrio, per varie centinaia di metri, è pertanto instabile secco. Dal diagramma temperature-altezza, riportato nella figura 16, rileviamo infatti che l'aria in riposo possiede, fino alla quota di 500 metri, un gradiente termico di l,2°C per ogni 100 metri e che, da tale altezza e fino a 2000 metri, l'atmosfera, possedendo un gradiente ter­mico di 0,8°C, trovasi in equilibrio stabile. Nel caso in esame, per­tanto, una bolla termica in ascesa adiabatica, salirà fino a 1.100 me­tri; e se, per ipotesi, la stessa si leva dal suolo con un eccesso di tem­peratura di 2°C rispetto all'atmosfera dell'ambiente, conserverà la propria energia termica fino alla quota di equilibrio di 2000 metri.

Passiamo ora ad esaminare un caso più complesso: quello di un movimento convettivo, nel quale si produca condensazione. Come abbiamo già notato poc'anzi a proposito della termica secca mattuti-

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na, illustrata nella figura 15, perché in un'atmosfera in stato di equi­librio stabile si generi un movimento ascendente è necessario che una porzione d'aria raggiunga un eccesso di temperatura rispetto alle masse d'aria che la circondano e con le quali è in contatto. Abbiamo anche constatato che, in un caso tale, con un eccesso di temperatura supposto di 3°C, la porzione d'aria ascendente trova la sua quota di equilibrio termico, non avendosi condensazione di vapore, a 1200

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metri. Supponiamo ora che, nelle medesime condizioni di temperatu­ra, si produca condensazione a 900 m. d'altezza. Orbene, l'aria ascendente che fino a tale quota ha subito il graduale raffreddamento indicato dall'adiabatica secca, assorbirà il calore sviluppato dalla condensazione e, accelerando per effetto di auesto il proprio movi-

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mento, continuerà a salire nell'interno della nube secondo la curva segnata dall'adiabatica satura, raggiungendo la quota di equilibrio di 2600 metri. Come si vede, il vapore d'acqua contenuto nell'aria ascendente e il conseguente processo di condensazione hanno fatto superare di 1500 metri il livello massimo che la stessa massa avrebbe potuto raggiungere nel caso di termica secca (Fig. 17). Il migliora-

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mento che il fenomeno della condensazione arreca alle possibilità del volo, è quindi evidente ed importante.

Dagli esempi che abbiamo recati appare che l'uso del diagramma temperatura-altezza nelle indagini aerologiche interessanti il volo a vela riesce di grande utilità. Nella pratica, però, è molto più agevole tracciare l'andamento della temperatura di una determinata massa atmosferica servendosi degli appositi diagrammi termodinamici stampati a cura dei ServiZi Meteorologici, contenendo essi tutti gli elementi necessari per determinare rapidamente lo stato di equilibrio atmosferico, il livello di condensazione delle nubi convettive, il loro sviluppo verticale e così via. Ne riportiamo quindi un esemplare com­pleto di tutti i dati (Fig 18). In esso le linee verticali indicano i valori delle temperature e quelle orizzontali riportano i valori delle pressio­ni. Le linee oblique tratteggiate indicano le adiabatiche secche, men­tre quelle rappresentate da trattini alternati con punti rappresentano le adiabatiche sature. In fine, sul diagramma sono tracciate delle li­nee punteggiate, leggermente oblique, che indicano l'umidità specifi­ca dell'aria satura, espressa in grammi per chilogrammo di aria.

Valendoci ora del diagramma termodinamico più sopra illustrato, cercheremo di risolvere altri problemi pratici interessanti il volo a ve­la e di chiarire alcuni concetti e alcuni termini riferentisi a fenomeni che dovremo più avanti spiegare.

Nella figura 19, la curva PCA rappresenta la temperatura reale, la cosiddetta "curva di stato", che si suppone registrata durante un so.ndaggio aereo eseguito di mattina. Si supponga che sul punto P ri­posi una bolla d'aria dotata di umidità specifica x. Se, ad un certo momento, per sollevamento forzato (quale potrebbe essere determi­nato, ad esempio, dalla irruzione di un fronte freddo) quella bolla si staccasse dal suolo e salisse, essa subirebbe il raffreddamento indica­to dall'adiabatica secca fino al punto B, dove raggiungerebbe la satu­razione. Per effetto del sollevamento forzato, la bolla continuerà a salire, subendo, però, da questo momento, il raffreddamento indica­to dall'adiabatica satura. Il calore liberato dal processo di condensa­zione, intanto, rallenterà gradatamente il raffreddamento dell'aria della bolla, la quale, giunta al punto C non avrà più bisogno di essere sollevata forzatamente, essendo la sua temperatura uguale a quella

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dell'ambiente. È facile capile, pertanto, che la bolla superato il pun­to C, sarà in condizioni di continuare l'ascesa per convezione libera.

A commento di questo ipotetico viaggio della bolla di aria conside­rata, aggiungiamo che, dalla superficie terrestre e fino al punto C, per la stabilità regnante in questo strato inferiore, essa è rimasta sem­pre più fredda dell'aria che la circondava, cosi che, se l'ascesa forza­ta fosse cessata, sarebbe ridiscesa al livello primitivo, a causa della sua maggiore pesantezza. Dal punto C, invece, a causa della libera­zione di calore latente nel processo di condensazione, la bolla ascen­dente ha cominciato ad essere circondata da aria più fredda e solleci­tata a salire, per effetto della spinta aerostatica, fino al punto D, do­ve si sarebbe arrestata per il fatto che, a questo livello, la sua tempe­ratura e la sua densità sarebbero state uguali a quelle dell'aria for­mante l'ambiente. Il punto C del diagramma prende il nome di "Li­vello di convezione libera".

Da quanto si è visto fin qui si deduce che il diagramma termodina-­mico è un mezzo molto utile per il volovelista, a cui permette, non so­lo di determinare i cambiamenti delle condizioni fisiche nelle masse d'aria in movimento verticale, ma anche di determinare la maggiore o minore possibilità che in una certa massa d'aria si sviluppino cor­renti ascendenti. Fissiamo ancora gli occhi, infatti, sulla figura 19. L'area PBC rappresenta l'energia necessaria per far salire la bolla, da noi supposta, dal punto P fino al punto C (livello di convezione libe­ra). Tale zona, dove la bolla è sempre più fredda dell'aria stabile che forma l'ambiente, si chiama "area negativa" e rappresenta anche la resistenza che la bolla incontrerà durante la sua salita forzata. L'area CDC rappresenta invece l'energia liberata dalla bolla durante la con­vezione libera e si chiama "area positiva". La differenza tra le due superfici rappresenta la "energia disponibile". Nell'esempio concre­to della figura 19, l'area positiva appare più grande di quella negati­va: ciò significa che c'è energia disponibile e che correnti verticali po­tranno svilupparsi anche in partenza dal suolo, quando la temperatu­ra atmosferica in superficie avrà raggiunto un valore tale da consenti­re all'aria del suolo di salire liberamente fino al livello di convezione libera. Per conoscere tale valore della temperatura basterà tracciare un'adiabatica secca che, partendo dal punto C, scenda fino alla linea

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che rappresenta la pressione atmosferica al suolo. Il punto E di inter­secazione tra le due linee indica il valore di 25°C, che è appunto quel­lo cercato nel caso supposto.

Un'ultima osservazione: è chiaro che la colonna d'aria sovrastante il punto P può considerarsi stabile, non ostante i lievi impulsi che sin­gole piccole porzioni di essa possono ricevere. Ma se l'impulso è tale che riesca a sollevare una di quelle piccole porzioni (come la bolla dell'esempio addotto più sopra) oltre il livello C, si nota da quel mo-

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Fig. 20

mento un comportamento instabile. In gergo aerologico si dice che, allora, la colonna d'aria è "condizionalmente instabile". Riprenden­do, a questo proposito, gli esempi addotti precedentemente per illu­strare il concetto dei vari stati di equilibrio atmosferico, diremo che la "instabilità condizionale" può essere rappresentata da un pallina

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collocata nella cavità esterna di una sfera, come si vede nella figura 20. La pallina, nel punto A, trovasi teoricamente in condizione di equilibrio stabile, tanto è vero che, se noi la spostiamo di poco verso l'esterno, essa tende a ritornare nella posizione primitiva. Ma, se im­primiamo alla pallina un impulso abbastanza forte da farle superare il limite superiore della cavità B, essa uscirà dalla cavità stessa e con­tinuerà a muoversi, allontanandosi sempre più dalla sua posizione di equilibrio, senza manifestare alcuna tendenza a ritornarvi. L'equili­brio della pallina è, dunque, stabile rispetto alle piccole perturbazioni ed instabile rispetto alle perturbazioni forti: proprio come nel caso di instabilità condizionale nell'atmosfera. La quale, per così dire, fra i numerosi impulsi che agiscono dal basso, reagisce instabilmente sol­tanto ad un certo numero di essi; cioè gli impulsi vengono selezionati. Per questo, tale tipo di instabilità viene anche chiamato "instabilità selettiva''.

È importante notare come il grado di stabilità di una massa d'aria dipenda anche dalla distribuzione dell'umidità. Riprendendo in esa­me, infatti, il caso illustrato nella figura 19 e supponendo che l'aria della bolla P possegga un'alta umidità relativa, il livello di condensa­zione di essa risulterebbe basso e, per conseguenza, l'area negativa PBC risulterebbe piccola e l'area positiva, invece, grande. Con una bassa umidità relativa si avrebbe naturalmente il risultato contrario: livello di condensazione più alto e, di conseguenza, aumento dell'area negativa e diminuzione di quella positiva. Nel caso, in fine, di aria estremamente secca, l'area positiva sparirebbe del tutto e re­sterebbe solo l'aria negativa.

Concluderemo questo capitolo con alcune precisazioni. Per definire l'elevato grado di stabilità o di instabilità di una massa

d'aria, senza specificarne esattamente il gradiente termico verticale, si ricorre spesso ai termini di "stabilità assoluta" o di "instabilità as­soluta". Queste definizioni sono valide sia che si produca o meno la saturazione. Eccone la breve e precisa spiegazione:

a) Una colonna d'aria è "assolutamente stabile" se in essa il gra­diente termièo verticale è minore del gradiente adiabatico saturo.

b) Una colonna d'aria è "assolutamente instabile" se il gradiente verticale della temperatura è maggiore del gradiente adiabatico secco.

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Volendo dare il concetto anche di instabilità condizionale o seletti­va, diremo che si definisce come "condiziona/mente o selettivamente instabile" una massa d'aria il cui gradiente termico verticale sia mag­giore di quello adiabatico saturo o minore di quello adiabatico secco.

Il noto meteorologo norvegese, Sverre Petterssen, suddivide que­sto caso in tre categorie, e precisamente:

I) Il "tipo latente reale", nel quale l'area positiva è maggiore di quella negativa;

2) Il "tipo pseudo latente" nel quale l'area positiva è minore di quella negativa;

3) Il "tipo stabile", nel quale manca l'area positiva.

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CAPITOLO SESTO

IL MECCANISMO DELLA CONVEZIONE TERMICA

L'aria è continuamente in moto: obbedisce cioè anch'essa alla leg­ge generale della vita.

In tale moto, ora predomina la componente orizzontale e allora abbiamo quelli che volgarmente si chiamano "venti", ora predomina la componente verticale e allora abbiamo i "movimenti convettivi'', cioè quelle correnti ascendenti e discendenti che, rimaste poco note fino a non molto tempo fa, ora sono invece largamente studiate per l'importanza grande che esse hanno per il volo a vela. Si deve infatti ad esse una grande parte degli sbalorditivi risultati conseguiti in que­sti ultimi anni, come è alla loro conoscenza ed al loro razionale sfrut­tamento che si connettono per i volovelisti la possibilità e la speranza di raggiungere le mete più seducenti.

In tema di correnti termiche verticali sono molteplici le questioni che si presentano: alcune di indole generale, altre di indole particola­re. Cercheremo di dare alle une e alle altre una risposta, per quanto sta in noi, chiara e completa.

La prima questione da risolvere è quella di determinare le cause che danno origine a moti verticali dell'aria.

Orbene, la causa generale dei moti verticali dell'aria va ricercata nel fatto, già esposto ed analizzato nei capitoli precedenti, che il calo­re solare si distribuisce diversamente sulla superficie terrestre.

Per comprendere come avvenga il fenomeno giova richiamarsi ad una esperienza elementare della fisica. Sotto un vaso di vetro, che contenga una certa quantità d'acqua e qualche pizzico di segatura di legno duro, si ponga un fornelletto acceso. Si può agevolmente osser- · vare quel che avviene sotto l'azione del calore. L'acqua che si trova in fondo al vaso, riscaldata per prima, perché vicina alla sorgente del calore, si dilata. Dilatandosi, diminuisce di .densità e perciò, fattasi più leggera dell'acqua circostante, ancora fredda, viene da questa spinta verso la superficie, ove galleggia, mentre dall'alto, seguendo le

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pareti del vaso, altra acqua discende ad occupare il posto della pri­ma. La segatura, salendo e scendendo, renderà visibili i moti destatisi nella massa d'acqua per effetto del calore, i quali ad ogni momento tendono a ricomporre un equilibrio nuovo. (Figura 21).

Ebbene, non è diverso il fenomeno che avviene nell'atmosfera. Il riscaldamento solare produce in essa una più o meno grande diminu­zione di densità e determina spostamenti di porzioni d'aria verso l'al­to. Ora, siccome il riscaldamento non è uniforme, né nello spazio né nel tempo, ma avviene per dirla con Dante, "in una parte più, e me­no altrove", così al moto che si ha dal basso all'alto in un determina­to luogo, corrisponde un moto dall'alto in basso nelle zone circostan­ti, per effetto del quale masse d'aria fredda affluiscono là, dove sono

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Fig. 21-22

emigrate le masse d'aria calda. Ad esempio, zone contigue e molto li­mitate di terreno possono essere suscettibili di un diverso grado di ri­scaldamento diurno: la sabbia, la roccia, il suolo nudo si riscaldano ed irradiano più calore dei campi, dei boschi, degli acquitrini. Da ciò verranno squilibri di temperatura e di pressione, che si tradurranno in moti verticali, ascendenti nelle zone più calde, discendenti sulle al­tre. Segue da ciò che una attenta osservazione del terreno, sopra il quale si svolge il volo, può fornire al pilota veleggiatore indizi non trascurabili per presumere l'esistenza di correnti verticali, qui ascen­denti, là discendenti; ed è ovvio che di tali indizi si debba tener conto per la condotta del volo.

Tuttavia questo regime di convezione termica è piuttosto "povero". Esso si produce nelle prime ore del mattino, durante

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l'estate od in qualsiasi altra epoca dell'anno, quando esiste una buo­na irradiazione terrestre, e sopra il suolo il vento manca completa­mente. Allora, su piccoli lembi di terreno surriscaldati, l'aria si dila­terà, costituendosi come in grandi bolle costrette ad uscire dal pro­prio stato di riposo dal fatto che, per la coesistenza di differenti tem­perature allo stesso livello, verrà a mancare il primitivo stato di equi­librio. Le bolle d'aria calda, alimentate dall'irradiazione del suolo, si gonfieranno come palloni, fino a staccarsi dalla superficie e salire nel cielo spinte dalla forza aerostatica di Archimede. (fig. 22).

La nota esperienza del contagocce serve perfettamente per illustra­re questo processo. Come tutti sanno, la goccia rimane aderente alla bocca del contagocce finché il suo peso non supera la forza esercitata dalla tensione superficiale della goccia stessa. La quale si comporta come se fosse rinchiusa in una vescica elastica: quando il peso della goccia vince la forza esercitata da tale vescica, essa si stacca dalla bocca del contagocce e cade. Così il liquido esce ritmicamente, con irruzioni periodiche; e le gocce, durante la loro caduta, mantengono il più perfetto ordine. (fig. 23).

Le bolle d'aria calda che si formano su lembi di suolo surriscalda­to, si comportano nello stesso modo. L'aria, grazie alla sua viscosità, aderisce al terreno e prima di staccarsi da esso ed iniziare lascesa, de­ve riscaldarsi quel tanto che basti per vincere quella viscosità che la fa aderire al suolo. (Se questa non facesse sentire la sua forza, l'aria so­vrastante lembi di suolo surriscaldato comincerebbe a salire non ap­pena si determinasse un dislivello - sia pur minimo - di temperatura con l'aria dell'ambiente). Orbene, il contorno delle bolle termiche è costituito da vere superfici di discontinuità, che agiscono come la ve­scica elastica sulla superficie libera della goccia liquida. Di mano in mano che la bolla termica aumenta il volume, acquista sempre più l'aspetto di una sfera, vincolata al suolo, nella sua parte inferiore, per mezzo di un "collo" che va continuamente restringendosi. Sul bordo inferiore di questo collo, in contrapposizione con la forza eser­citata dall'aderenza superficiale che vincola la bolla al terreno, agi­scono altre forze (accelerazioni centripete ed azioni dei vortici super­ficiali che circondano l'anello inferiore del collo) le quali concorrono a staccare la bolla stessa dal suolo. Quando queste forze riescono a

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vincere quella esercitata dall'aderenza superficiale, la bolla si stacca dalla superficie terrestre come ... la goccia dal boccettino della figura 23 e sale. I lembi di terreno che, per la natura dello strato geologico superficiale di cui si compongono, riescono ad acquistare una tempe­ratura superiore a quella del suolo che li circonda (soprattutto quan­do si tratta di modeste estensioni, limitate da un contorno ben defini­to, al di là del quale il salto termico sia brusco e sensibile) vengono ad essere come bocche di altrettanti contagocce, dai quali escono le bolle d'aria calda, il cui volume dipende dal diametro del... contagocce dal quale escono e dal salto iniziale della temperatura.

Fig. 23

Se volessimo esaminare scientificamente il meccanismo della for­mazione e del distacco dal suolo della bolla termica, dovremmo ri­correre al principio della circolazione di Bjerknes, la cui trattazione teorica, pur essendo una semplice conseguenza matematica delle equazioni fondamentali della idrodinamica, richiederebbe molto spa­zio. Riteniamo quindi sufficiente, ai fini pratici che ci siamo propo­sti, quanto abbiamo detto fin qui.

Per quanto riguarda la velocità ascensionale delle bolle termiche, che si staccano durante il mattino da uno stesso punto surriscaldato del suolo, diremo che essa va aumentando parallelamente con l'irra­diazione terrestre. Da velocità di 0,5 metri per secondo, si arriva ge­neralmente a 3-4 metri per secondo nelle ore di maggior irradiazione.

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È facile capire che, di mano in mano che la temperatura al suolo aumenta, le bolle si staccano dalla superficie con facilità via via cre­scente. Dobbiamo rilevare però che, mentre il loro ritmo di produzio­ne va accelerandosi, il volume delle bolle, invece va diminuendo. In altre parole, durante il mattino, quando l'irradiazione del suolo è de­bole, le bolle impiegano maggior tempo a formarsi, acquistando no­tevoli proporzioni e salgono lentamente nel cielo, ben distanziate l'una dall'altra; verso mezzogiorno invece, le bolle termiche si for­mano e si staccano rapidamente dal suolo; ma sono piccole, se pur veloci e frequenti, come i grani di un fantasioso rosario aereo ...

È importante rilevare che lo spazio occupato da una bolla termica ascendente, deve essere immediatamente rioccupato dall'aria circo­stante, mentre dovrà esse.re liberato lo spazio che dovrà occupare la bolla che sale. Pertanto una bolla che sale provoca una corrente di­scendente di compenso, e viceversa.

Secondo una recente teoria di Ludlan e Scorer ("bubble theory"), una bolla termica durante il suo sollevamento, subisce un'erosione che crea nell'aria una "scia", la quale è costituita da un miscuglio della bolla originaria e dall'aria ambientale in cui essa si è sollevata. Le bolle termiche che seguono subito dopo, non saranno pertanto erose come la prima, in quanto le differenze di temperatura e di velo­cità tra queste successive bolle e la scia creata dalla prima, non sono così grandi come quelle tra la bolla originaria e l'ambiente iniziale.

Ora vogliamo richiamare l'attenzione del volovelista su un fatto di grande importanza.

Quando il suolo di una determinata zona è omogeneo (ossia quan­do la sua costituzione geologica, il colore, l'umidità, la specie e la densità della vegetazione non presentano variazioni considerevoli) il riscaldamento di esso avviene in maniera uniforme e lo strato termico contiguo ("strato limite termico") rimane immobile anche per vaste zone.

Il fatto non deve sorprendere, anche se pare in contraddizione con quanto abbiamo detto prima.

In realtà l'aria surriscaldata dello strato superficiale, pur essendo divenuta più leggera di quella sovrastante, non si trova circondata da masse più fredde e quindi più pesanti, che la premano e la sollecitino

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a salire: rimane per ciò aderente al suolo. Insomma, sopra il terreno omogeneo di certe ampie pianure soleggiate, non avendosi quei con­trasti orizzontali di temperatura che costituiscono l'unica causa de­terminante dei moti convettivi nelle giornate di totale calma atmosfe­rica, la formazione delle bolle termiche risulta sommamente difficile.

Né è da credere che una simile condizione si stabilisca soltanto nel­le prime ore del mattino, quando la irradiazione terrestre è piuttosto scarsa; al contrario essa si ha anche nelle ore del pomeriggio, proprio quando il riscaldamento del suolo è molto forte e gli strati inferiori raggiungono una notevole labilizzazione termica. Il fatto è che, in condizioni di equilibrio statico quell'energia cinetica, che può dar origine al movimento verticale di una massa d'aria, esiste solo allo stato potenziale: è, cioè, come dormiente. Per quanto l'instabilità at­mosferica sia grande, tuttavia le masse d'aria, se non intervengono cause perturbatrici esterne, tendono per se stesse a permanere in ripo­so. Soltanto quando il gradiente termico assuma un valore superiore a 3,416° C (detto gradiente isosterico) si determina una spontanea circolazione verticale. Si ha cioè il fenomeno dell'autoconvezione: proprio degli strati prossimi al suolo, nelle giornate molto calde. Es­so, pur investendo lo strato limite termico assume la forma di sottili filetti d'aria calda che sale e di filetti d'aria fredda che scende. Si ha cosi una vivace microcircolazione, che si svolge tra il suolo e i 10-15 metri d'altezza e che, come è facile capire, non offre nessuna risorsa al volo a vela. Perché questo strato di aria esca dallo stato di labile equilibrio in cui si trova, ha bisogno che intervenga una causa capace di turbare il suo riposo, sollevandolo o abbassandolo rispetto al suo presente livello: allora tutta la massa si metterà in movimento verso l'alto.

Sulla superficie terrestre esistono innumerevoli ostacoli, che posso­no provocare l'agitazione, il rallentamento, il sollevamento o l'ab­bassamento delle masse d'aria. Bisogna però aggiungere che tali osta­coli, da soli, non riescono a provocare il moto della massa d'aria se non con il concorso del vento. Se non soffia il vento, gli strati d'aria rimangono stagnanti sul suolo; i movimenti convettivi si riducono al­la formazione - sempre che le condiziop.i del terreno vi si prestino - di qualche bolla termica isolata.

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È il vento, in effetti, che provoca lo spostamento ed il rimescola­mento dello strato limite termico contro i piccoli e grandi ostacoli ter­restri e dà luogo ai movimenti verticali per azione orografica; è il ven­

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to che, correndo sulla superficie terrestre, produce nell'aria quel­le differenze d'attrito che deter­minano la formazione delle cor-renti ascendenti per azione tur­bolenta; è il vento che, sulla ter­ra, con le sue irruzioni d'aria fredda dà luogo ai movimenti ascendenti per azione frontale; è il vento, infine, che, negli alti strati dell'atmosfera, con le sue invasioni d'aria fredda sopra l'aria calda, provoca delle cor­renti termiche d'altezza di cui avremo occasione di parlare nel corso di questa trattazione.

Il Prof. Walter Georgii, pa-dre della meteorologia voloveli­stica, fu il primo a studiare le

· diverse cause che possono con­correre a determinare la trasfor­mazione dell'energia latente in una stratificazione instabile e a metterla in azione, dando co­sì inizio ed impulso alle corren­ti termiche ascendenti. Fra ta­li cause risolutive della labilità termica indicheremo ora quelle

Fig. 24 che più comunemente si presen­tano:

1) Il sollevamento di masse d'aria in lento movimento orizzontale lungo ostacoli orografici (quali sono, ad esempio, le catene montuo­se, i dislivelli del suolo, ecc.) (Fig. 24).

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2) Il brusco aumento d'attrito, che si produce quando una massa d'aria trascorre dal mare alla terra, o da terreni scoperti a terreni bo­scosi (Fig. 25) o da campagne aperte e piatte, alle masse di edifici co­stituenti gli aggregati urbani (Fig. 26). o quando in seno all'atmosfe­ra vengono a contatto masse d'aria trascorrenti in direzioni o con ve­locità diverse (formazioni di termiche d'altezza per azione turbolenta);

3) Lo sfociare di masse d'aria, correnti tra le alte rive di canali o di fossati o tra i versanti di strette valli, sulle pianure aperte, ove l'aria sia meno calda. (Fig. 27).

Fig. 25

4) Le irruzioni di aria fredda, che accompagnano i fronti tem­poraleschi, entro masse d'aria calda, nel qual caso quest'ultima è spinta verso l'alto dall'azione premente della prima, più densa e quindi più pesante.

A questo proposito, però, apriamo una parentesi per avverti­re che la superficie frontale di una massa d'aria fredda in movimento non ha spesso come sua causa uni­ca la penetrazione di un cuneo d'aria densa in una massa d'aria meno densa: può averne anche un'altra, e precisamente questa che, mentre la cappa d'aria in con­tatto con la superficie terrestre continua a riscaldarsi per irradia­zione, a volte, sul fronte del tem­porale, avanza in alto, un cuneo d'aria fredda che provoca il gra­duale raffreddamento delle cappe atmosferiche superiori.

Come conseguenza di questi opposti fenomeni si determina allora nello strato d'aria intermedio un elevato gradiente termico verticale e quindi uno stato di grande instabilità che si risolve in energici movi-

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Fig. 26

menti termo-convettivi in tutta la zona prefrontale. Orbene, a questi moti ascendenti termici, che potremmo dire "liberi", si somma l'al­tro moto ascendente, che potremmo invece dire "forzato", prodotto dalla penetrazione d'aria fredda nella cappa inferiore, che viene così sollevata; questa situazione perdura finché la superficie frontale avanza, dando vita e vigore a sempre nuove correnti ascendenti. (Fig. 28).

VENTO

Fig. 27 75

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Abbiamo visto dunque, che la labilizzazione termica dell'atmosfe­ra non si produce soltanto col riscaldamento dal basso prodotto dall'irradiazione terrestre, ma anche col raffreddamento dall'alto. In effetti, se si tien conto del fatto che il fattore determinante della labi­lizzazione atmosferica è un elevato gradiente termico verticale, è faci­le capire che una massa d'aria può raggiungere l'instabilità non solo col riscaldamento dal basso ma anche col raffreddamento dall'alto. L'atmosfera è quindi un'enorme macchina termica, alimentata da due sorgenti produttrici di energia: una sorgente calorifica sulla su­perficie terrestre ed una sorgente refrigerante nelle alte regioni della troposfera. Se si pensa che in una calda giornata estiva, a 3-4.000 me­tri d'altezza si ha una temperatura sotto zero, si comprende come la rapidità della diminuzione della temperatura con l'altezza sia un ele­mento di grande importanza per gli scambi di energia tra l'alto e il basso: scambi di energia di cui il volo a vela si avvantaggia, sfruttan­do quelle ascendenze termiche che ne sono il risultato. Le quali, poi, saranno tanto più intense e numerose quanto più forte sia il riscalda­mento delle cappe d'aria inferiori e più intenso il raffreddamento del­le cappe superiori.

Chiudiamo la parentesi che abbiamo aperto per chiarire il f enome­no della labilizzazione termica dell'atmosfera per raffreddamen­to dall'alto, e continuiamo con l'argomento principale di questo capitolo.

Ci si potrebbe rivolgere una domanda: Le ascendenze termiche, quando soffia vento in superficie, assumono sempre la forma di bolle di aria calda, o assumono anche altre forme?

Per rispondere compiutamente a questa domanda, è bene prospet­tare due casi:

1) Quando il vento è debole e lo strato termico, per essere l'irradia­zione terrestre scarsa, è di poco spessore, l'aria superficiale surriscal­data viene dal vento convogliata a ridosso degli ostacoli che incontra lungo il suo cammino, e qui gradatamente si accumula e - sia pure con una certa lentezza, per essere poca la sua quantità - forma una bolla termica, che ad un certo punto per le cause già illustrate, si stac­cherà dal suolo e salirà verso l'alto.

2) Quando invece pure avendosi debole vento, si avrà una forte ir-

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radiazione terrestre, per aver la temperatura raggiunto il suo culmi­ne, e lo strato termico avrà pur raggiunto uno spessore assai notevo­le, allora il processo di formazione delle bolle d'aria calda contro gli ostacoli del suolo si farà sempre più rapido: il cielo si popolerà di esse come di un rosario invisibile; le ultime a formarsi (più piccole, ma più veloci) raggiungeranno le prime e si mescoleranno con esse. Da questo momento le bolle termiche avranno perduto la loro individua­lità e il regime termoconvettivo risulterà notevolmente modificato. Il vento infatti riuscirà a convogliare contro gli ostacoli del suolo sem­pre maggiori quantità di aria calda, la quale si staccherà dal suolo,

Fig. 28

non più in forma di bolle, ma in forma di colonne ascendenti con dia­metro variabile (da 100 a 1500 metri ed anche più) rivestite di un gu­scio formato di aria molto turbolenta, intorno al quale scendono i fi­letti d'aria fredda che completano la circolazione atmosferica.

Se il vento, anzi che debole, sarà piuttosto forte, non saranno allo­ra solamente i grandi ostacoli del suolo a provocare la formazione di colonne ascendenti d'aria calda, ma lo saranno anche modeste rugo­sità del suolo, poiché queste basteranno a produrre quell'aumento brusco di attrito e quella turbolenza che, come s'è detto addietro so­no le cause determinatrici di moti ascendenti.

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Non bisogna credere, però, che il vento possa soffiare senza limiti di velocità. Al contrario, esistono limiti ben definiti, entro i quali la convezione termica si organizza nell'una o nell'altra forma. Mentre ci riserviamo di trattare compiutamente questo punto quando verre­mo a parlare della teoria cellulare terinoconvettiva, diremo che l'esperienza ha dimostrato che il vento, fino a velocità di sei metri al secondo non disturba la formazione dello strato termico limite sulla superficie terrestre e che, pertanto, le correnti ascendenti possono svilupparsi normalmente. Ma se quella velocità viene sorpassata, la formazione dello strato limite termico si fa sempre più difficile, tanto che, quando raggiunge i tredici metri per secondo, essa risulta addi­rittura impossibile, come pure impossibili risultano quei movimenti termici in "cilindro", df cui abbiamo fin qui parlato. In tali casi, pe­rò, la circolazione termoconvettiva può organizzarsi in grandi rulli paralleli alla direzione del vento, a volte resi visibili nel cielo da lun­ghe e ben ordinate file di nubi cumuliformi. Ma di questo fenomeno, che ha grande importanza per i voli veleggiati di distanza, parleremo a suo tempo. Per ora riteniamo importante richiamare l'attenzione dei volovelisti sui tre regimi termoconvettivi fin qui studiati, che ab­biamo cercato di sintetizzare nella figura 29 data l'importanza che ri­veste la loro esatta conoscenza per una saggia condotta del veleggia­mento soprattutto nelle giornate di termica secca, od in quei momen­ti critici, in cui il pilota dopo aver smaltito molta quota in volo libra­to, ormai vicino al suolo, cerca affannosamente una termica amica che lo riporti in alto per poter proseguire il volo.

Quanto abbiamo fin qui accennato sulle cause determinatrici dei movimenti verticali di carattere termico trova ampia conferma in nu­merose esperienze condotte in Germania, fin dal 1930, dall'eminente meteorologo Prof. Walter Georgii, che si valse soprattutto di pallon­cini sonda, staticamente equilibrati, il cui cammino nell'atmosfera veniva seguito con due teodoliti disposti agli estremi di una base mi­surata.

Ad esempio, la figura 30 rappresenta la traiettoria seguita da un palloncino lanciato, il I 0 aprile 1930, da un aeroplano che volava all'altezza di 500 metri, sopra un terreno piano: è il caso di una cor­rente termica ascendente, originata dall'aumento d'attrito e dell'ac-

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CALMA

Fig. 29

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cumulazione che l'aria riscaldandosi sopra un prato raso, subisce quando, spinta dal vento, incontra un bosco.

Il fenomeno si spiega così. Al margine di questo, per la disconti­nuità del terreno su cui lo strato limite termico scorre (da prato raso a bosco), si produce una accumulazione d'aria surriscaldata, dovuta a quel brusco aumento d'attrito, che abbiamo più sopra indicato come una delle cause determinatrici, dei moti ascendenti. Numerose espe­rienze eseguite dallo scrivente sull'aeroporto di La Cruz, in Argenti­na, durante giornate in cui si avevano stratificazioni labili in superfi­

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Fig. 30

cie e leggero vento da N.E., dimostrano la co­stante accumulazione

n d'aria fortemente riscal­data contro le pareti di una aviorimessa, contigua ad un prato aperto, e la per­manente formazione di una corrente ascendente termica, messa in evidenza dal sollevamento dei pal­loncini pilota staticamente equilibrati che venivano li­berati qualche centinaio di metri dall'aviorimessa (Fig. 31 a. b. c. d.).

Di particolare interesse riescono per i volovelisti i fenomeni osservati ed a­nalizzali dal Prof. Geor­gii, mediante palloncini pilota, sottovento a pen­dii montani. Contraria­mente a quanto s'era fino a qualche tempo addietro i:i generale creduto, fu possibile accertare che le

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ascendenze termiche generate dal sollevamento di masse d'aria tra­scorrenti in lento movimento orizzontale lungo i pendii montani, non hanno sempre inizio al vertice della montagna, nella zona sopravven­to, ma anche nel versante sottovento. Un convincente documento di tale fenomeno ci è fornito appunto dalle traiettorie descritte dai pal­loncini lanciati dal Georgii lungo i pendii montani della Rhon, in giornate con leggero vento da settentrione: i sondaggi permisero di ri­levare che le piu forti ascendenze erano localizzate sui versanti dei pendii posti sottovento. In base pertanto a quelle osservazioni si può concludere che, in giornate con situazioni atmosferiche stabili e ven-. to leggero, i pendii montani costituiscono la causa che determina la rottura dell'equilibrio esistente e la formazione di correnti termiche

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ascendenti, e che il versante sottovento è la zona su cui si localizzano le correnti d'intensità maggiore (Fig. 32). Quando invece l'atmosfera è instabile, l'innesco dell'ascendenza ha luogo sulla verticale della li­nea di cresta od anche lungo il pendio montano di sopravvento.

A questo punto ci sembra interessante rilevare che, per generare correnti ascendenti in una stratificazione atmosferica instabile (cioè in una massa d'aria nella quale la temperatura diminuisca con l'altez­za più di un grado ogni cento metri) non è indispensabile che l'aria sia inizialmente più calda di quella che costituisce l'ambiente. In tal caso l'intervento di una causa esterna che turbi l'equilibrio della mas­sa in riposo è sufficiente per determinare l'ascesa. Difatti, un debole vento orizzontale che, come abbiamo visto, sollevi inizialmente gli

strati superficiali instabili, lungo __ sr..._ _ _.r • i pendii montani di una collina, è

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Fig. 32

renti termiche ascendenti; le qua-li, pur essendo di moderata in­tensità, possono tuttavia permet­tere ad un aliante di buone carat­teristiche di veleggiare anche in quelle giornate in cui l'irradia­zione del suolo è praticamente trascurabile. Questo fatto spiega le misteriose correnti termiche della stagione invernale e delle

ore notturne. È facile capire, che in tali condizioni, si rende indi­spensabile il sollevamento iniziale delle masse instabili e che soltanto i pendii montani possono provocare il mpvimento ascendente, non essendo, in questo caso, sufficiente l'azione dei piccoli ostacoli disse­minati nelle pianure.

Per completare la nostra rapida rassegna sulla genesi e sulla strut­tura delle correnti di origine termica, ci resta ora da illustrare quel re­gime di grande convezione che caratterizza certe caldissime giornate estive, od anche quelle .situazioni atmosferiche in cui una massa d'aria fresca invade una regione dove il suolo possiede una tempera­tura superiore a quella dell'aria (situazioni postfrontali).

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In ambo i casi per la forte irradiazione del suolo, si determina negli strati superficiali un elevato gradiente termico. Nei punti più aridi del suolo, dove la temperatura dell'aria è superiore a quella dell'aria cir­costante, si producono spesso notevoli cadute di pressione, che dan­no luogo al repentino richiamo delle masse circostanti. La conver­genza concentrica di quest'aria produce una corrente ascensionale, la cui velocità di salita dipende dal salto di temperatura fra l'interno e l'esterno della colonna ascendente. Le distese aride e steppose sono par­ticolarmente favorevoli alla formazione di queste trombe aeree, che spesso assumono notevoli estensioni e persistono per molto tempo.

Chi scrive ha avuto modo di osservare in forma insolita questo fe­nomeno nell'estate dell'anno 1952 durante il IV Concorso Nazionale Argentino di Volo a Vela, svoltosi in Trenque Lauquen, sul limitare della sconfinata Pampa bonaerense. Quell'anno la zona era afflitta da una eccezionale siccità, la quale, durante sette interminabili mesi, trascorsi senza che una sola goccia d'acqua cadesse dal cielo, aveva trasformato quelle fertili pianure, in una desolata distesa di erbacce secche e polverose. Ogni mattino quando l'azione del sole bruciante aveva distrutto l'inversione termica che si produceva durante la notte per il raffreddamento del suolo, cominciavano a sorgere, da ogni do­ve, vorticose colonne di polvere, che si innalzavano rapidamente nel cielo ed aumentavano di diametro a vista d'occhio, mentre il vento del Nord le portava lontano nella Pampa. Si trattava di potenti ascendenze termiche rese visibili, fin dall'inizio, dall'improvviso sol­levamento di vortici di polvere, il cui diametro iniziale variava tra i due ed i dieci metri. Il senso di rotazione dei vortici era quasi sempre destrorso, benché spesso siano state osservate anche rotazioni sini­strorse.

Ricordiamo di sfuggita, che tale rotazione non è dovuta alla forza deviatrice di Coriolis (la cui influenza, dato il piccolo diametro ini­ziale della tromba è praticamente trascurabile), bensì al fatto che la affluenza dell'aria nel punto di formazione della tromba avviene in forma asimmetrica. È appunto tale asimmetria che trasforma il moto convergente in movimento rotàtorio ascendente; il quale, a seconda delle circostanze, assume un andamento destrorso o sinistrorso.

Il minimo di pressione che si stabilisce alla base della tromba, fa

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affluire l'aria calda circostante, che alimenta così ininterrottamente il moto ascendente delle colonne (Fig. 33). Le quali, una volta formate si spostano nel letto del vento, che le fa più o meno inclinare nella di­rezione di avanzamento, a causa dell'aumento di velocità che il vento stesso subisce con l'altezza.

Le polverose colonne ascendenti osservate da chi scrive, nella Pampa argentina, conservavano la propria individualità fino all'al­tezza di 1800 metri. I piloti vi riscontrarono ascendenze massime di 8 metri per secondo. Le masse d'aria che, discendevano al largo di que­ste trombe per compensare le correnti ascendenti erano animate da un moto più lento (discendenze massime riscontrate: 5 metri per se­condo). Tuttavia esse presentavano una notevole turbolenza.

Il diametro massimo raggiunto da una di queste trombe, fu stima­to in circa 600 metri. Il loro diametro normale, variava, però, fra i 50 ed i 400 metri. Qualcuna di queste trombe presentava l'aspetto dei "tornados", pur avendo ben diversi caratteri. Le trombe, infatti, so­no generate ed alimentate dall'aria surriscaldata del suolo, mentre i tornados traggono origine ed energia dagli strati aerei al livello dei· nembi temporaleschi.

Va rilevato che nella fase di formazione, quando una colonna vor­

Fig. 33

ticosa incontrava lungo il suo cammino un ostacolo di notevoli dimensioni (case, gruppi di pian­te, ecc.), si staccava dal suolo ed ascendeva nel cielo come una co­mune bolla termica. Le colonne che riuscivano, invece, a consoli­dare la loro formazione, conti­nuavano la loro marcia verso il Sud per molti chilometri e si staccavano dalla superficie sol­tanto se venivano a contatto con un suolo meno caldo (corsi d'ac­qua, boschi, ecc.). In tal caso, al­la base delle colonne si registrava un aumento della pressione at-

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mosferica e la cessazione dei moti convergenti orizzontalmente, con il conseguente distacco dal suolo. (Fig. 34).

Di passaggio diremo che una recente teoria considera il moto con­tinuo di queste correnti termiche organizzate in potenti cilindri d'aria calda che penetrano nell'atmosfera ("jet theory"), mantenendo sot­to le nubi cumuliformi da essi generate, una sorgente costante di ca­lore e di umidità. L'ipotesi di correnti d'aria ascendente più lenta e meno turbolenta del "getto" sopra menzionato - per analogia con un pennacchio di fumo - ha dato poi origine a un'altra teoria: la "piume theory''.

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Fig. 34

Concluderemo quanto abbiamo fin qui detto circa le cause generali e particolari dei moti termoconvettivi dell'aria, notando che l'attenta osservazione del terreno sopra il quale si svolge un volo veleggiato, può fornire al pilota indizi non trascurabili per sospettare l'esistenza di correnti verticali, qui ascendenti, là discendenti. È ovvio, tuttavia, che tali indizi non vanno presi da soli, ma devono essere interpretati alla luce di altri fatti. Vogliam dire che non basterà, di regola, un'oc­chiata superficiale al terreno per dedurne come conseguenza necessa­ria la presenza di correnti vertieali, ma bisognerà tener conto anche di altri fattori che possono entrare in giuoco e far sentire la loro in-

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fluenza. Per esempio il vento farà divergere più o meno dalla vertica­le del luogo le colonne ascendenti, ed il pilota veleggiatore non trove­rà le correnti che cerca e di cui ha bisogno su quella verticale, ma più o meno lontano da essa, a seconda della forza e della direzione del vento.

Fin dal 1938, il Prof. Georgii, studiando coi suoi collaboratori del D.F.S. le correnti termiche organizzate in colonne ed i campi delle velocità verticali ad esse associati, rilevò come la struttura di tali ascendenze fosse molto più complicata di quanto comunemente allo­ra si credesse.

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Fig. 35 Fig. 36

Le esperienze di volo compiute in quell'anno dall'.Ing. Pielsticker a Darmstadt, a bordo di un "Kranich" dotato di speciale strumenta­zione aerologica, acconsentirono al Prof. Georgii di ricavare diverse sezioni verticali di tali ascendenze.

La figura 35 ne riporta una tra le più rappresentative. ~n essa si no­ta come la parte centrale della termica sia costituita da un nucleo ani­mato da maggiore velocità ascensionale e come tutta la zona che cir­conda l'aria calda ascendente sia interessata da un vasto campo di di­scendenze.

Orbene, tra 1.700 e 2.100 metri di quota, si nota (a sinistra dell'ascendenza) una "lingua" d'aria discendente con velocità di -2m/sec. Tale corrente discendente investe di lato la colon­na ascendente modificandone la struttura e facendone assumere la

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caratteristica forma di "gomito" visibile alla quota di 1. 700 metri. È facile rendersi conto che un aliante, in volo veleggiato nella zona

interessata da questo "gomito" alla citata quota di 1. 700 metri cesse­rebbe improvvisamente di salire.

Questo fenomeno si presenta più frequentemente quando le termi­che risultano inclinate dalla maggiore intensità del vento in quota. In tal caso il "gomito" si forma sempre sopravvento alla colonna ascen­dente.

Come ci si deve comportare quando si arriva alla sommità del "go­mito"?

Ecco. Mettersi col vento in coda, imprimere velocità all'aliante ed aspet­

tare fiduciosi... per 15-20 secondi. L'ascendenza amica non si farà attendere di più.

La manovra è facile, e lo sarà maggiormente se le correnti ascen­denti san1.nno coronate da formaiioni cumuliformi. Anche in tal ca­so, mettersi col vento in coda e puntare verso il cumulo. (Fig. 36).

L'utilizzazione delle termiche "secche" presenta qualche difficoltà essendo queste ascendenze assolutamente invisibili. ~l pilota deve qqindi tener l'occhio a tutte le minime cose che possono essere indi­zio di correnti ascendenti. Così ad indicare la strada ai volovelisti so­no spesso gli uccelli veleggiatori e anche rondini, farfalle e foglie sec­che, poiché la sola osservazione del terreno, specialmente se si vola· molto in alto e con vento forte, può indurre il pilota in errore. ~ni­ziando il volo, sganciarsi dal rimorchiatore soltanto quando si abbia ben individuato una corrente ascendente.

Lo sfruttamento delle correnti termiche - secche od umide - impo­ne il volo a spirale. Il pilota terrà pertanto l'occhio al variometro. Ve­locità dì discesa normale? Dunque, aria quieta. Ad un tratto però il variometro indica che il velivolo sale. Si è entrati, quindi in zona di ascendenza. Bisogna pensare a non uscirne, ma a sfruttarla sino ai li­miti del possibile. Che fare? Una virata stretta dalla parte dove si sol­leva l'ala e sempre fisso l'occhio al variometro. Esso continua ad in­dicare salita? Segno dunque che siamo dentro l'aria ascendente. Con­viene allora allargare progressivamente la spirale, finché il variome­tro non segnali una diminuzione della velocità, il che vorrebbe dire

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che probabilmente siamo sui margini estremi della colonna ascenden­te. Compiuta questa esplorazione, non sarà difficile calcolare il rag­gio della spirale che dobbiamo compiere per mantenerci nel "cuore" dell'ascendenza e lasciarci portare da essa verso l'alto, con la miglio­re velocità ascensionale. A seconda della intensità e dell'ampiezza della termica bisogna agire sui comandi più o meno rapidamente; se l'ascendenza è stretta l'entrata in spirale sarà rapida e stretta; se inve­ce è ampia conviene entrare in spirale più lentamente ed adottare un maggiore raggio di virata. Nelle termiche strette, dopo aver messo l'aliante in spirale allargare progressivamente la virata sino ad otte­nere la massima velocità ascensionale. Nelle termiche ampie, dopo aver messo l'aliante in spirale a grande raggio, stringere progressiva­mente la virata per vedere se esiste la possibilità di una salita più rapi­da. Se il variometro indica prima un valore positivo poi un valore ne­gativo significa che l'aliante è uscito dall'ascendenza, oppure che il pilota effettua irregolarmente la spirale. In tal caso cambiare il senso di rotazione e stringere la spirale fino a quando il variometro indichi nuovamente un valore positivo. Successivamente centrare la termica per ottenere il massimo valore ascensionale.

Come vedremo nei prossimi capitoli, gioverà molto al pilota anche l'osservazione del cielo, in quanto la presenza o l'assenza di nubi convettive e il loro particolare aspetto possono rivelare la presenza di moti ascendenti, che per il volo sono preziosi. E quando non soccorre l'osservazione, poiché a volte le ascendenze termiche amano cingersi di mistero, potranno giovare l'esperienza del pilota e la lettura degli strumenti di bordo: risorse indispensabili per avvertire ogni mutazio­ne nell'andamento del volo.

Concludendo quanto abbiam detto sullo sfruttamento delle cor­renti termiche, completiamo il capitolo con un cenno alla miglior tec­nica di volo da adottarsi nelle gare di velocità.

Nel numero 7 di "Flug-Revue" del luglio 1959, il volovelista tede­sco Heinz Brock riferisce che durante il Campionato Mondiale di Vo­lo a Vela, svoltosi in Polonia nell'estate 1958, il campione Haase, fe­ce questa interessante constatazione.

Durante una gara di velocità, volando dietro due "Meteor" (fa­moso veleggiatore iugoslavo), notò che questi alianti, pur mantenen-

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dosi inizialmente più bassi del suo "HKS", alla fine di ogni traverso­ne si trovavano quasi sempre a quota superiore e con maggiore velo­cità.

Come poteva avvenire ciò? Ben presto Haase potè svelare il mistero. I piloti iugoslavi conti­

nuavano a spiralare in ascendenza fino a quando i loro variometri non indicassero un notevole indebolimento della salita. A questo punto (ammettiamo con mezzo metro a salire) i piloti aumentavano gradatamente la velocità anemometrica, sino a stabilizzare i variome­tri sullo zero: la debole e non più conveniente ascendenza veniva così trasformata in velocità orizzontale prima di iniziare il traversone. In tal modo, gli alianti abbandonavano il volo circolare a forte andatu­ra, superando rapidamente la zona di discendenza che circonda sem­pre le colonne ascendenti.

Si tratta, senza dubbio, di una tecnica intelligente e vantaggiosa, soprattutto durante le gare di velocità dove il fattore tempo gioca un ruolo essenziale. È facile capire, infatti, che spiralando sino all'ulti­mo centimetro di ascendenza, si perdono minuti preziosi; ci si mette in rotta con velocità relativamente bassa, iniziando lentamente l'at­traversamento delle discendenze e smaltendo così la quota faticosa­mente guadagnata nelle ultime spirali.

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CAPITOLO SETTIMO

LE INVERSIONI TERMICHE, LE BREZZE DI MARE, I FRONTI DI BREZZA

E LE LINEE DI CONVERGENZA

Nel capitolo dedicato allo studio della temperatura notammo già che la legge del suo progressivo abbassarsi col parimenti progressivo aumentare dell'altezza subisce spesso delle importanti infrazioni, co­stituite dalle così dette "inversioni termiche". Dicemmo pure già in che cosa queste con~istano e perciò, qui, non ci ripeteremo. Quello, invece, che occorre sottolineare è l'importanza che il fenomeno rive­ste per il volo veleggiato. _Infatti sia le inversioni vere e proprie di temperatura, sia gli strati di temperatura costante (isotermia) sono molto stabili e si comportano come membrane elastiche, che divido­no l'atmosfera in compartimenti, dei quali esse costituiscono gli stra­ti separatori. _I movimenti verticali dell'aria, perpendicolari a tali strati, risultano pertanto frenati elasticamente.

Cominceremo il nostro studio sulle inversioni termiche con un cen­no al fenomeno dell'abbassamento di strati d'aria di grandi propor­zioni: fenomeno, che in meteorologia prende il nome di "subsidenza" e che ha importanza grandissima per il volo a vela.

Sappiamo già che il movimento discendente di una massa d'aria ne determina la compressione e, conseguentemente, il riscaldamento adiabatico. Questo fenomeno, quando l'abbassamento dello strato d'aria sia sufficiente, può dar luogo alla formazione di importanti in­versioni della temperatura, che prendono il nome di "inversioni di subsidenza". Il fenomeno assume un interesse ancor più notevole, quando l'abbassamento dello strato d'aria è accompagnato da diver­genza orizzontale di venti, che danno luogo a fughe laterali d'aria le quali diminuiscono così lo spessore dello strato medesimo.

Questo fenomeno si produce generalmente nella zona centrale de­gli anticicloni, e perciò si sente parlare in meteorologia di "inversioni di subsidenza anticiclonica'', con il quale termine si vogliono indica-

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re appunto le caratteristiche inversioni termiche, accompagnate da alta pressione, dovute all'abbassamento di vasti strati d'aria. In tali casi, come vedremo ampiamente più innanzi, la compressione degli strati che si abbassano riscalda notevolmente l'aria, tanto da provo­care la vaporizzazione delle stille d'acqua costituenti le nubi (che si siano potute formare sotto l'inversione di subsidenza) fino al punto di dissolverle completamente o, almeno, di diminuirne notevolmente il naturale sviluppo. Questa è appunto la ragione per cui le situazioni anticicloniche traggono quasi sempre con sé tempo buono e cielo se­reno, popolato talvolta da quei candidi cumuli, definiti "del bel tem­po", che hannÒ poco sviluppo in senso verticale e la etti sommità se-

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Fig. 37

gna proprio il limite inferiore dell'inversione di subsidenza. (Fig. 37). Per i fini pratici che ci proponiamo di raggiungere con il nostro

studio riteniamo utile riportare nella figura 38 un diagramma che il­lustra appunto un caso di inversione termica, presentatosi tra i 1300 e i 1500 metri, sopra una stratificazione atmosferica secca e instabile. Come si rileva dal diagramma, la temperatura della zona compresa fra tali quote, anzi che diminuire con l'altezza, aumenta, invece, di 3 °C per ogni 100 metri. Si rileva inoltre che, dal suolo fino a 800 me­tri, il gradiente termico è di l,l°C per 100 metri, mentre da questa quota fino a 1300 metri (livello dell'inversione termica) esso è di

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0,6°C per 100 metri. In condizioni atmosferiche di tal genere, una bolla termica isolata che parta da terra con una temperatura ecceden­te di 3°C quella dell'aria ambiente, verrà bloccata appunto alla quota di 1350 metri dalla inversione termica ivi esistente.

Durante le giornate estive, nelle zone temperate il fenomeno dell'inversione termica è abbastanza frequente. Se ne ha un indizio visibile nella presenza nel cielo di cumuli isolati e piatti, la cui sommi­tà segna appunto il livello da cui inizia l'inversione (Fig. 39). Lo svi-

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Fig. 38

luppo verticale di tali nubi è contenuto pertanto in limiti assai mode­sti e i voli veleggiati, in tali giornate, non possono oltrepassare l'al­tezza di 2000-2500 metri. In compenso, però, le ascendenze fino a ta­le quota sono di regola abbastanza forti. Nelle zone tropicali e sub­tropicali (comprese tra i 10° e i 30° di latitudine) le inversioni termi­che permangono durante intere stagioni, a quote di 2000-3000 nietri. È pertanto erroneo credere che, in tali regioni per il forte riscalda­mento degli strati inferiori, le possibilità di veleggiare su correnti ter-

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miche siano illimitate: in realtà, quelle correnti, per lunghi periodi dell'anno, risultano bloccate nella loro spinta ascendente dagli strati di sbarramento costituiti dalle inversioni termiche permanenti. Le quali per di più, sono la causa principale delle ostinate siccità che af­fliggono tali regioni, perché ostacolano la formazione e lo sviluppo delle nubi convettive.

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Fig. 39

Temperatura

Esperienze e studi confermano costantemente le conclusioni surri­ferite. Così, ad esempio, le osservazioni effettuate, nell'aprile 1939, sul litorale libico e nell'adiacente zona desertica, da una missione scientifica tedesca guidata dal Prof. Georgii, rivelarono l'esistenza di inversioni termiche stabili, che limitarono costantemente l'altezza dei voli degli alianti che presero parte alle prove. II 2 aprile ad Homs, nel corso di un sondaggio, il meteorografo registrò. un 'inversione termi­ca alla quota di 1500m. (Fig. 40) ed infatti quel giorno, nessuno dei quattro veleggiatori levatisi in volo riusci a superare quel limite. II 12

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aprile a Garian, vari sondaggi rilevarono che lo strato di inversione bloccava le ascendenze tra i 1800 e i 2200 metri d'altezza (Fig. 41), e anche quel giorno, i voli veleggiati rimasero limitati alla quota donde iniziava l'inversione.

La figura 42 ci mostra invece, un caso di inversione termica vicina al suolo: caso che si osserva frequentemente, quando la temperatura del terreno si trova ad essere inferiore a quella dell'aria che lo sovra­sta, come accade nelle nott,i calme e serene, allor che, per Homs 2-lV-39 la forte irradiazione terrestre, il suolo e gli strati d'aria ad ....... esso prossimi si raffreddano molto e la calma regnante JHO

nell'atmosfera non consente il consueto rimescolarsi delle masse d'aria. Col sorgere del sole, però, tali strati di inver­sione vengono presto distrutti per il progressivo riscaldarsi del suolo e dal conseguente riattivarsi delle correnti aeree.

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S'intende facilmente che, d'in- Fig. 40

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verno e quando il sole è debole o manca del tutto, queste inversioni si hanno con maggiore frequenza e durano più a lungo.

Per poter stabilire l'ora, in cui l'irradiazione terrestre riuscirà ad eliminare un'inversione termica esistente al suolo, bisognerà tener conto dell'andamento della temperatura durante il giorno. Benché tale andamento sia diverso, a seconda della stagione e dello stato del tempo, si può, come regola generale asserire che la temperatura, in un giorno chiaro d'estate, dall'ora della "minima" all'ora della "massima", subisce un aumento di l l-13°C. Il grafico riportato nel­la figura 43 rappresenta appunto l'andamento della temperatura nel­le diverse ore del giorno e può servire, sia pure in misura solo appros­simativa, a determinare il tempo occorrente per eliminare un'inver­sione termica gravante, nelle prime ore del mattino., sul suolo. La fi­gura 44 illustra poi un caso particolare: mette cioè, in risalto come è

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avvenuta la progressiva di­struzione di una di tali carat­teristiche inversioni, a comin­

ciare dalle 7 del mattino, e 1000..,.__.....-t--+---+----i

mette in luce anche il momen­to, prossimo al mezzogiorno, in cui cominciarono le ascen­denze termiche: a quell'ora l'inversione termica è sparita del tutto ed il gradiente termi­co verticale dello stato infe­riore si è trasformato in gra­diente adiabatico.

È molto importante ricor­

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101 202 Jot

Fig. 41

dare che, quando le inversioni termiche al suolo sono molto forti e si riscontrano escursioni diurne di l l-13°C, la distruzione dell'in':'er­sione richiede varie ore e, nella maggior parte dei casi, nei primi 500-600 metri di quota, si stabilisce un gradiente superadiabatico, che permane 30-40 minuti dopo la distruzione dell'inversione. Durante questo periodo, in questo strato superficiale le ascendenze termiche sono strette, spezzate e turbolente. Dopo la distruzione dell'inversione notturna, conviene quindi aspettare a rimorchiare gli alianti in quota 1\lmeno mezz'ora, per essere sicuri di trovare le correnti termiche già ben or­ganizzate. Se, invece per e­sigenze tecniche, fosse neces­sario accelerare i decolli, si dovranno rimorchiare gli alianti almeno sino alla quo­ta di 600 metri ed i piloti a­vranno cura di non sganciar­si dall'apparecchio rimorchia­tore prima di aver raggiunto tale altezza.

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Tempera tura

Fig. 42

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Anche le inversioni termiche esistenti in quota, come è ovvio, pos­sono venir distrutte dai movimenti termoconvettivi, che hanno inizio nelle masse d'aria in contatto col suolo e che provocano il rimescola­mento verticale degli strati atmosferici. Perché ciò avvenga è, però, necessario che la temperatura dell'atmosfera prossima al suolo rag­giunga valori sufficienti per determinare quei movimenti convettivi ascendenti, che portino l'aria dalla superficie terrestre fino al livello a cui si è costituita l'inversione termica. Per accertare l'esistenza di una tale condizione, è sufficiente tracciare (anche su un comune diagram­ma "temperatura altezza") una linea adiabatica secca che, partendo dal livello superiore dello strato d'inversione termica, arrivi fino alla

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Fig. 43

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Fig. 44

linea orizzontate, scelta a rappresentare la superficie terrestre. Nella figura 45 il punto A (che rappresenta il punto di intersezione tra la li­nea adiabatica e l'orizzontale del terreno) indica il valore della tem­peratura che deve esistere al suolo perché sussista la possibilità di di­struggere la inversione esistente tra gli 800 e i 1000 metri, mentre il punto B ci dà una analoga indicazione per quanto riguarda l'inver­sione termica esistente tra i 1300 e i 1500 metri. Anche l'esame del grafico riportato nella figura 43 e che rappresenta il cammino della temperatura nella giornata, può servire per accertare se esista, o no, la possibilità che si raggiunga la temperatura necessaria perché ven­gano eliminate le inversioni termiche esistenti in quota.

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È noto che nelle regioni montane l'attività termoconvettiva è po­tenziata dal forte soleggiamento dei costoni montani; i quali danno luogo a quelle potenti brezze termiche di pendio che permettono alle correnti ascendenti di raggiungere maggiori altezze di quelle che si formano in pianura. È facilmente comprensibile, quindi, come la ba­se delle eventuali inversioni termiche di subsidenza esistenti sulla ver­ticale dei rilievi montani; sia sottoposta, durante il giorno, all'azione labilizzatrice delle correnti ascendenti che si generano lungo i costoni montani; correnti che provocando il continuo rimescolamento degli strati inferiori delle inversioni suddette, finiscono col distruggerle al­meno in parte. Secondo le nostre osservazioni quest'azione è tanto più intensa quanto maggiore è il riscaldamento dei pendii. In effetti, in molti casi, per gli alti valori della temperatura

~ che durante la stagione estiva N

si riscontrano nelle regioni N \

montane dell'Italia centrale e : centro meridionale, l'azione .:i

~ labilizzatrice che svolgono le correnti ascendenti rimesco­lanti gli strati inferiori delle inversioni, è molto più forte di quella riscontrata nelle re­gioni alpine dell'Italia setten-

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Fig. 45

trionale. Comunque sia, nell'uno e nell'altro caso, sopra i rilievi oro­grafici non solo la base di condensazione dei cumuli è sempre più alta che nelle valli, ma anche lo sviluppo verticale di tali nubi risulta esse­re maggiore.

Per concludere l'argomento, faremo qualche altra considerazione in proposito. È noto che la densità dell'aria diminuisce con l'altezza e che, pertanto, le vette delle montagne sono circondate da aria meno densa, che viene così attraversata dai raggi solari con minor perdita. A tale fatto ne va aggiunto un altro ancora, non meno importante de­gli altri fin qui citati, e cioè che la vegetazione montana diminuisce costantemente con il progredire dell'altezza. Pili le montagne sono

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alte, infatti, e più i costoni sono aridi e rocciosi. Ora si sa che la roc­cia possiede un calore specifico di gran lunga inferiore a quello della terra e della vegetazione che in essa prolifica. Conseguentemente, du­rante il giorno, l'aria che copre le vette montane rocciose, si scalda più rapidamente ed in maggior misura di quella delle valli e della pia­nura, mentre di notte si raffredda di più e altrettanto rapidamente. È per questa stessa ragione che l'aria in contatto con i costoni rocciosi tende a fluire verso il basso durante la notte (flusso catabatico) e ver­so l'alto durante il giorno (flusso anabatico).

Esaminiamo ora le inversioni termiche di superficie. Un fenomeno che può dar luogo a notevoli inversioni termiche a

partire dal suolo è quello prodotto dalle brezze di mare. Nelle zone ri­vierasche si osserva infatti che durante il giorno, si ha una variazione costante del vento: questo, nelle ore del mattino, soffia da terra, nelle ore del pomeriggio soffia dal mare. È noto che, quando il vento sof­fia da terra, esistono eccellenti possibilità di volo veleggiato, perché gli strati inferiori si riscaldano molto ed assumono uno stato di equi­librio instabile, mentre quando comincia a soffiare dal mare, le cor­renti termiche cessano improvvisamente.

Chi scrive potè, nel corso di numerosi sondaggi aerologici eseguiti col sussidio del meteorografo, constatare questo fenomeno a Buenos Aires, dove le correnti aeree provenienti da Nord-Est, traversando il vasto bacino del Rio de la Plata, si raffreddano e riducono assai le possibilità del volo a vela sulle località prossime al fiume. Si determi­nano così condizioni aerologiche per cui gli strati atmosferici tra il suolo e i 700 metri d'altezza, lungo le rive del gran fiume, si raffred­dano dal basso in alto e assumono un equilibrio perfettamente stabi­le: su tale zona si osservano per molte ore del giorno inversioni termi­che. Allontanandosi invece dalla riva del Rio de la Plata, si nota che le condizioni termiche vanno gradualmente migliorando perché l'ir­radiazione terrestre scalda sempre più intensamente le masse aeree fredde ed umide provenienti da Nord-Est, tanto che, addentrandosi di 70 o 80 Km nell'interno del paese, la massa appare del tutto tra­sformata e l'inversione non ha più luogo.

Le stratificazioni atmosferiche cui esse danno luogo e che i me­teorologi, come sappiamo già, definiscono "condizionalmente in-

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stabili" riescono ad offrire ai volovelisti delle buone possibilità quan­do esistano, in prossimità delle coste marine o dei bacini fluviali, pendii montani. .In tali casi, le masse stabili inferiori, obbligate dal vento a trascorrere lungo tali pendii, vengono forzatamente sollevate fino alla quota dove comincia l'instabilità e di lì l'aria può poi conti­nuare a salire per convezione libera, come è chiaramente illustrato nella figura 46 .. I volovelisti che vengono a trovarsi su tali zone e in tali condizioni meteorologiche, possono valersi prima dell'ascenden­za generata dall'incontro del vento con il pendio montano e, dopo, dei movimenti convettivi termici che cominciano a svilupparsi nello

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Fig. 46

strato d'aria labile .. In tali casi, se le correnti dinamiche di pendio non fossero sufficientemente potenti, sarà necessario rimorchiare gli alianti fino all'altezza del livello di convezione libera.

Per completare le nostre osservazioni sul fenomeno delle brezze di mare, diremo che quando esse invadono il continente con una veloci­tà di almeno 6 nodi, danno luogo a vere e proprie superfici frontali parallele alle coste.

Questi fronti di aria marittima fresca si muovono verso l'entroter­ra in seguito alla caduta di pressione che si registra con l'aumentare della temperatura terrestre.

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Se l'aria continentale, sollevata dall'avanzata del fronte di brezza, è abbastanza umida si avrà la formazione di cumuli associati ad una stretta banda di correnti ascendenti, se invece l'aria continentale è molto secca i cumuli non si formano, ma il passaggio dalla zona di buona visibilità dell'entroterra a quella dell'aria marittima stabile è visualizzato da una zona di foschia verso il mare, che i volovelisti de­vono assolutamente evitare.

Le bande cumuliformi associate ai fronti di brezza marina sono fa­cilmente riconoscibili per la presenza sotto i cumuli di tipiche nubi sfilacciate che si formano lungo la superficie di discontinuità del fronte in movimento (Fig. 47).

Lo spessore degli strati costituenti le brezze di mare, quando que­ste avanzano lentamente senza dar luogo a formazione di veri e pro­prii fronti, varia da un minimo di 300 metri ad un massimo di 700.

La distanza di penetrazione, la velocità di traslazione e lo spessore delle brezze di mare in movimento verso l'entroterra, dipendono dai seguenti fattori: 1°) dalla temperatura della superficie marina; 2°) dall'intensità dell'insolazione; 3°) dalle caratteristiche della crosta geologica superficiale e dall'orografia dell'entroterra; 4°) dall'altez­za dello strato labilizzato dall'irradiazione del suolo riscaldato dal sole; 5°) dalla direzione ed intensità del vento sinottico, cioè dal ven­to risultante dalla distribuzione generale della pressione atmosferica.

Va rilevato che il fattore vento è di grande importanza. Chi non ha molta dimestichezza con la meteorologia può essere indotto a pensa­re che quando al mattino c'è una leggera componente del flusso dell'aria marina verso la terra, la brezza di mare non solo possa inne­scare più facilmente, ma anche assumere una forza maggiore. Invece, avviene esattamente il contrario. Infatti, se al mattino il vento sinot­tico in superficie spira già verso la terra, la brezza di mare non si for­ma, anche se la differenza di temperatura fra acqua e terra è molto forte.

Condizione necessaria per l'innesco della brezza di mare è invece l'esistenza, durante la mattinata, di una leggera componente del flus­so dell'aria dalla terra al mare, oltre alla diversità di riscaldamento con temperatura più elevata sulla terra, dove è pure indispensabile che l'aria sia convettivamente instabile.

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Nella figura 48 per brevità abbiamo sintetizzato le caratteristiche di un tipico fronte di brezza e le condizioni necessarie alla sua forma­zione, condizioni che elenchiamo Ìn breve:

a) entrata, nei bassi strati, di aria fresca dal mare all'entroterra, con velocità di almeno 6 nodi;

b) attività termoconvettiva in atto nelle regioni continentali, con flusso in quota di aria dalla terra verso il mare;

c) leggero flusso di aria calda continentale verso il fronte di brezza e suo sollevamento lungo la superficie frontale di discontinuità, con formazione di nubi comuliformi, se l'aria è sufficientemente umida;

d) durante il movimento del fronte, una parte dell'aria marina si eleva e lungo la parte superiore del fronte stesso ritorna verso il mare;

e) l'aria marina, che ha sempre un punto di rugiada più elevato di quello dell'aria continentale, in seguito al sollevamento genera delle nubi, la cui base di condensazione è più vicina al suolo della banda cumuliforme frontale. Queste nubi si formano a differenti livelli ed hanno l'aspetto di una disordinata cortina molto sfilacciata, che co­stituisce la caratteristica inconfondibile dei fronti di brezza.

Nelle regioni appenniniche dell'~talia centrale, quando le brezze di mare non possono aggirare le montagne, riescono talora a sormon­tarle. Com'è facile intuire, però, esse si incanalano più facilmente nelle valli, specie quando il loro asse longitudinale si estende da Es~ a Ovest, o da Ovest a Est, affacciandosi così ai versanti dell'Adriatico e del Tirreno.

Quando lo spessore della brezza avanzante è inferiore a quello dei rilievi orografici, il flusso costituente la brezza marina s'incurva e contorna le montagne isolate, aggirandole e dando luogo ad una li­nea di convergenza dal lato opposto, nel punto dove le correnti che aggirano il rilievo si ricongiungono.

È probabile che più di un volovelista si ponga a questo punto il se­guente quesito: fin dove arrivano le brezze marine attirate dal riscal­damento delle regioni appenniniche e quando si arrestano nel loro cammino? Nelle regioni dell'~talia centrale, centro settentrionale e centro meridionale, si sono osservate penetrazioni di un'ottantina di chilometri~ quando la brezza interessa un solo versante (adriatico o tirrenico). Quando invece le brezze interessano contemporaneamente

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i due versanti, esse si incontrano la sera nelle regioni centrali, for~ mando una linea di convergenza pressapoco lungo l'asse longitudina­le della nostra penisola.

Il frastagliamento della costa marina modifica il flusso dell'aria proveniente dal mare. ~n una grande insenatura, l'effetto della brez­za è meno marcato che sui tratti della penisola dove l'aria marina può penetrare dall'una o dall'altra costa.

Per quanto riguarda la contemporanea penetrazione della brezza di mare dal versante adriatico e da quello tirrenico, siamo in possesso di dati molti interessanti fornitici da due noti volovelisti durante i Cam­pionati italiani di volo a vela del 1973, svoltisi, come sempre a Rieti.

Il giorno 13 agosto di quell'anno, permaneva sull'Italia un campo di· alte pressioni livellate intorno a 1.018 mb. ~l radiosondaggio di Roma-Fiumicino e quello locale effettuato dallo scrivente alle ore 0700 Ìegali (0600 solari), a bordo di uno "Stinson L5", fino all'alti­tudine di 3.500 metri, mettevano in evidenza una debole circolazione di aria relativamente umida e selettivamente instabile su tutte le re­gioni dell'_Italia Centrale.

Quel giorno venne assegnato ai concorrenti di tutte le classi una prova di distanza particolare: la cosiddetta "Distanza entro zona de­limitata'.'. Vennero stabiliti come piloni delimitanti: Rieti, Todi, Um­bertide, Madonna di Monte Lago, Campotosto e Meta, con il pilone di Meggiano al centro della zona delimitata. Tale ampio settore inte­ressava sia il versante tirrenico, sia il versante adriatico dell' Appenni­no centrale. Vinceva la gara (lungo percorsi tracciati liberamente dai concorrenti da un pilone all'altro) chi riusciva a percorrere il maggior numero di chilometri. n primo concorrente in classifica ne totalizzò 645, il secondo 611, il terzo 607 e così via, in ordine decrescente.

Le condizioni di veleggiamento furono particolarmente favorite dall'ottima situazione meteorologica interessante i due versanti: cu­muli orografici con base di condensazione compresa fra 3.200 e 3.400 · metri di altitudine, dove le correnti ascendenti permettevano agli alianti di raggiungere la quota delle nubi cumuliformi con velocità ascensionali di 4-5 m/sec; correnti termodinamiche di pendio e, nel tardo pomeriggio, persino movimenti ondulatori di sottovento nella zona di Umbertide, mentre nelle ore di maggior insolazione i fronti di

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brezza mai'Ìnà· avanzavano verso i massicci centrali nei due versanti appenninid, visualizzati dalle caratteristiche bande cumuliformi as­sociate ai fronti stessi.

n pilota Leonardo Brigliadori, verso le 18,45 (ora legale) segnala a terra via radio l'avanzata verso la valle di Rieti di un fronte di brezza di origine adriatica proveniente da NNE e, poco dopo, Alvaro De Orleans forniva dati precisi su un fronte di brezza marina di origine tirrenica, entrato dalla valle dell' Aniene e successivamente canalizza­to dalla valle del Turano verso la valle reatina. n fronte di brezza adriatico giunse nell'aeroporto di Rieti verso le 19 (ora legale), men­tre il fronte di brezza tirrenico arrivò dieci minuti dopo. Le forti cor­renti ascendenti riscontrate a quest'ora da Leonardo Brigliadori nella valle di Rieti misero in evidenza l'esistenza di una linea di convergen­za costituita dall'incontro dei due fronti: il primo con vento da NNE del fronte di brezza adriatico, il secondo con vento da S del fronte di brezza tirrenico. A Rieti, cioè esattamente al centro d'.Italia (Rieti è denominata per questo "Umbilicus Haliae") si produsse la linea di convergenza (o "Shear line" come dicono i volovelisti americani ed inglesi) dei due fronti di brezza; i quali, al loro incontro, provocaro­no congiuntamente il sollevamento dell'aria calda stagnante nella valle reatina, dando luogo così ad una banda di forti correnti termi­che che dall'aeroporto di Rieti si estendeva verso NW con velocità ascensionali dell'ordine di 4 m/sec. Leonardo Brigliadori, che alle 19,15 circuitava su Rieti alla quota di 300 m, ormai deciso a prender terra, individuato il fenomeno, cambiò tempestivamente il suo piano di volo e, dopo aver guadagnato 2.000 metri di quota, iniziò una ve­locissima planata verso l'aeroporto di Foligno. Qui, pur avendo an­cora notevole quota, preferì atterrare data l'ora avanzata. n pilota Alvaro De Orleans, invece, "agganciò" le ascendenze della linea di con­vergenza nella zona di Spello (Perugia) alla quota di 1.300 m QNH, do­ve raggiungeva l'altitudine di 2.500 metri. Da questo punto il pilota pun­tava verso il pilone di Umbertide, riuscendo a sfruttare successivamente la parte ascendente di un movimento ondulatorio di sottovento, che gli permise di arrivare a pochi chilometri dal citato pilo-

ne. Sorpreso però dall'oscurità, De Orleans fu costretto a ripiegare verso l'aeroporto di Perugia, dove atterrava alle 20,40 (ora legale).

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I dati sopra riportati permettono di stabilire con esattezza che nella prima quindicina di agosto le brezze marine provenienti dal Tirreno e dall'Adriatico si incontrano verso le 18 (ora solare) nelle regioni dell'~talia centrale, lungo una linea di convergenza che si estende da Rieti ad Umbertide (Km 106). Sulle linee di convergenza delle due brezze, che sicuramente si riscontrano anche in altre regioni appenni­niche, lo scrivente non possiede ancora dati sicuri e pertanto ritiene di dover concludere qui questo interessante argomento.

Riprendendo ora la nostra rapida rassegna dei fenomeni associati alle inversioni termiche, accenneremo a quei movimenti ondulatori di gravità, che spesso si producono al limite delle inversioni stesse.

L'Helmoholtz, studiando questi moti oscillatori dell'aria rilevò la loro analogia con il fenomeno delle onde marine; riconobbe cioè in quei moti il fenomeno di oscillazione che suole avverarsi alla superfi­cie di contatto di due masse fluide di densità diversa.

Quando in un'atmosfera allo stato di quiete, si abbiano due strati sovrapposti di aria di tipo diverso, l'uno, freddo, sotto, e l'altro, cal­do, sopra, ove intervengano altre forze all'infuori dalla gravità, i due strati risultano separati da un piano orizzontale, che segna il limite di due zone aventi diversa densità. Se per una causa qualsiasi, in un punto qualunque di questa superficie di separazione, si solleva lo strato d'aria inferiore, si producono delle oscillazioni in forma di on­de, che possono propagarsi lungo la superficie stessa fino a distanze talora molto grandi. Si ha, cioè, nell'atmosfera il fenomeno di onde progressive, sebbene, in determinate condizioni, le onde generate dalla forza di gravità possano essere anche stazionarie.

È importante notare che qualsiasi particella d'aria, quando venga costretta ad allontanarsi dalla sua posizione di equilibrio, assume uil movimento oscillatorio, che va progressivamente smorzandosi per l'azione frenante di diverse cause termodinamiche. Accade cioè alle molecole d'aria quello che accade al pendolo, il quale, spostato dalla posizione di equilibrio, oscilla da una parte all'altra, ma il suo moto va progressivamente frenandosi, fino a cessare del tutto, per effetto dell'attrito che si produce intorno all'asse di sospensione. Nell'atmo­sfera, queste oscillazioni verticali, combinandosi col moto orizzonta­le di traslazione determinato dal vento, danno luogo ad un mov1men-

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to ondoso, che si nota con una certa frequenza al limite degli strati di inversione termica, quando l'inversione è accompagnata da un salto nell'intesità o nella direzione del vento.

~l processo di formazione di queste onde atmosferiche è identico a quello delle onde marine e a quello delle onde di sabbia dei deserti. Ovviamente, la differenza di dc:nsità tra l'aria e l'acqua nel primo ca­so e l'aria e la sabbia nel secondo è assai più grande di quella che si ha tra due strati atmosferici, di cui uno più freddo, e perciò più pesante dell'altro. Tuttavia, anche se le differenze sono tra gli strati atmosfe­rici meno notevoli di quelle che si hanno tra aria ed acqua o tra aria e sabbia, il fenomeno ondulatorio si presenta sotto lo stesso aspetto e con analoghe caratteristiche.

La lunghezza d'onda in tali movimenti, dipende dalla discontinui­tà che si riscontra sia nella densità e nella temperatura delle due mas­se a contatto, sia nelle velocità del ventp che soffia nelle masse stesse. Le lunghezze d'onda più frequenti stanno fra i 300 e i 500 metri, ben­ché se ne siano misurate anche di maggiori. Va rilevato però che l'ampiezza delle onde di gravità è generalmente modesta: a volte di soli 25-30 metri. Raramente, infatti, i moti ondulatori di gravità riescono ad interessare strati atmosferici eccedenti i 200 metri di spessore.

Questi movimenti ondulatori si mantengono attivi fino a quando le oscillazioni verticali hanno provocato il rimescolamento totale degli strati interessati, cioè fino a quando il gradiente verticale della tem­peratura abbia raggiunto in essi il valore di I °C per ogni cento metri con la conseguente distruzione dell'inversione termica.

Vi è una cosa importante da notare, ed è questa, che se la massa d'aria che entra in oscillazione è sufficientemente umida, potrà aversi condensazione sulle cuspidi delle onde a causa del raffreddamento

ARIA CALDA

l.!Mi:llSIOHE

ARIA fREDDA

Fig.49

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adiabatico che l'aria subisce nella parte ascendente del movimento ondulatorio. Si formeranno pertanto nubi disposte in bande trasver­sali alla direzione di propagazione delle onde; le quali nubi si produr­ranno costantemente nella parte ascendente dell'onda per raffredda­mento adiabatico, si dissolveranno nella parte discendente (Fig. 49).

In generale i movimenti ondulatori progressivi o stazionari che si generano lungo gli strati d'inversione termica, sono di scarso interes­se per il volo a vela. Se noi qui ne abbiamo parlato, lo abbiamo fatto perché ci è parso che la cono­scenza di essi potesse essere di utilità a comprendere in seguito l'andamento e le leggi di quei fe­nomeni analoghi che interessano i movimenti ondulatori d'ostaco­lo. A confermare lo scarso inte­resse che queste oscillazioni on­dose prodotte dalla gravità han­no per il volo a vela, basti la con­siderazione che esse, notevol­mente frenate dall'una e dall'al­tra parte dell'inversione, posso- Fig. 50 no essere utilizzate dal volovelista soltanto occasionalmente, nel cor­so di un volo durante il quale la formazione di nubi in bande parallele (Fig. 50) attiri l'attenzione del pilota e lo aiuti a scoprire il movimen­to ondulatorio. Tuttavia, si deve anche dire che le onde di gravità, qualunque sia il livello a cui si producono, possono acquistare impor­tanza come movimenti generatori di oscillazione di maggiore poten­za, e che in ogni caso, per la notevole estensione orizzontale che pos­sono raggiungere e per le manifestazioni nuvolose da cui sono spesso accompagnate, costituiscono una indicazione sempre interessante per il meteorologo.

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CAPITOLO OTTAVO

LE NUBI

Tra tutti i fenomeni meteorologici, che sono collegati con la pre­senza di vapore acqueo nell'atmosfera, hanno importanza particola­re per il volo a vela le nubi, perché entro e sotto di esse si svolgono spesso delle correnti aeree, che il pilota deve saper riconoscere ed op-

. portunamente usare. Studiando più addietro il fenomeno della condensazione,siamo

venuti ad esporre, in sostanza, come si formano le nubi. Non ci sem­bra che ci sia qui da aggiungere molto circa la loro origine, se non questo, che la condensazione del vapore acqueo nell'atmosfera e la formazione delle nubi può avere varie cause.

a) Per contatto con corpi freddi.

n suolo, per esempio, perde per irradiazione grandi quantità di ca­lore, e in conseguenza, si determina il raffreddamento delle masse d'aria con esso a contatto e l'abbassamento del punto di rugiada. Se, continuando la temperatura ad abbassarsi, accadrà che si sorpassi il punto in cui il vapore è saturo, questo necessariamente si condenserà in forma di minutissime goccioline, che costituiscono la rugiada, la quale si deposita sulla superficie terrestre, o la nebbia la quale rimane in sospensione negli strati vicino al suolo.

b) Per rimescolamento di masse d'aria a temperature differenti.

Si abbiano, tanto per fare un esempio, due masse d'aria, sature tutte e due, ma di temperatura differente: l'una suppongasi, a 5°C, l'altra a 25°C. Sappiamo dalle apposite tavole che la densità della prima massa sarà di 6,8 e quella della seconda di 23,2. Venendo le

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due masse a mescolarsi, ne risulterà una temperatura media di 15°C, mentre la media delle densità sarà di

6,8 - 23,3 15

2

Ma poiché, a 15°C, di temperatura, la densità è di 12,8 avverrà che l'eccedenza di vapore acqueo contenuto nell'aria (e cioè: 15 - 12,8 = 2,2) dovrà condensarsi e dare luogo alla pioggia.

Se le due masse d'aria che vengono a mescolarsi non sono sature, ma solo prossime ad esserlo, accade che la condensazione avvenga in qualche parte solo, mentre in altre viene a mancare, dando luogo così all'improvviso formarsi e all'improvviso scomparire di nubi lievi e trasparenti, facili a riconoscersi nelle belle giornate serene.

e) Per raffreddamento adiabatico.

Sappiamo già che, quando una massa d'aria si eleva adiabatica­mente, si raffredda di un grado per ogni 100 metri di quota, così che, ad una certa altezza, raggiungerà il punto di rugiada e se, superato tale punto, continuerà il moto ascendente, si condenserà dando luo­go alla formazione di una nube.

Le varie cause determinanti la condensazione del vapore acqueo presente nell'atmosfera, sogliono agire spesso in proporzioni assai vaste e, talora non isolatamente, ma insieme; per questo, la nuvolosi­tà può estendersi a vaste zone del cielo e durare per notevoli periodi di tempo.

Si chiama appunto "nuvolosità" quella più o meno grande quanti­tà di nubi, che sono presenti nel cielo in un determinato momento o, meglio, il rapporto tra l'area del cielo coperta di nubi e l'area totale del cielo visibile: Il grado di nuvolosità si suole esprimere in ottavi.

Gli elementi che si sogliono considerare nello studio delle nubi, poiché ne costituiscono le caratteristiche, sono: l'altezza, la direzio­ne, la velocità, la forma.

L'Atlante Internazionale delle nubi e degli stati del cielo, per quan-

I IO

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to riguarda l'altezza a cui si trovano, divide le nubi in quattro grandi "famiglie", e cioè:

Nubi superiori; Nubi medie; Nubi inferiori;

I

Nubi a sviluppo verticale. In relazione poi alla forma tipica che le nubi sogliono assumere, le

famiglie si dividono in "specie" e queste, quando occorra, in "sotto­specie" e le sotto-specie in "varietà". Infine l'Atlante fa menzione di "dettagli accidentali", ossia di particolarità che, pur non essendo di per sè sufficienti a determinare una sotto-specie o una varietà, servo­no tuttavia a mettere in rilievo alcuni aspetti di questo o di quel tipo di nube.

Riportiamo per esteso nella pagina seguente la classificazione dell'Atlante Internazionale.

Ora, seguendo la nomenclatura e le caratterizzazioni adottate dalla Commissione Internazionale per lo studio delle nubi, analizzeremo ad uno ad uno i vari tipi di nube, non solo per metterne in luce il mo­do di formazione, l'aspetto e i fenomeni concomitanti, ma anche per descrivere le risorse pratiche che ciascuno presenta per il volo a vela.

I) Cirri (Ci). Sono nubi bianche, lievi, trasparenti, che spesso for­mano nel cielo lunghe strisce, terminanti talora a forma di ciuffo o di piuma. Sono costituiti da sottili e brillanti cristalli di ghiaccio. Nè ciò deve far meraviglia, quando si pensi che queste nubi si formano a grande altezza, dove naturalmente si hanno delle temperature molto basse. La loro origine è dovuta a convezione termica o dinamica. A volte, i cirri si presentano accompagnati da alto-strati o cirrostrati, nei quali casi essi sono considerati come apportatori di cattivo tem­po: in quella condizione, infatti costituiscono spesso il fronte di un ciclone che si appressa. Altre volte invece, i cirri si presentano isolati nel cielo irregolarmente disposti e senza connessione con altri tipi di nubi: e allora vengono considerati come apportatori di tempo buono e attribuiti a fénomeni di convezione nella parte superiore della tro­posfera.

2) Cirrocumuli (Cc). Capita a volte di vedere, tra i 6000 e gli 8000 metri, strati o banchi cirrosi, senza ombre proprie, composti di pie-

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V Altezza def.la base ' e FAMIGLIA SPECIE

~ o sopra il suolo (metri) .a·-.a .. < -~ Massima Minima ..

Cirrus Ci ~ 12.000 7.000 Nubi superiori Cirrocumulus Cc

( CiiTostratus Cs 10.000 * 6.000 * ·---

_, ______ -·--- - ----

Nubi medie Altocumulus Ac

1 7.000 2.500

Altostratus Ae 6.000* 2.000 * ·-- ·-'----·-- ·-·· ----- -··· -

Stratocumulus Se \ 2.500 Nubi basse Stratus St ' Pochi metn

Nimbostratus Ns ! 2.000 * dal suolo

-- ·-----· --'---· --- .. ·--·- -1 Cumulus humilis Cu 2.500

Nubi a .viluppo! CUmulu• oong<- I 2.000 * 500 verticale stus Cu I 3.000

Cumulonimbus Cb I 2.000 * 500

NOTA: Le alteu.e contrassegnate dal segno • si riferiscono a latitudini .maggiori di 45°. Le altre, a latitudini basse e medie.

coli fiocchi bianchi o di minuscole bianche sfere, disposti ora in grup­pi ora in file, o piuttosto, in crespe simili a quelle formate dalla sab­bia sulle spiaggie marine: sono i cirrocumuli, nubi che rappresentano generalmente uno strato degenerato di cirrostrati, dalla cui trasfor­mazione traggono sovente la loro origine. _In tali casi i banchi in tra­sformazione conservano generalmente qua e là, una struttura fila­mentosa. Si può essere tratti facilmente a confondere i cirrocumuli con i piccoli altocumuli che si formano spesso sull'orlo dei banchi co­stituiti da grandi altocumuli. Si tenga presente, per cautelarsi contro il pericolo di errore, che il cirrocumulo è una forma piuttosto rara, per cui non si dovrà classificare come tale una nube, che pur ne abbia

l'apparenza, se non la si vede associata a cirri e a cirrostrati, o prove­niente dall'evoluzione di tali nubi.

3) Cirrostrati (Cs). Talora, alla stessa altezza dei cirri o dei cirrocu­muli o di poco più sotto, si formano i cirrostrati: nubi, come lascia intendere il loro nome, disposte a strati e formanti come un velo latti-

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ginoso e biancastro, che attenua, sfuma i contorni del sole e della lu­na e forma intorno ad essi quel caratteristico alone, che altro non è se non un fenomeno di rifrazione dei raggi luminosi sui piani dei cristal­li di ghiaccio costituenti le nubi. In ordine di tempo, i cirrostrati si formano dopo i cirri e per ciò indicano una maggiore vicinanza dell'area ciclonica. Hanno la stessa origine dei cirri e identica costitu­zione.

4) Altocumuli (Ac). Strati o banchi, ora con ombra ora senza. Gli elementi primari che li costituiscono hanno forma di sottili lamelle o di ciottoli molto piccoli. Sono ordinati in gruppi o file o rotoli, se­condo una o due direzioni, e sono talora così serrati tra loro da appa­rire saldati ai bordi. I quali, negli elementi sottili e traslucidi, presen­tano generalmente delle iridescenze che sono caratteristiche di questo tipo di nubi. Quando il bordo o una parte sottile di un banco di alto­cumuli passa davanti al sole o alla luna, si produce intorno all'astro uno stretto anello, rosso all'interno, verde all'esterno, conosciuto col nome di "corona".

La zona entro cui si formano gli altocumuli ha limiti grandemente estesi. Ai livelli più alti, quando sono costituiti da elementi di piccole dimensioni, rassomigliano ai cirrocumuli, da cui tuttavia si distin­guono perché sono, come questi, né connessi né derivati da cirri o da cirrostrati, e perché nori sono come questi, costituiti da cristalli di ghiaccio. Ai livelli inferiori, gli altocumuli possono provenire dall'appiattirsi e dal distendersi delle parti superiori dei cumuli, e in tali casi possono essere facilmente confusi con stratocumuli.

Un drappo di altocumuli può degenerare in altostrato e, talvolta, anche in nembostrato.

Si notano frequentemente negli altocumuli delle strisce filiformi e quelle code discendenti che costituiscono quella particolarità che l'Atlante Internazionale delle Nubi indica col nome di "virga".

Gli altocumuli che si formano, come già si è accennato, per l'ap­piattimento e la distensione della parte superiore dei cumuli costitui­scono la specie più importante di questo tipo di nube: gli si dà il nome il "altocumulus cumulogenitus".

Una varietà notevole dell'altocumulo è quella denominata "alto­cumulo cumuliforme" che è spesso il punto di arrivo di vivaci moti

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ascensionali. Esso· si può presentare sotto due differenti aspetti: a) "altocumulus floccus", costituito da fiocchi simili a piccoli cumuli privi di base e più o meno frastagliati; b) "altocumulus castellatus", costituito da masse cumuliformi a sviluppo verticale più o meno rile­vante ordinate in file o giacenti su una comune base orizzontale, da cui viene alla nube l'apparenza di una superficie ondulata, caratteriz­zata nella sua parte superiore da piccole protuberanze simili a teste di cavolfiore, emergenti dalla massa cumuliforme. L"'altocumulus ca­stellatus" preannunzia un cambiamento nello stato del cielo e l'ap­pressarsi del tempo cattivo.

Come abbiamo detto, gli altocumuli cumuliformi sono spesso il punto di arrivo di vivaci moti ascensionali, secondo ciò che indagini recenti hanno potuto accertare. Così mentre fino a qualche anno fa si pensava che queste nubi non presentassero alcun interesse per il volo a vela, oggi si ritiene, al contrario, che esse gli serbino nuovi e vasti campi di esperienza e di conquista. Accenniamo qui, di passaggio, ri­servandoci di riparlarne altrove, che, spesso, sottovento alle catene montuose, in giornate di "foehn" o di "mistral" o di "scirocco"; si presentano a tutti i livelli, da quello dei cirrostrati a quello degli stra­ti, banchi isolati di "altocumuli lenticolari", che hanno un grande in­teresse per il volo a vela d'onda.

5) Altostrati (As.). Si trovano in zone comprese tra i 2000 e i 6000 metri d'altezza. Hanno l'aspetto di un velo grigio o bluastro, di strut­tura fibrosa o striata, esteso per ampie plaghe di cielo e costituito da una massa enorme di goccioline d'acqua. Rassomiglia ad un cirro­strato denso; ma non presenta, come questo fenomeni di alone e non consente che una visione vaga e tenue del disco solare e lunare. Ma se questa è la norma, vi sono anche le eccezioni: a volte infatti, il suo spessore è tanto e così oscuro da mascherare completamente il sole e la luna e da esso possono aversi precipitazioni di pioggia o di neve. Quando si ha pioggia, specialmente poi se questa è forte, il velo nu­voloso è denso e tanto basso da divenire nembostrato; quando si ha neve, il velo nuvoloso è piuttosto chiaro e permane a livelli normali per gli altostrati. Le varietà dell'altostrato sono molto numerose; trat­tandosi però di nubi che non presentano alcun interesse per il volo a ve­la, crediamo sufficiente quello che di esse abbiamo detto fin qui.

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Fig. 51

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6) Stratocumuli (Se). Cominciamo da questi lo studio delle nubi basse, ossia di quelle nubi che si formano a partire dal suolo fino all'altezza di 2.000 metri circa.

Lo stratocumulo è un banco molto grosso, di apparenza morbida, di tinta grigia, i cui elementi costitutivi, aventi ora forma di ciottoli, ora di rigonfiamenti, si ordinano in gruppi, in file, in rotoli, secondo una o due direzioni. Gli ammassi a forma di rigonfiamenti si presen­tano spesso così serrati da risultare saldati ai bordi, e quando si esten­dono tanto da ricoprire tutto il cielo, allora conferiscono al banco nuvoloso un aspetto ondulato, che si osserva particolarmente d'in­verno sul cielo dei continenti.

Una distesa di stratocumuli molto spessa può trasformarsi sia in "strato" (tipo di nube di cui faremo cenno tra breve) sia in "altocu­mulo"; nella sua evoluzione, infatti, si possono osservare tutte le fasi di transizione sia verso questa che verso quella forma di nube.

Per il volovelista importa notare che lo stratocumulo coesiste fre­quentemente con le nubi convettive, cioè con i cumuli, meno spesso con le nubi alte o medie.

Tra le specie di stratocumuli hanno maggior rilievo a) lo "stratocu­mulus vesperalis"; b) lo "stratocumulus cumulogenitus"

Hanno in comune l'origine da cumuli in via di dissoluzione, ma hanno anche delle differenze. Il primo è una nube piatta e allungata, che appare verso il tramonto del sole, quando l'atmosfera comincia a raffreddarsi, ed assume una stratificazione stabile; segna la fine dell'evoluzione diurna dei cumuli di bel tempo, che si appiattiscono e si allargano sulla loro base. L'altro, invece, si forma quando i cumuli appiattiscono e distendono le loro cime, così da perdere la loro for-

. ma caratteristica; nel primo stadio di tale trasformazione la distesa nuvolosa assume l'aspetto di un drappo continuo di masse rotondeg­gianti o di ciottoli oscuri (stratocumulus opacus).

Anche lo stratocumulo presenta varietà interessanti. Tra quelle di maggior rilievo annoveriamo: a) lo "stratocumulus mammatus", di­stesa nuvolosa la cui superficie inferiore presenta un rilievo accentua­to nel quale si distinguono delle mammelle o delle borse pendenti, che talora sembrano sul punto di staccarsi dalla nube; b) lo "strato­cumulus ondulatus", nube costituita da elementi di forma allungata,

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disposti parallelamente in un unico sistema, così da conferirle l'aspetto della superficie del mare rotta dalle onde.

Gli stratocumuli traggono origine dall'azione combinata della con­vezione e della turbolenza dinamica e si formano sotto una superficie di inversione della temperatura: le ascendenze che si trovano sotto di essi sono assai irregolari e turbolente. Non offrono al volo a vela ri­sorse apprezzabili.

7) Strati (St). Distesa nuvolosa uniforme, che conferisce al cielo un aspetto caliginoso, come di nebbia sebbene come questa non giaccia al suolo. Non dà che una pioggerella lieve lieve e fitta fitta, costituita da goccioline minutissime. Può, in qualche caso essere facilmente confu­sa~ per la somiglianza dell'aspetto con nembostrati; ma se vi è precipi­tazione, la confusione non è più possibile, perché i nembostrati danno pioggia forte (e non pioggerellina) ed anche neve continua. Quando gli strati, molto bassi si presentano lacerati in nembi irregolari prendono il nome di "fractostrati". Questo tipo di nube ha la sua origine in feno­meni di convezione forzata o di rimescolamento di strati orizzontali adiacenti. Non presenta alcun interesse per il volo a vela.

8) Nembostrati (Ns). Distesa amorfa e stratiforme di nubi basse e piovose, di tinta grigioscura e come debolmente illuminati dall'inter­no. Quando si hanno precipitazioni, si ha pioggia o neve continua. Trae origine dal confluire e dal mescolarsi di masse aventi caratteri­stiche diverse, e, spesso, anche da convezione dinamica. Normalmen­te, le distese di nembostrati provengono dall'evoluzione di altostrati che, aumentando di spessore, si abbassano fino a costituire una diste­sa di nembostrati. Anche questo tipo di nube non presenta interesse per il volo a vela.

9) Nebbia (Nb). Quando la condensazione si verifica negli strati at­mosferici prossimi al suolo, si ha la nebbia, fenomeno sostanzial­mente identico alla nube e sostanzialmente diverso da quella foschia che trae origine dalla presenza nell'atmosfera di pulviscolo o di fu­mo. Va detto subito però che nebbia e foschia vanno spesso insieme, giacché il pulviscolo sospeso nell'aria costituisce miriadi di nuclei che favoriscono la condensazione di vapore acqueo. La nebbia può esse­re più o meno densa, a seconda della quantità maggiore o minore di vapore acqueo presente nell'aria: si passa così da veli diafani e incon-

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:.1stenti a quelle grevi e folte e opache muraglie, che tolgono la visibi­lità delle cose più vicine e costituiscono per il volo un ostacolo perico­loso. È un fenomeno frequente sulle alture, nelle valli, lungo le coste, sopra gli stagni, laghi, corsi d'acqua. e presso i grandi centri indu­striali, ove l'aria è quasi sempre fosca per la presenza di enormi quantità di particelle generate dalla combustione e dai traffici senza soste; sui mari si hanno le "brume".

10) Cumuli (Cu). Ritornando alle nubi vere e proprie, non vi è dubbio che quelle che presentano un grande interesse per il volo a ve­la, perché costituiscono il coronamento di vivaci correnti ascendenti generate da un forte riscaldamento del suolo, sono appunto i cumuli. È necessario, quindi, che di questo tipo di nube si parli con alquanta larghezza in un apposito capitolo. Qui ci limiteremo a riportare la de­finizione dell'Atlante delle nubi, che descrive i cumuli come nubi iso­late, generalmente dense, con contorni netti, i quali si sviluppano verticalmente in forma di mammelloni, di cupole o di torri, la cui parte superiore ha spesso una forma di cavolfiore. I fianchi di queste nubi illuminate dal sole sono per lo più di un bianco splendente; la lo­ro base, relativamente oscura, è quasi orizzontale .

• • •

Per concludere questa introduzione generale allo studio delle nubi, vogliamo far notare come la loro apparizione nel cielo sia quasi sem­pre associata a notevoli modificazioni del tempo.

Sarebbe tuttavia ingenuo pensare che la formazione di nubi avven­ga, di volta in volta, secondo uno dei tipi fissati dalla meteorologia, con l'esclusione assoluta di tutti gli altri. Nella realtà, si trova la con­temporanea formazione di tipi anche molto diversi tra loro, poiché le cause che operano nell'atmosfera sogliono essere molteplici e non sempre tra di loro concordi. Perciò, nell'interpretazione dei fenome­ni che vi avvengono, occorre che il volovelista tenga conto di tutti gli indizi che si presentano, nessuno escluso, poiché il buon successo del volo è strettamente connesso, come avemmo già occasione di dire,

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con la più sicura e completa conoscenza del cielo. Ora, le nubi hanno sempre una loro parola da dire al pilota che le interroga, ed una paro­la di cui è saggio tener conto. U modo in cui si formano i loro tipi, i loto moti, rivelano ora la presenza ora l'assenza intorno a loro di cor­renti d'aria utili per il volo veleggiato. Se fino ad oggi l'aerologia non ha trovato il modo, sia per le difficoltà stesse delle indagini, special­mente a grandi altezze, sia per la mancanza di una organizzazione si­stematica e vasta di servizi, di stabilire con esattezza e compiutezza quali leggi governino il mondo ancora misterioso dell'atmosfera, tut­tavia essa ha potuto stabilire dei dati di fatto, confermati dalle espe­rienze e accertati durante numerosi voli, dai quali risulta appunto che le nubi accompagnano di solito ed indicano moti dell'aria, da cui si può, e bisogna, trarre profitto.

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CAPITOLO NONO

I CUMULI

Sappiamo già che i cumuli sono nubi che si generano dalla conve­zione. Lo studio approfondito di esse ha un' importanza grandissi­ma, poiché è appunto sotto e dentro queste nubi che si sviluppano le più intense e persistenti correnti termiche. Per questo ci proponiamo di raccogliere in questo capitolo tutte le nozioni che ci P,arranno utili per una buonaoonoscenza soprattutto sotto l'aspetto pratico di que­ste potenti amiche del volo veleggiato.

I cumuli sono assai frequenti, specialmente nelle giornate calde. Su basi piuttosto appiattite, si elevano a guisa di cupole tondeggianti, che spesso raggiungono proporzioni spettacolose. La loro tinta nella parte inferiore, è grigio-scura, nella parte media e superiore è invece di un bianco splendente. Manca in essi del tutto quella struttura fi­brosa, che si nota spesso in altri tipi di nubi. Compaiono nel cielo ora a gruppi, ora isolati ad altezze che variano dai 500 ai 3.000 metri. An­che quando sono fortemente sviluppati non riescono a dare che delle precipitazioni molto deboli.

Il cumulo si forma, di solito, nelle giornate di bel tempo, quando il sole ha modo di far sentire più vivacemente l'azione del suo calore sul suolo, generandovi forti correnti termiche; ma può aversi anche in giornate alquanto coperte, purché vi siano nell'atmosfera buone con­dizioni di instabilità, perché anche in tali giornate è possibile lo svi­luppo di correnti ascendenti. Ora, il cumulo rappresenta proprio il punto di arrivo di tali correnti, vale a dire il punto a cui la colonna ascendente, che si è andata di mano in mano raffreddando secondo una legge a noi già nota, raggiunge la saturazione ed ha inizio il pro­cesso di condensazione. Il cumulo dunque, dice al pilota di alianti che sotto la propria base (o poco discosto da essa, se accade che il vento faccia deviare la corrente dalla verticale del luogo) egli potrà trovare una di quelle correnti, che possono portare le sue ali verso l'alto.

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Ciò, però, non è tutto. Sappiamo infatti che il fenomeno della con­densazione avviene con forte emissione di calore. Per effetto di tale fenomeno, la corrente generata dall'insolazione, giunta alla base del cumulo, riceverà un notevole incremento alla propria velocità di sali­ta: potrà così continuare il suo cammino ascendente nell'interno del­la stessa nube fino a toccare quote che, ove non si presentino strati di inversione, possono giungere anche a 8-9000 metri. Ognuno vede quindi quale possibilità offra al pilota questo prezioso tipo di nube che, mentre per un verso segna il punto di arrivo della termica ascen­dente, per un altro verso segna il punto di partenza di un nuovo cam­mino verso l'alto.

~l vero cumulo è nettaIJ!ente delineato, sia in alto che in basso, e la sua superficie appare come scolpita in una materia dura, capace di mantenere, per un certo periodo almeno il suo aspetto e i suoi contor­ni (Fig. 51). Quando invece si presenta come lacerato, mutevole di forma, instabile, allora prende più propriamente il nome di "fracto­cumulo" (Fig. 52). Assume questa forma quando nell'atmosfera si hanno insieme turbolenze e convezione termica, ossia quando un vento forte e molto umido trascorre sopra un suolo molto caldo ed il margine superiore dello strato turbolento sorpas a il livello di con­densazione. I "fracto-cumuli" (ed anche i cumuli) che si formano

Fig. 52

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Fig. 53 Fig. 54

nelle condizioni sopra descritte, o anche per il sollevamento forzato di aria umida lungo pendii montani, prendono lo speciale appellativo di "fracto-cumuli" o "cumuli dinamici". Sia gli uni che gli altri non presentano mai la base con quel profilo rettilineo, che è proprio dei cumuli termici. (Fig. 53).

Tra le specie di cumuli, che hanno maggiore rilievo annoveriamo: a) il "Cumulus Humilis",· è il tipico cumulo di bel tempo. Ha scar-

. so sviluppo in altezza e vita breve. Spesso capita infatti che il cumulo si dissolva poco dopo la sua formazione, per ricomporsi più tardi ed in seguito disperdersi definitivamente. Com'è facile capire, la vita di questo tipo di nube convettiva, a scarso sviluppo verticale, oltre che dalle correnti termiche da cui trae origine, dipende anche dalla turbo­lenza e dalio stato igrometrico dell'atmosfera in cui si forma. Un'aria ambiente molto secca ed agitata, accelera infatti l'evaporazione delle goccioline che costituiscono la nube provocandone la rapida dissolu­zione.

Secondo recenti teorie, infatti, lo sviluppo di una nube cumulifor­me fino alle imponenti proporzioni di un cumulonembo, non si può concepire se non ammettendo l'apporto di vapore acqueo da parte dell'aria ambientale nella quale la nube si sviluppa. Come vedremo in seguito, questo trascinamento di aria umida nell'interno delle nubi

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convettive, è ormai considerato un indispensabile meccanismo per lo sviluppo dei cumuli; meccanismo al quale è stato dato il nome di "Entrainment".

Talora i cumuli di bel tempo appaiono disseminati per il cielo, ben distanziati l'uno dall'altro, con la base piatta e i contorni nettissimi (Fig. 54). Pur presentando la stessa caratteristica di una modesta al­tezza, dovuta al fatto che poco più su del livello di condensazione esi­ste una forte inversione termica, possono assumere aspetti variabili. Infatti, anche se non arrivano ad assumere l'aspetto tipico del cavol­fiore, tuttavia all'inizio si presentano con la cima bene arrotondata; in seguito, la cima si appiattisce, il corpo si sgonfia gradatamente, ta­lora fino a scomparire del tutto. Questa mutevolezza di aspetti, che testimonia l'intima evoluzione della nube, denota che allora si avvici­na una perturbazione e comincia proprio quando il cielo viene invaso dal velo di cirrostrati che costituiscono l'orlo anteriore della pertur­bazione propriamente detta. Ecco perché questi cumuli si dicono con buona ragione "di bel tempo"; essi non possono, infatti, né formarsi né durare se non fuori delle perturbazioni atmosferiche: quando que­ste si appressano, quelli si dissolvono e scompaiono.

b) il "Cumulus Congestus,,: è un cumulo di proporzioni ingenti, molto gonfio, con forti protuberanze, terminante con una o più cu­pole dal caratteristico aspetto del cavolfiore. Può presentarsi, sotto due diversi aspetti per le diverse condizioni in cui può prodursi:

I) con aria calma, soprattutto durante le giornate calde con ten­denza temporalesca, il cumulo si presenta con grandi dimensioni sal­damente costruito su una larga base orizzontale, sviluppata forte­mente in senso verticale, talora somigliante a una ciclopica torre, tal altra ad uno smisurato cavolfiore. (Fig. 55). Frequentemente si nota sopra questo tipo di cumulo un berretto o cappuccio, dovuto al solle­vamento di uno strato umido sottostante ad una debole inversione termica: donde il nome di "pileus" che si aggiunge all'altro di cumu­lus congestus (Fig. 56). Quando il sollevamento è forte e l'umidità sufficiente, la testa del cumulo riesce ad attraversare il cappuccio, il quale diviene perciò un collare, che si incorpora nella nube.

2) Con vento forte nella parte posteriore delle perturbazioni il cu­mulus congestus presenta un aspetto irregolare, tormentato, a con-

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Fig. 55

torni molto frastagliati. (Fig. 57). Lo si trova frequentemente asso­ciato a cirri densi e a stratocumuli o altocumuli derivanti dall'appiat­tirsi e distendersi della parte superiore dei cumuli.

Quando accade che la cima di un cumulus congestus raggiunga

Fig. 56

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uno strato di forte inversione termica, si osserva che, per evaporazio­ne, la cima stessa si riduce ed assume un aspetto piano. Se poi la cima del cumulo riesce a vincere l'inversione e a penetrare entro lo strato d'aria che la costituisce, si vede la sommità dell'ammasso nuvoloso prendere la forma di una enorme incudine, che ha tutto l'aspetto del cirro denso, sebbene non ne abbia la natura: si parla in tali casi di "falso cirro". (Fig. 58). Ma poiché l'incudine, che si è venuta così formando, risulta costituita da parti ghiacciate, è evidente che il cu­mulus congestus ha cessato di essere tale per mutarsi in cumulonem­bo. Tra i due corre, tra le altre, anche questa differenza, che il primo non dà luogo a precipitazioni, mentre il secondo è costituito al con­trario come apportatore di acquazzoni e temporali.

La massa nuvolosa che costituisce i cumuli - sia si tratti del cumu­lus humilis che del cumulus congestus - non è sconvolta da moti tur-

Fig. 57

bolenti né da fenomeni elettrici pericolosi: essa pertanto deve essere considerata come una potente amica del volo a vela, e può essere tranquillamente affrontata da quei piloti che, essendo bene addestra­ti al volo strumentale, vogliono servirsene per guadagnare quote più alte, dalle quali puntare, con maggiore speranza di vittoria, verso le méte prefisse.

Infatti, finché il cumulo è attivo, cioè dal momento in cui comincia a formarsi e fino al momento in cui comincia la sua dissoluzione o la sua degenerazione, la massa nuvolosa che lo costituisce è animata da correnti ascendenti abbastanza ordinate e tranquille, che sono una si­cura risorsa per il volo; non è più così quando il cumulo sia degenera­to in cumulonembo: le condizioni interne della massa nuvolosa, co­me vedremo più innanzi, sono allora radicalmente mutate e possono

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costituire un serio pericolo per il volovelista inesperto, che si trovi a doverle affrontare.

Nei voli di distanza la presenza di cumuli organizzati in strade con base di condensazione alta, il volo in nube è praticamente inutile, poiché, navigando sotto queste formazioni in buone condizioni di vi­sibilità, si può mantenere un'ele­vata velocità d~ crociera pratica­mente sempre alla stessa quota. L'esperienza insegna inoltre, che nei voli di distanza, non convie­ne entrare in nube se lo sviluppo verticale dei cumuli è inferiore a 1000 metri. Anche la formazione di ghiaccio impone spesso un li­mite allo sfruttamento delle cor­renti ascendenti nell'interno dei cumuli. Pertanto, quando si rag-giunge la quota dello zero termi- Fig. 58 co, conviene uscire dalla nube.

Durante lo sviluppo di un ciclone si osserva che i cumuli assumono grandi proporzioni e raggiungono ragguardevoli altezze. Ciò dipende dalla diversa natura dei movimenti verticali che si formano al centro della zona occupata dalla meteora per effetto delia convergenza oriz­zontale delle masse aeree. Nell'anticiclone invece, si forma un movi­mento discendente che riscalda le masse d'aria per compressione adiabatica: in tali condizioni, ad una certa altezza, si produce un'in­versione della temperatura, che blocca i moti termici ascendenti e li­mita lo sviluppo verticale dei cumuli, i quali pertanto non avranno possibilità di raggiungere grandi proporzioni. In regime ciclonico, in­vece, si ha una estesa massa d'ari.a ascendente, la cui temperatura va gradatamente diminuendo per espansione adiabatica. Nell'ambito di questa massa, la convergenza orizzontale verso la zona centrale del ciclone, produce un aumento della velocità diretta verso l'alto, ed i cumuli che si generano in tali casi raggiungono grandi altezze e assu­mono proporzioni cospicue con torri e protuberanze grandiose.

Abbiamo già avuto occasione di dire, parlando degli stratocumuli,

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che quando verso sera cessano le correnti ascendenti', i cumuli perdo­no a poco a poco di altezza fino ad assumere l'aspetto di stratocumu­li o di altocumuli, prima di dissolversi completamente.

Quando i cumuli di bel tempo sono investiti da un forte vento (se no~ sussistono le condizioni necessarie per la formazione di quei vor­tici d'aria ad asse orizzontale, ai quali abbiamo già accennato e che, più avanti studieremo compiutamente) si sfaldano, si lacerano e, se il vento continua a soffiare molto forte, finiscono col dissolversi com­pletamente. È stato chiesto se i cumuli, quando soffia forte il vento, abbiano o non abbiano la stessa velocità degli strati d'aria entro cui si trovano. Si può rispondere affermativamente a tale quesito, benché, a causa delle evoluzioni interne delle nubi cumuliformi, il loro movi­mento possa essere differente da quello dei filetti d'aria circostanti e dalla velocità del vento alla stessa altezza.

Riesce interessante notare gli aspetti diversi che i cumuli assumono di fronte al sole. Quando infatti sono illuminati dalla stessa parte da cui li guarda l'osservatore, le superfici delle protuberanze che.Ii costi­tuiscono appaiono più brillanti che non i loro bordi. Quando sono, invece, illuminati lateralmente, presentano contrasti molto forti di luci e d'ombre e si nota che le zone oscure sono segnate da bordi chia­ri. Quando un cumulo isolato, dopo aver raggiunto un notevole svi­luppo verticale, si avvicina al livello di equilibrio termico ed è investi­to direttamente dai raggi solari, presenta talvolta questo fenomeno, che la parte rivolta al sole cessa di salire e comincia ad incurvarsi, mentre continua a salire la parte in ombra, che forma una nuova ci­ma.

Un cumulo in via di decisa dissoluzione è facilmente riconoscibile per il fatto che cessa di poggiare - ci sia consentito di dir così - su una base piana, orizzontalmente disposta, e lo si vede invece abbassarsi da una parte o dall'altra, sotto il livello di condensazione, rivelando così che là è cominciata l'evaporazione della nube e che, con essa, son cominciati anche i primi movimenti discendenti.

In questa fase della vita del cumulo si vanno quindi creando delle condizioni sfavorevoli al veleggiamento, particolarmente nella zona che sta sotto quella parte della nube che si viene abbassando. Per conseguenza si impone al pilota la necessità di evitare per lo meno

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quella zona, sebbene sia consigliabile, quando se ne abbia la possibi­lità, di scartare del tutto i cumuli che siano entrati nel processo di dis­soluzione. La ragione di questo consiglio sta nel fatto che il dissolvi­mento di un cumulo, a qualunque specie esso appartenga, è sempre accompagnato da fenomeni opposti a quelli che avvengono nella. sua formazione, e cioè da raffreddamento dell'aria, dal prodursi di cor­renti discendenti, spesso anche molto forti, e talora da rovesci di pioggia: condizioni, queste, evidentemente avverse al volo veleggiato.

La posizione della corrente ascendente sotto i cumuli dipende dalla posizione del sole e dalla direzione di provenienza del vento, nonché dalla sua intensità. p pilota, pertanto, incontrerà l'ascendenza dalla parte del sole e del vento e tanto più davanti alla nube (sopravvento) quanto minore sarà la quota dell'aliante, poiché il vento inclinerà più o meno la colonna termica.

Riportiamo tre norme alle quali si attengono di massima i voloveli­sti durante il veleggiamento sotto formazioni cumuliformi:

I) Quando il vento proviene dalla stessa posizione del sole, l'ascen­denza va cercata sopravvento alla nube.

2) Quando la posizione del sole e la direzione di provenienza del ven­to sono diverse, l'ascendenza va cercata sopravvento alla nube, lungo la bisettrice dell'angolo formato dalla direzione del vento e della li­nea che congiunge idealmente la nube e il sole.

3) Quando la direzione di provenienza del vento e la posizione del so­le sono opposte, l'ascendenza va cercata al centro della nube.

Gli allievi dovranno veleggiare ad una distanza prudenziale dalla base di condensazione (circa 150 m.) per non correre il rischio di per­dere la visione del suolo e quindi il controllo dell'aliante. A tale sco­po essi dovranno volare sui bordi della nube, dove generalmente la velocità ascensionale è minore ed è possibile veleggiare mantenendo il variometro a zero. Volando sotto i cumuli di notevoli proporzioni il calcolo della vicinanza alla base di condensazione è molto ingannevo­le. Spesso il pilota crede di trovarsi ancora molto lontano. Quando l'aliante si trova realmente vicino alla base di condensazione, l'oriz­zonte si copre di una torbida cortina giallognola ed il pilota riesce a distinguere nitidamente il movimento turbolento delle goccioline che

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costituiscono la nube, dalla quale cadono spesso goccie d'acqua. Sappiamo come lo sviluppo verticale dei cumuli imprima agli strati

d'aria sovrastanti una spinta verso l'alto, che è tanto più forte quan­to più rapido è il processo di condensazione nella parte superiore del­la nube. Questo rapido sollevamento dell'aria che si trova sopra i cu­muli, si traduce in vere e proprie correnti ascendenti, la cui intensità va diminuendo di mano in mano che ci si allontana dalla sommità delle nubi. Com'è facile capire, il carattere di queste correnti - che i volovelisti riescono ad utilizzare per guadagnare quota oltre la som­mità dei cumuli - è nettamente dinamico ed il loro valore varia da 1 a 2 metri per secondo.

Per il pilota di volo a vela è importante sia il pronosticare a quale altezza potranno formarsi i cumuli, quando sussistano le condizioni necessarie e sufficienti, sia il determinare l'altezza di qualsiasi nube di convezione già formata al momento dell'osservazione. Gli sarà di grande aiuto per risolvere questi problemi pratici l'uso del diagram­ma termodinamico di Stuve, che già conosciamo.

Supponiamo di avere al suolo, in un determinato luogo e in un de­terminato momento del giorno, una temperatura di 30° C, una pres­sione atmosferica di 1000 mb. Se l'aria fosse satura, il vapore della sua umidità specifica sarebbe di 28 grammi per Kg. d'aria, come indi­ca la linea punteggiata che all'umidità specifica si riferisce e che nel diagramma della figura 59 passa per il punto in cui coincidono le in­dicazioni della pressione esistenti al suolo nel momento della rileva­zione. Essendosi però supposto che l'aria possegga in quel momento e in quel luogo una umidità relativa del 750/o, il valore della umidità specifica reale è dato dalla seguente proporzione:

28: 100 = X : 75 da cui si ricava:

28 X 75 Umidità specifica reale 21 gr. per Kg d'aria.

100

Supponiamo ora che una bolla termica salga nella atmosfera instabi­le in esame, staccandosi dal punto in cui si trovano a coincidere la

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temperatura e la pressione supposte. Durante la salita, l'aria della bolla subirà il raffreddamento indicato dall'adiabatica secca che par­te dal punto stesso. Seguiamo tale curva adiabatica fino alla sua in­tersezione con la linea punteggiata obliqua corrispondente al valore di 21 gr. di umidità specifica. In quel punto, l'aria della bolla ascen­dente raggiungerà il suo livello di condensazione. Si è giunti così a de­terminare il punto a cui si troverà la base di condensazione delle nubi convettive che, nel caso in esame, sta appunto sulla linea di pressione di 943 mb., corrispondente ad una altezza di circa 700 metri.

Di passaggio notiamo che tra umidità specifica e punto di rugiada esiste, come dottrina ed esperienza attestano, una importante relazio­ne. Ed è questo che sul diagramma termodinamico, a cui ci siamo fin qui riferiti, il livello di condensazione di una massa d'aria in ascesa adiabatica può trovarsi anche partendò dal punto di rugiada e se­guendo verso l'alto la linea indicante l'umidità specifica fino all'in­tersezione con la curva di stato in esame. Nel diagramma della figura 59 è facile determinare il punto di rugiada seguendo verso il basso la linea dell'umidità specifica dal livello di condensazione all'ascissa: si trova così che la temperatura del punto di rugiada è nel caso presente di 24° c .

.P.ress1one -aoo

9SO

1000 20•

Fig. 59

Livello 1d1 cond1nsasione

25• )01 35• fU11P41ratura

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Se la bolla termica giacente nel punto corrispondente alla tempera­tura di 30° c. potesse venire raffreddata al suolo (cioè a pressione co­stante) e senza variare il suo contenuto di umidità, la bolla stessa rag­giungerebbe il suo punto di rugiada alla temperatura di 24° C. Se in­vece, come nel caso supposto, la bolla ascende seguendo l'adiabatica secca (e sempre mantenendo il proprio contenuto di umidità) il suo punto di rugiada varia col variare della pressione atmosferica e della temperatura secondo la progressione decrescente indicata dalla linea dell'umidità specifica.

Dalla figura 59 si rileva che l'aria della bolla termica, ascendendo sino alla quota di 700 metri ha subito un raffreddamento adiabatico di 7° C, mentre il punto di rugiada è di solo 1,4 ° C. Ciò significa che la variazione adiabatica secca del punto di rugiada è solamente la quinta parte della variazione adiabatica secca della temperatura. In­fatti mentre la temperatura della bolla in esame varia, durante l'asce­sa, di un grado per ogni 100 metri, quella del punto di rugiada varia solamente di 0,2° C. È facile intendere pertanto, che durante l'ascesa adiabatica di una massa d'aria secca, la temperatura si avvicina al punto di rugiada di circa 0,8° C per ogni 100 metri.

Le considerazioni surriferite permettono di risolvere, con suffi­ciente approssimazione, il problema propostoci di determinare la quota a cui, in un dato luogo e in un certo momento, avranno la loro base le nubi di convezione, quando manchino i dati precisi del son­daggio termodinamico, anche con questa formula: "l'altezza della base di condensazione è data dal prodotto di 122 per il valore della temperatura dell'aria al suolo, diminuito del valore della temperatu­ra del punto di rugiada". Con questa formula si ha che se, per fare un esempio, una bolla termica umida, la quale abbia a terra una tem­peratura di 30° c. e una temperatura del punto di rugiada di 22° e, ascenda adiabaticamente, troverà la sua base di condensazione a:

122x(30 - 8) = 122x22 = m. 976

È di grande interesse per il volovelista pronosticare, fin dalle prime ore del mattino, l'altezza della base di condensazione dei cumuli che potranno eventualmente formarsi qualche ora più tardi. Cercheremo

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di risolvere qul·sto problema, seguendo l'esempio pratico illustrato daila figura 60 che rappresenta il sondaggio termodinamico effettua­to nelle prime ore del.mattino. Poiché in superficie regna una inver­sione termica seguita da uno strato isotermico e da un altro strato stabile, è facile intendere come sia necessario che l'irradiazione del suolo ed il rimescolamento verticale dell'aria producano la labilizza­zione termica di questi strati, prima che in essi possano svilupparsi movimenti convettivi organizzati. In altre parole l'irradiazione dovrà distruggere l'inversione notturna. Interessa pertanto conoscere la temperatura che dovrà raggiungere l'aria al suolo perché gli strati su­perficiali diventino instabili. A tale scopo tracceremo un'adiabatica secca a partire dal livello più alto dello strato stabile. Il punto rappre­sentato dall'intersezione di questa adiabatica con la linea che indica la pressione atmosferica regnante al suolo (1000 mb), ci rivela la tem­peratura che desideriamo conoscere, vale a dire 30° C.

• e: o ·-411 411 ., ... Q.

mb 700~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Base

800 1~ g/Kg

900

20°

Fig. 60

2~g/Kg

. . .

Temperatura

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Orbene, poco dopo che la temperatura al suolo avrà raggiunto questo valore, la stabilità regnante dal suolo fino a 800 metri d'altez­za sarà completamente distrutta e le correnti verticali si svilupperan­no regolarmente. Ora dobbiamo trovare a che altezza le masse d'aria ascendenti raggiungeranno la temperatura del punto di rugiada e co­mincerà a prodursi la condensazione.

Sappiamo già che nel diagramma termodinamico per trovare que­sta altezza è sufficiente partire dalla temperatura del punto di rugia­da in superficie e seguire verso l'alto la linea indicante l'umidità spe­cifica fino alla sua intersezione con la curva di stato.

È noto che l'umidità specifica non è invariabile nel corso della mattinata, dato che il riscaldamento del suolo abbassa l'umidità rela­tiva, la quale, a sua volta, facilita l'evaporazione. È evidente, pertan­to che con l'aumento di contenuto di vapore negli strati superficiali l'altezza della base di condensazione degli eventuali cumuli diverrà un po' più bassa di quella che noi indicheremo per il caso in esame. Ad ogni modo, per mantenerci su quel piano di semplicità che ci sia­mo proposti fin dalle prime pagine di questa esposizione, supporre­mo che l'umidità specifica, nel corso della mattina, non soffr~ varia­zioni. Calcoliamone quindi il valore per il caso in esame:

La linea punteggiata dell'umidità specifica di saturazione che pas­sa per la temperatura di 20° C, regnante al suolo, ci indica un valore di 15 gr. di vapore acqueo per ogni Kg. di aria umida. L'umidità rela­tiva in superficie è, però del 600Jo; per cui l'umidità specifica reale sa­rà il 600Jo di 15 gr., vale a dire:

15x60 9 gr.

100

Concludendo, i cumuli si formeranno al livello del punto in cui la linea punteggiata dell'umidità specifica di 9 gr. si interseca con la curva di stato, poco dopo che la temperatura al suolo avrà raggiunto i 30° c.

Quando il livello teorico delle nubi di convezione si trova più in al­to di quello a cui arriva lo strato instabile, avviene che le correnti

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ascendenti si arrestano prima di raggiungere tale livello, e pertanto non riesce possibile, in una simile condizione aerologica, il formarsi di nubi cumuliformi. In tali casi avremo le cosiddette ''termiche sec­che". Sappiamo già che condizioni di tal genere si verificano spesso durante la stagione estiva, nelle prime ore del mattino che tien dietro ad una notte serena. Più tardi, la sempre più intensa irradiazione ter­restre determina un continuo estendersi verso l'alto della massa d'aria riscaldata e, conseguentemente, un continuo aumentare dello spessore dello strato instabile. Se questo processo continuerà fino a raggiungere il livello di condensazione, cominceranno a formarsi i cumuli, il cui sviluppo verticale dipenderà dalla natura e dalle condi­zioni della stratificazione esistente sopra quel livello.

Le condizioni principali perché le nubi cumuliformi continuino a svilupparsi verticalmente dopo la loro formazione, sono tre:

1) Condizioni di instabilità, cioè rapido decremento della tempera­tura con l'altezza in seno alla massa atmosferica sovrastante la base di condensazione dei cumuli.

2) Sufficiente umidità dell'aria alla quota nella quale i cumuli si formano. Spesso il contenuto di vapore acqueo nell'ambiente esterno alle nubi convettive ha maggiore influenza nel loro sviluppo che non lo stesso gradiente termico verticale. In pratica si è infatti riscontrato che con umidità relativa media inferiore al 30%, i cumuli non arriva­no alla degenerazione temporalesca nemmeno quando l'instabilità è notevole, mentre con umidità media superiore al 75% i temporali so­no quasi certi.

Nel caso della possibilità di formazione di cumuli temporaleschi, è condizione importante anche una forte variazione della velocità e spesso della direzione del vento con l'altezza fino alla quota di 10-12.000 metri.

È chiaro che Io sviluppo di un cumulo verso l'alto si arresta, quan­do la sua cima raggiunge uno strato d'aria assolutamente stabile co­stituito da una inversione termica. Se questa fosse molto forte, come ad esempio nei casi di subsidenza anticiclonica, l'inversione termica impedirebbe l'ulteriore sviluppo del cumulo, che si appiattirebbe (cu­mulus humilis) e potrebbe dissolversi del tutto, se i moti convettivi fossero molto forti, o l'atmosfera in quota molto secca.

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Quando questi invece siano di moderata intensità, lo strato d'aria costituente l'inversione potrà anche sollevarsi e dar luogo alla con­densazione di vapore acqueo, se lo strato è molto umido. Il cumulo risulterà allora sormontato da un leggero e diffuso velo bianco, di struttura delicatamente striata o sfogliata ai bordi: quel particolare, insomma, che già conosciamo col nome di "pileus". Il quale, se l'ele­vazione dello strato d'inversione è notevole e bastantemente vigoro­so, il cumulo, può venire anche da questo oltrepassato, come già ac-

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Fig. 61

cennammo altrove. Notiamo da ultimo che, talvolta l'irradiazione delle cime dei cumuli raffredda la superficie dei cumuli stessi, ceden­do calore all'aria che costituisce l'ambiente e crea, sopra di essi un'inversione termica. Questa, tuttavia, viene form_andosi lentamen­te, e così i cumuli pur cessando di svilupparsi in senso verticale, rie­scono a mantenere le loro caratteristiche forme tondeggianti.

Ad ogni modo in una giornata con sufficiente umidità in quota, per poter conoscere, in vista dei bisogni pratici del volo veleggiato, quale potrà essere, almeno in misura approssimativa, lo sviluppo ver-

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ticale che potranno raggiungere i cumuli, sarà sufficiente determina­re sul diagramma termodinamico, dopo avervi tracciato la curva del­la temperatura reale risultante dal sondaggio aereo, il punto d'inter­sezione della curva adiabatica satura con quella della temperatura re­gnante nell'inversione termica (Fig. 61-A), potendosi supporre, quando l'inversione è forte e netta, che lo sviluppo verticale delle nu­bi convettive si arresti là dove termina l'instabilità. Infatti solo quan­do la massa instabile esistente sopra il livello di condensazione ha una estensione verticale molto grande, la cima dei cumuli raggiunge altez­ze notevoli e forma quelle torri e protuberanze che caratterizzano il "cdmulus congestus" (Fig. 61-B). Se poi quella massa umida e insta-

Fig. 62

bile sarà tanto grande da superare di molto l'altezza dell'isoterma di 0° C, ossia il punto di congelazione, le nubi convettive saranno allora del tipo "cumulonimbus" (Fig. 61-C). La bassa temperatura esisten­te a quel livello determinerà il congelamento delle goccioline di acqua che si trovano in sospensione nella parte superiore della nube e le par­ticelle di ghiaccio che se ne formeranno, aumentando sempre più di volume e di peso, per il continuo accumularsi su di esse di altre goc­cioline di acqua, non potendo essere più mantenute in sospensione dalle correnti ascendenti, cominceranno a precipitare.

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Nei primi due casi illustrati dalla figura 61 i cumuli sono limitati superiormente da inversioni termiche nette. È facile quindi determi­nare l'altezza massima che nell'interno di tali nubi potranno raggiun­gere gli alianti. Infatti, esistendo la possibilità che in qualche parte delle inversioni che sovrastano tali cumuli (e soprattutto quella del cumulus congestus) possano prodursi perforazioni dello strato d'in­versione, ciò potrà succedere in pochissimi punti e, comunque sia, i "soffioni", prodotti da tali perforazioni saranno molto stretti. Per-

Fig. 63

tanto, in tali casi, l'altezza massima raggiungibile in aliante nell'io· terno di questi cumuli è senz'altro quella indicata dall'intersezione della curva adiabatica satura con quella della temperatura reale che rappresenta l'inversione termica. Lo stesso si può dire anche nel caso del cumulonimbus, poiché come vedremo più innanzi, anche se l'in­cudine di falsi cirri che sormonta questa potente nube convettiva pe­netra nell'inversione termica, le correnti termiche ascendenti si fer­meranno alla base dell'incudine stessa.

Maggiori difficoltà, presenta la previsione della limitazione supe-

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riore dei cumuli, quando gli strati di inversione sono deboli, od esi­stono stratificazioni stabili di un certo spessore, caratterizzate da gra­dienti isotermici (Fig. 62). In tali casi i cumuli hanno le sommità in altezze differenti, dato che la massa d'aria "sceglie a sua volontà", fra i numerosi impulsi che agiscono dal basso, solamente un certo nu­mero di essi, selezionando cioè gli impulsi stessi e reagendo instabil­mente soltanto alle perturbazioni più potenti, le quali si producono soprattutto lungo i rilievi montani.

Il Cumulonimbus. - È una potente nube convettiva formata da in­genti ammassi nuvolosi, costituiti da filari di cumuli d'ingente svilup-

Fig. 64

po verticale, simili a torri o a montagne, i quali assumono talora nel­la loro parte superiore la forma di una immensa incudine e rivelano in ogni caso una struttura fibrosa (Fig. 63). La base presenta spesso delle cortine dense e oscure che li fa assomigliare ai nembostrati e, ta­lora appaiono anche quelle appendici caratteristiche, cui si dà il no­me di "virga" e di "mammatus". Quando la base di cumulonembi è connessa con nubi molto basse, dai bordi frastagliati e dall'aspetto cupo, si scaricano sulla terra rovesci di pioggia o di neve o di grandi­ne: sono le nubi caratteristiche dei temporali. (Fig. 64).

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Il cumulonimbus è una nube di molto interesse per il volo a vela e la prova è data dal fatto che, dentro di essa, ardimentosi volovelisti di vari paesi trovarono forze così vigorose da portarli su, fino ai limi­ti estremi della troposfera. Di esso dovremo parlare con alquanta lar­ghezza più innanzi, quando entreremo in discorso sulle formazioni temporalesche. Qui ci limiteremo a descriverne l'aspetto esteriore, spesso per varie cause mutevole, e ad elencarne le specie più degne di nota. Riteniamo necessario che il volovelista impari a riconoscere con sicurezza questo tipo di nube, senza confonderlo con altri ad esso simili, per evitare d'incorrere in pericoli.

Ad esempio, talora, l'aspetto esteriore del cumulonimbus può far­lo confondere con un comune cumulo fortemente sviluppato, ossia con un cumulus congestus. L'errore sarà evitato guardando non solo l'aspetto cumuliforme della nube, ma anche e soprattutto al fatto se presenti, o no, nelle parti cirrose della sua cima quella struttura fi­brosa, che gli è particolare. Così non sarà possibile la confusione, quando si vedrà la parte superiore della nube distendersi a guisa di in­cudine, assumendo quel caratteristico aspetto, che la terminologia meteorologica indica col nome di "incus". Ovviamente, è meno faci­le pronunziarsi con sicurezza quando la nube ricopra gran parte del cielo, così che non se ne poss_a esaminare la parte superiore, e quando sia anche mancata la possibilità di osservarne la formazione e di sta­bilirne, mediante tale osservazione, la natura vera. Della nube, quand'è molto estesa, non vediamo che la base, la quale può assume­re l'aspetto di nembo.strato, accompagnato talvolta da fractostrati o da fractocumuli. Ebbene, anche in tali casi è possibile avere criteri si­curi per distinguere il cumulo nembo da altri tipi simili di nube. Tali sono: la presenza di quelle appariscenti appendici, cui si dà il nome di "virga", la struttura a mammelle della superficie inferiore, le preci­pitazioni con carattere di rovescio. Qualche volta si nota anche nel cumulonembo, quel "pileus" che incorona cc n più frequenza i cu­muli.

I meteorologi attribuiscono al cumulonembo il pittoresco appella­tivo di "fucina delle nubi"; si debbono in gran parte ad esso, infatti, le nubi che si formano nella zona atmosferica che sta dietro le pertur­bazioni, banchi di altocumuli o di stratocumuli, originati dalla di-

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stensione delle parti cumuliformi, e cirri densi, prodotti dalla disten­sione delle parti alte della nube e dalla dissoluzione delle parti infe­riori.

A volte, il complesso delle nubi temporalesche associate con i cu­mulonembi ha l'aspetto di un fronte notevolmente esteso, che pre­senta un rigonfiamento a forma di arco, dal colore oscuro e dai con­torni sfrangiati, costituito da fractocumuli e fractostrati. L'arco che

Fig. o5

circonda una certa zona della massa nuvolosa è quel particolare caratteristico, che i meteorologi indicano col termine di "arcus". (Fig. 65).

Tra le specie degne di menzione del cumulonembo si ha: a) il "cumulonimbus ca/vus", così denominato perché la sua cima,

per il ghiacciarsi delle stille che lo compongono, va gradatamente perdendo la sua rotondità colma e ben definita, appiattendosi come

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la testa di un calvo. Non vi si notano tuttavia parti cirrose. Presenta "virga" appariscenti ed è accompagnato da precipitazioni col carat­tere di rovescio. Le compatte protuberanze del cumulo classico, col loro caratteristico aspetto di cavolfiore, si sfaldano, svaniscono, si confondono e non lasciano apparire sulla massa bianca che delle strie or più or meno verticali.

b) il .. cumu(onimbus capil/atus", così denominato perché presenta parti cirriformi ben distinte, che possono far pensare a chiomate ap­pendici. Talvolta assume anche la forma di incudine.

Molto ci resta ancora da dire intorno al cumulonembo: come ab­biamo promesso, ci riserviamo di farlo più innanzi quando verremo a trattare dei fenomeni temporaleschi.

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CAPITOLO DECIMO

LE MODERNE TEORIE DEL PROCESSO TERMOCONVETIIVO E SULLO SVILUPPO VERTICALE DELLE NUBI CUMULIFORMI

Da quarant'anni, l'urgenza dell'indagine aerologica, con i suoi dia­grammi termodinamici dei quali spesso non si trova una valida applica­zione pratica, ha indotto gli studiosi all'appassionata ricerca di una teo­ria soddisfacente e completa capace di spiegare validamente l'origine e lo sviluppo di quelle imponenti formazioni cumuliformi la cui degenerazio­ne temporalesca è spesso causa di violente ed imprevedibili manifesta­zioni atmosferiche.

Dal continuo accumulo di osservazioni, studi e ricerche, sono scaturi­te diverse teorie sul processo termoconvettivo, le quali, dalla forma pri­mitiva e semplicistica degli anni 30, sono passate alla complessità dei modelli più recenti .

. II metodo che abbiamo fin qui adottato è il modello più semplice e di più immediata applicazione ai sondaggi termodinamici dell'atmosfera, allo scopo di stabilire gli indispensabili parametri delle correnti termiche (stabilità e instabilità, quota di blocco delle correnti ascendenti termiche, temperatura necessaria per eliminare un'inversione o pe·r labilizzare uno strato stabile, ecc.), nonché allo scopo di precisare i parametri dei cumu­li (altezza della base di condensazione, sviluppo verticale delle formazio­ni cumuliformi) che l'attività termoconvettiva può originare.

A tale metodo, nel 1930 il noto meteorologo americano Refsdal ha dato il nome di "metodo particellare" ("Parcel method"), ~he, come abbiamo detto, è il metodo più semplice per affrontare il problema del moto verticale di una particella d'aria secca o satura. Esso comporta le seguenti due ipotesi: 1° la particella non si mescola con l'aria ambientale esterna e conserva la sua identità; 2° non si considerano i moti discen­denti che si generano nell'ambiente esterno quando la particella sale. Nella realtà queste due ipotesi non sono completamente giustificabili e sono da considerarsi come prima approssimazione.

Nel 1938-39 Bjerknes e Petterssen perfezionarono il metodo particel-

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lare introducendo oltre al moto adiabatico di una massa satura ascen­dente, quello pure adiabatico di una massa secca discendente. Tale me­todo interessa particolarmente il calcolo dello sviluppo delle nubi con­vettive e venne denominato "metodo laminare" o "metodo dello strato" ("Slice method"). Esso si differenzia dal metodo particellare perché tiene conto dei moti verticali discendenti di compenso, che si ri­scontrano nell'aria in cui si sviluppa la nube cumuliforme. In linea gene­rale esso viene applicato anche all'ambiente in cui si sviluppano moti verticali ascendenti prima della saturazione.

Il concetto fondamentale è che ad un cilindro di aria ascendente deve corrispondere una uguale massa di aria discendente; che tutti i movi­menti siano adiabatici; che i moti orizzontali non disturbino quelli verti­cali ed infine che, almeno nella prima fase, la densità dell'aria sia solo funzione della pressione atmosferica.

Per completare quanto abbiamo detto sul metodo laminare, sareb­be ora interessante dimostrare come si modificano le condizioni di equilibrio di uno strato d'aria, tenendo conto delle correnti discen­denti di compenso. Il carattere divulgativo che però ci siamo imposto di seguire fin dalle prime pagine di quest'opera non ce lo acconsente. Tiriamo quindi una conclusione pratica da quanto abbiam detto fin qui sui metodi particellare e laminare e diciamo che, ad esempio, il calcolo della quota raggiungibile dalla sommità delle nubi convettive secondo le due teorie, può dare risultati notevolmente differenti. Ve­diamo pertanto come si regola il previsore per conseguire dati i più precisi possibile, ed esaminiamo a tal fine il caso illustrato nel dia­gramma termodinamico riportato nella Fig. 66.

A B C D E è la curva di stato; F e G sono curve adiabatiche sature; H è una curva adiabatica secca; I è la isoigrometrica o linea dell'umidità specifica; B è la base di condensazione dei cumuli; C è il punto in cui la curva di stato risulta tangente all'adiabatica

satura, che indica la sommità media dei cumuli secondo il metodo la­minare;

D indica la sommità media dei cumuli secondo il metodo statistico; E è il punto in cui la curva di stato interseca l'adiabatica satura,

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·he indica anche ia sommità media dei cumuli secondo il metodo par­ticellare.

È facile capire che C è il punto dal quale l'aria comincia a diventa­re assolutamente stabile. Tenendo pertanto conto degli effetti dei mvii verticali discendenti di compenso - che esaltano la stabilità - il tratto CE è nettamente sfavorevole allo sviluppo della nube.

_Il punto C, ai~a base di questo strato stabile, può quindi essere con­siderato come la sommità media delle nubi convettive secondo il me­todo laminare.

Abbiam visto che il punto E, indicante la sommità media delle nu­bi cumuliformi secondo il metodo particellare, si trova a quota note­volmente più alta rispetto al punto C.

Come ci si deve allora regolare? Il Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare _Italiana, in ba­

se ai controlli effettuati in forma statistica, ha stabilito che i propri previsori valutino la sommità media delle nubi convettive mediante il punto D (sommità statistica), il quale nel diagramma termodinamico si trova 25 mb più in alto del punto C, cioè della sommità media cal­colata secondo il metodo laminare.

Fig. 66

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Nel precedente capitolo abbiamo accennato al fatto che spesso il contenuto di vapore acqueo nell'ambiente esterno delle nubi convel­tive ha maggiore influenza nel loro sviluppo che non lo stesso gra-t· diente termico verticale. Questo principio è stato esposto da Austin e Fleischer nel 1948. Secondo la loro teoria convalidata da misure e controlli di ciò che avviene nella realtà, un cumulo che si sviluppa verticalmente agisce nella atmosfera come un piccolo "getto" che de­termina un mescolamento di aria ambientale con l'elemento nube. Questo processo è chiamato "entrainment" (trascinamento o pene­trazione) e la sua entità dipende dall'intensità della turbolenza che esiste sia dentro la nube sia in prossimità di essa. L'entrainment av­verrebbe in seguito al continuo trascinamento di aria ambientale ad opera dei vortici perimetrali che si formano nella superficie di discon­tinuità esistente tra le correnti ascendenti nell'interno della nube e le correnti discendenti di compenso che si formano attorno ad essa.

L'aria che pe.netra dentro le nubi cumuliformi è a temperatura mi­nore e non è satura. Essa, pertanto si riscalda e diviene satura a spese delle nubi. Ne risulta che il trascinamento dell'aria esterna nell'inter­no delle nubi, determina una diminuzione dell'intensità delle correnti ascendenti. Tuttavia l;incremento di massa della nube con umidità relativa ambiente non inferiore al 600Jo è notevolissimo. _Infatti, nei primi 2 o 3.000 metri del suo sviluppo la massa della nube può rad­doppiarsi o addirittura triplicarsi, e questo arricchimento proviene dall'aria ambientale e non dalle correnti ascendenti provenienti dal basso.

L'entrainment è pertanto ormai considerato un meccanismo indi­spensabile per lo sviluppo delle nubi cumuliformi. L'esperienza di­mostra infatti che anche con notevole instabilità atmosferica ed in aria secca, i cumuli non si formano, anche se i diagrammi termodina­mici e la teoria particellare fanno prevedere nubi cumuliformi a gran­de sviluppo verticale. Questo è molto importante per la previsione dei temporali, i quali, si formano quasi sempre quando nei diagrammi termodinamici l'area di instabilità convettiva si presenta relativamen­te piccola e sotto forma di una striscia lunga e sottile, con umidità re­lativa media ambientale attorno al 70%.

Secondo la teoria delle termiche o delle bolle ("Bubble theory pe-

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netrative convection") dei noti meteorologi inglesi Ludlan e Scorer -teoria alla quale abbiamo fugacemente accennato nel capitolo sesto -nell'interno dei cumuli "le termiche sono protette da un consistente mescolamento in seno alla nube, ma sono soggette a rapida diluizio­ne ed evaporazione quando emergono vicino al livello sommità".

Successivamente Scorer introdusse il concetto della "scia" che, co­me abbiamo acennato nel citato capitolo, "è un miscuglio, della bol­la originaria e dell'aria attraverso la quale essa si è sollevata".

Orbene, Ludlan e Scorer, studiando la struttura e la dinamica dei cumuli mediante riprese cinematografiche al rallentatore, hanno rile­vato che nella parte superiore della nube si formano delle singole tor­ri, le quali si sviluppano per un certo periodo di tempo, poi si arresta­no ed indi si dissolvono. Successivamente si formano nuove torri al posto di quelle precedenti e cosi via. Nella fase di dissolvimento delle torri, parte della massa nuvolosa passa nell'aria ambientale, con un processo che è l'opposto di quello dell'entrainment e che viene deno­minato "detrainment".

Fig. 67

Ludlan e Scorer, nella esposizione della loro teoria chiamano que­ste torri "bulbi", il cui ciclo vitale viene così descritto dagli autori.

"A causa delle variazioni orizzontali della d~nsità che si riscontra­no nell'interno di un cumulo, una porzione di esso si solleva e cresce come un "bulbo" avente la sommità sferica. Nel suo rapido sviluppo di bulbo solleva l'aria secca che gli sta sopra, la quale si raffredda adiabaticamente ed appesantendosi incomincia a scorrere in giù lun­go la superficie del bulbo stesso.

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Questo scorrimento in basso dell'aria esterna determina l'erosione della superficie dei bulbo e produce alla sua base un risucchio turbo­lento, il quale è costituito da un miscuglio di nube e di aria esterna ("detrainment").

Il bulbo può anche essere tagliato fuori da questo risucchio (Fig. 67) e venire in tal modo completamente alterato. Si ha così una diffu­sione verso l'alto della massa della nube ed un arricchimento di vapo­re acqueo nell'aria sovrastante la nube stessa, il cui sviluppo sarà fa­vorito dalla maggiore umidità dell'aria ambientale. Il ciclo di svilup-

a)

---

Fig. 68

po e di dissolvimento di un bulbo prepara quindi una strada più favo­revole per lo sviluppo di un successivo bulbo, il quale può penetrare più in alto del primo. _In tal modo l'intera massa nuvolosa si sviluppa verso l'alto, mediante successivi bulbi, ognuno dei quali altera lo spa­zio sovrastante, in modo da facilitare l'ascesa del bulbo successivo".

Le osservazioni dirette, effettuate fino ad 6ggi da piloti e meteoro­logi per verificare le conseguenze della teoria che abbiamo illustrato, sono risultate positive e ne hanno pienamente confermato la validità. Del resto una verifica sperimentale qualitativa della teoria di Ludlan

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B

')

e Fig. 69

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e Scorer si può effettuare facilmente anche senza ricorrere alle riprese cinematografiche al rallentatore, osservando le nubi cumuliformi che si formano in strati dove il vento varia rapidamente d'intensità col progredire della quota.

Infatti, quando la velocità del vento cresce con l'altezza, la nube, nella zona del "risucchio" alla base del "bulbo", viene trascinata sottovento (Fig. 68 a). Ne consegue che in tali condizioni i cumuli si sviluppano maggiormente nella zona sottovento, dove l'aria sovra­stante, in seguito al trascinamento del bulbo, si arricchisce maggior­mente di umidità.

Nel caso che l'intensità del vento decresca invece con l'altezza, la nube si sviluppa allora maggiormente sul Iato sopravvento, poiché in tal caso l'aria si arricchisce maggiormente di umidità nella zona so­vrastante il bulbo genitore, grazie al processo formativo dei bulbi stessi (Fig. 68 b).

Quando in tutto Io spessore dello strato convettivo non c'è vento, le termiche sono relativamente larghe e più persistenti di quando sof­fia vento. Va rilevato però che con calma di vento le termiche si for• mano meno frequentemente e che per Io più sono organizzate in bol­le, ubicate nei luoghi dove la superficie del suolo si scalda più rapida­mente. Con venti inferiori a 10 nodi invece, l'attività termoconvetti­va è favorita e le ascendenze sono relativamente larghe e ben ripartite.

Le termiche che si elevano in strati dove il vento varia rapidamente d'intensità con il progredire della quota, subiscono una deformazio­ne che dipende dalla potenza ascensionale delle termiche stesse e dal grado dello shear verticale. Le ascendenze larghe e potenti riescono a penetrare negli strati di forte vento orizzontale senza subire notevoli accelerazioni laterali. _In tal caso, infatti, l'aria viene deviata sopra ed attorno alle ascendenze (Fig. 69 A) dando luogo a quelle ondulazioni che si formano sopra i cumuli e che, come vedremo più avanti, pren­dono il nome di "onde di cumulo".

Quando termiche deboli o strette penetrano in strati dove Io shear verticale è notevole, il vento disturba l'attività termoconvettiva ed i "cumulus turritus", tipici di queste condizioni, finiscono col cadere e dissolversi (Fig. 69 B).

In assenza di shear verticale in quota, le termiche si sviluppano

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normalmente, anche se la turbolenza termodinamica in superficie è notevole (Fig. 69 C).

Con l'esposizione delle moderne teorie del processo termoconvetti­vo e sullo sviluppo verticale delle nubi cumuliformi, riteniamo di aver completato l'argomento di questo capitolo, anche se non ab­biam fatto cenno a quelle teorie piu recenti basate su calcoli numeri­ci. I quali, pur avendo portato a soluzioni molto soddisfacenti, non possono tuttavia venire utilizzati nelle analisi giornaliere dei sondaggi termodinamici dell'atmosfera, perché la loro laboriosità è tale dari­chiedere l'impiego di calcolatrici elettroniche. È quindi ovvio che la necessità di semplificare tali calcoli rende inevitabile l'adozione degli schemi teorici più semplici ai quali anche noi siamo ricorsi.

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CAPITOLO UNDICESIMO

LA TEORIA SULLA COSTITUZIONE· CELLULARE DELLA TERMOCONVEZIONE

A questo punto del nostro studio ci sembra opportuno soffermarci un poco per illustrare una teoria moderna, accettata da molti studio­si, secondo la quale, come già di sfuggita accennammo, la circolazio­ne termoconvettiva, associata alla formazione di nubi cumuliformi, non si svolge a caso, ma in maniera organica, cioè secondo forme ben definite e con una ben determinata connessione con le condizioni me­teorologiche del momento.

Ebbene secondo questa teoria, la cosiddetta convezione "in cilin­dro", che dà origine al cumulo, sarebbe costituita da cellule prismati­che, con dimensioni pressoché uguali e, in regime di vento moderato, con basi esagonali quasi regolari. _Il fenomeno avrebbe inizio con un ascendenza d'aria in vari punti dell'atmosfera, seguita da una discen­denza nelle vicinanze. Questo complesso sarebbe formato da elemen­ti arrotondati, indipendenti l'uno dall'altro, e separati da interstizi suscettibili di restringersi o di allargarsi a seconda dell'andamento del fenomeno. Di mano in mano che l'irradiazione terrestre aumenta i punti di elevazione si avvicinano sempre più e finiscono col formare un reticolo poligonale con cilindri ascendenti ai vertici e cilindri di­scendenti al centro delle cellule, che risultano da questo momento co­stituite (Fig. 70). _Il Bénard, che fu il primo a rilevare l'analogia tra la struttura cellulare dei liquidi instabili e l'organizzazione dei movi­menti termoconvettivi dell'atmosfera, ha dato a questa organizzazio­ne il nome di vortici cellulari.

Quando le correnti ascendenti danno luogo alla condensazione del vapore acqueo contenuto nelle masse d'aria che le compongono, ogni cilindro ascendente dà luogo alla formazione di un cumulo e così ac­cade che si osservano talora nel cielo vasti scacchieri di nubi cumuli­formi, che mettono appunto in evidenza l'organizzazione cellulare della circolazione termoconvettiva.

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Se, anzi che aversi il riscaldamento dello strato inferiore per effetto della irradiazione terrestre, si avesse il raffreddamento dell'atmosfe­ra negli strati superiori per l'arrivo di masse di aria fredda, l'instabili­tà atmosferica necessaria per lo sviluppo delle correnti verticali può aversi ugualmente, ma i moti convettivi hanno inizio dall'alto, con correnti discendenti ai vertici degli esagoni e correnti ascendenti al centro. Questo secondo tipo di organizzazione cellulare dei movi­

Fig. 70

menti verticali in quota, cui corrisponde spesso la forma­zione di altocumuli, è molto più regolare di quello che ha luogo con ascendenze in par­tenza dal suolo.

Chi scrive ebbe modo, varie volte, in Argentina, di osser­vare i fenomeni su descritti in diversi casi di circolazione ter­moconvettiva associata alla formazione di cumuli di bel tempo. Rammenta, tra l'al­tro, d'aver osservato, tra le 9,30 e le 11,30 di un mite mat­tino .di ottobre, sull'ampia prateria che si estende tra il fiume Gualeguay e il fiume Uruguay, mentre era in volo su un aeroplano, il formarsi nel cielo, perfettamente

sgombro di nubi, di primi cumuli isolati all'altezza di circa 700 metri. Di mano in mano che il volo proseguiva poté notare come la base di condensazione delle nubi andasse elevandosi e come il cielo si andas­se sempre più popolando di cumuli modesti di proporzioni. Verso le 11 le nubi risultarono distribuite in modo che, riguardandole come vertici di poligoni adiacenti e immaginando di congiungerle con op­portuni segmenti di linea retta, avrebbero costituito una serie di esa­goni, disposti come appare nella figura 71. Tale distribuzione che ap-

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pari va perfettamente aderente alla teoria suaccennata circa la natura della circolazione termoconvettiva, si mantenne evidente fino alle 11,30 circa. Da quell'ora avendo il vento assunto maggiore forza, la disposizione dei cumuli cominciò ad apparire piuttosto disordinata. Il dissolvimento di qualcuno di essi e l'unione di altri ne fece apparire · la distribuzione ancor più G 0--() G- confusa, tanto che sul mezzo-

{J)-(i) 0---.{j giorno l'organizzazione cellu-

_t:t.\ {.»--0 é-- lare non era più riconoscibile. \;:;/ · · Secondo le osservazioni

@--0 0·-€f fatte da chi scrive nelle pianu-

·<E5 " ... (?).. \. --

Fig. 71

re argentine, un vento mode­rato in superficie, che rime­scoli lo strato limite termi-co e ne uguagli le temperatu­

re, è favorevole alla buona distribuzione delle correnti ascendenti ed alla formazione di cellule convettive regolari; con vento nullo, inve­ce, il diverso grado di riscaldamento delle varie zone del suolo dà luo­go alla formazione di bolle termiche isolate e non permette la regola­re distribuzione in piano dei movimenti verticali, i quali, pertanto, non riescono ad organizzarsi in ·cellule termoconvettive.

Secondo il dott. Avsec (che in questo campo ha condotto molte os­servazioni, effettuando inoltre una serie di interessantissime espe­rienze nel Laboratorio di Meccanica dei Fluidi di Parigi) quando l'or­ganizzazione delle cellule termoconvettive è perfetta, è possibile cal­colare le distanze medie tra le correnti ascendenti, in funzione del lo­ro sviluppo in altezza. La figura 72 riporta appunto un grafico che, applicando i risultati ottenuti dal dott. Avsec, dà un'idea delle di­stanze medie che si possono incontrare tra una termica e l'altra, in funzione, come abbiamo detto, del loro sviluppo in altezza. Ripetia­mo che tali indicazioni si applicano ad organizzazioni cellulari perfet­te e che pertanto devono essere usate dai volovelisti con qualche pre­cauzione, soprattutto nelle zone montuose.

La teoria, che veniamo sommariamente esponendo, ritiene che la formazione dei vortici cellulari possa avvenire soltanto con vento moderato. Con vento di velocità superiore ai sei metri per secondo, le

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cellule si .deformerebbero, allungandosi sempre più, di mano in mano che il vento aumenta (Fig. 73). A tredici metri per secondo, in luogo delle cellule si avrebbero dei rulli paralleli alle linee di corrente, ai quali si dà il nome di "vortici in banda".

Quando si dçtermina tale fenomeno, si ha spesso come conseguen­za la formazione di strade di nubi, di grande interesse per il volo a ve­la, essendo accompagnate da vivaci movimenti verticali organizzati in bande parallele alla direzione del vento. Questo fenomeno fu os­servato la prima volta nel 1920, durante studi sul volo degli uccelli ve-

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Fig. 72

leggiatori, dall'~drac, che lo riprodusse poi sperimentalmente, arri­vando a concludere che proprio ad esso si deve la formazione delle strade di cumuli.

Lo scrivente poté più volte, in Argentina, osservare il fenomeno e notare che si produceva con maggior frequenza nella zona posteriore delle superfici frontali fredde; e l'asso italiano Adriano Mantelli poté valersene il 28 ottobre 1950, per stabilire il primato italiano di distan­za con un volo di 440 Km. da Merlo a La Paz.

Secondo I' Avsec, la trasformazione dei vortici cellulari in bande allineate parallelamente alla direzione del vento avverrebbe sotto in­fluenza addizionale di una corrente orizzontale. La figura 74 rappre-

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senta il meccanismo del fenomeno ed indica l'andamento delle linee di corrente di questo flusso orizzontale che vincolerebbe le varie file di cumuli. Un collegamento del genere è conosciuto nell'organizza­zione cellulare, dove si effettua attraverso gli strati d'inversione, na­turalmente quando le cupole dei cumuli riescono a penetrare negli strati stessi.

VENf O

Fig. 73

Tornando ad esaminare la figura 74 rileviamo che lungo la retta ideale determinata dai punti di convergenza delle singole linee di cor­rente, si trova la parte ascendente dei vortici, mentre lungo la linea di divergenza si trova la parte discendente.

La distanza fra due strade di nubi cumuliformi adiacenti è appros­simativamente uguale a tre volte l'altezza dell'inversione termica.

La figura 75 sempre secondo il dott. Avsec, rappresenta un caso di cumuli allineati, dove la corrente orizzontale assumerebbe un anda­mento elicoidale .. Il prof. Georgii ha constatato che simultaneamente varie linee di nubi parallele si formano e si dissolvono, indipendente­mente dall'influenza termica del suolo. Tale fatto induce ad attribui­re tali fenomeni a cause dinamiche e rende assai probabile l'ipotesi del prof. Georgii che la formazione dei grandi rulli d'aria, a cui si de­ve il prodursi delle strade di cumuli, sia il risultato del dissolvimento di altre serie di nubi vicine, la cui maggiore o minore distanza da quello sarebbe in relazione con la maggiore o minore altezza dello strato d'aria instabile.

Alle nostre latitudini si formano belle strade di nubi quando grandi masse d'aria provenienti dai tropici giungono sui continenti attraver­so lunghi percorsi marini. Questo fenomeno ha grande importanza

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per il volo veleggiato di distanza, perché quando si produce si trova­no nell'aria vivaci ascendenze termiche, che uniscono una forte velo­cità di salita con una forte velocità orizzontale. In tali felici circostan­ze il pilota non è più costretto a tessere spirali su spirali per guada­gnare quota e planare poi nel passaggio da una ascendenza all'altra; i lunghi nastri d'aria ascendente, caratteristici di queste speciali condi­zioni atmosferiche, gli permettono l'effettuazione di lunghi voli ve-

Fig. 74

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SEZIONE VERTICALE

leggiati rettilinei sotto le strade di cumuli che invadono il cielo (Figg. 76 e 77).

I volovelisti tedeschi denominarono "termico" questo vento costi­tuito da masse d'aria molto instabili, che si spostano a grande veloci­tà dando origine alla formazione di enormi rulli d'aria, i quali si di­spongono (come già si è detto) parallelamente alle linee di corrente e ruotano attorno al loro asse longitudinale, nel senso indicato dalla fi­gura 74.

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È importante rilevare che condizioni necessarie perché il fenomeno si produca, sono non solo l'esistenza di una massa d'aria umida in­stabile in movimento orizzontale, ma anche che la distribuzione ver­ticale dell'umidità nella massa stessa sia uniforme o vada leggermen­te diminuendo con l'altezza. È necessario inoltre, che tali masse tro-

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Fig. 75

picali o subtropicali, umidifi­cate e raffreddate durante il loro percorso sulla superficie del mare, siano limitate in quota da strati d'aria in subsi­denza; cioè, in altre parole, che esista in altezza una inver­sione termica prodotta dall'abbassamento di strati superiori e dal loro conse­guente riscaldamento per compressione adiabatica.

Fotografie prese dai satelli­ti meteorologici, mostrano chiaramente che le linee di nu­bi cumuliformi sono più fre­quenti di quanto un tempo si credesse. Nelle grandi pianure dell'Europa centrale, delle due Americhe e dell' Austra-

lia, le strade di nubi cumuliformi sono abbastanza frequenti durante la stagione calda. Esse si formano generalmente in situazioni post­frontali fredde e precisamente nelle zone dove il vento al suolo spira con maggiore intensità, mantenendo quasi la stessa direzione del flusso a grandi altezze. Tali zone sono comprese tra la bassa e l'alta pressione che accompagnano il fronte freddo in movimento. La figu­ra 78, che riportiamo dall'opera dell'OST.IV "FORECASTERS MA­NUAL FOR SOAR.ING FL.IGHT", illustra una di queste tipiche si­tuazioni nell'emisfero Nord. Le isobare in superficie sono a tratto pieno, le isoipse a 300 mb (9.000 m) sono punteggiate. Queste ultime curve rivelano la presenza di una saccatura in quota. Le strade di nu-

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Fig. 76

Fig. 77

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Fig. 78

bi cumuliformi, si formano là dove il vento al suolo ha quasi la stessa direzione di quello che spira a 9.000 m, cioè nella zona dove le isoba­re in superficie sono parallele alle isoipse di 300 mb. Nelle regioni do­minate dall'alta pressione, l'attività termoconvettiva è visualizzata da cumulus humilis sparsi, mentre; dove il cielo è sereno, l'azione della subsidenza anticiclonica permette soltanto lo sviluppo di termi­che pure.

Spesso anche le montagne isolate provocano la formazione di lun­ghe strade di nubi cumuliformi, associate al vortice in banda, genera­to da un picco roccioso, (Fig. 79).

B fenomeno si produce quando la corrente aerea che investe il Cer­vino è termicamente instabile, inoltre risulta, limitata superiormente da una inversione termica.

Sul mare può aversi un fenomeno analogo a quello che avviene sui continenti: in speciali condizioni termiche, si formano lunghe strisce d'aria ascendente cui si da il nome di "termiche marittime". Tuttavia le condizioni meteorologiche che determinano tali ascendenze sul

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mare, sono diverse da quelle che determinano l'analogo fenomeno sulla terra. Esse possono prodursi su qualsiasi punto del mare, quan­do accada che la temperatura dell'acqua sia superiore a quella dell'aria sovrastante .. In tali casi, come facilmente s'intende, la massa atmosferica inferiore, a contatto con la superficie dell'acqua, si ri­scalda; il riscaldamento, a sua volta provoca la formazione di uno strato di equilibrio instabile per l'aumentato valore del gradiente ter­mico verticale; e, quando cominciano i movimenti convettivi, si han-

Fig. 79

no le condizioni propizie alla formazione di strade di nubi di eccezio­nale lunghezza. Sui mari tropicali, nella zona corsa dai venti alisei, tale fenomeno è abbastanza frequente. Queste correnti termiche ma­rine sono tuttora oggetto di studio da parte degli aerologi, che non hanno ancora detto sul loro conto l'ultima parola: ad ogni modo, può ritenersi fin d'ora per certo che esse, in un domani non lontano potranno aprire agli alianti le fascinose vie dei mari.

Veniamo ora a parlare di un altro tipo di ascendenza, ossia della cosiddetta "termica d'altezza".

Abbiamo già detto che, non solo il riscaldamento dello strato at­mosferico inferiore può determinare la condizione di equilibrio insta­bile nelle masse d'aria e dare origine a moti ascendenti, ma anche il fenomeno opposto, ossia il raffreddamento delle cappe atmosferiche

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superiori. Il raffreddamento dall'alto di una stratificazione atmosfe­rica può essere prodotto dalle seguenti cause:

1) per irradiazione allo spazio delle cappe superiori;

2) per precipitazione di acqua, neve o ghiaccio, e loro evaporazio­ne durante la caduta;

3) per arrivo di aria fredda in quota sulla massa calda sottostante.

La labilizzazione termica di uno strato superiore oltre che col raf­freddamento dall'alto, si può produrre per irradiazione allo spazio di una cappa intermedia, e cioè:

a) per irradiazione di uno strato d'aria umida o di banchi di nubi verso cappe superiori più secche e più fredde;

b) per rimescolamento di due strati d'aria adiacenti nella cappa agitata dalla turbolenza e dall'attrito, oppure da movimenti ondula­tori di gravità.

Orbene le correnti termiche che si formano in tali condizioni si so­gliono chiamare "termiche d'altezza" proprio perché esse si produ­cono a quote considerevoli. Sono indipendenti dalle condizioni me­teorologiche che si hanno presso il suolo e, particolarmente, dalla ra­diazione solare diurna e dalla stagione, sicché è possibile trovarle, non solo durante le ore notturne ma anche d'inverno.

Una caratteristica termica d'altezza, sconosciuta in Europa, è quella che fu osservata per la prima volta dal professor Georgii in Ar­gentina. È una termica intensa ed estesa, che ha la sua base intorno ai 3.000 metri d'altezza e si sviluppa fino a 6.000 metri in una corrente superiore calda ed umida di direzione NW. Anch'essa si produce in­dipendentemente dal riscaldamento della superficie terrestre, e ne è prova il fatto che, quando il professor Georgii la notò e la studiò, sul suolo riposava una massa d'aria secca e più fredda e il cielo era libero di nubi.

Per tirare una conclusione pratica di quanto abbiamo detto sulle correnti termiche d'altezza, diremo che l'esercizio del volo termico non può essere circoscritto a priori entro invalicabili confini di tempo e di spazio, come in passato si presunse di fare: crediamo che, anche in questo campo, sia.ancora presto per tracciare dei confini.

Concluderemo questo capitolo con un cenno a quelle caratteristi-

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che correnti termiche che hanno per il volo a vela un notevole interes­se e che i volovelisti tedeschi hanno denominato "termiche vesperti­ne". Nelle prime ore della sera, che seguono ad una calda giornata estiva, si notano spesso, oltre i 1000 metri d'altezza, estese e tranquil­le correnti ascendenti che arrivano a quote notevoli. Si tratta delle co­siddette "termiche vespertine", le quali, nonostante le condizioni di equilibrio stabile costituitosi nelle stratificazioni atmosferiche infe­riori dopo il tramonto del sole, si sviluppano e prendono notevole forza negli strati superiori, dove, al ~ontrario, l'instabilità va sempre più crescendo. Ora è facile capire che, per la rottura di tale equilibrio labile, è necessario l'intervento di una causa determinante esterna, che provochi la formazione dei movimenti verticali. Orbene, quando il tramonto del sole causa l'inversione delle condizioni termiche, sulla superficie terrestre, i boschi e i terreni umidi, cominciano ad irradiare nella atmosfera il calore assorbito durantè il giorno. Si formano allo­ra le cosiddette "termiche di restituzione" le quali, pur non permet­tendo per la loro scarsa velocità ascensionale, il veleggiamento negli strati inferiori, tuttavia, quando arrivano negli strati superiori insta­bili, riescono a prendere notevole forza e a dar luogo a quegli intensi inoti verticali, che costituiscono, appunto, le termiche vespertine di restituzione.

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CAPITOLO DODICESIMO

IL VOLO TERMICO ED IL PRONOSTICO VOLOVELISTICO

Come abbiamo avuto modo di constatare nel corso del nostro stu­dio, per i calcoli aerologici di interesse volovelistico l'impiego del dia­gramma termodinamico od anche del semplice diagramma "tempe­ratura altezza", sono di grandissima utilità e, con un po' di pratica, di facile maneggio.

~ dati necessari per il tracciato di questi diagrammi si ottengono fa­cilmente mediante il sondaggio aerologico con apparecchio a motore. Gli strumenti indispensabili sono un barometro olosterico, un altime­tro ed uno psicrometro da montante (termometro secco ed umido) (Fig. 80). L'osservatore effettua la prima lettura dei termometri al momento del decollo, registrando, nello stesso tempo, la pressione atmosferica in mb regnante al suolo; se il sondaggio serve per traccia­re un semplice diagramma temperatura-altezza su carta millimetrata, si effettua la lettura dei termometri ogni duecento metri di quota; se invece si intende tracciare un diagramma termodinamico vero e pro­prio, conviene effettuare le letture ogni venti millibar, limitandosi a registrare saltuariamente le altezze nei punti caratteristici (livello del­le inversioni termiche, cappe con gradienti diversi, ecc.).

La velocità verticale di salita dell'apparecchio durante il sondaggio non deve eccedere i due metri per secondo. Se nella zona esistono montagne, l'apparecchio non deve avvicinarsi molto ad esse, per evi­tare che la temperatura dell'aria sia influenzata dalla irradiazione dei pendii; il sondaggio deve insomma effettuarsi nella libera atmosfera. Se durante la salita si incontrano correnti ascendenti o discendenti bi­sogna nel limite del possibile cercare di evitarle, perché i movimenti verticali dell'aria fanno registrare gradienti termici non conformi alle condizioni reali dell'atmosfera, i quali traggono poi in inganno i vo­lovelisti non bene esperti ancora di meteorologia, inducendoli a cre­dere all'esistenza di inversioni che non esistono affatto. Ad ogni mo­do, questi inconvenienti si possono evitare effettuando il sondaggio

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nelle prime ore del mattino, cioè prima che abbia inizio l'attività ter­moconvettiva.

Quando i sondaggi devono servire a voli veleggiati aventi un ambi­to locale, non c'è bisogno di raggiungere grandi altezze. Ad esem­pio, se si incontra una forte inversione termica tra i 1200 ed i 1500 metri di quota, e si stima che in quel determinato giorno la tempera­tura in superficie non potrà raggiungere il valore necessario per arri­vare a distruggerla, il sondaggio può essere interrotto all'altezza di 1600 metri.

Ad ogni modo la quota massima che si deve raggiungere, durante

Fig. 80

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l'estate in questi sondaggi locali, è quella dello zero termico (3000-4000 metri).

È necessario effettuare la lettura del. termometro secco ed umido con molto scrupolo, poiché i calcoli dell'umidità relativa che si effet­tuano sulla scorta di dati raccolti da osservatori poco attenti sono er­ronei e possono trarre in inganno il pronosticatore. Quando, ad esempio, nel sondaggio preconvettivo, si registra sotto una superficie di inversione termica, una forte umidità relativa, il pronosticatore è indotto a prevedere la formazione di una cappa di stratocumuli, non appena inizieranno i movimenti convettivi. È necessario quindi che le indicazioni della umidità di cui si va prendendo nota nel corso del sondaggio, siano quanto più possibile esatte.

A questo punto del nostro studio è probabile che qualche voloveli­sta, ancor poco esperto dei segreti del volo e ancora meno delle leggi della meteorologia, ci ponga la seguente domanda. Si può stabilire con criteri semplici e pratici se una giornata è, o non è favorevole al veleggiamento senza bisogno di ricorrere ai sondaggi aerologici, ai calcoli e ai diagrammi?

Rispondiamo che non vi sono criteri pratici sicuri per risolvere un tale problema. ~n una giornata serena, infatti, la quale a prima vista può parere la più propizia al volo a vela, può aversi equilibrio stabile · e non aversi perciò correnti. Può aversi, anche con eguale probabili­tà, un'atmosfera termicamente labile, ma asciutta; ed allora si avran­no certo correnti termiche, ma mancando le nubi, mancherà anche la possibilità di accertarne, localizzarne la presenza. Può accadere an­che, che in una giornata molto umida, il volovelista sia tratto in in­ganno dalla presenza nel cielo di nubi che, per il loro aspetto, egli ri­tiene cumuli e sotto le quali pensa di trovare ascendenze fervide, mentre si tratta invece di falsi cumuli, che hanno scarsissimo interes­se per il volo a vela, dato che, sotto di essi, le ascendenze sono assai deboli, se pur non mancano del tutto. Ebbene, in tali casi, solo un sondaggio aereo, eseguito da bordo di un velivolo col sussidio del meteorografo o, almeno, di un termometro e di un altimetro, potrà fornire dati sicuri per stabilire se, in quella giornata e in quella zona, sussistano condizioni favorevoli al volo veleggiato. Ci si varrà allora, se non proprio del diagramma termodinamico, almeno del semplice

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diagramma "temperatura-altezza" che già conosciamo, e da esso, in­terpretando i dati raccolti durante il sondaggio, si potrà arguire non solo la possibilità di formazione di ascendenze termiche nella atmo­sfera, ma anche le condizioni che dovranno verificarsi perché si possa avere lo sviluppo della convezione.

Per non deludere del tutto il nostro immaginario interlocutore, esporremo qui di seguito alcuni criteri che pensiamo possano tornare particolarmente utili a quei volovelisti che non hanno molta dimesti­chezza con la meteorologia.

Cominceremo col raccomandare un preliminare esame delle condi­zioni di equilibrio dell'atmosfera. A tale proposito si tenga presente che uno stato di equilibrio indifferente (con un gradiente, cioè, di 1° C per ogni 100 metri d'altezza) è più che sufficiente perché si abbia una buona labilizzazione dell'atmosfera e anzi, un gradiente termico di 0,8° C, può essere considerato come un limite per le stratificazioni stabili e quelle instabili.

In condizioni meteorologiche nelle quali il gradiente termico scen­da sotto 0,8°C per ogni 100 metri, le possibilità di veleggiare diminui­scono sempre più. Ovviamente, le ascendenze termiche che si riscon­trano con gradienti termici inferiori a 0,8° C, difficilmente raggiun­gono quote elevate. ~l loro moto ascendente (come abbiamo avuto già modo di rilevare) va infatti diminuendo, di mano in mano che si sale, fino a cessare del tutto alla quota di equilibrio termic·o, ossia quando le correnti !ibbiano raggiunto quel livello a cui la loro tempe­ratura e quella dell'ambiente siano uguali.

D'altronde è facile capire che per l'esatta previsione dell'attività termoconvettiva non è sufficiente fermarsi all~esame delle condizioni dell'equilibrio atmosferico: occorre tener presente anche di tutti que­gli altri fattori, che·possono favorire od ostacolare lo sviluppo e l'or­ganizzazione dei movimenti convettivi, come verremo qui di seguito dicendo.

Tali fattori sono: 1) la velocità del vento in superficie e la sua distribuzione con l'al­

tezza; 2) la distribuzione verticale dell'umidità; 3) lo stato nuvoloso del cielo;

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4) il sollevamento generale delle masse d'aria; 5) le variazioni della pressione atmosferica;

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6) il cambio delle caratteristiche fisiche delle masse d'aria che si trovano sopra gli strati inferiori.

1) Velocità e distribuzione_ del vento. - Come già sappiamo, la velo­cità del vento in superficie, unitamente all'andamento della tempera­tura, giuoca un ruolo preponderante nell'organizzazione termocon­vettiva .. Infatti, per veleggiare, non è sufficiente l'esistenza di movi­menti convettivi; occorre, inoltre che questi movimenti siano conve­nientemente organizzati. E ciò non è tutto; anche la distribuzione del vento in quota ha la sua importanza nel pronostico volovelistico; tan­to che, spesso, è questo fattore che determina la scelta del tipo di volo da compiere in un determinato giorno. Le stratificazioni instabili, nelle quali i venti sono costanti in direzione e velocità, sono favore­voli alla formazione di cilindri ascendenti continui. Quelle, nelle qua­li i venti sono costanti nella direzione e la cui forza cresce regolar-

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mente con l'altezza, sono propizie alla formazione di striscie ascen­denti associate a strade di nubi cumuliformi, parallele alla direzione del vento. In condizioni ideali per tentativi di grandi voli di distanza, il vento deve raggiungere una velocità di 35-40 Km/h nello strato sot­tostante all'inversione termica, con una favorevole distribuzione ver­ticale dell'umidità atmosferica ed un graduale aumento del senso del vento, che segnalano al pilota il cammino da seguire (Fig. 81). Con­trariamente, un forte aumento di velocità del vento nello strato di in-

Fig. 82

versione è nettamente sfavorevole, tanto più se gli strati sotto l'inver­sione sono molto umidi. Tali situazioni, infatti, presentano condizio­ni propizie alla formazione di spesse cappe di stratocumuli (Fig. 82) sotto le quali le ascendenze sono irregolari e turbolente, e quindi dif­ficilmente utilizzabili per il volo a vela.

In particolare, le condizioni ideali per voli veleggiati in circuiti triangolari, con computo della velocità di crociera, oppure per voli di distanza con ritorno al punto di partenza, sono quelle caratterizzate

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da venti moderati, non superiori in ogni caso ai 20-25 Km/h. 2) La distribuzione verticale dell'umidità. - Sono condizioni favo­

revoli: una buona umidità in superficie ed una distribuzione verticale uniforme o leggermente in diminuzione con l'altezza (Fig. 81). Sono condizioni sfavorevoli: troppa umidità in superficie (formazioni di nubi basse) oppure un massimo di umidità vicino allo strato di inver­sione (formazione di spesse cappe di stratocumuli o degenerazione dei cumuli in un primo tempo formatisi, in stratocumuli). (Fig. 82).

3) Lo stato nuvoloso del cielo. - Quando il cielo è coperto per oltre 5 ottavi di nubi basse o medie, le condizioni termiche sono sfavorevo­li per il volo veleggiato, anche se le nubi presenti sono di natura con­vettiva .. In questo caso, infatti, le correnti ascendenti, sono appena sufficienti per voli locali di allenamento, poiché i movimenti convet­tivi sono deboli, non solo sotto i cumuli, ma anche dentro di essi. E ciò si verifica anche quando la base di condensazione delle nubi è molto alta.

È importante rilevare che quando le nubi convettive sono molto sviluppate in senso verticale, sono generalmente, anche parecchio di­stanziate l'una dall'altra: ciò determina lo svantaggio che le correnti discendenti di ritorno che si stabiliscono tra una nube e l'altra com­prendono vaste zone e sono piuttosto intense. In tali condizioni, un pilota che voglia tentare. un volo di distanza, se~za essere in grado di volare senza visibilità nell'interno delle nubi, confidando unicamente nelle correnti che si sviluppano sotto la base dei cumuli, è destinato a terminare il suo tentativo a pochi chilometri dal campo di partenza. Infatti, quando le nubi convettive sono molto sviluppate, volando unicamente sotto la loro base, le possibilità del volo a vela nel campo della distanza per i motivi sopra addotti, sono enormemente ridotte. (Questa regola è valida soprattutto nelle grandi pianure).

4) Sollevamento generale delle masse d'aria. - H sollevamento ge­nerale delle masse d'aria, sia per causa orografica che per convergen­za orizzontale, diminuisce la stabilità od aumenta l'instabilità atmo­sferica. In via di massima, si può dire, pertanto, che tale fenomeno è favorevole al volo veleggiato termico. Tuttavia, non bisogna dimen­ticare che, durante il sollevamento, le masse d'aria si raffreddano adiabaticamente e che, quando sono molto umide, producono nuvo-

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losità. In quest'ultimo caso, quando le nubi coprono il cielo per oltre 5 ottavi, le condizioni termiche, come abbiamo detto, non sono favo­revoli al veleggiamento.

5) Le variazioni della pressione atmosferica. - Ogni variazione no­tevole della pressione atmosferica, rispetto al suo andamento norma­le, deve essere interpretato come un indice sicuro di cambi importanti nelle masse d'aria. Quando per tanto è accertato un tale mutamento, se si pensa di effettuare qualche volo di distanza, è indispensabile consultare il Centro Regionale più vicino del Servizio di Meteorolo­gia Aeronautica: per conoscere la distribuzione generale della pressio­ne ed il possibile arrivo di "fronti" nella zona che interessa. Come vedremo nei prossimi capitoli, questo fattore giuoca un ruolo impor­tantissimo nelle previsioni volovelistiche. Ci riserviamo, pertanto, di riP.rendere }!argomento nelle prossime pagine.

6) Cambi nelle caratteristiche fisiche delle masse di aria che si tro­vano sopra le cappe injeriori. - Come già sappiamo, un cambio nelle caratteristiche fisiche delle masse d'aria superiori può alterare favo­revolmente o sfavorevolmente le condizioni di equilibrio termico esi­stenti nelle cappe inferiori. Per esempio, l'arrivo di una corrente oriz­zontale fredda sopra una massa aerea sottostante, non solo ne incre­menta l'instabilità, ma il rimescolamento che si produce nella super­ficie di separazione delle due masse, può anche eliminare eventuali inversioni termiche preesistenti e stabilire in esse un gradiente adiaba­tico. È facile capire come dal punto di vista volovelistico convenga che tali mas~e fredde non siano molto umide, per evitare la formazio­ne di abb"ondante nuvolosità.

Nel caso che una corrente calda penetri, invece in uno strato freddo, le condizioni termiche diventano labili nella parte superiore (dove ge­neralmente, si producono condensazioni) e stabili nella parte inferiore.

A questo punto, il nostro immaginario interlocutore, sarà giusta­mente indotto a pensare che l'esame fisico delle masse d'aria, ai fini del pronostico volovelistico, richiede una esperienza ed una prepara­zione teorica che non si possono improvvisare. Tuttavia, assicuriamo il nostro amico che qualsiasi volovelista di buona volontà può arriva­re, col tempo, a una tale preparazione, che, d'altra parte consideria­mo indispensabile per chi voglia veleggiare ... alto e lontano.

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Per completare l'argomento di questo capitolo, accenneremo da ultimo alla previsione dell'intensità dei movimenti convettivi. La ve­locità delle correnti termiche si può determinare matematicamente con un calcolo abbastanza semplice, che si fonda sulla differe~za esi­stente tra la temperatura dell'aria in movimento e quella dell'aria ambiente. Una particella d'aria riceve nel salire un'accelerazione che è data dalla formula:

T'-T a=g--

T dove g indica l'accelerazione di gravità, T' la temperatura dell'aria ambiente. La velocità verticale (V), per uno strato di un metro, di una corrente termica secca si può pertanto calcolare con la seguente formula:

Vv = Vo,05 ~ (T'-T)

Se volessimo determinare la velocità di salita in strati superiori a un metro, sarebbe necessario moltiplicare il valore 0,05 per il numero che esprime in metri lo spessore dello strato. Così, ad esempio, per strati di 100 metri, avremmo 5; per strati di 200 metri, avremmo 10, e così via.

La formula surriferita non tiene conto però dell'attrito che si pro­duce tra l'aria ascendente e quella che costituisce l'ambiente e che di­minuisce la velocità di salita di circa un terzo del valore risultante dal calcolo.

Ad ogni modo, poiché sul campo di volo il volovelista non sempre dispone del tempo necessario per effettuare il calcolo matematico, detteremo alcune norme pratiche. sulla previsione dell'intensità dei movimento verticali.

I) Quançlo nel sondaggio preconvettivo la curva della temperatura reale presenta un gradiente medio leggermente inferiore a quello adiabatico, si possono prevedere ascendenze veloci, ampie e tranquil­le (2-3 m. per secondo), e correnti discendenti di ritorno assai calme, dell'ordine di 0,5-1 metro per secondo.

2) Quando nel sondaggio preconvettivo la curva della temperatura reale presenta un gradiente medio superadiabatico, si possono preve-

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dere correnti ascendenti di notevole intensità, ma strette e turbolente. Le discendenze, invece, saranno vaste e per di più agitate e veloci quanto le ascendenze. Tuttavia, bisogna rilevare che in una massa d'aria, un gradiente superadiabatico può durare al massimo un paio d'ore, esistendo, in tali condizioni una tendenza più o meno rapida verso una stratificazione più stabile dell'aria e pertanto più favorevo­le allo sviluppo di movimenti verticali organizzati.

Per concludere l'argomento di questo capitolo, rileviamo tuttavia che il principio generale più semplice per stabilire la maggiore o mi­nore velocità ascensionale delle correnti termiche, è l'altezza che le termiche stesse possono raggiungere. Infatti, l'esperienza ci insegna che quanto più grande è la loro altezza, tanto più forte è la velocità delle ascendenze.

A scopo orientativo riportiamo uno specchio comprendente i valo­ri per tre condizioni tipiche di ascendenze termiche, e cioè: a) termi­che pure, b) termiche associate a piccoli cumuli, c) termiche con cu­muli potenti ed avvezione fredda.

Com'è facile capfre, questi valori sono validi per le regioni pianeg­gianti durante la stagione estiva, ed inoltre non sono applicabili nel caso di cumulus-congestus o di cumulonembi.

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Tipo di termica

a) Termiche pure

b) Termiche con piccoli cumuli

c) Termiche con cumuli potenti ed avvezione fredda

Altezza massima dello strato

adiabatico secco

1.000 m 2.000 m 3.000 m

1.000 m 2.000 m 3.000 m

1.000 m 2.000 m 3.000 m

Velocità ascensionale

media

1 m/sec 2 m/sec 3 m/sec

1,2 m/sec 2,4 m/sec 3,6 m/sec

1,5 m/sec 3,0 m/sec 4,5 m/sec

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CAPITOLO TREDICESIMO

I VENTI

I moti dell'aria sono conosciuti col nome di venti. Il pilota ha, nel vento, ora un alleato di cui si può valere, ora un

nemico, che gli impone la sua guerra: bisogna dunque conoscerlo nel­la sua genesi, nella sua forza, nelle sue leggi per esserne non servi ma padroni.

Qual'è la genesi del vento? Non v'è dubbio che il vento ha la sua causa principale in uno squi­

librio della pressione atmosferica, determinato quasi sempre da va­riazioni di temperatura. Il vero signore dei venti è dunque il sole, che scalda inegualmente terre e mari e distribuisce perciò variamente temperature e pressioni, determinando le condizioni nelle quali insor­gono i venti.

Una prova comune della verità di questa spiegazione la si ha nel fe­nomeno delle brezze marine: di giorno poiché la terra si scalda più presto·e in maggior misura dell'acqua, le brezze soffiano dal mare al­la terra; di notte, quando la terra s'è raffreddata più di quanto si sia raffreddata l'acqua, le brezze spirano dalla terra al mare. La stessa spiegazione si può dare, seppure su più larga scala, nel fenomeno dei "monsoni": venti che durante la stagione estiva spirano dai mari al continente, perché lì l'aria, più calda che sopra i mari, si eleva, ri­chiamando correnti meno calde dall'oceano. Durante l'inverno le co­se si invertono: l'aria marina, più calda, si eleva, ed allora affluisco­no dalla terra correnti di aria più fredda.

In Europa, l'arrivo di masse d'aria calda e umida di tipo monsoni­co è un fenomeno isolato, che ha la durata di pochi giorni, mentre sulla costa meridionale dell'Asia - e particolarmente deWindia e della Cina, - e sulla costa orientale dell'America - soprattutto del Brasile e degli Stati Uniti - i monsoni sono un fenomeno caratteristico della stagione estiva. Essi determinano spesso quelle condizioni propizie alla formazione di strade di nubi cumuliformi, associate a vigorosi

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vortici in banda combinati con notevoli velocità orizzontali del ven­to, che ci sono già note e che sappiamo tanto utili per l'effettuazione di voli veleggiati di grande distanza.

Chi ha posto mente talora alla voce del vento, ha notato certamen­te che il suo soffio non è continuo né uguale, ma che si alterna con ritmo più o meno frequente a delle pause. Tale è sempre il costume del vento; e, se talvolta ci può sembrare che il suo alito sia uguale, sì da meritare il nome di "vento teso" che gli danno i meteorologi, ciò accade perché le variazioni della sua intensità sono tanto lievi da do­versi praticamente considerare come di nessun conto. Il vento, infat­

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Fig. 83

ti, non è uno spostamento uniforme di masse d'aria, ma una successione di brevi pul­sazioni di varia amplitudine e di differente direzione, così che il verso di esso, e ancora più, la sua velocità, sono sog­getti a sensibili variazioni pur entro brevi intervalli. Tali oscillazioni del vento sono del tutto irregolari e, mentre in quota vengono a livellarsi perché manca l'influenza

perturbatrice degli ostacoli terrestri, vicino al suolo sogliono apparire molto manifeste; per venti che hanno velocità inferiori ai 15 km. ora­ri, l'andamento è tranquillo ed uniforme, ma quando invece il vento è animato da velocità superiori, allora assume l'andamento di una corrente pulsante, in cui si alternano impeti e riposi con ritmo più o meno frequente: gli anemometri hanno potuto registrare talora, in un minuto, fino a 20 di queste pulsazioni, che, comunemente, si chia­mano "raffiche" o "folate" o "colpi di vento". L'ampiezza di que­ste pulsazioni è data dalla differenza tra la massima e la minima loro velocità.

Si chiama "fattore di pulsazione" il rapporto tra l'ampiezza di questa e la velocità media del vento: la conoscenza di tale rapporto serve a determinare di quanto varia il vento intorno alla sua media.

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Le pulsazioni del vento sogliono assumere maggiore ampiezza nei luoghi dove il suolo presenta maggiori disuguaglianze, essendo rico­nosciuto da tutti che esse hanno appunto origine dall'attrito del ven­to contro il suolo. Di mano in mano che si sale, le pulsazioni vanno diminuendo d'intensità fino a placarsi del tutto ad una quota che va­ria da 600 a 1000 metri. Questo strato superficiale turbolento, il cui spessore dipende dalla natura del suolo, si chiama "strato limite di­namico". (Fig. 83).

Il vento, oltre che essere turbato dalla presenza degli ostacoli terre­stri, è modificato anche dalla resistenza dell'attrito interno; la quale si manifesta, pur quando l'aria scorre su superfici lisce e piane, a cau-

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sa della sua viscosità. L'aerodinamica ci insegna, infatti, che nello stato aderente alle superfici lisce e piane l'aria scorre laminarmente (cioè come se la sua massa fosse composta da tanti sottili strati so­vrapposti) e con una velocità che va sempre amentando di mano in mano che ci si allontana dalla superficie di scorrimento.

Il cambiamento della velocità del vento nell'ambito dello strato di­namico comincia a farsi sentire sensibilmente ad una cinquantina di metri dal suolo. Quando a terra la velocità del vento supera i 20 nodi (circa 40 km/h), la procedura di avvicinamento degli alianti che si portano all'.atterraggio, deve essere fatta con la massima cautela. In tali situazioni, al di sotto dei 50 metri, si deve aumentare gradata­mente la velocità anemometrica, sino al raggiungimento di 30 km/h in più della minima di sostentamento, riducendo contemporanea­mente l'apertura dei diruttori.

Dovranno inoltre essere evitate le cosiddette S di posizione o d'at­tesa, soprattutto quando ci si trova sottovento a terreni disseminati di ostacoli.

Per definire un vento si deve tener conto di due elementi: la dire­zione e la velocità.

La direzione è data dal punto cardinale da cui il vento proviene. Tutti conoscono la cosiddetta "rosa dei venti", figm:a circolare,

rappresentante l'orizzonte della bussola, divisa in 32 parti uguali (chiamate aree o rombi) ciascuna delle quali indica le 32 principali di­rezioni dei venti: i quattro venti che hanno direzione corrispondente ai quattro punti cardinali - N, E, S, W - si chiamano rispettivamente: "vento di tramontana", "vento di levante", "vento di mezzogiorno", "vento di ponente"; gli altri quattro che corrispon­dono alle direzioni intermedie tra le precedenti, si chiamano "greco" o di "nord-est", "scirocco" o di "sud-est", "libeccio" o di "sud­ovest", e "maestro" o di "nord-ovest"; infine, se si dividono per me­tà o in quarti ciascuno dei rombi ottenuti con le precedenti divisioni del cerchio si otterranno nuove linee di direzione dei venti (Fig. 84). Per indicare, invece, la direzione del vento nella libera atmosfera, si usano decine di gradi, come indica la figura 85.

La velocità del vento si può esprimere usando come unità il metro per secondo, oppure il chilometro per ora, o il miglio per ora, od an-

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che il nodo. Un metro per secondo è uguale a 3,6 Km/h, a 2,24 miglia/h, a 1,94 nodi.

La velocità del vento è misurata dagli "anemometri". Un tipo molto comune di anemometro è quello di Robinson, composto di quattro coppe semisferiche di metallo, sostenute da quattro braccia a croce: il sistema poggia su un asse girevole collegato a un contagiri: dalla velocità di rotazione del mulinello si può dedurre con un facile calcolo la velocità del vento. Generalmente nello stesso apparecchio si trovano accoppiati l'anemoscopio e l'anemometro, col vantaggio di ottenere così nello stesso tempo, oltre l'indicazione della velocità anche quella della direzione del vento.

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Negli osservatori meteorologici si hanno anemometri collegati ad apparati registratori, che tracciano diagrammi da cui si possono rile­vare le variazioni di direzione che il vento ha subito in un determina­to periodo di tempo: tali apparecchi si chiamano "anemografi" e rendono utili servizi alla conoscenza dell'atmosfera.

Fig. 86

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In relazione alla velocità, i venti si classificano come è indi­cato nella tabella riportata nella figura 86 proposta nel 1805 dall'Ammiraglio Beaufort e, sino a pochi anni fa, adottata comune­mente negli usi internazionali. At­tualmente nelle carte meteorologi­che il vento è rappresentato me­diante una freccia schematizzata, orientata secondo la direzione ed il senso in cui il vento spira. La mancanza di freccia indica la mancanza di vento. Il numero dei trattini trasversali che costituisco­

no la cocca della freccia indica la velocità del vento: un trattino breve rappresenta 5 nodi, un trattino lungo rappresenta 10 nodi (ad esem­pio, un trattino lungo ed uno corto indicano un vento di 15 nodi).

L'andamento del vento varia con l'altezza. Si comprende infatti, come in quota, variando la distribuzione isobarica e diminuendo sempre più l'influenza del suolo, anche l'andamento del vento debba subire delle variazioni.

Per il volovelista è molto importante conoscere tali variazioni, tan­to più che se si propone di tentare voli di distanza, dato che, le sole misurazioni di velocità e direzione del vento effettuate al suolo pos­sono trarlo in inganno.

Il mezzo più comunemente usato, per questi rilevamenti in quota, è costituito dall'impiego dei palloncini pilota gonfiati con idrogeno. La misurazione del vento si ottiene lasciando libero, in un determina­to punto, uno di questi palloncini, al quale viene data normalmente· una velocità ascensionale di 150 metri al minuto primo. Con uno o

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due teodoliti si segue il palloncino nella sua ascensione, osservando­ne, ad intervalli regolari di tempo, Io spostamento in altezza ed in azimut (angolo dal Nord). Con tali elementi (angolo verticale ed an­golo orizzontale) è possibile tracciare la proiezione orizzontale della traiettoria seguita dal palloncino e determinare così, alle varie altez­ze, la direzione e la velocità del vento, essendo esso costituito dalla componente orizzontale del moto.

L'esperienza ci mostra che il corso di un fiume è tanto più rapido quanto maggiore è il dislivello dei territori che deve attraversare, così che dall'osservazione di una carta topografica, dove siano chiara­mente indicate le linee di livello, è possibile arguire l'andamento ora più ora meno veloce di un corso d'acqua. Non diversamente avviene per i venti; essendo essi determinati da un dislivello della pressione atmosferica, accade che la loro velocità è tanto maggiore quanto maggiore è il dislivello tra la zona di pressione alta e quella di pressio­ne bassa. Se pertanto in una carta meteorologica si osserva che le iso­bare sono molto vicine, sapendo che tra l'una e l'altra c'è la differen­za di 4 millibar di pressione, se ne deduce che il vento in quella zona è più veloce che là, dove le isobare appaiono più distanti le une dalle altre.

Ora bisogna tener presente che i venti non hanno direzione perpen­dicolare alla tangente in un punto qualunque dell'isobara di minore pressione, come saremmo tentati di pensare guardando solo al fatto­re barico, ma che deviano alquanto da essa in conseguenza del moto della terra .. Infatti, per la accelerazione centripeta composta, detta "forza di Coriolis", un corpo qualunque che si muova sulla superfi­cie terrestre, staccato da essa, appare deviato, rispetto alla terra, dal­la direzione iniziale del movimento.

L'aria si comporta come un corpo, ed appena si mette in moto - si "stacca" cioè dalla superficie terrestre - il suo movimento riferito al­la terra, appare deviato verso destra n"ell'emisfero boreale e verso si­nistra nell'emisfero australe. S'immagini una particella d'aria che da Roma si muova verso l'Equatore: quando la particella si stacca dal suolo per intraprendere il suo ipotetico viaggio, pur non essendo più a diretto contatto con la superficie terrestre, conserva tuttavia la ve­locità di rotazione della terra come se riposasse ancora si di essa. Questo è l'effetto della "forza complementare di Coriolis", benché

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non sia esatto parlare di "forza": qui si tratta piuttosto di una mani­festazione dell'inerzia, per la quale la particella d'aria conserva la ve­locità di rotazione che aveva quando riposava sul suolo di Roma. Ma ciò non è tutto: siccome la particella di aria si sposta verso una regio­ne che ha maggiore velocità di rotazione per la sua maggiore distanza dall'asse terrestre, così non potrà arrivare perpendicolarmente all'Equatore, ma sarà deviata alquanto verso Ovest; se poi si immagi-. na che la stessa particella d'aria si diriga da Roma verso il Polo Nord, siccome si sposta verso una regione che ha minor velocità di rotazio­ne per la sua prossimità all'asse, così sarà deviata alquanto verso Est, cioè nel senso di rotazione terrestre. Nell'uno e nell'altro caso, la par­ticella d'aria immaginata avrà subito una deviazione verso destra nel­la direzione perpendicolare all'isobara di maggiore pressione. Per una particella d'aria che si muovesse nell'emisfero australe, bisogne­rebbe fare un analogo ragionamento, salvo che si giungerebbe a con­clusioni opposte, in quanto la particella stessa verrebbe ad essere de­viata verso sinistra. Applicando ora questa legge ai venti, si avrà che, quando l'aria si muove verso i poli, cioè verso regioni di maggior lati­tudine, si troverà alquanto deviata verso Est, mentre quando si spo­sta verso l'Equatore, cioè verso regioni di minor latitudine, si tro­verà alquanto devi;;tta verso Ovest. Sono questi i fatti che hanno con­dotto Buys-Ballot a formulare la sua legge che dice: "I venti sono de­viati dalla direzione del gradiente verso destra nell'emisfero boreale, verso sinistra nell'emisfero australe"; e l'altra: "Se si riceve il vento alle spalle, la minor pressione nell'emisfero boreale è a sinistra e sul davanti e la maggiore è a destra e sull'indietro, mentre nell'emisfero australe avviene l'opposto". Il che, in parole povere, significa che la deviazione avviene verso Est per i venti che procedono dall'Equatore ai poli, verso Ovest per i venti che procedono dai poli all'Equatore, tanto nell'uno quanto nell'altro emisfero.

Abbiamo detto come il vento in supeficie sia anche modificato dal­la resistenza d'attrito, la quale, in misura più o meno grande, Ptovo­ca una deviazione verso la regione dç>V'è localizzata la bassa pressio­ne. Esaminando una carta del tempo è facile osservare che l'angolo che il vento forma con le linee isobariche, aumenta col crescere dell'attrito. Infatti, tale angolo è sempre maggiore sui continenti che

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sui mari, sulle zone montuose che sulle sconfinate pianure. Tuttavia è facile intendere come, di mano in mano che si sale in quota, il vento debba risentire sempre meno degli ostacoli terrestri e vada pertanto assumendo un cammino sempre più parallelo alle isobare, fino a di­sporsi perfettamente parallelo alle isobare stesse alla quota di circa 1.000 metri dal suolo. Questi venti paralleli alle isobare, sono detti "venti di gradiente", e si suddividono in: "venti geostrofici", se le isobare sono rettilinee, e •:venti ciclostrofici" se le isobare sono cur­vilinee.

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1000 1000

Fig. 87

La figura 87 illustra chiaramente come si produca tale parallelismo nel vento geostrofico. Consideriamo una particella d'aria che si met­ta in movimento dal punto A, situato sull'isobara di maggior pressio­ne (1000 mb), verso il punto B, corrispondente alla isobara di minor pressione (996 mb). Non appena la particella comincerà a muoversi verso la bassa pressione, la forza di Coriolis dovuta alla rotazione terrestre, entrerà in azione, deviando la particella verso destra. La quale lungo il suo cammino (punti Al, A2, A3) sarà continuamente sollecitata da due forze: una corrispondente al gradiente barico, rap­presentato da un vettore diretto verso la bassa pressione, e l'altra cor­rispondente alla forza di Coriolis, che agisce sulla particella verso de­stra, cioè in una direzione perfettamente perpendicolare alla direzio­ne del movimento. Così la particella in esame giungerà al punto A4 dove la forza barica e quella deviatrice di Coriolis agiscono con ugua-

18.l

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le intensità ma in senso contrario. Da questo momento la particella · non cambierà più direzione bensì continuerà il suo cammino mante­nendosi tra le due isobare senza riuscire a raggiungere l'isobara di 996 mb.

Per comprendere tale meccanismo, bisogna tener presente che, quando una forza agisce su una particella d'aria in movimento, il moto viene accelerato; in altre parole, la velocità della particella au­menta costantemente. E qui non è tutto: la forza deviatrice dovuta alla rotazione terrestre è direttamente proporzionale alla velocità de­la particella, per cui la sua deviazione sarà tanto più grande, quanto maggiore sarà la velocità di traslazione.

La particella in esame sarà soggetta pertanto ad un movimento ac­celerato per effetto dell'azione costante della forza barica. Il vettore che rappresenta la forza di Coriolis diventerà per conseguenza sem­pre più lungo, fino ed eguagliare la forza barica. Allora la particella d'aria, soggetta - come abbiamo detto - all'azione di due forze uguali ed opposte, assumerà una posizione intermedia tra le due isobare, continuando il suo cammino secondo il principio di inerzia.

Le considerazioni fin qui formulate sul vento geostrofico nel caso di isobare rettilinee, non sono sempre valide per isobare curvilinee, come per esempio nelle vicinanze del centro di una depressione in quota, dove generalmente, i venti sono molto forti e le particelle dell'aria seguono traiettorie molto curve. _In questo caso entra in azione una terza forza: "la forza centrifuga", diretta radialmente verso l'esterno, e proporzionale al quadrato della velocità del vento e invérsamente proporzionale al raggio di curvatura della traiettoria. _In tal modo si stabilisce un nuovo equilibrio tra le forze, ed il vento diventa uniforme, però con una velocità differente da quella del valo­re geostrofico.

Questa nuova condizione di equilibrio, che come abbiam detto, si produce solamente nel caso di traiettorie curve, dà luogo ad un vento di gradiente chiamato "ciclostrofico" che si manifesta quando il gra­diente di pressione è equilibrato dalla somma algebrica della forza centrifug_a e da quella deviatrice di Coriolis. La figura 88 illustra.il fe­nomeno nel caso di una depressione; riteniamo pertanto di poterci esimere dal fornire ulteriori spiegazioni, limitandoci a far rilevare co-

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me, a parità di gradiente barico, quando le isobare hanno curvatura ciclonica il vento ciclostrofico è minore del vento geostrofico mentre esso è maggiore di quello geostrofico quando le isobare han­no curvatura anticiclonica.

Ci resta da esaminare il vento in superficie. Seguendo la figura 89 supponiamo che una particella d'aria si metta in movimento sulla su­perficie terrestre a partire dal punto A dell'isobara di 1000 mb, at-

1000

Fig. 88 100l'

Fig. 89

tratta dalla forza barica verso la isobara di 996 mb. Ci si rende subito conto che in questo caso entra in giuoco una terza forza, l'attrito ter­restre, il quale agirà sulla particella d'aria in senso contrario a quello del movimento. La nostra particella è quindi sottoposta all'azione di tre forze, che nella figura in esame sono rappresentate da tre vettori. Se, come nell'esempio precedente ricerchiamo con l'aiuto del paralle­logrammo, la risultante di queste forze, vedremo che la risultante CD è minore del vettore CB (corrispondente alla forza barica)

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Fig. 90

il cammino della particella si di­rige verso la isobara di minor pressione. È facile comprendere infatti come l'attrito terrestre at-tenui la forza del vento in super­ficie e, conseguentemente, anche la forza deviatrice di Coriolis, per cui la forza barica prevale sulle altre due e determina essa sola la direzione della particella d'aria.

Dopo quanto abbiamo detto è facile arguire come si comporta il vento, in superficie ed in quo­ta, quando si realizzano quegli speciali tipi isobarici, che si chia­mano cicloni ed anticicloni.

Sappiamo che il ciclone è una zona a bassa pressione circondata da zone di pressione più alta: le isobare a linee curve, chiuse, quasi con­centriche, ci danno l'idea di una conca. Ebbene, in quella zona i venti affluiranno da ogni pacte, con tanto maggiore veemenza quanto maggiore è il dislivello barico, ma non si incontreranno in un punto solo come a prima vista ci aspetteremmo: per la legge di Buys-Ballot, generano un moto vorticoso, intorno ad una zona centrale di calma, il quale si effettuerà lungo traiettorie in forma di spirali aventi senso sinistrorso, cioè contrari. a quello delle lancette dell'orologio, nell'emisfero settentrionale e senso destrorso nell'emisfero meridio­nale. Nella zona centrale, ove confluiscono i venti, si determinerà, per la pressione laterale delle masse d'aria convergenti, un movimen­to ascendente di maggiore o minore intensità a seconda dell'impor­tanza del fenomeno ciclonico. (Fig. 90).

Quando invece si verifica il tipo anticiclonico, nel quale abbiamo al centro, la zona di più alta pressione, e le linee isobariche tutt'intorno degradanti ci danno l'idea di una cima che si eleva solitaria fra terre più basse, zona d'aria fredda fasciata all'intorno di zone di aria calda, allora vediamo verificarsi il fenomeno opposto al precedente: le masse d'aria si

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DIV[RGfNZA ANTICICLONICA

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Fig. 91

spostano dal centro alla perife­ria, sempre secondo traiettorie in forma di spirali, invertendosi il senso di rotazione nei due emi­sferi: destrorso nell'emisfero set­tentrionale, sinistrorso in quello meridionale. Nel centro della zo­na anticiclonica la divergenza delle masse d'aria superficiali de­terminerà la discesa delle cappe superiori, le quali si riscalderan­no per compressione adiabatica, costituendo quelle inversioni di subsidenza che già conosciamo e che sono la causa della dissoluzio­ne o della limitazione dello svilup­po verticale delle nubi. (Fig. 91).

Ora che abbiamo studiato la genesi, la direzione e la velocità del vento, studiamone la distribuzione sulla superficie terrestre, per ave­re un'idea della circolazione atmosferica.

Possiamo dividere i venti in tre categorie: venti costanti, venti pe­riodici, venti irregolari.

Si dicono "costanti" quei venti, che, essendo permanente la causa c:he Ii produce, soffiano continuamente e sempre nello stesso senso. Sono appunto tali gli alisei ed i contralisei. Se il regime dei venti fosse unicamente regolato dal fattore temperatura, avendosi la massima nelle zone equatoriali e la minima nelle zone polari, noi dovremmo vedere la superficie terrestre percorsa da due sole correnti, una, d'aria fredda, fluente dai poli all'Equatore e passante attraverso le regioni basse dell'atmosfera; l'altra d'aria calda, fluente dall'Equa­tore ai poli, passante attraverso le regioni più alte. Ma, per l'influen­za della rotazione terrestre, questo schema assai semplice della circo­lazione atmosferica viene di parecchio alterato. Le osservazioni diret­te danno come presenti nei due emisferi settentrionale e merdionale due zone di alta pressione, poste alquanto più su dei tropici, tra i 30° e i 35° di latitudine Nord e Sud, avente andamento non molto regola-

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re nel nostro emisfero a causa dell'irregolare distribuzione dei mari e della terraferma. Orbene, da queste zone di alta pressione spirano co­stantemente verso l'equatore- che è una zona di bassa pressione, per­ché ivi le terre e i mari fortemente e incessantemente riscaldati gene­rano forti e continue correnti ascensionali - dei venti i quali, in obbe­dienza alla legge di Buys-Ballot, subiranno una devjazione verso Ovest: sono gli "alisei di nord-est" (diretti cioè verso sud-ovest) nell'emisfero boreale e gli "alisei di sud-est" (diretti cioè verso nord­ovest) nell'emisfero australe. (Fig. 92).

Fig. 92 (Bjerknes)

In corrispondenza di questo afflusso d'aria dalle zone di alta pres­sione verso la zona delle cosiddette "calme equatoriali" attraverso le regioni inferiori dell'atmosfera, si ha un altro afflusso dall'equatore ai tropici attraverso però le zone più alte: sono questi i "contralisei", i quali, nel loro cammino verso le zone di calma tropicale, dove di­scendono per subsidenza anticiclonica subiscono a loro volta una de­viazione verso Est, in conformità sempre della legge di Buys-Ballot.

Questo sistema circolatorio è completato da un sistema analogo, che ha il suo svolgimento tra le zone d'alta pressione su ricordate e le regioni polari: i venti che ivi spirano, prendono il nome di "extra­tropicali di Sud-Ovest" nell'emisfero boreale, e di "extra-tropicali di Nord-Ovest" nell'emisfero australe: gli uni e gli altri con direzione

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deviata rispetto al gradiente barico orizzontale. Anche qui, al flusso d'aria che dalle calme tropicali risale verso i poli, corrisponde un ri­flusso dai poli alle calme tropicali, col quale il ritmo si completa e si chiude.

Si chiamano "periodici" quei venti che in determinati periodi spi­rano in un senso, mentre in altri periodi spirano in senso opposto. Sono tali i "monsoni" che, come già sappiamo, durante la stagione estiva spirano dal mare al continente e durante l'inverno dal conti­nente al mare.

Altri venti periodici sono gli "etési", col quale nome gli antichi greci indicarono i venti che ogni anno alla stessa stagione, soffiano sull'Egeo: d'estate, da Nord a Sud; d'inverno da Sud a Nord. Sono questi i venti che spirano tra i deserti africani e il Mediterraneo: vale a spiegarli quello che si è detto dei monsoni.

Anche le "brezze" sono venti periodici: spirano nelle ore più calde del giorno, dal mare alla costa; nelle ore più fredde, dalla costa al mare. Abbiamo già accennato alla spiegazione del fenomeno, perciò non ci ripeteremo.

Aggiungiamo solo che non hanno diversa spiegazione le brezze che soffiano sui laghi come la "breva" del lago di Como.

_Infine si chiamano "irregolari" o "variabili" quei venti che, non avendo in natura una causa permanente non hanno per conseguenza né un periodo determinato di attività né una determinata direzione. Spirano quindi per una causa o per l'altra, ovunque si sia formata una zona ciclonica o anticiclonica.

Si hanno infatti - quando si sia oltrepassata la zona percorsa dagli alisei e dai monsoni, nell'uno e nell'altro emisfero - delle zone dove non si determinano mai delle aree di bassa o di alta pressione a perio­di fissi e durevoli, e dove, tutt'al più, è possibile rilevare una certa tendenza dei massimi e dei minimi barometrici a fissarsi su particola­ri regioni senza che tale tendenza possa assurgere al valore di norma, disturbata com'è assai di frequente dal formarsi improvviso di ciclo­ni e anticicloni con essa in contrasto. Si ha pertanto in questa zona -che i meteorologi fissano tra i 40° e i 60° di latitudine Ne S, vale a di­re nelle zone temperate - un regime di venti molto vario, nel quale tuttavia hanno un deciso predominio i venti soffianti dall'Ovest, pre-

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dominio constatabile specialmente sulle aperte distese degli oceani nell'emisfero uustrale.

Particolare importanza, per determinate e quasi sempre ristrette regioni, hanno certi venti che, pur soffiando ad intervalli irregolari, tuttavia hanno sempre la stessa direzione e sono originati da partico­lari condizioni di luogo. Basti ricordare tra tali venti:

a) la "bora", vento freddo ed impetuoso che flagella }'~stria, il Carso, il Veneto, ponendo spesso in pericolo le navi e arrestando il traffico nelle città e nei porti;

b) la "tramontana", vento freddo e forte di origine nordica che soffia spesso per vari giorni su tutta la penisola;

e) Io "scirocco", vento proveniente dall'Africa, caldo umido, afo­so, talora carico di sabbia, opprimente lo spirito e il corpo col suo soffio molliccio e greve;

d) il "foehn", vento secco e relativamente tiepido che spira duran­te la stagione invernale nelle regioni alpine e che, in generale si genera ovunque una catena montuosa si frapponga al libero percorso di masse d'aria che si spostano da zone di alta pressione a zone di pres­sione bassa. Ad esso è associato il fenomeno - importantissimo per il volo a vela - della formazione di quei movimenti ondulatori di osta­colo dei quali appunto si sono valsi i volovelisti di tutto il mondo per salire fino al limite della troposfera. Questo caratteristico vento, in origine è costituito da masse stabili d'aria fredda ed umida, che river­sandosi sottovento alle catene montane, vi giungono molto più sec­che con temperatura superiore a quella che avevano, sopravvento, agli stessi livelli .

. In tali masse, infatti, durante la loro ascesa adiabatica, la progres­siva diminuzione della temperatura provoca un aumento dell'umidità relativa e, conseguentemente, ad una certa quota, si verifica la con­densazione del vapore acqueo in eccesso e la pioggia ("Stau"), con la produzione di quel calore latente che, in parte compensa il raffredda­mento dovuto alla dilatazione dell'aria ascendente satura, la cui di­minuzione di temperatura si mantiene, per tale fatto, nell'ordine di circa 0,5°C ogni cento metri. Nell'opposto versante sottovento, l'aria, discendendo, si riscalda, invece, per compressione adiabatica, di 1°C ogni cento metri allontanandosi sempre più dalla saturazione

190

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(Fig. 93). Ecco perché queste masse d'aria si riversano sottovento agli ostacoli raggiungendo temperature superiori a quelle che avevano al­le stesse quote sopravvento. Noi ne abbiamo fatto qui appena un cen­no, ma ci riserviamo di riprendere l'argomento quando verremo a parlare dei movimenti ondulatori della atmosfera.

Omettiamo, perché meno noti e meno importanti per i volovelisti italiani, i nomi di altri venti irregolari.

È stato osservato che la velocità del vento suole variare in rapporto alle stagioni dell'anno; in generale, per ogni località, la velocità me­dia di esso è più forte d'inverno che d'estate. Quello però che interes­sa di più al volo a vela, in quanto può influire sul suo svolgimento, sono le variazioni che tanto la direzione quanto la velocità del vento sogliono subire in rapporto all'alternarsi del giorno e della notte.

Riguardo alla velocità, si nota che presso il suolo, si ha durante la notte, o la calma o un vento debolissimo; mentre sul far del giorno, la velocità va gradamente aumentando fino ad attingere il suo massi­mo, poco dopo il meriggio; dopo di che va diminuendo sempre più, di mano in mano che ci si appressa alla sera. In quota le variazioni as-

Fig. 93

191

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sumono carattere nettamente diverso avendosi vento forte nelle ore notturne e vento debole nelle ore diurne: tale carattere è particolar­mente sensibile d'estate durante la quale stagione si suole riscontrare la velocità massima del vento circa la mezzanotte e la minima circa il mezzogiorno. _I due strati d'aria animati da velocità diverse non sono tra loro a contatto immediato: tra l'uno e l'atro, è uno strato di spes­sore molto vario attraverso il quale avviene il passaggio graduale tra i due andamenti contrastanti. È facile capire che in tale strato regna sempre turbolenza.

Tutto ciò naturalmente, ha valore per condizioni normali dell'at­mosfera; in condizioni anormali è comprensibile come la regola su descritta abbia a subire delle eccezioni, talora anche molto rilev·anti.

Per ciò che concerne la direzione, le osservazioni sistematiche han­no dimostrato che, durante il giorno, nelle varie località il vento spira da quella parte del cielo in cui si trova il sole, cioè: la mattina, da Est; a mezzogiorno, da Sud; nel pomeriggio, da Ovest; di notte, da Nord. Tale rotazione diurna del vento, conforme al moto apparente del so­le, è favorita da quell'azione perturbatrice della rotazione terrestre, di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti. Tutto ciò, natural­mente, ha valore per le condizioni normali dell'atmosfera.

Ora ci resta da parlare di quella causa che, per essere capace di mo­dificare il corso dei venti, determina effetti molto importanti per il volo a vela: alludiamo alle catene montuose. Della loro azione per­turbatrice e delle conseguenze che ne derivano ci occuperemo nel prossimo capitolo.

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CAPITOLO QUATTORDICESIMO

LE CORRENTI DINAMICHE DI PENDÌO

Chiudendo il precedente capitolo, accennammo ai monti come ad una causa capace di influire in larga misura sul vento e di determina­re effetti, di cui può giovarsi il volo a vela. Venendo ora al particola­re, diremo che i monti danno luogo innanzitutto a profonde modifi­çazioni nella velocità e nella direzione del vento.

~ monti rappresentano infatti per le co.rrénti aeree un ostacolo, che impedisce il loro libero fluire, non diverso da quelle che, per una cor­rente d'acqua, possono essere le dighe di sbarramento o le pile dei ponti. Non abbiamo recato a caso tali paragoni: ché anzi vi siamo in­dotti dal concetto che, esaminando il diverso comportamento di una corrente d'acqua quando investe un ostacolo frontalmente esteso o quando investe un ostacolo isolato o di limitata estensione, si possa con facile analogia dedurre il comportamento di una corrente aerea, che è pure diverso quando urta contro una catena montuosa avente un fronte molto esteso, da quando invece s'imbatte in un monte iso­lato o comunque di poca estensione frontale. Sia nell'uno che nell'al­tro caso, la corrente, non potendo retrocedere, sarà costretta a supe­rare l'ostacolo, cio_è a spostare la direzione e l'altezza del suo corso e subirà, per conseguenza, nel suo andamento, delle perturbazioni, che saranno tanto più sensibili quanto maggiore è l'ostacolo che le si frappone e quanto più veemente è l'impeto della corrente stessa. Ma il modo in cui avviene il superamento dell'ostacolo è notevolmente differente nelle due ipotesi prospettate non solo per la diversità di mole e di struttura degli ostacoli stessi, ma anche per l'influenza eser­citata dalle condizioni di equilibrio termico esistenti nelle masse di aria che le montagne costringono a salire. Questi fenomeni hanno una notevole importanza per il volo veleggiato e pertanto non sarà male che ne facciamo qui un'analisi particolareggiata.

Sia prima di tutto il caso di un ostacolo frontalmente molto esteso, quale può essere, per esempio, quello costituito da una catena di

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monti, che per comprendere meglio il fenomeno immagineremo ab­bastanza uniform~. tale cioè da potersi paragonare ad una immensa diga, che si opponga all'avanzarsi del vento. Quello che avviene in ta­le ipotesi è chiaramente dimostrato dalla figura 94: non potendo in altra maniera aggirare l'ostacolo, il vento è costretto a sormotarlo, cioè a subire, davanti ad esso, una deviazione verso l'alto, a cui terrà dietro, dopo di esso, una deviazione verso il basso. Tali deviazioni saranno assai forti negli strati più prossimi al rilievo, mentre andran­no sempre più attenuandosi, di mano in mano che si sale, fino ad esaurirsi del tutto ad una quota che varia in rapporto all'altezza dell'ostacolo, alla velocità del vento, ed alle condizioni di equilibrio dell'atmosfera. Ciò non è tutto: ché, tanto sul fronte dell'ostacolo,

AUlttllro O. l'ILOCl'Til' l'llfOITll OI ,,,,. .. _

Fig. 94

quanto sopra e posteriormente ad esso, si determinano delle variazio­ni di pressione, dalle quali traggono origine dei vortici, di cui quelli frontali e dorsali, debbono essere evitati dagli alianti che veleggiano sfruttando appunto il vento di pendio. È da notare, a questo proposi­to che, quando il vento è forte, i vortici sono migratori e possono ri­scontrarsi anche a distanze notevoli sottovento all'ostacolo che li ha originati. _Il fenomeno avviene così.

La corrente orizzontale dell'aria, sopravvenendo contro il pendìo montano, non può continuare la sua corsa, mantenendo la disposi­zione laminare e simmetrica che aveva quando trascorreva sulla libe­ra pianura: l'ostacolo contro.cui va ad urtare determina in essa una perturbazione, tanto più grande quanto più ripido è il pendìo. Acca­de così che ai piedi della montagna si forma un primo ampio vortice

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ad asse orizzontale, che diremo vortice frontale e che, quando il ven­to è debole, rimane stazionario e ruota lentamente attorno al proprio asse. Se il vento è forte, invece, si formano vortici di minori dir;nen­sioni, ruotanti però a maggior velocità ed in movimento lungo il pen­dìo di sopravvento.

Al di sopra di essi la corrente prosegue il suo cammino ascendente, accelerando il suo moto. Sulla cima della montagna si registrano un .notevole aumento di velocità del vento e una parallela diminuzione della pressione statica. Dietro la cima, invece si registra un fenomeno opposto: diminuzione della velocità del vento e aumento della pres­sione statica. Questo contrasto di fenomeni conferma un principio sanzionato dall'esperienza, secondo il quale a masse di aria conver­genti corrispondono aumento della velocità del flusso e diminuzione della pressione statica, mentre a masse di aria divergenti cotrispon­dono diminuzione della velocità del flusso ed aumento della pressio­ne statica.

Orbene, quella caduta di pressione che si registra sulla cresta della montagna, genera nel versante sottovento una controcorrente che, incontrandosi con il flusso principale provoca la formazione di un primo vortice che, quando il vento è forte, si stacca dalla montagna e si porta nel "letto del vento". Né rimane solo, ché dietro a quello al­tri se ne formano e, l'uno dopo l'altro, si staccano dalla montagna e si dispongono dietro il primo e vanno a formare una lunga fila, che divide la zona inferiore di aria calma da quella superiore di aria in movimento.

I vortici mutipli a carattere migratorio ed irregolari cominciano a formarsi quando il vento supera i 35 km/h. La figura 94 illustra chia­ramente il fenomeno e pertanto non crediamo necessarie altre spiega­zioni.

È facile capire che i vortici dorsali e frontali possono scomparire del tutto quando l'ostacolo investito dal vento possiede una forma aerodinamica. Come norma pratica diremo quindi che il miglior pen­dio montano per il volo a vela è quello che ha il versante sopravvento con un'inclinazione di 35° ed, inoltre, che per ovviare alla formazio­ne dei vortici migratori di sottovento è necessario che il versante montano si prolunghi a valle per una lunghezza uguale a tre volte

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raltezza della montagna, in modo da conferire, una naturale carena­tura aerodinamica al pendio sottovento.(Fig. 95).

Abbiamo dianzi accennato che la potenza dell'azione perturbatrice di un ostacolo sopra una corrente d'aria non dipende solamente dalla forma dell'ostacolo e dalla velocità del vento, ma anche dal maggior o minor grado di stabilità dell'atmosfera, vale a dire dal valore del gradiente termico verticale. Infatti, mentre una massa d'aria termica­mente labile o vicino all'instabilità, supera facilmente gli ostacoli orografici e perfino favorisce lo sviluppo del movimento ascendente, al contrario un'atmosfera stabile tende a seguire un cammino oriz­zontale, poiché le molecole che la compongono amano conservare il loro attuale livello ed equilibrio e se sono forzate a mutarlo tendono a riprenderlo. Quando pertanto la massa d'aria che investe l'ostacolo è termicamente stabile, si osserva che i filetti che la compongono ten­

-dono più ad aggirare l'ostacolo che a superarlo.

Fig. 95

Come norma generale, diremo quindi che le correnti dinamiche ge­nerate dall'incontro di masse d'aria instabili con le catene montuose hanno notevole potenza e raggiungono altezze considerevoli, anche quando il vento soffia con poca intensità. Rileviamo, però che in quest'ultimo caso, le ascendenze sono meno regolari e che tra l'una e l'altra esistono sempre zone di discendenza (correnti termodinami­che).

Per quanto riguarda le masse d'aria stabili ricordiamo che quando il vento soffia con velocità inferiore ai 20 km/h, la componente verti­cale della corrente lungo il pendìo è debole e, pertanto non sempre consente il veleggiamento. Le migliori velocità di vento per veleggiare lungo i costoni montani vanno da 20 a 60 km/h.

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Esamineremo ora l'altro caso, a cui si accennò più addietro, di un ostacolo che sorga solitario in mezzo ad una distesa piana, come po­trebbe essere un monte emergente dal mare o elevantesi isolato in mezzo ad una pianura e, che venga investito da una massa d'aria in condizioni di equilibrio stabile .. In tale ipotesi, la corrente aerea si comporterà come la corrente di un fiume, che incontra le pile di un ponte: si dividerà cioè in due correnti, che devieranno l'una a destra e l'altra a sinistra dell'ostacolo, finché, quando sia stato oltrepassato, non abbiano a ricomporsi ancora in una sola corrente, che fluirà se­condo la direzione primitiva.

Anche in questo caso, tanto sull'uno che sull'altro fianco dell'osta­colo, si formeranno dei vortici migratori, la cui influenza è sensibile anche a notevole distanza, specialmente con vento dotato di forte ve­locità.

Nel caso che una massa d'aria in condizioni di equilibrio instabile o vicino all'instabilità, investa un ostacolo solitario, non solo riesce a superarlo con facilità ma anche a favorire lo sviluppo del movimento ascendente nei filetti di aria adiacenti.

Nella realtà gli schemi sopra esposti si verificano raramente nella loro individualità teorica, perché la natura non offre quasi mai con­dizioni rispondenti con assoluta esattezza a quello che la teoria pre­suppone per riuscire a formulare le sue leggi: più spesso i vari schemi si alternano, si sovrappongono, si confondono, originando così dei fenomeni vasti e complessi, nei quali non è sempre facile vedere quale schema abbia la prevalenza. Gli sforzi fatti da vari autori per cercare di fissare con esattezza matematica la genesi, la potenza e l'altezza che possono raggiungere le correnti dinamiche di pendio, hanno con­dotto a risultati che non sempre vanno d'accordo con le esperienze pratiche di volo. Osta a ciò la grande irregolarità dei profili orografi­ci, la diversa distribuzione della temperatura in quota ed altre cause che spesso non permettono di determinare tutti i fattori del fenomeno.

Ad ogni modo, per i fini che ci siamo proposti fin dalle prime pagi­ne di questo manuale, indicheremo alcune norme pratiche, sufficienti ad illuminare il pilota veleggiatore sulle risorse e sui pericoli del volo contro i pendìi montani e a dargli modo di scegliere la sua via.

Come regola generale si può ritenere che la velocità verticale delle

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Fig. 96

N:NDIO CON IOLCC IC!UYIO

correnti dinamiche in ar­gomento sia circa l/IOdel­la velocità che il vento assu­me nel suo percorso oriz­zontale. Per quanto riguar­da l'ubicazione del campo ascendente lungo i pendìi montani, le figure 96, 97, 98 e 99, illustrano varie situa­zioni sperimentate nel ca­nale idrodinamico, che rite­niamo sufficienti per dare

un'idea del comportamento delle correnti nei distinti casi. In un buon pendìo ed in condizioni di instabilità atmosferica si può

dire che l'ascendenza interessa tutto lo strato instabile esistente sopra la montagna .. In condizioni di stabilità atmosferica, invece l'altezza dell'ascendenza è di gran lunga inferiore e varia a seconda dell'inten­sità del vento. Nel caso di una montagna isolata, quando la massa che la investe ha notevole spessore, il vento ascendente può arrivare sopra la vetta fino ad una terza parte dell'altezza totale della monta­gna; ciò equivale a dire che, supposta in 1500 metri l'altezza di un monte, le correnti dinamiche che lo investono potranno superare la ci­ma di 500 metri. Tale valore può essere superato soltanto mediante l'in­tervento di cause termiche.

Crediamo che rientri nell'ambito dei fini pratici che ci siamo proposti dire qualcosa circa le condizio­ni più favorevoli- all'effet­tuazione dei lunghi voli di durata sulle correnti dina­miche che si generano lun­go i pendìi montani.

Diciamo innanzi tut­to che un lungo volo di durata avrà probabilità

198

KNDIO MOLTO llPltO: ZONA VORTICOll\ IO •R..wvtNTO·AICUtrNZA PllTANT( Ml PCNtlO

Fig. 97

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Fig. 98

TllEIWNZA. <ON KNtlO !.OfrOV(NTO l1Ptt0

di riuscita quando il ventt di cui ci si serve non sia de­terminato da cause locali ed instabili, ma da cause che, essendo per la loro na­tura permanenti o, almeno periodiche, possono garan­tire la durata del vento stes­so. _Il quale poi, se riuscirà uniforme nel suo spirare, cioè senza raffiche violente che ne modifichino brusca-

mente l'andamento, risponderà ai requisiti ideali per un lungo volo. È stato notato da tempo che, a parità di condizioni un rilievo posto

sulla riva del mare determina nel vento che lo incontra una deviazio­ne verso l'alto maggiore di quella che suole determinare un rilievo en­tro terra. La ragione del fenomeno sta nel fatto che sull'acqua gli strati inferiori del vento, incontrano un attrito minore che non sulla terra e, perciò subiscono una minore riduzione di velocità.

Si è notato inoltre che è frequente il caso di venti che spirano.dal mare verso terra per dei periodi di tempo lunghi e con andarrtento tranquillo e regolare.

Sia per questa che per l'altra ragione, molti volovelisti preferisco­no, per i voli di lungo respiro su correnti dinamiche, 10· coste marine, presso cui si verificano condizioni in complesso più propizie ai voli di dura­ta. Naturalmente, perché si possa volare a vela con vento di pendio, bisogna che il vento provenga da una direzione pressoché normale alla linea di cresta e che incontri la montagna animato da sufficiente ve­locità. Come abbiamo det-

INNAl.ZAM{NTO NlLA TURlOL[NZA IO'IA IL l[CONDO PCNPIO

Fig. 99

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to, sono velocità buone quelle che stanno tra i 20 e i 60 km/h. È utile al pilota sapere a quale distanza dall'ostacolo il vento co­

mincia il suo cammino ascendente. Benché come abbiamo detto, in proposito non possa darsi una regola assoluta, riportiamo tuttavia nella figura 100 una interessante illustrazione relativa al campo ascendente generato da un vento di 10 m/s lungo le dune che costeg­giano il Canale della Manica nei pressi di Cherbourg. Tali determina­zioni pratiche sono state effettuate da P. Idrac, noto studioso france­se di questi problemi, e possono servire di guida per risolvere, sia pu­re in maniera approssimativa, i problemi pratici che di volta in volta, si presentano al volovelista.

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o

L'esistenza di alberi di una certa altezza lungo il pendio montano, non solo può dar luogo a vortici, pericolosi per gli alianti, ma può in­terferire favorevolmente o sfavorevolmente, sull'andamento genera­le del flusso (Figg. 101 e 102). Buona norma di prudenza sarà quindi per il pilota quella di mantenersi ad una giusta distanza dal costone, e di virare sempre contro vento, verso la valle. Ogni pilota, che non ami sfidare temerariamente un rischio inutile, cercherà di non dimen­ticare queste p.orme.

Quando la velocità orizzontale del vento è inferiore alla velocità di

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--· Fig. 101 Fig. 102

planata dell'aliante, il modo migliore di utilizzare la corrente dinami­ca di pendio è logicamente quello di volare trasversalmente alla dire­zione del vento, planando in modo da annullare la velocità di discesa del velivolo con la velocità di salita della corrente ascendente.

È facile capire che durante il volo di pendìo, mantenendo l'asse longitudinale dell'aliante in allineamento parallelo con l'asse della catena montuosa, il velivolo si sposterà nel letto del vento, sempre più verso il costone. Ad evitare tale inconveniente il pilota dovrà ve­leggiare con la prua volta alla pianura in modo che l'asse longitudi-

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Fig. 103

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nale dell'aliante e quello della catena montuosa formino tra loro un certo angolo; la cui apertura sarà in proporzione diretta alla velocità del vento (Fig. 103).

Quando la velocità del vento è uguale a quella di planata dell'alian­te, è possibile volare contro vento e mantenere il velivolo sempre nel­lo stesso punto come se fosse un aquilone. Con tale manovra l'appa­recchio riesce a non perdere quota ed a mantenersi in volo per un tempo indefinito, cioè sino a quando il vento muti o si esaurisca la re­sistenza del pilota.

Per completare l'argomento di questo capitolo ci resta da dire qualcosa sulle brezze termiche di pendìo e sulle brezze di valle.

È facile comprendere come sotto il dardeggiare del sole i pendìi montani si riscaldino e, irradiando poi il calore ricevuto, arrivino a perturbare notevolmente il campo delle temperature e, conseguente­mente della pressione atmosferica e dei venti locali.

Tali perturbazioni son quelle che determinano le cosiddette brezze termiche di pendio, dovute appunto alla differenza di temperatura che si stabilisce tra l'aria in contatto coi pendìi montani e quella che compone la libera atmosfera allo stesso livello.

Il fenomeno si spiega così: durante il giorno, sotto l'influenza della radiazione solare, il suolo inclinato dei pendii montani riscalda forte­mente gli strati superficiali, che acquistano così una temperatura su­periore a quella della libera atmosfera. Questi strati surriscaldati compresi dall'aria circostante più pesante, salgono verso la cima del­la montagna, scorrendo lungo il pendio. Nello stesso tempo, l'aria più fredda che compone la libera atmosfera allo stesso livello, si ab­bassa per occupare il posto dell'aria ascendente e ristabilire l'equili­brio turbato.

Durante la notte il fenomeno si inverte: il suolo si raffredda e l'aria in contatto con esso, diventa più pesante, scivola lungo il pendio, ac­cumulandosi in fondo alla valle (Fig. 104).

Sono queste "le brezze termiche di pendìo", ascendenti di giorno (venti anabatici), discendenti di notte (venti catabatici).

Per quanto riguarda le brezze termiche discendenti diremo che es­se, durante la notte, accumulano notevole quantità di aria fredda nel fondo delle valli e che, pertanto nelle prime ore del mattino, le strati-

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ficazioni atmosferiche che qui si riscontrano presentano forti inver­sioni termiche.

Per concludere l'argomento di questo capitolo, è opportuno fare una distinzione fra queste brezze di pendìo e quelle che soffiano lun­go l'asse longitudinale del fondo valle.

p "vento di valle", è la conseguenza delle brezze termiche di pen­dio, e spira nelle ore di maggior insolazione, raggiungendo notevoli intensità.

Fig. 104

Generalmente, lo strato interessato dal vento di valle è sottile (200-300 m.) e sovente la sua direzione è opposta a quella del vento sinotti­co. Spesso, questo vento si ramifica nelle valli laterali, dando luogo a direzioni ed intensità inattese (30-50 km/h).

Dove le valli si restringono, i venti si rafforzano per effetto della diminuita sezione di scorrimento. Un altro effetto dei rilievi montani sul vento è quello della loro azione "canalizzatrice", che si manifesta soprattutto nelle vallate e nei passi.

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l..)uando l'insolazione delle valli è asimmetrica, al flusso longitudi­nale della vallata può sovrapporsi un vento trasversale, che soffia verso i costoni montani più riscaldati determinandovi intense corren­ti ascendenti, mentre lungo i costoni più freddi si producono correnti discendenti e fenomeni di sottovento, che i volovelisti debbono evi­tare.

Per concludere l'argomento delle brezze di valle, cui abbiamo dianzi accennato, diremo che nelle valli della Lombardia orientate da Nord a Sud, queste brezze soffiano quotidianamente nella zona dove comincia la pianura soprattutto nelle giornate non perturbate da ven­ti di carattere generale, cioè in situazioni di pressioni livellate. Poco prima di mezzodi, il vento comincia a soffiare dal settore Sud e ter­mina a sera. Dopo decresce e, trascorso un intervallo di calma comin­cia a soffiare dal settore Nord e termina a mattino inoltrato.

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CAPITOLO QUINDICESIMO

LE CORRENTI TERMICHE DI PENDÌO ED IL VOLO A VELA ALPINO

Parlando dei venti di valle che durante la stagione calda soffiano sulle regioni prealpine ed alpine dell'.Italia Settentrionale, abbiamo detto come tali venti siano la conseguenza delle brezze termiche di pendio che da metà aprile cominciano ad interessare sensibilmente i costoni montani.

Poiché queste brezze <:ostituiscono un'ottima causa determinatrice della formazione di intense correnti termiche ascendenti non solo in queste regioni alpine dell'.Italia Settentrionale, ma anche nelle altre regioni montane della nostra Penisola, sarà opportuno parlarne più ampiamente.

Le brezze termiche di pendio sono costituite dallo "strato supera­diabatico", creato dalla irradiazione dei costoni montani riscaldati dall'insolazione. Come abbiamo accennato nel capitolo precedente questo strato, compresso dall'aria più fredda che compone l'atmo­skra libera, essendo meno denso e quindi più leggero, è continua­mente sollecitato a salire lungo i costoni montani. A seconda delle condizioni di equilibrio regnanti nell'atmosfera libera, questo strato surriscaldato può dar luogo all'innesco di correnti termiche organiz­zate in colonne oppure in bolle (a seconda delle circostanze) anche soltanto dopo un sollevamento di poche decine di metri (aria instabi­le), o sulla verticale della linea di cresta (aria stabile), o addirittura sottovento ai costoni, dopo qualche decina di metri di caduta (aria molto instabile), mentre in condizioni di stabilità assoluta lo strato surriscaldato rimane aderente ai costoni montani, senza dar luogo all'innesco di correnti termiche comunque organizzate (Fig. 105). Le figure 106 e 107, insieme alla precedente illustrano chiaramente le va­rie situazioni; non riteniamo pertanto necessarie ulteriori spiegazioni sull'argomento. Lo spessore dello strato limite termico in scorrimen­to ascendente lungo un costone montano, dipende dalle condizioni

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locali, dalla forma del pendìo e dalle caratteristiche della crosta geo­logica superficiale, nonché dalla sua esposizione ai raggi solari. Ad

ogni modo tale spessore varia da una ventina di metri ad un massimo di 150, mentre la velocità di scorrimento dello strato ascendente può raggiungere i 4 metri per secondo (Fig. 108).

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Nell'ambito di questo strato è possibile il veleggiamento pur risul­tando il volo piuttosto difficile, e comunque accessibile soltanto a pi­loti ben allenati (Fig. 109). _In condizioni povere, se l'aliante si allon­tana più di una ventina di metri dal pendio, il veleggiamento risulta impossibile.

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Fig. 106

Quando i costoni montani non sono uniformemente riscaldati, sia per l'esistenza di canaloni rocciosi, sia per la presenza di zone bosco­se e verdeggianti, le correnti ascendenti sono organizzate in potenti colonne ubicate sulla verticale dei punti più caldi. In tal caso, tra una ascendenza e l'altra, si formano correnti discendenti di compenso al­trettanto vigorose (Fig. 110).

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Fig. 107

207

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Le correnti termiche e termodinamiche che si formano nelle regio­ni alpine e prealpine sono spesso coronate da formazioni cumulifor­mi, di grande interesse per il volo a vela, soprattutto quando si pro­ducono in situazione anticiclonica, dato che l'esistenza in quota di in­versioni termiche di subsidenza, limita Io sviluppo verticale dei cu­muli, impedendone la degenerazione temporalesca.

Le condizioni più favorevoli al volo termico alpino sono quindi quelle associate a situazioni anticicloniche, con circolazione di masse d'aria subtropicale marittima, condizionalmente instabile .. Infatti in tali situazioni, i cumuli hanno la base di condensazione elevata, al di sopra della linea di cresta delle montagne, e non presentano pertanto, alcun pericolo per gli alianti, acconsentendo anche il volo in nube.

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Fig. 108

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Fig. 109

Va rilevato tuttavia che tali condizioni interessano spesso le regioni prealpine soltanto marginalmente e che, anche quando in queste re­gioni regna la stessa massa d'aria che interessa le Alpi, l'attività te­moconvettiva non inizia sino a quando la inversione termica di super­ficie e gli eventuali strati stabili ad essa sovrapposti, non vengono la­bilizzati dall'irradiazione terrestre. È noto che questo processo ri­chiede parecchie ore di irraggiamento solare e che sia nelle valli preal­pine sia nelle pianure pedemontane, l'attività termoconvettiva spesso non innesca prima di mezzogiorno. _I piloti perdono così ore preziose di veleggiamento, che tradotte in chilometri incidono negativamente

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sulla distanza massima percorribile in volo alpino nell'arco dell'inte­ra giornata.

Non v'è dubbio, quindi che, partendo dagli aeroporti prealpini per voli d'alta performance, è necessario farsi trainare in direzione delle alpi, lungo le cui catene, da metà aprile in poi, poco dopo le IO (ora solare), sopra i 1500 metri, è già possibile sfruttare, a ridosso dei co­stoni montani, le brezze termiche di pendìo o le correnti termodina­miche determinate da queste brezze lungo la linea di cresta delle mon­tagne.

È vero che per raggiungere le zone favorevoli bisogna percorrere a ri­morchio magari una trentina di chilometri dai campi base; ma per chi voglia tentare voli alpini di grande respiro non c'è altra scelta: partire a rimorchio po­co prima delle IO in direzione Nord; sganciarsi verso le I0,30 sulla linea di cresta di un costo­ne ben soleggiato, possibilmen­te roccioso a quote di 1500-1700 metri, dove, al di so­pra degli strati stabili inferiori, l'attività termoconvettiva è già notevole.

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Per concludere l'argomento Fig. 110 di questo capitolo è opportuno accennare alle cosiddette "termiche di sottovento". Fin dai primi mesi della stagione primaverile, quando il sole comincia a scaldare sensibilmente i pendìi montani esposti a Sud, ed i venti spirano invece dai quadranti settentrionali investendo gli opposti versanti in ombra, i fenomeni dinamici di sottovento sono contrastati dalla formazione delle brezze termiche dei pendìi soleggiati.

.II fenomeno si spiega così: la caduta di pressione che si registra sul­la cresta della catena montana investita dal vento da Nord, richiama verso la sommità del pendio l'aria che si trova negli strati inferiori del versante sottovento, creando così una controcorrente che incontran­dosi in vetta col flusso opposto, provoca la formazione di un vortice

209

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Fig. 111

ro. I t'·''

stazionario ad asse oriz­zontale. Questo vortice, alimentato dall'aria calda che costituisce lo strato li­mite termico in slittamento ascendente lungo il pendìo soleggiato del versante Sud, va sempre più ingrandendo­si e ad un certo momento si stacca dalla montagna (Fig. 111). La minor densità dell'aria calda che lo com­pone, fa salire il vortice, che si porta in quota nel letto del vento. Dietro il primo

vortice, altri se ne formano e, l'uno dopo l'altro, si staccano dal­la montagna costituendo una serie di bolle termiche assai turbo­lente, che tuttavia gli alianti riescono a sfruttare per guadagnare quota. Queste ascendenze sono note ai volovelisti con il nome di "termiche di sottovento". Anche le potenti correnti termodinamiche

Fig. 112

210

che fuoriescono dai cana-Ioni rocciosi dei costoni montani riscaldati dal sole ed investiti dal vento, pos­sono dar luogo nella zona del versante sottovento a fenomeni ondulatori di no­tevole intensità. Questi po­tenti soffioni d'aria calda ascendente, superando per inerzia il · loro livello di equilibrio termico, assu­mono un movimento oscil­latorio che va progressiva­mente smorzandosi per l'azione frenante delle di-

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verse cause termodinamiche che agiscono su di essi. Le oscillazioni verti­cali, combinandosi poi col moto orizzontale di traslazione determinato dal vento, danno luogo ad un andamento ondoso del soffione; il quale trasmettendo all'aria ambiente il suo movimento oscillatorio, esalta in tal modo il fenomeno ondulatorio, la cui intensità dipende dal grado di stabilità regnante nello strato atmosferico perturbato. (Fig. I 12).

Come avremo modo di rilevare nel capitolo che riguarda i cosid­detti fenomeni di "termoonda" questi soffioni ondulatori si accop-

Fig. 113

piano con le eventuali correnti termiche in partenza dal suolo nella zona sottovento in maniera tale che le correnti ascendenti si associa­no alla parte ascendente dell'onda, mentre le correnti discendenti di compenso vengono attratte nella parte discendente (Fig. 113).

È facile capire che nella zona di accoppiamento dei due moti regna una notevole turbolenza e che pertanto, nell'ambito di questo strato, il veleggiamento è piuttosto difficile e richiede un notevole addestra­mento da parte del pilota.

211

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CAPITOLO SEDICESIMO

IL VOLO A VELA IN ONDA

Fino alla scoperta del cosiddetto volo a vela in onda, le correnti che si producono sottovento alle catene montane sono state total­mente scartate dai volovelisti, che le giudicavano sfavorevoli al volo. Da quando però si scoprì cpe sopra la corrente vorticosa di sottoven­to si possono formare potenti onde atmosferiche nella cui parte ascendente gli alianti possono raggiungere grandi altezze, i volovelisti ed i meteorologi di tutto il mondo fermarono la loro attenzione sopra questi movimenti ondulatori, per studiarne la struttura e la dinamica. Esperienze, ricerche, studi si susseguirono, e non senza eccellenti ri­sultati.

Prima d'iniziare la trattazione teorica dei movimenti ondulatori dell'atmosfera, riteniamo utile e opportuno illustrare il significato di alcuni termini ai quali dovremo ricorrere sovente nel corso di questo capitolo.

In qualsiasi movimento ondulatorio, sia di liquidi che di gas, si usa distinguere certe parti, tra loro differenti, che si ripetono uniforme­mente nella .continuità del movimento stesso. Se immaginiamo di tracciare una linea retta, che taglia per il suo mezzo l'ondulazione che si osserva in una massa liquida o aeriforme, chiameremo "cuspide dell'onda" la parte che sta sopra quella linea e "concavità dell'onda" quella che sta sotto. Nel segmento di linea retta che con­giunge i due punti estremi della cuspide e della concavità è compreso il "profilo" dell'onda che si ripete uniformemente nelle ondulazioni susseguenti e che si suole assumere per determinare la "lunghezza d'onda". La distanza tra il vertice della cuspide e il fondo della con­cavità, si dice "ampiezza d'onda". (Fig. 114).

Dopo questo semplice ma necessario chiarimento di termini d'uso comune, affrontiamo lo studio di una delle prime teorie data dai vo­lovelisti tedeschi per spiegare il meccanismo delle onde d'ostacolo. Si tratta di una teoria, per vero dire, poco soddisfacente ma di fatto uti-

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le sotto l'aspetto didattico. Secondo la stessa, una partic_ella d'aria, in condizioni di equilibrio stabile, la quale investe, durante la sua corsa una catena montana, è forzata a salire lungo il pendio di so­pravvento e a spostarsi quindi dalla quota ove si trovava in equili­brio. Raggiunta la vetta, precipiterà naturalmente a valle, verso il suo primitivo livello. Senonché per forza d'inerzia, anzi che fermarsi a. quel livello precipiterà più in giù, e di qui riprenderà poi a salire per

SINUSOIDE

Nf/>llEZZA O'Dt!OA

Fig. 114

,.,,,,,,LO ~!EU "ONDA E • I LUNCHIEZZA O"ONOA I

I

tornare al suo livello d'equilibrio. Ma neppure questa volta riuscirà a fermarsi: l'inerzia non le permetterà di stabilizzarsi sollecitamente: occorrerà un certo tempo in una più o meno lunga serie di oscillazio­ni degradanti, prima che essa ritorni al primitivo livello. Orbene que­ste oscillazioni verticali, associandosi alla traslazione orizzontale del vento, si risolvono in un movimento ondoso dell'atmosfera, il quale va diminuendo d'ampiezza di mano in mano che ci si allontana dalla catena montuosa che generò l'urto. La figura 115 ci dà un.idea della traiettoria seguita dalla particella d'aria A, appartenente ad una mas­sa in condizione di equilibrio stabile. La particella, costretta a salire in quota dalla corrente dinamica di pendio si espande, raffreddando­si adiabaticamente in ragione di 1 °C per ogni 100 metri. Perdendo temperatura essa diviene anche più pesante dell'aria che la circonda, così che superata la vetta della montagna essa precipiterà a valle, re­cuperando gradatamente durante la discesa la temperatura primitiva e stabilizzandosi in fine, popo una serie di oscillazioni decrescenti, all'antico livello. Questa interpretazione elementare del fenomeno, fondata sulle prime esperienze di volo in onda, è stata successivamen-

214

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te modificata, e noi l'abbiamo riportata solamente perché riteniamo che conoscerla giovi a comprendere le successive interpretazioni.

Cominciamo col notare che le onde d'ostacolo che maggiormente interessano il volo a vela hanno carattere stazionario: sono cioè onde il cui profilo sinusoidale, rispetto al suolo, rimane fisso nello stesso posto. Come è ovvio, tali onde assumono un'ampiezza di gran lunga superiore a quella di qualsiasi tipo di onda progressiva. Ciò dipende essenzialmente dal fatto che i moti ondulatori stazionari, effettuando sempre nello stesso posto la trasformazione di energia potenziale in

Fig. 115

energia cinetica, sono ininterrottamente alimentati dalla perturbazio­ne che una corrente aerea subisce investendo un ostacolo sulla super­ficie terrestre. L'ostacolo, infatti, offrendosi in permanenza al flusso del vento, incrementa continuamente il movimento ondulatorio ge­nerato dall'urto. Com'è ovvio, quando la velocità orizzontale del vento è costante, il moto ondulatorio è stazionario.

A questo punto è facile rendersi conto del perché le masse d'aria che entrano a comporre queste oscillazioni riescano ad interessare strati dell'atmosfera di gran lunga superiori a quelli che compongon~ le onde progressive. Rileviamo però che le onde d'ostacolo non po­trebbero sorpassare i limiti della troposfera, se a loro volta non agis­sero come onde generatrici di oscillazioni di maggior potenza, tali da indurre nelle masse superiori moti capaci di estendersi a grandi altez­ze. Perché ciò avvenga, però, è necessario che negli strati superiori della troposfera il gradiente termico verticale vada aumentando con l'altezza. _In tal modo negli strati suddetti, la stabilità atmosferica an­drà gradatamente diminuendo fino al raggiungimento di condizioni di equilibrio vicine all'indifferenza. Se poi tale favorevole stratifica-

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zione termica in quota, sarà accompagnata da un progressivo aumen­to della velocità del vento con l'altezza, avremo quelle eh~ potremmo definire "condizioni termodinamiche ideali" per la formazione dei grandi movimenti ondulatori che tanto interessano il volo a vela.

Un movimento ondulatorio (qualora non esista negli strati atmo­sferici nel cui seno si sviluppa umidità sufficiente per dar luogo al fe­nomeno della condensazione) passa del tutto inosservato agli occhi del volovelista.

Solamente le nubi, materializzando in un certo senso quel movi­mento, ne rivelano la presenza al pilota che vuol giovarsene per gua­dagnare quota.

Fig. 116

Le nubi isolate fusiformi, prodotte da movimenti ondulatori "se­condari", vengono denominate "lenticolari" a cagione della caratte­ristica forma di lente (biconvessa o pianoconvessa o concavo­convessa) che spesso assumono rispetto alla sezione verticale (Fig. 116), e di osso di seppia rispetto alla vista in pianta (Fig. 117). Sono nubi bianche, dai contorni ben definiti, senza ombre proprie. Si for­mano a tutti i livelli, sulla superficie di deboli discontinuità per inver-

216

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sioni termiche o per salto di vento. Le iridiscenze che talora le contor­nano rivelano che sono costituite da goccioline di acqua.

Le nubi associate invece alle grandi onde del cosiddetto "Foehn li­bero", che si formano oltre i 5000 metri d'altezza e raggiungono spesso gli estremi limiti della troposfera, sono denominate "nubi d'onda". Quando le lenticolari o le nubi' d'onda si sovrappongono, danno luogo alle cosiddette "formazioni duplicate".

Una delle prime interpretazioni date dai volovelisti alle nubi for­mate dalle onde atmosferiche, parte dal presupposto che, durante un movimento ondulatorio le masse d'aria partecipanti alle oscillazioni si raffreddino e si riscaldino adiabaticamente e che, quando posseg-

Fig. 117

gono sufficiente umidità diano luogo sulla cuspide di ogni onda alla formazione di una nube lenticolare. Tali nubi si generano costante­mente sul bordo di sopravvento e si dissolvono in quello di sottoven­to: si tratta quindi di nubi essenzialmente dinamiche. Tuttavia è noto che nubi lenticolari possono formarsi anche in strati non direttamen­te perturbati, e che spesso sono il risultato della deformazione o del sollevamento di cappe atmosferiche tranquille e ricche di umidità.

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Nelle regioni poste sottovento ai pendìi montani si formano spesso, anche con venti deboli, nubi lenticolari locali, dovute appunto al sol­levamento di cappe atmosferiche stratificate, ricche di umidità. Le cuspidi delle onde si rendono così visibili per la formazione di altret­tante lenticolari, i cui contorni sono più nitidi e l'aspetto più simile alla lente, se lo strato sollevato dalle cuspidi del movimento ondula­torio, è superiormente limitato da un'inversione termica. Chi scrive ebbe spesso modo di osservare e studiare la formazione di tali nubi nelle valli di Calamuchita e di La Cruz, sottovento alle Sierre cordo­vane, in Argentina. (Fig. 118).

Fig. 118

Per ciò che interessa il volo a vela è utile notare che queste nubi lenticolari sono quasi sempre associate a movimenti ondulatori loca­li, os~ia ad onde isolate, che si formano in seno a correnti basse, per­turbate dagli innumerevoli ostacoli orografici che la superficie terre­stre presenta. La loro formazione, quindi, non ha luogo solamente con vento di Foehn, ma anche con venti locali, cioè di 15-20 km/h. Sovente queste nubi appaiono anche sottovento ai picchi isolati. La lunghezza d'onda dei movimenti ai quali sono associate varia dai 2 ai 1 O km e nella loro parte ascendente non si trovano velocità verticali superiori ai due metri per secondo.

Le nubi d'onda associate ai grandi movimenti ondulatori caratteri­stici del tempo di Foehn, si formano invece negli alti strati della tro-

218

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posfera, dove le correnti aeree superano spesso i 100 km/h e possono produrre lunghezze d'onda dell'ordine di 40-45 km. Nella parte ascendente di questi movimenti sono state registrate velocità verticali di oltre 10 metri per secondo. Essi presentano grande interesse per il volo a vela per il fatto che si propagano su vastissime zone e a grandi altezze, tanto da raggiungere spesso la stratosfera.

Le nubi d'onda che spesso caratterizzano questi movimenti ondu~ latori, sono costituite da estesi banchi, densi al centro, quasi traspa­renti ai bordi, dove presentano talvolta ondulazioni dovute alla so­vrapposizione di un altro movimento ondulatorio. Per l'aspetto sono simili a certe nubi temporalesche, da cui tuttavia differiscono per il bordo brillante che presentano dalla parte di sopravvento. (Fig. 119). Questo, talvolta appare non ben definito, ma frastagliato in cunei nettamente delimitati. Ora, è proprio sotto questi cunei che il volove­lista trova le più vigorose ascendenze.

Tra le nubi d'onda va annoverata in Italia la "Contessa del vento", caratteristica formazione nuvolosa di proporzioni grandio­se, che si forma sottovento all'Etna, nella Valle del Bove, e che pre-

Fig. 119

219

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senta spesso ben distinte quattro formazioni lenticolari sovrapposte. Vanno pure annoverate tra le nubi d'onda quella ben conosciuta in Germania col nome di "Moazagotl" e molte altre che si formano sul­le grandi catene montuose, quali le Alpi, le Ande, la Sierra Nevada californiana e altre ancora.

Negli strati sottostanti alla corrente ondulatoria il cui flusso è per­fettamente laminare si riscontra sempre una turbolenza fortissima, talora anzi violenta .. Infatti in corrispondenza con la cuspide della prima onda (e spesso anche della seconda e delle seguenti) si formano vortici d'aria ad asse orizzontale, i quali, quando ha luogo la conden­sazione, sono resi visibili nella loro parte superiore da file di fracto­cumuli dall'aspetto molto turbolento. Questi rulli cumuliformi costi­tuiscono così la parte superiore di un rotore, che normalmente arriva ad un'altezza uguale a quella della catena montana che provoca il movimento ondulatorio (Fig. 120).

Le correnti ascendenti e discendenti che compongono questi rotori sono assai turbolente ed assumono particolare violenza quando gli strati superficiali sono instabili ed il vento aumenta rapidamente

Fig. 120

220

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d'intensità con l'altezza .. In questo ultimo caso possono anche for­marsi dei rotori secondari, aventi un senso di rotazione inverso a quello dei rotori principali (Fig. 121).

Sfruttando la parte ascendente del rotore (che si trova sempre ver­so la montagna) si riesce a raggiungere la quota influenzata dal movi­mento ondulatorio, il quale orienta la parte superiore delle nubi­rotori in direzione alla pianura, conferendo loro l'aspetto di rotoli (Fig. 122).

Accade spesso che le onde stazionarie d'ostacolo siano rafforzate da fenomeni che si usa definire di risonanza (prendendo il concetto e la parola dall'acustica), dovuta alla presenza di altre catene montuo­se sottovento, quando abbiano andamento parallelo a quello della catena principale. Tuttavia, queste catene secondarie conferiscono nuovi impulsi al moto ondulatorio, prodottosi per l'urto contro la catena principale, solo quando la lunghezza d'onda sia eguale alla di-

ROTORI DI NOTEVOLI DIMENSIONI CON ROTORI SECONDARI dovuti a fori• instabillt~ negli strati inferiori ed· al rapido aumento del vento con la quota

Fig. 121

221

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stanza esistente tra una catena e l'altra, vale a dire quando la distanza che separa le linee di cresta delle montagne, è un multiplo della lun­ghezza d'onda generata dalla prima catena. Quando questa non si abbia, il rimbalzo della corrente aerea sulle catene montuose secon­darie, anzi che provocare una amplificazione del sistema ondulatorio già in atto interferisce sfavorevolmente su di esso, determinando l'in­debolimento o addirittura l'annullamento delle onde. (Fig. 123) .

. ~~,.. ~, NUBE ROTORE •. \

ISOLATf. q:~ .,.1 1ROTORE

.L:\-: J ~·,,,,,,

Fig. 122

La figura 124 mostra come una sopraelevazione raccordata con un altipiano, sia sufficiente per dare origine ad un movimento ondulato­rio quando sia investita da una corrente orizzontale. Dalle esperienze di volo condotte da vari piloti risulta però particolarmente vigorosa soltanto la prima onda. p Lyra ha calcolato teoricamente, per un ca­so similare, la grandezza della perturbazione ondulatoria derivante da un flusso inizialmente omogeneo. La figura 124 rappresenta l'an­damento delle linee di corrente e mostra, appunto secondo il Lyra, come un movimento ondulatorio generato da una sopraelevazione del suolo, raccordata con un altipiano, acquisti particolae valore so­prattutto la prima onda. Aggiungiamo che, quando la zona di sotto­vento di una catena montuosa è livellata da una massa d'aria fredda

222

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il fenomeno ondulatorio acquista caratteristiche simili a quelle di una sopraelevazione raccordata con un altipiano. Nel caso poi che dai due lati di una catena montuosa esistano masse d'aria fredda sta­gnanti,. o masse scorrenti parallelamente alla catena stessa, i fenome­ni ondulatori prodotti da una eventuale corrente aerea superiore che investa normalmente la cima delle montagne, vengono notevolmente attenuati, giacché è come se diminuisse l'altezza dell'ostacolo.

Anche il brusco aumento d'attrito che una corrente aerea subisce passando da una superficie liscia e piana, quale potrebbe essere il ma­re, ad una superficie piena d'ostacoli quale potrebbe essere una città costiera, può dar luogo alla formazione di un moto ondoso atmosfe-

Fig. 123

223

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rico. Gli ostacoli terrestri investiti dal vento, frenano, infatti, la cor­rente, conferendole gli impulsi necessari per la formazione delle on­dulazioni.

Anche in questo caso, però il fenomeno ondulatorio dopo la prima onda, va rapidamente smorzandosi.

Citeremo infine il caso di una corrente aerea che sorpassi un avval­lamento del terreno; e diremo che, anche in queste condizioni si pos­sono formare movimenti ondulatori abbastanza efficaci, a condizio­ne però che l'avvallamento sia ampio e profondo. È facile capire che quando una valle è livellata da.una massa d'aria fredda, come succe­de spesso durante la stagione invernale o durante le ore notturne, le correnti aeree che la sorpassano non subiscono nessuna perturbazio­ne ondulatoria.

Fig. 124

Se volessimo esporre con sufficiente ampiezza e con precisione scientifica tutti i fenomeni associati ai movimenti ondulatori, troppo ampio spazio dovremmo ancora dedicare all'argomento. Cerchere­mo pertanto di riassumere in breve i principi che governano la forma­zione delle onde d'ostacolo cosi come hanno potuto essere formulate dai meteorologi sulla scorta delle esperienze condotte fin qui. Com'è ovvio, in questa sintetica rassegna richiameremo anche le considera­zioni svolte finora.

1) Una massa d'aria che investe un ostacolo con sufficiente veloci-

224

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LU,NGHEZZA D'ONDA NATURALE: DIPENDE DALLA VELOCITA' OCL VENTO.

RELAZIONE LINEARE FRA À C VCLOCITA' OEL VENTO:

Km 30~-~~~~~~~~~~~~~_,_""""~-

20 25 30 35 40 45 m/s O-'-~...__~.....___........,._._.......,........._.......,._._.......,...__....__~

20 40 60 80 100 120 140 160 Km/h

LUNGHEZZA D'ONDA ACQUISITA: 10K~

DIPENDE DALLE DIHENSIDNI DELL'OSTA­COLO C RISULTA PARI ALLA SCHILAR­GHCZZA DI QUESTO.

........ , ............. 4-..... :;:=+· .. .

O 1h 210 Km

QUANDO LA LUNGHEZZA NATURAL[ E QUELLA ACQUISITA SONO IN RI­SONANZA, ALLORA SI HA LA PIU' CFFICACC CORRENTE ONDULATORIA

~ SO Km/h 10Km -: : .::::-;;,_ .. ::.f.-~,--:.~F.~ -.............. · ......... . 10 O 10 20 Km

RISONANZA

/'LUSSO. ______ ......... ,,, ...... ,,, !~!~/E,. 13 Km

-"'!::: ..... -:-.. ..ea ... " .. ri ... ..... • .. >w., f "·'li;- ....... i i i

10 O 10 20 Km

INTCRFCRENZA

tà assume senza apporto di energia esterna un movimento ondulato­rio nella zona sottovento all'ostacolo stesso.

2) Le condizioni migliori si hanno quando il vento soffia perpendi­colarmente alla catena montana, con una forza rion inferiore a 40 km/h sulla linea di cresta (30 km/h nell'atmosfera libera). Tuttavia, il movimento ondulatorio si può formare anche quando il vento inve­ste diagonalmente la montagna, purché la rotazione rispetto alla per­pendicolare, non superi i 45°.

3) Il vento in quota deve rimanere costante o, meglio ancora, au­mentare gradatamente d'intensità con l'altezza.

4) I caratteri delle ondulazioni sono determinati anche dalla lar­ghezza, dalla forma e dall'altezza dell'ostacolo. Gli ostacoli ripidi, aumentano le grandezze delle deviazioni e conseguentemento,..U.,walo­re dei primi angoli di proiezione e di caduta. (Fig. 125).

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5) Nel processo di formazione dei movimenti ondulatori di ostaco­lo, le condizioni di equilibrio regnanti nei bassi strati non sono deter­minanti .. Infatti, esse possono essere indifferentemente, "stabili" o "instabili", sino all'altezza della catena montana. Quello che mag­giormente importa è che, al di sopra di tale altezza, esistano stratifi­cazioni termicamente stabili.

6) Dopo il tramonto del sole, in seguito alla formazione dell'inver­sione negli strati superficiali, la turbolenza nei rotori si affievolisce, il flusso ondulatorio laminare si abbassa ed assume una più chiara or­ganizzazione.

7) L'esistenza di inversioni di temperatura sopra il livello delle montagne non è indispensabile per la formazione delle onde. Nelle inversioni termiche, però grazie alla forte stabilità ivi regnante, i mo­vimenti ondulatori acquistano maggior ampiezza e si propagano più facilmente negli strati superiori, soprattutto quando il vento aumenta o rimane costante con la quota.

8) Uno strato instabile in quota può arrestare un movimento ondu­latorio. Al disopra di questo strato limite può formarsi tuttavia un nuovo treno d'onde, il quale però generalmente, è irragiungibile da­gli alianti.

9) .n grado di stabilità termica della massa d'aria, influisce sulla lunghezza d'onda e sulla ampiezza verticale.

Quando la stabilità aumenta, la lunghezza d'onda decresce e l'am­piezza aumenta.

10) La lunghezza d'onda è direttamente proporzionale alla velocità del vento, mentre l'ampiezza verticale è proporzionale alla stabilità termica dell'aria.

11) La prima onda è leggermente più corta delle altre, ma la sua ampiezza verticale è maggiore.

12) Un movimento ondulatorio si dice stazionario quando il profi­lo sinusoidale che costituisce le onde, rispetto alla catena montuosa, rimane fisso nello stesso posto.

13) n tempo che una particella d'aria impiega a compiere una oscil­lazione verticale completa, si chiama "periodo", e mentre una pàrti­cella compie un periodo, ossia una traiettoria completa, la particella stessa avanza esattamente di una lunghezza d'onda.

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14) Nelle onde d'ostacolo il periodo di oscillazione è dato dalla se­guente formula:

T P=211'

g (t' - t)

Dove P indica il valore del periodo in minuti secondi, T quello della temperatura assoluta (°C + 273), g quello dell'accelerazione della gravità, t' quello del gradiente adiabatico secco, t quello del gradien­te termico reale e 2 li il classico rapporto tra il diametro e la circonfe­renza, ossia 3,14.

15) Conoscendo il periodo è possibile determinare la lunghezza d'onda (L), la quale è data dal prodotto del valore della velocità oriz­zontale del vento (Vv), ed il valore del periodo stesso (P), e cioè:

ossia:

L = 2'1l'VJ ~ v;;.=o .II calcolo della lunghezza d'onda è molto difficile, soprattutto in

conseguenza della diminuzione di densità che l'aria subisce con l'al­tezza. La formula che abbiamo indicato ha quindi un valore pura­mente indicativo. Ad ogno modo riteniamo utile riportare un esem­pio pratico per la sua applicazione. (Fig. 126).

16) Quando il vento è forte, nelle vicinanze delle vette montane, dove specialmente durante la stagione estiva, l'aria è selettivamente instabile, possono generarsi treni d'onde di notevole ampiezza .. In tal caso però i campi ascendenti sono stretti e turbolenti, tanto che gli alianti riescono ad utilizzarli con difficoltà.

17) Per quanto riguarda i fenomeni che si riscontrano negli strati superficiali del flusso subondulatorio, sottovento ai pendìi montani, è molto importante rilevare che l'aria, fOhnizzata, superando la linea

227

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di cresta, non si stacca dal pendio sottovento, ma rasente al pendio stesso, scende a valle, impedendo la formazione di quei vortici ad as­se orizzontale cui abbiamo accennato esaminando i fenomeni asso­ciati alle correnti dinamiche di pendio.

Tale comportamento del vento di caduta, è dovuto al fatto che es­so è costituito da un moto di gravitazione oltre che di accelerazione, per la differenza di pressione esistente fra i due versanti montani.

Tuttavia, pur non potendosi avere, nelle immediate vicinanze del pendio sottovento, la formazione dei sopraccennati vortici ad asse orizzontale, gli strati che costituiscono il flusso subondulatorio sono ugualmente sede di fortissima turbolenza, per la formazione dei roto­ri. (Fig. 127).

228

P= 2 1r Vgc:.-1> L=V., P

L= 2..,,. v., V g(t~-t) Periodo

T = 273° K e temperatura media dello 5trato)

g = 10 m/sec~ (accelerazione della gravità)

t'=0,01°C (gradiente adiabatico secco p•r ogni metro)

t = 0,007° e (gradiente reale della lemp. per ogni. metro)

\.{, = 20 m/sec.(velocit• del vento)

p = 2 3,14 V 10 co,~~~0.007) P = c;,2e V9100

P = 6,28 95,4 = 600 sec:

L = 600 20=12000m =12 Km

Fig. 126

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Quando tali rotori· sono particolarmente potenti, si possono ri­scontrare al suolo, a monte dell'asse di rotore, venti molto violenti. Nella valle reatina, ad esempio, in situazione di tramontana, sono stati registrati 100 nodi in superficie, con raffiche di 120-130 nodi, quando la velocità del vento sopra la linea di cresta del Terminillo, a monte del massiccio montano, era soltanto di 50-60 nodi (Fig. 128).

1

5 10 15 20 25 Km

Fig. 127

Chi scrive, ricòrda d'aver riscontrato a Rieti, nella notte del 31 di­cembre 1974, una di queste violente situazioni di tramontana da NE; il vento giunse allora al suolo con colpi di Foehn di oltre 120 nodi, sradicando alberi e recando gravi danni alle aviorimesse. (Fig. 129).

Avremo occasione, nelle pagine che seguiranno, di chiarire .la por­tata pratica di questi principi in rapporto alle situazioni d'onda che studieremo più avanti. Inoltre, le co~siderazioni pratiche che verre-

229

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mo svolgendo non si limiteranno solamente all'interpretazione di fat­ti e dati meteorologici, ma si estenderanno anche al campo del pilo­taggio.

Il pilota di aliante e quello dell'apparecchio rimorchiatore, che si accingono a levarsi in volo per raggiungere la quota e la zona dove si presume l'esistenza di un movimento ondulatorio, saranno assai av­vantaggiati se potranno conoscere le condizioni del vento in quota e se potranno stimare, badando alla dislocazione delle nubi lenticolari che siano presenti nel cielo, la lunghezza delle onde. Questi dati rie­scono molto utili per poter condurre l'aliante a sganciarsi dal rimor­chiatore nella parte ascendente dell'onda. Se esistono nubi-rotori, la

~20 l\m----~

Fig. 128

cui parte ascendent.e si trova sempre verso la montagna, è possibile sfruttare subito quella parte ascendente e raggiungere con essa la cor­rente a rimorchio: cosa tutt'altro che piacevole a causa della forte turbolenza. Bis~na poi anche adeguare i mezzi al tipo di volo che s'intende ef­

fettuare. Se si tratta di un volo di carattere sportivo, che intenda sfruttare onde locali, l'aliante può essere trainato da qualsiasi appa­recchio rimorchiatore. Ma se invece, si presenta una situazione d'on­da che richieda un volo rimorchiato oltre tremila metri, e si abbia per giunta vento forte è consigliabile l'uso di un apparecchio particolar­mente indicato per il traino aereo in atmosfera turbolenta, che di-

230

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sponga cioè di una potenza tale da permettergli di vincere le forti cor­renti discendenti .. In questo caso è necessario anche valersi per il ri­morchio di un cavo che, in vista della grande turbolenza regnante ne­gli strati sottostanti al movimento ondulatorio, possegga buone doti di elasticità. Si dovrà pertanto scartare senza esitazione ogni cavo di acciaio e preferire funi di canapa o, meglio ancora, di nylon. La lun­ghezza del cavo non dovrà superare gli 80 metri.

Fig. 129

Si sa che nei movimenti ondulatori stazionari l'ascendenza più effi­cace si trova nella parte sopravvento dell'onda, non nella cuspide, dove le linee di corrente raggiungono l'altezza massima e dove la componente verticale è. nulla. Non si deve quindi cercare l'ascenden­za sotto la nube lenticolare o sotto la nube d'onda, ma davanti ad es­se, nella parte sopravvento, ove esse mostrano quel bordo brillante che guarda la montagna.

La tecnica del volo d'onda non è la stessa in tutti i casi, dovendosi avere molto riguardo alla velocità di planata dell'aliante nel suo an­golo ottimo di discesa.

Consideriamo innanzi tutto il caso di onde secondarie o locali, le quali sono, generalmente, prodotte da venti piuttosto deboli. Ebbene, una

231

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volta che sia stata individuata­l'ubicazione della parte ascendente dell'onda l'aliante deve volare contro vento, planando con una velocità orizzontale leggermente inferiore a quella del vento stesso. Per tal modo, l'aliante passa da una linea di corrente all'altra, sa­lendo quasi verticalmente e, nel tempo stesso retrocedendo lenta­mente rispetto al suolo (Fig. 130). Nel caso che, per debolezza del

llOll'm/h

Fig. 131

232

/ /

/ /

~

Fig. 130

vento, tale regresso non si produca, converrà eseguire qual­che spirale, in modo che l'a­liante venga trascinato dalla cor­rente aerea. Nei movimenti ondulatori molto deboli, risul­tando la velocità dell'aliante molto maggiore di quella del vento, converrà volare di conti­nuo trasversalmente all'onda, come se si trattasse di veleggiare su correnti dinamiche di pendio. Infi­ne tornando alla norma data più sopra di volare contro vento dobbiamo aggiungere che, quan­do l'ascendenza cessa, conviene "picchiare" per far guadagnare velocità all'aliante ed evitare così di essere trascinati nella parte di­scendente dell'onda. Con tale av­vertenza anche se in principio si perde quota, si conserva non solo la possibilità dì recuperarla, ma anche quella di penetrare in filetti

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d'aria superiore. La figura 131 illustra .chiaramente tutti questi casi, per cui non riteniamo necessarie ultèriori spiegazioni.

La ~ecnica che il pilota deve adottare, invece quando vola sulle grandi onde di Foehn, ove è comune il caso di velocità ascensionali di S m/sec. e di velocità di vento di 80-100 km/h, è differente.

Anzitutto si deve tener presente che, di mano in mano che si sale in quota in un movimento ondulatorio efficace e persistente, le cuspidi delle linee di corrente dell'onda si spostano sempre più verso la cima della montagna, come già constatarono vari piloti e dimostrò teorica­mente Queney (Fig. ·132). Orbene, siccome nelle onde di Foehn l'ascendenza è forte, il pilota può aumentare la velocità di planata di mano in mano che guadagna quota.

Così l'aliante non retrocederà, come avviene nel caso illustrato più addietro ma avanzerà a poco a poco avvicinandosi gradatamente alla montagna e mantenendosi sempre nella parte ascendente dell'onda. È ovvio che, quando la velocità del vento fosse molto forte e quella di planata dell'aliante non potesse superarla, dopo un certo tempo il pi­lota finirebbe irrimediabilmente nella parte discendente dell'onda. Converrà allora metters.i col vento in coda e cercar di raggiungere la

Fig. 132

233

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parte ascendente dell'onda successiva, dove si riprenderà il volo con­tro vento.

Durante la salita nell'onda, volando contro vento il pilota prova spesso la sensazione di un ritmico dondolamento, che, essendo il re­gime della corrente ondulatoria perfettamente laminare, si svolge senza scosse né salti. Volando col vento in coda l'aliante passa dolce­mente dalla salita alla discesa, e vieeversa, senza la minima turbolen­za. In seno all'onda, le variazioni di velocità orizzontale del vento so­no abbastanza grandi: le massime velocità ascendenti coincidono con la massima velocità orizzontale della corrente.

Ci sia permesso di insistere sull'importanza grande che ha per il pi­lota il conoscere, prima di partire per un volo d'onda, la velocità del vento negli strati dove regna il movimento ondulatorio, soprattutto nel caso che il volo miri° al conseguimento di un primato o, almeno di risultati non comuni. Un calcolo affrettato eseguito durante il volo può condurre a facili errori, e tali errori si pagano cari in questi casi, poiché possono portare a perdere il campo dell'ascendenza, e anche a perdere un tempo notevole: due perdite dunque che possono compro­mettere la riuscita del volo o, per lo meno, ridurre grandemente le possibilità di un buon successo.

Non bisogna dimenticare, infatti, che, in tutte le parti del mondo le situazioni d'onda aventi grande interesse per il volo a vela si produ­cono, di regola durante i mesi più freddi dell'anno, e non più di quattro o cinque volte durante tale periodo. E durante la stagione fredda, lo si sa, le giornate sono corte, ed i minuti perciò divengono preziosi...

Pertanto, quando si producono quelle tali situazioni, vale davvero la pena di effettuare il sondaggio aerologico del vento in quota col mezzo più sicuro, e cioè con un pallone pilota seguito simultanea­mente da due teodoliti, collocati ai due estremi di una base misurata.

L'uso di un solo teodolite è da escludere, perché il presupposto di una velocità ascensionale costante non si avvera. L'esistenza di forti componenti verticali nei movimenti rende incerti, e perciò inaccetta­bili i valori che risultano da tale inadeguato procedimento.

Per quanto riguarda le condizioni termodinamiche favorevoli alla formazione di onde stazionarie di sottovento, rammentiamo ai volo­velisti le due situazioni calcolate dall'inglese R.S. Scorer dell'lmpe-

234

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rial College di Londra, utilizzando i profili caratteristici del vento e della temperatura riportati nelle figg. 133 e 134. Tali situazioni, mo­stratesi molto aderenti alla realtà sono state osservate ripetutamente anche dallo scrivente durante la stagione invernale sulla Cordigliera delle Ande e sulla Sierra Cordovana, in Argentina. È superfluo av­vertire che i valori delle distanze registrate nei due diagrammi sono fittizi, e perciò vanno presi con il consueto ... grano di sale e conside­rati semplicemente come esemplificazioni utili per un orientamento di massima.

Fig. 133

Orbene, nella prima di ·tali situazioni tipiche (Fig. 133) si osserva vicino al suolo uno strato d'aria molto stabile e vento costante di IO m/sec. Tra i 1000 e i 2500 metri di quota si nota un'ampia inversione di Foehn, dove il vento aumenta di velocità con l'altezza. Negli strati superiori la temperatura diminuisce di 6,7°C ogni 100 metri, mentre la velocità del vento rimane costante. Sussistendo queste condizioni termodinamiche, si formano, negli strati più bassi dell'atmosfera, vi­vaci movimenti ondulatori associati a banchi di stratocumuli ubicati sotto l'inversione termica. _In quota troviamo deboli onde di sotto-

235

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vento mentre sopravvento si hanno intensi movimenti ondulatori all'altezza di 5000 metri.

La seconda tipica situazione è illustrata nella figura 134. In essa si nota che la temperatura diminuisce continuamente (sebbene non in misura uniforme) con l'altezza, mentre la velocità del vento va au­mentando. Negli strati vicini al suolo, si ha un gradiente termico adiabatico dovuto all'irradiazione terrestre. Da 500 a 2500 metri d'altezza l'atmosfera è in equilibrio stabile con un gradiente termico di 0,25°C per 100 metri. A quote superiori il gradiente va aumentan-

Fig. 134

do con l'altezza. Anche la velocità del vento è in continuo aumento, tanto che, a 5000 metri si registrano 90 km/h. Quando si determina questo tipo di situazione si hanno favorevolissimi movimenti ondula­tori nella regione sottovento della catena montana, dove, se esiste sufficiente umidità atmosferica negli strati che entrano in oscillazio­ne, le onde si rendono visibili per la formazione di banchi nuvolosi dal caratteristico aspetto lenticolare.

A questo punto è interessante rilevare come i movimenti ondulato­ri d'urto possano essere prodotti non solo da ostacoli solidi, quali so-

236

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no le catene montuose, ma anche da ostacoli fluidi, quali possono es­sere, ad esempio, i cunei d'aria fredda che costituiscono i fronti.

Il Defant, nell'intento di stabilire se le perturbazioni prodotte negli strati inferiori della troposfera dall'azione dei fronti freddi, provo­cassero variazioni del livello della tropopausa, arrivò alla conclusio­ne che qualsiasi perturbazione nella bassa troposfera determinata sia dalla modificazione del piano qrizzontale del campo della velocità, sia dall'irruzione di masse d'aria K,.

fredda sopra la corrente generale ' dell'ovest, cagiona delle varia- , zioni ondulatorie nell'altezza della tropopausa.

2

~n base a questa constatazione, 0

fatta dal Defant dal solo punto di vista meteorologico, il prof. Geor-gii Walter formulò l'ipotesi che le

tO o tO K•

Fig. 135

medesime onde che appaiono nel Foehn sopra le montagne si. posso-- no formare anche davanti ai fronti freddi; e l'attento esame di nume­

rosi barogrammi ottenuti durante voli frontali gli confermarono in­. fatti èhe quella ipotesi rispondeva alla realtà.

La massa d'aria fredda del fronte, come vedremo nei prossimi ca­pitoli, si comporta come un ostacolo montagnoso rispetto alla massa d'aria calda che si trova sopra la superficie frontale; massa d'aria che, data la maggior altezza, si muove a maggior velocità del fronte freddo in superficie, discendendo lungo la parte superiore del fronte (come fanno le masse d'aria sottovento alle montagne) e provocando movimenti ondulatori ad una certa distanza dal fronte stesso (Fig. 135).

Queste onde sono stazionarie rispetto alla superficie frontale, men­tre per un osservatore situato in un punto fisso della superficie terre­stre, le onde si spostano nella stessa direzione del fronte avanzante, e sono rese visibili dalla presenza di caratteristiche nubi lenticolari.

Per completare l'argomento di questo capitolo, ci resta ora da dire di quei movimenti ondulatori associati alla.cosidetta "corrente a get­to", scoperti nel 1951 dal Dott. Kuettner, nel corso di una serie di in­vestigazioni condotte nel famoso centro californiano di volo in onda

237

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di Bishop. La comparazione dei microbarogrammi ottenuti in vari osservatori, con le carte sinottiche dell'atmosfera superiore, rivelò che le fluttuazioni che la pressione atmosferica registrava, rispetto al suo valo­re medio, erano spesso associate a situazioni di corrente a getto nell'alta troposfera.

In Italia, durante la stagione fredda si presentano situazioni di cor­rente a getto di grande interesse volovelistico, infatti, contempora­neamente allo sviluppo di questo fenomeno negli alti strati dell'atmo­sfera, si producono nelle cappe inferiori, intensi movimenti ondula­tori di sottovento. Le possibilità offerte al volo a vela da questi due fenomeni, in apparenza indipendenti ma in realtà strettamente colle­gati tra loro, sono senza dubbio notevoli, e nuovi e vasti orizzonti aprono ai piloti italiani.

Crediamo pertanto di non errare affermando che proprio a tali movimenti ondulatori è riservato di sollevare in un domani non lon­tano un'ala silenziosa ed un cuore audace a quelle quote stratosferi­che che, per i volovelisti italiani, costituivano fino a ieri un sogno a cui pareva dovesse negarsi perpetuamente la realtà.

Nota: La struttura e la dinamica della corrente a getto non sono ancora compiutamente

esplorate. La scoperta di essa infatti risale solamente al 1948 ed è dovuta al Rossby. Fu in tale occasione che i meteorologi dell'Università di Chicago coniarono la denomina­zione di "jet stream". Il concetto di corrente a getto nacque dal fatto di comune espe­rienza che un fluido, passando attraverso un condotto, che ad un certo punto presenti una strozzatura raccordata, subisce un aumento di velocità. La corrente a getto può essere definita come una banda di vento, relativamente stretta ma molto lunga, inseri­ta nella circolazione generale dell'Ovest. La sua larghezza varia tra i 200 e i 400 Km; la sua lunghezza può raggiungere i 1500-2000 Km; lo spessore verticale sta tra i 5000 e i 7000 metri. L'asse del getto si trova generaimente tra i 9000 e i 10000 metri, cioè non oltre la tropopausa; le velocità massime del vento oscillano tra i 200 e i 400 Km/h.

238

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CAPITOLO DICIASSETTESIMO

LE SITUAZIONI ONDULATORIE SULL'ITALIA CENTRALE CON VENTI DI TRAMONTANA

L'irruzione dal primo quadrante di aria fredda negli strati inferiori sottovento alle catene montane dell'Appennino Centrale e la presen­za in alta quota di una corrente a getto, sono le condizioni più favo­revoli alla formazione di potenti movimenti ondulatori stazionari nella zona del Lazio.

Infatti in queste tipiche situazioni di tramontana accompagnate da un getto in quota, i venti si mantengono praticamente perpendicolari alla linea di Cresta delle montagne, sino agli estremi limiti della tropo­sfera e, per tale fatto, le onde non solo riescono ad interessare gli alti strati dell'atmosfera, ma anche ad assumere notevole ampiezza e po­tenza.

Per quanto riguarda l'orografia, va rilevato che l'orientamento da NW e SE delle catene montane dell'Appennino Centrale e la loro di­sposizione su più file, separate da valli lunghe e profonde, favorisco­no la formazione di tali movimenti ondulatori, i quali per i fenomeni di risonanza che si riscontrano in varie zone della regione laziale, ri­sultano talvolta notevolmente potenziati ed ampliati.

Circa le caratteristiche delle masse d'aria che compongono questi venti di tramontana da NE, diremo che, generalmente, si tratta di masse d'origine continentale, quasi sempre secche, convogliate sull'Italia Centrale da un Anticiclone che interessa tutta l'Europa. _In tal caso i fenomeni ondulatori sulle regioni laziali non sono accompa­gnati da quelle manifestazioni nuvolose che, sia negli strati inferiori che in quota caratterizzano normalmente le situazioni d'onda.

Quando invece il citato Anticiclone è strettamente associato ad una depressione, con minimo sui Balcani, e le masse d'aria sono convo­gliate sull'Halia Centrale dalla circolazione ciclonica di tale depres­sione, l'aria è quasi sempre di origine marittima e quindi sufficiente­mente umida per dar luogo a fenomeni di Stau e nubi-rotori negli

239

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gli strati inferiori, e di banchi lenticolari in quelli superiori. Talora, nelle regioni montagnose dell'Italia Centrale il cielo è co­

perto da banchi di stratocumuli, con caratteristiche aperture di fohn, a volte disposte su più file successive.

Queste formazioni nuvolose, che coprono il cielo per 5-6/8 e sono normalmente limitate a quote inferiori ai 3.000 metri, comprendono anche isolate formazioni di cumuli-rotori, molto utili per la localizza­zione e l'agganciamento dell'onda da parte dei volovelisti.

Fig. 136

La tipica situazione ondulatoria dei giorni 26, 27 e 28 gennaio 1959, che illustreremo nel corso di questo capitolo, ha presentato nei primi due giorni di tramontana, una buona umidità, sia negli strati inferiori che in quelli superiori.

.Infatti, in quota, le onde provocavano banchi di altocumuli e cirrostrati-lenticolari (Fig. 136); mentre sulle vette delle montagne, apparivano imponenti "muri di fohn" (Fig. 137), e sottovento alle stesse, numerosi cumuli-rotori (Fig. 138).·

240

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Questa nuvolosità era dovuta al fatto dianzi citato che le masse d'aria interessanti in quei giorni l'Italia Centrale, erano associate al­la circolazione ciclonica di una depressione in movimento verso il Mediterraneo Orientale (Fig. 139). Tale depressione cpnvogliava ver­so l'Italia centrale aria di origine marittima abbastanza umida anche in quota. Sull'_Italia Settentrionale, invece, la nuvolosi~à era minore trovandosi le regioni del Nord ai margini della depressione e comin­ciando qui l'afflusso di aria secca di origine continentale convogliata sull'Italia dal potente anticiclone centrato sull'Europa Nord­Occidentale.

Fig. 137

L'irruzione dell'aria fredda negli strati inferiori sottovento alle ca­tene dell'Appennino Centrale, avvenne nella prima mattinata del giorno 25 gennaio. Un fronte freddo avanzante da NE, portò infatti nella regione laziale, notevole nuvolosità e pioggie estese con nevicate sulle vette più alte (Fig. 139).

Il vento, negli strati inferiori, spirava dal primo quadrante, (60°-

241

Page 235: Metereologia Per i Piloti Di Volo a Vela_BN Plinio Rovesti

Fig. 138

90°), con intensità di 10-15 kts, ruotando però rapida­mente, attorno ai 2000 metri, verso NW.

Alcuni piloti del Centro Nazionale di Volo Vela di Rieti effettuarono, fin dalle prime ore pomeridiane del 25 gennaio alcuni tentativi di vo­lo in onda in vari punti della valle reatina, senza però riu­scire a superare la quota di 2.000 metri. La rapida rota­zione verso NW dei venti in quota, non permetteva l'estendersi delle onde agli strati superiori. ~nfatti, i venti pur rimanendo a basse quote

perpendicolari alle catene montane, passavano ad una direzione qua­si parallela a quote elevate. Alle ore 00.00 del 26 gennaio, le condizio­ni erano ancora sfavorevoli come è illustrato nella figura 140 che ri­porta l'andamento dei venti e delle temperature in quota se­condo i radiosondaggi di Bel­grado e di Roma-Ciampino.

Nelle ore successive, però la situazione andava evolvendo­si in senso favorevole, tanto che alle 13 dello stesso giorno i venti in quota erano già ruo­tati a Nord come si può de­durre dalla figura 141 che ri­porta la topo_grafia assoluta e le isoterme relative alla super­ficie isobarica di 500 mb (m. 5.500).

242

.,,~ztONc CCNCRAL( ALLC ORr 7.00 on 25·•·111511

Fig. 139

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Di passaggio ricordiamo che la denominazione di "topografia" deriva dalla consuetudine di rappresentare le variazioni in altezza della superficie isobarica mediante "isoipse", allo stesso modo che nelle carte geografiche i rilievi terrestri vengono rappresentati da cur­ve di livello. Le altezze sono indicate in decine di metri; la equidistan­za è di 60 metri.

V•11ti e temperature in quota alle ore DO.DO del 26-1-1959

Km ~ --------

11

1

VEN CIAMPINO

Direz. Nodi

320!. 45 - - - - - - - --

330° -55 ---- ----

-340° -50

.}.}Q'!:--40

--'°~- -40 -----

- ---- ---~-80°- --5

-30° -10° no 10° Temperatura

Fig. 140

TO BHGRADO Direz. Nodi

310q -35

300° -40

340°-'-35

330'!. -40

340°- -30

Le isoterme sulla superficie isobarica sono indicate da linee tratteg­giate e tracciate di 4 in 4 gradi centigradi. L'andamento delle isoipse indica, approssimativamente, la direzione dei venti; i quali sono pa­ralleli alle isoipse stesse e fluiscono in senso orario nelle zone di alta pressione ed in senso antiorar\o in quelle di bassa pressio-

24;·

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ne. Com'è noto, i venti sono tanto più intensi quanto maggiore è l'addensamento delle isoipse. Dall'esame della figura 142 che illustra la situazione generale in superficie alle ore 7 ,00 del 26 gennaio, si no­ta come il fronte freddo, che nella mattinata del giorno precedente aveva attraversato l'~talia da NE a SW, si trovi ora nel bacino del Mediterraneo. Orbene alla linea di sviluppo di questa perturbazione

TOPOGRAr/A ASSOLUTA CD ISOTCRHC RCLATIVC ALLA SUPER· rlC/C ISOBARICA DI 500 mb; ORE 13,00 DCL 26-1-1959

Fig. 141

frontale è associata in quota una intensa corrente a getto. _Infatti, dall'esame delle isoterme della figura 141 è facile stabilire la posizio­ne delle masse calde o fredde, sulla cui linea di contatto si riscontra un concentramento di isoipse associato ad una elevata velocità oriz­zontale del vento. Qui fluisce la corrente a getto.

244

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L'irruzione di aria fredda Fig. 142 successiva al passagg!o del ci­tato fronte sull'~talia, interes­sava dunque anche gli strati superiori dell'atmosfera. ~n

effetti, dall'esame delle figure 141 e 142 è facile capire come la situazione barica e termica · in quota sia legata all'anda­mento della corrente a getto e del sistema frontale in superfi­cie. ~l getto proveniente dal-1' Atlantico Settentrionale, av­volge l'anticiclone permanente 11•uAz10#t c/lN/llfAu ALLE o"' 700 ot1 ,._,_,.,,

delle Azzorre, che spinge in quota un promontorio verso gli estremi li­miti nord del continente Europeo. La corrente a getto è particolarmen­te intensa ed ampia interessando tutta l'Europa ed il bacino del Medi­terraneo Centrale, dove la componente dei venti è settentrionale.

Sull'~talia Centrale i venti negli strati inferiori investono perpendi­colarmente i rilievi del complesso Appem~inico, ma in quota essi spi­rano ancora da Nord, quasi parallelamente alla maggior parte delle catene montane. ~ movimenti ondulatori non riescono quindi ad estendersi in quota, mentre gli strati inferiori sono sede di fortissima turbolenza. Quel giorno 26 gennaio vari piloti compiono a Rieti di­versi tentativi ottenendo però ancora risultati piuttosto modesti. Tut­tavia, la situazione in quota va continuamente migliorando. Alle ore 00.00 del 27 gennaio la direzione dei venti, negli strati inferiori del getto, è da 30°, e si mantiene costantemente in tale direzione da 2.000 a 6.000 metri cioè perpendicolarmente alle catene appenniniche cen­trali. La massa è termicamente stabile sia nelle regioni da cui provie­ne, che in quelle del Lazio, come si può notare dalla figura 143 che ri­porta i v_enti e le temperature in quota di Belgrado e di Roma­Ciampino.

La situazione ondulatoria è in pieno sviluppo. Verso mezzogiorno la direzione del getto è da 20°. È noto che quando si è in presenza di una corrente a getto ben definita, la direzione di provenienza dei ven-

245

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ti in quota varia molto poco. _In effetti, dall'esame delle situazioni ondulatorie di NE, prodottesi negli ultimi dieci anni sull'Italia cen­trale, è facile dedurre che la presenza in quota di una corrente a getto fa sì che i venti mantengano, sulla verticale delle catene appennini­che, una direzione quasi costante. Poiché tale fatto, unitamente alla

VCNTO V•ntl e temperature in quota

Km alle or• 00.00 del 27-1-1959

1 - --------

9

a----~••-+---+---+--+---+---t

s

3+---+--+---

2+---1---+---+---1~--'\.---+---t

CIAMPINO Oirez. Nodi

- -10°- -160 ---- ----

- -10°- 100

-20fl.. -60-

,.30!- -60 ,_ ___ -·---30° 45 30° 42

.-:: -:.~Il.~_ ~}g __ 30° 33

--- -----'10°- ,__,5

-so• -30° -t0° 0° 10° Temperatura

Fig. 143

BCLGRAOO Oirez. Nodi

-302- .._35

-30•- -40

--101t- -30

-20~ -30

-20°- -30

crescente intensità del vento con la quota, costituisce un elemento es-~ senziale per la formazione di potenti movimenti ondulatori, possia­mo concludere che i fenomeni della corrente a getto e delle onde. di ri­lievo sono strettamente collegati tra loro.

Di passaggio crediamo sia utile far notare come, secondo vari stu­diosi, le barriere orografiche non solo diano origine ai movimenti on-

246

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dulatori verticali che si utilizzano nel volo a vela, ma determinano anche ondulazioni orizzontali nelle correnti a getto fluenti nella zona sottostante alla tropopausa.

L'effetto dinamico delle catene montuose sulla configurazione del getto è notoriamente molto pronunciato soprattutto quando i rilievi orografici sono di notevole mole ed altezza .. II getto secondo l'Hei­nes, sarebbe accelerato dagli impulsi originati dalle barriere monta­ne, le quali darebbero origine anche a quelle ondulazioni orizzonta­li cui abbiamo dianzi accennato. Le alte vette della Cordigliera del­le Ande dell'America del Sud, costituiscono, ad esempio, una ostru­zione ai venti provenienti da W; ed a tale barriera si deve appunto la "saccatura" del getto, quasi stazionaria ad Est del continente Sudamericano rintracciabile sulle topogra­fie di 200 e 300 mb. L'Heines dice che le barriere montuo­se debbono quindi essere con­siderate come il principale "ancoraggio" della persisten­te configurazione ondosa del getto sul piano orizzontale.

Chiudendo la breve paren­tesi che abbiamo aperto per accennare alla influenza

Fig. 144

dinamica delle catene montuose sulla corrente a getto diremo che per quanto riguarda la situazione ondulatoria in esame ed il getto in quo­ta ad essa associato, la modesta altezza del sistema Appenninico Cen­trale non permette di attribuirgli, con sicurezza, qualche effetto sulla configurazione del getto. La meteorologia sta investigando attiva­mente per stabilire quale ruolo giochino i sistemi montani di modesta altezza in questo ordine di fenomeni ed a noi non resta che aspettare con fiducia i risultati finali di tali ricerche.

Riprendendo ora in esame la situazione del giorno 27 gennaio, so­prattutto dal punto di vista del volo d'onda, diremo che essa, fin dal-

247

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.,. ,. -1t!V

,. ,

"

, , " ,

TOPOGRAnA ASSOLUr4 m ISOTERMC RElATIVC ALLA SUPLR­.FJ{;/f· ISOBARICA DI 500 mb ; ORC 13.00 on 27-1-1959

Fig. 145

le prime ore del mattino, si presentava quanto mai promettente. Le condizioni infatti erano favorevoli dal suolo alla tropopausa. _In

superficie, un anticiclone ed una depressione convogliavano, quasi perpendicolarmente al sistema appenninico centrale, intense correnti da NE (Fig. 144). In quota la corrente a getto era andata intensifican­dosi soprattutto nella saccatura dell'onda orizzontale, come si può ri­levare dall'esame delle topografie di 500, 300 e 200 mb. (Figg. 145, 146e147).

Dai diagrammi "temperatura-altezza" del giorno 27 gennaio (Fig. 143) è facile rilevare come la massa ·d'aria, sia in origine che dopo aver superato la catena appenninica dell'Italia centrale, fosse in con-

248

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dizioni di equilibrio stabile. È vero che il radiosondaggio di Roma­Ciampino delle ore 13 (Fig. 148), rivela uno strato quasi adiabatico dal suolo a 2.000 metri di quota, ma nelle situazioni ondulatorie di NE tale instabilità termica nello strato superficiale, è abbastanza co­mune e non pregiudica la formazione delle onde negli strati superiori.

TOPOGRArtA ASSOtUTA e TCHPCRATURC A 300 mo 27- h 1959 ORC 13 00

Fig. 146

La figura 148 riporta anche l'andamento del valore del parametro 12 di Scorer con la quota, la cui utilità, ai fini dello studio delle situa­zioni ondulatorie, è illustrata nella nota riportata alla fine di questo capitolo.

~ risultati conseguiti dal pilota Quirino Scano, nel corso del volo d'onda effettuato nella Valle Reatina dalle ore 11,30 alle ore 13 del

249

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giorno 27 gennaio, confermano pienamente le indicazioni fornite dall'andamento del valore del parametro 12.

È noto che c'è onda q·uando 12 decresce rapidamente con la quota e che, approssimativamente, la massima ampiezza del movimento on­dulatorio si ha là dove 12 è massimo. Com'è facile capire, in vicinanza del suolo con gradienti adiabatici, 12 è uguale a zero, e ciò è confer­mato dal fatto che la convettività ostacola la formazione delle onde.

TOPOGRAFIA ASSOLUTA [ T!HP!RATURC A 200 mb 27- 1-1959 OR[ tJ.00

Fig. 147

Le stratificazioni stabili, invece, facilitano la formazione delle on­de ed in esse, infatti, si ha un andamento favorevole del valore di 12. Orbene, nel caso in esame l'andamento con la quota di 12 concorda con le osservazioni fatte dal pilota Scano durante il suo volo nel cor­so del quale riscontrò la massima potenza dell'onda fra 2.500 e 4.000 metri, appunto nello strato dove il parametro di Scorer raggiunge il massimo valore. Sopra tale livello la ampiezza e la potenza del movi-

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mento ondulatorio decrescono gradatamente sino ad annullarsi ai li­velli superiori. .I radio sondaggi del vento del giorno 27 gennaio, ci forniscono dati sino alla quota di 11.000 metri, dove secondo i valori del parametro di Scorer, il movimento ondulatorio dovrebbe essere ancora attivo. Tuttavia quel giorno, tenuto conto delle caratteristiche dell'aliante Canguro, la quota massima raggiungibile sarebbe stata di circa m. 9.000. Il pilota Scano infatti abbandonò il volo alla quota 7.400 metri in seguito ad un principio di congelamento, quando an-cora il variometro gli indicava 1,2 m/sec. a salire.

La figura 149 illustra tale •o••-C1••P11•0, z7_,_,, or• r2aa t.HC

volo, nel corso del quale tra i :;~·~~~~· .. :,·:. ·;:·~.::!~"ct'·i~:~'~!v~~.:. 3.000 e i 4.000 metri, il pilota Km O·~·'l·IO"' , 1'.r.w,.,tro dt 1Scor•r 7

~ J·IO" 5·10" no· !MO"

essendo entrato nella parte di- 12

IMO"'

scendente del movimento on- " i, \ ç dulatorio ebbe modo di rile- •;t--1~:-..,._,-t--t-+-\\·+-+-t--t--11--it-i--111.

vare la lunghezza d'onda, che 1 •• •• , ' r\. ~ a quell'altezza risultò essere 7 ,___ _ L-~•., ' '/~ di circa 14· km. Tale valore o ) .. ;-~"•-t-"'..,..-+-r--.,r--;--1

.::. 11 I'\ '\ della lunghezza d'onda con- 5 -- --- --~ •• , JI

corda col calcolo teorico. . ·~ ~-~ ,-~ ::f_: .= __ :;_:_:.::J!'>, ~~~:". 1

.. - ~ A quote superiori, invece • '_~;' -~-~ '""'

il calcolo indica una lunghez- • •• ,.,; Rie17'<s:- - l · ll1eti I -~ ~I~• :Mo

za d'onda di 18 km a 5.500 -1o• -sa- -JO" -10- a- 100

metri, e di 20 km a 7 .000 metri. Fig. 148

Questi valori, però non so-no stati controllati in volo e pertanto si ha motivo di ritenere che essi siano notevolmente inferiori a quelli reali. _In effetti, se si tien conto della velocità del vento a quelle quote e della poca attendibilità della formula nei calcoli relativi a strati superiori, dove si riscontra una forte diminuzione della densità dell'aria, si può senz'altro affermare che nel caso in esame la lunghezza d'onda alla quota di 7.000 metri deve aggirarsi sui 35-40 chilometri.

Continuando nella nostra rapida rassegna delle condizioni che hanno favorito la formazione e lo sviluppo della situazione ondulato­ria nei giorni 26, 27 e 28 gennaio 1959, diremo che, alle ore 07,00 del

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giorno 28, la situazione, pur avviandosi lentamente verso la fine, si pre­sentava ancora interessantissima.

_Infatti la posizione dell'Anticiclone centrato sull'Europa Nord­Orientale e quella della depressione ad esso associata, che alle ore 07 ,00 presentava il suo minimo sull'Egeo (Fig. I 50), determinava una favore­volissima circolazione di venti, i quali soffiavano da 40° e fin dai bassi strati si mantenevano esattamente perpendicolari alle catene appennini­che dell'Italia Centrale. Tale direzione dei venti si riscon-

Fig. 149

trava anche negli strati superiori, come si può rilevare dalla figura 151 che riporta la topografia assoluta relativa alla superficie isobarica di 500 mb alle ore 13,00.

La figura 152 illustra invece l'andamento delle temperature, dei venti e del parametro 12 di Scorer con l'altezza.

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Un semplice sguardo alle curve ed ai simboli che rappre­sentano l'andamento di tali va­lori con la quota è sufficiente per dare un'idea dell'interesse che la situazione ondulatoria presentava alle 13, ora in cui venne effettuato il radio­sondaggio Roma-Ciampino.

Nella valle Reatina e preci­samente sottovento alle cate- . ne montane delle località di Cantalice e Poggio Bustone, il movimento ondulatorio era

SlfUAZIOllC CCNCllALC AllC o"c 7.00 OCL ~·- ,_,.

Fig. 150

"agganciabile" a poche centinaia di metri dal suolo, dove attorno ai 400 metri, i piloti trainatori del Centro Nazionale di Volo a Vela, riscontra­rono velocità ascensionali di 5-6 m/sec.

Verso le ore 15 due alianti "Canguro", pilotati dal Col. Mantelli e dalla coppia Ferrari-Sartori decollavano a rimorchio dal campo di Rieti per tentare lo sfruttamento dell'onda.

L'ing. Ferrari si sganciava a 500 metri dal suolo ed il Comandante Mantelli a soli 200 m.

L'agganciamento dell'onda fu immediato ed i due "Canguro" ini­ziarono una rapidissima salita con velocità ascensionale di 8-9 m/sec. sino a circa 5.000 m. Da questa quQta l~ velocità ascensionale andava gradatamente attenuandosi per raggiungere lo zero a 6.800 metri, al­tezza massima toccata dal "Canguro" del Comandante Mantelli.

È interessante notare come tali valori delle velocità ascensionali e dell'altezza massima raggiunta il giorno 28 gennaio, concordino per­fettamente con le indicazioni fornite dall'andamento del parametro 12 con la quota, naturalmente tenendo conto della polare della velocità ai vari livelli, dell'aliante impiegato.

_Infatti negli strati dove i piloti citati incontrarono la massima velo­cità ascensionale, il parametro di Scorer raggiunge il massimo valore, mentre la quota assoluta di 7 .000 metri, quasi toccata quel giorno dal Comandante ManteHi, rappresenta, secondo il valore di 12, la quota

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massima che, nella situazione in esame, l'aliante "Canguro" poteva raggiungere. Alle ore 00,00 del giorno 29 gennaio, la situazione on­dulatoria dell'.ltalia Centrale appariva in rapido declino. La pertur­bazione frontale, associata in quota all'intensa corrente a getto che nei giorni 26, 27 e 28 gennaio aveva favorito la formazione ~ell'onda sull'Italia Centrale, si allontanava sempre più verso SE, mentre i ven-

Fig. 151

ti in quota andavano gradatamente diminuendo d'intensità. Nella mattinata del giorno 29 gennaio 1959 vennero ugualmente

compiuti v91i esplorativi in tutta la valle Reatina, ma i piloti che si le­varono in volo poterono soltanto constatare che ormai le onde erano scomparse e che la più interessante situazione ondulatoria di NE de­gli ultimi anni aveva concluso il suo ciclo.

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Nota.

Benché in quest'opera non ci siamo prefissi il compito di analizzare le teorie che fu­rono escogitate per spiegare l'andamento delle onde stazionarie di rilievo, riteniamo doveroso ricordare in questa nota, i nomi ili tre matematici che con i loro studi recaro­no un contributo notevole alla soluzione del problema ondulatorio, vogliamo dire Ly­ra, Queney e Scorer. Le loro teorie, infatti, sono quelle che meglio collimano con i fat­ti rilevati dalle osservazioni e che, nella pratica, si rivelano più utili ad una buona con-dotta del volo in onda. ,

Nel 1943, Lyra, partendo dalle· equazioni fondamentali della termo­dinamica e dell'idrodinamica, riuscì per primo a calcolare la grandezza delle perturbazioni derivanti da un flusso iniziale omogeneo, laminare e privo di attrito. Supponendo l'atmo­sfera in condizioni di equilibrio stabi­le e supponendo adiabatica l'evolu­zione della particella d'aria, il Lyra ricavò una equazione - che da lui pre­se il nome - per calcolare l'onda in funzione della componente verticale del vento.

Per l'effettuazione del calcolo, nel caso pratico in cui l'ostacolo sia co­stituito da una catena di monti, il Ly­ra ricorre ad un espediente, che con­siste nel sostituire il profilo reale del­la catena con un certo numero di pro-

"'O"'• ·Ci••pmo ~11-1-$9 or• rz oo 1,,. e Alld•11t•ntt d•1 v ... nt1, d•ll•' t•lrfP•r•tur• • d•I p•r•m•tro d1 Scor•r (l6) C'on I• q 11ot•

P•r•••tro ai Scor•1

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Fig. 152

fili semplici, i quali nel loro insieme rappresentano l'intero profilo dell'ostacolo. Il quadro totale dei valori della corrente ondulatoria viene ottenuto dal Lyra mettendo insieme i valori ottenuti con i calcoli eseguiti sui profili isolati. ·

Non si può non rilevare il fatto che il Lyra, per giungere ad una equazione in termini finiti che gli consenta di risolvere il problema, é costretto a fondare i suoi calcoli su molte ipotesi restrittive e che, per di più, egli basa su profili di catene montane semplici e stretti, per i quali non occorre tener conto della componente verticale della rotazione terrestre.

A differenza del Lyra, il Queney tiene conto, nei suoi calcoli, anche della larghezza della catena montuosa e della forza di Coriolis, la quale esercita una notevole influen­za sulla lunghezza d'onda; il che gli permette di ottenere valori che si avvicinano di più a quelli accertati dalle osservazioni dei volovelisti.

In entrambi i casi però, il movimento ondulatorio va scemando rapidamente sotto­vento all'ostacolo e risulta praticamente trascurabile alle basse quote.

Lo Scorer, invece, sulla scorta dei dati forniti dai voli d'onda degli ultimi anni, rile­va l'esistenza di onde di sottovento che aumentano d'ampiezza sino ad un certo livello e diminuiscono successivamente sino ad annullarsi a quote maggiori. Lo Scorer a dif­ferenza del Lyra e del Queney, pur continuando a supporre un flusso iniziale laminare e privo di attrito, tiene conto delle variazioni con la quota del gradiente termico verti­cale e dell'intensità del vento, ottenendo risultati più aderenti alla realtà e che, nella

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pratica del volo d'onda, si rivelano di notevole utilità. Cosi nella soluzione dell'equazione di Scorer compare il parametro 12 la cui impor­

tanza nello studio delle situazioni ondulatorie è posta in evidenza qui di seguito: Il parametro di Scorer è d~finito dalla equazione

g.~

u~ u dove,

g = accelerazione di gravità I ò 6 I

~ =--=-(f=y) stabilità statica

9 T r r z u

6 e z T te.mperatura potenziale temperatura assoluta gradiente termico adiabatico gradiente termico reale quota misurata verso l'alto componente della velocità del vento normale ali 'ostacolo

Il secondo termine dell'espressione è per lo più trascurabile poiché le variazioni della velocità del vento con l'altezza sono generalmente picco· le o uniformi. Ai fini pratici si può quindi assumere l'aspressione sem­plificata.

g. a g( r-r> 12 = =

U2 TU2

Scorer trovò che la formazione di onde stazionarie di ostacolo è possibile solo se il parametro 12 in uno strato sufficientemente spesso risulta minore che nello strato sot­tostante.

La diminuzione di 12 può ottenersi o con un incremento della velocità del vento o con una decrescita della stabilità con la quota; poiché le variazioni di stabilità riscon­trate nei casi reali non sono sufficienti a produrre da sole variazioni sufficientemente grandi di 12, occorre l'intervento di tutti e due i fattori.

In teoria non è possibile specificare quantitativamente la decrescita necessaria per 12. Tuttavia, dall'analisi di una serie numerosa di situazioni ondulatorie è risultato che in media il valore di 12 deve diminuire da nove, nello strato inferiore, a uno nello strato superiore.

Dalla teoria di Scorer si ha che: a) la lunghezza d'onda delle onde stazionarie di ostacolo varia tra il più grande e il più piccolo dei valori di 2,.11'/t; b) l'ampiezza del movimento ondulatorio varia col rapporto U0 /U tra la velocità del vento in superficie U0 e quella alla quota considerata U; c) la quota alla quale si hanno le massime am­piezze è prossima a quella ove 12 è massimo.

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CAPITOLO DICIOTTESIMO

LE SITUAZIONI ONDULATORIE ALPINE CON VENTI SETTENTRIONALI

Sulle Alpi Occidentali Francesi il Centro Volovelistico di S. Au­ban, ha effettuato importanti studi e ricerche sulle correnti ondulato­rie nelle più svariate situazioni. Sulle Alpi Settentrionali, dai Tauern alle Retiche, il D.F.S. ha volato sulle onde con Foehn da Sud e da Sud-Ovest. A Est la Scuola Alpina Austriaca di Volo a Vela di Zeli am See, ha effettuato interessantissimi voli in onda, in situazioni di Foehn da Sud.

I Centri Volovelistici suddetti, essendo situati sul versante setten­trionale hanno potuto sperimentare le situazioni ondulatorie solo con venti da Sud.

Con l'inizio dell'attività volovelistica investigativa da parte del Centro di Volo a Vela del politecnico di Torino, dall'Aero Club Vo­lovelistico Milanese, e, per ultimo, del Centro Studi del Volo a Vela Alpino di Varese, da qualche anno si vanno sperimentando anche le situazioni ondulatorie con foehn settentrionale, ed i risultati fino ad oggi conseguiti sono molto soddisfacenti.

.In primo luogo si deve rilevare, a vantaggio del fOhn da Nord, che esso si presenta in tutte le stagioni, quindi molto più frequentemen­te di quello da Sud, e che fra i due tipi esi'stono differenze fondamen­tali.

Il fOhn da Nord è quasi sempre seguito da cielo sereno per cui i vo­lovelisti che sfruttano le situazioni ondulatorie ad esso associate, non debbono temere cambiamenti radicali del tempo durante i loro tenta­tivi.

Nei bassi strati il fOhn settentrionale risulta, inoltre, termicamente instabile, mentre negli strati superiori non si formano nubi a causa della subsidenza che si verifica in quota nelle masse d'aria polare convogliate sull'arco alpino dall'anticiclone che si forma od arriva sull'Europa Occidentale.

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L'instabilità nei bassi strati della corrente settentrionale permette quindi di utilizzare i movimenti con_vettivi termici che si generano ne­gli strati inferiori e di raggiungere l'altezza sufficiente per passare dalla termica alla corrente ondulatoria.

Questa situazione è stata riscontrata nel corso di vari voli compiuti dai piloti del Centro Studi del Volo a Vela Alpino, sia durante i mesi primaverili che autunnali.

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H più significativo di tali voli, anche perché ampiamen­te documentato, è quello ef­fettuato il 9 maggio 1961 dai piloti R. Biagi e Adele Orsi, a bordo di un biposto "Bocian", lungo la catena delle Prealpi

post frontale, con venti da NW. Il volo iniziato verso mez-

Fig. 153 zogiorno, si è protratto sino alle 17 mediante appoggio

termo-orografico. A quest'ora, quando gli strati superficiali comin­ciarono a stabilizzarsi, i piloti, attratti da un cumulo-rotore formato­si ad una trentina di chilometri a Nord di Como iniziarono un ampio sondaggio nella zona, ed alla quota di tremila metri, individuarono la parte ascendente di un efficace movimento ondulatorio da NW, che li portò ad oltre 5.000 metri, con velocità ascensionali di 2-3 m/sec.

La figura 153 rappresenta la registrazione barografica di due di queste salite in onda ad oltre 5.300 metri, dove i piloti per mancanza di ossigeno a bordo, hanno dovuto rinunziare a salire oltre.

Ma le situazioni più favorevoli alla formazione di grandi movimenti ondulatori in tutta la Valpadana sono quelle che si pre­sentano durante la stagione fredda. Esse sono caratterizzate dall'ir­ruzione dal quarto quadrante di aria fredda negli strati inferiori sot­tovento alle catene alpine e dalla presenza di una corrente a getto.

_Infatti, in queste tipiche situazioni, accompagnate da un getto in quo­ta, i venti si mantengono praticamente perpendicolari alla linea di cresta delle Alpi Centro-Occidentali, sino agli estremi limiti della troposfera.

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Circa le caratteristiche dellt> masse d'aria che compongono questi venti da NW, diremo che, generalmente, si tratta di masse secche, es­sendo stata abbandonata l'umidità sopravvento nel processo di "Stau", mentre gli strati superiori sono interessati da fenomeni di subsidenza anticiclonica. Pertanto, le onde che si formano sottoven­to alle catene alpine non sempre sono accompagnate da quelle manife­stazioni nuvolose che, sia negli strati inferiori (cumuli-rotori) che in quo­ta (lenticolari), caratterizzano normalmente le situazioni ondulatorie.

Tra le varie situazioni che si sono presentate negli scorsi anni se­gnaliamo quella del 12 febbraio 1961, essendo stata accompagnata da una combinazione di condizioni eccezionalmente favorevoli alla formazione di onde stazionarie sulla Valpadana.

TOPOGRAFIA ASSOLUTA A 300 mb DELLE ORE 1~00/z DEL 12/2/61

Fig. 154

259

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Esaminando, infatti, le caratteristiche delle masse d'aria soprav­vento alle catene alpine, in base al radio-sondaggio delle 07 .00/Z del­la Stazione Svizzera di Payerne, molto più significativo di quello di Milano-Linate, si rileva:

1) Profilo di vento crescente, in un amplissimo strato compreso tra il crinale medio delle Alpi e la bassa stratosfera, associato ad una cor­rente a getto.

2) Vento quasi normale alla catena alpina, senza significative va­riazioni di direzione con la quota.

dli Otl cirro l ~,,,,, •H• OuOP• U•

1•1 •100/1 DI' 'l/llrH • •0000 • •u.t

3) Aria assolutamente sta­bile, con strato isotermico a 700 mb, alle 00.00/Z; trasfor­matosi addirittura in inversio­ne termica alle 12.00/Z, con lieve diminuzione di stabilità in alta quota (gradiente quasi

l adiabatico fra 450 e 350 mb, sia a Payerne che a Milano­Linate).

Per quanto riguarda la si-tuazione sinottica, diremo

Fig. 155 che, le condizioni andavano maturando fin dall'8 febbraio, giorno in cui il promontorio delinea­tosi in precedenza sul vicino Atlantico, si rinforzava notevolmente dando luogo ad intense correnti dal quarto quadrante sull'Europa Centrale e, in particolare sulle Alpi, con irruzione di un fronte freddo sull'Italia.

_In superficie, la situazione sinottica evolse in fohn sull'~talia Set­tentrionale, ed in fortissimo maestrale sul Tirreno.

Tra le ore 00.00/Z e 12.00/Z, i venti da NW si intensificarono ulte­riormente, ruotando, nello stesso tempo, più a Nord. (Fig. 154).

Com'è facile capire una situazione del genere non poteva andare disgiunta da una potente corrente a getto che alle ore 12.00/Z era perpendicolare alla catena alpina, lun10 un asse notevolmente sp<r stato a4 Est di Milano. (Fi§. ij§). ··

260

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SITUAZIONE Of'DULATORIA .DEL 12-2-1961 LUNGO L'A~SE: H. BASODINO-BRESSO, E RICOSTRUZIONE DEL VOLO DI HARIO CATTANEO.

Nodi cj;;.;;.

-~!- - 9 330•

8

-~-- 7 320°·

101 6 ·320• ; 12 jjQ.- -. 62 jio• -3

31 2 -310•- -

_1~-- -o 320°

Km O

I H. 8ASOOlllO

La velocità massima del get­to è stata riscontrata sulla Da­nimarca, dove alla quota di 9000 metri, il vento soffiava con la forza di 200 nodi. Sulle Venezie, a 10.000 metri, l'in­tensità era di 175 nodi, mentre un minimo di 120 nodi soffiava senza soluzione di continuità dalla Norvegia al Mar Jonio, tra 7.000 e 15.000 metri d'al­tezza.

La situazione ondulatoria che abbiamo illustrato è stata

Fig. 156

COHO

HARIAllO COl'fEllSE

Fig. 157

ltHSSO

261

Page 255: Metereologia Per i Piloti Di Volo a Vela_BN Plinio Rovesti

utilizzata da vari piloti di volo a vela per compiere prove di altezza. _I mi­gliori risultati sono stati conseguiti dal noto yolovelista milanese Mario Cattaneo che, in tale occasione ha raggiunto la quota assoluta di 8.400 metri. La figura 156 illustra la tecnica seguita in questo interessante volo d'onda e la figura 157 riporta la cartina altigrafica che ne ha registrato l'andamento e le quote toccate nelle varie fasi.

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CAPITOLO DICIANNOVESIMO

I MOVIMENTI ONDULATORI SULLE REGIONI MONTANE . E LORO INFLUENZA SULLA NAVIGAZIONE AEREA

.I movimenti ondulatori dell'atmosfera che si presentano frequen­temente sulle regioni montane, esercitano una notevole influenza sul­le condizioni del volo in genere e, quindi,anche sulla navigazione ae­rea commerciale e turistico-sportiva.

I movimenti verticali associati ai grandi campi ascendenti e discen­denti dei movimenti ondulatori generati dalle catene montane, hanno senza dubbio molta influenza sul volo degli apparecchi, i quali sono soggetti a variazioni d'altezza che - quando il pilota non si mantiene a quota di sicurezza - possono condurre a vere e proprie catastrofi.

Anche il volo nelle valli, a quota inferiore a quella delle montagne, presenta, quando il vento è forte, fenomeni di turbolenza che spesso possono costituire un serio pericolo per la navigazione aerea.

In situazione d'onda, tale turbolenza è associata ai "rotori" che si formano negli strati inferi ori sottondulatori.

Nella Valle de La Cruz, in Argentina, nel corso di un volo di son­daggio, sottovento alla Sierra de los Comechingones, con vento da WSW, abbiamo riscontrato, in un paio di secondi, velocità verticali passanti da + 7 a -4 metri al secondo.

Sulle Alpi Francesi, Gerbier, e sulla Sierra Nevada, Kuettner, han­no riscontrato turbolenze di rotore ancora più forti e di gran lunga superiori a quelle misurate dagli americani nell'interno delle nubi temporalesche.

Nelle regioni alpine, notevoli fenomeni di. turbolenza sono stati re­gistrati in quota, anche a molte migliaia di metri dalle vette più alte .

. I volovelisti francesi, ad esempio hanno riscontrato fenomeni di turbolenza, attorno ai tre assi, a quote variabili da 5.000 a 9.000 me­tri, al limite dei movimenti ondulatori, dove, in seguito ad una rapida diminuzione del vento cessava il flusso laminare e le onde diventava­no instabili e si annullavano (Fig. 158).

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Anche la cosiddetta turbolenza d'alta quota (10-15.000 metri) in atmosfera chiara, può essere rinforzata dalla presenza di movimenti ondulatori, là dove l'effetto dei rilievi alpini è evidente.

Com'è noto, sulla linea di ·cresta delle catene montane, la pressione dell'aria è inferiore a quella misurata nell'atmosfera libera, allo stes­so livello. È pertaato facile intuire come l'altimetro di bordo durante il sorvolo delle vette alpine, possa indicare una quota più elevata di quella reale e, come .tale errore altimetrico, sia tanto più grande quanto maggiore sia la velocità del vento.

Fig. 158

Anche in seno ai movimenti ondulatori, per effetto delle accelera­zioni verticali del flusso, si possono produrre errori altimetrici, che dipendono dalla lunghezza e dall'ampiezza d'onda, dalle velocità, verticali e dalla velocità orizzontale del vento.

~ sondaggi effettuati nelle regioni alpine, da vari studiosi, per mez­zo di palloni, staticamente equilibrati, seguiti dal Radar, hanno mes­so recentemente in evidenza le notevoli variazioni che si riscontrano

264

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nella velocità orizzontale del vento, tra la cuspide e la concavità dell'on­da. Queste variazioni, pur non essendo costanti, sono tuttavia tali da causare errori di navigazione, in quanto sulle regioni alpine interessate da movimenti ondulatori, il vento orizzontale può essere differente da quello sinottico segnalato dai bollettini meteorologici.

Un ultimo fenomeno al quale riteniamo utile ed opportuno accennare prima di concludere la nostra rapida rassegna sull'influenza

Fig. 159

esercitata dai movimenti ondulatori sulla navigazione aerea, è quello della variazione di quota che l'isoterma di 0°C subisce in seno alle ondu­lazioni atmosferiche.

È noto infatti, come le particelle d'aria costituenti la parte ascendente di un movimento ondulatorio, subiscano un raf­freddamento quasi adiabatico e, pertanto come la distribuzione ver­ticale della temperatura sulle regioni alpine possa essere notevol-

265

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mente differente da quella osservata nell'atmosfera libera. Orbene, quando si naviga su regioni montane interessate da movi­

menti ondulatori, è importante ricordare che, sulla cuspide di ogni onda l'isoterma di 0°C è più bassa che nell'atmosfera libera. Inoltre, sulle regioni montane, quando l'aria è ricca di umidità le eventuali nubi d'onda associate a tali movimenti hanno una maggiore concen­trazione d'acqua liquida, per cui il rischio di formazione di ghiaccio è maggiore che nell'atmosfera libera.

La figura 159 sintetizza tutti questi fenomeni, la cui importanza per la navigazione aerea in generale non sfuggirà a quanti si preoccu­pano di conoscere quelle norme elementari sulla condotta del volo in montagna che possono contribuire ad aumentare la sicurezza del volo.

266

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CAPITOLO VENTESIMO

IFENOMENIDITERMOONDA

A coronamento di quanto abbiamo detto fin qui sui movimenti on­dulatori dell'atmosfera e sulle relative tecniche di utilizzazione volo­velistica, tratteremo ora, sia pure per sommi capi, quelle particolari situazioni in cui i movimenti convettivi di origine termica, in parten­za dal suolo, si accoppiano in quota con i movimenti ondulatori di sottovento.

Su tali fenomeni l'lng. O.A. Ferrari aveva fin dal 1955 fermato la sua attenzione, ed è appunto del 1956 una sua relazione, presentata al Congresso Internazionale dell'O.S.T._I.V. di St. Yan (Francia), in cui per la prima volta apparve la denominazione di "Termoonda".

Successivamente il Ferrari in occasione di congressi e conferenze riferì le osservazioni fatte sia in Val Padana sia nelle regioni appenni­niche dell'.Italia Centrale, nel corso di alcuni dei suoi veleggiamenti più significativi, nelle condizioni cui abbiamo accennato, ed espose la tecnica da lui adottata per il migliore sfruttamento volovelistico di ognuna di queste tipiche situazioni, servendosi a tal fine di un model­lo elementare di.interpretazione, didatticamente molto efficace. ~n ~talia il termine "termoonda", andò pian piano diffondendosi,

ed oggi a distanza di 16 anni dalla sua coniazione, viene comunemen­te usato da quanti vogliono indicare quelle condizioni in cui coesisto­no fenomeni ondulatori con fenomeni di instabilità termoconvettiva. Noi abbiamo avut_o modo di effettuare varie osservazioni soprattutto dal punto di vista meteorologico su questi fenomeni, compiendo an­che voli investigativi, con e senza motore, prima in Argentina (1952-

Il presente capitolo è l'estratto di una memoria sui fenomeni di termoonda, presen­tata da chi scrive al Congresso Internazionale dell'O.S.T .I.V. svoltosi a Marfa (Texas) in occasione dei campionati Mondiali di Volo a Vela del 1970. L'utilizzazione, in quest'opera, del materiale illustrativo preparato per l'occasione spiega la presenza di figure con diciture in inglese, i cui termini, peraltro, sono di così facile comprensione che non ci è parso necessario apportarvi mutamenti integrali.

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1955) nella Valle de La Cruz, ubicata nella regione montagnosa della Sierra de Cordoba; poi in ~talia (1956-1970) nella valle di Rieti.

Tali osservazioni concordarono con le esperienze di volo di Ferrari e del gruppo di piloti della Sezione Militare di Volo a Vela capeggiata dal Col. Mantelli; nonché con quelle effettuate successivamente dal gruppo di volovelisti sportivi dell'.Italia Centrale e particolarmente dal pilota Ferruccio Piludu, oltre che dal volovelista Attilio Pronzati e da molti piloti.che negli ultimi dieci anni hanno partecipato ai Cam­pionati Nazionali nella regione appenninica di Rieti, dove sorge l' Ae­ro Club Centrale di Volo a Vela, e dove le situazioni di "termoonda" si presentano con particolare frequenza.

Cercheremo ora di riassumere in breve i principi che governano questi particolari f enomeQi, così come hanno potuto essere formulati sulla scorta delle esperienze condotte fin qui dai volovelisti italiani.

1) Col termine di "termoonda", Ferrari fin dal 1955 intese indica­re quelle particolari condizioni in cui la coesistenza di fenomeni on­dulatori con fenomeni di instabilità termoconvettiva, dà luogo a si­tuazioni che presentano caratteristiche diverse sia da quelle della on­da pura sia da quelle della termica pura, e che pertanto, per la loro utilizzazione volovelistica, richiedono una tecnica particolare (1).

2) Le condizioni termodinamiche che caratterizzano le tipiche si­tuazioni estive di "termoonda" sono le seguenti:

a) Vento pressoché normale alla catena montana, in graduale au-

(1) Nota. In questa particolarità è forse da ricercare il motivo per cui la denominazione di° "termoonda" coniata dal Ferrati ha trovato man mano più largo uso fra i voloveli­sti che non fra i meteorologi. Per i primi infatti, tale termine riassume in sè un duplice significato: quello di una situazione meteorologica e quello della relativa tecnica di uti­lizzazione volovelistica. I secondi, invece, non hanno sentito la necessità di adottare un tale termine (che pure ha la sua utilità pratica) in quanto da un punto di vista stretta­mente scientifico la combinazione dei fenomeni che va sotto il nome di "termoonda" non esce dall'ambito dei normali fenomeni ondulatori di origine orografica, ma ne co­stituisce solo una complicazione. V'è poi da notare, a scanso di equivoci, che questo

· termine, ormai in uso in Italia da molti anni, rischia di confondersi con una nuova de­nominazione del gergo meteorologico: l'inglese "Thermal Wave", con la quale si vuo­le indicare un fenomeno ben diverso; quello cioè di un'onda non già soltanto associata a fenomeni di terinoconvezione, ma addirittura provocata da essi, senza il concorso di cause orografiche.

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mento con la quota, fino a raggiungere i 20-25 Kts, ed anche più, ne­gli strati interessati da movimenti ondulatori. La catena montana in­vestita dal vento può anche essere di modesta altezza.

b) Gradiente termico adiabatico, dal suolo alla quota interessata dai movimenti ondulatori.

3) Perché le condizioni di termoonda si producano non è indispen­sabile che i movimenti ondulatori siano stazionari o persistenti e tan­to meno che essi arrivino ad interessare stratificazioni atmosferiche di grande spessore. Si ha infatti "termoonda" anche con movimenti ondulatori pulsanti e con onde instabili.

4) Le caratteristiche delle situazioni estive di termoonda cambiano notevolmente con l'ora del giorno, anche se le condizioni del vento e le caratteristiche delle masse d'aria rimangono costanti.

5) ~n situazioni di "termoonda" l'attività termoconvettiva in par­tenza dal suolo è normalmente organizzata dai movimenti ondulato­ri: cioè a dire; le correnti termiche ascendenti si accoppiano in quota con la parte ascendente dell'onda, mentre le correnti discendenti han­no inizio nella zona corrispondente alla parte discendente dell'onda.

6) Se i fenomeni ondulatori e termici si riscontrano in masse di aria secca, essi passano del tutto inosservati; mentre se l'aria è sufficiente­mente umida, i fenomeni vengono visualizzati da formazioni di nubi cumulif ormi, o da stratocumuli, il cui aspetto, dimensioni e forma dipendono da vari fattori.

7) Le pulsazioni ondulatorie instabili di origine orografica danno luogo a cumuli isolati e di diverso sviluppo verticale, che si spostano col vento. J,.e condizioni termodinamiche favorevoli alla formazione di tali cumuli sono: una certa intensità con cui il vento deve investire l'ostacolo, l'instabilità termica e l'esistenza di sufficiente umidità nell'aria.

Normalmente, la vita di queste nubi, associate a onde pulsanti la cui lughezza d'onda non supera mai i 2 km, è molto breve: la loro maggiore o minore durata dipende sia dall'umidità dell'aria ambien­te, sia dall'apporto di aria umida da parte delle eventuali correnti ascendenti termiche in arrivo dalla superficie terrestre. (Fig. 160).

8) Le situazioni di "termoonda" di maggiore interesse volovelisti-

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co si producono durante la stagione estiva sottovento agli ostacoli orografici, in condizioni di forti venti in quota. Esse sono facilmente individuabili quando l'aria è sufficientemente umida e permette la formazione di nubi comuliformi o stratocumuliformi.

9) Le strade di "termoonda", siano esse costituite da cumuli isolati allineati nella direzione del vento, siano esse costituite da vere e pro-

I . I

i.--L""2Km--• I I I I I

Fig. 160

prie strade ininterrotte di nubi cumuliformi o stratocumuliformi, pa­rallele o trasversali al vento, si producono lungo ristrette fasce inte­ressate da fenomeni più intensi, perché originati in corrispondenza di montagne più alte o più favorevolmente esposte al vento, oppure in risonanza con onde prodotte da ostacoli orografici precedenti ..

10) È interessante rilevare che i due tipi di strade cumulifonni di "termoonda", dianzi citati, iniziano sempre a distanza di due o tre

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lunghezze d'onda dalla montagna, a differenza dei cumuli di rotore che invece si formano sotto la prima, la seconda ed anche la terza on­da, cioè nell'immediata zona di sottovento.

11) Quando i movimenti ondulatori non si estendon·o agli strati su­periori dell'atmosfera e non assumono le caratteristiche inconfondi­bili delle grandi situazioni ondulatori stazionarie, i cumuli isolati di ''termoonda" a differenza delle strade cumuliformi, si formano an­che nell'immediata zona di sottovento.

12) Secondo l'~ng. Ferrari, pur riscontrandosi innumerevoli varietà di termoonda, a seconda dell'instabilità atmosferica, della intensità e dire­zione del vento1 dell'umidità dell'aria e delle diverse combinazioni di on­da, le situazioni tipiche e più frequenti sono tre, e precisamente: a) situazioni caratterizzate da cumuli isolati, che pur assumendo a volte notevoli proporzioni non arrivano tuttavia a saldarsi tra di lo­ro, ma si allineano nella zona sottovento ad una certa distanza l'uno dall'altro. b) Situazioni caratterizzate da bande di cumuli o stratocumuli costi­tuenti vere e proprie strade di nubi trasversali al vento. c) Situazioni in cui si hanno bande di cumuli o stratocumuli ordinate parallelamente.

13) Cumuli isolati. Delle tre situazioni di "termoonda" sopra indicate quella che si

presenta con maggior frequenza è caratterizzata da formazioni cu­muliformi isolate; anche perché, tra l'altro essa costituisce la fase ini­ziale e finale della situazione in cui si hanno strade di stratocumuli parallele al vento.

Condizione essenziale perché si formino cumuli isolati di termoon­da, e perché tali rimangano per tutta la giornata, è una non eccessiva umidità dell'aria .. In tal caso la base di condensazione è sempre più alta di quella che si riscontra nelle situazioni di strade di stratocumuli parallele al vento. Nella Valle di Rieti tale situazione si presenta sia con venti da SW, sia, e più frequentemente, con venti da NE associati ad una circolazione di aria di origine balcanica, fredda e relativamen­te secca .. In quest'ultimo caso i cumuli di "termoonda" si originano nella cuspide delle onde e non arrivano mai a saldarsi tra di loro ed a costituire strade continue, pur assumendo spesso proporzioni notevoli.

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0+--+---t--t--t--t--t--t--t--=+--;--+-~-+--+--+-= -40° -30° -20° -10° oo 10° 20° 30°C

ROMA- FIUMICINO': SOUNDING OF MAY 3, 1970 - 12 00 G.M.T.

FLIGHTS OVER RIETI VALLEY

Fig. 161

Questa tipica situazione si è presentata nelle regioni dell'Italia Cen­trale il giorno 3 maggio 1970, ed è illustrata nel diagramma termodi­namico relativo al radiosondaggio del Centro Meteorologico Regio­nale di Roma-Fiumicino delle ore 12.00/Z, riportato nella figura 161.

In tale diagramma sono indicate anche le basi di condensazione delle nubi cumuliformi nelle varie òre pomeridiane, e le·quote rag­giunte dai piloti che in tale giornata hanno utilizzato queste condizio­ni in vari punti della valle.

È importante rilevare che il giorno precedente (2 maggio 1970), esi­stevano le stesse condizioni termodinamiche. La massa d'aria che in-

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vestiva la catena era però più umida e, conseguentemente, la base di condensazione delle formazioni cumuliformi più bassa, tanto che in qualche punto i cumuli riuscivano a saldarsi tra loro ed a formare piccole strade. (Fig. 162).

Per quanto riguarda la tecnica di utilizzazione delle correnti ascen­denti associate a questi cumuli, va subito rilevato che l'ascendenza non è sotto di essi, ma nella loro parte anteriore e sopravvento alla nube. In questa zona si formano saltuariamente delle specie di "vir-

RIETI (ttaly) Hay 2: 1910

Rl!TI (ttaly) Hay 3, 1910

Fig. 162

gole" o batuffoletti cumuliformi, prodotti dalle ascendenze in arrivo dal suolo, ascendenze che si accoppiano in quota con il movimento ondulatorio dando luogo in questo punto ad una certa turbolenza e ad un aumento della velocità ascensionale.

Per mantenere l'ascendenza, il pilota deve spiralare sopravvento al cumulo, scarrocciando col vento. Quando l'ascendenza indicata dal variometro comincia a diminuire, conviene cessare il volo a spirale e puntare controvento verso il sereno, senza lasciarsi ingannare dalla presenza dei cumuli sovrastanti o dal fatto che l'ascendenza residua

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sotto di essi è ancora discreta. ~n caso contrario, scarrocciando oltre col vento, si finisce nella discendenza della termoonda dalla quale si esce a prezzo di una notevole perdita di quota.

_Il volo contro vento verso il sereno dovrà proseguire sino a quando il variometro denuncia una notevole· diminuzione dell'ascendenza. Allorà ci si ritrova nella zona iniziale, dove si noterà la formazione delle virgole cumuliformi e dove pertanto si riprenderà il volo in spirale.

Raggiunta la parte anteriore della base di condensazione dei cumu­li, mantenersi sopravvento alla linea delle formazioni cumuliformi,

O ti 4 6 8 fO 12 14 16 f8 20 22 Kt11

Fig. 163

spiralando o volando parallelamente alla parte esterna delle nubi co­me se si trattasse di un pendio montano. In tal modo si passa dalla corrente termica al flusso termo-ondulatorio, raggiungendo e supe­rando la -sommità dei cumuli fuori dalle nubi.

Quando il vento aumenta moderatamente con la quota,l'ascenden­za migliore è a ridosso delle nubi, tanto che, per salire più rapida-

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mente a volte conviene spiralare entrando e uscendo dai cumuli. Spiralando invece all'interno di tali cumuli la quota che si riesce a

guadagnare è molto limitata rispetto allo sviluppo verticale delle nubi. ed all'altezza che si riesce a raggiungere volando esternamente alle nubi stesse.

I cumuli isolati di "termoonda" possono essere disposti sia in linee

aooo

fOOO

Fig. 164

parallele trasversali alla direzione del vento, sia in linee parallele al vento stesso.

Con la presenza di una catena montana sottovento alla prima, co­me nel caso della Valle di Rieti, quando il flusso ondulatorio è in ri­sonanza con il secondo ostacolo, le condizioni di veleggiamento sono favorite anche dal sollevamento orografico forzato degli strati infe-

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riori, ed allora il volo diventa estremamente facile. Queste condizioni si presentano sui monti Sabini con venti da NE, ma sono più frequen­ti con venti da SW o da W. ~n tal caso i cumuli si formano lungo il gruppo del Monte Terminillo .. II fenomeno è sufficientemente illu­strato nelle figure 163 e 164.

m

LA CRUZ (ARGENTINA)

SOUND/HG OF JUHE 24, 1953

TIME: 14.0D

PILOT. C. J. DORI

METEDROLOGIC OBSERVER' P. ROVESTI

o ----+-+----1----' o 25 50 75 100% oo 10° 15° 20° e RELATIVE HUMIDITY TEHPERATURE

Fig. 165

14) Bande cumuliformi trasversali al vento. Quando una catena montana è esposta favorevolmente al vento e

la sua altezza e configurazione orografica si mantengono per un certo tratto uniformi, i fenomeni di "termoonda" si estendono lungo ban­de cumuliformi trasversali al vento, la cui lunghezza dipende dalle suddette condizioni orografiche.

È facile capire che il processo di formazione di queste bande è

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identico a quello dei cumuli isolati di "termoonda". Pertanto anche per le bande trasversali al vento, è necessario che l'aria non sia ecces­sivamente umida, altrimenti ben presto le bande si congiungono e danno luogo ad una cappa di stratocumuli. Abbiamo avuto modo di studiare queste condizioni in Argentina e precisamente nella Valle de la Cruz (Cordoba), dove dal 1952 al 1956 ha avuto la sua sede l'ex Istituto Argentino de Vuelo a Vela.

Il fenomeno si riscontrava con venti da Sud-Est in superficie ruo­tanti gradualmente con la quota ad Ovest.

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JUNé 24, 1953

10 Km

I l ,

Fig. 166

ALHAFUCRTC 0

LOS CONOORCS Q

Le figure 165 e 166 rappresentano una di queste situazioni, studia­te nel corso di un sondaggio aerologico compiuto con un velivolo leg­gero dotato di psicrometro elettrico. Le cinque bande cumuliformi ri­prodotte nelle citate figure distavano 5 Km. l'una dall'altra, ed ave­vano una lunghezza media di 20 Km. La loro base di condensazione era a 1775 m. sul suolo e lo sviluppo verticale non superava i 300 m. Il gradiente termico atmosferico era adiabatico dal suolo alla base di condensazione. Le nubi erano superiormente contenute da una netta inversione termica, sotto la quale l'umidità relativa era notevole, mentre al suolo era soltanto del 320Jo.

L'attività termoconvettiva non era molto intensa, tuttavia le ascen-

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denze si accoppiavano in quota sopravvento alle bande cumuliformi ed in questi punti delle bande si producevano rigonfiamenti, mentre le ascendenze si rinforzavano notevolmente e la turbolenza aumentava.

La figura 166, indica tra l'altro i valori delle velocità verticali regi­strate durante il sondaggio. Dalla stessa figura si può rilevare come anche queste strade si formassero a distanza di varie lunghezze d'on­da dalla Sierra de Comechingones che le generava. Anche in Italia si 'lanno esempi caratteristici ed imponenti di bande cumulitormi di

Fig. 167

termoonda trasversali al vento, specialmente nella Valle Padana. Ferrari ed altri piloti hanno utilizzato più volte queste condizioni nei loro voli (Fig. 167).

La tecnica di utilizzazione di queste bande è altrettanto semplice quanto quella suggerita per i cumuli di termoonda.

Si tratta di ubicarsi nella fascia di miglior ascendenza presso il bor­do sopravvento della banda e di volare parallelamente ad essa. Poi­ché la deriva è notevole, bisogna star attenti di non lasciarsi scarroc-

27~

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ciare dal vento nella discendenza della termoonda, che, com'è facile ca­pire, si trova sotto la parte centroposteriore della striscia cumuliforme.

Nei soli voli di distanza si riesce a procedere velocemente mante­nendo la quota, senza spiralare. Se invece si vuol guadagnare la mas­sima altezza, ci si deve mantenere sopravvento alla banda percorren­dola ripetutamente come un pendio montano.

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~ 10° ' 20°

ROMA-FIUMICINO: SOUNDINC OF HAY 2 1 1910 - 1200 C.H.T.

FLICHTS OVER RIETI VALLEY

Fig. 168

15) Bande cumuliformi o stratocumuliformi parallele al vento. Il processo di formazione di queste bande, c~~ assumono l'aspetto

di vere e proprie strade di nubi, è inizialmente identico a quello dei cumuli isolati.

La loro base di condensazione però risulta normalmente più bassa poiché le masse d'aria che favoriscono la formazione di queste ban­de, sono sempre abbastanza umide. Tipico esempio di queste condi-

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Fig. 169/a

zioni, alle quali abbiamo già accennato (Fig. 162), è rappresentato nel diagramma termodinamico della figura 168 relativo al radio­sondaggio delle 12.00/Z di Roma-Fiumicino del 2 maggio 1970.

In esso sono riportate anche le altezze delle nubi cumuliformi pre­sentatesi quel giorno nella valle di Rieti e le quote raggiunte dai vari piloti che hanno utilizzato questa situazione. Nella stagione estiva, quando l'umidità è meno elevata, queste bande assumono l'aspetto di vere e proprie strade soltanto nelle ore di massima attività termo­convettiva, cioè della massima insòlazione. U processo della loro for­mazione inizia verso le 10,30 con l'apparizione di serie di virgole o batuffoli cumuliformi migratori, allineati parallelamente al vento. Questi batuffoletti si accumulano in determinati punti, dando luogo a nubi isolate dall'aspetto cumuliforme. La loro vita però è di breve durata: improvvisamente, infatti si dissolvono per ricomporsi a breve distanza di tempo in seguito al sopraggiungere di altri batuffoletti,

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Fig. 169/b

che danno vita ad un nuovo cumulo, sempre nello stesso posto. n rit­mo di formazione e dissoluzione di tali nubi, si fa sempre più serrato. Col procedere delle ore e l'intensificarsi dell'attività termoconvetti­va, il cielo si va così popolando di questi cumuli, che si sviluppano e si estendono sempre più, sino a saldarsi gli uni agli altri ed a formare le bande cumuliformi parallele alla direzione del vento. (Fig. 169 a e b).

La larghezza di queste strade dipende dalla larghezza delle bande atmosferiche interessate dal fenomeno ondulatorio.

Quelle utilizzate dai piloti italiani sottovento ali' Appennino dell'Italia centrale, nelle regioni prealpine ed in quelle della Valle Pa­dana nell',Italia Settentrionale, normalmente sono larghe tre o quat­tro chilometri e lunghe alcune decine. La base di condensazione si trova tra i 1500 e i 1800 metri e la sommità a 3-4000 metri. Quando l'aria è molto umida ed instabile, lungo la banda si possono formare anche cumulonembi isolati, i quali danno luogo a manifestazioni

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Fig. 170

temporalesche e ad abbondanti precipitazioni. In tali casi, per una decina di minuti ed anche più, l'attività termoconvettiva cessa com­pletamente. Trascorso questo tempo la banda cumuliforme si ripro­duce però abbastanza celermente. Percorrendo longitudinalmente queste bande, esse appaiono segnate trasversalmente da strisce chiare e scure, distanziate l'una dall'altra da 1 a 2 Km, a seconda della lun­ghezza d'onda (2-4 Km). L'ascendenza sotto la banda praticamente continua lungo tutta la sua lunghezza. Tuttavia sopravvento alle stri­sce scure, che visualizzano il punto in cui la banda, in corrispondenza con la cuspide dell'onda, ha un maggior spessore, l'ascendenza è più

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forte. A volte pertanto conviene utilizzare l'ascendenza più intensa sopravvento alle strisce più scure volando trasversalmente alla ban­da, e seguendo così un percorso alla greca (zig-zag), con questo ac­corgimento si riesce a percorrere notevoli distanze anche contro vento.

Ai lati delle bande, cioè sul sereno, si hanno forti discendenze. Di ciò il pilota dovrà tener conto quando intenda abbandonare la banda.

16) Fenomeni ondulatori e di "termoonda" possono essere pro­dotti anche in seguito a confluenza e diffluenza di una massa d'aria canalizzata in una valle. In tal caso le variazioni della pressione stati­ca che si riscontrano sul piano orizzontale nelle zone di confluenza e

Fig. 171

diffluenza della massa d'aria, fanno entrare in oscillazione gli even­tuali strati stabili esistenti ad una certa quota lungo l'asse longitudinale.

La figura 170 sintetizza il fenomeno in una situazione invernale mentre la figura 171 rappresenta lo stesso fenomeno in una situazio­ne estiva. fo quest'ultimo caso, il vento convoglia fuori dalla valle l'aria calda, la quale, raggiunta la pianura, si solleva lungo il fronte costituito dall'aria più fresca ivi esistente. In tal modo l'aria calda sa-

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le fino al livello della inversione termica, dove si accoppia al movi­mento ondulatorio potenziandolo notevolmente.

Questo fenomeno è stato da noi osservato e studiato in Argentina nella zona compresa fra le valli di Calamuchita e de la Cruz, nella re­gione delle Sierras de Cordoba.

La figura 172 mostra tre formazioni cumuli formi associate appun­to ad un movimento ondulatorio generatosi nella zona di diffluenza della valle di Calamuchita con vento da NE.

Fig. 172

Per concludere l'argomento accenneremo a quelle "onde termiche" che si formano sulle regioni pianeggianti in particolari condizioni meteorologiche, intimamente legate alla convezione ter­mica, vogliam dire le "onde di cumulo" e le onde di "strade di nubi".

Un cumulo isolato che si sviluppi in uno strato dove il vento sia più forte che sotto di esso, costituisce un ostacolo al flusso dell'aria cir-

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H ~u---i ---------------

KUETTNER

Fig. 173

y

X KUETTNER

y

Fig. 174

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costante, e ciò dà luogo ad un regime quasi ondulatorio, caratterizza­to da correnti ascendenti molto calme, ma deboli, ubicate sopravven­to al cumulo stesso. _I piloti di volo a vela possono guadagnare quota in tali onde veleggiando esteriormente alla nube fino ad un'altezza superiore alla sua sommità (Fig. 173).

Perché il fenomeno si produca con una intensità sufficiente ad ac­consentire il veleggiamento, è necessario che il vento, dalla base di condensazione del cumulo, vada gradatamente aumentando con la quota di almeno 4 nodi ogni 1.000 metri, senza presentare importanti variazioni nella direzione (Kuettner, 1971).

Un altro tipo d'onda termica (Thermal Wave), molto più propizia per il volo a vela, è quella prodotta dalle strade di nubi in determinate condizioni. Quèste onde si estendono su più vaste regioni e, normal­mente, raggiungono maggiori altezze, ciò che permette di effettuare notevoli voli di distanza (Jaeckisch, 1968).

La figura 174 mostra un tale sistema. L'attività termoconvettiva si produce sotto uno strato stabile (generalmente sotto un'inversione termica). La direzione del vento in quota è pressoché perpendicolare a quella del vento regnante nello strato convettivo. ~l flusso nei bassi strati provoca l'allineamento della convezione in strade parallele alla direzione del vento. Se il flusso in quota raggiunge tina certa velocità, si genera un movimento ondulatorio, in fase con la dislocazione delle bande cumuliformi. Per poter utilizzare integralmente questo feno­meno, il pilota deve abbandonare la base di condensazione delle nubi e disporsi sopravvento alle nubi stesse, veleggiando come se fosse in termoonda (Fig. 174 Kuettner, 1971). _In tal modo è possibile rag­giungere quote di 5-6.000 metri.

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CAPITOLO VENTUNESIMO

IL· "NOMOGRAMMA" DI HERLOFSON

Un diagramma di grande importanza nella routine meteorologica pratica, merita di essere ulteriormente illustrato ai volovelisti. Questo diagramma da cui si traggono deduzioni sempre fondamentali per la prognosi, come già tutti sanno, si chiama in genere "diagramma ter­modinamico". Dobbiamo notare però che i modelli di diagramma termodinamico sono parecchi, ed in passato si può dire che ogni na­zione ne usava uno suo particolare. Molti vecchi diagrammi, però, pur rappresentando trasformazioni termodinamiche dell'atmosfera, non offrono il vantaggio dell"'emag~amma", del "tifigramma" e del "nomogramma"; i quali godono della proprietà geometrica in

. base alla quale la variazione di energia per unità di massa in una tra­. sformazione a ciclo chiuso, è proporzionale all'area racchiusa dalle curve rappresentanti il ciclo sul diagramma. Da questa proprietà geo­metrica segue che tutti i suaccennati diagrammi si possono considera­re equivalenti fra loro, potendosi derivare l'uno dall'altro mediante trasformazioni che conservino i rapporti fra le aree. ~l vecchio dia­gramma pseudoadiabatico di Stuve, usato in passato dal Servizio Meteorologico dell'Aeronautica ~taliana, non possiede con sufficien­te approssimazione le importanti proprietà geometriche cui abbiamo dianzi accennato, e, pertanto, prestandosi meno bene ai calcoli di carat­tere energetico, il suo uso è stato ormai definitivamente abbandonato.

Oggi per l'analisi dei radiosondaggi il nostro Servizio Meteorologi­co utilizza il nomogramma di Herlofson (figura 175). Ciò che princi­palmente differenzia questo diagramma da quello di Stuve, è il fatto che l'asse delle ordinate è inclinato di 45° rispetto a quello delle ascis­se. _In esso la temperatura è rappresentata in ascissa in scala lineare; mentre in ordinata è rappresentato il logaritmo naturale della pres­sione. Questo nomogramma è equivalente a un diagramma di Cla­peyron, avente come grandezze coordinate, la pressione e il volume, e Quindi, come in quest'ultimo diagramma, un'area vi rappresenta

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una energia. Agli scopi pratici, infatti, un centimetro quadrato rap­presenta 56,86 joule/kg oppure 0,0137 kcal/kg. _Il rapporto area/energia è riportato nel rettangolo sul lato sinistro in basso del diagramma.

Le isobare di _colore bistro (purtroppo in queste illustrazioni non si può vedere il colore) sono le linee rette orizzontali equiscalate di 10 mb e parallele all'asse delle ascisse.

Le isoterme (colore bistro) sono le linee rette, graduate in °C, equi-

distanti e inclinate dal basso a sinistra, verso l'alto a destra. Nel mo­dello del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica, esse sono poste in evidenza da fasce verdi e bianche alternate di 10 in 10 °C.

Le adiabatiche secche (colore bistro) sono linee leggermente ricur­ve, che intersecano l'isobara di 1.000 mb ad intervalli di 2°C. Esse hanno andamento da destra in basso, verso sinistra in alto. Le tempe­rature potenziali sono riportate in bistro, di 10 in l0°C, lungo il bor-

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do esterno del nomogramma e sui prolungamenti delle adiabatiche per aria secca.

Le adiabatiche per aria satura (colore violetto) sono le curve che intersecano l'isobara di 1.000 mb a intervalli di 2°C e divergono ver­so l'alto tendendo a disporsi parallelamente alle adiabatiche per aria secca.

_Il rapporto di mescolanza per aria satura (colore violetto) è rappre­sentato dalle curve tratteggiate, inclinate dal basso a sinistra, verso

9 g/K& 20°

Fig. 176

' '

25° 30° Temperatura

l'alto a destr:a e graduate (in grammi per chilogrammo di aria secca) lungo il bordo inferiore del nomogramma.

La curva "temperatura-pressione" in atmosfera tipo ~CAO è rap­presentata sul nomogramma mediante una linea spessa di colore bistro.

Sul bordo esterno del nomogramma, ed in colore nero, una scala graduata in migliaia di piedi consente di determinare l'altitudine in atmosfera tipo di ciascun livello barico.

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Sul bordo interno destro del nomogramma tre segmenti di retta (colore nero) paralleli fra loro e perpendicolari alle isobare del nomo­gramma, servono per trascrivervi, col simbolismo dell'O.M.M., il vettore vento ai livelli delle superfici isobariche "tipo", indicati da tondini. Analogamente, qualora si volesse scrivere il vettore vento ai livelli significativi, si provvederà a segnare dei tondini neri sui seg-

QI e: o ·-lii lii QI

""' Cl.

mb 700...&.-~~~~-I-~~~~~+-~~~~--~~~

800

900

T del punto di rugiada

fOOO

28_ g g

"' :"'O : lii 800m •n ! :;; ' ' :n· : QI . ' '

U.R.' 60% ' ' 10° 20° 30°C

Fig. 177 Temperatura

menti di retta in corrispondenza dei livelli ai quali si trascrivono i dati del vento.

Le curve adiabatiche per aria satura sono state calcolate in funzio­ne del rapporto di mescolanza. Le linee tratteggiate di uguale rappor­to di mescolanza (in grammi per chilogrammo di aria secca) hanno la stessa funzione delle lin~e isoigrometriche di uguale umidità specifica riportate nel diagramma pseudoadiabatico di Stuve.

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Dopo queste indispensabili premesse, servendoci del nomogramma di Herlofson, vedremo ora, a scopo illustrativo, come impostare uno di quei problemi che si possono risolvere anche ricorrendo al dia­gramma di Stuve: ossia il problema del pronostico preconvettivo, re­lativamente all'altezza della base di condensazione dei cumuli che po­tranno formarsi nella tarda mattinata. Seguiremo pertanto l'esempio pratico illustrato dalla figura 176, che rappresenta il sondaggio ter­modinamico dell'atmosfera. Si tratta della stessa curva di stato ripor­tata nella Fig. 60 relativa ad un identico caso risolto con l'impiego del

700 mb

Presa.

800 mb

10° 20°

Fig. 1.78

·. '

/

.. /"

'·Max

25° Temp.

di~gram~a ~i Stuve nel capitolo nono, che qui, per comodità dei no­stn lett?n, nportiamo nuovamente a scopo comparativo (Fig. 177). c_~mmceremo a tracciare .un'adiabatica secca in partenza dal livel­

lo pm alto dello strato stabile sovrastante l'inversione notturna di su­~er~icie al fine di co~~scere la temperatura che dovrà raggiungere l ana al suolo per lab1hzzare gli strati superficiali.

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Orbene, il diagramma ci indica che questa temperatura dovrà esse­re di 30°C. Trascorso qualche tempo dal raggiungimento di tale valo­re, la forte stabilità regnante dal suolo a 800 m d'altezza, sarà com­pletamente distrutta e l'attività termoconvettiva si svilupperà rego­larmente.

Ora dobbiamo trovare a che altezza le correnti ascendenti raggiun­geranno la temperatura del punto di rugiada per dar luogo alla con­densazione.

Procederemo come nel caso del diagramma di Stuve, e cioè, par­tendo dalla temperatura di rugiada al suolo, seguiremo verso l'alto la

ress.

800 mb

.. _ ......

20°

Fig. 179

linea tratteggiata indicante il rapporto di mescolanza fino alla sua in­tersecazione con la curva di stato. La base di condensazione dei cu­muli che si formeranno quando la temperatura in superficie avrà rag­giunto i 30°C, si trova a circa 2.400 m di d'altezza. Come si può rilevare dal diagramma di Stuve (Fig. 177) il risultato è .identico a quello del diagramma di Herlofson.

Facciamo ora l'esempio di un cumulo che si formi sotto una forte inversione termica di subsidenza anticiclonica. In questo caso (Fig

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178), i cumuli potranno formarsi regolarmente, contenuti nel loro sviluppo dalla sovrastante inversione. Nelle prime ore pomeridiane, però, quando la temperatura al suolo avrà raggiunto il suo valore massimo e la base di condensazione dei probabili cumuli si sarà note­volmente elevata, le correnti ascendenti raggiungeranno lo strato cal­do dell'inversione ed i cumuli non riusciranno più a formarsi. Si do­vrà pertanto pronosticare che, da questo momento, la condensazione cesserà e si avrà solamente termica pura, non più visualizzata da for­mazioni cumuliformi.

La figura 179 ci presenta un altro caso interessante, e cioè la dege­nerazione dei cumuli in uno strato di stratocumuli per la distensione della parte superiore dei cumuli stessi. Come già sappiamo, tale feno­meno si riscontra quando l'umidità aumenta gradatamente con la quota, fino a raggiungere il suo valore massimo sotto la base dell'in­versione termica. Questo caso lo abbiamo esaminato nel capitolo do­dicesimo parlando del pronostico volovelistico. Allora però abbiamo considerato l'andamento dell'umidità relativa con la quota, mentre in questo esempio abbiamo preso in esame l'andamento in quota del­la temperatura del punto di rugiada. Com'è facile capire, quanto più grande è la vicinanza tra la curva di stato e quella del punto di rugia­da, tanto maggiore è. l'umidità dell'aria e quindi molto probabile che la parte superiore dei cumuli si distenda e dia 1uogo ad una cappa di stratocumuli.

Riteniamo che quanto abbiamo detto fin qui sull'uso del nomo­gramma di Herlofson sia sufficiente per i fini pratici che ci siamo proposti. Certo l'esame della curva di stato per stabilire le condizioni di equilibrio dei vari strati atmosferici, delle inversioni termiche o delle isotermie, richiede un po' d'esercizio per coloro che sono abi­tuati all'uso del diagramma di Stuve. Ma con un po' di pratica, tutto diventa facile ed il passaggio al nomogramma di Herlofson non pre­senta problemi.

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CAPITOLO VENTIDUESIMO

LE MASSE D'ARIA

La diversa distribuzione dell'energia termica emanata dal sole e la diversa natura della superficie terrestre, conferiscono alle masse at­mosferiche distribuite sul globo differenti temperature ed un vario contenuto di vapore. Sono questi due elementi infatti che caratteriz­zano le masse d'aria, la cui classificazione è fatta in base ad un crite­rio essenzialmente geografico, tenendo conto cioè della regione dove la massa d'aria acquista le sue caratteristiche originali.

Risulta però che, prendendo parte alla circolazione generale atmo­sferica, queste masse vengono influenzate dalle diverse condizioni che incontrano nelle regioni che attaversano e subiscono pertanto graduali modificazioni nelle loro proprietà fisiche originali.

~n base a tali fatti, Bergeron, celebre meteorologo norvegese, in­trodusse nella letteratura meteorologica il concetto delle masse d'aria, stabilendone una doppia classificazione: la prima fatta in ba­se ad un criterio termodinamico, tenendo conto delle diverse influen­ze alle quali è sottomessa una massa d'aria dal momento in cui inizia il suo trasferimento dalla regione d'origine.

Nella seguente tabella trascriviamo la classificazione delle masse d'aria dal punto di vista geografico, con le denominazioni usate oggi per l'emisfero Nord:

Denomlnaziooe dd Sottotipi Zona di· origine

tipo principale

ARTICA Groenlandia, Spitzberg, Ma-ARIA ARTICA MARJTTIMA re dJ Barents.

A ARTICA Russia settentrionale. CONTINENTALE

TEMPERATA Atlantico settentrionale, O 1-NTERMEDIA Canadà, Russia conti.

ARIA FREDDA nentale, Penisola Bai ca· TEMPERATA (marittiina alca.

o o continentale)

INTERMEDIA TEMPERATA Atlantico settentrionale o

I O INTERMEDIA latitudine inferiore ai 45".

CALDA Russia meridJonale. (marittima

o continentale l

ARIA TROPICALE Zone delle Isole Azzorre.

TROPICALE MARITTIMA

T TROPICALE. Africa settentrionale, Asia CONTINENTALE· Minore.

A.RIA EQUATORIALE Fascia equatoriale.

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Per mettere in risalto le caratteristiche accessorie che acquistano le masse d'aria durante il loro cammino si usano i termini: "marittimiz­zata"; "continentalizzata"; di "foehn" (riscaldata per compressione adiabatica in seguito a movimento discendente); di ascensione forza­ta "Stau' - (per sollevamento su ostacoli orografici e conseguente raffreddamento per espansione adiabatica); di inversione (per raf­freddamento dovuto al suolo); di surriscaldamento (per contatto con la superficie calda).

Dal punto di vista termodinamico le masse d'aria vanno distinte in fredde e calde.

Si definisce "massa d'aria fredda" quella che nei suoi strati infe­riori è piu fredda della superficie (terrestre o marittima) sulla quale si muove. Ciò significa che quando la superficie terrestre cede calore all'atmosfera, questa si riscalda dal basso verso l'alto, provocandone la labilizzazione termica. Una massa di aria fredda, infatti è caratte­rizzata da un gradiente verticale instabile, generalmente quasi adia­batico secco, nonché dalla formazione di nubi cumuliformi spesso di notevole sviluppo verticale.

Per effetto del trasferimento di calore dal basso verso l'alto, dovu­to ai movimenti convettivi, le proprietà originali di una massa d'aria f.redda pertanto vengono gradatamente modificate.

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Si definisce "massa d'aria calda" quella che nei suoi strati inferiori è più calda della superficie sulla quale si muove .. In essa pertanto si ri­scontra un raffreddamento dal basso verso l'alto, raffreddamento che impedisce la formazione di movimenti convettivi e crea nell'at­mosfera uno stato di equilibrio stabile. Le masse d'aria calda tendo­no a mantenere le loro proprietà originali e si modificano solo negli strati inferiori. Esse sono generalmente associate alla formazione di nubi stratiformi.

Passeremo ora in rapido esame i vari tipi di aria che interessano, in tutte le stagioni, l'Halia, avendo cura di segnalare, di volta in volta, quelli che possono creare condizioni favorevoli al volo veleggiato.

Cominceremo da quelle masse d'aria artica, tipicamente invernali affluenti dal Nord, che si formano entro il circolo polare artico, e che talvolta, d'inverno giungono fino alle coste africane, apportando in tutto il bacino del Mediterraneo le temperature più basse dell'anno. Quando si tratta di masse di "aria artica marittima" giungono gene­ralmente come corrente da NW attraverso la Francia e, qualche vol­ta, dall'Europa Centrale, attraverso il Golfo di Trieste. Queste masse freddissime hanno uno spessore che varia da 3 a 6 km e durante la lo­ro affluenza generano vento forte e turbolento, accompagnato da ro­vesci di neve nell'alta Italia e da rovesci di pioggia con manifestazioni temporalesche isolate nel meridione.

L' "aria artica continentale", invece, giunge sempre sulle regioni mediterranee attraverso la "porta della bora", tra le Alpi ed i Carpa­zi, dando origine a quel forte vento da NE conosciuto col nome di "tramontana". Lo spessore verticale di queste masse artiche conti­nentali è inferiore a quello delle masse marittime, tanto che difficil­mente raggiunge i 3 km. Le nubi che accompagnano queste masse so­no del tipo stratocumuliforme, la quantità di precipitazioni è piccola. I venti di tramontana possono soffiare ininterrottamente anche vari giorni e si producono quando una zona anticiclonica staziona su gran parte del territorio russo.

Come abbiamo visto nei capitoli anteriori, queste invasioni inver­nali di aria artica danno luogo alla formazione di persistenti correnti dinamiche di pendìo e di movimenti ondulatori stazionari (spesso di grande interesse volovelistico) in tutte le regioni montane d'Italia,

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dove esistano catene orientate trasversalmente alla direzione del vento. Verremo ora a parlare con alquanta larghezza delle masse di "aria

temperata (o intermedia)", essendo queste, quelle che maggiormente interessano l'Halia in tutte le stagioni dell'anno. Esse affluiscono dal Nord sul territorio italiano; dove giungono notevolmente modificate nelle loro proprietà originali. Quando il loro spessore è inferiore a quello della barriera Alpina arrivano sui nostri mari attraverso le aperture esistenti all'Est tra le Alpi ed i Carpazi, ed all'Ovest tra le Alpi ed i Pirenei.

L' "aria temperata (intermedia) fredda marittima", proveniente dall'Atlantico, per il suo notevole spessore (da 3 a 5 km) supera spes­so facilmente la catena Alpina provocando quelle improvvise manife­stazioni temporalesche che specialmente di estate caratterizzano la valle del Po.

L'arrivo di questo tipo di aria, preceduto da forti venti maestrali, produce una serie successiva di rovesci e di schiarite, le quali costitui­scono quel tempo oltremodo variabile che in ~talia viene comune­mente definito come "tempo di marzo" che i milanesi chiamano "tempo da fiera". Durante la primavera, l'afflusso sulle regioni set­tentrionali della Penisola di queste masse fredde marittime, è dovuto allo spostamento della bassa pressione dell'~slanda.

Queste masse d'aria sono notevolmente instabili e durante la pri­mavera presentano buone condizioni per il volo termico in tutta la Val Padana. Sono caratterizzate dalla formazione di notevoli nubi convettive (cumuli e cumulonembi) spesso accompagnate da manife­stazioni temporalesche di natura frontale. ~n questo periodo (aprile­giugno) sono possibili nella Val Padana voli di distanza di una certa importanza in direzione Ovest-Est. .In estate, invece, queste situazio­ni sono associate ad una maggiore nuvolosità e producono pertanto piogge abbondanti, non certo favorevoli al volo termico.

L' "aria temperata (o intermedia) fredda continentale", di origine nordica, che nel periodo invernale arriva al mar Adriatico attraverso la via esistente tra le Alpi e i Carpazi, precipitando poi dall'altopiano Carsico con un forte vento grecale (bora) tra Ne NE, a causa della ri­strettezza di questo mare, non subisce in esso grandi modificazioni, il suo spessore è assai piccolo (a volte inferiore a 1.000 metri) e !'umidi-

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tà piuttosto scarsa. Queste invasioni sono pertanto caratterizzate da scarsa nuvolosità e sono favorevoli soltanto alla formazione di cor­renti dinamiche di pendìo, non permettendo il loro modesto spessore la formazione di efficaci movimenti ondulatori di sottovento. Lepre­cipitazioni che le accompagnano consistono per lo più in leggere ne­vicate.

L' "aria temperata (o intermedia calda marittima)" giunge dal Mediterraneo da Ovest, cioè attraverso la Spagna o la Francia, ed ar­riva sulla penisola notevolmente modificata rispetto alle sue caratte­ristiche originali. Questo tipo di aria apporta frequentemente forma­zioni nebbiose oppure piogge leggere e continue ed è nettamente sfa­vorevole al volo veleggiato.

L' "aria temperata (o intermedia) calda continentale" che giunge sulla penisola dai Balcani o dalla Turchia (con venti da NE e da E) è un'aria tipicamente estiva, che apporta un aumento sensibile di tem­peratura e spesso presenta buone condizioni per il volo a vela termi­co. Essa, infatti, è quasi sempre accompagnata da quelle caratteristi­che nubi convettive chiamate "cumuli di bel tempo", talvolta asso­ciate ad altocumuli e a cirri. Generalmente, con questo tipo di aria, le piogge sono scarsissime, e quando si producono sono quasi sempre generate da manifestazioni temporalesche locali.

Ci resta ora da dire dell' "aria tropicale", nelle sue varietà "marit­tima" e "continentale", che durante l'estate può invadere non solo il bacino del Mediterraneo ma risalire fino all'Europa settentrionale, mentre in inverno raggiunge raramente le coste meridionali della pe­nisola.

L' "aria tropicale marittima" giunge spesso con grande rapidità sul Mediterraneo dal Tirreno, attraverso la Spagna od il Marocco. Quando è accompagnata da venti occidentali forti, il suo spessore comprende quasi tutta la troposfera ed arriva sulla penisola conser­vando le proprie caratteristiche termiche e igrometriche. Quando in­vece, queste masse non hanno grande spessore verticale, non riesco­no ad invadere rapidamente la penisola e durante il loro passaggio sul Mediterraneo si arricchiscono di umidità raggiungendo poi il territo­rio italiano sotto forma di venti sciroccali caldi e umidi, con direzioni predominanti da SW a SSW. Queste situazioni non presentano nes-

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sun interesse per il volo a vela. _Infatti le nubi caratteristiche di tali masse di aria tropicale marittima sono del tipo stratiforme che pro­duce pioggerelle leggere.

Maggior interesse volovelistico presentano le masse d' "aria tropi­cale continentale", provenienti, dal Nord Africa con forte vento. Questo tipo d'aria, quando è accompagnato dalle condizioni che ab­biamo indicate nei capitoli anteriori, può dar luogo alla formazione di vortici in banda associati a strade di nubi cumuliformi di grande interesse per i voli veleggiati di distanza.

Quando invece, l'aria tropicale continentale invade lentamente il Mediterraneo, spostandosi debolmente nell'ambito delle disposizioni barometriche anticicloniche alle quali è associata, si sofferma sul mar Jonio, e vi acquista caratteri che dipendono dalla stagione dell'anno: marittimizzata, fredda e poco umida d'estate; marittimizzata, calda e ricca di umidità d'inverno.

La direzione predominante dei venti originati da questa aria tropi­cale marittimizzata è tra S e SE; essa non offre situazioni apprezzabi­li al volo a vela.

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CAPITOLO VENTITREESIMO

I FRONTI

Lo studio dei "fronti" o delle "superfici di discontinuità", come li definisce più esattamente la meteorologia, ha una importanza gran­dissima per il pilota di volo a vela, poiché appunto queste superfici danno origine ad un complesso di fenomeni atmosferici che ora favo­riscono ed ora ostacolano il volo veleggiato.

Orbene, in che cosa consistono le superfici di discontinuità? Ecco. Una brusca variazione di temperatura o di densità o di velo­

cità delle masse aeree suole determinare su due località contigue delle condizioni meteorologiche notevolmente diverse: la zona attraverso cui avviene il passaggio dell'uno all'altro strato dell'atmosfera e nella quale gli elementi meteorologici variano con grande rapidità viene chiamata "superficie di discontinuità".

Tali superfici sono inclinate sull'orizzonte e si spostano nell'aria con velocità di parecchio minore di quella assunta dalle masse atmo­sferiche contigue.

Orbene, si supponga ciò che nell'atmosfera avviene continuamente e cioè che due masse d'aria, una tropicale (calda e leggera) e l'altra polare (fredda e densa) abbiano ad incontrarsi: le due masse non pos­sono rimanere in equilibrio e nemmeno ~onfondersi o mescolarsi a caso. Si crea invece una superficie definita di discontinuità; ed avver­rà che la massa d'aria fredda per conseguenza del suo maggior peso, tenderà ad incunearsi sotto la massa calda che la "superficie di di­scontinuità" esistente tra l'una e l'altra, se non fosse influenzata dal­la rotazione terrestre, assumerebbe una posizione perfettamente oriz­zontale. Ciò non si riscontra anche per l'influenza esercitata su tali "superfici" dalla distribuzione dei venti e dalla discontinuità della densità: fattori questi che, fanno congiuntamente assumere alle "su­perfici di discontinuità", una posizione più o meno inclinata sull'orizzonte.

Per quanto riguarda lo spessore dello strato di transizione esistente

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era una massa e l'altra, diremo che esso è assai variabile; poiché, se la superficie è ben sviluppata, tale spessore può essere di soli 200 metri, mentre se si tratta di una superficie frontale diffusa, lo spessore dello strato di transizione può raggiungere anche un migliaio di metri. Ac­cade, quando si verificano certe condizioni ben note ai meteorologi, che tale superficie di discontinuità possa raggiungere e conservare per parecchio tempo l'assetto sopra descritto, mantenendosi sul medesi­mo luogo; come accade anche frequentemente che essa si sposti, quando si spostano le masse tra cui si è determinata.

Non sempre le superfici di discontinuità si estendono sino al suolo, e la zona interessata può essere anche molto ristretta.

Quando una superficie di discontinuità si estende sino al suolo, la

Fig. 180

linea seondo la quale la superficie interseca la terra prende il nome di "Fronte"(Fig. 180). Se esiste uno strato d'aria molto freddo vicino al suolo e nelle masse d'aria sovrastanti, meno fredde, ha luogo la for­mazione di una superficie frontale in quota; la linea dove la superfi­cie stessa interseca il piano costituito dall'aria fredda sottostante . prende il nome di "fronte superiore". Queste situazioni atmosferiche si producono quando un fronte freddo, superando una catena mon­tuosa, incontra nel versante sottovento aria più fredda (Fig. 181).

Le quattro principali masse atmosferiche (A, I, T, E) di cui abbia­mo parlaco nel capitolo precedente, sono, naturalmente divise in tre grandi superfici frontali: la superfiqie frontale artica, che separa l'aria artica dalla temperata; la superficie frontale tropicale, che se­para l'aria temperata dalla tropicale; la superficie frontale equatoria-

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toriale, che separa l'aria tropicale dall'aria equatoriale (Fig. 182). Nella pratica, invece di "superfici frontali" si dice più brevemente

"fronti". I tre fronti suddetti per la loro importanza dinamica, sono chiama­

ti "principali" perché separano masse d'aria profondamente diverse l'una dall'altra .. I fronti che invece si formano temporaneamente nell'interno delle masse d'aria sono chiamati "secondari". Il "fronte tropicale" è denominato anche "fronte temperato", oppure "fronte polare", come fa la Scuola Norvegese capitanata da Bjerknes.

ARIA MOL!O EBEDD.A.

Fig. 181

Questo fronte si verifica intorno al 55° parallelo, dove l'incontro tra l'aria polare fredda ed i venti caldi provenienti dalla opposta dire­zione, genera una forte discontinuità tra le due correnti. Tale discon­tinuità, inclinata verso il Polo Nord, salendo in quota, determina sul­la superficie terrestre una linea di intersezione, sulla quale si verifica­no rapide variazioni del vento e della temperatura, e che, come ab­biamo detto, la scuola meteorologica Norvegese distingue col nome di "Fronte Polare".

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Il processo che conduce alla formazione di una superficie frontale di discontinuità si chiama "fronto-genesi", mentre il processo inver­so, quello cioè che, in determinate circostanze, porta alla dissoluzio­ne di un fronte si chiama "frontolisi".

Oltre al fronte polare anche quello artico interessa direttamente le nostre regioni, dati i notevoli spostamenti in latitudine che pure esso subisce specialmente durante la stagione invernale. Il fronte artico, infatti, nella stagione fredda può scendere ad influenzare l'Italia, an­che per lungo tempo.

Normalmente i due fronti, artico e polare, distano tra loro circa 2.000 chilometri ed ognuno di essi agisce indipendentemente dall'altro. Quan­do per<? si avvicinano, la concomi- Po Lo

tanza delle loro azioni dà luogo a fenomeni che hanno una influenza fortissima sulle condizioni del tempo.

Le caratteristiche dei fronti fi­nora descritte sono valide per tutti i tipi; sia cioè che una massa d'aria fredda invada una zona preceden­temente occupata da aria calda; sia nel caso contrario, che una mas'sa d'aria calda invada una zo­

----

FRONTE E,llllAT()R/ALE E O U AT O·~ E

Fig. 182

na precedentemente occupata da aria fredda; o infine, sia nel caso che i fronti rimangano stazionari.

Ora diremo che, i fronti, in dipendenza delle loro caratteristiche particolari, della posizione dell'aria fredda rispetto all'aria calda e secondo il loro movimento, vengono distinti secondo la seguente classificazione, introdotta da Bjerknes:

a) Fronte freddo; b) Fronte caldo; e) Fronte stazionario; d) Fronte occluso.

Poiché per i volovelist; è importante conoscere i fenomeni che ca­ratterizzano questi tipi di fronti, è necessario parlare alquanto diffu­samente di essi:

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"Fronte freddo". Un fronte, lungo il quale una massa d'aria fred­da avanzante sloggia quella calda e la solleva incuneandosi sotto di essa, riceve il nome di "fronte freddo". La superficie di discontinui­tà di tali fronti è inclinata nel senso contrario a quello secondo cui es­sa si sposta ed è molto più ripida di quella dei "fronti caldi". Essa varia comunque, in dipendenza della velocità di movimento del fron­te. (Fig. 183).

La pressione atmosferica, in generale diminuisce prima dell'arrivo del fronte ed aumenta bruscamente dopo il suo passaggio.

TI vento aumenta notevolmente di intensità al passaggio della super-

I I I ·I

Fig. 183

calda :-

arta calda

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ficie frontale, subendo inoltre, una brusca rotazione verso destra: per esempio da una direzione intorqo a Sud ruota ad Ovest, o da SW a NWo da W a N.

La temperatura subisce una forte diminuzione, assieme alla umidi­tà relativa che pure, generalmente diminuisce .

.I sistemi nuvolosi che accompagnano l'irruzione dei fronti freddi dipendono dalle proprietà cinematiche e dinamiche dei fronti stessi e

. dalle condizioni di equilibrio regnanti sia nella massa calda pre­frontale che in quella fredda avanzante. La figura 184 illustra le for-

ARIA c=.::::::::77 CALDA

srABILE

Fig. 184

mazioni nuvolose che caratterizzano i fronti freddi con masse d'aria in distinte condizioni di equilibrio e pertanto non ci dilungheremo ul­teriormente sull'argomento.

Per quanto riguarda la velocità di spostamento dei fronti freddi, si può fare la seguente distinzione: quelli che si muovono lentamente o che rallentano la loro marcia, stazionando a volte per qualche tempo su una determinata zona, e quelli che invece si spostano rapidamente. Spesso questi tipi si trasformano dall'uno all'altro e nelle fasi inter­medie non è facile classificarli.

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Mentre i fronti freddi in lento movimento ed i fronti stazionari, non presentano che scarso interesse per il volo veleggiato, quelli che si muovono rapidamente, invece, costituiscono una inesauribile fon­te di energia termodinamica che il volovelista deve conoscere per po­tersi servire di essa quando l'occasione si presenti .. Infatti, gli alianti, volando nelle correnti termiche della zona prefrontale, oppure nella corrente dinamica che si genera lungo tutta la superficie di disconti-

,..._,, __ .__NISLIDR PtJSIZIONE DI VEl.EGGIAMENTD Diitso-i[ f:iioNrE f 1'N ltSs"ElizA-Dl Nui'I-

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Fig. 185

nuità in movimento possono mantenersi in volo molte ore e percorre­re col fronte notevoli distanze.

Le possibilità offerte da questi fronti si accrebbero poi quando il professor Georgii scoperse nella zona prefrontale quelle miracolose onde atmosferiche che già conosciamo e che i volovelisti possono vantaggiosamente sfruttare per guadagnare quota senza bisogno di avvicinarsi alla superficie di discontinuità. Tali onde vanno cercate a grandi altezze nella zona antistante al cumulo-nembo che accompa­gna il fronte.

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Gli studi e le esperienze su di esse costituiscono un importante compito per le future ricerche nel campo del volo veleggiato.

I fronti freddi che si muovono rapidamente si localizzano con rela­tiva facilità nella carta del tempo, mentre un osservatore attento, per i fenomeni che lo caratterizzano, può individuarli facilmente anche senza conoscere la situazione sinottica generale. Il cuneo che forma l'aria fredda avanzante in questo classico tipo di fronte è assai meno profondo di quello che si riscontra nei fronti freddi in lento movi­mento ed il bordo frontale del cuneo stesso è molto più ripido.

La sua velocità di spostamento varia tra il 70 ed il 900Jo di quella

Fig. 186

del vento geostrofico ed in qualche caso quest'ultimo valore può es­sere anche superato.

L'avvicinarsi del fronte è caratterizzato dalla formazione di nubi (As e Ac) che spesso si estendono sino a 150 km dalla linea frontale. La superficie di discontinuità è accompagnata da oscure nubi tempo­ralesche che coprono tutto il cielo.

Sul fronte avanzante di queste nubi si hanno delle fortissime cor­renti ascendenti e basterà portarsi nel loro ambito per trovare la pos­sibilità di percorrere centinaia di chilometri senza necessità di avvici­narsi alla superficie frontale di discontinuità. Bisogna però tener pre-

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sente il pericolo di essere "succhiati" dal temporale, nel qual caso, come vedremo in un prossimo capitolo, e la violenza delle correnti, e l'impeto delle precipitazioni (specialmente della grandine), e l'infu­riare delle scariche elettriche e la mancanza di visibilità, potrebbero costituire delle serie minacce per il pilota e per l'aliante. Si dovrà per­tanto cercare di mantenersi costantemente sul fronte avanzante del temporale, evitando di entrare nella nube. ~n questo modo, volando parallelamente alla superficie di discontinuità, si avrà la possibilità di percorrere, senza perdere quota, centinaia di chilometri.

Le figure 185 e 186 illustrano chiaramente la tecnica del volo fron­tale; non riteniamo pertanto necessarie ulteriori spiegazioni sull'ar­gomento.

Quello che qui vogliamo ancora aggiungere è che le superfici fron-

Fig. 187

tali non presentano una barriera continua di nubi temporalesche, bensì serie di cumuli-nembi allineati lungo la linea che costituisce il fronte. Per passare da una cellula temporalesca all'altra non ci si de­ve inoltrare nella zona compresa tra i due ammassi di nubi, dove re­gnano sempre fortissime correnti discendenti e dove è facile rimanere rinchiusi in volo senza visibilità; bensi ci si deve allontanare momen­taneamente dal fronte e cercare di raggiungere in volo termico, attra­verso la zona prefrontale, la cellula seguente, come è chiaramente il­lustrato nella figura 187.

Un'ultima importante osservazione. Capita spesso, nel corso di tentativi di voli di distanza, di incontrare lungo la propria rotta, su­perfici frontali stazionarie od in lento movimento, che il pilota, per

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continuare il volo, è costretto a superare. Diciamo subito che tali fronti sono generalmente difficili da attraversare per il fatto che la lo­ro superificie di discontinuità è poco inclinata e pertanto lo spessore del cuneo frontale è notevolmente ridotto. È facile capire che ciò im­porta un assottigliamento dello strato convettivo; il quale, in corri­spondenza con la superficie di discontinuità, è superiormente limita­to da una inversione termica che blocca le correnti termiche ascen­denti. L'importanza dell'inversione dipende dalla differenza di tem­peratura esistente tra le due masse adiacenti; comunque sia, però l'at­traversamento in aliante della superficie di discontinuità è possibile soltanto quando il limite tra le due masse non è troppo marcato e l'attività termoconvettiva riesce ad eliminare l'inversione. La figura 188 illustra il presente caso alle 10 del mattino quando i movimenti verticali sono ancora deboli ed il fronte non può essere attraversato; ed alle 14 del pomeriggio quando invece il cuneo frontale di disconti­nuità è stato completamente eliminato dal rimescolamento verticale delle correnti termiche e gli alianti possono agevolmente attraversar­lo in volo veleggiato.

Esaurita la serie di osservazioni sui fenomeni che accompagnano i

Aria calda

ORE 10

~ Aria calda

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wn.wntAwili!\wuAWNl»l\WJAVlvJk3>7H.WW/AWd\W/U&WllKw/J~\Xii/i&rJM. ORE 14-

Fig. 188

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vari tipi di "fronti freddi", veniamo ora a parlare dei "fronti caldi". "Fronti caldi". Si distingue con questo nome un fronte costituito

da una massa d'aria calda 'che in obbedienza a leggi fisiche ben note, supera, avanzando, una massa aerea più fredda dando così origine ad estesi sistemi nuvolosi, la cui larghezza varia tra i 150 ed i 1500 chilometri, interessando altezze che arrivano a 6.000 metri.

Nel fronte caldo la superficie di discontinuità è inclinata nel senso stesso secondo cui avviene il suo spostamento ed ha una pendenza molto minore di quella dei fronti freddi (Fig. 189).

Quando non trattasi di fronti stazionari, i fronti caldi avanzano con velocità che vanno dal 60 all'800Jo di quella del vento geostrofico.

Anche i fenomeni che si riscontrano nelle regioni attraversate da un fronte caldo dipendono dalle condizioni di equilibrio regnanti nel­le masse d'aria calda e fredda.

aw-ia aria fredda

~ Fig. 189

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Il passaggio su una data regione di un "Fronte caldo" cioè di una massa d'aria calda che rimpiazza una più fredda è caratterizzato dai seguenti fenomeni:

Si avrà su quella regione un aumento di temperatura, che presso il suolo è poco sensibile, mentre si rende più evidente di mano in mano che si sale in quota; inoltre l'aria calda si solleva lungo la superficie di discontinuità sopra l'aria fredda, si raffredda a sua volta e, essendo ricca di umidità, dà luogo a formazioni successive di cirri, di cirro­strati, di alto-strati e, finalmente di nembostrati che danno piogge

ARIA CALDA IlfS!AB.

Fig. 190

continue ed insistenti a cui tien dietro - anche quando il fronte caldo è passato - il persistere del cielo coperto e delle uggiose pioggerelle.

Quando la massa calda avanzante è instabile, nel settore posteriore della superficie frontale e precisamente nella zona degli strato-nembi, si riscontra la formazione di nubi cumuliformi e manifestazioni tem­poralesche, mentre nel caso di masse calde stabili le nubi sono del ti­po stratiformi. (Fig. 190)

Nell'uno e nell'altro dei casi sopra descritti, quando la massa d'aria fredda avanzante è instabile, si riscontra la formazione di cu­muli ed altocumuli.

I fronti caldi che non si muovono prendono il nome di "fronti cal-

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di stazionari". Per essi vale quanto si è detto a proposito dei fronti caldi in movimento, poiché l'ascesa di aria calda che dà luogo alla formazione dei sistemi nuvolosi dianzi illustrati, si verifica anche quando il fronte è stazionario.

Per quanto riguarda la distribuzione dei venti e delle precipitazioni nei fronti, è importante osservare che sul fronte caldo le piogge sono generalmente tranquille ed insistenti, mentre il vento cambia gradata­mente direzione, ma senza sbalzi improvvisi e violenti; sul fronte freddo invece, la mutazione del vento è rapida e la sua velocità è grande, le formazioni nuvolose sono meno vaste ma più dense, le precipitazioni più violente e copiose, intramezzate da schiarite carat­teristiche per la nitida visibilità, la temperatura scende con brusche variazioni e la pressione, durante e dopo il passaggio del fronte, regi­stra improvvisi e talvolta forti aumenti. ~n generale, poi, è da notare che, mentre i fenomeni atmosferici, che accompagnano il passaggio di un fronte caldo, interessano regioni molto estese, quelli che ac­compagnano il passaggio di un fronte freddo, interessano zone assai meno vaste ed hanno una durata notevolmente minore dei primi.

È facile capire che le correnti dinamiche prodotte dal lento solleva­mento di una massa d'aria calda lungo le superfici di discontinuità dei fronti caldi, non possono raggiungere la sufficiente intensità per acconsentire ad un aliante di veleggiare. D'altra parte lo sfruttamen­to delle correnti termiche che si generano nell'interno delle nubi con­vettive che accompagnano spesso i fronti caldi è reso praticamente impossibile dalla presenza degli spessi strati dì nubi basse che si for­mano nelle cappe inferiori, dove, per di più, abbondano le precipita­zioni. Possiamo pertanto affermare che i fronti caldi non presentano situazioni favorevoli al volo veleggiato. Qui ne abbiamo parlato per­ché è necessario che il volovelista ne conosca le manifestazioni per sa­perle distinguere da quelle che accompagnano i fronti freddi.

Dovremo dire ora dei fronti occlusi, ma ci riserviamo di parlarne diffusamente nelle prossime pagine, quando verremo a parlare delle perturbazioni.

Per completare l'argomento di questo capitolo formuleremo alcu­ne osservazioni sull'influenza che esercitano le catene montane sulle superfici frontali in movimento.

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Cominceremo col rilevare come i sistemi nuvolosi che accompa­gnano i fronti siano soggetti a notevoli perturbazioni quando attra­versano una catena montuosa sia per l'effetto frenante esercitato dall'incontro della superficie frontale con il versante sopravvento, sia per l'azione dissolvente esercitata dalle correnti discendenti nel ver­sante sottovento sulle formazioni associate al fronte. Tali fenomeni sono chiaramente illustrati dalle figure 191 e 192 che rappresentano rispettivamente le perturbazioni provocate da una catena montana durante il passaggio di un fronte caldo e di uno freddo.

Per quanto riguarda l'influenza esercitata dalle montagne sulla di-

Fig. 191 Fig. 192

stribuzione generale delle precipitazioni, ricorderemo che l'ascenden­za forzata di una massa d'aria lungo il pendio montano dà quasi sem­pre luogo a condensazioni di vapore acqueo e, per conseguenza, alla formazione di nubi.

È quindi intuitivo che, sopra i versanti montani esposti ai venti do­minanti, le precipitazioni rispetto alle altre zone, sono molto più fre­quenti ed abbondanti.

Quando lo spessore di una massa d'aria fredda in movimento è in­feriore all'altezza delle catene montuose verso le quali avanza, il fronte, non riuscendo a superarle, cerca di aggirare l'ostacolo, non

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diversamente da quello che fa una corrente d'acqua quando incontra le pile di un ponte.

È questo un caso che si verifica spesso in _Italia quando un fronte freddo proveniente da N non riesce a superare la barriera alpina. Al­lora le masse d'aria arrestate nella loro parte media, continuano ad avanzare ai due lati delle Alpi dilagando sulla penisola; da una parte attraverso il Golfo del Leone e dall'altra attraverso il Golfo di Trie­ste, per ricongiungersi dal lato sottovento della catena alpina e rico­struire il primitivo fronte d'aria fredda avanzante verso il Mediterra­neo centrale.

Pure naturale è l'azione esercitata dal cordone alpino sui fronti caldi provenienti dal Mediterraneo occidentale o dalla Francia, i qua­li vengono arrestati dalle Alpi nella loro parte centrale, mentre conti­nuano ad avanzare verso le coste tirreniche e l'Europa Centrale.

Terminando il nostro studio elementare dei fronti, non possiamo fare a meno di rilevare come le condizioni geografiche dell'~talia ed il suo ~otevole sviluppo in senso longitudinale, riducano grandemente le possibilità che le superfici frontali in movimento offrono al volo veleggiato di distanza. Ad ogni modo, per la loro grande importanza volovelistica, nei capitoli seguenti, esamineremo anche i fenomeni elettrici che si producono lungo i fronti, in modo che il volovelista possa scegliere, in base a norme scientifiche e con maggior speranza di successo, la zona migliore per il suo volo, senza essere costretto ad affidarsi al caso, poiché il volo a vela vuole essere una attività razio­nale e sistematica e non il prodotto di un giuoco di fortuna.

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CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

LE FORMAZIONI TEMPORALESCHE ED I FENOMENI CHE LE ACCOMPAGNANO

Nei precedenti capitoli abbiamo ripetutamente accennato alle for­mazioni temporalesche ed ai fenomeni che le accompagnano. L'im­portanza che queste formazioni hanno per il volo a vela è dovuta alle potenti correnti ascendenti che le caratterizzano; esse richiedono pertanto un'ampia trattazione, sia per quanto riguarda la loro natu­ra, sia per quanto riguarda i fenoqieni elettrici che vi avvengono.

L'atmosfera, anche in condizioni normali, si trova in stato di con­tinua tensione elettrica e, indipendentemente da ogni fenomeno tem­poralesco, essa è sede di notevoli cariche. L'aria può essere quindi considerata un enorme campo elettrico dove predominano le cariche positive, in contrapposizione con le cariche negative distribuite sulla superficie terrestre.

Orbene, in base ad una nota legge fisica, queste cariche elettriche contrarie dovrebbero neutralizzarsi reciprocamente. Se ciò non av­viene, e la diversità delle cariche si mantiene, è perché esiste un mec­canismo che agisce costantemente e fa sì che tale diversità di cariche persista. Questo meccanismo è costituito dalla cosiddetta radiazione cosmica, la quale produce la ionizzazione dell'atmosfera, vale a dire l'elettricità atmosferica. Anche le emissioni radioattive delle rocce terrestri contribuiscono alla ionizzazione dell'atmosfera, però in mi­sura assai minore.

Dunque, se la parte superiore dell'atmosfera è ionizzata positiva­mente, rispetto alla terra si produrrà un flusso continuo di molecole ed atomi positivi (ioni) verso la superficie terrestre, caricata negativa­mente. È facile capire, però, come anche la terra, per mantenere co­stantemente la sua carica negativa, debba essere alimentata continua­mente con elettricità negativa, poiché, in caso contrario, la diversità di carica esistente tra essa e l'atmosfera verrebbe ben presto elimina­ta. Orbene, il meccanismo che somministra la carica elettrica alla ter-

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ra è costituito dai temporali. Le nubi temporalesche sono cariche ne­gativamente alla base, e positivamente nella parte superiore. Un cumulo-nimbus, pertanto, può essere comparato ad un'enorme pila aerea, col polo positivo nell'incudine e quello negativo nella base di condensazione. Da questa formidabile pila aerea salgono verso l'alto le cariche positive, che contribuiscono ad alimentare la positività dell'atmosfera, e verso il basso, piovono le cariche negative che ali­mentano la negatività della superficie terrestre.

_Il potenziale elettrico dell'atmosfera risulta normalmente crescente dal basso verso l'alto, e ciò appunto per l'attrazione che la terra eser­cita sulle masse positive sparse nell'aria.

Si chiama "gradiente di potenziale" o "gradiente elettrico" la va­riazione di potenziale che si riscontra nell'atmosfera per ogni metro di altezza. Con l'aumentare della quota il gradiente di potenziale di­minuisce rapidamente, il suo valore è influenzato da moltissimi fatto­ri non sempre individuabili. Quando fa cattivo tempo, ad esempio, la distribuzione del potenziale nell'atmosfera diventa assai irregolare e la sua variazione con l'altezza assume spesso valori elevatissimi che, raggiungono spesso i 20.000 Volta per ogni metro di quota contro i 150 Volta che si riscontrano, invece, vicino al suolo, nei giorni di bel tempo.

È importante rilevare come le masse elettriche sparse nell'aria, per determinate cause si addensino in alcune regioni dell'atmosfera. È noto infatti come la presenza nell'aria di quelle cariche elementari chiamate "ioni" possa costituire, unitamente al pulviscolo atmosfe­rico, dei veri e proprii nuclei di condensazione, intorno ai quali si rac­colgono stille minutissime d'acqua o microscopici aghetti di ghiaccio, favorendo così la formazione delle nubi. Ma di queso fenomeno ci occuperemo ampiamente quando verremo a parlare del cumulonem­bo. Qui basti ricordare che le nubi possono essere sede di notevoli ca­riche elettriche e. che il loro potenziale può essere diverso non solo da nube a nube e fra nube e suolo, ma anche fra una zona. e l'altra di una nube stessa. Si comprende quindi facilmente come possano prodursi scariche elettriche, oltre che fra una nube e l'altra e fra le nubi e la terra, anche in seno alla medesima nube, dove due distinte masse elettrizzate a potenziali diversi possono determinare quei fulmini di

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cui i lampi sono la luce ed il tuono il rombo. Anche i velivoli posseggono una carica elettrica propria e può veri­

ficarsi il caso che un aeroplano venga a trovarsi in volo in una massa atmosferica a potenziale elettrico qiverso. Allora, se la rapidità di di­spersione della carica posseduta dal velivolo non è tale da uguagliare celermente il suo potenziale con quello dell'aria ambiente, si possono produrre scariche elettriche pericolose. Per questo è opportuno che i velivoli (alianti compresi) destinati a voli in quota e fra le nubi, siano muniti di uguagliatori di potenziale, atti a provocare una rapida di­spersione dell'elettricità statica di cui sono caricati. Tali dispositivi fondati sul noto potere delle punte si applicano in coda ed alle estre­mità alari e sono collegati con tutte le parti metalliche del velivolo. Negli aeroplani a motore i gas di scarico contribuiscono notevolmen­te alla dispersione dell'elettricità di cui sono carichi. _I residui dei gas combusti, infatti, allontanandosi dalla massa dell'apparecchio di­sperdono nell'aria una parte della sua elettricità. Osserviamo, tutta­via che gli uguagliatori di potenziale, pur dando buoni risultati in condizioni normali, non riescono sempre ad impedire che un velivolo venga raggiunto da un fulmine quando vola nell'ambito di una nube temporalesca con le conseguenze che ognuno può immaginare.

n problema concernente l'origine dell'elettricità che si sviluppa in seno ai temporali non può dirsi ancora risolto definitivamente. Sem­bra però ormai stabilito che la causa prima di questa elettricità sia so­prattutto dovuta alle forti correnti ascensionali che si producono nel­le nubi temporalesche. Senza voler approfondire le varie teorie sulla scorta delle quali è stata tentata una spiegazione dei fenomeni, dire­mo che quelle che oggi godono maggior credito sono quella della "rottura" di Simpson e quella della "cattura" di Wilson. Secondo Simpson la carica bipolare dei cumulonembi è dovuta all'effetto Le­nard, e cioè al fatto che al frazionarsi delle grandi gocce nell'interno delle nubi, durante la loro caduta, si separa l'elettricità negativa dalla positiva, e l'aria ascendente porta verso l'alto una carica negativa. Stando a questa teoria, però le nubi temporalesche dovrebbero essere negative in alto e positive in basso, mentre, come abbiamo detto, av­viene esattamente il contrario. Wilson ha dimostrato, invece, che le gocce, cadendo nell'interno della nube, catturano gran quantità di

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ioni negativi, mentre le correnti ascendenti portano verso la parte su­periore del cumulonembo gli ioni positivi. Pare perciò èhe questa teo­ria risponda, meglio della precedente, alla realtà dei fatti: tuttavia permangono anche riguardo ad essa molti dubbi e molti punti inter­rogativi. Sembra che le due teorie su accennate debbano considerarsi come complementari tra loro e che la verità, come già la virtù, debba ricercarsi in un giusto mezzo.

Le manifestazioni temporalesche, a seconda dei fenomeni fisici che le producono, possono essere divise in due grandi categorie, che ora specificheremo, distinguendo i casi che si possono presentare per ognuna di esse.

1) "Temporali frontali", cioè prodotti dal sollevamento di masse d'aria lungo i fronti, oppt,1re associati all'attività di una superficie di discontinuità fra due masse di aria caratteristiche distinte. Questi temporali sono di tre tipi:

a) "Temporali di fronte freddo", che sono i più intensi e di mag­gior interesse per il volo a vela;

b) "Temporali di fronte caldo" che si sviluppano a maggiori altez­ze e che difficilmente possono essere sfruttati dal volo a vela;

e) "Temporali prefrontali", che per cause diverse si sviluppano (come il loro stesso nome indica) nella regione prefrontale; sono ca­ratterizzati dalla loro estrema violenza, come, ad esempio, i torna­dos.

2) "Temporali di masse d'aria", cioè che si producono in masse d'aria omogenee e che son dovuti principalmente alle condizioni d'instabilità regnanti nelle masse stesse. Essi comprendono i seguenti tipi:

a) "Temporali termoconvettivi", che sono i più comuni ed hanno carattere locale; sono di grande interesse per il volo a vela;

b) "Temporali orografici", dovuti all'ascendenza forzata di masse d'aria lungo pendìi montuosi; pure interessanti per il volo a vela, quando la base di condensazione del cumulo-nembo è più alta delle montagne;

e) "Temporali di avvezione convergente", generati da masse d'aria convergenti orizzontalmente nel settore caldo di un ciclone; difficilmente sfruttabili dal volo a vela.

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Di questi tre tipi, quello che maggiormente interessa il volo a vela, è il temporale termoconvettivo. Es~o si produce nelle giornate estive, quando il suolo, fortemente riscaldato dalla radiazione solare, tra­smette calore agli strati inferiori dell'atmosfera.

La quale diventa in tal modo fortemente instabile e dà luogo alla formazione di intense correnti termiche, associate a nubi cumulifor­mi che assumono spesso aspetti imponenti. Quando le condizioni di in­stabilità e l'umidità regnanti sopra il livello di condensazione dei cumuli sono favorevoli, le cellule temporalesche non tardano a formarsi. La fi­gura 193 illustra, in una sezione verticale, uno di questi caratteri­stici temporali termici locali. La nube che in essi domina è il classico

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5000

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Fig. 193

cumulo-nembo, accompagnato da una più o meno grande quantità di· cumuli, distribuiti nella zona anteriore del temporale, la quale è facil­mente individuabile osservando la direZione del vento a 3.000 metri.

Questi temporali termoconvettivi, sono generalmente preceduti da prodromi inconfondibili, i quali permettono, ad un osservatore at­tento, di pronosticarli con relativa facilità, pur mancando i sondaggi termodinamici dell'atmosfera. Infatti fin dalle prime ore del mattino appaiono nel cielo ciuffi cumuliformi sparsi, o bande di altocumulus castellatus; la temperatura è molto alta per quell'ora; i venti sono soavi o calmi; ben presto si formano cumuli imponenti e, nelle prime ore del pomeriggio, la pressione atmosferica denuncia una rapida ca-

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duta. Quando si riscontrano queste condizioni è facile preannunciare la formazione dei temporali termici locali per le ore pomeridiane.

È interessante rilevare che durante la fase preliminare in cui il tem­porale si sta formando, il vento converge verso il settore del cumulo­nembo. Quando invece iniziano le precipitazioni la caduta della piog­gia e dei cristalli di ghiaccio raffredda l'aria in superficie dove si regi­stra un brusco aumento di pressione (dell'ordine di alcuni millibar) unitamente al cambio della direzione del vento, che da questo mo­mento comincia a soffiare dalla zona centrale del cumulo-nembo ver­so l'esterno. Poiché i fenomeni che si riscontrano nel cumulo-nembo sono gli stessi che caratterizzano qualsiasi tipo di temporale, dovre­mo parlare di questa classica nube (già tante volte citata nel corso di quest'opera) con alquanta larghezza.

Cominceremo col distinguere, nella vita del cumulo-nembo, tre fa­si fondamentali: 1) la nascita della nube; 2) lo sviluppo ed il successi­vo inizio delle precipitazioni; 3) la dissoluzione. 1 a fase: Nascita del cumulus. Per le cause termiche e dinamiche che già conosciamo, ha luogo la formazione del cumulus .. Infatti, in que­sta fase iniziale la struttura interna della nube è omogenea: ogni sua parte è percorsa da correnti ascendenti. Mancano, durante questa fa­se le precipitazioni. .11 calore liberato dal processo di condensazione fa aumentare rapidamente lo squilibrio di temperatura e di densità esistente tra la nube e l'aria che lo circonda, favorendone il rapido sviluppo ed incrementa.odo la velocità delle correnti ascendenti. Fin­ché permane questa omogeneità di struttura e non cominciano le pre­cipitazioni, si dice che la nube è in condizioni di "stabilità colloidale".

Come già sappiamo, in questa fase i cumuli non presentano nessun pericolo per i volovelisti. Essi sono facilmente riconoscibili per le lo­ro basi orizzontali e perfettamente definite, nonché per il fatto che si vanno sviluppando verticalmente e simmetricamente e le loro cime presentano l'aspetto caratteristico del cavolfiore. ~noltre le superfici della nube si mantengono compatte ed i suoi contorni si staccano chiaramente nel cielo. (Fig. 194 - A). 2a fase: Ulteriore sviluppo del cumulus ed inizio delle precipitazioni. Le energiche correnti ascendenti che percorrono la nube e il rapido

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progredire della condensazione, la portano rapidamente a quote do­ve regnano temperature sotto zero. Tuttavia la omogeneità di struttu­ra segnalata nella prima fase di formazione del cumulus può rimane­re fino a quando la temperatura interna della nube non discende sot­to il livello di -l2°C, che è quella a cui le goccioline d'acqua sopraffu­se cominciano a congelare. (V'é però da tener presente come il velivo­lo, il quale si trova ad attraversare il cumulo in tali condizioni vada

Fig. 195

soggetto ad incrostazioni di ghiaccio fin dalla isoterma di 0°C). È questa la fase del cumulus congestus; il quale, se possiede sufficiente energia interna, si trasforma rapidamente in cumulonimbus. Durante questa evoluzione, la nube perde la sua classica struttura cumulifor­me: le sue protuberanze non si staccano più nitidamente nel cielo e la sua parte superiore si trasforma fino ad assumere l'aspetto di un'in-

cudine (Fig. 195). Quando le correnti ascendenti hanno raggiunto una cappa molto stabile e sono pertanto frenate ed obbligate ad estendersi

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orizzontalmente, le cose cambiano notevolmente. Superato il livello di

-l 2°C, le stille d'acqua che costituiscono la nube cominciano a tra­sformarsi in minutissimi cristalli di ghiaccio, i quali, poi, riunendosi, danno origine a larghi cristalli di neve, che raggiungono una mole ed un peso tale da determinare la caduta. Vengono così a trovarsi nello stesso ambiente goccioline d'acqua, cristalli di ghiaccio e fiocchi di neve; cioè elementi che si trovano in fase fisica distinta. H vapore ac­queo che circonda le goccioline si condensa o sublima sui cristalli di ghiaccio, i quali aumentano di peso e precipitano: la nube entra nello stato di "instabilità colloidale", ed in questo punto termina la fase iniziale della vita del cumulus congestus e comincia quella che costi­tuisce il temporale propriamente detto. In questa seconda fase vien meno quella omogeneità di struttura interna, che si era osservata nel­la fase iniziale della nube. Adesso, infatti, nella massa nuvolosa che costituisce il cumulonembo è dato osservare la formazione di due zo­ne caratterizzate da fenomeni contrastanti: una zona anteriore calda, percorsa da correnti ascendenti, e una zona posteriore fredda percor­sa da correnti discendenti. Tra l'una e l'altra è una terza zona, diffe­rente per il grado di temperatura dalla prima e dalla seconda e carat­terizzata da una vivace turbolenza, dovuta al confluire ed al confon­dersi in essa dei moti contrastanti delle zone attigue. È appunto in questa zona che si riscontrano le raffiche più forti di venti, le quali, col progredire della vita della nube, vanno spostandosi sempre più verso la zona anteriore di essa, restringendo sempre più la zona delle correnti ascendenti. È frequente il caso di formazioni di scariche di grandine nel­la seconda fase della nube testè descritta ed illustrata nella figura 194-B.

Per quanto riguarda i fenomeni elettrici, le osservazioni di vari vo­lovelisti, che hanno volato in seno ai cumuli temporaleschi, hanno permesso di accertare alcuni fatti, che hanno notevole importanza per la condotta del volo veleggiato nell'interno di queste nubi: e i fat­ti sono questi, che nella parte inferiore del cumulo-nembo, le scariche sono poco frequenti e non riescono a costituire un pericolo serio per l'aliante che si trovi a volare dentro di esso; che le scariche sono inve­ce molto frequenti nella zona di formazione del ghiaccio, compresa durante la stagione estiva, tra i 3000 ed i 6000 metri, cioè tra lo zero termico ed i -l2°C; che la zona più pericolosa per la scarica dei fulmi-

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ni sembra quella dello zero termico (d'estate 3-4.000 metri), ma che anche nella parte più alta della nube, la frequenza e la forza delle sca­riche sono notevoli. Altro fenomeno elettrico riscontrato particolar­mente nella zona di formazione del ghiaccio è quello conosciuto col nome di "Fuochi di Sant'Elmo", che costituiscono una scarica conti­nua prodotta dalla differenza di potenziale elettrico fra l'aliante e l'atmosfera in cui esso naviga, e che, soprattutto nelle zone più om­breggiate della nube, è visibile come effluvio luminoso.

Abbiamo già accennato come siano state escogitate parecchie dot­trine per spiegare i fenomeni dell'elettricità atmosferica. Ebbene, se­

lll

8000

6000 -122C

4000 ------01c·

2000

+ ..... + + ... ~ - - -

Fig. 196

condo studi recenti, che tendono a conciliare le dottrine del Wilson e del Simpson, bisogna ritenere che la parte superiore della nube sia ca­ricata positivamente, mentre quella inferiore lo è negativamente, ed inoltre che nuclei aventi cariche elettriche contrarie si vengono for­mando in quella zona della nube la cui temperatura s'aggira sullo ze­ro termico. A questo livello, data la possibilità di scariche elettriche orizzontali, i pericoli per l'aliante sono notevoli. Altre scariche poi sono possibili (queste, però verticali) tra il nucleo negativo sotto lo zero termico e quello positivo esistente sopra di esso, come pure tra la

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nube e il suolo e, a volte, anche tra una nube e l'altra. (Fig. 196). 3a fase: Dissoluzione del cumulo-nembo. - Intanto, col progredire

del tempo, la nube temporalesca si avvia alla fase finale. ~nfatti, il fronte delle precipitazioni va estendendosi sempre più verso la parte anteriore del cumulo, sempre più allargando per conseguenza la zona percorsa dalle correnti discendenti e sempre più restringendo quella delle correnti ascendenti, fino ad annullarla del tutto . .II cumulonem­bo perde a questo punto la compattezza della sua forma originaria, soprattutto nella parte inferiore, mentre l'incudine superiore conti­nua a svilupparsi fino all'esaurimento completo dell'energia disponi­bile nell'interno della nube, poi le precipitazioni cessano del tutto mentre il cumulo temporalesco si avvia al disfacimento (Fig. 194-C).

L'esposizione che noi abbiamo fatto delle varie fasi attraverso le quali si svolge la vita del cumulo temporalesco è stata di proposito ri­dotta al s:uo schema più semplice allo scopo di farle guadagnare chia­rezza. Bisogna dire però che, spesso, le cose non camminano così dritte e spicce. Le cellule temporalesche, infatti, se qualche volta pos­sono comparire isolate, spesso si presentano o contemporaneamente o in successioni di tempo molto vicine, così che il sistema fondamen­tale da noi descritto, va soggetto a delle variazioni notevoli, pur ri­manendo, ben s'intende, costanti le leggi che lo governano e unifor­mi i fenomeni che lo caratterizzano.

Ora le osservazioni, le dottrine, i fatti, che abbiamo raccolto fin qui, non sono per noi che premesse per giungere a conclusioni d'ordi­ne pratico, le quali debbono servire di norma per chi intende fare il volo veleggiato d'ampio respiro.

Rimane innanzi tutto confermato che il cumulo-nembo costituisce una importantissima risorsa per il volo a vela. Tuttavia, le possibilità che quella nube offre non rimangono identiche durante tutto il perio­do del suo sviluppo: grandissime nella fase iniziale, quando il cumulo è animato in ogni sua parte da forti correnti ascendenti che possono portare rapidamente l'aliante ad alte quote, quelle possibilità vanno di mano in mano riducendosi con lo svilupparsi della seconda fase, fino ad annullarsi del tutto nella fase finale. Se pertanto può essere indifferente, nella fase iniziale, volare all'interno di esso, da una par­te piuttosto che dall'altra, sempre che il pilota sia allenato al volo cie-

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co ed abbia a bordo gli strumenti necessari, la cosa cambia assai nelle altre fasi della vita del cumulo-nembo, dovendosi qui tener presente che il fronte della pioggia segna press'a poco, la linea di separazione

tra la zona delle correnti ascendenti e quella delle correnti discendenti. Risulta chiara, quindi, la convenienza per il pilota di tenersi in volo sulla parte anteriore del cumulo, evitando quella posteriore, e, ancor più, la zona intermedia di turbolenza, per il pericolo creato quivi dal­le forti raffiche che vi infuriano.

Un altro pericolo che il pilota·saggio non deve ignorare né sottova­lutare, è quello delle incrostazioni di ghiaccio, le quali non solo appe­santiscono il velivolo (di cui deformano anche il profilo alare) ren­dendone faticoso il volo, ma ostacolano pure il regolare funziona­mento degli organi di comando e degli strumenti di bordo. Buona norma per il pilota veleggiatore che intenda volare nelle nubi tempo­ralesche, sarà quella di cospargere l'aliante con glicolo antighiaccio prima dell'involo.

Come abbiamo notato più addietro, il fenomeno delle incrostazio­ni di ghiaccio si riscontra tra le isoterme di 0°C e -12°C, le quali, sup­pergiù, si trovano fra i 3000 ed i 6000 metri d'altezza.

~nfine il pilota deve tener presente anche il pericolo costituito dalle scariche elettriche, che suole presentarsi più grave - come già si disse -intorno allo zero termico, e cioè alla quota di 3-4000 metri. Al quale riguardo noi riteniamo indispensabile, come già accennammo, che gli alianti destinati al volo nelle nubi siano muniti di uguagliatori di po­tenziale, aventi la funzione di evitare che gli alianti stessi assumano forti cariche elettriche proprie.

Al termine della nostra rapida rassegna sulle nubi temporalesche, rileviamo che i volovelisti non devono sottovalutare o addirittura di­menticare le difficoltà ed i seri pericoli che si riscontrano· nella con­dotta del volo entro o sui margini dei temporali. Crediamo doveroso concludere dicendo che imprese del genere non debbano venir tentate da piloti di volo a vela con spavalderia incosciente; ma con severa preparazione. Infatti, solo un aliante solido, un pilota espertissimo, un equipaggiamento studiato in tutti i particolàri, possono offrire la speranza di una buona riuscita, che sia premio all'ardimento e rechi reale vantaggio al progresso del volo a vela.

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CAPITOLO VENTICINQUESIMO

LE PERTURBAZIONI ED I CENTRI D'AZIONE

Non molti anni fa, i meteorologi davano alla formazione del ciclo­ne unicamente una causa termica. Si ammetteva cioè che la tempera­tura assumesse sopra una data regione un forte aumento, che deter­minava conseguentemente il sollevamento di grandi masse d'aria e il formarsi di una zona minima di pressione, verso la quale confluivano dalle regioni vicine masse d'aria meno calde ad occupare lo spazio la­sciato libero dalle prime, scorrendo con moto rotatorio convergente verso il centro della zona stessa. Quando la colonna d'aria calda ascendente era sufficientemente umida, ad una certa altezza, per il diminuire della temperatura e della densità, raggiungeva il punto di saturazione e così avevano luogo la condensazione e le successive pre­cipitazioni.

Tale spiegazione puramente termica è oggi accettata per zone ri­strette e in particolar modo per le perturbazioni locali, ma non può sempre invocarsi per le perturbazioni di grande estensione .. In questo caso bisogna considerare le reazioni dinamiche che si sviluppano al­lorquando due masse di aria di natura diversa scorrono contigue, dando luogo alla costituzione di un fronte a carattere stazionario.

L'instabilità e la mobilità di queste superfici di discontinuità dan­no origine a quella serie di fenomeni meteorologici che costituiscono le perturbazioni o, come altrimenti si dice, i cicloni dinamici.

Questi sono i principi fondamentali delle moderne e più essenziali teorie per comprendere quella "teoria norvegese sui cicloni" che oggi indiscutibilmente rappresenta il più felice tentativo per risolvere scientificamente il problema della previsione del tempo.

Consideriamo ora la traccia sulla superficie terrestre di una qual­siasi superficie di discontinuità, costituita da due masse d'aria di tem­peratura e di stato igrometrico molto diversi (aria subtropicale prove­niente da SW ed aria polare fredda proveniente da NE). In una prima fase il fronte costituito dalle due masse ha carattere stazionario per-

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ché l'aria scorre parallela al fronte stesso. (Fig. 197-A). Quella fredda - a tratto pieno - scende da NE a SW, quella calda - a tratto vuoto -sale da SW a NE: tra l'una e l'altra sta la superficie di discon­tinuità disposta secondo una linea retta, parallela a quella delle cor­renti. Lungo la superficie di separazione esiste una notevole tensione tangenziale esercitata dalla differenza nella direzione dei venti.

È facile capire pertanto, che su tale superficie dovranno generarsi quei movimenti ondulatori di origine gravitazionale che già conoscia­mo e che, contemporaneamente, anche l'intersezione della superficie di discontinuità col suolo comincerà ad oscillare in senso orizzontale. In una seconda fase dunque, la linea indicante il fronte stazionario subirà una deformazione: si determinerà, cioè, una ondulazione. (Fig. 197-B). Se la tensione tangenziale esercitata dalla differenza nella direzione dei venti è sufficiente, questa prima onda diventerà instabile ed andrà man mano aumentando d'ampiezza.

Contemporaneamente a questa oscillazione orizzontale del fronte, si origina sulla cresta dell'onda, un "minimo" di pressione associato ad una convergenza ciclonica. Successivamente l'incurvamento de­terminatosi dalla parte fredda della corrente si va facendo sempre più profondo (Fig. 197-C), fin che il ciclone raggiunge lo stadio della pie­na maturità, rappresentato dalla figura 197-D. ~n questa fase centra­le, sono ben riconoscibili tre settori del ciclone, i quali, mentre questo si sposta nella direzione dell'aria calda, secondo la traiettoria comu­nemente seguita da tali meteore, faranno sentire la loro influenza successivamente sulla regione attraversata: un settore anteriore fred­do, un settore centrale caldo, un settore posteriore freddo più freddo anzi del primo; tra l'uno e l'altro settore, la linea di discontinuità de­marca due fronti, caldo il primo, freddo il secondo (Fig. 198). È da notare che su questo fronte i venti sogliono assumere una grande e· improvvisa vivacità di moti, che rapidamente si estingue: a cagion di questo fatto, il fronte freddo di un ciclone viene spesso designato col nome di "Linea dei groppi".

L'ansa man mano che progredisce verso Nord-Est sotto la spinta incalzante della massa aerea fredda, che contorna il settore centrale occupato da masse aeree calde, si restringe sempre più. (Fig. 197-E). L'aria fredda, infatti, essendo più pesante, tende ad incunearsi sotto

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la lingua d'aria calda (più leggera), che viene così progressivamente sollevata verso l'alto. Tale processo continua fin che le due linee di discontinuità vengono a sovrapporsi e la massa aerea calda rimane avulsa dalla corrente tropicale che la alimentava. Così il settore cen-

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trale caldo è scomparso presso il suolo, ove non si hanno che masse d'aria fredda, sia pure con caratteristiche alquanto diverse a causa della diversa origine: allora si dice che il ciclone è "occluso" e "fron­te occluso" è appunto quello che è dato dal sovrapporsi del fronte freddo e del fronte caldo durante l'evoluzione del ciclone. Il quale a questo punto, non ha affatto esaurito il suo ciclo di vita: infatti, scomparso totalmente il settore caldo centrale, non rimane che una linea che separa le masse aeree fredde del settore anteriore da quello posteriore; quando anche questa sarà scomparsa, il ciclone è ridotto a un puro vortice aereo, caratterizzato da acquazzoni intermittenti che va pian piano esaurendosi (Fig. 197-F): è la morte del ciclone. ~n­tanto le masse aeree calde e fredde, nel loro infaticabile respiro che rinnova e alimenta la vita sulla terra, riprendono il loro corso conti­guo e parallelo, separato nuovamente da una superficie di disconti­nuità. Dietro il primo ciclone se ne può formare un secondo, poi un terzo, poi un quarto, e ciascuno di essi evolve nella sua marcia da Sud-Ovest a Nord-Est, in modo che quando l'ultimo è prossimo ad esaurire il suo ciclo di vita il primo inizia la sua formazione.

L'intervallo di tempo richiesto perché un'onda ciclogenetica rag­giunga il suo massimo sviluppo, prima che cominci il processo di oc­clusione, varia fra le 12 e le 24 ore. L'evoluzione ulteriore si prolunga per 24 o 36 ore, ed anche più. Generalmente i venti raggiungono la massima potenza circa 15 ore dopo che il ciclone ha iniziato il proces­so di occlusione; dopo di che la perturbazione entra nella fase di atte­nuazione. (Fig. 199).

Il lettore, che ha avuto la costanza di seguirci fin qui, non solo sa ora che cosa si intende per "fronte occluso", ma è anche in grado di comprendere il significato della parola "perturbazione"; la quale al­tro non è che il complesso dei fenomeni meteorologici prodotti dai fronti freddo e caldo, prima, e dal fronte occluso, poi. A conclusione dell'argomento riportiamo nelle figure 200 e 201 la sezione verticale di un ciclone occluso nelle due condizioni in cui può verificarsi, e cioè: se l'aria del settore posteriore è più fredda di quella del settore anteriore, allora si insinuerà, per le leggi che ci sono ormai note, sot­to di questa, e il fronte occluso presenterà le caratteristiche atmosfe­riche di un fronte freddo; se si verifica, invece,la condizione oppo-

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sta, la massa aerea del settore posteriore si solleverà su quella del set­tore anteriore, e il fronte occluso presenterà le caratteristiche atmo­sferiche di un fronte caldo. Questa condizione, sull'Europa occiden­tale, è frequente d'estate; l'altra d'inverno.

Proponiamoci ora una domanda: donde provengono le perturba­zioni?

Vista in piano

8-9 Km

Sezione verticale lu.n,;o la 1inea CD

Fig. 198

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L'esame delle carte isobariche ci mostra in modo evidente che le perturbazioni provengono generalmente dall'Atlantico e che circola­no attorno a quei grandi tipi isobarici denominati "centri d'azione".

In che consistono i centri d'azione? Ecco: l'azione combinata dalla radiazione solare e dalla rotazione terrestre sulle masse d'aria, crea dei campi di pressione stabile, caratterizzati dalla formazione di grandi aeree anticicloniche e di vaste zone di bassa pressione, le quali persistono per qualche tempo nelle stesse regioni senza subire notevo­li variazioni. Questi grandi tipi isobarici stabili vengono chiamati ap­punto "centri d'azione" e fanno sentire la loro influenza sulle condi­zioni generali del tempo, in quanto che se si spostano dalla loro posi-

CICLONE OllMIL. GIOVANE CICLONE ONDUL. OCCLUSO

--- lsobar9 in superfici• ------Isobare if9 quota Fig. 199

zione media o se si verificano intensificazioni o indebolimenti nel campo della pressione, corrispondentemente si verifica un andamen­to anormale sopra una larga zona e per un tempo piuttosto lungo. Così per l'Europa, si è potuto stabilire che le condizioni generali del tempo dipendono, durante l'inverno, dalla posizione dell'anticlone delle Azzorre, dalla depressione dell'Islanda e dal massimo siberia­no; durante l'estate dall'anticiclone atlantico e dalle basse pressioni della Russia centrale.

Uno spostamento verso Est dell'anticiclone delle Azzorre determi­na un inverno ·mite sulla Spagna, sulla Francia meridionale, sul Me­diterraneo occidentale ed anche sull'Italia, per il provenire dalle re-

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Aria. calda

Aria meno t'redda Aria

Fig. 200

gioni tropicali di larghe zone d'aria marittima calda. Uno spostamen­to verso Nord dell'anticiclone Atlantico determina uno spostamento delle depressioni verso il bacino Mediterraneo e verso l'Europa Cen­trale, e dà origine a una stagione invernale copiosa di piogge e di ne­vi. Così, uno spostamento verso Sud della depressione dell'_lslanda cagiona un inverno mite ma abbondante di pioggia sui paesi dell'Eu­ropa meridionale.

_Il massimo siberiano, costituito da aria fredda e asciutta, suole ca­gionare sui nostri paesi dei periodi persistenti pi freddo asciutto e in­tenso. Per quanto riguarda l'estate in Europa, i meteorologi insegna­no che essa dipende sia dall'estensione che dalla potenza dell'antici­clone Atlantico: quando questo giunge dal Golfo di Guascogna ai paesi centro-meridionali dell'Europa, vi determina un'estate caratte­rizzata da notevoli calori e da un andamento calmo della stagione. È però da notare che i centri d'azione testè ricordati non sono tra di lo-

ARIA CALDA

Fig. 201

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EllrATIE ISOBARE" MEDIE

Fig. 202

ro indipendenti ma intimamente legati; il che significa che le modifi­cazioni di uno, sono in rapporto alle modificazioni dell'altro o più al­tri e che inoltre sopra i "campi stabili", costituiti da queste vaste zo­ne semipermanenti di alta o bassa pressione, che ricoprono per più giorni di seguito estese regioni, si sovrappongono degli individui iso-

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I ISOBARE MEDIE l_b..,_,_..~--....... ......, ...... ""'""'""""''~""""""""""'""""'"""'"' .............. .-.--_,,, ........

Fig. 203

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Fig. 204 Fig. 205

barici isolati e mobili, in continua evoluzione, denominati "campi perturbati", che hanno con i precedenti dei legami molto stretti di re­ciproca dipendenza e che perciò, ora per il sommarsi, ora per l'elider­si in tutto o in parte delle loro influenze, determinano nella situazio­ne generale del tempo delle condizioni che possono ritenersi come la risultante di queste varie forze operanti nell'atmosfera. (Figg. 202 e 203).

Ci resta infine da dire come l'esame di una serie di carte isobariche quotidiane successive possa mostrare che le perturbazioni circolano attorno ai centri d'azione lasciando nel nostro emisfero, le alte pres­sioni alla destra. Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo il centro d'azione che determina il percorso delle perturbazioni è l'anti­ciclone semipermanente delle Azzorre, il cui massimo si sposta in la­titudine secondo le stagioni (Figg. 204 e 205). _In queste figure sono tracciate anche le traiettorie medie delle perturbazioni provenienti dall'Atlantico.

È molto utile, che il volovelista tenga presente le notazioni soprae­sposte, che rappresentano delle conclusioni tratte da una lunga serie di accurate indagini e costituiscono delle norme semplici ed utili per sapersi orientare nella lettura dei bollettini meteorologici e per trarre . da questi le conseguenze pratiche che vi sono sottintese.

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CAPITOLO VENTISEIESIMO

IL TEMPO

L'analisi dei più importanti fattori, che concorrono a determinare i fenomeni atmosferici, ci pone ora in grado di comprendere come si formi quel particolare stato dell'atmosfera che si chiama "il tempo".

È possibile prevedere "il tempo"? _In altri termini è possibile an­nunziare in anticipo quello che sarà l'andamento dei vari fattori me­teorologici, che con le loro varie combinazioni e mutue influenze de­terminano lo stato del tempo?

È indubitabile che una tale previsione sarebbe immensamente uti­le, giacché nessuno ignora come tanta parte delle umane faccende siano legate alle condizioni del tempo. Per non dire altro, la salvezza dei prodotti agricoli e la loro minore o maggiore abbondanza, la sicu­rezza dei traffici per le vie del mare e, ancor più per quelle dell'aria, s.ono strettamente connesse con le condizioni del tempo.

È naturale quindi che un tale problema abbia appassionato fino dalle età più remote, gli uomini e che questi abbiano cercato per mille vie di strappare al cielo il segreto del suo domani.

Ebbene a che punto siamo nella risoluzione del problema? Senza dubbio, siamo ancora lontani da una soluzione integrale,

ma siamo sulla via per raggiungerla o, almeno andarle vicino. Così che, come è per ora ingiustificato l'ottimismo facilone di chi crede che la scienza possa, solo che lo voglia, rivelare oggi il tempo che fa­rà, magari, tra un mese, o tra un anno, così è ingiustificato il pessimi­smo sbrigativo di chi, per il fatto che anche i meteorologi talora sba­gliano e che le loro previsioni non sogliono andare più in là di pochi giorni, sentenzia senz'altro che anche le previsioni della meteorologia non sono cose da prendersi sul serio.

Sta il fatto che la previsione del tempo è un'operazione molto diffi­cile, perché essa presuppone come condizione necessaria una cono­scenza completa, o almeno molto vasta, dei fattori che agiscono nell'atmosfera e delle leggi che la governano. Se, infatti, in altri set-

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tori della realtà naturale la scienza riesce a prevedere infallibilmente l'avverarsi di un fenomeno, ciò avviene appunto perché del fenome­no stesso conosce tutte le cause e il tempo e il modo del loro agire. Una tale conoscenza manca tuttora nel campo della meteorologia, che - lo ripetiamo - è scienza giovane e ancor più nel campo della ae­rologia, che è scienza giovanissima.

Tuttavia, quando queste due scienze, approfondendo sempre più le loro indagini, moltiplicando i centri di osservazione e di studio dei fenomeni atmosferici, scevrando in base ad accurate statistiche quelli che sono dovuti a cause saltuarie da quelli dovuti a cause costanti, sa­ranno riuscite a rimuovere completamente il velo che finora cela al nostro pensiero le forze che agiscono nell'atmosfera e le leggi da cui sono disciplinate, allora saranno anche in grado di predire con cer­tezza il tempo che farà.

In attesa che si realizzi questo fecondo progresso scientifico, nel quale abbiamo ferma fede, vediamo quello che vi è ormai di acquisi­to nel campo della previsione del tempo.

Bisogna innanzi tutto tener presente che la previsione del tempo, per avere buone probabilità di avverarsi, deve essere contenuta entro limiti di spazio e di tempo molto ristretti. Perché - se è vero che il "tempo" è il risultato di molti fattori, i quali ripetono la loro origine molto di lontano, e che non si determinano mai d'improvviso ma at­traverso una più lunga successione di stati intermedi - è anche vero eh~ tali fattori subiscono in misura molto notevole l'influenza delle particolari condizioni geografiche dei diversi luoghi della terra e che presentano una grande variabilità. Quindi, una previsione che pre­tendesse di estendersi a vaste regioni e, peggio ancora a un periodo lungo di tempo, riuscirebbe inevitabilmente fallace. Senza dubbio, i bisogni dell'umanità esigerebbero la massima ampiezza e la totale certezza nelle previsioni del tempo: a ciò mirano gli sforzi della scien­za e l'organizzazione internazionale dei servizi meteorologici. Ma in­tanto è doveroso riconoscere che, pur nei limiti ristretti di spazio e di tempo sopra descritti, la meteorologia riesce ad emettere una vasta serie di presagi, dei quali·quelli verificatisi completamente sono in numero immensamente maggiore di quelli in tutto o in parte falliti; ciò prova la bontà dei fondamenti su cui basa le sue previsioni e la se-

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rietà delle sue deduzioni e giustifica la fiducia che in essa ripongono i popoli civili.

La previsione del tempo viene effettuata dai centri meteorologici disseminati ormai in numerose località di tutti i paesi del mondo. Ma l'idea di organizzare tra le nazioni civili il servizio di segnalazione e di previsione del tempo allo scopo di rendere più sicuri i traffici, risale all'astronomo francese Leverrier (1811-1877); il quale - avendo un fortunale terribile, il 14 novembre 1854, recato danni gravissimi alla flotta anglo-francese, che si trovava nel mar Nero per la guerra di Crimea - trovò, studiando il fenomeno, che sarebbe stato possibile prevederlo ed evitare quindi la catasfrofe. Ciò fece sorgere in lui il proposito di creare in Francia un centro che raccogliesse e coordinas­se le segnalazioni degli osservatori nazionali e stranieri allo scopo di formulare previsioni del tempo: nacque così il Bureau Centrai Mé­téorologique, che portò senza dubbio un notevole contributo agli stu­di meteorologici. Fu questo centro che pubblicò con regolare conti­nuità quelle carte sinottiche del tempo, già da altri ancora prima pre­conizzate e tentate che divennero in seguito di uso generale: consisto­no in una comune carta geografica, sulla quale, per mezzo di segni convenzionali, vengono indicati i dati meteorologici rilevati dagli os­servatori nelle singole località. Linee, di cui conosciamo già i nomi, congiungono i luoghi in cui i diversi dati assumono lo stesso valore: isobare, isoterme, isallobare e così via.

Da quell'epoca ormai remota i servizi meteorologici sono andati assumendo un 'importanza e uno sviluppo sempre maggiori. ~n tempi a noi più vicini, il nascere dell'aviazione e il largo impiego che di essa si fece nella prima guerra mondiale, fecero sentire la necessità di co­stanti e sistematiche segnalazioni meteorologiche, così che in tutte le nazionai si moltiplicarono i centri di osservazione e si perfezionarono

. i mezzi di ricerca e i servizi di informazione. Oggi, gli uffici creati per i presagi del tempo possono contare su una vasta messe di segnalazio­ni, che pervengono da ogni parte del mondo: su una grande celerità di servizi, che si effettuano in gran parte per radio, su una conoscen­za dei fenomeni atmosferici, che di giorno in giorno si fa più profon­da, grazie all'impiego dei satelliti meteorologici che trasmettono per televisione fotografie della struttura delle nubi per un'area più gran-

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de di un'intera perturbazione ciclonica, nonché all'impiego dei radar che permettono l'osservazione dei temporali e delle precipitazioni. Mediante queste più vaste e celeri ed accurate informazioni, gli uffici addetti ai presagi, sono oggi in grado di formulare dei pronostici che hanno, se non la certezza assoluta, almeno una grande probabilità di essere confermati dai fatti.

In Halia le previsioni del tempo per l'assistenza del volo vengono emesse dal Servizio Meteorologico dipendente dall'.Ispettorato delle Telecomunicazioni ed Assistenza del Volo del Ministero della Difesa­Aeronautica. A detto servizio sono affidate due serie di compiti: una concerne gli studi e le esperienze di meteorologia, l'altra invece atten­de ad elaborare i dati meteorologici ed alla formazione dei presagi del tempo. ~n base ai dati ricevuti per radio da tutte le stazioni meteoro­logiche d'.Italia e da numerosissime stazioni estere, viene redatta la carta sinottica generale del tempo, dalla cui lettura - vale a dire dall'analisi dei copiosi dati in essa contenuti - il meteorologo rileva gli elementi della previsione .. I dati vengono riportati sulla carta, in parte con numeri ed in parte con simboli, disposti intorno ad un cer­chietto che indica la stazione a cui si riferiscono (Fig. 206). Ritenia­mo interessante riportare nelle figure 207 e 208 i simboli principali adottati internazionalmente per la compilazione della carta sinottica generale del tempo e delle condizioni volovelistiche.

Per il lavoro di previsione i meteorologi si servono anche di quei diagrammi termodinamici che già conosciamo e di altre carte com­plementari. Tra queste ricordiamo le "carte delle isallobare", che, come vedremo nelle prossime pagine indicano le variazioni di pres­sione entro intervalli di tempo definiti; le "carte in quota" che indi­cano i cambiamenti della topografia isobarica con l'altezza e permet­tono di calcolare la velocità del vento ai diversi livelli e di conoscere la posizione delle superfici frontali; le "carte dei sistemi nuvolosi", che mostrano la nuvolosità di ogni stazione, lo stato presente del tempo, il genere delle nubi, le zone nebbiose e i diversi settori di siste­mi di nubi.

Sia dall'ufficio centrale di Roma che dai centri regionali, vengono emessi presagi di carattere generale che mirano a dare notizie del tem­po che farà, senza speciale riguardo all'una o all'altra branca dell';it-

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343

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tività umana, e presagi di carattere particolare che si propongono di giovare in modo speciale a questo o a quel bisogno, come, per esem­pio, al traffico aereo o al traffico marittimo, all'agricoltura o alla pe­sca. E siccome - lo abbiamo già notato - le condizioni del tempo so­gliono variare da luogo a luogo, in relazione alle diverse condizioni geografiche, così le previsioni del tempo vengono riferite a regioni

ASCENDENZE

t

T Deboli

DISCENDENZE J_ O ,5 - 1 m/s

STRADE DI NUBI

t t

lr l1f t

Moàerate Forti

lL 1lL 1-3 m/s più di 3 m/s

Sommità delle ascendenze

-0-0--0--~ Thermal wavas di pianura

~ Termoonda

~ Onde orografiche

VENTO H = Altezza alla quale il vento

spira.

LINEA DI CONVERGENZA E FRONTE DI BREZZA MARINA

' ' ' ' \ J I I 7 I I

ZONA DI TEMPO SIGNIFICATIVO I simboli specifici del tempo o delle nubi possono figurare nell'interno della zona; la freccia indica la direzione del movimento.

Fig. 208

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ben delineate e geograficamente uniformi, cioè: Valle Padana e ver· santi prospicenti, versante tirrenico, versante jonico, versante adria­tico, Sicilia e Sardegna. La previsione del tempo non si restringe a se­gnalare lo stato del cielo - sereno, misto, coperto, piovoso, ecc. - ma si estende a segnalare le fluttuazioni della temperatura, l'andamento dei venti alle quote medie e alte, lo stato Qel mare: a tutto ciò è pre­messa una descrizione sommaria della situazione isobarica esistente sull'Europa in quel giorno, ad una certa ora, ed una rappresentazio­ne, pure sommaria dello stato del tempo sull'Italia nello stesso gior­no ed alla stessa ora.

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CAPITOLO VENTISETTESIMO

LE PREVISIONI DEL TEMPO

La carta sinottica generale del tempo, le carte complementari ed i diagrammi termodinamici, costituiscono la base per la previone del tempo. Con questo materiale il meteorologo determina: a) il movi­mento degli individui isobarici e delle superfici frontali per il periodo di tempo che comprende il pronostico; b) i cambi di intensità che su­biranno tali individui isobarici ed i fronti; e) le variazioni che subi­ranno durante il periodo in esame le proprietà fisiche delle masse d'aria.

Il primo criterio per la previsione del tempo viene fornito dall'ana­lisi del tipo isobarico, che in un determinato momento, si è costituito sopra una determinata regione.

Tali previsioni sono giustificate dal fatto che lo stato del tempo è ancora collegato a variazioni dei fattori atmosferici - pressione, tem­peratura, umidità e via dicendo - ed inoltre dal fatto che tali variazio­ni, per quanto al profano possano sembrare capricciose, in realtà so­no interdipendenti e connesse tra loro, e spesso anche legate a cause costanti o periodiche, che imprimono alle loro manifestazioni un cer­to ritmo frequentemente riconoscibile. Chi, per esempio tien d'oc­chio il fattore "pressione", non stenta ad accorgersi degli stretti rap­porti che ha con la "temperatura", e coi "venti", e del fatto che, nel suo distribuirsi su la superficie terrestre, segue delle norme abbastan­za costanti, così da realizzare dei tipi isobarici che presentano ciascu­no speciali caratteristiche in rapporto allo stato del tempo.

È necessario che il pilota d'alianti conosca tali caratteristiche, per­ché mentre una tale conoscenza gli darà una giustificazione delle pre­visioni che legge nei bollettini meteorologici, gli fornirà anche un cri­terio scientifico per giudicare da sé la probabilità del tempo, nelle cir­costanze in cui non gli soccorrano le previsioni ufficiali.

Sappiamo già che cosa è il "ciclone"; tipo isobarico molto comune nella zona centrale a pressione più bassa che nelle zone circostanti,

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rappresentabile graficamente con un gruppo di linee curve, chiuse e quasi concentriche, ci danno l'idea di una conca (Fig. 209).

Nelle nostre latitudini i cicloni possono occupare aree molto vaste, ma di rado, al loro centro, la pressione scende sotto i 978 mb; altro­ve, però, la pressione è scesa in qualche caso a 960 e perfino a 936 millibar.

Gli studi meteorologici hanno potuto assodare che i cicloni si spo­stano seguendo press'a poco una direzione che va da Ovest ad Est, non senza però notevoli variazioni entro vasti limiti di latitudine. La loro velocità non segue regole fisse; si hanno dei cicloni stazionari e se ne hanno di quelli capaci di percorrere 800 km in 24 ore. Quello che si può dire a questo proposito si è che un ciclone si allontanerà ra­pidamente, se rapidamente è arrivato, e viceversa. Ad ogni modo, come regola generale, si può dire che i cicloni avanzano con velocità media di 50 km/h.

Non è cosa facile per il meteorologo prevedere come avverrà lo spostamento di un ciclone, e di conseguenza in che senso potrà muta­re il tempo, dato che il cammino di esso può subire variazioni, arre­sti, inversioni in seguito al mutare ed all'interferire dei molteplici fat­tori meteorologici. Qui ci limiteremo a dire che, per poter prevedere tali spostamenti e per poter pronosticare il tempo che farà, il meteo­rologo deve tener conto di molti altri elementi, quali le mutazioni av­venute nella pressione e nella temperatura durante le 12 o 24 ore pre­cedenti, l'andamento del vento in quota, le tendenze barometriche, e così via: la valutazione di questi dati esige una competenza che non può aversi se non da chi ha una conoscenza dei fenomeni atmosferici. L' "anticiclone" è pur esso un tipo isobarico molto comune, in cui -come sappiamo - la zona centrale ha una pressione maggiore di quel­la che si ha nelle zone circostanti, rappresentabile graficamente anch'esso da linee curve, chiuse, costituenti una ellisse, però piu al­lungata, in generale e meno regolare che nel ciclone. In quota le linee isobariche tutt'intorno degradanti ci danno l'idea di una montagna solitaria (Fig. 209 B).

Di solito nella zona centrale dell'anticiclone la pressione sale a 1026/1030 millibar, ma tale limite viene spesso superato, talora an­che in misura assai notevole, essendosi qualche volta registrate pres-

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sioni che toccavano i 1050 millibar. In questo tipo isobarico, general­mente i venti sogliono essere meno forti che nel ciclone anche quando sia molto notevole il dislivello barico tra il centro e la periferia.

Anche gli anticicloni subiscono degli spostamenti ma è tutt'altro che facile indicare la direzione loro, poiché essi si muovono secondo traiettorie assai irregolari. I meteorologi credono di poter affermare, però con molte riserve, che il cammino da essi più spesso seguito sul nostro continente sia di solito assai più lento di quello dei cicloni. Si nota anzi come frequente sia il caso che essi stazionino a lungo sopra una regione. Questa tendenza degli anticicloni a stabilizzarsi, deter-

CICLONE ANTICICLONE

A Fig. 209 B mina i relativamente lunghi periodi di bel tempo che si notano tanto d'estate che d'inverno, accompagnati nel primo caso da grandi calu­re, nel secondo da intensi freddi. Ma la possibilità di prevedere gli spostamenti degli anticicloni è assai scarsa, data appunto l'irregolari­tà delle traiettorie da essi seguite.

Tuttavia è molto importante osservare le formazioni anti­cicloniche sul nostro continente, perché intorno ad esse, di solito, ha luogo il cammino delle perturbazioni. Sappiamo che cosa è una "sac­catura": zona espansa di bassa pressione, coda prolungata di un ci­clone, la quale si insinua tra due zone di pressione alta, dando origine

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spesso ad un ciclone mobile .. In tal caso le isobare assumono la forma di una V e sono associate ad una superficie frontale. In esse la circo­lazione dei venti è sostanzialmente uguale a quella dei cicloni.

Sappiamo già che cosa è la "sella": zona di bassa pressione incu­neata tra due anticicloni vicini; ha una struttura molto somigliante a quella della saccatura, da cui tuttavia differisce per l'origine e per il fatto che le isobare assumono sempre la forma ad U.

Questa analogia della costituzione comporta un'analogia anche nelle condizioni di "tempo" che ne sono la conseguenza, e cioè fre­quenza di precipitazioni di carattere temporalesco, specialmente du­rante l'estate.

Sappiamo pure che cosa è un "cuneo" o "promontorio": zona di pressione alta, che, essendo derivata da un anticiclone, presenta ca­ratteristiche di "tempo" simili a quelle del tipo isobarico da cui pro­viene. Si ha quindi cielo sereno o comunque poco nuvoloso, predo­minio di venti divergenti, aria asch1tta e limpida, che consente un'ot­tima visibilità.

_I meteorologi hanno notato come sia frequente il caso che, entro il giro di 24 ore, la zona in cui si trova un cuneo di alta pressione venga occupata da una depressione: ciò spiega il fatto, rilevato anche dall'esperienza volgare, che quanto più nitida è la visione degli ogget­ti terrestri e più vivace il dardeggiare del sole, tanto più vicina suole essere la pioggia.

Conosciamo già il "pendio" come la zona in cui le isobare assu­mono un andamento parallelo, sì che la pressione appare digradante, con un ritmo più o meno rapido, secondo un dato verso. Notano i meteorologi che questo tipo isobarico reca con sé COI}dizioni di varia­bilità nel "tempo": quindi, l'atmosfera assume aspetto fosco ed è turbata da venti anche forti.

Accade talvolta che sopra una regione anche vasta si abbia una pressione pressoché uguale, sì che dall'uno all'altro margine si abbia un dislivello oscillante intorno al millibar. Si dice allora che si ha una "pressione livellata" .. In questa particolare situazione, essendo ridot­to a zero, o quasi, il gradiente barico orizzontale, non si avranno ven­ti sulla regione o, tutt'al più, se ne avranno di debolissimi a regime di brezza.

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Un altro criterio di grande utilità per le previsioni del tempo è co­stituito dallo studio dei cosiddetti "nuclei di variazione". Questi nu­clei presentano nei loro spostamenti, una certa costanza e regolarità, che invece manca ai cicloni ed agli anticicloni, ed offrono pertanto, all'analisi del meteorologo delle conclusioni abbastanza sicure.

Orbene, che cosa sono que!lti "nuclei di variazione"? Una cosa abbastanza semplice. Se per ogni stazione meteorologica confrontiamo la pressione os­

servata in un dato giorno.con quella osservata alla medesima ora del giorno precedente, rileviamo una differenza che può essere in più o in merio (tendenza barometrica): se poi si congiungono con delle linee continue le stazioni che in quel determinato intervallo di tempo han­no avuto una uguale variazione positiva e con delle linee punteggiate quelle stazioni, che nello stesso intervallo di tempo, avranno avuto una uguale variazione negativa, si sarà tracciata una "Carta isalloba­rica", dove salta subito agli occhi che le linee isallobare descrivono generalmente delle figure ellittiche, ben caratterizzate sia per una va­riazione positiva che per una negativa.

Possono aversi le isallobare di 24, di 12 o di 3 ore, a se­conda dell'intervallo di tempo scelto. La scelta di tale intervallo tra un'osservazione e l'altra, è in rapporto alla maggiore o minore parti­colarità di dati che si vuol ottenere.

Orbene, ci si domanderà, che cosa si può dedurre dalla osservazio­ne sistematica del cammino dei nuclei di variazione della pressione?

La risposta è ovvia. Suppongasi, per esempio, che sul fondo di una zona di bassa pres·

sione (area ciclonica) venga a sovrapporsi un nucleo negativo di va­riazione: su la regione occupata dal nucleo si registrerà un intensifi­carsi del fenomeno ciclonico, con la conseguenza di un peggioramen­to delle condizioni atmosferiche proprie di tale tipo barico, mentre, se vi si sovrappone un nucleo di variazione positivo si registrerà un attenuarsi del fenomeno ciclonico e il miglioramento delle condizioni atmosferiche, che sogliono essergli compagne.

Analogo ragionamento si può fare nel caso che il nucleo di varia­zione positivo o negativo venga a sovrapporsi a un fondo di alta pres­sione (area anticiclonica).

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Il fatto poi che i nuclei hanno con lo stato del tempo dei rapporti più stretti di quelli che possono avere cicloni ed anticicloni, unito all'altro fatto che i loro spostamenti avvengono con una notevole re­golarità su traiettorie quasi rettilinee, e che la loro altezza (massimo valore della variazione positiva) e la loro profondità (minimo valore della variazione negativa) variano in modo quasi sempre uniforme, fa sì che ad essi sopra tutto tenga l'occhio il meteorologo che si pro­pone di risolvere il problema delle previsioni del tempo. Poiché, infi­ne tali nuclei di variazione hanno di solito un'estensione assai limita­ta e, comunque più ristretta di quella delle situazioni bariche, così è possibile una più precisa demarcazione anticipata delle zone su cui la perturbazione atmosferica collegata al nucleo di variazione farà sen­tire il suo influsso ed i suoi effetti.

Con ciò che abbiamo detto non si è certo dato fondo all'argomen­to, ché molte altre considerazioni resterebbero da farsi, sia basate sull'esperienza, sia dedotte dalla scienza: a noi basta l'aver chiarito, crediamo, un punto fondamentale, su tale materia, lasciando a chi voglia saperne di più di cercare altrove più ampie risposte al suo desi­derio di sapere.

Un terzo elemento praticamente utilissimo per la previsione del tempo, è dato dallo studio sullo spostamento delle masse d'aria, ele­mento che, abbiamo già illustrato, nel capitolo relativo ai fronti e sul quale pertanto non ritorneremo.

Abbiamo riferito fin qui, sulla scorta dei maestri di meteorologia, i vari metodi di previsione, in base ai quali vengono redatte le carte del tempo. Tali metodi però non vanno considerati isolatamente, ma vanno intesi come costituenti un'unica branca di studio, data l'inti­ma interdipendenza e le relazioni che legano le "forme bariche", i "fronti", le "isallobare" .

. Infatti, se, ad esempio, oggi la sola conoscenza della distribuzione della pressione atmosferica non è più considerata sufficiente per defi­nire lo stato del tempo, essa è pur sempre ritenuta una base impor­tantissima per lo studio del tenfpo presente e per le previsioni future.

È evidente però che, anche se nel loro insieme le isobare danno un'immagine abbastanza esatta della distribuzione della pressione at­mosferica, non si deve considerare in modo semplicistico la zona di

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bassa pressione (B) senz'altro come apportatrice di brutto tempo e quella di alta pressione (A) di bel tempo. Ad ogni modo una zona di bassa pressione segnata su una carta sinottica, oltre che costituire un ottimo riferimento, è di valido aiuto nel perfezionare il tracciamento dei "fronti", essendo assodato come una zona di bassa pressione sia spesso la conseguenza di una perturbazione ciclonica .

. I lettori, che hanno avuto la costanza di seguirci fin qui, si saranno certamente resi ben conto delle difficoltà che presenta il lavoro della previsione del tempo e del copioso materiale di cui il meteorologo ne­cessita per poter formulare un presagio. Nel corso del nostro studio abbiamo a più riprese posto in rilievo l'assoluta necessità, per il pilo­ta volovelista, di possedere una buona cultura meteorologica ed ora c'è da scommettere che qualcuno dei nostri lettori, dopo aver durato la fatica di seguirci tra la selva degli insegnamenti, delle osservazioni, delle avvertenze da noi ammannite, sarà indotto a pensare che la me­teorologia sinottica è una cosa tutt'altro che facile e che la previsione del tempo è un problema piuttosto complicato se non proprio insolubile.

Per togliere dall'animo dei nostri lettori ogni scoraggiamento, di-. remo che l'affermata necessità di una seria cultura meteorologica, per il volovelista, non va intesa nel senso che egli debba, addirittura fare le previsioni. È soltanto necessario invece, che egli possegga la cultura meteorologica sufficiente per comprendere ed interpretare le informazioni fornite dal meteorologo.

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CAPITOLO VENTOTTESIMO . .

LA MODERNA METEOROLOGIA

~l lavoro di previsione meteorologica, che come abbiamo detto, fi­no a qualche tempo fa veniva effettuato graficamente, basandosi su carte elaborate a livello del mare, oggi è costituito in massima parte dall'elaborazione elettronica dei dati, utilizzando le equazioni e le leggi della termodinamica, della fluidodinamica e della fisica. ~noltre l'esplorazione sistematica ad alta quota, mediante moderne tecniche che utilizzano il radar, consentono di ottenere analisi tridimensionali dell'atmosfera che sono di grande ausilio per il previsore.

Va rilevato che in passato non era possibile fare le previsioni me­teorologiçhe a mezzo di calcoli matematici, perché non si disponeva di calcolatori capaci di svolgere le innumerevoli operazioni necessa­rie. Solamente ora infatti sono stati realizzati i computers elettronici veloci, indispensabili per raggiungere tale scopo. ~n tal modo si può fare una previsione della tendenza dell'atmosfera e si producono del­le mappe per intervalli di tempo successivi, che indicano i possibili cambiamenti delle condizioni meteorologiche. ~mmagini dettagliate di formazioni nuvolose trasmesse dai satelliti

allargano poi ulteriormente la possibilità di previsioni esatte. (Fig. 210). La previsione del tempo è diventata comunque un problema di elaborazione elettronica di dati e di statistiche "esatte", cioè senza errori di memoria. Per formulare queste previsioni è però indispensa­bile simulare nel modo più completo possibile il meccanismo dell'at­mosfera, mediante un modello che lavori con maggiore celerità dell'atmosfera stessa. Facendo poi coincidere il modello con lo stato dell'atmosfera in un determinato momento, si può sapere, ad esem­pio dopo un'ora, la situazione atmosferica di 23 ore dopo, e facendo lavorare il modello per 2 ore, si otterrà quella che sarà la situazione atmosferica dopo 46 ore, e così via. Poiché le apparecchiature elet­troniche operano oggi con tempi molto brevi, si potrebbe concepire un modello capace di fornire il rjsultato desiderato in un secondo.

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Tali risultati si possono conseguire però soltanto con modelli mate­matici, cui può essere conferita una struttura straordinariamente flessibile. Nel modello matematico infatti, lo stato dell'atmosfera è rappresentato mediante dati numerici corrispondenti a vari punti del­lo spazio (Fig. 211).

Per fare qualche esempio, diremo che al famoso centro meteorolo­gico tedesco di Offenbach, con l'impiego di palloni sonda si rileva_no, a differenti distanze dal suolo, i dati relativi alla temperatura, alla pressione ed all'umidità dell'aria, nonché alla direzione e velocità del vento. A questi dati locali si aggiungono quelli di altri 500 radioson­daggi termodinamici dell'atmosfera, effettuati da altrettante stazioni meteoròlogiche situate in punti diversi del nostro pianeta. Si tratta di 45.000 informazioni che affluiscono al centro di Offenbach ogni tre minuti. Per ognuna di queste informazioni sono necessarie 1.500 operazioni di calcolo, che devono essere ripetute 18 volte ogni ora; il che comporta ... miliardi di operazioni matematiche al giorno! È faci­le capire che qui gioca un ruolo importante la velocità e la capacità del calcolatore elettronico, senza del quale non si potrebbero rag­giungere i risultati voluti.

Nel mese di giugno del 1979 è stato poi inaugurato il Centro Me­teorologico Europeo di previsioni a medio termine (I O giorni com­plessivi), che ha sede nelle vicinanze di Reading nella provincia ingle­se del Berkshire. Questo centro dispone dei più moderni sistemi ci­bernetici di raccolta, analisi e valutazione complessiva, minuto per minuto, di oltre 5 miliardi di dati riguardanti la temperatura terrestre ed atmosferica, la forza e la direzione dei venti al suolo ed in quota, le formazioni cicloniche ed anticicloniche sull'intera superficie terre­stre. Il centro è collegato con i satelliti meteorologici che orbitano in­torno al nostro pianeta, cioè i "Meteosat" europei e quelli america­ni, ed è dotato del più potente e completo computer che sia mai stato messo in funzione in campo meteorologico. Nella figura 212 riportia­mo il primo satellite meteorologico americano, il NOAA-2, realizza­to per lo studio dell'ambiente. Esso dà informazioni sul tempo me­diante metodo tridimensionale e fornisce immagini diurne e notturne di cieli coperti di nubi, consentendo nello stesso tempo la lettura della temperatura degli oceani e dell'atmosfera.

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Fig. 210

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Ora i satelliti meteorologici sono equipaggiati con apparecchi foto­grafici che controllano continuamente le condizioni del tempo sulla terra. La previsione meteorologica sta diventando quindi ogni giorno più precisa ed accurata, tanto che oggi, specialmente gli americani, riescono a prevedere con notevole anticipo l'approssimarsi di tempo­rali ed uragani. La fotografia riportata nella figura 213 - cortesemen­te concessa dalla NASA - offre la veduta spettacolare del ciclone tro­picale Gladys, ripreso da bordo dell'Apollo 7, mentre le tre fotogra­fie riportate nella figura 214 illustrano le fasi evolutive di quel cata­strofico uragano denominato Agnes, che nel giugno del 1972 ha fatto tanto parlare di sé. Tali fotografie sono state riprese dal satellite.

L'utilizzazione delle fotografie di formazioni nuvolose riprese dai satelliti è di grande interesse anche per le previsioni volovelistiche. Negli Stati Uniti d'America Fritz e Lindsay hanno particolarmente studiato le nubi indicanti la presenza di movimenti ondulatori di sot­tovento.

Le fotografie dei satelliti sono di grande interesse anche per lo stu­dio delle nubi convettive, di cui sono state messe in evidenza le varie­tà nella loro organizzazione. Attualmente con i satelliti geostazionari (GOES), si otten~ono più di 24 immagini per giorno, con la possibili­tà di riprendere anche zone contenute in spazi molto ristretti. Dalle riprese fatte simultaneamente ~el visibile e all'infrarosso, si può sti­mare anche l'altezza delle nubi. T1lfto Ciò fa sperare in un considere­vole miglioramento delle previsioni anche in campo vòlovelistico, sia per quanto concerne il volo termico, sia per quanto riguarda il volo d'onda.

La maggior parte delle formazioni nuvolose termoconvettive os­servate dalle immagini dei satelliti, sono la conseguenza delle irrego­larità del suolo sottostante, delle variazioni del riscaldamento terre­stre da un punto all'altro, della presenza delle catene montane, ed in­fine delle differenti temperature fra la terra ed il mare. Studiando i dettagli delle configurazioni nuvolose di tali fotografie, è sempre possibile formulare giudizi e trarre interessanti deduzioni. Un previ­sore può infatti - per un determinato tipo di tempo - constatare come siano organizzati i cumuli, in quali zone possano formarsi in maggior numero, prevedendo inoltre dove il loro sviluppo verticale può dar

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Fig. 211

Fig. 212 ,359

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luogo a degenerazioni temporalesche. ~nfatti è stato cpnstatato che, quando si prevedono temporali nel corso della giornata, le zone dove essi hanno maggior probabilità di svilupparsi, sono quelle dove il cie­lo è stato sereno al mattino, mentre attorno è stato coperto. Ciò è spiegato dal fatto che le zone serene hanno già ricevuto una buona quantità di calore, mentre quelle coperte durante il mattino, sono ri­maste fredde.

Le fotografie ricevute dai satelliti, permettono quindi di stabilire le zone dove appariranno i primi cumuli; non solo, ma anche come gli

Fig. 213

stessi si organizzeranno. Sappiamo infatti come questa organizzazio­ne dipenda dalla direzione del vento, dall'umidità dell'aria e dalla stabilità atmosferica.

Per quanto riguarda le notevoli possibilità di prevedere oggi, con una certa esattezza, l'evoluzione del tempo a media scadenza, diremo che esse sono principalmente dovute ai seguenti fattori:

I) All'approfondita conoscenza dei meccanismi fisici che regolano i moti dell'aria, sia in grande che in piccola scala, nonché alle ormai

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Fig. 214

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complete conoscenze acquisite dai meteorologi sull'andamento delle cosiddette "correnti a getto".

2) All'introduzione del nuovo metodo di analisi dei modelli mate­matici che permette di impiantare, per ognuno dei fenomeni osserva­ti, le più complicate equazioni; le quali, risolte tutte contemporanea­mente, possono mostrare la tendenza evolutiva delle varie condizioni dell'atmosfera. Per poter raggiungere questo traguardo, non ci stan­cheremo di dire che sono stati necessari calcolatori elettronici con enorme potenza di calcolo. Essi sono i più sofisticati del mondo, con memorie enormi, in grado di trattare agevolmente l'immensa quanti­tà di dati necessari.

3) ~l terzo fattore del successo delle previsioni a medio termine è dovuto all'attuale approfondita conoscenza della cosiddetta "insta­bilità baroclina", ossia quel comp1esso di fenomeni che originano le perturbazioni.

~n ~talia il 1° luglio 1978, con atto ordinativo dello Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, si costituiva ufficialmente il Centro Na­zionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica (CNMCA), di­pendente dall'Ispettorato Telecomunicazioni ed Assistenza al Volo. Il nuovo ente, che costituisce il centro operativo del nostro Servizio Meteorologico, si articola fondamentalmente sulle attività tradizio­nali di "Analisi e Previsioni", "Climatologia e Documentazione", "Telecomunicazioni ed Elettronica". La struttura del CNMCA com­prende anche un settore con compiti di "Raccolta, Elaborazione e Diffusione" dei dati provenienti dal Centro Europeo per le previsioni a medio termine di Reading.

Con la costituzione di tale ente si sono operate anche da noi pro­fonde e radicali trasformazioni strutturali, connesse soprattutto con l'acquisizione di due nuovi e potenti elaboratori elettronici ~BM. E ciò con lo scopo di rendere più preciso ed agevole il lavoro di analisi, previsioni numeriche, l'elaborazione di dati in tempo reale e differito.

Certo in ~tali~ non disponiamo ancora delle apparecchiature elet­troniche necessarie per effettuare le previsioni a lungo termine come fanno i centri di Off enbach e di Reading. Tuttavia il Mini~tero per la Ricerca Scientifica si sta interessando attivamente perché l'~talia ven­ga dotata al più presto di un terminale abilitato per il collegamento

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con il Centro Europeo di previsione a medio termine, ed il Ministero dell'Aeronautica ha già messo a disposizione i locali per ospitare que­sto sistema di collegamento con il Centro di Reading. Una commis­sione tecnica, all'uopo costituita, ha già identificato le caratteristiche funzionali del terminale, che potrà svolgere questo genere di attività, non solo per l'aquisizione del necessario computer elettronico, ma

Fig. 215

anche per quanto riguarda il personale specializzato necessario e la sua gestione.

Va rilevato intanto che il Servizio Meteorologico italiano ha instal­lato da tempo nei propri Centri Regionali, speciali apparecchiature radar, sia per lo studio dei fenomeni temporaleschi, sia per seguire la rotta che percorrono i cumulonembi, nubi foriere di tempeste e di grandine. Con ciò si cerca di prevenire e possibilmente di scongiurare sciagure irreparabili per la navigazione aerea. Il radar offre infatti la

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possibilità di visualizzare e di analizzare la distribuzione delle parti­celle liquide e solide presenti nelle goccioline d'acqua, nella neve e nei chicchi di grandine, e permette nello stesso tempo, di effettuare una valutazione notevolmente precisa di quanta acqua si riverserà sulla terra. Il radar, che, come è noto, è stato messo a punto durante la 2" guerra mondiale, ha esteso notevolmente il campo delle previsioni meteorologiche dal limitato raggio visivo dell'osservatore (poche de­cine di chilometri) ad un raggio ben più vasto, che oggi è compreso fra i 300 e i 400 chilometri (Fig. 215).

È facile intuire, dopo quanto abbiamo detto fin qui, che oggi un moderno meteorologo deve essere anche un esperto matematico, poi­ché, sia pure con l'aiuto di elaboratori elettronici potenti e veloci, egli deve comunque essere in grado di creare quella serie di particolari equazioni che comprendano tutte le variabili dalle quali sia possibile risalire allo stato successivo dell'atmosfera.

Ora, per la meteorologia, lo scopo da perseguire nel futuro è chia­ro: migliorare i dati di osservazione, perfezionare i modelli matema­tici e potenziare ancor più i computers con memorie di grande capaci­tà .. In tal modo, pur continuando la meteorologia a ... non essere una scienza esatta, l'esperienza di questi ultimi anni ci permette tuttavia di affermare che un ulteriore miglioramento delle previsioni sarà an­cora possibile, soprattutto se i vari servizi meteorologici nazionali continueranno a concentrare i loro sforzi sulla previsione a breve sca­denza nell'ambito dei loro paesi, infittendo le maglie dei reticoli dei modelli matematici e perfezionando i procedimenti di calcolo.

_Intanto, dal I 0 luglio 1981, il Servizio Meteorologico dell' Aerona­tica Italiana ha adottato ufficialmente il sistema a modello numerico che permette di proiettare le previsioni meteorologiche in un futuro abbastanza esteso, acconsentendo di anticipare, sino ad 80 ore, non solo le previsioni su nuvolosità, base delle nubi, venti, precipitazioni e visibilità, ma anche di stabilire, in limiti geografici relativamente ri­stretti, le previsioni stesse.

Previsioni "oggettive", dunque, automatizzate ed espresse in nu­meri, con 11 dati caratteristici di 35 località italiane, senza più l'inter­pretazione, spesso incerta, dei meteorologi.

Il nuovo sistema a modello numerico è stato battezzato AFRODITE.

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Chi, come i volovelisti, è abituato a considerare con una certa cau­tela anche le previsioni a brevissimo termine (tanto più in regioni montane, caratterizzate da notevoli differenze nel microclima di zone pur vicinissime tra loro) chi, come chi scrive, ha imparato in lunghi anni a fare i conti con i capricci del tempo (volubile come ... la dea dell'amore) aspettava l'esordio di AFRODITE con un misto di spe­ranza, di diffidenza e di curiosità.

Il nuovo sistema, che tende a ridurre le valutazioni dell'uomo av­valendosi dei più moderni ritrovati cibernetici, distinto da una curio­sa sigla qual'è AFROD~TE, possiede in sommo grado tutte le carat­teristiche per eccitare acutamente l'interesse dei volovelisti. Ma, a scanso di equivoci, precisiamo subito che nulla esiste in comune fra questo metodo di previsione meteorologica e la ... dea dell'amore.

Infatti, il nome suggestivo di AFRODITE, altro non è che la sigla ricavata da "Automated Forecasted Refined Outputs and Technical Evaluetions"; che, in parole povere, vuol dire: "Previsioni automati­che da elaborazioni approfondite di documentazioni e valutazioni tecniche".

Dal 1 ° luglio 1981, al momento in cui scriviamo, il nuovo metodo di previsione è risultato esatto nella misura dell'800/o.

Se si tien conto del fatto che la meteorologia ... continua ad essere una scienza inesatta, questa percentuale di pronostici azzeccati può essere senz'altro considerata buona.

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CAPITOLO VENTINOVESIMO

LE PRINCIPALI SITUAZIONI METEOROLOGICHE SULL'IT ALIA

Per completare quanto abbiamo detto circa le previsioni del tem­po, ci pare utile ora schematizzare alcune tipiche situazioni che si producono con una certa frequenza sul nostro bel cielo d'_Italia, no­tando le condizioni che le sogliono accompagnare.

_I meteorologi della nostra Aeronautica Militare - continuando per anni e anni l'analisi delle carte sinottiche - si sono preoccupati di rico­noscere tali tipiche situazioni, a ciascuna delle quali corrisponde un "tipo di tempo". Una tale classificazione facilita evidentemente il la­voro del meteorologo, perché di mano in mano che l'una o l'altra si­tuazione si presenta, egli può prevedere il tempo che farà.

Per i fini pratici a cui mira l'opera nostra, ci limitiamo a riprodur­re, sulle tracce del Bernacca alcune cartine, ciascuna delle quali rap­preserita delle situazioni più caratteristiche, che le statistiche del Ser­

. vizio Meteorologico della nostra Aeronautica Militare registrano co­me più frequenti sulla zona che più ci interessa: ciò non è senza utilità pratica per i piloti volovelieri.

Tipo~ - Fascia d'alta pressione sull'Europa centrale

L'anticiclone delle Azzorre è congiunto con quello della Russia ed il bacino del Mediterraneo è per gran parte interessato da alte pres­sioni. Questa situazione meteorologica porta bel tempo con venti da NE su tutta la penisola, freddo d'inverno e caldo d'estate.

Le perturbazioni procedenti dall'Atlantico, circolano alla periferia settentrionale delle citate alte pressioni e non arrivano pertanto ad in­teressare il bacino del Mediterraneo (Fig. 216).

Dal punto di vista volovelistico questo tipo di tempo presenta spes­so buone condizioni per il volo a vela. Infatti, per il regime anticiclo-

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nico regnante su tutta la penisola, l'Italia diventa una sezione di sub­sidenza, che limita Io sviluppo verticale delle nubi convettive, evitan­done la degenerazione temporalesca.

Tipo II - Perturbazione da Nord-Ovest

L'anticiclone delle Azzorre è spostato verso sud e le perturbazioni

Fig. 216

dell'Atlantico entrano sul Mediterraneo attraverso la Francia appor­tando lunghi periodi di maltempo in tutta l'Italia.

È una situazione caratteristica dell'autunno e dell'inverno, che se­gue spesso alla situazione precedente quando si produce la rottura della fascia di alte pressioni che congiunge l'anticiclone delle Azzorre a quello della Russia.

Allora, le perturbazioni ruotano verso SE ed entrano così nel baci­no del Mediterraneo (Fig. 217), creando com'è facile capire, condi­zioni nettamente sfavorevoli al volo veleggiato.

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Fig. 217

Fig. 218

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Tipo III - Alta pressione sull'Europa nord-occidentale

Un anticiclone, centrato per lo più sulla Scandinavia, interessa l'Europa nord-occidentale mentre sul bacino del Mediterraneo re­gnano basse pressioni. Si produce allora sull'Italia un intenso afflus­so di venti nordici, quali la bora e la tramontana, con brusche dimi­nuzioni di temperatura e di tempo cattivi per parecchi giorni, specie sulle regioni settentrionali della penisola e su quelle del versante

Fig. 219

adriatico, dove si hanno spesso abbondanti nevicate. L'aria fredda di origine artica che fluisce da N e da NE s'incontra nel bacino del Me­diterraneo con aria più calda provocando la formazione di una su­perficie frontale lungo la quale si genera una serie di onde ciclogene­tiche (Fig. 218).

Tipo IV - Anticiclone sull'Europa sud-occidentale e mediterranea

È una situazione meteorologica caratteristica della stagione estiva che spesso dura anche varie settimane apportando sull'Italia, un pe-

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Fig. 220

Fig. 221

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riodo di tempo buono e di alte temperature. Gli eventuali cicloni di­namici provenienti dall'Atlantico circolano lungo il margine setten­trionale delle alte pressioni, ben lontani dal bacino del Mediterraneo dove fluisce aria tropicale (Fig. 219). Questa situazione, che i nostri meteorologi chiamano "situazione a ventaglio", offre spesso al volo veleggiato buone possibilità nel campo del volo termico.

Tipo V - Bassa pressione sul Mediterraneo centrale e sul Tirreno

Questa situazione si riscontra spesso durante le stagioni autunnale ed invernale ed apporta sul Mediterraneo e su tutta la penisola lunghi periodi piovosi con temperature piuttosto elevate. Essa si produce quando un'area depressionaria si stabilisce per qualche tempo sul · Mediterraneo centrale o sul Tirreno mentre l'Europa Orientale e le regioni del Medio Oriente sono occupate da aree anticicloniche (Fig. 220). Allora le perturbazioni associate all'area depressionaria suddet­ta, durante il loro cammino verso levante, vengono "bloccate" nel Mediterraneo centrale dalle alte pressioni e deviate cerso N e NE. ~n­tere famiglie di perturbazioni percorrono così lentamente tutta l'.Ita­lia apportandovi lunghi periodi di maltempo caratterizzati da piogge ininterrotte.

Questa fu la situazione meteorologica che nel novembre 1951 cau­sò la tragica alluvione del Polesine. Non occorre dire che essa è netta­mente sfavorevole al volo veleggiato.

Tipo VI - Anticiclone sull'Europa centrale

Un'altra tipica situazione è quella caratterizzata da un'area di alta pressione regnante sull'Europa centrale, che per la sua vasta estensio­ne arriva ad influenzare il bacino del Mediterraneo (Fig. 221). È faci­le capire come in questo "tipo" le perturbazioni atlantiche siano co­strette a ruotare intorno alla zona settentrionale dell'area anticiciclo­nica e come, pertanto, in quasi tutta la penisola, il tempo permanga buono. Durante le stagioni autunnale ed invernale le temperature so­no piuttosto rigide e nella Valpadana, si riscontrano frequentemente nebbie dense e spesse. Nell'estate, invece, si possono riscontrare neb-

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bie soltanto nelle prime ore del mattino, mentre per il resto della gior­nata il tempo è buono e fresco. Siffatte situazioni possono regnare anche per varie settimane e presentare, a cominciare dalle prime ore pomeridiane, buone condizioni per il volo termico.

Qui poniamo termine alla nostra fatica. Fatica modesta, quale poteva essere concessa alle nostre modeste

forze. Ma non per questo, meno appassionata, poiché çhi scrive sa di aver nutrito, fin dai suoi giovani anni, un grande amore per le ali si­lenziose e, necessariamente, un altrettanto grande interesse per quella scienza - la Meteorologia - che vale ad illuminare le vie e farne sicuro il volo.

Di questa nostra fatica, qual'essa sia, saranno soprattutto i giovani a valersene, poiché per loro soprattutto l'intraprese chi scrive.

Il quale riterrà di non averla male spesa, se essa avrà servito a por­tare anche solo di un metro più in alto e più lungi un'ala e un cuore italiani.

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BIBLIOGRAFIA

Walter GEORGII: Dispense del Corso di Meteorologia ed Aerologia applicate al Volo a Vela ed al Paracadutismo, svolto presso la "Escuela Superior de Meteorologia de la Naci6n" di Buenos Aires nell'anno 1949, raccolte a cura di Plinio Rovesti.

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J. BESSEMOUL~N & A. Y.IAUT: "Manuel de meteorologie du voi a voile". Editions Bionde) La Rougery - Paris - 1967.

N. GERBIER: "Le voi a voile en France en 1950". Notice d'instruc-. . tion techniques. Direction de la Météorologie Nationale - Pa­ris - 1950.

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G.A. FERRAR!: 'Termoonda in Italia". Atti del Congresso Scien­tifico Internazionale sulle correnti a getto e ondulatorie. Centro di Volo a Vela del Politecnico di Torino.

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Raoul BILANCINI: "Lezioni di Meteorologia sinottica". Estrat­to dal corso di meteorologia tenuta a Vigna di Valle nell'anno 1942-53 per gli Ufficiali Geofisici.

Edmondo BERNACCA: "Le previsioni del tempo". Editrice "La Scuola" - Brescia.

Plinio ROVESTI: "li volo veleggiato ed il suo regno". Edizione ex R.U.N.A. - Tipografia Manfredi - Varese (1939).

Plinio ROVESTI: "Tecnica ed arte del volo a vela". Edizione Alata -Milano (1947).

Plinio ROVESTI: "Meteorologia aplicada al Vuelo a Vela". Institu­to Argentino de Vuelo a Vela - La Cruz (C6rdoba) - (1952).

Plinio ROVESTI: Conferenze tenute ai Congressi di Meteorologia Applicata di Torino (4-6 giugno 1959), di Sauze d'Oulx (3-6 set­tembre 1962), ai Congressi O.S.T.I.V. 1963 e 1970 ed al Convegno di Meteorologia Appenninica tenutosi a Reggio Emilia nell'apri­le del 1979.

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FORECASTERS MANUAL FOR SOARING FLIGHT-0.S.T.I.V. 1978. (Riveduto e tradotto successivamente in francese dall'Orga­nizzazione Meteorologica Mondiale - Ginevra 1980). Questo manuale è stato preparato da una commissione composta da 17 meteorologi appartenenti a 12 paesi, capeggiata dal Dr. Joachim Kuettner.

Disegni di Franco Rovesti Fotografie di P. Rovesti - R. Tacchi - J. Ortner - R. Picchio R.I. Sanchez.

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INDICE DEL VOLUME

Prefazione del Presidente cieli' Ae.C.l. .............. . Capitolo I - La meteorologia ed il volo

Capitolo II Capitolo III Capitolo IV Capitolo V

Capitolo VI

Capitolo VII

Capitolo VIII Capitolo IX Capitolo X

Capitolo XI

Capitolo XII

Capitolo XIII Capitolo XI.V

Capitolo XV

Capitolo XVI Capitolo XVII

a vela ....................... . - La pressione atmosferica ...... . - La temperatura .............. . - L'umidità atmosferica ........ . - Stabilità e instabilità

atmosferica ................. . - Il meccanismo della

convenzione termica .......... . - Le inversioni termiche, le brezze

di mare, i fronti di brezza e le linee di convergenza ............... .

- Le nubi ..................... . - I cumuli .................... . - Le moderne teorie del proces-

so termo-convettivo e sullo sviluppo verticale delle nubi cumuliformi ................. .

- La teoria sulla costituzione cellulare della termonvezione ....

- Il volo termico ed il pronostico volovelistico ................. .

- I venti ...................... . - Le correnti dinamiche

di pendio ................... . - Le correnti termiche di pendio

ed il volo a vela alpino ........ . - Il volo a vela in onda : ......... . - ·Le situazioni ondulatorie sull'Ita-

talia centrale con venti di tramon-tana ........................ .

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Capitolo XVIII - Le situazioni ondulatorie alpine

Capitolo XIX

Capitolo XX Capitolo XXI

Capitolo XXII Capitolo XXIII Capitolo XXIV

Capitolo XXV

Capitolo XXVI Capitolo XXVII" Capitolo XXVIII Capitolo XXIX

con venti settentrionali ........ . - I movimenti ondulatori sulle

regioni montane e loro influenza sulla navigazione ............. .

- I fenomeni di termoonda ...... . - Il "Nomogramma"

di Herlof son ................. . - Le masse d'aria .............. . - I fronti ..................... . - Le formazioni temporalesche

ed i fenomeni che le accompa-gnano ...................... .

- Le perturbazioni ed i centri di azione .................... .

- Il tempo .................... . - Le previsioni del tempo ....... . - La moderna meteorologia ..... . - Le principali situazioni

meteorologiche-sull'Italia ...... . Bibliografia .................................... ~ .

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