MESSALINA - QueenDido.org · 2012. 2. 26. · Messalina di Francesco Pona, così come compaiono...

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FRANCESCO PONA MESSALINA TESTO CON LE DUE REDAZIONI A FRONTE a cura di Danilo Romei Banca Dati “Nuovo Rinascimento” www.nuovorinascimento.org immesso in rete il 12 settembre 2011

Transcript of MESSALINA - QueenDido.org · 2012. 2. 26. · Messalina di Francesco Pona, così come compaiono...

  • FRANCESCO PONA

    MESSALINATESTO CON LE DUE REDAZIONI A FRONTE

    a cura di Danilo Romei

    Banca Dati “Nuovo Rinascimento”www.nuovorinascimento.org

    immesso in rete il 12 settembre 2011

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    NOTA AL TESTO

    Si propongono in edizione affrontata i testi delle due redazioni conosciute dellaMessalina di Francesco Pona, così come compaiono nell’editio princeps, datata DiVenetia il dì 15. Ottobre 1633 e pubblicata In Venetia, M DC XXXIII, presso Gia-como Sarzina (redazione A, colonna di sinistra) e nell’«edizion seconda accresciu-ta», datata Di Verona il dì 25. Nouembre 1633 e pubblicata In Verona, appresso Bar-tolomeo Merlo, 1633 (redazione B, colonna di destra). Per la definizione del testo eper i chiarimenti ad esso relativi si rinvia a FRANCESCO PONA, La Messalina, Edi-zione critica a cura di Danilo Romei, s.l., Lulu, 2011.

  • L A

    MESSALINADel Signor

    FRANCESCO PONATra gl’ Incogniti l’ Assicurato.All’ Illustrissimo Signore, il Signor

    GIO: FRANCESCO LOREDANONobile Veneto.

    [marca]

    IN VENETIA, M D C XXXIII.

    Presso Giacomo Sarzina.CON LICENZA DE’ SVPERIORI.

    L A

    MESSALINADI FRANCESCO PONA.

    All’Illustrissimo Sig.GIO: FRANCESCO LOREDANO

    NOBILE VENE TO .

    Edizion seconda accresciuta.

    [fregio]

    I N V E R O N A ,

    Appresso Bartolomeo Merlo 1633.Con licenza de’ Superiori.

  • 4

    [3]

    ILLUSTRISSIMOSIGNORE,

    ccomi al secondo esborso, benchéscarso all’incontro del mio grossissi-mo debito. La pazienza cortesissima

    di V.S. Illustrissima mi porge qualche sicurtàche non debba essere ricusata sì debol summa.Molti pochi faranno pur uno assai. Intanto El-la, che trafica grossamente ne’ banchi dell’im-mortalità, non patirà certo punto di scapitoperch’io sia lento in sodisfare.

    Il danaro ch’io conto ha prerogativa di[4] agio, perch’è danaro di sceltissimo conioantico, s’io non l’ho guasto con la rena e colsapone d’una strebbiatura moderna. Non gliavrò almeno scemato il peso o corrotto puntola imagine. La supplico a rendersi facile diriceverlo e riverentemente la inchino.

    Di Venezia il dì 15 ottobre 1633.

    Di V.S. Illustrissima

    Certiss. ed obligatiss. servitore

    Francesco Pona

    [3]

    ILLUSTRISSIMOSIGNORE,

    ccomi al secondo esborso, avegnachéscarso allo incontro del mio grossis-simo debito. La pazienza cortese di

    V.S. Illustrissima mi porge gran sicurtà chenon debba essere ricusata sì debol summa.Molti pochi faranno alla fin fine uno assai. In-tanto Ella, che trafica riccamente ne’ banchidella immortalità, non patirà punto di scapitoperch’io sia lento in sodisfare.

    Il danaro ch’io conto ha prerogativa diagio, perch’è di sceltissimo conio antico, s’io[4] non l’ho guasto con una strebbiatura mo-derna. Non gli avrò almeno certamente scema-to il peso o alteratone lo impronto. La suppli-co a rendersi facile di riceverlo e riverente-mente la inchino.

    Di Verona il dì 25 novembre 1633.

    Di V.S. Illustrissima

    Certiss. ed obligatiss. servitore

    Francesco Pona

    E E

  • 5

    [5]

    A CHI LEGGE

    Lo Stampatore

    olò a’ giorni passati dalla pennadell’Auttore alla mano di gentilissi-mo letterato in Venezia la MESSALI-

    NA appena concetta, col nome in fronte delpersonaggio onde s’illustra. Piacque sì, tutto-ché diffettosa, che si risolse, chi può disporrede’ parti di questo ingegno, di publicarla, te-stimonio, per altro, di stima insigne; ma cheper la lontananza di lui, che [6] con mano ve-locissima ne scrisse l’originale (senza pensareper allora di esporla) ha portato seco moltissi-mi e gravissimi errori nel ristretto di poche pa-gine. Lo Auttore adunque riconosce la compo-sizione per sua, ma non gli errori, i quali peròosa appena rimproverare alla stampa, che puòversarne la colpa nella scabrosa scrittura. Cosìgiustificato presso di voi, Lettori, ve la ridona,se non più bella, almeno più intera e con difettimeno spiacevoli. Leggala chi n’ha l’ozio; e sealtro non gli occorre di commendabile, gradi-sca la brevità.

    V

  • [5]

    L A

    MESSALINADel Signor

    FRANCESCO PONA

    [7]

    L A

    MESSALINADELLO ASSICVRATO

    Academico Incognito

  • 7

    ermati, o mano audace: non toc-care quello che mira l’occhioinvaghito. La bellezza che tu hai

    qui ’nanzi così piacente è cadaverosa.Costei, che ti sembra viva ed accenna diparlarti e di muoversi, è donna tocca dalfulmine della impudicizia, che, consuntele viscere all’onestà, ha lasciato il difuori intatto. Se la tocchi si dissolve ebrutta il suolo di cenere. Ella è Messali-na. A gran ragione arrossite, voi, guancecaste del- [6] le matrone e delle vergini,a simil nome, poiché ha macchiato lebellezze del sesso vostro.

    Parve donna, ma fu mostro, o fieraalmeno: resa tale dal vizio. Ella fu lupa,meglio che donna.

    Nacque appunto nel secolo dellepiù nefande sceleratezze. Regnava Tibe-rio quand’ella nacque. Tiberio, non èd’uopo dipingerlo: è troppo noto.1 Forsefu egli balia a costei, alla sua nefandausanza: a costei, che fu la Quartilla in-fame che non si raccordava puntod’esser stata vergine mai,2 perché le suepollusioni precorsero l’inabilità dellainfanzia, non che l’attitudine della ado-lescenza.

    Accostatevi, pulzelle, non fuggite.Venite, caste matrone, e voi, incautapreda d’amori immondi, femine avvi-

    1 Tiberius admovebat inguini infantes, ut morelactantium suggerent. Sveton.

    2 Iunonem meam iratam habeam, si memini menunquam fuisse virginem. Petronius Arb.

    ermati, o mano audace: non toc-care ciò che mira l’occhio inva-ghito. La bellezza che ti lusinga

    è cadaverosa. Costei, che ti sembra vivaed accenna di parlarti e di muoversi, èdonna morta. L’ha tocca il fulmine dellaimpudicizia e, consunte le viscere all’o-nestà, ha lasciato illesa la figura. Si di-sciorrà se la [8] tocchi e bruttarà il suolod’impure ceneri. Ella è Messalina. Agran ragione arrossite, voi, guance castedelle matrone e delle vergini, a similnome, che non meritò esser arruolato,con le sue macchie, alle grazie del sessovostro.

    Costei nacque appunto in quel se-colo che fu la esuberante vindemmiadelle più nefande sceleratezze. RegnavaTiberio quand’ella nacque. Tiberio, nonè d’uopo dipingerlo: è troppo noto.3

    Forse fu egli balia a costei, alla sua ne-fanda usanza: a costei, che fu la Quartil-la infame che non si raccordava puntod’essere stata vergine mai,4 perché lesue polluzioni precorsero l’inabilità del-l’infanzia, non che l’attitudine dell’ado-lescenza.

    Accostatevi, pulzelle, non fuggite.Venite, caste matrone. E voi accorrete,incauta preda d’amori immondi, femine

    3 Tiberius admovebat inguini infantes, ut morelactantium suggerent. Sveton.

    4 Iunonem meam iratam habeam, si memini menunquam fuisse virginem. Petronius Arb.

    F F

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    luppate nelle sozzure del senso. Trova-rete in questo volto un antidoto ottimoper conservarvi (se siete) intere, o di le-varvi dal cuore la corruzzione e ’l vele-no. È spediente di conoscere il vizio: chinon lo scuopre facilmente v’inciampa ecaminando sopra i fiori de’ lussi, cal-candolo, resta ferito dal suo dente. Ap-punto serpe la impudicizia ne’ cuorisemplici e delle membra s’impossessa,s’alma guardinga non [7] si costodiscedall’insidie e non pugna contra gl’in-sulti. Non si mira più libero e più scop-perto il vizio quanto in altrui: nissun ve-de tutto se stesso senza lo specchio.

    Io non so quanti occhi casti sianper mirare Messalina. Siate voi le giudi-ci, o donne: io non m’appello ad altragiustizia. Non gettate la carta che, zelan-te della fama vostra, la rapresenta. Nonè in istato di sforzarvi alle libidini, mad’insegnarvele a fuggire. Dalla rosa co-glie altri le rugiade, altri i veleni. I col-telli, famigliari delle mense, così benepossono uccidere chi mangia come trin-ciare inanzi chi mangia. Anco l’aria,ch’è vita e spirito, nuoce, indebitamentepresa. Chi sarà casta non attingerà lebrutture, che nulla sta nella fantasia chenon fosse prima nel senso. Chi sarà cor-rotta si vergognarà di vedersi in Messa-lina vituperata. Temendo gli oltraggid’una fama che sempre parla, si faràmanco rea, se non buona. Anco le santeleggi parlan sovente di furti, d’incesti, distupri, di violenze per insegnarle a fug-gire e per mostrarcele castigate.

    Barbato Messala fu padre a costei.5

    Da lui tolse il nome, ridotto per vezzo aldiminutivo, come pur costuma l’Italia

    5 Ex Barbato Messala genita. Sext. Aurelianus.

    avviluppate nelle sozzure del senso. Lavista di questo volto può mostrarvi quan-to sia deforme l’impudicizia. [9] Appa-rirà più bella in confronto la limpidezzadelle caste. È spediente di conoscer l’an-gue del vizio: chi non lo scuopre facil-mente v’inciampa e caminando sopra ifiori de’ lussi, calcandolo, resta feritodal suo dente, quasi da vipera aguatata.Appunto serpe la lascivia ne’ cuorisemplici e delle membra s’impossessa,s’alma guardinga non si costodisce dal-l’insidie e non pugna contra gl’insulti.Non si mira più libero quanto in altruiquesto mostro, perché nissun vede tuttose stesso senza lo specchio.

    Io non so quanti occhi casti sianper mirare questa impudica. Siate voi legiudici, o donne: io non m’appello adaltra giustizia. Ah, non gettate la cartache, zelante della fama vostra, la rappre-senta. Non è in istato di sforzarvi allelibidini, ma d’insegnarvele a fuggire.Dalla rosa coglie altri le rugiade, altri iveleni. I coltelli, familiari delle mense,così bene possono uccider chi mangiacome trinciare [10] inanzi chi mangia.Anco l’aria, ch’è vita e spirito, nuoce,indebitamente presa. Chi sarà casta nonattingerà le brutture: nulla sta nella fan-tasia che non fosse prima nel senso. Chisarà corrotta si vergognarà di vedersi inMessalina vituperata. Temendo gli ol-traggi d’una fama ch’è tutta occhi e tuttalingue, si farà manco rea, se non buona.Anco le sante leggi parlan sovente difurti, di stupri, di violenze per insegnar-cele fuggire e per mostrarcele castigate.

    Barbato Messalla fu padre a co-stei.6 Da lui tolse il nome, ridotto pervezzo al diminutivo, come pur costuma

    6 Ex Barbato Messala genita. Sext. Aurelianus.

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    ancora. Questi era cugino a Claudio.Non poteva esser che [8] infame: sendoaltrimente, arrebbe ammonito la figliuo-la di non esser sì laida; il parente di nonesser sì ignominioso. Mi par vederlo,come ombra di corpo, seguir i genii in-degni di Claudio, commendando l’eb-brezza, la libidine, la crudeltà; che per-ciò fu agevole il contraere parentella,per questa similitudine di costumi, oltrel’incentivo di Messalina. Costei erad’anni quattordeci, ma la sua malizia eragià vecchia: appena in età d’esser disce-pola, era attissima d’insegnare alle mae-stre. Saffo seppe e fece men di lei. Lavanità non trovò mai la più affezionataseguace. Coloriva in oro, increspava inonde e con ordin vago, reprimendo i la-scivi errori della chioma, lavorava comecera flessibile in cento guise le di lei fi-la. Il suo volto era bello mirabilmenteper se medesimo, ma, oltre bellezza,non so ch’era in lui ch’era fuoco, sottil-mente penetrante, che si scagliava ne’riguardanti, con certi scoppii che face-van due occhi scintillanti nell’umidod’un’acqua celeste, con un tremito que-to, e che in volto, pensieroso insieme eridente, esprimeva concetti astrusi dipari e grandi. Avea due labrucci, tumididolcemente, che, socchiusi, lasciavanocon avara mostra apparire il dente bian-chissimo. Le guance somigliavan duocespi di rose [9] vive, sol mezo aperte. Ivezzi eran tanti e tali che pareano accol-ti tutti in lei, senza rimanerne per altradonna. Gli abiti ricchissimi e di maravi-glioso artificio, sempre in fogge atte adaummentar bellezza. Dagli orrecchi orapendevano grosse perle, ora sceltissimidiamanti, tal volta allegri smeraldi, talecoloriti in beltà di cielo i zafiri e tale

    l’Italia ancora. Questi era cugino aClaudio. Non poteva esser che infame:sendo altrimente, arrebbe ammonito lafigliuola di non esser sì laida; il parentedi non esser sì ignominioso. Mi par ve-derlo, come ombra di corpo, seguir i ge-nii ’ndegni di Claudio, commendandol’ebbrezza, la libidine, la crudeltà; che[11] perciò fu agevole il contraere pa-rentella, per questa similitudine di co-stumi, oltre l’incentivo di Messalina.Quando si avvicinò al terzo lustro, lasua malizia era già vecchia: appena inetà d’esser discepola, era attissima d’in-segnare alle maestre. Saffo seppe e fecemeno di lei. La vanità non trovò giammainé la più fedele né la più affezzionataseguace. Coloriva in oro, increspava inonde e con ordin vago, reprimendo i la-scivi errori della chioma, lavorava comecera flessibile in cento guise le di lei fi-la. Il suo volto era bello mirabilmenteper se medesimo, ma, oltre bellezza,non so che era in lui ch’era fuoco, sot-tilmente penetrante, che si scagliava ne’riguardanti, con certi scoppii che face-van due occhi scintillanti nell’umidod’un’acqua celeste, con un tremito que-to, e che in volto, pensieroso insieme eridente, esprimeva concetti astrusi dipari e grandi. Avea due labrucci, tumididolcemente, che, socchiusi, la- [12]sciavano con avara mostra apparire ildente bianchissimo. Le guance somi-gliavan duo cespi di rose vive, sol mezoaperte. I vezzi eran tanti e tal che parea-no accolti tutti in lei, saccheggiataneogn’altra donna. Gli abiti ricchissimi edi maraviglioso artificio, sempre in fog-ge atte ad aummentar bellezza. Dagliorecchi ora pendevano grosse perle, orasceltissimi diamanti, tal volta allegri

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    anco, per vezzoso sprezzo, vetri o coral-li; ornato il seno, nelle sue prime turgi-dezze, con la grazia de’ narcissi, dellecalte, degli amaranti. Tale comparivaspesso alla presenza di Claudio, che lamirava da prima come si miran le coseche piacciono ma non rapiscono. Egli sicompiaceva in vedere quella giuliva etenera puerizia, composta di vivacitàmaestosa ed amorosa. Al vagheggiarlacome fiore successe il talento d’assag-giarla come frutto. I semi, infusi per al-cune ore nel sangue umano, commessialla terra, germogliano il medesimogiorno e crescon le foglie con portentosacelerità.7 I semi della bellezza di Messa-lina, infusi, col mezo degli spiriti im-pressi, nel sangue di Claudio, passandonel terreno del cuore con mostruosa pre-stezza, proruppero in disordinate voglie.Il compiacimento diventò brama; la bra-ma fu a lui facile di riddurre al possesso,perché il capo comanda alla mano, al-[10] la lingua, al piede. Era imperatore.Richiederla in moglie ed ottenerla fu inun punto. S’egli aspettasse goderla mo-glie, v’è chi ne dubita. Io credo ch’egliaspettasse. Avrebbe diferito, non preci-pitato (come fece) le nozze, se l’avesseauta amica inanzi. È vero che, dove stala volontà per ragione8 e dov’uom puòciò che vuole e lo intelletto è ligio delsenso, sa ognuno come trotti il giumen-to. Una giovincella, pregna d’altissimipensieri, destinata dalla sua nascita amaritaggi bensì illustri, ma non eccelsi,e che si vide aprir la strada ad esser im-peratrice d’un mondo, si dee credere chetendesse tutte le reti che la natura, l’ar-tificio, l’inclinazione e la occasione le

    7 Mizaldo ne’ segreti degli orti.8 Stat pro ratione voluntas.

    smeraldi, tale coloriti in beltà di cielo izafiri e tale anco, per vezzoso sprezzo,vetri o coralli; ornato il seno, nelle sueprime turgidezze, col candore de’ gel-somini e col vermiglio degli anemoni.Tale compariva spesso alla presenza diClaudio, che la mirava da prima come simiran le cose che piacciono ma non ra-piscono. Egli si compiaceva in vederequella giuliva e tenera puerizia, compo-sta di vivacità maestosa ed amorosa. Alvagheggiarla come fiore successe il ta-lento d’assaggiarla come frutto. I semi,infusi per alcune ore [13] nel sangue u-mano, commessi alla terra, germoglianoil medesimo giorno e crescon le fogliecon portentosa celerità. I semi della bel-lezza di Messalina, infusi (col mezo de-gli spiriti impressi) nel sangue di Clau-dio, passando nel terreno del cuore conmostruosa prestezza, proroppero in vo-glie disordinate. Il compiacimento di-ventò brama; la brama fu a lui facile diriddurre al possesso, perché il capo co-manda alla mano, alla lingua, al piede;era imperatore: richiederla in moglie edottenerla fu in un punto. S’egli aspettas-se goderla moglie, v’è chi ne dubita. Èprobabile ch’aspettasse. Avrebbe diferi-to, non precipitato (come fece) le nozze,se l’avesse auta amica inanzi. È veroche, dove sta la volontà per ragione edov’uom può ciò che vuole e lo intellet-to è ligio al senso, sa ognuno come trottiil giumento. Una giovincella, pregnad’altissimi pensieri, destinata dalla suanascita a maritaggi bensì [14] illustri,ma non eccelsi, e che si vede aprir lastrada ad esser imperatrice d’un mondo,si dee credere che tendesse tutte le retiche la natura, l’artificio, l’inclinazione el’occasione le insegnò tendere. Vezzi,risi, lusinghe, baci, risse dolci, paci a-mare (figure disegnate dall’accortezza

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    insegnò tendere. Vezzi, risi, lusinghe,baci, risse dolci, paci amare (figure di-segnate dall’accortezza su la tela prepa-rata dal caso) potero forse adombrarl’istoria degli amori di Claudio e ch’e-gli, paziente maestro, col pennello li for-nisse di riddurre prima d’aver publicatoil quadro.

    A’ fanciulli che si nudriscono dilatte ogn[i] altro cibo riesce ingrato.Non è facile staccarli dalla mammella,fuor della quale non han tesoro.

    O conoscesse Claudio moglie Mes-salina la prima volta, o preoccupassegl’imenei, non [11] si scostaron da luigli Amori. Ella sagacissima, esso ottuso:non era difficile di allettarlo e d’ingan-narlo, massime con un’esca che colseall’amo i Salomoni. Il sargo si lasciaprendere al pescatore, s’egli è vestitodella pelle d’una capra, tanto più se lacapra è ivi presente, ch’allora egli vaalla morte volontaria. Claudio non fuche un sargo stolido, che, allettato daquesta capra petulante, non aspettò d’es-ser preso, ma dall’acque del decoro diprencipe saltò nel secco dell’infamia dicaprone.

    Una giovine sfrenata non guardaostacoli di sangue che s’oppongano a’suoi desiri sregolati. Pera il mondo, e’s’adempiano. Il bulimo9 de le libidini in-goiarebbe i baratri, che ingoiano le pro-vince. Minacci pur la fama d’inimicarle-si e ruoti le trombe in vece di spade, inatto d’uccidere la loro riputazione, que-ste tali nol curano. Per appagare la famedelle loro voragini non sentono l’orridode’ supplicii, nel vivere e nel morirseneinfami; anzi l’infamia è ’l condimentode’ lor piaceri, mentre si comprano

    9 Bulimus seu canina fames, morbi genus.

    su la tela preparata dal caso) potero for-se adombrar l’istoria degli amori diClaudio e ch’egli, paziente maestro, colpennello li fornisse di riddurre primad’aver publicato il quadro.

    A’ fanciulli che si nodriscono dilatte ogn’altro cibo riesce ingrato. Non èfacile staccarli dalla mammella, fuordella quale non han tesoro; e tanto piùpiace, quanto più pasce. Che perciò, oconoscesse Claudio moglie Messalina laprima volta, o preoccupasse gl’imenei,non si scostaron da lui gli Amori. Ellasagacissima, esso ottuso: non era diffici-le di allettarlo e d’ingannarlo, massimecon un’esca che colse all’amo i Salo-moni. Il sargo [15] si lascia prendere alpescatore, s’egli è vestito della pelled’una capra, tanto più se la capra è ivipresente, ch’allora egli va alla mortecon giubilo. Claudio non fu che sargostolido, che, allettato da questa capra pe-tulante, non aspettò d’esser preso, madall’acque del decoro di principe saltònel secco dell’infamia.

    Una giovine sfrenata non guardaostacoli che s’oppongano a’ suoi desiri.Pera il mondo, e’ s’adempiano. Il buli-mo delle libidini ingoiarebbe i baratri,che assorbono le città. Minacci pur lafama d’inimicarlesi e ruoti le trombe invece di spade, in atto d’uccider la lororiputazione: nol curano. Per appagare lafame delle cupe voragini non sentonl’orrido de’ supplicii, nel vivere e nelmorire vituperate; anzi la infamia è ilcondimento de’ lor piaceri, mentre sicomprano con essa la libertà e si sot-traggono al dominio degli uomini.

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    con essa la libertà e si sottraggono al do-minio (peso insopportabile alla loro ne-quizia) de’ parenti e de’ mariti.

    Messalina, appena maritatasi aClaudio, se ne stuccò. Egli era attempa-to e perciò inabile a cibare, non che asaziare una insaziabi- [12] le. Debole dispirito e perciò esposto alle lusingheed ed alle frodi d’una malvaggia. Zot-tico di maniere e perciò proporzionatopiù tosto all’altrui odio che all’amore.Dedito al vino e perciò materia di scher-zi e scorni.

    S’egli avesse essaminato se stesso,non arrebbe preso moglie; e dovendoprenderla, non arrebbe mai menato Mes-salina. Egli fu cattivo arimmetico: malcomputato il numero de’ suoi anni, da’quali eran da sottrarsi molti e molti, chivolea incontrarsi con quella Taide, ne-mica a’ vecchi.

    Agl’incentivi d’un’anima lascivis-sima, in un corpo organizato agli amori,si aggiungeva a l’irritarla che faceaClaudio senza aver modo di domarla.Egli era non meno Tantalo che onda eramo, per sé e per lei.

    Un fuoco, cui sia chiuso il varco,scoppiarebbe delle montagne di diaman-te. Egli promoveva, non risolveva le li-bidini: atto più a parole che ad effetti. Sitratteneva con lei sovente, in quelle stan-ze esecrande, costrutte a’ lussi di Tibe-rio, dove i più periti pennelli avevan da-to l’anima alle figure, atteggiate ne’ piùilleciti e più laidi congiungimenti. Dubi-to perciò che la impudicizia di Messali-na fosse la metà peccato di Claudio.

    [13] L’occhio è molto peggior ruf-fiano che l’orecchio; i ragionamenti im-puri corrompono i costumi innocenti;molto più senza proporzione l’essempio.La giovine, balda, ben nodrita, oziosa,senza superiori (già che Claudio non

    Messalina, appena maritatasi aClau- [16] dio, se ne stuccò. Egli eraattempato e perciò inabile a cibare, nonche a saziare una insaziabile. Debole dispirito e perciò esposto alle lusinghe edalle frodi d’una malvaggia. Zotico dimaniere e perciò proporzionato più al-l’altrui odio che all’amore. Dedito al vi-no e perciò materia di scherzi e scorni.

    S’egli avesse ben mirato se stesso,non arrebbe preso moglie; e dovendoprenderla, non arrebbe mai menato Mes-salina. Egli fu cattivo arimmetico: malcomputato il numero de’ suoi anni, da’quali eran da sottrarsi molti e molti, chivolea aggiustarsi a quella Taide, nemicaa’ vecchi.

    Agl’incentivi d’un’anima lascivis-sima, in un corpo organizato per gli a-mori, si aggiungeva l’irritarla che faceaClaudio, ch’era non meno Tantalo cheonda e ramo, per sé e per lei.

    Un fuoco, cui sia chiuso il varco,scoppiarebbe dalle montagne di diaman-te. Egli promoveva, non risolveva [17]le libidini: atto più a parole che ad effet-ti. Si tratteneva con lei sovente, in quel-le stanze esecrande, costrutte a’ lussi diTiberio, dove i più periti pennelli aveandato l’anima alle figure, atteggiate ne’più illeciti e più laidi congiungimenti.Dubito perciò che la impudicizia diMessalina fosse la metà peccato di Clau-dio.

    L’occhio assai più accende chel’orecchio; i ragionamenti impuri cor-rompono i costumi innocenti; molto piùsenza proporzione l’essempio. La giovi-ne, balda, ben nodrita, oziosa, senza su-periori (già che Claudio non conosceva

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    conosceva per tale), immersa sempre inlaidi pensieri, intesa sempre a più effi-caci spettacoli per sollecitar il genionaturalmente lascivo, moriva di vogliadi riddur alla pratica tutta quella infameteorica che la superficie d’una muragliaeloquente le veniva insegnando.

    Le precise imagini non le so né èlecito alla imaginativa di fingerlesi. Vo-glia Dio che il pessimo de’ mortali nonle abbia alle tavole incise raccomandate,perché non manchino ad Astarte i sagri-ficii ignominiosi.

    La donna è cupa, ardente, tenacede’ suoi propositi oltr’ogni credere. Mes-salina, ondeggiando nelle turbulenze de’suoi pensieri, non dormiva la notte; e sedormiva, dormiva Morfeo a lato a lei,vestendo e spogliando mille sembianze,secondo che l’imagini, da essa versate ilgiorno per la fantasia lasciva, suggeri-va[n] motivo a lui.

    Alle favole che vedeva rappresen-tare, quanto più lorde e schiffevoli, tantostava ella più attenta. Si ponea col pen-siero (da che col [14] corpo non poteva)nella vacca di legno lavorata da Dedalo.Si metteva nella persona di Mirra, baga-scia indegna del padre. Si cangiava inBibli, tentatrice del fratello. Ella in Cali-sto, ella in Io, ella in tutto ciò che odo-rava, anzi putiva di libidini; e sì inten-tamente si concentrava in questa sozzu-ra, che talvolta impallidiva d’improviso,presente il popolo, gemeva, singhiozza-va, guizzava e dava segni irrefragabilid’intime commozioni.

    E già era la rabbia fiera delle suecarni salita a tanto che, posto in non calevita, onore ed impero, si risolse conten-tarsi.

    A chi ha talento d’operar male, leoccasioni non mancano. Tutto conspiraa favor del vizio.

    per tale), immersa sempre in laidi pen-sieri, intesa ognora a più efficaci spetta-coli per sollecitar il genio naturalmentelascivo, moriva di voglia di ridurre allapratica tutta quella infame teorica che lasuperficie d’una muraglia eloquente leveniva insegnando.

    Le precise imagini non le so né èlecito alla imaginativa di fingerlesi. [18]Voglia Dio che il pessimo de’ mortalinon le abbia alle tavole incise racco-mandate, perché non manchino ad A-starte i sagrificii ignominiosi.

    La donna è cupa, ardente, tenacede’ suoi propositi oltr’ogni credere. Mes-salina, ondeggiando nelle turbolenze de’suoi pensieri, non dormiva la notte; e sedormiva, dormiva Morfeo a lato a lei,vestendo e spogliando mille sembianze,secondo che l’imagini, da essa versate ilgiorno per la fantasia sensuale, suggeri-van motivo a lui.

    Alle favole che vedeva rappresen-tare, quanto più lorde e schiffevoli, tantostava ella più attenta. Si ponea col pen-siero (da che col corpo non poteva) nel-la vacca di legno lavorata da Dedalo. Simetteva nella persona di Mirra, bagasciaindegna del padre. Si cangiava in Bibli,tentatrice del fratello. Ella in Calisto, el-la in Io, ella in tutto ciò che odorava, an-zi putiva di libidini; e sì intentamente siconcentrava in questa sozzura, che tal-volta [19] d’improviso, presente il popo-lo, dava segni di commozioni libidinose.

    E già era la rabbia fiera delle suecarni salita a tanto che, posto in non calevita, onore ed impero, si risolse conten-tarsi.

    A chi ha talento d’operar male, leoccasioni non mancano. Tutto conspiraa favor del vizio.

  • 14

    Claudio era soro: non era d’uopo digrande accortezza per ingannarlo; mas’egli fosse anco stato un Ulisse, nonsarebbe fuggito da questa Circe senz’es-ser cangiato in irco, già che col leone, ocon altro animale illustre, non avea sim-patia.

    Messalina pose l’occhio della diso-nestà addosso uno, un altro ed un altro.Misurò dalle fattezze, dall’età, dal por-tamento probabilmente la lena e ’l ge-nio, sicura non ingannarsi di molto. Me-zane non mancano a donna pronta perpeccare. Le tenebre sorgono inan- [15]zi l’ora; il sole si leva tardi; tacciono i

    Claudio era soro: non era d’uopo digrande accortezza per ingannarlo; mas’egli fosse anco stato un Ulisse, nonsarebbe fuggito da questa Circe senz’es-ser cangiato in irco, già che col leone, ocon altro animale illustre, non avea sim-patia.

    Dava gran noia a Messalina il tro-varsi ne’ palagi di Claudio la vedova diGermanico: donna accorta, interessataagli onori, che, per vicinanza di appar-tamenti e per necessità di trovarsi in-sieme, non potea non sentir l’odore del-le di lei dissolutezze. La donna è curiosaper natura; non lascia buco ove non ap-plichi l’orecchio, ove [20] non affaccil’occhio, purché creda udire o vederecose che piacciono a sé o possano di-spiacere in altrui. La odiava Messalinaperciò, se non come turbatrice, almenocome osservatrice de’ suoi dissegni edandamenti. Trovava in ogni cosa mate-ria per garrire con lei. La proverbiava; lascherniva; la calunniava. Se le fosse sta-to o lecito o possibile, l’arebbe battuta.Non potea sopportarla, oltre questo, perinvidia de’ figliuoli che di lei si educa-vano in competenza de’ suoi; a’ qualimostrava il popolo inclinazione, per lamemoria del genitor benemerito.10

    Messalina pose l’occhio della diso-nestà addosso uno, un altro ed un altro.Misurò dalle fattezze, dall’età, dal por-tamento probabilmente la lena e ’l ge-nio, sicura non ingannarsi di molto. Me-zane non mancano a donna pronta perpeccare. Le tenebre sorgono inanzi l’o-ra; il sole si leva tardo; taciono i cani

    10 Tac. lib. 21. Hist. Verum inclinatio populisupererat ex memoria Germanici, cuius illareliqua soboles virilis, et matri Agrippinæ mi-seratio augebatur ob sævitiem Messalinæ.

  • 15

    cani custodi; le porte non istridono; anzis’abbassano le torri o almeno ricettanGiove, se piove in oro.11

    A Messalina, gioviale, ciancera,potente, tanto meno che ad ogn’altramancavano messaggere. Ognuna, cui el-la facesse d’occhio, era o si facea tale.

    Un giorno, non dirò che la libidinela stimolava (perché simil sanguisugasempre beveva del suo sangue), ma cheinsolitamente la agitava, vidde da certealte fenestre un tal custode delle carceri.Ciò che lo vedesse fare non m’è lecitoriferire. Le piacque. Fece il vederlo l’ef-fetto in lei che farebbe in un febricitantearso di sete la vista d’una caraffa di lim-pidissimo cristallo, piena delle acqued’una gelida fontana.

    L’età di costui superava il quintolustro d’alcuni mesi. Era di pel nero,crespo; di occhi grandi, luminosi, umidie incostanti; scarno anzi che no, sveltodi statura. Feceli dire ch’a cert’ora sitrovasse alla stanza tale. Egli venne sen-za prevedere il motivo, ch’almeno si sa-rebbe levato il tanfo d’intorno e postosiin lini mondi.

    Lo raccolse Messalina tutta ornatain una stanza ricchissima. Le parole fu-ron poche. [16] Non solo gli diede ardi-re, ma lo assalì. Diciamolo. Venne ga-gliardo e partì lasso.

    Rotto il freno, un corsier caparbiofacilmente si precipita. L’argine dellavergogna, se dà luogo alla corrente d’uneccesso, non sì facilmente si racconcia.

    Colui venne e se n’andò non osser-vato. Dalla segretezza felicemente custo-dita si avanzò la confidenza. Ella non sicurò [più] del primo. Chi ha raccolto e

    11 Inclusam Danaem turris ahenea. Hor. Od.

    custodi; non istridon le porte; le torris’abbassano ricettando gli adulteri.

    [21] A Messalina tanto meno chead ogn’altra mancavano messaggere.Ognuna, cui ella facesse cenno, era o sifacea tale.

    Un giorno che insolitamente la li-bidine l’agitava, vidde da certe alte fe-nestre un tal custode delle carceri. Lepiacque. Fece il vederlo l’effetto in leiche che farebbe in un assetato febri-citante la vista d’una caraffa di puro ve-tro, piena delle acque d’una fresca fon-tana.

    L’età di costui superava il quintolustro d’alcuni mesi. Era di pel nero; diocchi grandi, umidi e incostanti; scarno,svelto di statura. Feceli dire ch’acert’ora si trovasse alla stanza di lei. E-gli venne senza prevedere il motivo,ch’almeno si sarebbe levato il tanfod’intorno e postosi in lini mondi.

    Lo raccolse Messalina tutta ornatain un gabinetto ricchissimo. Le parolefuron poche. Non solo gli diede ardire,ma lo assalì. Diciamolo. Venne gagliar-do e partì lasso.

    [22] Rotto il freno, un corsier ca-parbio facilmente precipita. L’argine del-la vergogna, se dà luogo alla corrented’un eccesso, non sì facilmente siracconcia.

    Colui venne e se n’andò non osser-vato. Dalla segretezza felicemente co-stodita si avanzò la confidenza. Ella nonsi curò più del primo. Chi ha raccolto estropicciato una rosa in breve la strap-pazza e calpesta. Pensò ad altri oggetti,vaga sempre di piaceri novelli. Provò il

  • 16

    stropicciato una rosa in breve la spogliae la calpesta. Pensò ad altri oggetti, vagasempre di piaceri non più assaggiati.Provò il secondo, il sesto, il decimo eassai più oltre, inculcando sempre mi-nacce per la custodia del silenzio.

    La fama infida non sempre attieneciò che promette: ingannò Messalinaancora, divolgando le sue libidini. Furonpiene le carceri, l’osterie, i chiassi inbreve delle dissolutezze di questa lupa.Chi gode cosa pregiata non gode appie-no se la sua felicità non è nota. Centu-plicò per le bocche degli uditori il semech’entrò per l’orecchio, poiché non s’e-rano curati, i sleali, dir alle canne ciòch’avean veduto e posseduto di Messa-lina, come fece il barbier di Mida.

    Toccò il fatto indegno gli orecchide’ più intimi camerieri di Claudio. [17]

    È da credere che già Roma ne fossepiena, poiché i vituperii sono annunziatisolo all’ultimo alla famiglia che n’è in-fetta. Confrontavano i contesti col lorsospetto; ne fecero motto a Claudio, maegli, stolido e balordo, o non capiva o sifingeva non capire. Finalmente con chia-rezza il fecero accorgere che Messalinalo metteva al segno decimo del Zodiaco.Egli con non molto sentimento minacciòl’aria e, fattalasi chiamare, con lunghiambagi d’intricate dicerie procurò darlea conoscere ch’egli non meritava di es-ser tradito; mescolò le lagrime sciocchealle parole codarde. La superbissima im-pudica replicò parole aspre e sprezzanti;si vantò d’essere una Penelope; inquietòl’ombre delle antenate, chiamandole aparte dell’ingiuria; provocò i numi inferie superi a vendicar la sua fama, benchésapesse di mentire. Si morsicò il dito,quindi il labro, guardò Claudio con oc-chio torvo ed uscì

    secondo, il sesto, il decimo e assai piùoltre, inculcando sempre minacce per lacustodia del silenzio.

    La fama infida non sempre attieneciò che promette: ingannò Messalinaancora, divolgando le sue libidini. Furonpiene le carceri, l’osterie, i chiassi inbreve delle dissolutezze di questa lupa.Chi gode cosa pregiata non gode appie-no se la sua felicità non è nota. Centu-plicò per le bocche degli uditori il semech’entrò per l’orecchio, poiché non s’e-rano curati, gli sle- [23] ali, dir alle can-ne ciò ch’avean veduto e posseduto diMessalina, come già il barbier di Mida.

    Giunse il fatto indegno a’ più inti-mi camerieri di Claudio.

    È da credere che già Roma ne fossepiena. I vituperii sono annunziati soloall’ultimo alla famiglia che n’è infetta.Confrontavano i contesti col lor sospet-to; ne fecero motto a Claudio, ma egli,stolido, o non capiva o si fingeva noncapire. Alla fine gli mostrorono fuor didubbio che Messalina lo metteva al se-gno decimo del Zodiaco. Egli con nonmolto sentimento minacciò l’aria e, fat-talasi chiamare, con lunghe ambagi d’in-tricate dicerie procurò darle a conoscerech’egli non meritava di esser tradito;mescolò le lagrime sciocche alle parolecodarde. La superbissima impudica re-plicò detti aspri e sprezzanti; si vantòd’essere una Penelope; inquietò l’ombredelle antenate, chiamandole a parte del-l’ingiuria; provocò i numi [24] inferi esuperi a vendicar la sua fama, benchésapesse di mentire. Si morsicò il dito,quindi il labro, guardò Claudio con oc-chio torvo ed uscì.

  • 17

    Il vedersi con qualche riguardo rim-proverare i suoi vergognosi eccessi daquel vile che dovea ucciderla fu un sen-tirsi assicurare contra la tema, per pro-sequire senza freno e senza legge le sueribalde dissolutezze.

    Ed ecco, dove prima cercava a-sconder le [18] sue brutture e di confi-dare, non al sole, occhio publico, ma aduna privata lucerna le sue schifezze, osòindi a poco chiamarsi nel mezzo giornogli adulteri, come se si fosser chiamati iflamini o gli auguri.12 Nel far la sceltanon mirava a senatore, a cavaliero, apopolare; non eccettuando condizione dinascita o di essercizio, si eleggevano astima d’occhio i più gagliardi.

    Se taluno circospetto ricusava diriddursi a quel cimento, ch’avrebbe com-perato con l’oro, ma non col sangue, chetemeva[no] dover profondere per incen-sare l’ire di Claudio, erano pronti i per-cussori o le persecuzioni che lo uccide-ano; onde fora stato lor meglio esporsiall’incerto delle rissoluzioni di quelloch’era marito, ma non già imperatore, senon da scherzo, che essacerbare coleiche con la violenta morte o con l’ester-minio del contumace pagava a se stessain contanti di vendetta il discapito de’piaceri o ritardati o contesi.13

    La superbia è femina anch’ella e vainanti alla lussuria per ordine e per età,regina de’ vizii e nata prima di tutti gli

    12 Messalina primo clam, mox passim, quasi iu-re, adulteris utebatur. Sex. Aurel. Vict. O[b]-scurisque genis turpis, fumoque lucernæ. Iuv.Sat. 6.

    13 Quod si quis talia horruerat, adficto criminein ipsum omnemque eius familiam sæviebatur.Sex. Id. 16. Viro magis imperare videbatur,quam imperatori nupta esse. Id. ibidem. Exquo facto plures metu abstinentes extinxit. Id.

    Il vedersi con qualche riguardo rim-proverare i suoi vergognosi eccessi daquel vile che dovea ucciderla fu un sen-tirsi assicurare contra la tema, per pro-seguire senza freno e senza legge le sueribalde dissolutezze.

    Ed ecco, dove prima cercava a-sconder le sue brutture e di confidare,non al sole, occhio publico, ma ad unaprivata lucerna le sue schifezze, osò india poco chiamarsi nel mezzo giorno gliadulteri, come se si fosser chiamati iflamini o gli auguri.14 Nel far la sceltanon mirava a senatore, a cavaliero, apopolare; non eccettuando condizione dinascita o di essercizio, si eleggevano astima d’occhio i più gagliardi.

    Se taluno circospetto ricusava diriddursi a quel cimento, ch’avrebbe com-perato con l’oro, ma non col sangue,[25] che temeva dover profondere perincensare l’ire di Claudio, erano pronti ipercussori o le persecuzioni che lo ucci-devano; onde fora stato a lui meglio e-sporsi all’incerto delle risoluzioni diquello ch’era marito, ma non già impe-ratore, se non da scherzo, che essacerba-re colei che con la violenta morte o conl’esterminio del contumace pagava a sestessa in contanti di vendetta il discapitode’ piaceri o ritardati o contesi.15

    La superbia è femina anch’ella e vainnanzi alla lussuria per ordine e per età,regina de’ vizii e nata prima di tutti gli

    14 Messalina primo clam, mox passim, quasi iu-re, adulteris utebatur. Sex. Aurel. Vict. O[b]-scurisque genis turpis, fumoque lucernæ. Iuv.Sat. 6.

    15 Quod si quis talia horruerat, adficto criminein ipsum onmemque eius familiam sæviebatur.Sex. Id. 16. Viro magis imperare videbatur,quam imperatori nupta esse. Id. ibid. Ex quofacto plures metu abstinentes extinxit. Id.

  • 18

    altri. Ella va altera che, dov’è nato o-gn’altro peccato in terra, ella è nata incielo.

    Non si sdegnò maggiormente Giu-none [19] mai che quando si vidde di-sprezzata da Paride in paragone dell’al-tra dea.16 L’amore passa in odio morta-le, come il vino, che, quant’è migliore,tanto fa l’aceto più acre. La donna è unepilogo degli eccessi. Non conosce me-diocrità. Quello ch’amò intensamente po-co fa, odia ora capitalmente.17 L’occhio,che si compiacque d’un oggetto chestimò fatto a suo piacimento, è lo stessoche gode (s’è rubello alle sue voglie) divederselo inanzi crudelmente lacerato etrasfigurato. Donna ch’ami non riamatacondanna un tale per ingiusto e per in-grato. Ella è solita di essere la pregata;quando prega e non incontra in cortesia,piange rotte non solo le leggi d’amore,ma dell’umanità. All’ingrato non è penache non si debba. Il desiderio va con l’a-more; il divieto, mentre esclude la spe-ranza, uccide l’amore e sul cadavero diesso volano, come corbi sinistri, l’in-vidia, l’odio, la gelosia.

    Il pazzo di Claudio credette vendi-carsi altamente coll’accapare una con-cubina, per sollazzarsi con essa in di-spetto della moglie. Egli errava nel far ilconto. Non è pari il caso. Si trastullavacon Calfurnia [20] e Messalina se nerideva e seguiva, più che mai libera ebaldanzosa, le sue lascivie.

    La conscienza, che non abbandonasin all’ultimo, lavorava nella fucina del

    16 Manet alta mente repostum Iudicium Paridis,spretæque iniuria formæ. Virg. I. Aen.

    17 Fedra presso gli etnici, la regina di Giuseppepresso le sacre carte e tante oltre queste.

    altri. Ella va altera che, dov’è nato o-gn’altro peccato in terra, ella è nata incielo.

    Non si sdegnò maggiormente Giu-none mai che quando si vidde disprezza-ta da Paride in paragone dell’altre dee.L’amore grande passa in odio mortale,come il vino, che, quant’è migliore, tan-to fa l’aceto più acre. La donna è un epi-logo degli eccessi. [26] Non conoscemediocrità. Quello ch’amò intensamentepoco fa, odia ora capitalmente.

    L’occhio, che si compiacque d’unoggetto che stimò fatto a suo piacimen-to, è lo stesso che gode (s’è rubello allesue voglie) di vederlosi innanzi crudel-mente lacerato e sfigurato. Donna ch’a-mi non riamata condanna l’uomo peringiusto e per ingrato. Ella è solita di es-sere la pregata; quando prega e non in-contra in cortesia, piange rotte non sol leleggi d’amore, ma dell’umanità. Al-l’ingrato non è pena che non si debba.L’amore ha sempre a lato suo la speran-za; il divieto, mentre lo esclude, uccidel’amore e sul cadavero di esso volano,come corbi sinistri, l’invidia, l’odio, lagelosia.

    Il pazzo di Claudio credette vendi-carsi altamente coll’accapare una con-cubina, per solazzarsi con essa in dispet-to della moglie. Egli errava nel far ilconto. Non è pari il caso. Si [27] trastul-lava con Calfurnia e Messalina se nerideva e seguiva, più che mai libera ebaldanzosa, le sue lascivie.

    La conscienza, che non abbandonasin all’ultimo, lavorava nella fucina delcuore i suoi affezionati rimorsi: fruttuosia chi vuol sentirli, ma inutili agli ostina-ti. La nobiltà della nascita le rimprove-rava le indignità che commetteva. La li-cenza enorme del secolo non la assicu-rava abbastanza, perché il delitto in ogni

  • 19

    cuore i suoi affezionati rimorsi: fruttuosiper chi vuol sentirli, ma inutili per gli o-stinati. La nobiltà della nascita le [r]im-proverava le indignità che commetteva.La licenza enorme del secolo non la as-sicurava abbastanza, perché il delitto inogni tempo e in ogni luogo è delitto.Una singolar lussuria la faceva più sin-golar tra le femine che l’esser imperatri-ce. Ella era mostrata a dito come cosapellegrina; altri rideva, altri piangevanel mirarla. Rideano quelli che scherni-vano con la imperatrice lo imperadore el’imperio ed avrebbero voluto veder Ro-ma sepolta con la riputazione di amen-due. Piangevano quelli ch’amavano ildecoro publico e che vedeano la cittàmisera languire sotto la soma de’ vitu-perii di costei, che ren- [28] deva l’im-peradore del mondo scherzo del mondo.

    Non bastò alla indegna essersi a-vanzata alla monarchia del vizio, checercò anco di accommodar all’essempiodelle proprie libidini e gli animi e i corpidelle donne romane. Il sole vorrebbe farluminoso ciò che tocca e fa luminosociò ch’è atto a divenirne. [21] Una Frinevorrebbe che tutte le femine fossero co-me lei e da lei non manca farle tali. Vo-lea sola, Messalina, il nome d’imperatri-ce, ma non sola di meretrice; pensò dif-fonderlo e macchiarne le più illustri e lepiù belle. Non le fu molto malagevole;non incontrò molte Lucrezie, molte Por-zie. Non è sì attaccaticcio il mal conta-gioso ne’ corpi disposti com’è il morbodelle libidini.

    Era solita sovente diportarsi in coc-chio ora per Roma ed or a’ soborghi; lacorteggiavano le matrone, o gisse alleterme o altrove. Ella osservava i genii diciascheduna come più o meno piegava-no alle libidini; notava quali più divo-rasser gli uomini con lo sguardo. È ma-

    tempo ed in ogni luogo è delitto. Unasingolar lussuria la faceva più singolartra le femine che l’esser imperatrice. El-la era mostrata a dito come cosa pelle-grina; altri rideva, altri piangeva nel mi-rarla. Rideano quelli che schernivanocon la imperatrice lo imperatore e l’im-perio ed avrebbero voluto veder Romasepolta con la riputazion d’amendue.Piangevano quelli ch’amavano il decoropublico e che vedevano la città miseralanguire sotto la soma de’ vituperii dicostei, che ren- [28] deva l’imperadoredel mondo scherzo del mondo.

    Non bastò alla indegna essersi a-vanzata alla monarchia del vizio, checercò anco di accommodar all’essempiodelle proprie libidini e gli animi e i corpidelle donne romane. Il sole vorrebbe farluminoso ciò che tocca e fa luminosociò ch’è atto a divenirne. Una Frine vor-rebbe che tutte le femine fosser Frini eda lei non manca farle. Volea sola, Mes-salina, il nome d’imperatrice, ma nonsola di meretrice; pensò spargerlo e ma-colarne le più illustri e le più belle. Nonle fu molto malagevole; incontrò pocheLucrezie, poche Porzie. Non è sì attac-caticcio il mal contagioso ne’ corpi di-sposti com’è il morbo delle libidini.

    Era solita sovente diportarsi in coc-chio ora per Roma ed or a’ soborghi; lacorteggiavano le matrone, o gisse alleterme o altrove. Ella osservava i pruritidi ciascheduna, come più o meno piega-vano alle libidini; no- [29] tava quali più

  • 20

    lagevole ch’un ladro si occulti a un la-dro e che un filosofo nel discorso noniscuopra il filosofo.

    Messalina fece una lista d’alquantedame: le mandò invitando per lo talgiorno, in tal luogo. Tutte furono in pun-to. Si va, si arriva. Alcune delle invitate,per dar loro una regalata ricreazione,condussero certe vergini d’una beltà al-legra e già matura agl’imenei. Stava ap-parecchiata ad una vigna una ricchissi-ma collazione di maravigliose confettu-re, tutte aromatizzate. V’eran tartuffi, o-striche, satirioni in zuchero, noci condi-te: [22] tutto sparso d’ambra in gran co-pia. V’eran vini i più generosi e i piùdelicati che spremesse mai Bacco ad usodi Venere. Non mancavano musichecomposte a gusto degli amori più pazzie più dissoluti: ogni canzonetta mostra-va le grazie ignude, ma non vergini. Iballi altresì spiravan lussuria, non chevezzo. Ballava Messalina con gli occhisempre, se non sempre con la persona.Solleticare, stringer la palma, sussurriall’orecchio, sospiri, inviti erano gl’in-termedii di quella favola da pantomimi.La collazione fu compartita a precipizio,con altretanta confusione quanta abbon-danza. Le cantilene brevi, ma ladre. Iballi si ruppero vicinissimo al comin-ciarli. Era destinato il tempo per altradanza. Furono mandati i ricchi avanzidelle confetture, de’ ghiacci, delle fruttae delle bevande ad un’altra vigna unmiglio distante; inviati ivi con gli stro-menti i suonatori, con le carte loro i can-tanti e con essi tutto il grosso della fa-miglia. Furono solo trattenuti dodecigiovani, di condizione diverse, sotto va-rii pretesti. Partito ogn’uomo fuor chequesti, Messalina cominciò un giuoco:disposto a seder un giovine presso cia-

    divorasser gli uomini con lo sguardo. Èdifficile che un ladro si occulti a un la-dro e che un filosofo nel discorso noniscuopra il filosofo.

    Messalina fece una lista d’alquantedame: le mandò invitando per lo talgiorno, in tal luogo. Tutte furono in pun-to. Si va. Alcune delle invitate, per darloro una regalata ricreazione, condusse-ro certe vergini d’una beltà allegra e giàmatura agl’imenei. Stava apparecchiataad una vigna ricchissima collazione dimaravigliose confetture, tutte aromatiz-zate. V’eran anco tartuffi, ostriche, sati-rioni: ogni cosa sparso d’ambra in grancopia. V’eran vini i più generosi e i piùdelicati che spremesse Bacco a uso diVenere tentiginosa. Non mancavano mu-siche composte a gusto degli amori piùpazzi e più dissoluti: ogni canzonettamostrava le grazie ignude, ma non ver-gini. I balli altresì spiravan lussuria, nonche vezzo.

    [30] Ballava Messalina con gli oc-chi sempre, se non sempre con la perso-na. Solleticare, stringer la palma, sussur-ri all’orecchio, sospiri, inviti erano gl’in-termedii di quella favola. La collazionefu compartita con altretanta prestezzaquanta abbondanza. Le cantilene brevi,ma ladre. I balli si roppero vicinissimoal cominciarli. Era destinato il tempoper altra danza. Furono mandati i ricchiavanzi delle frutta e delle bevande adun’altra vigna un miglio distante; inviatiivi i cantanti e con essi tutto il grossodella famiglia. Solo trattenuti furono do-dici giovani, di condizioni diverse, sottovarii pretesti. Partito ogn’uomo fuor chequesti, Messalina diede principio a ungiuoco: disposto a seder un giovinepresso ciascuna delle dame e delle fan-ciulle, volle ch’ognun proponesse e-nimmi. Ella roppe il gelo con uno il più

  • 21

    scuna delle dame e delle fanciulle, vol-le ch’ognun proponesse enimmi. Ellaruppe il gelo con uno il più laido chefosse [23] proposto mai. Seguirno l’altree gli altri, fitti i volti le pulzelle ne’ seni,che però furno necessitate dalla petulan-te Messalina a sfodrar i loro, dettandoliella alle più semplici, con particolar ri-guardo alla brevità. L’ultimo fu da leiproposto, terminando il giuoco dove fucominciato. Lo spiegò in termini spet-tanti alla veglia che si era fatta e si eraper fare, comandando a ognuna far co-me lei. Ed ecco, scorta, impalmò quelgiovine che più allettò le sue libidini.Bisognò all’altre far lo stesso; né forsemal volentieri, che che i volti si sforzas-sero di mostrare diversamente. Stavanoritrose le vergini. Ella, con un riso sde-gnoso guatandole, accennò loro che se-guissero l’ordine; così ognuna presequello che o ’l prurito le commendava o’l caso le pose a canto. Messalina s’av-viò in una fila di piccioli gabinetti, inciascun de’ quali eran sedie e letta.Sparve il giorno incontanente, dispostaper cadauno una amazone ed un guerrie-ro. Si stette ivi per due grosse ore in si-lenzio; se però silenzio sono i sussuri, igemiti e i lamenti delle colombe. Supe-rato il primo incontro della vergogna,ecco simili a Messalina le sue seguaci.Spesso si replicavano giuochi simili epiù impuri.

    Pareva che non si potesse far più inproposi- [24] to di lussuria; e dolevasiMessalina di veder sì angusti i terminidel suo tristo prevaricare. Già ella era inpublica infamia. Poteva bensì avvanzar-si nel diletto, non nel concetto. Della ri-putazione era tratto il dado. Le tornava aconto arrivar dove si poteva, anzi dovenon si poteva.

    laido che fosse proposto mai. Seguirnol’altre e gli altri, fitti i volti le pulzellene’ seni; ma, non ostanti i lor rossori,[31] furno necessitate dalla petulante asfodrar i loro, dettandoli ella alle piùsemplici, con particolar riguardo allabrevità. L’ultimo fu pure da lei propo-sto, terminando il giuoco dove fu co-minciato. Lo spiegò in termini spettantialla veglia che si era fatta e si era perfare, comandando a ognuna di seguir lei.Ed ecco, sorta, impalmò quel giovineche più allettò le sue libidini. Convenneall’altre far lo stesso; né forse mal vo-lentieri, che che i volti si sforzassero dimostrare diversamente. Stavano ritrosele vergini. Ella, con un riso sdegnosoguatandole, accennò che seguisser l’or-dine; così ognuna prese quello che o ’lprurito le commendava o ’l caso le po-nea a canto. Messalina s’avviò in unafila di piccioli gabinetti, in ciascun de’quali eran sedie e letta. Sparve il giornoincontanente, disposta per cadauno unaamazone ed un guerriero. Si stette iviper due grosse ore in silenzio; se peròsilenzio sono i sussurri, i gemiti e i la-[32] menti delle colombe. Superato ilprimo incontro della vergogna, ecco si-mili a Messalina le sue seguaci. Spessosi replicavano giuochi simili e più impu-ri.

    Pareva che non si potesse far più inproposito di lussuria; e dolevasi Messa-lina di veder sì angusti i termini del suotristo prevaricare. Già ella era in publicainfamia. Poteva bensì avvanzarsi nel di-letto, non nel concetto. Della riputazio-ne era tratto il dado. Le tornava a contoarrivar dove si poteva, anzi dove non sipoteva.

  • 22

    Le donne istesse ch’ella aveva cor-rotto esclamavano contro lei, benché tut-tavia la seguissero ed imitassero. La ra-gione ha pur qualche tregua del senso: enon è pazzo senza lucidi intervalli. S’u-na donna spoglia l’onestà con la veste,può ben rivestir la veste ma non già l’o-nestà; tuttavia, s’a questo il regresso ètolto, non è tolto al pentimento o alla sa-zietà dopo i piaceri, fin che torni nuovoEuro a soffiar nel fuoco del sangue e ariaccender il prurito.

    Messalina fu una corruttella tantogrande di Roma, che, come membro pri-mario, trasse in consenso tutto il corpodel suo sesso. Bisognava reciderla daprincipio con quell’ingegno che i chi-rurghi han superato le peggior ulcerecancerose: solimati, arsenici, ferro. Cosìné arrebbe infetto l’onor proprio e quel-lo delle famiglie più inclite né arrebbecercato i più profondi seni del pelagodelle più fetenti libidini. S’el- [25] laavesse auto tanta bontà quanta malizia,sarebbe stata la migliore delle vestali.

    Cresceva in costei la sete de’ piace-ri nel berli, come all’idropico dell’ac-que. Bisognava trovar per lei nuovi gol-fi, per navigar a piena vela nelle im-mondezze. Non le bastò Valente permedico; volle provarlo s’era anco valen-te adultero. Corruppe la santità di quelgravissimo ministero; e depostolo dallanobiltà del grado, di medico lo rese chi-rurgo, visitatore di piaghe fetide.18

    Non le bastarono, oltre questo,Narcisso e Polibo liberti, fattili signoridel signore, usufruttuarii di se medesima

    18 Pli. li. 29. Valentem medicum fuisse adulterioMessalinæ nobilitatum.

    Le donne istesse ch’ella aveva cor-rotto esclamavano contro lei, benché tut-tavia la seguissero ed imitassero. La ra-gione ha pur qualche tregua dal senso: erari i pazzi senza lucidi intervalli. Seuna donna spoglia l’onestà con la veste,può ben rivestir la veste ma non giàl’onestà; tuttavia, s’a questa il regresso ètolto, non è tolto al pentimento o allasazietà dopo i piaceri, fin che torni nuo-vo Euro a soffiar nel [33] fuoco del san-gue e a riacender il prurito.

    Messalina fu una putredine tantogrande di Roma, che, come membro pri-mario, trasse in consenso tutto il corpodel suo sesso. Bisognava reciderla daprincipio con quell’ingegno che i chi-rurghi han superato le peggiori ulcerecancerose: solimati, arsenici, ferro. Cosìné arrebbe infetto l’onor proprio e quel-lo delle famiglie più inclite né arrebbecercato i più profondi seni del pelagodelle oscenità più fetenti. S’ella avesseauto tanta bontà quanta malizia, sarebbestata la migliore delle vestali.

    Cresceva a costei la sete de’ piacerinel berli, come all’idropico dell’acque.Era d’uopo trovar per lei nuovi golfi,per navigar a piena vela nelle immon-dezze. Non le bastò Valente per medico;volle provarlo s’era anco valente adulte-ro. Corroppe la santità di quel gravissi-mo ministero; e depostolo dalla nobiltàdel grado, di [34] medico lo rese chirur-go, visitatore di piaghe fetide.19

    Non le bastarono, oltre questo,Narcisso e Polibo liberti, fattili signoridel signore, usufruttuarii di se medesima

    19 Pli. li. 29. Valentem medicum fuisse adulterioMessalinæ nobilitatum.

  • 23

    e tiranni dell’erario del fisco.20 Pensò adeccessi più detestabili.

    La libertà è una spada: in manod’un pazzo punge e taglia; in mano d’unsaggio serve più a diffesa che ad offesa.Non si può conoscere una femina ciòche vaglia e ciò che voglia se non ha imezi in sua mano per far pienamente ilbene o ’l male. L’auttorità serve d’aliper muoversi in ogni parte.

    Messalina, ch’avea sbandito la ver-gogna, si vergognava di raccordarsela:volle affatto cancellarla dalla memoria.Pensò a tutto quel [25] di peggio chepotesse nelle libidini pensare o commet-tere la più abietta picara, la più laidafantesca, la più infame cortigiana, checol vituperio delle sue colpe onori la in-dignità meretricia. Molte avrebber fattoe farebbero come lei, ma non han l’ar-dire o, per dir meglio, l’auttorità di Mes-salina. Tentò ella far violenza al non piùoltre.

    Non si scrivono queste cose perchéaltri le imiti, ma sì bene perché ognunose ne astenga. Pur troppo insegna la in-clinazione a chi vuol imbrattarsi in dis-solutezze. Pochi han d’uopo di maestro.Molti, e forse tutti, n’han bisogno periscansarle.

    Pareva a Messalina nientedimenoche l’auttorità la impedisse; desideravaessere la minima meretrice di Roma; sidava a credere che l’eminenza del suogrado sminuisse gli suoi diletti, mentrequelli che si sollazzava[n] con lei riveri-vano la maestà di quel corpo che doveaesser veduto e tocco solo dal marito im-peradore; così pareva alla sua rabbia li-

    20 Narcissus, dominum se gerens ipsius domini,Polybum medium inter coxas incedere fe-cit. Aureli.

    e tiranni del fisco.21 Pensò ad eccessipiù detestabili.

    L’auttorità è una spada: in manod’un pazzo punge e taglia; in mano d’unsaggio serve più a diffesa che ad offesa.Non si può conoscere una femina ciòche vaglia e ciò che voglia se non ha imezi in sua balía per far pienamente ilbene o ’l male.

    Messalina, ch’avea dato bando allavergogna, si vergognava di raccordarse-la: volle affatto cancellarla dalla memo-ria. Pensò a tutto quel di peggio che po-tesse nelle libidini pensare o commette-re la più abbietta picara, la più laida fan-tesca, la più infame cortigiana, che colvituperio delle sue colpe onori la indi-gnità meretricia. Ella sola fe’ violenza alnon più oltre.

    Non si scrivono questi eccessi per-ch’ [35] altri imiti, ma si mostrano comescogli dov’ha fatto l’altrui malizia ilnaufragio. Pur troppo insegna la inclina-zione. A chi vuol bruttarsi in dissolutez-ze non fa mestieri di maestro; a molti, eforse a tutti, sì bene per iscansarle.

    Pareva a Messalina talvolta che lasua grandezza la impedisse; desideravaessere la minima meretrice di Roma; sidava a credere che l’eminenza del suogrado menomasse i suoi diletti, mentrequelli che si sollazzavan con lei riveri-vano la maestà di quel corpo che doveaesser ragionevolmente veduto e toccosolo dal marito imperadore; così pareva

    21 Narcissus, dominum se gerens ipsius domini,Polybum medium inter coxas incedere fecit.Aureli.

  • 24

    bidinosa che sempre freddi e languidiriuscisser gli altrui amplessi e i proprigusti.

    Si determinò, pertanto, dissimularel’ec- [27] celsa sorte e, vestita d’umilis-sima veste, cercar la sorte felicissimadelle povere e la infamia avventurosadelle libere femine, nella cui misera vitaponeva la più essenziale felicità.

    In una parte assai remota di Romaerano alcuni rotti edificii, rimasugli del-le offese dei terremoti e de’ folgori; on-de, dirupate le parti della fabrica supe-riori, erano restate in piedi molte offici-ne, tutte in volta, che da spiraglio moltoangusto ricevevano il debol lume cheacconsentivan gli angusti calli per cui,quasi per avvolgimento di labirinto, sipassava per entrarci. Erano detti lupana-ri, conciosiaché ivi le infami lupe accor-revano per sattollare le brame ingordedella loro impudicizia. Sopra ognuna diqueste cave o fornici stava scritto il no-me della inonesta che a prezzo di lussi odi moneta trafficava le proprie carni,senza freno e senza termine soggettan-dosi agli adulteri o a’ vagabondi. Con-correvano ivi altresì della più guardatanobiltà varie femine, e vedove e marita-te; alle quali o prestavano le publicheprostitute o noleggiavano il posto. Ilprurito o le nozze tarde conducevan ivianco molte pulzelle, delle più ardite emen costodite.

    [28] Subodorò Messalina che coleiche men sonnacchiose traeva quivi l’orenotturne era una giovine greca, per no-me Licisca;22 di vilissima nascita, disviatissimo genio, di laidissimi costumi,ma di bellissimo e dilicatissimo corpo;salace in modo che non avea modo nelle

    22 Titulum mentita Lycisca. Iuv. 16.

    alla sua rabbia libidinosa che semprefreddi e sempre languidi riuscisser glialtrui amplessi e i propri contenti.

    Si determinò, pertanto, dissimularel’eccelsa sorte e ravvolta in umilissimaveste cercar la infamia avventurata dellelibere femine, nella cui vita obbrobriosaponeva ella il sommo bene.

    [36] In una parte assai remota diRoma stavano alcuni rotti edificii, rima-sugli delle offese del tempo, de’ terre-moti e de’ folgori; onde, dirupate le par-ti della fabrica superiori, erano restate inpiedi molte officine, tutte in volta, cheda spiraglio assai angusto ricevevano unbaglior mesto, pieno di lasciva orridez-za. Guidavano ivi angusti calli, quasiavvolgimenti di labirinto. Erano dettilupanari, perché ivi le infami lupe ac-correvano per satollare le brame ingor-de. Sopra ognuna di queste cave stavascritto il nome della inonesta che aprezzo di lusso o di moneta traficava leproprie carni, senza freno, soggettandosia’ vagabondi. Concorevano altresì dellapiù riputata nobiltà varie femine; allequali o prestavano le prostitute o noleg-giavano il posto. Il prurito conducevaanco molte pulzelle, delle più ardite emen costodite.

    Penetrò Messalina che colei chemen sonnacchiose traeva ivi l’ore [37]notturne era una giovine greca, detta Li-cisca;23 di vilissima nascita, di sviatis-simo genio, di laidissimi costumi, ma dibellissimo e dilicatissimo corpo; salacein modo che non avea modo nelle la-

    23 Titulum mentita Lycisca. Iuv. 16.

  • 25

    lascivie, onde pressoché uccideva gliuomini co’ piaceri; con un concorso d’a-manti che appena bastava il tempo tuttospeso d’ozio per contentarli, mentrel’impazienza dell’uno sottentrava allesottisfazioni degli altri. Se la fece chia-mare. Cominciò il discorso lunge dalpunto ove tendeva. Finse aver inteso de’suoi lavorecci d’ago, ma ella con un sor-riso se ne confessò innocente; perloché,dando d’una parola in un’altra, si passòa motti sconci e lascivi; e la malvaggiaprincipessa con una sincerità scelerata ledisse aver inteso... e qui narrò; e che pertanto la pregava favorirla per una nottedel posto, sfidandola, inoltre, a chi fa-cesse più prodi incontri e più numerosi.Fu pattuito tra loro l’ora e la maniera.24

    Per andar occulta si spogliò d’ogni ab-bigliamento che spirasse dignità; ritenneperò una camiscia di sottilissimo bisso,perché questa troppo importava al con-dimento de’ lussi, odorando anco di fi-nissime paste d’am- [29] bra. Deposti ivezzi delle grosse margherite e presi inlor vece coralli schietti, che la perdeva-no, benché scelti, col vermiglio del lab-bro, si vestì un bianchissimo drappo,sovra il quale si attraversò un manto dizingana e si tirò un cappuccio in testa;ma lasciò le sfere delle picciole poppeignude, succinte da una fascia d’orogemmato,25 lasciando nella manica cor-tese e non punto avaro adito all’occhioper godersi le braccia in compagnia del-la mano. La bella e polposa gamba erapochissimo impedita. Ella godeva essercreduta forastiera e, non ignara della

    24 Ingreditur callidum veteri centone lupanar.Iuven. Sat. VI.

    25 Sumere nocturnos meretrix Augusta cucullos.Iuv. Sat. VI. Tunc nuda pappillis constititauratis. Ib.

    sciv[i]e; con un concorso d’amanti cheappena bastava il tempo per contentarli,mentre l’impazienza dell’uno sottentra-va alle sodisfazioni degli altri. Se la fecechiamare. Cominciò il discorso lungedal punto ove tendeva. Finse aver intesode’ suoi lavorecci d’ago, ma ella con unsorriso se ne confessò innocentissima;perloché, dando d’una parola in un’al-tra, si passò a motti lascivi; e la princi-pessa malvaggia con una sincerità scele-rata le disse aver inteso... e qui narrò; eche per tanto la pregava favorirla peruna notte del posto, sfidandola, inoltre,a chi facesse più prodi incontri e piùnumerosi. Fu pattuito tra loro l’ora e lamaniera.26 Per andar occulta si spogliòd’ogni abbigliamento che spirasse digni-tà; ritenne solo una camiscia di sot- [38]tilissimo bisso, perché questa troppo im-portava al condimento de’ lussi, odoran-do anco di finissime paste d’ambra. De-poste le filze delle orientali margherite epresi in lor vece corallucci minuti, chela perdevano, abbenché scelti, col ver-miglio del labbro, si vestì un bianchis-simo drappo, sovra cui attraversò unmanto di zingana e si tirò in testa uncapperuccio; ma lasciò le sfere dellepicciole poppe ignude, succinte da unafascia d’oro gemmato,27 lasciando nellamanica ampia non punto avaro aditoall’occhio per godersi le braccia incompagnia della mano. La bella e pol-posa gamba era pochissimo impedita.Ella godeva esser creduta forestiera e,non ignara della greca favella, acquista-va credito alla frode, se non quanto

    26 Ingreditur callidum veteri centone lupanar.Iuven. Sat. VI.

    27 Sumere nocturnos meretrix Augusta cucullos.Iuv. Sat. VI. Tunc nuda pappillis constitit au-ratis. Ib.

  • 26

    greca favella, acquistava credito al suofingere, se non quanto qualche neo dilingua, gratamente titubante, movea so-spetto, accrescendo lasciva grazia allesue grazie lascivissime.

    Tale si pose nella lissa dell’obbro-brio. Ebbe tosto chi la incontrò e la in-vestì. Sostenne ella il colpo con grancoraggio e, travagliato lunga ora in quelduello, or superiore ora superata, final-mente scavalcò l’avversario. Mortificatoil calor del primo, sfidò il secondo evinse il terzo, il quarto e ’l quinto, dopoil decimo. Crescea l’ardire nella indomi-ta, che, quasi Anteo portentoso, semprepiù forte risorgeva dalla caduta, ondepa- [30] reva sfidar gli esserciti interi.Rintuzzò sin alla quarantesima lanciacon lo scudo temperato con le tempredella gola di Cariddi e di Scilla. A unadonna casta sarebbe questo riuscitomaggior supplicio che gli eculei, le ruo-te, i fuochi. Ella si sentia svenire per lelassitudini che violavano la dilicatezzadel suo corpo e già l’affliggeva il pesoche l’affannava, ma più il sentirsi debo-le per resistere a nuove lotte, accusandola fragilità della sua lena, finalmentedandosi vinta.28 Aveva raccolto da cia-scuno degli adulteri una vile moneta es’alcuno era tardo o renitente nel darla,gliene chiedeva:29 non perché puntostimasse l’obolo, ma perché erano cometante benservite del vil bordello e perchégodeva nel numero de’ coniati metalliriddursi a memoria il numero delle itera-te schiffezze.

    Dove il peccato non ammette ilpentimento, non esclude il compiaci-

    28 Et lassata viris nondum satiata recessit, ad-huc ardens rigidæ tentigine vulvæ.

    29 Excepit blanda intrantes, atque æra poposcit.

    qualche neo di lingua, gratamente titu-bante, movea sospetto, accrescendo la-sciva grazia alle sue grazie lascivissime.

    Tale si pose nella lissa dell’obbro-brio. Ebbe tosto chi la investì. So- [39]stenne ella il colpo con gran coraggio e,travagliato lunga ora in quel duello, orsuperiore ora superata, finalmente sca-valcò l’avversario. Mortificato il calordel primo, sfidò il secondo e vinse ilterzo, il quarto e ’l quinto, dopo il trige-simo. Crescea l’ardire nella indomita,che, quasi Anteo portentoso, sempre piùforte risorgeva dalla caduta, onde parevasfidar gli esserciti interi. Rintuzzò sinalla quarantesima lancia con lo scudotemperato dove e come temperate furnole gole di Cariddi e di Scilla. A unadonna casta sarebbe questo riuscitomaggior supplicio che gli eculei, le ruo-te, i fuochi. Ella si sentia svenire per lelassitudini che violavano la dilicatezzadel suo corpo e già l’affliggeva il sover-chio peso, ma più il sentirsi debole perresistere a nuove lotte, accusando la fra-gilità della sua lena e finalmente dando-si vinta.30 Aveva raccolto da ciascunodegli adulteri una vile moneta e s’alcunoera tardo o [40] renitente nel darla, glie-ne chiedeva:31 non perché punto stimas-se l’obolo, ma perché erano come tantibenserviti del vil bordello e perché go-deva nel numero de’ coniati metalli rid-dursi a memoria il conto delle iterateschifezze.

    Dove il peccato non ammette ilpentimento, non esclude il compiaci-

    30 Et lassata viris nondum satiata recessit, ad-huc ardens rigidæ tentigine vulvæ.

    31 Excepit blanda intrantes, atque æra poposcit.

  • 27

    mento dell’averlo commesso. Un vizio-so, consumato l’opera della colpa, larepplica mille volte, con demerito quasipari, nella fruizione de’ fantasmi scele-rati, mentre si rappresenta non tantoquello che fece, quanto ciò ch’amarebbedi fare.

    [31] All’aprirsi de’ crepuscoli mat-tutini soleva il protoruffiano dar un talsegno perché ognuna si levasse dal po-sto e non fosse ivi scoperta dal sole cheaccennava di levarsi; e ciò affine che,discorrendo ormai per Roma le genti,non venissero a conoscer le indegne,che voleano publicamente esser oneste.Messalina odiava l’aurora, troppo fretto-losa per lei, e malediceva la sua fretta,con motti sdegnosi proverbiandola e di-cendo che se fosse stata in luogo suo ne’lupanari fra gli amplessi di tanti giovani,sì come stava fra le braccia d’un vec-chio dormiglioso ed accatarato, non forastata sì diligente in levarsi. Tuttavolta leconveniva partire con la sola fantescache ivi accompagnata l’avea. Ciò chefar poteva era l’esser l’ultima a chiuderl’uscio dell’officina, fetente del fumod’una olida lucerna, lo cui tanfo portavasu l’affumicato volto sino all’origlieredi Claudio.32

    Restò così presa al visco di queisozzi libidinosi diletti, che, dove primadesiderò aver il posto per una notte dallagreca, lo volle poscia per suo e, da quel-la togliendo anco il nome in prestido, siaddossò il nome di Licisca e mercantò

    32 Comite ancilla non amplius una. Ibid. Iuv.Quod potuit tamen ultima cellam clausit.O[b]scurisque genis turpis fumoque lucernæfoeda lupanaris tulit ad pulv[i]nar odorem.

    mento dell’averlo commesso. Un vizio-so, consumato l’opera della colpa, lareplica mille volte, con lo stesso demeri-to, nella fruizione de’ fantasmi scelerati,mentre si rappresenta non tanto quelloche fece, quanto ciò ch’amarebbe di ri-petere.

    All’aprirsi de’ crepuscoli mattutinisoleva l’archiruffiano dar un tal segnoperché ognuna si levasse dal posto e nonfosse ivi scoperta dal sole che accenna-va di levarsi; e ciò affine che, discorren-do ormai per Roma le genti, non venis-sero a conoscer le indegne, che voleanopublicamente pur esser riputate oneste.Odiava Messalina l’aurora, troppo fret-tolosa per lei, e malediceva la di [41] leifretta, proverbiandola con questo mottosdegnoso, che se fosse stata in suo luogone’ lupanari fra gli amplessi di tanti gio-vani, sì come stava fra le braccia d’unvecchio dormiglioso ed accatarato, nonfora stata sì diligente in levarsi. Tutta-volta le conveniva partire con la solafantesca che ivi accompagnata l’avea.Ciò che potea fare si era l’esser l’ultimaa chiuder l’uscio dell’officina, fetentedel fumo d’una lucerna, lo cui tanfo por-tava su l’affumicato volto sino all’ori-gliere di Claudio.33

    Restò così presa al visco di queisozzi libidinosi diletti, che, dove primadesiderò aver il posto per una notte dallagreca, lo volle poscia per suo e, da quel-la togliendo anco il nome in prestido, siaddossò il titolo di Licisca e mercantò

    33 Comite ancilla non amplius una. Ibi. Iuv.Quod potuit tamen ultima cellam clausit.O[b]scurisque genis turpis fumoque lucernæfoeda lupanaris tulit ad pulvinar odorem.

  • 28

    come tale il suo corpo in sì laido luo-go.34

    [32] Non però la meretricia sete sispense o sminuì punto. Con l’uso dellelibidini non scema il prurito: accresce.Sempre spera il lascivo trovar la pienez-za de’ suoi contenti non nel peccato checommette, ma in quello che è per com-mettere: inganno della carne fatto allospirito. Un cuor lascivo non ha confinia’ desiderii. Avrebbe voluto Messalinaesser caduta in quell’isola di satiri chedi mente d’Eufemo Cario riferisce Pli-nio istorico. Vorrebbe essersi abbattutane’ giganti. Trovavasi la impura più fre-quentemente a’ lupanari che al giardinoo al bagno. Per trasferirvisi agiatamentee fuori d’ogni sospetto, alloppiava il vi-no a Claudio ed agli eunuchi che laguardavano e, gitasi a coricare con lui,sentitolo profondamente russare, gli sitoglieva da lato;35 mutate le vestimenta,per i noti avvolgimenti di vie correva alsuo centro, ch’era la cava di Licisca.

    Il marito fa la moglie. Chi l’ha im-pudica non incolpi che se stesso, mas-sime se l’infamia è publica. Se alcundesidera saper l’opere della sua moglieguardi se stesso. Senza la coppa che die’l’ospite a Rinaldo potrai facilmentechiarirti. S’ella ti ama, ti teme; e t’amase meriti esser amato; e amando e te-mendo, non solo non osa, ma non desi-dera d’offenderti.

    [33] Guarda i costumi della madrenon men che i suoi. Di Messala non s’haaltro nella istoria salvo che fu padre di

    34 Et cellam vacuam atque suam. Titulum menti-ta Lyciscæ.

    35 Dormire virum cum senserat uxor, linquebat,etc.

    come tale, in sì laido luogo, il suo cor-po.36

    Non però la meretricia sete si spen-se o sminuì punto. Con l’uso delle libi-dini non scema il prurito: accresce. [42]Sempre spera il lascivo trovar la pienez-za de’ suoi contenti non nel peccato checommette, ma in quello che è per com-mettere: inganno della carne fatto allospirito. Un cuor lascivo non ha confinia’ desiderii. Avrebbe voluto Messalinaesser caduta in quell’isola de’ satiri chedi mente d’Eufemo Car[i]o riferisce Pli-nio istorico. Vorrebbe essersi abbattutane’ giganti.

    Trovavasi la impura più frequen-temente a’ lupanari che al giardino o albagno. Per trasferirvisi agiatamente efuori d’ogni sospetto, alloppiava il vinoa Claudio ed agli eunuchi che la guar-davano e, gitasi a coricare con lui, senti-tolo profondamente russare, gli si to-glieva da lato;37 mutate le vestimenta,per i noti avvolgimenti di vie correva alsuo centro, ch’era la cava di Licisca.

    Il marito fa la moglie. Chi l’ha im-pudica non incolpi che se medesimo,massime se l’infamia è publica. Se al-cun desidera saper l’opere della sua mo-glie guardi se stesso. Senza la cop- [43]pa che die’ l’ospite a Rinaldo potrai fa-cilmente chiarirti. S’ella ti ama, ti teme;e t’ama se meriti esser amato; e amandoe temendo, non solo non osa, ma nondesidera offenderti.

    Guarda i costumi della madre nonmen che i suoi. Di Messala non s’hanella istoria salvo che fu padre di Mes-

    36 Et cellam vacuam atque suam. Titulum menti-ta Lyciscæ.

    37 Dormire virum cum senserat uxor, linquebat,etc.

  • 29

    Messalina. Bisogna ch’egli fosse uomoindegno d’esser nomato fuori de’ vitu-perii. Della madre non si parla: la famale fece tanto favore di non lasciarla co-noscere. Chi potesse penetrar il verotrovarebbe ch’ella era poco diversa dallafigliuola. Le cornici non generano co-lombe. La impudicizia della madre ècome il sangue che cagiona il vaiuolo,vuol romper a qualche tempo: cova congli anni e poi fiorisce. Le dissolutezze diMessalina furno sin dalla fanciullezza sìpubliche che i familiari la chiamavanMionia, Topolina, perché il topo sta inun coito quasi perpetuo senza aver com-pagna particolare, ma, nato subito, ac-coppiandosi a quella e a questo.

    [34] Arrivò a tanto la petulanza diquesta principessa ribalda, regina delleribalde, ch’osò, vivo Claudio, imperanteClaudio, sotto gli occhi del senato, anzipur del mondo, pigliarsi un altro marito!

    Gli eccessi son come le anella dellacatena: l’uno si tira dietro l’altro. È dapreservarsi dal primo, chi non vuol pre-cipitarsi nell’ultimo.

    Claudio non aveva per lei altro dimarito che ’l titolo. Caio Silio era statoed era suo adultero. La pazzia d’en-trambi fu portentosa. Figuratevela letto-ri. Ella, ripresa da Claudio, gli raccor-dava per dileggio di mangiar l’eruca sa-lace, quasi rinfacciandole l’impotenza.Il misero ascoltava, tolerava, taceva, so-spirando alla bellezza fatta per ognuno

    salina. È verisimile ch’egli fosse uomoindegno d’esser nomato fuori de’ vitu-perii. Della madre non si parla che spe-cificando il nome: Lepida. La fama lefece tanto favore di non lasciarla in altracondizione conoscere. Chi potesse pene-trar il vero trovarebbe ch’ella era pocodiversa dalla figliuola. Le cornici nongenerano colombe. La impudicizia dellamadre è come il sangue che cagiona ilvaiuolo, vol romper a qualche tempo:cova con gli anni e poi fiorisce. Le dis-solutezze di Messalina furno sin dallafanciullezza sì publiche che i familiari lachiamavan Mionia, perché il topo sta inun coito quasi perpetuo.

    [44]38 Arrivò a tanto la petulanza diquesta regina delle ribalde, ch’osò, vivoClaudio, imperante Claudio, sotto gliocchi del senato, anzi pur del mondo,pigliarsi un altro marito: Caio Silio. Eraquesto il più leggiadro cavaliero e ’l piùbello della romana gioventù, accoppiatoa Giulia Sillana, dama di fiorite bellezzee di costumi irreprensibili. Per goderlosola, la ingorda lupa usò tutte l’arti piùingiuste. Finalmente ottenne ch’egli coniniquo termine se la levasse dinanzi, ofosse con ucciderla o pure con ripudiar-la.39

    Gli eccessi son come le anella dellacatena: l’uno si tira dietro l’altro. È dapreservarsi dal primo, chi non vuol pre-cipitarsi nell’ultimo.

    Non si possono condurr’a fine imisfatti che con misfatti. Un cuore, che

    38 In margine a capo di pagina l’annotazione:«L’AGGIUNTA segue sino al fine».

    39 In C. Silium, Romanæ iuventutis pulcherri-mum, ita exarserat ut Iuliam Sillanam, nobi-lem foeminam, matrimonio eius deturbaretvacuoque adultero potiretur.

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    fuorché per lui. Si abbandonava alle la-grime perché avea più occhi che cuore epiù affetto che sentimento.

    Già la città corrotta nelle sue femi-ne (riserbate poche famiglie) dall’esem-pio e dal comando di Messalina, pian-geva le sue sciagure. Gli uomini più ri-putati, in vece di Catoni, si trovavanoAteoni, perché l’auttorità e prudenzaloro, che potea regolar le mogli, non po-teva regolar Messalina, che ora questaed ora quella chiamava a’ tripudii infa-mi, così di giorno come di notte, e den-tro Roma e fuor di Roma; non si trova-vano i padri delle Virginie, che uccides-sero le figliuole per sottrarle alla infa-mia. Bisognava celarle al sole, chi voleanasconderle a Messalina, che di bianchigigli volea vederle converse in rose san-guigne.

    [35] Il lezzo finalmente, reso into-lerabile a tutti, commosse i più favoritiliberti della medesima scelerata a rac-cordar a Claudio ch’egli era uomo, seraccordarsi non voleva d’esser impera-dore, mentre pareva Messalina più tostomarito di lui che moglie. Parve uno chesi risvegliasse da un letargo. Le brutturedella consorte le sembrarono più stoma-chevoli nelle accuse che in fatto. Ascol-tò, pensò, risolse, benché freddamente econ languido sentimento più tosto cherisentimento, che fosse uccisa. Fu esse-quito. A lui, che poco era riuscita gravela carica dell’infamia, parve anco (depo-stala) di sentirsi sollevato non molto.

    si faccia nido d’amori illeciti, si fa in-ferno di furie, non che Libia di mostri. Illeone e ’l toro combatte men fiero per lapastura che per gli amori.

    Silio era prima accostumato, giu-sto, [45] assignato; accostatosi al corpodi Messalina, ammorbò l’animo e con-tratta la contagione morì all’onore. Nonè ch’egli non vedesse il mancamento e’l pericolo, ma volea perir in lui.40 Sem-brava un vassello mal governato da ven-ti varii. Il godersi Messalina era un Fa-vonio rispetto agli Euri gagliardi dell’a-varizia e del timore. Sapeva questa pan-tera esser crudele non meno che lussu-riosa. Egli avea la lista degli uccisi dallesue commissioni. Temeva perciò disdi-re. I donativi importanti lo avevano giàlegato. Chi riceve grossi doni vende sestesso al donatore se non li ha primameritati, onde siano più mercede chegrazia. L’oro è un fulmine che abbatte lalibertà e può sprezzare la roccia d’ognipiù risoluto cuore. Messalina donava eprometteva assaissimo, dispensando sen-za riguardo onori e tesori.41

    Non è però che talvolta nol rimor-desse il tarlo della coscienza e che conrimproveri pungenti non li rinfacciasse[46] il tradimento che faceva al suoprincipe; onde proponeva anco talvoltadi dar a Messalina buone parole e, tenu-tala su le speranze, finalmente ingannar-la.

    Ma la cosa era tropp’oltre: non piùsi trattava di occultamente trovarsi in-sieme. Era fatta sì licenziosa Messalina,che nella maggior frequenza del popolo

    40 Neque Silius periculi aut flagitii nescius erat.41 Certo si abnueret exitio et nonnulla fallendi

    spe, simul magnis præmiis, [operire fu-tura] et præsentibus frui pro solatio habebat.

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    andava con grosso corteggio di dame edi cavalieri a ritrovarlo alla casa;42 ve-dendolo in via, faceva fermar il cocchioe ragionava lungamente e dissolutamen-te con lui; lo regalava ora di gemme orad’altre preziosissime cose, vedendo o-gnuno; e finalmente riddotta era la cosaa tale, che non faceano i servi di Clau-dio diferenza dall’imperial corte alleprivate case di Silio, presso cui le sup-pelletili non solo e i migliori arredi diClaudio, ma la imperatoria fortuna an-cora vedevano traslatata.43

    Mentre attendeva costei a stringer ilegami con Silio degl’imenei scelerati,si applicava Claudio ad ogni altro [47]affare che a pensar all’onor proprio, cor-reggendo (censor del publico) i lussi ec-cedenti negli spettacoli.44

    Parve ad alcuni di farlo di nuovoconscio degli scorni della sua casa, es-sortandolo castigarla. Se mossi fosseroda zelo di leali e onorati sudditi o se su-bornati da Agrippina, io ne sto in forse.Non si caccia il chiodo che col chiodo.Non poteva terminar l’infamia di Cesa-re, cagionata da una femina, che per l’a-stuzia d’una femina. Agrippina erascaltra al possibile, così avida di regnarecome desiosa di vivere; d’una bellezzagrave e modesta ma vivace e, tornando abene, anco procace, dispensava sguardicon tanta avenenza a Claudio, che glitraeva dal cuore a viva forza i sospiri edaggirava le sue voglie, benché non ar-disse palesarsele amante. Dissimulava

    42 Illa non furtim sed magno comitatu venti-tare domum.

    43 Translata iam fortuna, servi liberti paratusprincipis apud adulterum visebantur.

    44 At Claudius, matrimonii sui ignarus et muniacensoria usurpans, theatralem populi lasci-viam severis edictis increpuit.

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    Agrippina da gran maestra l’artificio,mostrando ogni gesto, ogni vezzo, natu-rale o casuale.

    È cosa agevole che un uomo pie-[48] ghi all’amor di molte, ciò ricercan-do l’importanza del conservare negl’in-dividui multiplici la sicurezza della spe-cie. La continenza è virtù grande perchérintuzza le forze anco agli stimoli natu-rali.

    Claudio amava, e pur troppo ama-va, Messalina; ma non era che non glipiacesse Agrippina, che anzi inclinavaal possederla. Il lascivo stima sempreche il diletto ch’egli cerca sia in ogn’al-tra donna che in quella ch’è in sua balía.Vorrebbe sempre cose nuove. Gli sguardidi quel bel volto, lavorati dalla maestà,se non dall’amore, nella fucina dell’ar-tificio, fomentavano l’affetto e lo tra-sformavano, con metamorfosi facilissi-ma, in desiderio.

    L’aver Claudio udito e riudito ledissolutezze della moglie cominciò far-gliela men cara, onde più di giorno ingiorno gli veniva in fastidio45 e parevaormai non curarsi dov’ella fosse o ciòche facesse. Applicava a bello studiol’animo ad ogn’alt[r]o pensiero. [49]Internavasi più del solito nelle fonzionidel senato e stava sovente, per divertirela fantasia, con la penna alla mano, scri-vendo ora le azioni proprie ora quelledelli antenati ed ora dando le regole del-le carte e del dado.

    Messalina in questo mentre nonstava punto neghittosa.46 Ella ancoradava opera a’ studi suoi; si chiamavaspesso Silio e spesso anco andava a ri-

    45 Id. Messalina facilitate adulterorum in fasti-dium versa.

    46 Ad incognitas libidines profluebat.

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    trovar lui. Ma qui non faceva punto lasua nequizia: senza freno più che mai, sidava in preda a gladiatori, a mulattieri, asbirri, a cuochi, a furfanti; e tradivaClaudio non solo, ma l’adultero insie-me. Non può essercitar fede chi non hafede. Ella adorava solo le libidini comedii e solo a queste pagava tributo d’in-violabile fedeltà. Al cocciore che la in-festava non bastavano per estinguerlo iliquori d’uno, di sei né di dieci fonti.

    In questo tempo venne a Silio inpensiero di trarsi totalmente la mascherae passare al matrimonio di Messalina[50] sotto gli occhi del publico.47

    Gli animi, col tempo, si addomesti-cano a quelli eccessi che da prima li fe-cer tremare solo a pensarli, non che acommetterli. Su le prime imaginazionipareva a Silio d’aver la scurre sul collo,se questa sua risoluzione bestiale di spo-sar la moglie di un imperator vivente sifosse punto risaputa; cominciò cedere lacircospezzione a poco a poco e ’l timoreed avanzarsi l’audacia. Egli stesso neparlò a Messalina, persuadendola e qua-si astringendola a celebrare publicamen-te le nozze: o ch’ei fosse di pochissimalevatura o che le cause soprane lo di-sponessero o ch’egli finalmente stimas-se non esser rimedio migliore per allon-tanar i pericoli che i pericoli.48

    Claudio era in età ed in vigore dicampar molti anni; non si compliva a-spettare ch’egli morisse per effettuare ilor maritaggi. Chi tratta con retto cuorepuò procedere con discorsi e metter isuoi disegni in consulta, rego- [51] lan-

    47 Abrumpi dissimulationem etiam Silius urge-bat.

    48 Sive fatali vecordia, seu imminentium pericu-lorum remedium pericula ratus.

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    do le sue speranze; ma per le sceleraterisoluzioni non è altro rifugio che unatermerità bizzarra e sprezzante.

    Io credo che non possa correr népur un lieve pensiero per lo capo di don-na che, vivente il marito, si propongapigliar il tale, se non è meretrice. Ha co-stei già adulterato nel cuore, se s’è com-piacciuta di soverchio. Tanto peggio se,vivo il consorte, maneggia nuovo acca-samento.

    Dava grande impaccio a Silio l’es-ser molti consapevoli di questa malvagi-tà, che poteva, per tacerla, porli in ri-schio gravissimo.49

    È parte di supplicio al reo l’avercomplici o consapevoli del misfatto: iltormento, che non gli dà la conscienzacol rinfacciarglilo, hallo dal pensare chepossono i conscii precipitarlo.

    Il celibato (allontanata da sé la mo-glie, e Dio sa come) gli riusciva mole-sto, e per li piaceri non così pronti e perla cura del suo corpo e della [52] suacasa. Pigliar altra non gli sarebbe per-messo, dissuasa ognuna dalle male ma-niere usate con Giulia Sillana, qualifica-tissima e bellissima gentildonna; négliel’avrebbe Messalina acconsentito.

    Il maggior ostacolo che si oppones-se a questo perfido negoziato era unaimplicanza politica, cioè l’esser già Bri-tannico sul fiorire, con le sue pretensio-ni di principe; onde pensò di scior que-sto nodo e trarsi lo impaccio de’ piedianco circa questo grave rispetto colpromettere a Messalina di addotarlosiincontinente.

    Così tutto veniva a pelo, restandoMessalina tutt’ora nella sua prima gran-

    49 Adesse conscios, paria metuentes.

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    dezza,50 massime quando foss’ella statacosì coraggiosa come iniqua e le fossedato l’animo di levarsi Claudio d’inanzicol veleno prima ch’egli uccidesse lei.

    Questo fatto era assai difficile, per-ché Claudio con gran cauzione si guar-dava, sapendo con la perfida ch’aveva[53] a fare, massime avisato da coloroche lo desideravano salvo. E dall’altrocanto troppo duro stecco riusciva negliocchi a Silio ed a Messalina il conoscer-lo, sì come alle volte troppo paziente,così alle volte anco precipitoso e bestia-le.51

    Non piacque molto a Messalinasentirsi da Silio sollecitare a gl’imenei.52

    Erano bensì concordi nel fine delle libi-dini, ma non già negl’interessi particola-ri e ne’ mezi.

    Il vizio non può stabilire amiciziavera, che non sa edificare i propri abita-coli che sul fondamento della virtù.Messalina amava il corpo di Silio, nonl’animo; Silio amava e temeva l’oro e lapotenza di Messalina, non le maniere,ma forse il corpo.

    Una femina sfacciata si gode, manon si ama: tanto dura l’affetto quanto ildiletto, ch’è fugacissimo. L’uomo le siaccosta per deporre il soverchio, comesi accosta per necessità a’ luoghi impurie fetenti.

    [54] Non dispiaceva però alla in-fame il sentir da Silio accelerar gl’ime-nei. Non perché