MESSAGGIO PER LA GIORNATA DELLA MEMORIA

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149 del 4 febbraio 2016 - 25 shvat 5776 Sullam | 1 anno VIII bollettino n. 149 4 febbraio 2016 - 25 shvat 5776 MESSAGGIO PER LA GIORNATA DELLA MEMORIA DI RAV DR. UMBERTO PIPERNO - RABBINO CAPO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI NAPOLI Ogni giorno l’ebreo recita sei versi del Pentateuco, nei quali compare la parola “ricordo”: “ricorda il giorno dell’uscita dall’ Egitto, la casa di schiavitu’, tutti i giorni della tua vita”, “ricorda il giorno del Sabato per santificarlo”, “ricorda tutta la strada che ti ha fatto percorrere nel deserto”, “ricorda quello che ti ha fatto Amalek nel viaggio quando siete usciti dall’Egitto”, “ricorda i miracoli che hanno visto i tuoi occhi”, “ricorda il giorno in cui sei stato davanti al Signore sul Sinai”. L’uomo esercita la funzione del ricordo come specificità di un essere unico di fronte alla natura e al suo Creatore. La libertà personale e collettiva è la base dello sviluppo della memoria e ne regola il flusso di fronte ad eventi simili. L’uscita dall’ Egitto è la condizione necessaria che segna il passaggio alla libertà della Nazione. La capacita’ di osservare il Sabato come il riposo creativo, permette all’uomo di rielaborare la propria coscienza, così come nel viaggio del deserto, paradigma di ogni esilio ed isolamento, l’uomo rischia di perdere la Memoria. Per questo ricordiamo Amalek, prototipo del nemico che colpisce per distruggere, senza distinzione di persona. Ma ogni ricordo è in funzione del recupero della propria identità. Il giorno di fronte al Sinai significa la quotidianità nel rispetto della Legge divina, nel rispetto e nello sviluppo dell’uomo e la sua crescita personale e collettiva. Tutto questo e’ stato cancellato dalla Shoah insieme alla cosiddetta civiltà europea. Ricordare vuole essere innanzitutto un monito per tutti per recuperare con il ricordo dell’ingiustizia, della distruzione, del baratro dell’ umanità il necessario cammino nel deserto per ritrovare noi stessi. Ciascuno nella sua coscienza rielabori il rapporto con l’altro, con il ricordo rafforzi la crescita di quella rete di rapporti meravigliosi capaci di riconnettere i fili spezzati per costruire con la Memoria un futuro di cooperazione di fronte alla Legge, di fronte al valore creativo della Parola, Ricordare con il cuore, ma soprattutto con la Parola significa elaborare uno strumento formativo per l’esercizio della Memoria.

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anno VIII bollettino n. 149 4 febbraio 2016 - 25 shvat 5776

MESSAGGIO PER LA GIORNATA DELLA MEMORIADI RAV DR. UMBERTO PIPERNO - RABBINO CAPO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI NAPOLI

Ogni giorno l’ebreo recita sei versi del Pentateuco,

nei quali compare la parola “ricordo”: “ricorda il

giorno dell’uscita dall’ Egitto, la casa di schiavitu’,

tutti i giorni della tua vita”, “ricorda il giorno del

Sabato per santificarlo”, “ricorda tutta la strada

che ti ha fatto percorrere nel deserto”, “ricorda

quello che ti ha fatto Amalek nel viaggio quando

siete usciti dall’Egitto”, “ricorda i miracoli che

hanno visto i tuoi occhi”, “ricorda il giorno in cui

sei stato davanti al Signore sul Sinai”.

L’uomo esercita la funzione del ricordo come

specificità di un essere unico di fronte alla natura

e al suo Creatore.

La libertà personale e collettiva è la base dello

sviluppo della memoria e ne regola il flusso di

fronte ad eventi simili. L’uscita dall’ Egitto è la

condizione necessaria che segna il passaggio alla

libertà della Nazione.

La capacita’ di osservare i l Sabato come

i l r iposo creativo, permette all ’uomo di

r ielaborare la propria coscienza, così come

nel viaggio del deserto, paradigma di ogni

esi l io ed isolamento, l ’uomo rischia di

perdere la Memoria.

Per questo ricordiamo Amalek, prototipo del

nemico che colpisce per distruggere, senza

distinzione di persona. Ma ogni ricordo è in

funzione del recupero della propria identità.

Il giorno di fronte al Sinai significa la quotidianità

nel rispetto della Legge divina, nel rispetto e nello

sviluppo dell’uomo e la sua crescita personale e

collettiva.

Tutto questo e’ stato cancellato dalla Shoah

insieme alla cosiddetta civiltà europea.

Ricordare vuole essere innanzitutto un

monito per tutti per recuperare con il ricordo

dell’ingiustizia, della distruzione, del baratro

dell’ umanità il necessario cammino nel deserto

per ritrovare noi stessi.

Ciascuno nella sua coscienza rielabori il rapporto

con l’altro, con il ricordo rafforzi la crescita di

quella rete di rapporti meravigliosi capaci di

riconnettere i fili spezzati per costruire con la

Memoria un futuro di cooperazione di fronte

alla Legge, di fronte al valore creativo della

Parola, Ricordare con il cuore, ma soprattutto

con la Parola significa elaborare uno strumento

formativo per l’esercizio della Memoria.

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DISCORSO PRONUNCIATO DALLA PRESIDENTE DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI NAPOLI LYDIA

SCHAPIRER, ALLA CERIMONIA ORGANIZZATA NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO FERRA-

MONTI IN RICORDO DELLE VITTIME DELLA SHOAH.

Cari tutti,

È con profonda commozione che mi trovo in questa

giornata di ricordo e riflessione qui con voi a Ferramonti

- campo di concentramento fascista e santuario della

Memoria - nel difficile doppio ruolo di Presidente della

Comunità Ebraica di Napoli e di figlia di un ex internato

in questo campo. Dario Schapirer. Mio padre.

Un campo, Ferramonti, che mio padre ha voluto

trasmetterci come esempio di umanità nonostante

la fame, la malaria e tutte le tragedie e le difficoltà

inferte all’Italia dalla folle guerra in cui ci trascinò

il regime fascista.

Un campo, che per la sua atipicità nel panorama

dell’universo concentrazionario nazifascita ben si

presta a specchio dell’Italia di quell’epoca: un Italia

a livello popolare sicuramente migliore di chi si

era arrogato il diritto - con tracotanza e violenza -

di governarla e di imporle sulla scia dell’esempio

tedesco l’infamia delle leggi razziali.

E’ a figure come il Maresciallo Gaetano Marrari, Fra Callisto

Lopinot e Paolo Salvatore che noi ebrei tributeremo

sempre la nostra eterna gratitudine e riconoscenza.

Non solo in questa giornata dedicata alla memoria delle

vittime della Shoah, ma tutti i giorni dell’anno.

Che il loro ricordo sia per noi tutti insegnamento

e benedizione. Volgendo uno sguardo al presente, è

scontato che come italiani e come ebrei ci troviamo ad

affrontare l’appassionante sfida di preservare - ora che

per ovvie ragioni anagrafiche di anno in anno viene

sempre più a mancare la testimonianza diretta dei

sopravvissuti - la memoria e il senso profondo di ciò che

è stata la Shoah. Lo dobbiamo in particolare alle nuove

generazioni, che vivono quegli anni sempre come più

lontani, anni durante i quali il rispetto verso l’individuo

e le minoranze è venuto meno da ogni punto di vista

sfociando nella più bieca violenza fisica e psicologica.

Sono sicura, che come Comunità Ebraica, di concerto e

col sostegno delle Istituzioni, riusciremo ad assolvere

anche a questo compito. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi.

Altrimenti, presto o tardi il 27 gennaio come spesso già

accade non solo perderà il suo significato ma rischierà di

degenerare in una semplice ricorrenza inutile e stantia.

La situazione delle comunità ebraiche in Italia, oggi, è

tutto sommato buona rispetto alle criticità che purtroppo

sempre più di frequente ci offre il panorama Europeo

ed Internazionale, ma pensare che il nostro Paese

sia immune al germe dell’antisemitismo sarebbe un

gravissimo errore di valutazione. Non possiamo ignorare

fenomeni spregevoli come le liste di proscrizione di

recente ricomparse sul web. Ed anche se è vero che

qui in Italia siamo di fronte ad episodi che per gravità

e frequenza sono ancora lontani dalla violenza e dal

terrorismo di cui sono vittime i nostri correligionari in

Belgio, in Francia, in Olanda, in Svezia, in Danimarca, in

Norvegia e anche in Ungheria e in altri paesi est europei

non per questo dobbiamo o possiamo abbassare la

guardia. E non possiamo nemmeno chiudere un occhio

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di fronte alla trasversalità del fenomeno antisemita, che

sarebbe da ipocriti voler confinare all’estrema destra,

essendone afflitto anche un ampio spettro della sinistra.

Deve essere chiaro a tutti che non faremo nessuno

sconto a chi maschera il proprio antisemitismo col

pretesto dell’antisionismo, sostenendo la retorica

terroristica e antidemocratica di chi sogna la distruzione

dello stato di Israele. E non staremo nemmeno in

silenzio di fronte a chi in maniera spregevole, a proprio

uso e consumo si fa scudo delle tragedie degli ebrei

morti per chiedere la morte degli ebrei vivi, facendo

parallelismi storici privi di ogni fondamento e ragione.

E tutto questo prima che a noi stessi lo dobbiamo a tutti

coloro che per il solo fatto di essere nati ebrei e di aver

continuato ad esserlo hanno pagato prezzi altissimi.

Il popolo ebraico ha fatto molta strada da quel lontano

27 gennaio del 1945. E’ oggi un popolo che si è

ringiovanito pur rimanendo legato alle tradizioni, e

questa sua trasformazione - che coincide con la nascita

e l’evoluzione dello Stato di Israele - è la forza dinamica

e creativa che l’ha reso ovunque integrato e protagonista

di primo piano nelle rispettive comunità nazionali, di cui

ne condivide le gioie e i dolori, i successi e le sconfitte.

All’occorrenza, nel caso in cui le minacce passate

dovessero ripresentarsi, con il vostro aiuto sapremo

come affrontarle, e senza paura combatterle e vincerle,

in nome della libertà di noi tutti, affinchè certi mostri del

passato vengano sconfitti per sempre e non tornino mai

più. Vi ringrazio, e ringrazio le autorità civili e l’autorità

religiosa qui presenti ed i rappresentanti del mondo

della cultura e della scuola per il loro costante impegno.

SHALOM

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SOTTO IL SEGNO DEL CEDRO DI RAV UMBERTO PIPERNO

Domenica 24 Gennaio abbiamo celebrato a Napoli Tu

BiShvat leggendo il Peri Ez Hadar, frutto dell’albero di

bell’aspetto, formulario per il Seder con la comunità.

L’aiuto di Giorgio e Micol che hanno presentato

ogni frutto con la sua benedizione, ha fatto meritar

loro di essere incoronati “valletti di Tu BiShvat”.

I midrashim di Ariel Finzi e la Mishna’ spiegata

da David Glavas, hanno introdotto lo speciale

concerto itinerario dell’anima della musica ebraica

Napoletana- Mediterranea di Raiz Rino Della Volpe,

che ha voluto offrire la sua arte e il suo canto in

memoria di suo padre z’l’ recentemente scomparso,

e del gruppo barese Radicanto. Un pubblico da

grandi occasioni ha premiato gli sforzi degli

organizzatori.

Lunedi’ 25 a Catania il Centro di documentazione

ebraica contemporanea ha presentato la mostra

1938- 1945 “La persecuzione degli ebrei in

Italia”, con speciale attenzione sulla reazione

degli ebrei siciliani alle leggi razziali. Il professor

Michele Sarfatti, insieme al professor Giuseppe

Speciale, hanno svolto due importanti relazioni

dopo i saluti del vice ministro Bubbico in

rappresentanza del governo. Rav Piperno ha

esposto nel suo intervento il significato della

recitazione quotidiana dei sei versi del ricordo

che pongono l’uomo nel cammino dall’Egitto

al Monte Sinai alla ricerca del bene comune.

Dopo un viaggio notturno ho incontrato il nostro

delegato Roque Pugliese, con il quale abbiamo

condiviso due giornate intense di incontri,

conferenze e contatti con una realta’ spirituale

sotterranea che cerca di emergere in tutte le

sue forme. Il mattino di martedì 26, a Santa

Maria del Cedro, con Franco Galiano, Presidente

dell’omonima Accademia, di fronte a scuole e

autorita’ ed imprenditori e’ stato illustrato il

significato del cedro nella vita ebraica e le sue

opportunità nel commercio internazionale. Dopo

il taglio della torta al cedro, e finalmente una

pianta invernale, abbiamo raggiunto Cosenza

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per la celebrazione della Giornata dell’Ebraismo

indetta dal locale episcopato con la riflessione

sul decimo comandamento: non desiderare la

donna d’altri. Il giorno successivo abbiamo posto

al mattino nel cimitero di Tarsia le terre della

vita, polvere e sassi portati da Gerusalemme da

due signore nate nel campo per simboleggiare

la resurrezione profetica e la ricostruzione di

Gerusalemme.

Ci siamo trasferiti al campo di Ferramonti dove,

davanti al cedro piantato dal Keren Kayemet e’ stata

svolta una toccante cerimonia di commemorazione,

culminata con il suono solenne dello shofar

suonato da Roque. L’ultima tappa nella prefettura

di Catanzaro per ricordare con la città la Giornata

della Memoria, nella speranza di una societa’ senza

gli orrori del passato.

Concerto Raiz e Radicanto in Sinagoga a Napoli

foto di Luca Canzanella

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CATANIA. LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI IN ITALIA. DOCUMENTI PER UNA STORIADI CARLO DAVIDE UCCELLATORE

Giorno 25 gennaio, si è tenuta a Catania una

manifestazione nell’ambito della celebrazioni in ricordo

della Shoà. Tale evento ha avuto corso nei locali del

Palazzo della Cultura all’interno del quale è stata allestita

ed inaugurata una mostra fotografica ( rimarrà aperta fino

al 15 di febbraio) dal titolo: 1938-1945 “La Persecuzione

degli ebrei in Italia. Documenti per una Storia”.

Alla cerimonia hanno partecipato sia istituzioni cittadine

che nazionali, con la presenza del sindaco Enzo Bianco,

il prefetto Maria Guia Federico ed il vice ministro degli

Interni Filippo Bubbico. Inoltre sono intervenuti il

prof. Michele Sarfatti direttore del CDEC di Milano (

Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), e

Giuseppe Speciale professore dell’ Università di Catania,

docente di Storia del Diritto medievale e moderno.

Come rappresentante della Comunità ebraica vi era

rav Umberto Piperno, rabbino capo di Napoli. Nella

Tradizione ebraica la parola “ricorda” ha una valenza

molto forte: il verbo “zachar” nelle sue diverse forme

compare innumerevoli volte nella Bibbia. E rav Umberto

Piperno nel suo intervento ha evidenziato proprio ciò,

dicendo che l’ebreo ogni giorno recita sei versi della

Torah in cui compare il termine “ricorda”. Rav Piperno

ha inoltre sottolineato che “Ricordare col cuore, ma

soprattutto con la Parola significa elaborare uno

strumento formativo per l’esercizio della Memoria”. Per

quanto concerne la mostra sulla persecuzione degli ebrei

in Italia, molto interessante la sezione dedicata agli ebrei

che vissero in Sicilia durante quel tragico periodo. Una

storia poco nota, ma altrettanto drammatica è quella che

riguardò appunto gli ebrei presenti in Sicilia. Come il caso

del prof. Azeglio Bemporad, che diresse l’osservatorio

astrofisico di Catania per circa 20 anni sino all’espulsione

dall’università avvenuta con l’avvento delle Leggi razziali,

o come il prof. Ascoli docente di Anatomia patologica

a all’università di Palermo, che subì la stessa sorte. Ci

furono anche ebrei nati in Sicilia che vennero deportati,

molti di loro non fecero più ritorno.Vorrei ricordarne i

nomi: I fratelli Alberto e Carlo Todros, nati a Pantelleria

( TP ). Vengono arrestati nel 1943 in Liguria per attività

antifascista, condotti a Fossoli, ed infine inviati nel lager

di Mauthausen. Entrambi faranno ritorno. Olga Renata

Castelli nata a Palermo. Viene arrestata a Firenze. Viene

inviata nel campo di transito di Fossoli, ed infine nel

maggio del 1944 deportata ad Auschwitz. Morirà in

lager. Leo Colonna nato a Palermo. Arrestato a Torre

Pellice (TO), viene successivamente condotto a Milano

e da lì ad Auschwitz. Anche egli non sopravvivrà al

lager. Emma Moscato nata a Messina. Viene arrestata a

Mantova nel dicembre del ‘43, deportata ad Auschwitz il

5 aprile del ‘44. Viene uccisa al suo arrivo il 10 aprile del

‘44. Ed infine Egle Segre nata a Messina, viene arrestata

nei pressi di Varese dai tedeschi nel novembre del ‘43.

Viene condotta nel carcere di Milano e nel dicembre

dello stesso anno deportata ad Auschwitz da dove non

farà più ritorno.

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EMILIO B.DI PAOLO CAMERINI

Strano, misterioso ed ingiusto è il destino di uomini

che, nonostante la luce del loro intelletto, cadono

crudelmente nella polvere dell’oblio. Sono essi, per

lo più, creature semplici e generose che affrontano

con coraggio e dignità il vento ostile della vita.

Senza dubbio Emilio Beer fu una di queste sfortunate

creature. Così esordisce Mario Bevilacqua nel suo

saggio dedicato ad Arrigo Heine, ricordando Emilio

Beer, che lo indusse ad amare la lirica del poeta

tedesco e l’arte dello scrivere.

Chi avesse incontrato Emilio Beer al Tempio, ch’egli

frequentava quale appartenente alla religione

ebraica, o nei locali della Comunità, dove non

mancava mai alle riunioni culturali, curioso com’era

di ogni aspetto del sapere, lo avrebbe notato se non

altro per quel suo aspetto trasandato che spiccava

in mezzo a tanti signori ben vestiti.

Emilio Beer era nato nei primi del novecento, ma

quando negli anni cinquanta, qualcuno che l’aveva

conosciuto da giovane gli chiese quanti anni

avesse, egli rispose novanta: e pareva sentirseli

tutti addosso quegli anni, quegli anni in più, come

un peso che ormai si era abituato a portare.

Bevilacqua di lui così scrive: poverissimo, provato

da gravi limitazioni fisiche che gli impedivano

ogni lavoro manuale, sprovvisto di titoli di studio,

autodidatta, ma forbito scrittore e delicato poeta

per dono di madre natura, Emilio Beer traeva i

mezzi necessari alla sua sopravvivenza dagli articoli

pubblicati su giornali e da testi che egli scriveva

per altri, per lo più aspiranti alla libera docenza.

Egli praticava i pressi dell’Istituto Orientale dove

cedeva i suoi scritti, a prezzi irrisori, ma che tuttavia

gli consentivano di consumare qualche pasto

frugale in un’osteria della zona.

L’Istituto Orientale era allora frequentato da

belle ragazze che aspiravano all’insegnamento di

lingue straniere, da studenti di Scienze coloniali,

da politicanti da strapazzo e da avventurieri

provenienti dal Medio Oriente.

Con questi ultimi soprattutto Emilio Beer amava

intrattenersi a parlare, per meglio conoscere

il pensiero e la realtà storica dei loro paesi. Si

esprimeva correttamente in francese, avendolo

appreso fin dalla prima infanzia dalla madre

parigina.

Quando furono promulgate le leggi razziali, egli,

indignato e profondamente addolorato, aderì al

gruppo clandestino che si opponeva al regime.

Da quel momento divenne un antifascista

militante. Si distinse nella propaganda di idee

liberal-democratiche; distribuiva scritti di Mazzini,

manifesti avversi al fascismo e soprattutto al

nazismo, che metteva sulle sedie delle chiese e

sulle panchine dei giardini pubblici.

Poi, nel 1944, scomparve per qualche tempo: era

stato rinchiuso in un campo di concentramento

insieme ad altri ebrei.

Ricomparve nei pressi dell’Orientale dopo la

Liberazione, era ancora più macilento e sofferente

di prima - scrive Bevilacqua – ma euforico e

fiducioso nell’avvenire.

Aveva ripreso ad aiutare i giovani iscritti al corso di

laurea in scienze coloniali nella stesura della tesi e

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pubblicava articoli letterari sul Giornale, ch’era un

quotidiano liberale d’ispirazione crociana.

Questa sua ultima attività lo rese noto anche

al grande pubblico, quello che leggeva la terza

pagina dei quotidiani. Oltre alla collaborazione

con altri periodici Emilio Beer aveva pubblicato le

sue poesie con l’editore Guida, nella cui libreria

si riunivano di nascosto i democratici durante il

regime fascista.

Abitava in Piazza Vanvitelli n.10, dove una

gentildonna, Lidia Fratesca, discendente da un’antica

famiglia risorgimentale, costretta dal duro destino a

dare in affitto le stanze del proprio appartamento, gli

aveva concesso gratuitamente l’uso di una stanza e

spesso gli offriva anche il pranzo.

“La mia fata benefica” la definiva il povero Emilio.

Lo scorso Shabbath abbiamo avuto l’onere ed il piacere di accogliere un nutrito gruppo di ragazzi da

Roma, a loro va il nostro ringraziamento. Chi c’era ha potuto vedere gioia e vivacità e vivere uno Shabbath

“con i controfiocchi”!! Grazie a Rav Piperno, ad Ariel Limentani, a tutte le mamme che hanno fatto in modo

che questo accadesse ed alle signore che si sono preoccupate dell’organizzazione.

Questo Shabbat, 31 gennaio 2016, e’ stato particolare, infatti per la prima volta ho visto un gruppo in

Sinagoga a Napoli, di ragazzi tra i 10 e gli 11 anni, tra i quali ricordo Joshua, Benji, Yoseph, Dario e Micol.

I ragazzi insieme a Rav Piperno sono saliti sulla Tevah, ed hanno letto ad alta voce la maggior parte delle

preghiere. All’ ora di pranzo siamo stati benissimo e ciò che era stato cucinato era molto buono, ringrazio

quindi Gabriella e Lori che hanno preparato il pranzo per tutti noi.

Nel pomeriggio siamo usciti con il Madrich Ariel Limentani e dopo c’e’ stata una merenda con biscotti

assieme al Rabbino Piperno, che insegnava tante cose circa la Torah.

Un bellissimo Shabbat tutti insieme

Era senza dubbio una donna generosa ed ostentava

la sua fede repubblicana seguendo la tradizione

della sua famiglia.

Fu presso quella dimora che il Bevilacqua, dopo

diversi giorni che non vedeva Emilio Beer, andò a

cercarlo, ma lui da diversi giorni mancava da casa.

Rientrò una sera, improvvisamente, dicendo: « la

mia testa è così dura che ha ammaccato il parafango

di una macchina ». Dopo poche ore morì per una

commozione cerebrale.

Dei suoi manoscritti: alcune raccolte di poesie e il

suo diario intitolato “Illusione e Realtà” si perse

ogni traccia. Io sono, forse, uno dei pochi, se non

l’unico, ad averne un dolce ricordo. - dice di lui

Mario Bevilacqua. Ma forse, da ora, non l’unico ad

averne memoria.

UNO SHABBAT SPECIALEDI ALESSANDRO YOSEF PARFITT

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ONORA IL PADRE… DI C. YEHUDÀ PAGLIARA

Quando i dialoghi non sono mero esercizio di retorica

o la semplice somma di discorsi tra sordi, attenti solo a

curare il proprio dire ed incapaci di ascoltare la parola

dell’interlocutore accade che, poche ore prima del

Santo Shabbat, si possa ricevere un ospite e rendere

al medesimo l’accoglienza necessaria. Così facendo si

adempie ad una mitzwah che ci è stata, con l’esempio,

trasmessa attraverso l’opera del patriarca Avraham. Le

“corse” che compie l’anziano e convalescente tzaddìk

da quando vede all’orizzonte e nella calura del giorno le

sagome dei tre malachìm e sino a quando non li serve,

ospitandoli nella sua tenda danno, da sempre, il senso

e la misura della mitzwah dell’accoglienza. Avraham è

il primo dei patriarchi del nostro popolo, ma è anche

il patriarca di altri popoli, differenti dal nostro. È, in

definitiva e come riportato nel suo nome modificato per

volontà divina, il “padre di una moltitudine di genti”.

Non possiamo essere gelosi che altri, i non ebrei, possano

accostarsi alla figura di Abramo con l’onore che noi ebrei

gli tributiamo come padre (“Onora il padre e la madre…”,

Es. 21, 12) e, al contempo, con il timore dovuto alla figura

genitoriale (“Ognuno sua madre e suo padre temerete…”,

Lev. 19, 3). Può capitare, dunque, che poche ore prima

di Shabbat Shemòt, Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini,

Presidente del Coreis (Comunità Religiosa Islamica

italiana), accompagnato dal figlio Imam Yahya Sergio

Yahe Pallavicini (Vice-Presidente Coreis), con le proprie

famiglie ed un nutrito gruppo di fedeli islamici, in viaggio

per la Puglia, abbiano chiesto agli ebrei del posto di poter

visitare l’antica sinagoga Scolanova di Trani. Ripercorrendo

le orme del Patriarca, nel primo giorno del nuovo anno

civile, si sono aperte le porte di Scolanova e si sono accolti

gli ospiti. Il Maestro Francesco Lotoro ha illustrato la storia

della presenza ebraica in Trani e in Puglia e l’importanza

di Scolanova, restituita al culto, dopo una lunga parentesi

di quasi cinquecento anni, soltanto nel 2004; mentre

l’Assessore ai Rapporti Istituzionali per il Sud Italia della

Comunità Ebraica di Napoli, avv. C. Yehudà Pagliara, dopo

i saluti della Presidente Lydia Schapirer e del Rabbino

Capo Umberto Piperno, ha -nel nome di Abramo- parlato

ai presenti del contenuto e dei profondi significati della

Parashà Vayerà. Successivamente, con parole colme

di gratitudine e di commozione, lo Shaykh Pallavicini

ha salutato gli ebrei ed i musulmani convenuti a Trani,

ringraziando tutti per l’ospitalità riservatagli.

A quel punto, così come in precedenza richiesto dagli

amici del Coreis e come autorizzato dal Rabbino Capo di

Napoli, tutti insieme, ebrei e musulmani, ci si è dati da fare

per consentire agli ospiti islamici di poter effettuare la loro

preghiera di mezzodì. Davanti all’Aron haCodesh, oltre alla

cortina davanti all’armadio che custodisce il Sefer Torah

di Trani, si è posta la mechitzà e, nell’area al di qua della

medesima, s’è ricavato lo spazio per i tappeti di preghiera.

Poi una bella passeggiata (durante la quale ci si è imbattuti

in famiglie di ebrei romani in vacanza, con una coincidenza

che, se voluta, probabilmente non avrebbe trovato tanto

puntuale sincronismo!) per l’antica giudecca tranese

affacciata sul caratteristico porto, ha coronato una bella

mattina all’insegna dell’amicizia, del dialogo e del rispetto

reciproco. Infine, dopo i saluti e gli abbracci, di corsa a

prepararsi per lo Shabbat, puntualmente accolto, qualche

ora dopo, con l’accensione dei lumi e kabbalat Shabbat.

Probabilmente era dai tempi di Federico II che in Puglia

non accadeva qualcosa di simile…

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CELEBRATING HANUKAH AT SCOLANOVA

This year’s Hanukah was a particularly joyous time

for Puglia’s small Jewish community.

For the congregation of the Scolanova synagogue

in Trani was honoured on the second night of this

time-honored Festival of Light by two visitations.

The Chief Rabbi of Naples, Rav Umberto Piperno

conducted the service and performed the candle-

lighting ceremony.

And 47 fellow-Jews mainly from the north of Italy

but also from as far afield as Sydney, Australia,

joined in the celebration at what is thought to

be Europe’s oldest functioning shul. Part of the

organisation, Kesher, they were on a five-day

Jewish history tour of Puglia.

Our photograph shows Rav Umberto Piperno

performing the candle-lighting honor.

Ecco un’immagine della bella festa di Channukà, organizzata

anche a Napoli, in Piazza dei Martiri (ph. Luca Canzanella)

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SENTIERO DI VITA E RISENTIMENTODI ANTONIO CARDELLICCHIO

Il numero 10/2015 di Limes, rivista di geopolitica, è

dedicato a “Israele e il Libro”. L’editoriale conferma la

caratteristica non scientifica ma di semplice doxa della

rivista, subordinata all’ideologia del politicamente

corretto. Con l’incomprensione in radice delle ragioni

profonde dell’esistenza dello Stato di Israele, e dunque del

diritto all’indipendenza e alla libertà politiche degli Ebrei.

Ragioni certo complesse, originali, eccezionali, Più volte

la linea editoriale di Limes ha mostrato incomprensione e

ostilità. Un esempio: il numero uno del 2010 è intitolato

“Israele senza Palestina” proprio quando propaganda e

attività delle organizzazioni negazioniste erano e sono per

una Palestina senza Israele, con l’eliminazione anche della

prospettiva dei due Stati per due popoli.

Una geopolitica di buon livello dovrebbe aver compreso

che le principali storie di fondazioni di civiltà istituzionali

sono eccezionali, eccezionaliste: le poleis della Grecia

classica verso gli imperi orientali, i Comuni e le città libere

dal Medioevo al Rinascimento che conquistarono la loro

autonomia nella lotta tra papato e impero, la costituzione

britannica non scritta come rivoluzione liberale (libertà

individuali, limitazione del potere, regina che regna

ma non governa), la confederazione svizzera, la nascita

rivoluzionaria degli Stati Uniti d’America nel modello

biblico del Patto d’Israele) verso gli stati assolutisti

d’Europa. Inoltre, la magistrale politologia e geopolitica

di Carl Schmitt trova il suo centro nella tesi dello “stato

d’eccezione” costituente.

Più di tutte è eccezionalista la nascita della democrazia

ebraica. Su di essa una vasta letteratura a cui si dovrebbe

rimandare Limes, nella cui mente contabile la realtà di

Israele non rientra. Ancora maggiore incomprensione-

negazione per il Libro. Per il loro dogma secolarista con

annesso materialismo storico è inconcepibile la realtà

ebraica del popolo del Libro, nel legame eccezionale di un

popolo disperso ed esiliato con la Terra di Israele, attraverso

la plurimillenaria esistenza ebraica guidata dalla Torah. Per

loro la Torah è un archivio storico, le religioni destinate ad

una marginalità privata. Ora la vivente esistenza religiosa

nel bene (potenza etica, infinito della verità, civiltà della

persona creata a immagine di Dio, prossimità, potenzialità

di pace) e nel male (islamismo radicale che fonde in se

stesso strumentalizzazione secolare di una religione con

una guerra di religione) smentiscono la loro supponenza

intellettuale.

Il titolo stesso dell’editoriale “Una giungla nella villa?”

ribalta un’espressione di Ehud Barak che rappresentava

Israele come una villa nella giungla. Nel contesto la giungla

dei coltelli assassini a Gerusalemme viene in un certo senso

compresa, al limite di un’ambiguità giustificazionista.

Viene denigrato proprio per i suoi riferimenti biblici il

discorso di Netanyahu (agosto 2015) all’ Assemblea

Generale dell’ONU:

“Io sono qui a rappresentare Israele, un paese di 67 anni,

ma lo Stato nazionale di un popolo vecchio di quasi 4mila

anni. Eppure gli imperi di Babilonia e Roma non sono

rappresentati in questa sala delle nazioni. Né lo è il Reich

millenario. Quegli imperi apparentemente invincibili sono

spariti da un pezzo. Ma Israele vive. Il popolo di Israele

vive”.

L’autodifesa militare e popolare, da Tel Aviv a Gerusalemme,

di fronte al terrore all’arma bianca che Maurizio Molinari

con coraggio civile ha indicato ne “La Stampa” come

esemplarità democratica per la difesa degli europei

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dall’Isis, diventa per Limes il caos dei vigilantes, con il

solito luogo comune del Far West. Un lettore potrebbe

intendere che sarebbe normale se gli ebrei israeliani

si facessero gentilmente accoltellare. In conclusione si

cita Amos Oz, scrittore di talento, figlio della libertà di

Israele, sulla continuità storica esistenziale dell’ebraismo,

interpretandolo al contrario: “La nostra è una linea-

scrive Oz-non di sangue ma di testo. Noi che non siamo

credenti restiamo ebrei anche leggendo (…) siamo gli atei

del Libro”. Lo scrittore ci dice che la storia identitaria del

popolo ebraico vive nella Torah e nei libri di un’infinita

interpretazione plurale e che questa lettura vale anche per

gli ebrei che sono liberi non credenti. Nel segno della Torah

è il primato dell’etica per tutti gli ebrei, dove conta il fare,

l’agire. Limes non sospetta neppure, rinchiuso nel misero

schema italico di una contrapposizione tra una religione

storica clericale e un laicismo integralista avversario della

libertà religiosa, fino a che punto religione e nazione per

l’ebraismo siano entrambi particolari e originali e quindi la

distinzione sacro-profano abbia un senso relativo e molto

diverso dalle altre religioni e laicismi. In particolare, alla

geopolitica opinionista di Limes sfugge che il conflitto

israelo-palestinese non sia più definibile come centrale,

come il pericolo massimo per la pace, ora dislocato nel

presente dall’offensiva dell’Isis al cuore dell’Europa e

dell’Occidente. Tuttavia questo numero monografico

contiene diversi articoli e saggi validi di ebrei ed ebraisti,

o significativi e utili sul piano documentale. Testi che

smentiscono in larga parte il maligno editoriale.

L’insigne ebraista Massimo Giuliani in “Israele e il Libro”

esprime bene il pathos dell’intenso legame Israele-Torah:

“. È inimmaginabile (pensare) l’Occidente senza la Bibbia.

È inimmaginabile (pensare) la Bibbia senza Israele. Anche

nella modernità, anche oggi…”. Un testo che ha “forgiato,

per secoli, l’ethos individuale e comunitario di intere

nazioni” e che continua “a sfornare paradigmi di pensiero

teologico politico per molte democrazie occidentali”.

L’identità ebraica è talmente radicata nel testo sacro degli

ebrei che la stessa idea di Israele nasce e “si consolida in

virtù di questa narrativa nazionale che ha al suo centro

il mito di un’elezione divina e di una liberazione epica”.

Gli ebrei non la chiamano Bibbia ma Torah o Tanakh e

“preferiscono non chiamarlo un libro, poiché è un etz

chayyim, un albero di vita”. La Torah scritta non basta, il

giudaismo come sistema di prassi e di fede comprende

la Torah orale “ossia la lunga catena di interpretazioni

da parte dei maestri che l’hanno tramandata, spiegata

e applicata”. Una sterminata creazione culturale “che ha

quasi elevato per dignità “le case di studio al di sopra delle

stesse sinagoghe e porta il nome di Talmud e di Torah e

la porta che introduce sia al concetto ebraico di Bibbia

sia al concetto storico, a un tempo teologico e politico di

Israele”. In tal senso si comprende la frase paradossale di

Emmanuel Levinas, eminente pensatore ebreo: “Amare la

Torah più di Dio”.

Anche l’ebreo “laico” ama il fondamento biblico. L’esempio

di Ben Gurion che non andava in sinagoga, che diceva di

se “sono l’ebreo che mangia prosciutto” ma in quanto

ebreo e primo ministro studiava ogni giorno una pagina

del Tanakh, che valutava essere “il Libro più significativo

non solo per il popolo ebraico ma per l’intera umanità e

un condensato dei più alti valori umani”. Ogni settimana

si riuniva a casa sua con un gruppo di studiosi della Torah.

Dan Bahat, professore di Archeologia dell’Università Bar

Ilan di Gerusalemme in “L’archeologia conferma: la Bibbia

ha ragione e questa è terra nostra” evidenzia quanto gli

scavi documentino la presenza permanente ebraica in

Terra di Israele, in un momento in cui Unesco e autorità

palestinesi la negano e distruggono reperti. Fondamentale

importanza ha la scoperta nel 1928 della Sinagoga di

Bet Alfa, che risale al 540, al tempo dell’imperatore

Giustiniano. Accadde durante i lavori per la costruzione del

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Kibbutz Chefzi-ba. Una scoperta che dimostra l’ininterrotta

presenza ebraica in Eretz Israel e che “fa cadere l’idea dei

2000 anni di lontananza degli ebrei dalla propria terra.

L’archeologia israeliana ha smesso dal 1967 di essere

strumento geopolitico dello Stato ebraico e in buona

misura del sionismo” perché le prove della permanenza

ebraica sono ora visibili a tutti e le nuove scoperte saranno

le benvenute ma non c’è più niente da dimostrare”.

In “I confini di Israele secondo la Bibbia” rav. Pierpaolo

Pinchas Punturello (che è stato ministro di culto nella nostra

comunità) mostra la complessità di due, diverse definizioni

dello spazio israeliano dalle dimensioni completamente

diverse e la diversità tra yerushah che denota la conquista

e achuzah, possesso. “Yerushah e achuzah, parole ebraiche

che rimandano al senso dell’eredità, ma con sfumature

diverse, sono due concetti chiave per descrivere il rapporto

tra testo biblico, popolo ebraico e terra di Israele.

La parola yerushah denota conquista e sovranità, controllo

militare e possesso del territorio. Di conseguenza colui che

controlla un territorio secondo la visione della yerushah

può cedere o vendere un territorio secondo il suo proprio

potere decisionale. La achuzah è invece l’espressione di

un contesto ereditario, non sottoposto a conquiste ma

ricevuto per linea familiare e parentale.

Nell’incontro interpretativo tra yerushah e achuzah

possiamo comprendere il conflitto tra le due definizioni

di confine della Terra d’Israele e l’enorme distanza tra gli

stessi”. L’origine e il senso teologico dei diversi spazi delle

due parole chiave si prestano a diversi usi geopolitici.

Punturello ci fornisce due esempi significativi: il parere

favorevole alla restituzione dei territori del Sinai all’Egitto

da parte del rabbino Ovadya Yosef nel 1979, motivata

dall’idea pikuach nefesh, salvezza della vita, “che supera

ogni altro divieto”; e l’opposizione religiosa e sionista nel

2005 alla cessione unilaterale di Gaza da parte del governo

di Ariel Sharon “perché non vi era nessuna garanza di pace,

quindi nessun caso di pikuach nefesh”. Secondo l’autore

“alla luce delle scritture appare chiara la possibilità di

un’interpretazione intima e contingente dei confini di

Erets Yisrael qualora essi servissero come elementi di

scambio in un sincero e garantito percorso di pace”.

Un contributo questo molto significativo e meritorio che

proprio per questo andrebbe in seguito approfondito con

un esame dei testi talmudici sulla complessa questione

dei confini di Israele.

Qui è possibile solo segnalare altri interventi

interessanti, dall’accorato discorso del presidente dello

stato Reuven Rivlin “Le 4 tribù di Israele” all’ultima

Conferenza di Herzliya, all’importante testo di Sergio

Della Pergola “Ebrei di tutto il mondo contatevi” sulla

cruciale questione demografica ebraica ed israeliana.

Sara Ferrari in “La Letteratura israeliana e la Bibbia”

ci dice che il modello biblico continua ad informare la

prosa e la poesia di diversi autori israeliani. Stilemi e

narrazioni derivanti dai sacri testi mescolano passato e

presente, secolare e religioso. La lingua ebraica moderna

assorbì dal testo biblico “Motti e modi di dire, immagini

e associazioni proprio come l’inglese aveva fatto con

Shakespeare e il russo con Puskin”. Esempio luminoso

sono i capolavori di Shemuel Yosef Agnon, premio

Nobel del 1966 in una lingua narrativa eccezionale,

espressione del grande patrimonio spirituale ebraico.

Diversi testi del fascicolo scavalcano il contenitore

Limes e si consegnano a lettori aperti e sensibili. Essi

mostrano che passato-presente-futuro di Israele non

hanno la scansione convenzionale, lineare del tempo

storicista, ma, misurati sull’Eterno, hanno un carattere

di simultaneità ed esemplarità che costituisce la radice

potente di un’onda di speranza indistruttibile, di fede-

fiducia nelle ragioni e regioni di una giustizia e di una

pace capaci oggi di una resistenza esemplare ai nuovi

mostri dell’odio e del terrore.

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FONDIIl nostro buon nome dipende dalle nostre buone azioni. Un fondo a te dedicato o alla persona da te designata, è la migliore maniera di lasciare una traccia duratura associandola ad un ambito di azione da te prescelto. I temi ed i progetti non mancano.

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Una vita ricca di valori lascia il segno anche nelle vite degli altri.Nel presente e nel futuro.

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com o telefonando allo 081 7643480. Una non risposta, invece, varrà come consenso al prosieguo della spedizione della nostra Newsletter.

Questo numero di SULLAM è stato realizzato grazie al lavoro svolto da Claudia Campagnano, Roberto Modiano, Giulia Gallichi Punturello e Simone Figalli, con la supervisione speciale di Deborah Curiel

Coordinatrice e Direttrice responsabile del suddetto bollettino.

UMORISMOA CURA DI ROBERTO MODIANO

Il piccolo Moishele torna a casa da scuola ed annuncia

alla mamma: “mamma, mi hanno dato la parte

del marito nella recita di fine anno!” e la mamma:

“Domani, quando torni a scuola dici alla tua maestra

che non sei d’accordo e che vuoi un ruolo parlante”

Ingredienti

- le foglie di un cavolo nero lavate asciugate e tagliate

in pezzi piccoli

- 1 cipolla affettata

- 2 carote a rondelle

- 1 bicchiere di passata di pomodoro

IN CUCINA

con Giulia

CAVOLO NERO STUFATO

Preparazione

In una pentola antiaderente mettere tutti gli ingredienti

insieme.

Mescolare ogni tanto per controllare che gli ingredienti

non si secchino, nel caso aggiungere acqua bollente un

poco alla volta.

Lo stufato è pronto quando le carote sono cotte.

Potete mangiarlo con delle buone fette di pane o come

contorno alla carne.

Non vi consiglio di aggiungere troppo sale perchè il

cavolo è abbastanza amaro.