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Bimestrale di astronomia Anno XXXVI Gennaio-Febbraio 2010 Organo della Società Astronomica Ticinese e dell’Associazione Specola Solare Ticinese 205 Meridiana

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Bimestrale di astronomiaAnno XXXVI Gennaio-Febbraio 2010

Organo della Società Astronomica Ticinese e dell’Associazione Specola Solare Ticinese

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Meridiana

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RESPONSABILI DELLE ATTIVITÀ PRATICHEStelle variabili:A. Manna, La Motta, 6516 Cugnasco(091.859.06.61; [email protected])Pianeti e Sole:S. Cortesi, Specola Solare, 6605 Locarno(091.756.23.76; [email protected])Meteore:B. Rigoni, via Boscioredo, 6516 Cugnasco(079-301.79.90)Astrometria:S. Sposetti, 6525 Gnosca (091.829.12.48;[email protected])Astrofotografia:Dott. A. Ossola, via Ciusaretta 11a, 6933 Muzzano(091.966.63.51; [email protected])Strumenti:J. Dieguez, via Baragge 1c, 6512 Giubiasco(079-418.14.40)Inquinamento luminoso:S. Klett, ala Trempa 13, 6528 Camorino(091.857.65.60; [email protected])Osservatorio «Calina» a Carona:F. Delucchi, La Betulla, 6921 Vico Morcote(079-389.19.11; [email protected])Osservatorio del Monte Generoso:F. Fumagalli, via alle Fornaci 12a, 6828 Balerna([email protected])Osservatorio del Monte Lema:G. Luvini, 6992 Vernate (079-621.20.53)Sito Web della SAT (http://www.astroticino.ch):M. Cagnotti, Via Tratto di Mezzo 16a, 6596 Gordola(079-467.99.21; [email protected])Tutte queste persone sono a disposizione dei soci e

dei lettori di Meridiana per rispondere a domandesull’attività e sui programmi di osservazione.

MAILING-LISTAstroTi è la mailing-list degli astrofili ticinesi, nellaquale tutti gli interessati all’astronomia possonodiscutere della propria passione per la scienza delcielo, condividere esperienze e mantenersi aggiorna-ti sulle attività di divulgazione astronomica nel CantonTicino. Iscriversi è facile: basta inserire il proprio indi-rizzo di posta elettronica nell’apposito form presentenella homepage della SAT (http://www.astroticino.ch).L’iscrizione è gratuita e l’email degli iscritti non è dipubblico dominio.

CORSI DI ASTRONOMIALa partecipazione ai corsi dedicati all’astronomia nel-l’ambito dei Corsi per Adulti del DECS dà diritto ai socidella Società Astronomica Ticinese a un ulterioreanno di associazione gratuita.

TELESCOPIO SOCIALEIl telescopio sociale è un Maksutov da 150 mm diapertura, f=180 cm, di costruzione russa, su unamontatura equatoriale tedesca HEQ/5 Pro munita diun pratico cannocchiale polare a reticolo illuminato esupportata da un solido treppiede in tubolare di accia-io. I movimenti di Ascensione Retta e declinazionesono gestiti da un sistema computerizzato(SynScan), così da dirigere automaticamente il tele-scopio sugli oggetti scelti dall’astrofilo e semplificaremolto la ricerca e l’osservazione di oggetti invisibili aocchio nudo. È possibile gestire gli spostamentianche con un computer esterno, secondo un determi-nato protocollo e attraverso un apposito cavo di colle-gamento. Al tubo ottico è stato aggiunto un puntatorered dot. In dotazione al telescopio sociale vengonoforniti tre ottimi oculari: da 32 mm (50x) a grandecampo, da 25 mm (72x) e da 10 mm (180x), con bari-letto da 31,8 millimetri. Una volta smontato il tubo otti-co (due viti a manopola) e il contrappeso, lo strumen-to composto dalla testa e dal treppiede è facilmentetrasportabile a spalla da una persona. Per l’impiegonelle vicinanze di una presa di corrente da 220 V è indotazione un alimentatore da 12 V stabilizzato. È poipossibile l’uso diretto della batteria da 12 V di un’au-tomobile attraverso la presa per l’accendisigari.Il telescopio sociale è concesso in prestito ai soci chene facciano richiesta, per un minimo di due settimaneprorogabili fino a quattro. Lo strumento è adatto acoloro che hanno già avuto occasione di utilizzarestrumenti più piccoli e che possano garantire serietàd’intenti e una corretta manipolazione. Il regolamentoè stato pubblicato sul n. 193 di «Meridiana».

BIBLIOTECAMolti libri sono a disposizione dei soci della SAT edell’ASST presso la biblioteca della Specola SolareTicinese (il catalogo può essere scaricato in formatoPDF). I titoli spaziano dalle conoscenze più elemen-tari per il principiante che si avvicina alle scienze delcielo fino ai testi più complessi dedicati alla raccolta eall’elaborazione di immagini con strumenti evoluti.Per informazioni sul prestito, telefonare alla SpecolaSolare Ticinese (091.756.23.76).

QUOTA DI ISCRIZIONEL’iscrizione per un anno alla Società AstronomicaTicinese richiede il versamento di una quota indivi-duale pari ad almeno Fr. 30.- sul conto correntepostale n. 65-157588-9 intestato alla SocietàAstronomica Ticinese. L’iscrizione comprende l’abbo-namento al bimestrale «Meridiana» e garantisce idiritti dei soci: sconti sui corsi di astronomia, prestitodel telescopio sociale, accesso alla biblioteca.

SOCIETÀ ASTRONOMICA TICINESEwww.astroticino.ch

N. 205 (gennaio-febbraio 2010)

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Editoriale

Sempre interessanti le notizie riportate nella rubricaAstronotiziario che occupano le prime 12 pagine di questonumero. Tra le altre possiamo segnalarne cinque. In aperturala descrizione di un impatto e di due passaggi di piccoli aste-roidi a distanza ravvicinata dal nostro pianeta, quindi una ricer-ca su eventuali forme di vita aliena sul satellite di SaturnoTitano. Seguono due notizie sui pianeti extrasolari e il resocon-to di un esperimento della NASA circa l'origine di materiale«organico» negli spazi interstellari. Dopo l'Astronotiziario c'è uncontributo di una nuova collaboratrice della Specola, che lavo-rerà da noi fino a marzo di quest'anno, e in seguito la secondaparte del lavoro di Paolo Attivissimo che contesta efficacemen-te il presunto «complotto lunare».Si stanno concludendo le manifestazioni dell'AnnoInternazionale dell'Astronomia, con una coda nel 2010: lamostra «Cosmica» di Lugano, segnalata a pagina 38. Pochipurtroppo gli appuntamenti indicati per questo trimestre inver-nale nella rubrica «Con l'occhio all'oculare…», sulle seratepubbliche nei vari osservatori del nostro Cantone. «Meridiana»si chiude con le abituali effemeridi e la cartina stellare ripresa,come sempre, dalla pubblicazione «Pégase» della SociétéFribourgeoise d'Astronomie, che teniamo ancora a ringraziare.Ai lettori della nostra rivista vanno i migliori auguri della reda-zione per un positivo Anno Nuovo.

Redazione:Specola Solare Ticinese6605 Locarno MontiSergio Cortesi (direttore), Mi cheleBianda, Marco Cagnotti, PhilippeJetzer, Andrea MannaCollaboratori:A. Cairati, A. Conti, V. Schemmari, M.SoldiEditore:Società Astronomica TicineseStampa:Tipografia Poncioni SA, LosoneAbbonamenti:Importo minimo annuale:Svizzera Fr. 20.-, Estero Fr. 25.-C.c.postale 65-7028-6(Società Astronomica Ticinese)La rivista è aperta alla colla bo ra zio ne deisoci e dei lettori. I lavori inviati sarannovagliati dalla redazione e pubblicati secondolo spazio a disposizione. Riproduzioni par-ziali o totali degli articoli sono permesse,con citazione della fonte.Il presente numero di «Meridiana» èstato stampato in 1.000 esemplari.

Copertina

Nella notte fra l'11 e il 12 novembre 2009 Marco Iten ha ripreso lePleiadi, con l'intenzione di evidenziare la nebulosità che circondaquesto gruppo di giovani stelle. Con risultati senza dubbio positivi,nonostante (per stessa ammissione dell'autore) alcune turbolenze

in altitudine abbiano sfocato i dettagli.I dati: Olympus E330 con obiettivo Zeiss sonnar 200mm f/2.8, mon-

tatura EQ6 e comando Dynostar con autoguida, 9 immagini ISO250-500 f/4 per un totale di 66 minuti.

SommarioAstronotiziario 4Telescopi fra passato e futuro 16Siamo andati sulla Luna? 24Giovani occhi sul Sole 30«Cosmica»: il cielo in una stanza 38Con l’occhio all’oculare… 41Effemeridi da gennaio a marzo 2010 42Cartina stellare 43

La responsabilità del contenuto degli articoli è esclusivamente degli autori.

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L’Indonesia bombardata dal cielo

La Terra sembra presa di mira in questiultimi tempi. Non stiamo parlando di civiltà alie-ne che minacciano l’incolumità del genereumano, ma di un fatto molto più scientifico eche riguarda tutti molto da vicino. Negli ultimidue mesi sono stati registrati il passaggio di unmeteorite nei cieli dell’Indonesia e alcuneosservazioni di piccoli asteroidi che hanno sfio-rato per qualche decina di migliaia di chilome-tri il nostro pianeta. C’è da preoccuparsi?Assolutamente no, ma è sempre meglio tener-li d’occhio.

Tutto è iniziato l’8 ottobre sulle costedell’Indonesia, quando è stato udito un assor-dante boato che ha sconvolto l’intera popola-zione, recentemente martoriata da una serie dicatastrofi naturali. Purtroppo, visti i terremotiche hanno colpito questa regione negli ultimitempi, subito si è pensato a un fenomeno pro-veniente dal sottosuolo. Invece no: alzando gliocchi al cielo si è è potuta osservare una nuvo-la, del tutto simile a quella rilasciata da unrazzo in partenza, che aleggiava nell’aria.Quello osservato non era certo il risultato di untest militare, bensì la scia rilasciata dall’esplo-sione di un piccolo asteroide di 10 metri di dia-metro esploso nell’alta atmosfera sopral’Indonesia.

Il risultato è stato devastante. Al momen-to dell’esplosione è stata rilasciata un’energiadi 50 chilotoni (equivalenti a 50 mila tonnellatedi tritolo). L’eco del fenomeno è stata udita apiù di 10 mila chilometri di distanza. Sarebbepotuto essere davvero un disastro, ma fortuna-tamente l’esplosione è avvenuta tra 10 e 15chilometri di altezza, generando solo un gros-so spavento per la popolazione, ma nessundanno.

Meno di un mese dopo. un minuscoloasteroide (2009 VA) di 7 metri di diametro hasfiorato la Terra passando a meno di 14 milachilometri dal suolo: meno della metà delladistanza alla quale orbitano i satelliti geosta-zionari per le telecomunicazioni. Questo corpoera stato scoperto 15 ore prima dal CatalinaSky Survey, che aveva immediatamente invia-to un comunicato al Minor Planet Center(MPC), che. calcolando l’orbita, ha escluso unpossibile impatto sulla Terra. E così è stato.

Secondo l’MPC l’asteroide 2009 VA nonè il più pericoloso. Infatti si colloca solo al terzoposto: altri due piccoli corpi hanno un’orbitapotenzialmente più pericolosa per la Terra enel loro ultimo passaggio ci hanno sfiorato pas-sando a soli 6.000 chilometri.

Fortunatamente per ora non è prevista lacollisione di nessun corpo con il nostro piane-ta. Anche se purtroppo, come queste esperien-ze insegnano, asteroidi di piccole dimensioninon sono facilmente individuabili. Infatti l’iden-tificazione di corpi con un diametro inferiore aun centinaio di metri è possibile solo utilizzan-do strumenti molto più sensibili rispetto a quel-li attualmente in uso. In realtà la tecnologia perquesto tipo di studio è in via di sviluppo, ma,essendo estremamente costosa, necessita difondi che attualmente non sono stanziati.Quindi speriamo che gli avvenimenti degli ulti-mi mesi possano sensibilizzare coloro chepotrebbero finanziare l’impresa. (M.S.)

Visitare un asteroide

Mentre il programma lanciato dall’ammi-nistrazione Bush per rimandare l’uomo sullaLuna sembra attraversare una fase di scettici-smo e di mancanza di motivazione, e mentrenessuno vuole seriamente affrontare la difficile

Astronotiziario Aldo Conti eMatteo Soldi

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e costosa idea di una spedizione umana suMarte, un’azienda privata ha cominciato a pro-porre una seria alternativa. E l’azienda in que-stione non è il solito piccolo gruppo di entusia-sti dell’esplorazione spaziale, come molte volteè successo in passato (con proposte mai rea-lizzate), ma la Lockheed Martin, che dallaNASA ha ricevuto il compito di progettare erealizzare la navicella abitabile Orion. In futurorimpiazzerà gli ormai vetusti Space Shuttle,destinati ad andare in pensione, salvo ripensa-menti, entro pochi mesi.

A pensarci bene, una missione umana divisita a un asteroide sarebbe una buona via dimezzo tra il ritorno sulla Luna, dando per scon-tato che si sia in grado di farlo, e la spedizione

su Marte. Inoltre non sarebbe neppure neces-sario andare troppo lontano, perché molti aste-roidi si avvicinano al nostro pianeta. Tanto dafar temere che una volta o l’altra uno di questici colpisca. La Lockheed Martin fa leva su que-st’argomento, sostenendo che, oltre all’aspettoscientifico, si imparerebbero un po’ di cose utiliper poter eventualmente deviare un asteroidein rotta di collisione. Non si può poi dimentica-re l’ormai vecchia ma sempre attuale idea chegli asteroidi possano diventare le nostre minie-re del futuro. Infine, anche visitando un asteroi-de vicino, bisognerebbe affrontare e risolveremolti dei problemi di una missione di lungadurata e a grande distanza, come sarebbequella verso Marte.

Una ricostruzione dell’aspetto cheavrà la navicella Orion. (CortesiaNASA)

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La Lockheed Martin non sembra averpartorito l’idea di recente. Infatti è già da dueanni che la prende in considerazione, con ilnome di Plymuth Rock. Solo ora, però, la pro-posta è stata portata all’attenzione delle altesfere della NASA, che la stanno valutando.Ovviamente questo è soltanto il primo passo,visto che poi tutto dovrà comunque passareper la Casa Bianca. Da questo punto di vista,una simile missione potrebbe contare sull’effet-to novità. Tutto sommato, è più probabile cheun politico offra supporto per realizzare qualco-sa di nuovo piuttosto che per ripetere ciò chel’Apollo ha fatto ormai oltre 40 anni fa.

La missione potrebbe essere realizzatautilizzando il razzo vettore Ares e la navicellaabitata Orion che la NASA ha già in via di svi-luppo come sostituti per gli Space Shuttle,ormai pensionandi. Il compito di sviluppare erealizzare la navicella Orion è stato affidatoproprio alla Lockheed Martin, che quindi laconosce bene. Il progetto si avvia ormai versole fasi definitive. Il primo lancio senza equipag-gio è infatti previsto per il 2012, la prima mis-sione abitata per il 2014.

La missione Plymuth Rock utilizzerebbedue navicelle Orion, da lanciare separatamen-te, una con a bordo due astronauti e l’altrapiena di provviste e carburante. Le due sonde,una volta in orbita, verrebbero poi agganciatefra loro e al razzo necessario ad abbandonareil nostro pianeta (e ritornarvi poi alla fine dellamissione), formando un unico complesso. Conquesto mezzo, gli astronauti raggiungerebberoun asteroide non troppo lontano dalla Terra e simetterebbero in un’orbita di parcheggio al suofianco, studiandolo per qualche giorno. La visi-ta all’asteroide, secondo gli esperti dellaLockheed Martin, non dovrebbe durare più didue settimane, pena un aumento notevole

della complessità della missione. Gli astronau-ti potrebbero anche visitare l’asteroide usandodegli zaini a razzo, per raccogliere preziosicampioni da riportare a terra. Tra i tanti proble-mi ancora da risolvere per svolgere una similemissione, c’è la gestione dei rifiuti ma, piùimportante, la sicurezza degli astronauti in unambiente costantemente bombardato dai raggicosmici. La navicella Orion incorpora peròvarie soluzioni per risolvere tutti i problemi epotrebbe già essere equipaggiata in questosenso.

Al momento è stata identificata una doz-zina di asteroidi che potrebbero rappresentareun buon bersaglio per la missione, ma la NASAha già chiesto di stilare un elenco più comple-to nel quale eventualmente scegliere. Unarichiesta che dimostra un certo interesse.

(A.C.)

Cibandosi di acetilene

Con le sue basse temperature, Titanonon sembra un luogo dove sia probabile trova-re la vita. In realtà, forse anche per le sue tantestranezze, da molto tempo gli esobiologi sisono interessati a questo gelido satellite diSaturno. E forse non si sono sbagliati.

Nuove misure e nuovi calcoli hannorecentemente mostrato che i laghi superficialidi idrocarburi del satellite potrebbero esserericchi di acetilene. Abituati come siamo alla vitasulla Terra, che non usa questa sostanza, que-sto risultato potrebbe lasciarci giustamenteindifferenti. Ma su Titano non c’è ossigeno libe-ro, e già nel 2005 alcuni ricercatori suggeriro-no che eventuali forme di vita su Titano potreb-bero cibarsi di acetilene, da cui trarrebberoenergia facendolo reagire con l’idrogeno. Tuttoquesto a 180 gradi sotto lo zero.

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La sonda Cassini, che da tempo esplorail sistema di Saturno, ha già osservato dozzinedi piccoli laghi su Titano, laghi ovviamente nondi acqua ma di etano e metano liquidi.Secondo una stima del 1989, però, il contenu-to di acetilene dei laghi sarebbe dovuto essereminuscolo, appena poche parti per migliaia.Ora Daniel Cordier, della Ecole NationaleSupérieure de Chimie di Rennes, in Francia,ha usato tutti i dati della Cassini e della picco-la sonda Huygens, che scese sulla superficiedi Titano nel 2005, per ricalcolare il possibilecontenuto di acetilene dei laghi. Il risultato otte-nuto è molto diverso da quello precedente emostra che i laghi potrebbero contenere addi-rittura l’1 per cento di acetilene: cibo in abbon-danza per eventuali alieni affamati.

Quest’acetilene sarebbe il risultato di unciclo abbastanza complesso. Il metano, evapo-rando dai laghi, reagirebbe con l’idrogeno del-l’atmosfera per produrre appunto l’acetilene,che cadrebbe sulla superficie in forma liquida,una vera e propria pioggia, per poi fluire neilaghi. In realtà, la presenza di vita spieghereb-be anche molto bene perché c’è del metano suTitano, poiché questa sostanza viene distruttanell’atmosfera.

La situazione è comunque molto com-plessa e le probabilità che esistano forme divita resta remota. Intanto bisogna immaginareappunto una vita basata su una chimica moltodiversa da quella a cui siamo abituati: una vitache prospera in assenza di acqua liquida e atemperature per noi incredibilmente fredde. Enutrendosi di acetilene. Anche ammettendoche tutto questo sia possibile, non è comunquedetto che i laghi di Titano siano poi così ospita-li. Recenti calcoli hanno mostrato che è neces-sario pure che ci sia qualche meccanismo ingrado di mescolare la zuppa di idrocarburi,

altrimenti l’acetilene e l’idrogeno rimarrebberoin due strati distinti e non sarebbero contempo-raneamente disponibili per la vita. Ovviamentenon è impossibile immaginare una creaturache prenda una boccata di acetilene e poicambi quota per procurarsi l’idrogeno, maforse lo sforzo di fantasia richiesto comincia adiventare inaccettabile.

È comunque vero che Titano resta unodei corpi a cui bisognerebbe dare la prioritànella nostra ricerca della vita nel sistema sola-re. A onor del vero, sembrano forse più promet-tenti gli oceani sotto il ghiaccio di Europa, ilsatellite di Giove. Ma sono sicuramente più dif-ficili da esplorare, dovendo scavare attraversochilometri di ghiaccio per raggiungerli. (A.C.)

Novità dai confini del Sistema Solare

IBEX (Interstellar Boundary EXplorer) èuna sonda della NASA che ha il compito dimappare i confini del Sistema Solare. A circaun anno dal lancio ha iniziato a inviare le primemappe dell’eliosfera, una zona nelle profonditàdel Sistema Solare il cui confine si trova a 12-15 miliardi di chilometri dal Sole, dove il ventosolare (il flusso di particelle cariche emessedalla nostra stella) diminuisce drasticamente lapropria velocità interagendo con il mezzo inter-stellare.

Lanciata nell’ottobre del 2008, la sondaha impiegato alcuni mesi per il corretto posizio-namento in orbita attorno alla Terra e ha subi-to iniziato la mappatura dell’intera eliosfera. Loscopo della sonda è quello di misurare le par-ticelle risultanti dall’interazione tra il vento sola-re e la materia presente in quello che è defini-to «mezzo interstellare», composto da particel-le che riempiono lo spazio che separa le stelle.La collisione è molto violenta e causa una per-

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dita di energia delle particelle che può esseremisurata dalla strumentazione presente suIBEX, tra cui due sensori, IBEX-Hi e IBEX-Lo,in grado di analizzare rispettivamente le parti-celle ad alta e a bassa energia. L’interazionetra queste particelle non è mai stata studiatacosì nel dettaglio, anche se le prime osserva-zioni furono effettuate dalle due sondeVoyager, che però non furono in grado di stu-diare con precisione questa zona di confine.Però le Voyager fornirono dati talmente inte-ressanti da spingere l’approfondimento di que-sti temi finora mai studiati nel dettaglio.

I dati non hanno tardato ad arrivare e conessi le prime differenze con i modelli teorici,differenze che hanno subito spinto i ricercatoria cercare una spiegazione. Le prime mappeinviate da IBEX dimostrano che questa regio-ne di confine non è uniforme come ci si aspet-tava, ma è presente uno stretto nastro lumino-so ad alta emissione non compatibile con gli

attuali modelli. Ancora non è spiegabile la pre-senza di questa zona, ma le prime ipotesi ini-ziano a essere proposte. Secondo i ricercatoriche si occupano di analizzare le immaginieffettuate da IBEX, questo strano nastrosarebbe riconducibile a una zona dell’eliosferache interagisce maggiormente con la radiazio-ne cosmica interstellare, subendo un urto mag-giore rispetto al resto dell’eliosfera. (M.S.)

Una messe di nuovi pianeti extrasolari

In un colpo solo, un solo strumento mon-tato su un solo telescopio ha permesso di sco-prire ben 32 nuovi pianeti extrasolari. Tutti ipianeti sono stati individuati grazie all’HighAccuracy Radial Velocity Planet Searcher(HARPS), uno spettroscopio costruito apposi-tamente per questo tipo di ricerche e per esse-re montato sul telescopio da 3,6 metridell’European Southern Observatory (ESO).

La sonda statunitense IBEX.(Cortesia NASA)

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La scoperta sembra ancora più impressionan-te se si considera che al momento sono notipoco più di 400 pianeti extrasolari confermati.Non solo: negli ultimi cinque anni HARPS hascoperto ben 75 pianeti, in 30 sistemi planeta-ri diversi, molti dei quali con una massa relati-vamente piccola. Il contributo più importanteriguarda probabilmente le stelle di piccolamassa, quelle più simili al nostro Sole, su cui sisono concentrati i lavori.

Ciò in cui HARPS eccelle, grazie alla suaprecisione, è proprio la scoperta dei pianeti dipiccola massa, pari a poche volte quella dellaTerra. HARPS è tanto preciso che è in grado dimisurare la velocità radiale delle stelle con unaprecisione di 3,5 chilometri orari: la velocità diuna passeggiata tranquilla. 24 dei 28 pianetinoti con massa pari a meno di 20 volte quelladella Terra, denominati super-Terre, sono statiscoperti proprio con questo strumento.

I numeri sono sufficienti per cominciare atirare qualche conclusione sulla diffusione deipianeti nella nostra galassia. Per esempio, lamaggior parte dei pianeti di piccola massa sitrova in sistemi planetari multipli, con almenocinque pianeti: una forte somiglianza con ilnostro Sistema Solare. Molto interessante èanche la scoperta di un pianeta nel sistema diGliese 667, che comprende tre stelle, tutte etre più piccole del Sole. HARPS ha individuatoun pianeta di 6 masse terrestri che ruota attor-no alla stella principale del sistema, a unadistanza pari a un ventesimo di quella tra laTerra e il Sole. Ciò che rende interessante que-sta scoperta è il fatto che fino a non moltotempo fa si credeva che neppure i sistemi bina-ri potessero ospitare pianeti, per via delle per-turbazioni gravitazionali che ne avrebberoimpedito la formazione. Poiché nella nostragalassia i sistemi binari sono più comuni delle

Un pianeta di 6 masse terre-stri in orbita intorno a una stel-la di piccola massa, a propriavolta legata gravitazionalmen-te a una coppia di stelle, visi-bili sullo sfondo.

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stelle singole, questo significa che anche i pia-neti devono essere più numerosi del previsto.

Poco dopo la sua installazione, nel 2003,HARPS ha dato immediatamente grandi soddi-sfazioni, scoprendo nel 2004 quello che, allora,era il pianeta più piccolo noto, con una massapari a 14 masse terrestri, in orbita attorno a µArae. Nel 2006 è stata la volta di un sistema tri-plo di pianeti di dimensioni paragonabili a quel-le di Nettuno. Più recentemente, nel 2007, èstata osservata la prima super-Terra in orbitanella cosiddetta zona abitabile di una piccolastella, Gliese 581e. Nel febbraio del 2009,invece, HARPS ha permesso di verificare cheun pianeta scoperto dal satellite CoRoT ha nonsolo una massa pari a sole 5 volte quelle della

Terra, ma anche una densità molto simile, percui quasi sicuramente è un corpo roccioso.

(A.C.)

Poco litio nella stella?Allora ci sono pianeti

La ridotta quantità di litio in stelle simili alSole potrebbe essere associata alla presenzadi pianeti orbitanti attorno a esse: questo èquanto emerge da un recente studio pubblica-to su «Nature». Infatti, secondo osservazionisvolte negli ultimi decenni, il Sole conterrebbeuna minore quantità di litio rispetto a stellesimili osservate nella nostra galassia: circa 140volte meno di quanto presente nelle primissi-

Il pianeta Gliese 876b, dimassa compresa fra 1,89 e

2,74 masse terrestri, è stato ilsecondo pianeta extrasolare

di cui si sia riusciti a stabilire lamassa. (Cortesia NASA/ESA,

G. Bacon, STScI)

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me fasi di formazione, circa 5 miliardi di annifa. Dove è finito questo elemento? È possibileche sia stato completamente consumato dareazioni termonucleari? O forse un contributo aquesta mancanza è stato dato da una caratte-ristica che tanto differenzia il Sole da altre stel-le ad esso simili, ovvero la presenza di unsistema planetario?

Ancora oggi non si hanno risposte a que-ste domande. Ma grazie a un recente studiopubblicato su «Nature» da un gruppo di ricer-catori, tra cui Garik Israelian, dell’Istituto diAstrofisica delle Isole Canarie a Tenerife, èstato dimostrato che altre stelle di tipo solarecon un sistema planetario hanno la stessacarenza di questo elemento.

Questo studio nasce dall’osservazione distelle con età, massa e metallicità del tuttosimili al Sole, che presentano una percentualedi litio superiore di una decina di volte quelladella nostra stella, il che non era compatibilecon i modelli più recenti. Quindi è stata esegui-ta un’analisi spettroscopica rilevando la per-centuale di litio presente a livello superficialesu un campione di stelle di tipo solare con esenza pianeti extrasolari orbitanti. Il risultato èmolto interessante: le stelle che possiedono unsistema planetario risultano avere una percen-tuale di litio dell’1 per cento rispetto alla con-centrazione stimata iniziale, mentre le stelleche non possiedono un sistema planetario pre-sentano una percentuale 10 volte superiore.Questo fatto sembra indicare una correlazionediretta tra la presenza di pianeti e la scompar-sa più rapida del litio dalla stella.

Ad oggi ancora non si conosce il motivodi questo fenomeno. Sono state proposte alcu-ne ipotesi, come l’interazione del pianeta conle correnti convettive (moti che permettono iltrasporto di energia dal nucleo stellare fino alla

fotosfera) all’interno della stella, che potrebbeimpedire il trasporto di litio verso la superficie equindi il suo rilevamento con le tecniche spet-troscopiche, oppure un incremento delle rea-zioni che porterebbero al consumo più rapidodel litio.

Sono tutte idee valide, ma un dato moltoimportante che emerge da questo studio èsoprattutto la possibilità che l’analisi spettro-scopica della percentuale di litio possa discri-minare le stelle che presentano un sistemaplanetario da altre che invece non lo posseg-gono, in maniera rapida e su campioni moltonumerosi. Quello che si spera è proprio chel’analisi della percentuale di litio delle stelle ealtre tecniche oggi utilizzate possano accelera-re i tempi di ricerca di pianeti extrasolari. (M.S.)

Mattoni della vita in laboratorio

Un esperimento della NASA ha mostratoche l’esposizione ai raggi ultravioletti in unambiente simile a quello dello spazio di cam-pioni di ghiaccio contenenti pirimidina portaalla formazione di uracile, un componenteessenziale dell’acido ribonucleico (RNA).Questi esperimenti sono importantissimi perriuscire a capire quali molecole fossero giàdisponibili sul nostra pianeta al tempo dellasua formazione. Questo non solo per cercaredi capire come ebbe origine la vita sulla Terra,ma anche per stimare quali probabilità ci sianoche il fenomeno si ripeta su altri pianeti. Lesostanze organiche presenti nello spaziohanno infatti ottime probabilità di finire su qual-siasi pianeta della galassia.

Michel Nuevo, dell’Ames ResearchCenter, ha mostrato che è possibile produrreuracile in condizioni simili a quelle dello spazioe in modo non biologico. Nuevo svolge da

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tempo esperimenti in cui vengono simulate lecondizioni dell’ambiente interstellare, e negliultimi anni si è concentrato in particolare suuna serie di composti noti come idrocarburipoliciclici aromatici.

Questi composti hanno una struttura dibase con anelli di sei atomi di carbonio e sonoparticolarmente interessanti perché sono statiosservati in vari meteoriti. La pirimidina è unloro parente prossimo e ha una struttura moltosimile, ma nell’anello centrale due atomi di car-bonio sono rimpiazzati da altrettanti di azoto. Inteoria, questa piccola differenza dovrebbe ren-dere la molecola più suscettibile alla distruzio-ne da parte delle radiazioni ultraviolette,abbondanti nello spazio. Anche la pirimidina èstata comunque osservata in qualche meteori-

te, ma la sua origine non è chiarissima.Probabilmente viene prodotta nelle fasi evolu-tive finali delle stelle giganti rosse, quandovengono espulsi nello spazio gli strati piùesterni. La vulnerabilità della pirimidina alleradiazioni dovrebbe essere importante soltan-to poco dopo la sua formazione. Quando lamolecola raggiunge una nube intergalattica,dovrebbe congelare sui granelli di polvere,generalmente abbondanti in questi oggetti,diventando più resistente. Del resto, la presen-za di pirimidina in alcuni meteoriti suggerisceche non venga interamente distrutta.

Lo scopo dell’esperimento di Nuevo eraproprio verificare la resistenza della pirimidinanella sua forma ghiacciata e verificare sepotesse facilmente essere trasformata in altre

I fotoni ultravioletti, bombardando un campione di ghiaccio a -263 gradi, induconola rottura dei legami chimici e la formazione di composti complessi, come l'uracile.

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sostanze più complesse. Nuevo ha quindiesposto campioni di ghiaccio contenenti pirimi-dina a temperature dell’ordine di -257 gradi, invuoto ultraspinto e in presenza di grandi quan-tità di raggi ultravioletti. Come previsto, in que-sta forma non solo la pirimidina è meno suscet-tibile all’azioen distruttiva della radiazione, mamolte molecole hanno cambiato forma, diven-tando appunto uracile.

Come detto, l’uracile è una delle basi checostituiscono l’RNA. Come base si accoppiaall’adenina e sostituisce la timina durante latrascrizione dal DNA. Pur essendo una mole-cola relativamente semplice, ha però un ruolofondamentale nel funzionamento delle cellule,partecipando direttamente alla sintesi delleproteine.

Questo lavoro aggiunge quindi un’altramolecola al già ricco campionario di sostanzegià pronte su cui la vita ha potuto contare altempo della sua origine sul nostro pianeta. Èpoi sicuro che lo stesso campionario sia dispo-nibile su tutti i pianeti, anche se al momentonon è possibile dire quanto probabile o impro-babile sia la nascita della vita stessa.

(A.C.)

Pulsar con il velo

Dati raccolti dall’Osservatorio orbitanteChandra, della NASA, hanno permesso dirisolvere un mistero vecchio ormai un decen-nio, che riguarda il più giovane resto di super-nova noto, Cassiopeia A. La pulsar al centro diquest’oggetto ha infatti mostrato fin da subitocaratteristiche piuttosto strane, che ne hannoimpedito la comprensione. Ora sembra peròche tutto possa essere spiegato senza proble-mi dalla presenza di una sottile atmosfera dicarbonio, che circonda l’oggetto. Il sottile stra-

to è stato scoperto da Wynn Ho, dell’Universitàdi Southampton, usando una combinazione diosservazioni spettroscopiche e di modelli teori-ci delle pulsar.

Cassiopeia A è ben nota agli astrofisiciper essere la sorgente radio più energetica delcielo. L’oggetto si trova a circa 11 mila anni-luce da noi e la luce della supernova generatri-ce deve aver raggiunto il nostro pianeta circa300 anni fa. Stranamente non ci sono registra-zioni storiche sicure di questo evento, in unperiodo in cui gli astronomi europei e cinesiosservavano continuamente il cielo. L’unicapossibile osservazione è quella di JohnFlamsteed, che potrebbe aver registrato lasupernova come una stella di sesta magnitudi-ne. È probabile che l’esplosione sia stata inte-ramente mascherata da una spessa cortina dipolvere interstellare. Un’altra possibile spiega-zione è che la stella fosse estremamente mas-

La prima immagine mai ripresa nei raggi Xdall'Osservatorio orbitante Chandra,

che permise di scoprire la pulsar al centro diCassiopeia A, uno dei più famosi resti

di supernova noti. (Cortesia NASA)

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siccia e abbia emesso enormi quantità di mate-riale nello spazio prima dell’esplosione finale.Proprio questo guscio di materiale avrebbe poiriassorbito tutta la luce.

Chandra ha da tempo un buon rapportocon Cassiopeia A. Nel 1999 l’Osservatorio fupuntato verso questo oggetto per la sua primaimmagine e mostrò subito qualcosa mai vistaprima: un oggetto puntiforme brillante al centrodella nebulosa. Immediatamente si pensò chel’oggetto dovesse essere una pulsar, il risulta-to più classico dell’evoluzione finale di unasupernova. Ma c’era qualche problema.

Intanto, basandosi sulla luminosità neiraggi X e sulla distanza dalla Terra, i calcolidicevano che la pulsar doveva essere piccola,troppo piccola, con un diametro di 10 chilome-tri, sotto il limite minimo teorico per questioggetti. Una possibile spiegazione, subito sug-gerita, era che in realtà l’emissione provenissesolo da una piccola zona della superficie. Inquesto caso, però, per via della rotazione dellastella l’emissione avrebbe dovuto pulsare. Equi si arriva infatti al secondo problema: l’og-getto al centro di Cassiopeia A fallisce misera-mente anche questo piccolo test sulla suanatura, perché non pulsa.

Per spiegare le osservazioni, alcuniastronomi suggerirono che si trattava di unoggetto estremamente esotico, tanto che sidubita possa esistere: una stella di quark. In unsimile oggetto, il campo gravitazionale è tal-mente intenso da far perdere ai neutroni la loroidentità, trasformando il tutto in una massaindistinta di quark. Più di recente, si era tenta-to di spiegare le osservazioni assumendo chel’oggetto fosse una normale stella di neutroni,ma ricoperta da uno strato, un’atmosfera, diidrogeno. Anche in questo caso, però, perspiegare l’assenza di pulsazioni era necessa-

rio assumere che la stella fosse più piccola dellimite minimo teorico.

La teoria proposta ora da Ho è moltosimile a quest’ultima, solo che l’atmosferasarebbe di carbonio e non di idrogeno. In que-sto caso i calcoli mostrano che la stella di neu-troni centrale dovrebbe avere un diametrocompreso tra 24 e 30 chilometri, perfettamen-te normale per questo tipo di oggetti.

Il concetto di atmosfera merita però unchiarimento. Per via del campo gravitazionale,circa 100 miliardi di volte più intenso di quelloterrestre, ciò che è stato chiamato atmosfera èin realtà un guscio di carbonio ipercompressospesso circa 10 centimetri. Il carbonio è il risul-tato di reazioni nucleari che, direttamente sullasuperficie molto calda della stella, hanno con-vertito in carbonio l’idrogeno e l’elio, che pro-babilmente sono ricaduti sulla pulsar dopol’esplosione. (A.C.)

Un nuovo tipo di supernova

Le supernove sono esplosioni stellariche portano alla distruzione della stella che leha generate. O, meglio, da recenti studi risultache la loro origine può essere associata anchea una coppia di nane bianche che interagisco-no gravitazionalmente tra loro.

In realtà questa teoria non è nuova. Giànel 2007 Lars Bildsten, dell’Università dellaCalifornia a Santa Barbara (UCSB), teorizzòl’esistenza di questa classe di supernove, maiperò confermata da osservazioni sperimentali.Oggi, grazie ai dati provenienti da osservazio-ni svolte nel 2002 dal Katzman AutomaticImaging Telescope (KAIT) presso il LickObservatory a San José e rielaborati negli ulti-mi mesi da Dovi Poznanski, è stato possibileidentificare questa nuova classe di supernove.

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Generalmente le fasi finali della vita diuna stella, soprattutto se di massa paragonabi-le a quella solare, portano al rilascio degli stra-ti più esterni della stella e al collasso di quellipiù interni, per produrre infine stelle con un dia-metro di poco superiore a quello terrestre, lenane bianche. Queste stelle rilasciano calore,ma non si trovano più nelle condizioni di tem-peratura e pressione tali da sviluppare reazio-ni di fusione nucleare. In alcuni casi, però, duenane bianche associate in un sistema binario,quindi orbitanti una attorno all’altra con periodimolto brevi, addirittura pochi secondi per un’in-tera orbita, possono interagire gravitazional-mente tra loro. Se questa interazione gravita-zionale è tale da strappare atomi di elio dallastella con massa inferiore e depositarli su quel-la più massiccia, allora possono ripresentarsile condizioni per l’innesco di reazioni termonu-

cleari che, non essendo contenute, causanol’esplosione della stella, che origina quindi unasupernova classificata come Ia. L’energia rila-sciata dall’esplosione è molto elevata, tale dafar sì che la stella brilli con intensità paragona-bile alla luce emessa da una galassia per piùdi un mese: un fenomeno, fra l’altro, molto utileper gli studi cosmologici. Proprio questo è ilfenomeno avvenuto nella galassia NGC 1821,visibile nella costellazione della Lepre eimmortalata nelle immagini del KAIT, ma la suacomprensione è stata possibile solo interfac-ciando gli studi teorici con quelli sperimentali.

La scoperta di questa nuova classe disupernove è stata considerata dal gruppo diricerca dell’UCSB, che ne teorizzò l’esistenzanel 2007, come un incentivo per approfondirein futuro aspetti mai indagati per mancanza didati sperimentali. (M.S.)

La Nebulosa del Granchio.

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Negli ultimi decenni la tecnologia ci ha abi-tuati a continui e sempre più lunghi, arditi e stra-bilianti balzi in avanti, verso e in nome di quelprogresso che sembra non essere mai sufficien-te. Non ci meravigliamo nemmeno quando ven-gono realizzate opere che solo 20 o 30 anni faavrebbero fatto tremare le vene ai polsi.Sappiamo che, se una cosa è anche lontana-mente immaginabile, prima o poi qualcuno trove-rà il sistema di realizzarla. I tempi di attesa sonosempre più brevi perché l’innovazione tecnologi-ca sembra nutrire sé stessa e ogni avanzamen-to provoca una cascata di nuove idee da realiz-zare, nuove applicazioni da esplorare, nuovefrontiere da raggiungere. Questa tendenza ècomune a tutti gli ambiti della vita, dai forni amicroonde, ai motori delle auto. Fino ai granditelescopi.

Negli Anni Ottanta l’idea di costruire untelescopio di 10 metri di diametro poteva far bril-lare gli occhi e far girare la testa ai progettisti.L’opinione comune era che strumenti di questogenere non sarebbero mai stati costruiti, forsenon per le difficoltà tecniche ma sicuramente acausa del loro costo spropositato. Si parlava pursempre di dimensioni doppie di quelle dell’HaleTelescope di Monte Palomar, che per tre decadiè stato ai vertici della classifica dei più grandiocchi puntati sul firmamento. I finanziamenti poisono stati trovati e si sono profilate due soluzio-ni possibili: lo specchio monolitico e lo specchiosegmentato. Come dire: la tradizione e l’innova-zione.

I maggiori portabandiera sono RogerAngel e Jerry Nelson, due fisici operanti negliStati Uniti e che in passato si sono formati alCalifornia Institute of Technology (Caltech).Difficilmente due individui potrebbero essere piùdiversi, sia per personalità sia per il modo di avvi-cinarsi ai problemi che sono chiamati a risolvere.

Angel è un compassato britannico cresciuto neisobborghi di Manchester. Snello e riservato,sembra incarnare il prototipo del ricercatore conla testa fra le nuvole che deve chiedere agli stu-denti come accendere la macchina per il caffè ecapace di lasciare tutto e tornare a casa a mez-zogiorno per assistere il gatto sofferente. Nelsoninvece è un californiano gioviale e sorridente,indossa volentieri camicie hawaiiane, gira con ilcomputer infilato in uno zainetto da studente etermina le sue email con «Aloha». Angel lavorafin dai primi Anni Ottanta, inizialmente in una for-nace di fortuna installata dietro casa, per fonde-re grandi quantità di Pyrex in dischi sempre piùgrandi e costruire specchi monolitici perfetti, ter-mostabili e leggeri. Infatti il peso e la temperatu-ra possono provocare disastrose deformazioni edistorsioni. Contemporaneamente Nelson èandato via via sempre più convincendosi che sidevono cambiare i presupposti: il futuro dell’os-servazione dell’universo e la soluzione dei pro-blemi passano per tanti piccoli segmenti di spec-chio giustapposti gli uni agli altri. Entrambe levisioni hanno prodotto risultati: nei primi anni2000 il team di Angel ha costruito i due monolitidi 6,5 metri di diametro dei telescopi Magellanoa Las Campanas in Cile e il gruppo di Nelson hadato forma a due specchi di 10 metri di diametroper i telescopi gemelli Keck 1 e Keck 2 installatisulla cima del vulcano Mauna Kea, nelle Hawaii.

Questi giganti sono solo una parte dellagenerazione di strumenti colossali che fa bellamostra di sé in giro per il mondo, fornendo imma-gini spettacolari. Le informazioni che possiamoacquisire grazie a questi telescopi ci permettonodi trovare continue risposte alle nostre domandesull’universo che ci circonda, ma allo stessotempo ci mettono nelle condizioni di porre nuovedomande, sempre più complicate e ambiziose.Sui maggiori telescopi oggi esistenti si è indub-

Telescopifra passato e futuro

Dal prototipo di Guido Horn D’Arturo fino ai giganti della prossima generazione

Anna Cairati

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biamente scritto e commentato molto. E siamoora pronti a fare un salto di qualità. Anzi, di quan-tità.

La nuova sfida è quella di costruire spec-chi con il diametro di oltre 20 metri che permet-teranno di acquisire immagini 10 volte più preci-se e accurate rispetto ai telescopi terrestri esi-stenti. Sembra inconcepibile? Non certo perAngel e Nelson.

Il britannico negli ultimi cinque anni ha pre-parato i piani per il Giant Magellan Telescope(GMT) di Las Campanas, i sette specchi di 8,4metri del quale, disposti a forma di fiore, funzio-nano come uno specchio primario di 24,5 metri.Invece il californiano ha lavorato alla progettazio-ne del Thirty Meter Telescope (TMT) sul MaunaKea, formato da un mosaico di 492 esagoni conil diametro complessivo, appunto, di 30 metri. Ilcartellino del prezzo porta la cifra di 700 milionidi dollari per il GMT e addirittura un miliardo didollari per il TMT: cifre che né i Carnegie

Observatories e l’Università dell’Arizona per ilprimo né l’Università della California e il Caltechper il secondo possono assicurare. Quindi,forse, la sfida maggiore è proprio quella di trova-re i fondi, tanto che alcuni astronomi si sonodomandati se non fosse meglio unire le forze percostruire un solo telescopio capace però di riva-leggiare con il progetto europeo, l’EuropeanExtremely Large Telescope (E-ELT), con un dia-metro previsto di 42 metri.

A questa proposta, con una battuta, harisposto Jerry Nelson: le differenze di approccioe di personalità e le rivalità istituzionali hannofatto sì che i due progetti siano assolutamente

La struttura del Giant MagellanTelescope (a sinistra) e unaricostruzione della suacollocazione (in basso).

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incompatibili, «come l’acqua e l’olio». NemmenoAngel sembra impaziente di collaborare con ilrivale, e suggerisce: «Lasciamo che entrambi ifiori sboccino». Ognuno, quindi, continua con ilproprio lavoro. E molte delle difficoltà che incon-trano sono state parzialmente risolte o comun-que indagate durante la progettazione e la rea-lizzazione delle opere precedenti.

Il gruppo californiano deve risolvere duegrossi problemi. Il primo consiste nel dare laforma corretta ai singoli frammenti di specchio,che infatti devono avere una curvatura ben pre-cisa e non devono essere semplicemente unsettore di sfera. Nelson e i suoi hanno risolto laquestione stirando preventivamente gli esagoni

e levigandoli in forma sferica. Quando i segmen-ti vengono rilasciati, elasticamente, prendono lacurvatura necessaria perché i singoli fuochi con-vergano. Il secondo problema è facilmente intui-bile: tutti gli esagoni devono avere un posiziona-mento corretto e solidale. La soluzione è altret-tanto intuitiva: un computer sofisticato in grado dicontrollare continuamente le centinaia di attuato-ri che, come pistoni, sono in grado di orientareperfettamente i segmenti e di conseguenza tuttolo specchio primario, creando una superficie tal-mente uniforme che neanche la luce è in gradodi discernere tra segmento e segmento. In que-sto modo, oltre a ottenere un’immagine sempreperfetta, è possibile ovviare ai difetti e alle defor-mazioni indotte dalla gravità, dal vento e dallevariazioni di temperatura.

La precisione della curvatura è, ovviamen-te, un imperativo anche per Angel. Lo studio etutti gli esperimenti svolti negli ultimi tre decennilo hanno portato a formulare una specifica amal-

La struttura del ThirtyMeter Telescope

(a destra) e unaricostruzione della sua

collocazione in cupola(in basso).

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gama di vetro borosilicato che, avendo il peso disolo un quinto rispetto al vetro tradizionale edessendo meno sensibile alle fluttuazioni dellatemperatura, gli permette di creare grandi super-fici che in più hanno il vantaggio di subire menodeformazioni. Per ottenere la giusta curvatura,anche Angel ha escogitato un sistema ingegno-so. Ha costruito uno stampo che al suo internoalloggia delle colonne esagonali di schiuma ter-moresistente della misura dei futuri specchi. Ilvetro viene fatto gocciolare all’interno dellecolonne mentre tutto lo stampo gira su sé stes-so: in questo modo la forza centrifuga fa sì chela colata si distribuisca e si solidifichi in unasuperficie opportunamente concava. Una voltaraffreddato il materiale, basta togliere la schiumaed ecco gli specchi, che poi verranno levigati,con una precisione dell’ordine dei nanometri, daun tornio controllato da un computer.

Naturalmente su entrambi i telescopi ver-ranno montati sistemi di ottica adattiva che otti-mizzeranno le immagini ottenute. Questi sistemisi basano sul concetto che le distorsioni indottedall’atmosfera possono essere corrette da unospecchio deformabile che assuma di volta involta una deformazione uguale e contraria aquella del fronte d’onda proveniente dalla sor-gente luminosa. Anche qui l’informatica la fa dapadrona: la correzione viene fatta migliaia divolte al secondo, quindi più velocemente di qual-siasi possibile variazione atmosferica.

Questo è quanto ci riserva il futuro: dandouno sguardo al passato, non si può non pensareal primo grande telescopio del SecondoDopoguerra: quello dedicato a George ElleryHale e montato nell’Osservatorio di MontePalomar. Anche questa è una lunga storia, maha i tratti più dell’epopea che dell’esaltazionetecnologica.

Il progetto di Monte Palomar si dimostrò

necessario quando la crescita di Los Angelesrese poco utilizzabile il sito di Monte Wilson. Inquesto storico Osservatorio Harlow Shapleyaveva misurato la dimensione della Via Lattea edeterminato la posizione in essa del nostro siste-ma solare, e Edwin Hubble aveva studiato ladistanza e la velocità di allontanamento dellealtre galassie, scoprendone il redshift. Nel 1934venne individuato il luogo ideale per un nuovo epiù grande Osservatorio: il Monte Palomar, a1.800 metri s/m e posto 150 chilometri a sud diPasadena, in California. Il nuovo telescopioaveva un diametro di 5,08 metri e le spese furo-no sostenute dalla Fondazione Rockefeller, chestanziò sei milioni di dollari. Nei due anniseguenti venne costruito lo specchio, con un tipodi vetro allora rivoluzionario, il Pyrex, che ha lacaratteristica di subire meno le variazioni di volu-me provocate dalla fluttuazione della temperatu-ra. Al secondo tentativo, lo specchio, pesante 20tonnellate, fu giudicato idoneo per purezza.Contemporaneamente veniva progettato il sup-porto: pesava centinaia di tonnellate e dovevaessere sufficientemente robusto per non defor-marsi e allo stesso tempo in grado di permettereun movimento dolce e accurato. Nel 1936 lacupola e tutti gli edifici annessi furono completa-ti. I pilastri del futuro telescopio vennero ancora-ti allo strato di roccia alla profondità di quasi 8metri. A quel punto lo specchio grezzo dovevaessere trasportato da una parte all’altra delPaese, da New York a Pasadena: per l’impresafurono necessari 16 giorni di viaggio in treno,durante i quali la gente lo accolse curiosa nellestazioni e la polizia lo protesse durante le soste.Nei laboratori del Caltech era atteso per la sca-vatura e la levigatura con polveri abrasive sem-pre più fini. Fu un processo lungo e laborioso,rallentato ulteriormente dalla chiamata alle armidegli addetti, per la Seconda Guerra Mondiale.

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11 anni più tardi, dopo innumerevoli test di con-fronto con una superficie teorica perfettamenteparaboloide, lo specchio era pronto. Durante lalavorazione furono asportate 5,5 tonnellate dimateriale, passando dalle 20 iniziali alle attuali14,5. A metà novembre del 1947 ebbe luogo iltrasferimento da Pasadena a Monte Palomar,che richiese lo sforzo di tre motrici diesel duran-te due giorni. Le prime immagini dopo il montag-gio non erano ottime, e servirono ancora dueanni per un’ulteriore levigatura, l’allineamento ela rettifica. L’inaugurazione e la dedica a Haleebbero luogo il 3 giugno 1948, malgrado lo stru-mento non fosse pienamente operativo. L’interaopera richiese 14 anni di lavoro, ma il risultatoera veramente imponente.

Fin qui, gli albori della costruzione deigrandi specchi monolitici: non si è fatto altro che

aumentare costantemente le dimensioni. Maben presto ci si è resi conto che il processo nonavrebbe potuto continuare all’infinito. Abbiamovisto che la difficoltà nel costruire specchi digrandi dimensioni consiste nel fatto che lo spes-sore deve essere proporzionato al diametro.Presto lo spessore necessario per mantenere lacurvatura ideale di un disco sempre più grandeavrebbe determinato pesi esorbitanti. Ci volevaun’intuizione. Lontano dalle glorie e dai grandinumeri statunitensi, vediamo allora chi veramen-te ha avuto l’idea di uno specchio segmentato.Anzi, «a tasselli».

Negli Anni Trenta del secolo scorso, l’inge-gnoso e poco conosciuto al grande pubblicodirettore dell’Osservatorio Astronomico Univer -sitario di Bologna, Guido Horn d’Arturo, ideò ecostruì uno specchio formato da numerosi picco-li segmenti. Lo specchio era fisso, posato su unpiano orizzontale: costituiva l’obiettivo di un tele-scopio zenitale. Horn D’Arturo, infatti, prevedevache il futuro dell’osservazione andasse proprio inquesta direzione: tanti telescopi costantementerivolti verso lo zenith e uniformemente distribuitia terra in latitudine e longitudine. La prima ver-sione, del 1935, prevedeva l’utilizzo di dieci tas-selli di forma trapezoidale con l’area di una deci-na di centrimetri quadrati ciascuno. I buoni risul-tati ottenuti persuasero l’astronomo che era pos-sibile far convergere tutti i fasci in un unico verti-ce.

A causa della sua origine ebraica, nel1938 Horn D’Arturo venne sottoposto ai rigoriimposti dalle leggi razziali. Ma prima del suoallontanamento, con 20 segmenti, aveva com-posto uno specchio di 1,05 metri di diametro.

Il lavoro poté riprendere solo nella prima-vera del 1945, dopo la fine della guerra e dell’in-ternamento (dunque parliamo di difficoltà bendiverse da quelle imposte dai limiti della tecnolo-

La grande cupola dell’Osservatoriodi Monte Palomar.

gia). Dopo la guerra lo scienziato acquisì altritasselli, che però, a causa della scarsa qualità,non diedero i risultati sperati: bisognava ricomin-ciare tutto da capo. Approfittando della nuovapossibilità, Horn D’Arturo introdusse delle modi-fiche sostanziali: la forma dei componenti nondoveva più essere trapezoidale, ma esagonale,e l’area di 4 decimetri quadrati. Il numero salì a61, permettendo un diametro finale di 180 centi-metri, con uno spessore di 3 centimetri. La lavo-razione accurata permise di avere segmentimolto meglio adattabili gli uni agli altri, riducendolo spazio tra i blocchi contigui da 10 a 2 millime-tri. La curvatura di ogni singolo tassello ricalcavaquella di una sfera con il raggio di 20,82 metri,quindi con una distanza focale di 10,41 metri. Latecnologia odierna avrebbe garantito questi valo-ri. Invece all’epoca non si poté evitare un erroredella lunghezza focale compreso tra -1,9 e +2,1centimetri.

Quindi la levigatura, secondo i nostri para-metri, non era affatto perfetta. Ma Horn D’Arturosi considerò soddisfatto, dal momento che dopoil montaggio l’immagine ottenuta era paragona-bile a quella di uno specchio tradizionale. Ineffetti questa è una difficoltà che con gli specchimonolitici non si era mai presentata: se, datauna distanza focale prefissata, al termine dellalavorazione si aveva, per assurdo diremmo oggi,una differenza, non era un grosso problema,perché bastava che la lavorazione fosse accura-ta. D’altra parte la frammentazione permettevadi correggere il coma, dando a ogni girone suc-cessivo un’inclinazione leggermente diversa.Cosa semplice a dirsi, un po’ più complicata afarsi.

I tasselli erano adagiati su una lastra dimarmo forata per permettere il passaggio di treviti, fissate sul retro di ognuno. Queste viti servi-vano a un operatore posto in un locale sottostan-

te per manovrare i segmenti: la differenza diinclinazione tra girone e girone veniva ottenutagrazie a un braccio metallico tenuto orizzontalegrazie a una livella, che girava attorno all’asseprincipale dello specchio stesso, agendo sulleviti sporgenti e dando la posizione approssimati-va. Poi i tasselli dovevano essere aggiustati, unoa uno, anche per poter ovviare alla differenza trale lunghezze focali singole vista prima.

Il corretto orientamento veniva ottenutocon un procedimento che a noi sembrerebbeassurdamente macchinoso. Il puntamento inizia-va con l’allineamento grossolano dei tasselli,eseguito con un disco convesso di 23 centimetridi diametro, dotato della stessa curvatura deitasselli ma di segno opposto, appoggiandolo sudue tasselli contigui e procedendo di coppia incoppia su uno stesso girone. Seguiva poi il pun-tamento fine. Per quest’ultimo occorrevano dueoperatori, il più possibile esperti e affiatati: unoall’oculare e uno nel locale sottostante lo spec-chio.

Per prima cosa, non disponendo di unastella fissa posta allo zenith, si doveva creareuna sorgenteartificiale conuna lampadinafissata all’in-terno di uncannocchia-le collimatore.Visto che ilfascio dove-va esserecomposto daraggi paralleli,la luce venivariflessa da unos p e c c h i e t t osemitrasparen-

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te. La luce doveva anche essere perfettamenteverticale: per soddisfare questa condizione, nelpiano focale del cannocchiale era stata fissatauna croce di fili, la cui immagine doveva appari-re il più possibile sovrapposta alla sua ombraproiettata dalla lampadina su un orizzonte artifi-

ciale che di volta in volta veniva posto al di sopradel tassello. Tolto l’orizzonte artificiale, la perso-na addetta allo specchio doveva applicare suc-cessivamente alla testa di ogni vite una chiavecomandata elettricamente dalla persona all’ocu-lare. In questo modo l’operatore muoveva il tas-sello fino a far convergere il singolo fuoco conquello di tutto lo specchio. Tutto questa procedu-ra doveva essere ripetuta per ogni tassello. Iltelescopio era pronto solo dopo più di due ore,ma almeno il suo assetto restava valido per unasettimana. C’è di più: il processo di aggiusta-mento risentiva delle vibrazioni indotte dal traffi-co cittadino, quindi non veniva effettuato di gior-no ma solo nella seconda parte della notte. Vistoche lo specchio era adagiato su una lastra dimarmo, l’inseguimento veniva effettuato grazie auna lastra mobile montata nel piano focale emossa da un motore elettrico alimentato da unabatteria da 12 V. In questo modo si potevanoavere immagini puntiformi lungo tutti i 6 minuti e15 secondi necessari per effettuare l’esposizionefotografica.

In conclusione: i grandi telescopi sono unavera meraviglia, affascinanti sia per gli esperti siaper i completi neofiti, quel genere di opera chenon può non attirare la curiosità e l’ammirazionedi chiunque. La loro progettazione e costruzionepongono sicuramente problemi di vario tipo erichiedono investimenti economici di tutto rispet-to. Pensiamo però alle difficoltà non solo prati-che affrontate da Guido Horn D’Arturo sia in fasedi realizzazione e ideazione del suo specchio atasselli sia nell’uso quotidiano dello strumento.Ci rendiamo subito conto che i problemi che sipossono riscontrare oggi e che possono essererisolti con l’ausilio di soluzioni tecnologiche einformatiche sono una cosa ben diversa.Pensiamoci, la prossima volta che rimarremo abocca aperta davanti a un grande telescopio.

La struttura del telescopio di Guido HornD'Arturo. C è il collimatore, T il tassello, M latavola di marmo con le viti V. P è il fascio di

raggi paralleli e verticali; AA' il piano focale delcollimatore. A sinistra si vede l'orizzonte artifi-

ciale B, che viene tolto quando sia raggiunta laverticalità del fascio P.

A destra si vede il piano focale del telescopio S,con il centro F sul quale, durante l’aggiusta-

mento, convergono le immagini della croce difili provenienti dai singoli tasselli.

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Sarà capitato anche a voi: non appenasi sparge la voce che siete un astrofilo, saltafuori qualcuno che vi chiede se siamo davve-ro andati sulla Luna. E voi, da buoni samari-tani, non sapete resistere alla tentazione dicercare di spiegare all'incredulo che vi assil-la con le sue mille tesi fantasiose pescateacriticamente da Internet. La prossima voltadite che siete un proctologo.

Se invece decidete di rispondere alleprovocazioni «lunacomplottiste», è meglioche siate preparati con dati, cifre e spiegazio-ni efficaci e semplici. Questo è un piccolovademecum per replicare alle tesi basatesulle presunte prove osservate nella docu-mentazione video delle missioni Apollo.

La bandiera che sventola

In alcuni video delle escursioni degliastronauti sulla Luna si vede che la bandieraoscilla, come se fosse mossa dal vento. Masulla Luna il vento non c'è: si tratta forse diun errore che rivela la messinscena?

Naturalmente no. In realtà la bandierasi muove soltanto quando viene mossa dagliastronauti che ne impugnano l'asta per con-ficcarla nel terreno. Poi non si muove più,come si vede confrontando immagini scatta-te in momenti differenti. Le Figure 1 e 2mostrano la bandiera dell'Apollo 11: fra i duescatti c'è mezz'ora di differenza, ma il drappoha esattamente le stesse pieghe.

C'è però un'eccezione che è meglioconoscere per non essere presi in castagna:in un punto delle riprese video della missioneApollo 15 la bandiera oscilla senza esserestata toccata. Si tratta di un effetto elettrosta-tico, dovuto al passaggio di un astronautanelle vicinanze: un fenomeno che sulla Terra,in atmosfera, non sarebbe osservabile e chein realtà dimostra che la ripresa fu effettuatanel vuoto. Il movimento della bandiera, sia inquesto caso sia dopo che è stata mossa perconficcarla, è in effetti una delle miglioriprove che le riprese avvennero in assenzad'aria: è innaturale, rigido e privo del rapidoeffetto frenante che si ha in atmosfera.

Siamo andatisulla Luna?

Le obiezioni video

Paolo Attivissimo

2. parte

Figura 1. Figura 2.

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Chi riprese la discesadel primo astronauta?

Questa è una perplessità ricorrenteanche fra chi non ha dubbi sulle missionilunari. Come fu possibile vedere in direttatelevisiva il primo passo di Neil Armstrongsulla Luna dall'esterno, se non c'era nessunogià fuori?

La soluzione è piuttosto semplice:Armstrong, mentre era in cima alla scaletta

(a destra nella Figura 3), azionò un cavo cheapriva un contenitore ribaltabile di strumenti,chiamato MESA, situato su uno dei lati dellabase del modulo lunare, che alloggiava unatelecamera dotata di obiettivo grandangola-re. Nella Figura 3 il MESA è lo scatoloneinclinato a sinistra e la freccia indica la tele-camera che stava al suo interno. L'inqua -dratura era stata calcolata in anticipo e ilsistema non richiedeva che fuori ci fosserooperatori.

Figura 3.

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Chi riprese il decollo dalla Luna?

Le spettacolari riprese video della par-tenza dello stadio superiore del modulo luna-re, mostrate nella Figura 4, non provengonodalla prima missione, come pensano in molti,ma dalle ultime due, Apollo 16 e 17. In que-ste missioni la telecamera era montata sulRover (la jeep elettrica usata dagli astronau-ti) e comandata dalla Terra. Il momento deldecollo e la traiettoria erano noti con grandeprecisione, per cui l'operatore a terra riuscìad anticipare i comandi per il movimentodella telecamera in modo da tenere conto delritardo radio di 1,3 secondi dovuto alladistanza Terra-Luna.

Astronauti sorretti da imbragature?

C'è chi sospetta che il modo in cui gliastronauti si rialzano con una semplice spin-

ta delle mani, con una rotazione innaturale,dopo una caduta nelle riprese lunari dimostriche erano sostenuti da cavi per simulare lagravità ridotta.

In realtà l'aspetto innaturale del gestoderiva dal fatto che la tuta e lo zaino pesava-no quanto l'astronauta, per cui il suo baricen-tro era fortemente spostato indietro e in altorispetto alla norma: è per questo che gliastronauti camminano inclinati in avanti. Altempo stesso la gravità lunare, pari a unsesto di quella terrestre, riduceva il pesocomplessivo dell'astronauta, della tuta edello zaino a una trentina di chili, per cui losforzo necessario per rialzarsi era piuttostomodesto. L'aspetto innaturale dei movimentiè dovuto al fatto che avvengono in unambiente non naturale come quello lunare.

Del resto ipotizzare l'uso di cavi non èplausibile, perché nelle riprese televisivedelle missioni, trasmesse in diretta, ci sonosequenze ininterrotte di decine di minuti,durante le quali gli astronauti cambiano dire-zione e posizione ripetutamente: sarebbestato impossibile non ingarbugliare i cavi.

Il bagliore filiforme

Questa è una delle obiezioni più difficilida affrontare per chi cerca di rispondere alletesi di falsificazione in studio delle ripresevideo lunari ma non conosce a fondo la tec-nologia dell'epoca. In molti video si vedeinfatti uno strano bagliore momentaneo sca-turire dalla sommità dello zaino degli astro-nauti. L'impressione è quella tipica del rifles-so della luce su un cavo, come mostra laFigura 5.

Come si spiega? Occorre sapere che incima allo zaino degli astronauti c'era un'an-

Figura 4.

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tenna radio un po' particolare: non la solitaastina telescopica, ma una lamina metallicaflessibile, simile a quella di un metro a nastroo flessometro. Essendo piatta e sottile, vistadi taglio era pressoché invisibile, mentrevista di piatto offriva un'ampia superficieriflettente. Il bagliore è dovuto al riflessomomentaneo del Sole sull'antenna mentrel'astronauta si sposta.

In alcune riprese, però, entra in giocoun altro fenomeno: la conversione ripetutadei video da un formato a un altro, per esem-pio per pubblicarli su Internet, produce icosiddetti «artefatti di compressione»: erroridi elaborazione che generano dettagli in real-tà inesistenti nelle riprese originali, alle qualibisogna sempre fare riferimento per qualun-que discussione.

Le papere di Neil Armstrong

Su Internet circola un video che mostrauno dei «ciak» sbagliati: Neil Armstrong

scende la scaletta ma, al momento di pro-nunciare la famosa frase «Questo è un picco-lo passo per un uomo...», un traliccio chesostiene i riflettori del set cinematograficocade alle sue spalle e il regista grida di fer-mare le riprese. Il video è in realtà uno spotpubblicitario prodotto nel 2002 dall'agenziabritannica «The Viral Factory», ma le copiecircolanti hanno perso il nesso con la fonteoriginale.

La confessione di Kissinger,Rumsfeld e Kubrick

Un altro video molto spesso citato daisostenitori della messinscena lunare mostraHenry Kissinger, Donald Rumsfeld, la mogliedel regista Stanley Kubrick e altri volti notiammettere che Kubrick girò le scene dellepasseggiate lunari per conto della NASA,dalla quale voleva avere un particolare obiet-tivo top secret che gli serviva per girare il suofilm Barry Lyndon. Non si tratta di sosia o ditrucchi di doppiaggio: sono proprio loro a par-lare.

Si tratta di spezzoni provenienti daldocumentario-parodia francese OpérationLune (noto anche come Dark Side of theMoon o Operazione Luna), di William Karel,trasmesso dalla rete televisiva Arte nel 2002.Le persone intervistate recitano le battute delcopione, tanto che sui titoli di coda vengonopresentate le loro papere. Purtroppo anchequi spesso si è persa traccia dell'origine diquesti spezzoni e quindi la parodia vienescambiata per realtà, nonostante contengaindizi evidenti: per esempio, uno degli intervi-stati si chiama David Bowman, proprio comel'astronauta protagonista di 2001: Odisseanello spazio.

Figura 5.

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La registrazione rubata: alieni sulla Luna

E' stato recentemente riproposto ancheda alcune trasmissioni televisive un branoaudio che viene presentato come una regi-strazione clandestina, effettuata da radioa-matori, dei dialoghi che sarebbero stati cen-surati dalla NASA. In questo brano si sento-no le voci di Armstrong e Aldrin che esclama-no di aver trovato strutture di esseri extrater-restri sulla Luna.

In realtà si tratta di un falso, oltretuttomolto approssimativo. Il confronto con altreregistrazioni permette di notare molto facil-mente che le voci non somigliano neanchelontanamente a quelle vere dei due astronau-ti. Ma soprattutto una ricerca attenta rivela lavera fonte dello spezzone: un documentarioparodistico britannico del 1977, intitolatoAlternative 3.

Apollo 20, missione segreta

Un'altra tesi ripresentata di recente daimedia è che ci sarebbe stata una missionemilitare segreta, battezzata Apollo 20, perrecuperare un veicolo alieno caduto sullaLuna. La prova sarebbe un filmato chemostra il veicolo e anche uno dei suoi occu-panti.

Si tratta in realtà di una burla conge-gnata dall'artista francese Thierry Speth. Ilpassaparola distorto di Internet ha fatto per-dere traccia delle origini delle immagini amolti di coloro che le propongono, ma è suf-ficiente osservare con attenzione le ripreseper notare errori che tradiscono la burla,come per esempio una ben poco futuristicamolla visibile a bordo della presunta astrona-ve aliena.

I nastri lunari perduti

La NASA ha cancellato i nastri originalidella diretta del primo sbarco sulla Luna: eranecessario far sparire qualche immaginecompromettente. Così, almeno, sostengono i«lunacomplottisti».

La cosa interessante è che la primaparte dell'accusa è vera: sì, i nastri sui qualifurono registrate le fioche immagini che arri-varono dalla Luna nella notte fra il 20 e il 21luglio 1969 sono stati cancellati e riutilizzati,ed è giusto chiedersi come e perché sia statopossibile buttar via un documento storico delgenere. Per capire quello che a prima vistasembra un errore scandaloso o una prova disegreti da nascondere occorre conoscere lemodalità tecniche di quella straordinariadiretta di 40 anni fa.

Per trasmettere dalla Luna, a 393 milachilometri di distanza, gli astronauti ebbero adisposizione un trasmettitore televisivo ali-mentato a batterie, un'antennina parabolicada un metro di diametro e una larghezza dibanda di 500 kHz contro i 4,5 MHz delle tra-smissioni televisive normali. Non era maistato tentato nulla del genere. Il segnale chearrivò sulla Terra fu debolissimo e gli inge-gneri dovettero fare i salti mortali per riuscirenell'impresa di trasmettere e ricevere leimmagini storiche. Per farcela con la tecnolo-gia analogica dell'epoca ricorsero a una seriedi compromessi qualitativi: bianco e neroanziché colore, immagini a 320 linee di riso-luzione anziché le 525 dello standard televi-sivo NTSC statunitense, 10 fotogrammi alsecondo invece dei normali 30. Questo peròprodusse un segnale televisivo fuori standard(slow-scan), che fu necessario convertire alformato televisivo normale. Poiché mancava

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la tecnologia elettronica che oggi consideria-mo banale, la conversione venne fatta pres-so le stazioni riceventi terrestri (i grandiradiotelescopi di Parkes e HoneysuckleCreek in Australia e di Goldstone inCalifornia) usando un metodo piuttosto arti-gianale: puntando una telecamera specialeverso un monitor che mostrava le immaginifuori standard ricevute dalla Luna. Il segnalecosì convertito fu distribuito via satellite intutto il mondo.

Tutto questo meccanismo e la catena diritrasmissioni comportarono un'ovvia perditadi qualità, come in ogni processo analogico,per cui le immagini effettivamente ricevutedalla Luna furono molto più nitide di quelleche arrivarono alla fine sugli schermi dei tele-spettatori, come mostra la Figura 6. La NASAregistrò il segnale convertito su bobine videonormali e registrò anche il segnale direttodalla Luna (quello fuori standard e migliore)su una traccia delle bobine dei nastri di tele-metria. In questo modo i nastri contenentiqueste immagini di massima qualità furonoperò etichettati come normale telemetria earchiviati insieme a tutti gli altri. Alcuni anni

dopo la fine del progetto Apollo, la telemetriaarchiviata fu dichiarata non più utile e le suecostose bobine di nastro furono cancellateper essere riutilizzate. Sono questi i nastrilunari perduti: non contenevano immagini dif-ferenti o aggiuntive rispetto a quelle disponi-bili nelle videoregistrazioni che tutti conoscia-mo, ma ci avrebbero offerto immagini decisa-mente migliori, in termini di dettaglio e niti-dezza, di quel momento irripetibile.

Va detto che all'epoca era impensabilepoter estrarre da quei nastri una versionemigliore di quella già convertita e oggi dispo-nibile (l'elaborazione digitale delle immaginiera ancora agli albori), ed è per questo chenon fu data loro molta importanza. Inoltrealcuni spezzoni delle immagini originali sonodisponibili grazie alle riprese amatoriali supellicola effettuate all'epoca da uno dei tecni-ci, Ed von Renouard, ed è possibile che rie-mergano copie non ufficiali di quelle storichetrasmissioni. In ogni caso, per fare ammendala NASA ha finanziato il restauro digitaledelle migliori copie disponibili della direttalunare dell'Apollo 11. Ma rimane il rammaricoper l'occasione perduta.

Figura 6.

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Dal mese di ottobre del 2008 l'IstitutoStatale di Istruzione Superiore (ISIS)«Valceresio» di Bisuschio (Va), il cui preside è ilprofessor Maurizio Tallone, è sede di unOsservatorio solare permanente nel quale ognigiorno (tempo atmosferico permettendo) vengo-no compiute osservazioni regolari della fotosferae della cromosfera (nella riga H-Alpha dell'idro-geno) della nostra stella. Questa attività è inqua-drata nell'ambito di un progetto molto ampio eambizioso e di vera cooperazione internaziona-le, visto che partner ufficiali sono la SpecolaSolare Ticinese di Locarno Monti in Svizzera,uno degli Istituti di riferimento mondiale per l'os-servazione del Sole, e l'IRSOL (Istituto diRicerche Solari), sempre di Locarno Monti, sededi uno dei centri di studio del Sole più importantidel mondo. Il progetto, articolato inizialmente sutre anni di attività, è ora nel suo secondo anno divita. A classi intere di nostri studenti che iniziano

quest'anno la propria attività di training si affian-cano altri gruppi che, selezionati dopo l'esperien-za dello scorso anno, effettuano periodiche atti-vità di osservazione del Sole utilizzando gli stru-menti a disposizione dell'Istituto.

Per ogni giornata di osservazione vengo-no prodotti due disegni: uno della fotosfera conla presenza o meno di macchie solari e uno dellacromosfera con la presenza o meno (ma è piùdifficile) di protuberanze nella riga H-Alpha del-l'idrogeno a 656.3 nm. Vengono calcolati dueindici di attività solare: il numero di Wolf (sunspotnumber) per quanto riguarda le macchie e ilnumero di Pettis (prominence number) per l'atti-vità in H-Alpha. I valori non sono corretti per ilseeing o per lo strumento utilizzato. Inoltre il Soleè seguito in tempo reale attraverso opportunicollegamenti in Rete e viene costantementemonitorata la presenza e l'evoluzione di regioniattive, di flare (nella banda X tra 0.5 e 4 Å e tra 1

Giovani occhi sul SoleStudenti di Varese coinvolti in un progetto didattico sulla fisica solare

Mario Gatti

Primo piano delriflettoreMaksutov150/1800 punta-to verso il Sole(strumento nonstazionato).

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e 8 Å), di emissioni coronali. Viene pure seguital'intensità del vento solare (velocità e densità diparticelle). Periodicamente si ricevono avvisi intempo reale e bollettini informativi (sia previsio-nali sia di consuntivo dell'attività solare) pubbli-cati dal Solar Influences Data Analysis Center(SIDC) di Bruxelles. Tutti i risultati vengonoarchiviati su supporti sia cartacei sia elettronici esono custoditi presso il laboratorio di fisica.

Scopo finale del progetto è quello di riusci-re ad annoverare, entro la fine del 2011, l'Istitutocome sito di osservazione accreditato presso ilSIDC di Bruxelles, ente preposto alla raccolta eall'elaborazione dei dati sull'osservazione delSole provenienti da tutto il mondo.

Dal 13 ottobre 2008 al 24 settembre 2009l'attività di osservazione e di studio è stata svol-ta dal responsabile tecnico del progetto, mentrein seguito sono stati e saranno gli studenti adaffiancarlo in questo lavoro, fino a quando diven-teranno completamente autonomi a propriavolta, sebbene sempre seguiti da personale

esperto e qualificato. I risultati sono presentatisecondo modalità che hanno seguito un’evolu-zione nel tempo, dai primi modelli molto rudi-mentali fino a quello attuale, con lo scopo diadattarli di volta in volta soprattutto alle esigenzedidattiche di apprendimento dei nostri ragazzi.

Le osservazioni sono compiute di normacon un rifrattore da 90/1000 in proiezione direttacon un oculare Zeiss da 40 mm (gentilmenteconcessoci in prestito indeterminato dallaSpecola Solare Ticinese) in modo da ottenere undisco di 13,9 mm di diametro (in questa scala 1mm sul disco proiettato equivale a 10 mila chilo-metri sul Sole). Poi l'osservazione viene affinatacon un riflettore Maksutov-Cassegrain da150/1800 in osservazione diretta con filtro inMylar a tutta apertura che garantisce condizionidi assoluta sicurezza anche per osservazioniprolungate, vista la sua bassissima trasmittanzanel visibile, nell'infrarosso e nell'ultravioletto. Unabuona gamma di oculari di tipo Plössl permettedi raggiungere ingrandimenti anche fino a 300x,

Il rifrattore da90/1000. Al suo

fuoco diretto ècollegata una

fotocamera digi-tale, mentre lo

schermo monta-to sul cavallettoviene utilizzato

per la proiezionedel disco solaree per la centra-

tura del disconello strumento,sempre in proie-

zione.

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però al limite dello strumento e solo in condizio-ni di cielo e seeing ottimali e per risolvere detta-gli di grosse macchie in zone di penombra. Conoculari da 17mm e 10 mm (ingrandimenti rispet-tivi di 106x e 180x) si riescono ad apprezzareanche macchie molto piccole, associate a regio-ni attive di dimensioni uguali o superiori ai 10mesv (milionesimi di emisfero solare visibile, 1mesv equivale a 3,047 x 106 chilometri quadra-ti), che possiamo considerare il limite di visibilitàdei nostri strumenti. Macchie e gruppi di dimen-sioni maggiori possono facilmente essere osser-vati anche con il rifrattore 90/1000 in osservazio-ne diretta (sempre con adatto filtro in Mylar atutta apertura) utilizzando un oculare da 10 mmche fornisce un ingrandimento di 100x. Perquanto riguarda le protuberanze, vengonoosservate con un PST Coronado da 40/400 uti-lizzando un oculare da 10 mm e uno da 6 mmper osservazioni dei dettagli. Lo strumento non

necessita di filtri, essendo lui stesso di fatto un fil-tro H-Alpha non smontabile, quindi assoluta-mente sicuro. L'osservazione della cromosfera(molto delicata e sensibile a seconda dell'osser-vatore) viene effettuata, ma non registrata incondizioni di osservazione poco favorevoli (statodel cielo uguale o superiore a 2-3, seeing ugua-le o superiore a 3-4, classificazione di Wedeluguale o superiore a 2-3), che porterebbero arisultati poco attendibili. Questo spiega l'even-tuale mancanza di disegni della cromosfera nellastessa giornata in cui vengono prodotti quellidella fotosfera.

Le pagine dei disegni sono aggiornatequando viene effettuata un'osservazione, fatta arotazione (sia nel continuo sia in H-Alpha) dauno degli studenti oppure dal responsabile tecni-co quando non è possibile farla eseguire dairagazzi (giorni festivi o di sospensione delle atti-vità didattiche).

La «vista» dellafotocamera

come appare aun osservatore

che sta per scat-tare una foto delSole con il rifrat-tore 90/1000 al

fuoco diretto deltelescopio. La

stella è nasco-sta dalla fotoca-

mera.

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Astro.Net è un progetto integrato diosservazioni astronomiche e collaborazionein Rete: da ciò il suo nome. Le osservazioniastronomiche sono incentrate principalmen-te sull'attività fotosferica del Sole (anche seè prevista un'attività di astronomia ottica dibase al suolo, esplicitamente rivolta alleclassi quinte del Liceo Scientifico) e la colla-borazione in Rete prevede interazioni conenti esterni di ricerca operanti nell'ambitodella fisica solare.

Durante l'anno scolastico 2009/10 par-tecipano all'attività di formazione iniziale leclassi 2G e 2F dell'indirizzo Liceo Scientificoe gruppi di studenti (che volontariamentehanno fatto questa scelta) delle classi 1A e1B dell'indirizzo ITC e delle classi 1D e 1Edell'indirizzo ITPA. Ogni classe (o gruppoclasse) è affidato a un docente con funzionidi coordinatore didattico. Sono coinvolti inquesto ruolo le professoresse GiuseppinaBernasconi, Antonietta Mondo, EnricaFerrario, Roberta Pitoni e Delia Garegnani.Fanno parte dei gruppi di lavoro di osserva-zione studenti (selezionati tra le classi che loscorso anno hanno eseguito attività di for-mazione e training) delle classi 3G, 3F, 4Gdell'indirizzo Liceo Scientifico, 2D e 2E del-l'indirizzo ITPA. Ogni gruppo di lavoro èseguito da un docente con funzioni di tutor adistanza. Questo ruolo è svolto dai professo-ri Alvaro Puglisi, Maurizio Mozzanica e dalleprofessoresse Lara Cafiero, Isabella Restaed Enrica Ferrario.

L'obiettivo finale del progetto rimanequello di annoverare l'Istituto, entro il terzoanno di attività progettuale, tra le stazioni di

osservazione dell'attività solare ufficialmen-te accreditate presso il SIDC (SolarInfluences Data Analysis Center) diBruxelles, che raccoglie ed elabora i datiinviati da Osservatori di tutto il mondo. Il rile-vamento dell'attività solare in luce visibile (dicui le macchie sono il fenomeno più facil-mente osservabile) è veramente semplice epuò essere compiuto anche con strumenti dimodeste dimensioni e costi contenuti.Dall'osservazione diretta della fotosfera siricava un indice dell'attività del Sole, dettonumero di Wolf, che si ottiene con il conteg-gio delle singole macchie e dei gruppi neiquali sono organizzate. Il numero di Wolf ècalcolato giornalmente e inviato, grazie aun'interfaccia Web opportunamente costrui-ta, al SIDC, che giornalmente, mensilmentee trimestralmente elabora i dati di tutto il pia-neta e pubblica i cosiddetti ISN (Interna -tional Sunspot Numbers, numeri internazio-nali di macchie solari), dalla cui analisi stati-stica è stato possibile formulare l'ipotesi cheil numero di macchie presenti un massimoogni 11 anni circa (22 tenendo conto dellaseconda Legge di Hale).

Le nuove classi seguiranno lo stessopercorso di formazione e di addestramentocompiuto lo scorso anno, utilizzando mate-riali messi a disposizione dalla SpecolaSolare Ticinese di Locarno Monti, partnerufficiale dell'Istituto nel progetto, che consi-ste essenzialmente in alcuni incontri di pre-sentazione sul Sole e l'attività solare, più lariproduzione di disegni della fotosfera ese-guiti in periodi di attività solare crescente. Igruppi di studenti destinati alle osservazioni

Il progetto Astro.Net

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dirette saranno invece impegnati nelleseguenti attività:• monitoraggio dell'attività solare, in parti-colare delle RA in fotosfera e in H-Alpha(protuberanze e plage) con Bollettini giorna-lieri NOAA/USAF, Bollettini settimanali emensili del SIDC, raccolta e archiviazionedei dati (cartacea ed elettronica),• monitoraggio e forecasting dell'andamen-to del ciclo solare in corso (24) con l'utilizzodi dati reperibili in Rete emessi dai centriinternazionali accreditati (IPS, SIDC,NOAA),• osservazioni della fotosfera con il metododella proiezione diretta dell'oculare e conosservazioni dirette,• osservazione della cromosfera nella fre-quenza della riga a 656,3 nm dello spettrodell'Idrogeno (H-Alpha),• realizzazione di fotografie della fotosfera(luce visibile) e della cromosfera (riga H-Alpha).

Per la realizzazione di questi obiettivigli studenti opereranno su:• conoscenza di parti ottiche e meccanichedegli strumenti,• utilizzo consapevole dei filtri solari,• calcolo degli ingrandimenti e dei rapportifocali,• puntamento indiretto del Sole,• osservazione visuale con filtri in Mylar,• osservazione in proiezione diretta del-l'oculare con il rifrattore 90/1000 e il binoco-lo 20x80,• osservazione della cromosfera in H-Alpha con un PST 40/400,• posizionamento dei gruppi (coordinateeliografiche) con dischi di Stonyhurst,• classificazione dei gruppi, sia con il meto-

do di Zurigo sia con il metodo McIntosh,• polarità delle regioni attive con il metododi Hale,• estensione delle regioni attive in Mesv,• fotografie del disco intero con rifrattore90/1000, al fuoco diretto e in proiezione del-l'oculare (fotosfera),• fotografie di parti di disco e regioni attivecon il riflettore 150/1800, al fuoco diretto e inproiezione dell'oculare (fotosfera),• fotografie del disco intero con il PST40/400 in H-Alpha,• elaborazione digitale delle immagini (cor-rezioni del fondo cielo e delle impurezze suldisco),• realizzazione di disegni della fotosfera(anche in assenza di macchie), su appositimodelli predisposti,• realizzazione di disegni delle osservazio-ni della cromosfera, su appositi modelli pre-disposti,• studio sistematico in Rete di fotosfera,cromosfera e corona solare con immaginisatellitari e di grandi osservatori terrestri(INAF, ORB, Specola Solare Ticinese,GONG, SOHO, TRACE, Solar Monitor,NSO, IPS, NOAA),• utilizzo di software per il calcolo delleeffemeridi del centro disco (coordinate elio-grafiche), produzione di grafici dell'orienta-zione del disco (angolo di tilt), osservazioniEUV (analizzatore di immagini EIT con gri-glie di coordinate), archiviazione dei dati rac-colti, pubblicazione dei disegni, delle foto-grafie e delle raccolte dati di monitoraggiosui siti Intranet e Internet dell'Istituto, e infinearchiviazione cartacea ed elettronica deidisegni e archiviazione elettronica delle foto-grafie.

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Inoltre, principalmente per le classiquarte dell'indirizzo Liceo, per le quali leconoscenze astronomiche sono parte inte-grante del curriculum disciplinare della clas-se quinta oltre che oggetto di prove agliEsami di Stato, è previsto l'avviamento allapresentazione personale, scientifica e siste-matica, del proprio lavoro attraverso la ste-

sura di piccoli articoli e/o documenti anchemultimediali.

Le classi che seguiranno l'attività dibase saranno seguite da un docente coordi-natore, mentre i gruppi di osservazione ope-reranno in modo autonomo seguiti in primapersona dal direttore tecnico del progetto.Per i gruppi di ogni classe verrà comunque

Parte del disco conle macchie principali delgruppo 15 (secondo la nostranumerazione), quadrante SE.Camera Canon EOS 300D, esposizione1/40 sec con catadiottrico Maksutov-Cassegrain 150/1800 (non stazionato),fuoco diretto. S in basso, E a sinistra.

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individuato un docente tutor che seguirà,anche a distanza, l'andamento del lavoro e iprogressi degli studenti.

Come detto, il partner ufficialedell'Istituto nel progetto è la Specola SolareTicinese di Locarno, che metterà a disposi-zione, come già avvenuto nell'anno scolasti-co 2008/09 tutto il materiale per la formazio-ne di base. La Specola di Locarno collabo-rerà inoltre con il responsabile e il direttoretecnico (anche attraverso incontri periodici)per seguire l'andamento delle attività previ-ste per l'osservazione solare. Sarà valutataanche la possibilità di compiere visite guida-te alla Specola per i gruppi di studenti coin-volti nell'attività di osservazione. L'assi -stente scientifico della Specola Solare verràcontattato e invitato a tenere uno o più semi-nari e conferenze di carattere astronomicorivolti in particolare all'attività di osservazio-ne del Sole. Il personale della Specola èinoltre disponibile per valutare il lavoro svol-to dagli studenti e attribuire loro i puntegginecessari al credito scolastico.

Durante alcuni incontri tenutisi nelmese di agosto alla Specola Solare Ticineseda parte del direttore tecnico del Progetto, èemersa la disponibilità da parte dell'ente diospitare alcuni studenti dell'Istituto per ese-guire eventuali stage o attività di alternanzascuola-lavoro. Gli studenti potrebbero ope-rare all'interno della Specola nell'osserva-zione della fotosfera, nella redazione deidisegni e nel calcolo del numero di Wolf,oltre che essere coinvolti in attività di forma-zione teorica. Poiché il lavoro di ricercascientifica in Specola viene compiuto esclu-sivamente nelle ore del mattino (l'invio deidati al SIDC di Bruxelles deve avvenire

entro le 14h), durante il resto della giornatalavorativa gli studenti potrebbero svolgere lapropria attività presso l'IRSOL, situato nellevicinanze della Specola Solare, dove princi-palmente vengono svolte ricerche e osser-vazioni nel campo della spettropolarimetriasolare, tecnica che consente di studiare leproprietà e l'andamento del campo magneti-co solare, responsabile della maggior partedei fenomeni osservati sulla stella. Inoltrel'IRSOL, disponendo delle necessarie strut-ture, può offrire agli studenti anche la possi-bilità di alloggio e vitto, che sarebberoessenziali in quanto per gli studenti sarebbemolto complicato, per non dire impossibile,recarsi giornalmente a Locarno e tornarealla propria abitazione. Visto il tipo di osser-vazioni svolte, per esigenze di caratteredidattico, sarebbe preferibile indirizzareverso questa attività studenti delle classiquarte. I ragazzi verranno seguiti da espertidella Specola e dell'IRSOL, che li affianche-ranno durante tutto il periodo della loroeventuale permanenza.

La direzione del progetto è affidata alprofessor Maurizio Mozzanica, mentre ilcoordinamento tecnico, la gestione delleesercitazioni e la cura della strumentazioneottica sono affidate al professor Mario Gatti.I risultati delle osservazioni (disegni dellafotosfera e della cromosfera, numeri di Wolfe di Pettis), compiute dal direttore tecnicodel progetto in collaborazione con gli stu-denti dei gruppi di osservazione e che gra-dualmente verranno affidate esclusivamentea questi ultimi, sono pubblicati giornalmentesul sito Intranet dell'Istituto e su una sezionededicata del sito Internet (http://www.isisbisuschio.it).

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Osservatori astronomici chiavi in mano

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«L'Ideatorio» di Lugano riapre con unnuovo percorso espositivo, il quinto dalla suanascita. La proposta del 2010 rivolge lo sguar-do verso il cielo, avvicinando i visitatori allestelle.

Il percorso, creato da Science et Citédell'Università della Svizzera Italiana, si avvaledella collaborazione di diversi enti. Postazioniinterattive del Museo Tridentino di ScienzeNaturali conducono il visitatore alla scopertadel sistema solare. Fotografie astronomichedell'Anno Internazionale dell'Astronomia avvi-cinano i suoi occhi ai confini dell'universo e allemeraviglie degli oggetti celesti. Video immersi-vi, concessi espressamente da uno degliOsservatori astronomici più importanti del pia-neta, il Mauna Kea delle Hawaii, lo avvolgonocon le bellezze e i colori inaspettati del cosmo.E gli animatori lo accompagnano in un percor-so rivolto anche alla comprensione delle mis-sioni spaziali. Non da ultimo, viene proposta alvisitatore una tappa al planetario astronomico

digitale (che ha 5 metri di diametro per 20posti), unico esemplare in tutto il Ticino, perimmergersi in un vero e proprio viaggio allascoperta del nostro cielo.

Durante le aperture al pubblico sarà inol-tre possibile osservare la nostra stella del gior-no grazie alla presenza di un telescopio conspeciali filtri solari. Sarà quindi possibile teneresotto controllo giornalmente l'attività solare,finalmente in ripresa dopo la sua ciclica fase diminimo sulla via della conclusione. Come perogni esposizione, il percorso scientifico saràarricchito da eventi teatrali: durante i pomerig-gi di mercoledì e sabato e secondo un calen-dario preciso sarà possibile assistere allo spet-tacolo di Giancarlo Sonzogni, «La Luna».

Si è tanto parlato del 2009 come AnnoInternazionale dell'Astronomia. In tutto ilmondo si è celebrato con mostre, conferenze,manifestazioni un gesto che 400 anni fa rivolu-zionò la storia della scienza e in particolaredell'astronomia: nel 1609 Galileo Galilei puntò

«Cosmica»:il cielo in una stanza

Un percorso espositivo per grandi e piccoli alla scoperta dell'universo

Michela Carli

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per primo un cannocchiale verso il cielo, sve-lando oggetti astronomici all'epoca sconosciutie sfatando credenze sulle quali l'intera scienzadell'astronomia si era fino ad allora basata. Mail cammino verso la nascita dell'astronomiatelescopica, l'astronomia dei nostri giorni, sicompì anche e soprattutto l'anno seguente,quando la notte del 7 gennaio 1610 Galilei conun cannocchiale da 15 ingrandimenti vide dellestelline a sinistra e a destra di Giove e durantele osservazioni delle notti successive si accor-se che queste stelline si erano spostate. Inonore di Cosimo II de' Medici, granduca diToscana, che lo scienziato sperava di ingra-ziarsi in vista di un trasferimento da Padova aFirenze, Galileo, decise di battezzare«Cosmica» queste nuove stelline intorno aGiove, sfruttando il gioco di parole«Cosimo/Cosmica», o anche «stelle medi-cee». Nel tempo questa denominazione dellequattro principali lune di Giove non venne peròadottata e fu sostituita con gli attuali nomi diorigine mitologica: Io, Europa, Ganimede eCallisto.

«Cosmica», l'esposizione interattiva

organizzata da «L'Ideatorio», rende quindionore al genio di Galilei e cercherà di condur-re i visitatori ad avvicinarsi alle scoperte e allosguardo meravigliato ed entusiasta di quelloscienziato che, posando gli occhi su cose maiviste prima, trasformò per sempre l'uomo dacittadino terrestre in cittadino cosmico.

Dopo 400 anni dal Sidereus Nuncius,pubblicato da Galileo nel 1610, «L'ideatorio»inaugura un'esposizione interamente dedicataall'astronomia con un intento più umile maugualmente prezioso: appassionare adulti ebambini alle meraviglie del nostro universo,partendo dalle osservazioni fatte da Galileofino ad arrivare alle scoperte rese possibili daipotenti strumenti offerti dalla tecnologia con-temporanea.

Il planetario e il percorso fotograficohanno già avuto un'anteprima di grande suc-cesso presso il Centro Culturale Elisarion diMinusio dal 6 al 18 ottobre 2009. Dopo l'espo-sizione a Lugano, il planetario e molti contenu-ti scientifici di questa esposizione resteranno inTicino a disposizione delle scuole e degli entiche lo richiederanno.

«Cosmica»Date: dal 25 gennaio al 18 giugno 2010Luogo: «L'Ideatorio», ex-asilo diCastagnola, via S. Giorgio, LuganoOrari: apertura al pubblico mercoledì esabato pomeriggio dalle 14h00 alle18h00Biglietti: adulti CHF 5.-, bambini (3-12anni) 3.-, famiglia 15.-, supplemento pla-netario 1.- Informazioni: http://www.ticinoscienza.com/esposizioni, info@ticinoscienza. com

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La divulgazione astronomica in Ticino da gennaio a marzo

Con l’occhio all’oculare…

Monte GenerosoChiuso per tutto il trimestre.

Specola SolareÈ ubicata a Locarno-Monti nei pressi diMeteoSvizzera ed è raggiungibile in automobi-le (posteggi presso l’Osservatorio). Uno solol’appuntamento pubblico di questo trimestre acura del Centro Astronomico del Locarnese(CAL) con il telescopio Maksutov ø 300 mm diproprietà della SAT:

sabato 23 gennaio (dalle 20h:Luna, Marte, costellazioni invernali)

L’evento si terrà con qualsiasi tempo. Dato ilnumero ridotto di persone ospitabili, si accetta-no solo i primi 12 iscritti in ordine cronologico.Le prenotazioni vengono aperte una settimanaprima dell’appuntamento. Si possono effettua-re prenotazioni telefoniche (091.756.23.79)dalle 10h15 alle 11h45 dei giorni feriali oppurein qualsiasi momento attraverso Internet(http://www.irsol.ch/cal).

Calina di CaronaL’unica serata pubblica di osservazione si tienein caso di tempo favorevole:

venerdì 5 marzo (dalle 20h)

L’Osservatorio è raggiungibile in automobile.Non è necessario prenotarsi.Responsabile: Fausto Delucchi(079-389.19.11).

Monte LemaChiuso per tutto il trimestre.

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Visibilità dei pianeti

MERCURIO Dapprima invisibile, il 27 gennaio si trova già alla massima elongazioneoccidentale dal Sole e diventa visibile al mattino. Di nuovo invisibile nellaseconda metà di febbraio e in marzo

VENERE Invisibile in gennaio, dato che il giorno 11 è in congiunzione con il Sole.Ricompare alla sera a fine febbraio, ma rimane sempre basso sull'orizzonteoccidentale anche in marzo.

MARTE Il 29 gennaio è in opposizione al Sole e quindi visibile per tutta la notte, cosìpure in febbraio e marzo, nella costellazione dei Gemelli.

GIOVE Molto vicino al Sole, alla fine di gennaio è ancora visibile per poco alla sera.Si trova in congiunzione con il Sole il 28 febbraio e quindi è invisibile fino afine marzo.

SATURNO Si trova sempre tra le stelle della costellazione della Vergine ed è visibilenella seconda parte della notte in gennaio e per tutta la notte in seguito. Inopposizione al Sole il 22 marzo.

URANO Ancora visibile alla sera in gennaio, in seguito si immerge nelle luci del tra-monto ed è in seguito invisibile, in congiunzione eliaca il 17 marzo.

NETTUNO Praticamente invisibile per congiunzione con il Sole il 15 febbraio.

FASI LUNARI Ultimo Quarto 7 gennaio, 6 febbraio e 7 marzoLuna Nuova 15 gennaio, 14 febbraio e 15 marzoPrimo Quarto 23 gennaio, 22 febbraio e 23 marzoLuna Piena 30 gennaio, 28 febbraio e 30 marzo

Stelle filanti Le Quadrantidi sono attive dal 1. al 5 gennaio, con un massimo il 3 e circa120 apparizioni all'ora.

Inizio primavera Il 20 marzo alle 18h32 TMEC la Terra si trova all'equinozio di primavera perl'emisfero nord e d'autunno per quello australe.

Eclisse Anulare di Sole il 15 gennaio visibile in Africa e Asia, invisibile da noi.

Effemeridi da gennaioa marzo 2010

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12 gennaio 23h00 TMEC 12 febbraio 21h00 TMEC 12 marzo 19h00 TMECQuesta cartina è stata tratta dalla rivista Pégase, con il permesso della Société Fribourgeoise d’Astronomie.

G.A.B. 6616 LosoneCorrispondenza:Specola Solare - 6605 Locarno 5