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Banca del Sud, punto e a capo, sempre in nome dello sviluppo di MARCO DI SALVO S ilvio Berlusconi (foto al centro) nel pieno del- la bagarre firme ha trovato il tempo per pre- sentare il nuovo Comitato promotore della Banca del Sud. La banca «non sarà un carrozzone», ha precisato, perché il ruolo dello Stato è semplice- mente quello di promotore: avrà una quota minori- taria che sarà dismessa entro cinque anni. «Credito e legalità sono i pilastri per lo sviluppo del nostro Sud. E io - aggiunge il pre- mier - sarò il secondo depo- sitante, dopo il ministro Tremonti». L’istituzione del Comita- to promotore, composto da quindici persone e presie- duto da Vito Dell’Erba (presidente dell’Associa- zione delle Casse di rispar- mio di Puglia e Basilicata), rappresenta un nuovo passo operativo dell’istituto che, nelle intenzioni del gover- no, dovrebbe contribuire a finanziare l’economia del Mezzogiorno, in special modo le piccole e medie imprese. Sarà compito del Comitato individuare e se- lezionare i soci fondatori (oltre allo Stato), definire la governance della banca, le specifiche funzioni e attivi- tà. Entro l’estate sarà pron- to il piano industriale, in autunno arriverà l’ok di Bankitalia, ed entro l’anno dovrebbero vedersi i primi effetti sul territorio. Il capitale sarà in massi- ma parte privato. La Banca potrà emettere, attraver- so la rete del credito cooperativo e delle Poste, i co- siddetti «Sud bond», garantiti dallo Stato, cioè ob- bligazioni di scopo a medio-lungo termine che sa- ranno tassate al 5% fino a un massimo di 100mila euro per sottoscrittore, anzichè al 12,50%. «Siamo il primo governo - può dire Giulio Tremonti - che per il Mezzogiorno ha fatto una banca e una fiscali- tà di vantaggio». Le banche di credito cooperativo socie e le Poste metteranno a disposizione i loro sportelli. «É un buon progetto», commenta l’ammi- nistratore delegato delle Poste, Massimo Sarmi, che sta già lavorando per adeguare gli sportelli postali al nuovo compito. «É un progetto coerente con la missione delle banche di credito cooperativo - dice Alessandro Azzi, presidente di Federcasse - a favo- re delle piccole e medie imprese». Tutto bene, allora? Non si direbbe, perché c'è chi, pur essendo un giovane de- putato, ha la memoria lun- ga. E contrattacca la pre- sentazione in pompa ma- gna. “Il ministro Tremonti il 9 marzo 2006 alle ore 17.00 presentò a Napoli presso la sede del Circolo dell'Unione, il Comitato promotore della Banca del Mezzogiorno. Tutto avvenne nell'immi- nenza delle elezioni politi- che. Quattro anni dopo la storia si ripete...”. È quanto ha affermato in una nota battuta dalle agenzie subito dopo la presentazione Fran- cesco Boccia, coordinatore delle commissioni Econo- miche del gruppo Pd della Camera a proposito della presentazione della Banca del sud. “Desidereremmo sapere che fine ha fatto il presidente del Comitato promotore, il principe Car- lo Di Borbone”, ironizza Boccia aggiungendo di aver “sempre sperato in questi 18 mesi che il gover- no credesse davvero nel Mezzogiorno. La vicenda bizzarra della fantomatica Banca che nasce con soli 5 milioni di euro - conclude - è la conferma di quanto il Sud sia considerato margina- le”. E buono solo per la campagna elettorale di tut- ti, aggiungiamo noi... di SALVO BARBAGALLO I l presidente della Repubblica Gior- gio Napolitano a Marsala, poche settimane addietro per dare l’avvio alle celebrazioni del centocinquantesi- mo anniversario dell’Unità d’Italia, è stato lapidario. Esprimendosi nei con- fronti di chi parla di secessione o di frantumazione del Paese ha affermato: “Un balbettare penoso, negando il sal- to di qualità che il Paese tutto fece unendosi”. È indubbio che sarebbe folle parlare di secessionismo in un mondo ormai globalizzato, ma a noi “Siciliani” viene difficile ammettere che il “salto di qualità” provocato dall’unione delle varie parti dell’Italia abbia mai portato qualcosa di positivo alla Sicilia ed alla sua popolazione. E sosteniamo ciò con convinzione nella ricorrenza (avvenuta a pochi giorni dalla vista del Capo dello Stato nei luoghi dello sbarco dei Mille di Gari- baldi) di un altro anniversario, il ses- santaquattresimo, quello dell’Autono- mia Siciliana. Una “Autonomia”, forte di uno Statuto Speciale che fa parte in- tegrante della Costituzione Italiana, mai applicata e che in tanti hanno cer- cato di cancellare in maniera definiti- va. Quell’Autonomia, “concessa” da uno Stato che risorgeva dalle macerie della guerra, contro ogni tipo di ditta- tura, in Sicilia non ha portato nulla di buono, così come è accaduto quando si realizzò l’unità del Paese, perché i principi che animavamo quelle impor- tanti determinazioni, sono stati palese- mente e costantemente disattesi. Quell’Autonomia nasceva da una spinta “secessionista” di una popola- zione che voleva rendersi “indipen- dente” quando l’Italia era dominata dai fascisti e da Mussolini e che, a Ita- lia liberata, non sapeva quale futuro potesse attenderla. La Storia viene dimenticata, o “ma- nipolata” per ragioni politiche ma, al- lora, nel 1946, coloro che rappresenta- vano l’Italia, si resero ben conto che alla Sicilia “qualcosa” bisognava pur dare, se non si voleva che accadesse il peggio. Illustri studiosi elaborarono uno Statuto della Regione che potesse portare allo sviluppo dell’Isola, e lo Statuto, con qualche modifica, venne approvato e promulgato. Evidente- mente, però, doveva esserci sotto un qualche “trucco” poiché la Sicilia, nel- la sua lunga storia, di “regali” non ne ha mai ricevuti. Il “trucco” è emerso nel corso di questi sessantaquattro an- ni. Lo Statuto non doveva essere ap- plicato, le prerogative in esso contenu- te ignorate. Ma sicuramente se ciò si è verificato la responsabilità non può es- sere soltanto dei governanti l’Italia, ma anche (se non soprattutto) di chi ha avuto ruoli nel governo dell’Isola, in- dubbiamente conniventi nella strategia di tenere costantemente la Sicilia sot- tomessa, in balìa dei più forti del mo- mento. Il Presidente della Repubblica a Marsala ha rimproverato i politici del Sud, e li ha invitati a riconoscere “le proprie insufficienze in decenni di au- togoverno”, spronandoli a sfruttare le “specificità” concesse. E parliamo, dunque, di quelle “specificità” statuta- rie che mai sono state applicate, quelle che quando qualche presidente (ricor- diamoci di Silvio Milazzo e di Rino Nicolosi) ha tentato di mettere in moto quelle che oggi vengono chiamate “specificità”, subito si è fatto in modo di renderlo inoffensivo. Oggi si torna a parlare delle “speci- ficità” poiché, come è stato sottolinea- to, con il Titolo V della Costituzione si lavora ad “un più conseguente svilup- po delle Autonomie” nel Paese: per i Siciliani, dopo sessantaquattro anni di Autonomia “bruciata” dalla negligen- za e dalla indifferenza, la volontà di intenti non appare credibile. Il Presidente della Repubblica è sta- to accolto trionfalmente dai Siciliani, così come vennero accolti Garibaldi e gli yankees che sbarcarono nel luglio del 1943 nell’isola, sperando (ed è questo l’errore) che qualcosa potesse cambiare, che si potesse essere cittadi- ni di prima classe come tutti in Italia, e non subordinati. In realtà la coloniz- zazione della Sicilia è stata non-stop: tutti vengono ad attingere, pochi a da- re. Resta l’amaro in bocca. Resta la rabbia. All’interno i dossier sull’Autonomia Anno V - N. 9~10 27 Maggio 2010 - 1,50 Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Spettacolo, diretto da Salvo Barbagallo NELLA SICILIA DELL’AUTONOMIA TRADITA BRUCIATI 64 ANNI DI STATUTO SPECIALE Mentre potenti e politici festeggiano l’unità d’Italia e Garibaldi

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Banca del Sud, punto e a capo,sempre in nome dello sviluppo

di MARCO DI SALVO

Silvio Berlusconi (foto al centro) nel pieno del-la bagarre firme ha trovato il tempo per pre-sentare il nuovo Comitato promotore della

Banca del Sud. La banca «non sarà un carrozzone»,ha precisato, perché il ruolo dello Stato è semplice-mente quello di promotore: avrà una quota minori-taria che sarà dismessa entro cinque anni. «Creditoe legalità sono i pilastri per lo sviluppo del nostroSud. E io - aggiunge il pre-mier - sarò il secondo depo-sitante, dopo il ministroTremonti».

L’istituzione del Comita-to promotore, composto daquindici persone e presie-duto da Vito Dell’Erba(presidente dell’Associa-zione delle Casse di rispar-mio di Puglia e Basilicata),rappresenta un nuovo passooperativo dell’istituto che,nelle intenzioni del gover-no, dovrebbe contribuire afinanziare l’economia delMezzogiorno, in specialmodo le piccole e medieimprese. Sarà compito delComitato individuare e se-lezionare i soci fondatori(oltre allo Stato), definire lagovernance della banca, lespecifiche funzioni e attivi-tà. Entro l’estate sarà pron-to il piano industriale, inautunno arriverà l’ok diBankitalia, ed entro l’anno dovrebbero vedersi iprimi effetti sul territorio. Il capitale sarà in massi-ma parte privato. La Banca potrà emettere, attraver-so la rete del credito cooperativo e delle Poste, i co-siddetti «Sud bond», garantiti dallo Stato, cioè ob-bligazioni di scopo a medio-lungo termine che sa-ranno tassate al 5% fino a un massimo di 100milaeuro per sottoscrittore, anzichè al 12,50%. «Siamoil primo governo - può dire Giulio Tremonti - che

per il Mezzogiorno ha fatto una banca e una fiscali-tà di vantaggio». Le banche di credito cooperativosocie e le Poste metteranno a disposizione i lorosportelli. «É un buon progetto», commenta l’ammi-nistratore delegato delle Poste, Massimo Sarmi, chesta già lavorando per adeguare gli sportelli postalial nuovo compito. «É un progetto coerente con lamissione delle banche di credito cooperativo - diceAlessandro Azzi, presidente di Federcasse - a favo-re delle piccole e medie imprese».

Tutto bene, allora? Nonsi direbbe, perché c'è chi,pur essendo un giovane de-putato, ha la memoria lun-ga. E contrattacca la pre-sentazione in pompa ma-gna. “Il ministro Tremontiil 9 marzo 2006 alle ore17.00 presentò a Napolipresso la sede del Circolodell'Unione, il Comitatopromotore della Banca delMezzogiorno.

Tutto avvenne nell'immi-nenza delle elezioni politi-che. Quattro anni dopo lastoria si ripete...”. È quantoha affermato in una notabattuta dalle agenzie subitodopo la presentazione Fran-cesco Boccia, coordinatoredelle commissioni Econo-miche del gruppo Pd dellaCamera a proposito dellapresentazione della Bancadel sud. “Desidereremmosapere che fine ha fatto il

presidente del Comitato promotore, il principe Car-lo Di Borbone”, ironizza Boccia aggiungendo diaver “sempre sperato in questi 18 mesi che il gover-no credesse davvero nel Mezzogiorno.

La vicenda bizzarra della fantomatica Banca chenasce con soli 5 milioni di euro - conclude - è laconferma di quanto il Sud sia considerato margina-le”. E buono solo per la campagna elettorale di tut-ti, aggiungiamo noi...

di SALVO BARBAGALLO

Il presidente della Repubblica Gior-gio Napolitano a Marsala, pochesettimane addietro per dare l’avvio

alle celebrazioni del centocinquantesi-mo anniversario dell’Unità d’Italia, èstato lapidario. Esprimendosi nei con-fronti di chi parla di secessione o difrantumazione del Paese ha affermato:“Un balbettare penoso, negando il sal-to di qualità che il Paese tutto feceunendosi”. È indubbio che sarebbefolle parlare di secessionismo in unmondo ormai globalizzato, ma a noi“Siciliani” viene difficile ammettereche il “salto di qualità” provocatodall’unione delle varie parti dell’Italiaabbia mai portato qualcosa di positivoalla Sicilia ed alla sua popolazione. Esosteniamo ciò con convinzione nellaricorrenza (avvenuta a pochi giornidalla vista del Capo dello Stato neiluoghi dello sbarco dei Mille di Gari-baldi) di un altro anniversario, il ses-santaquattresimo, quello dell’Autono-mia Siciliana. Una “Autonomia”, fortedi uno Statuto Speciale che fa parte in-tegrante della Costituzione Italiana,mai applicata e che in tanti hanno cer-cato di cancellare in maniera definiti-va.

Quell’Autonomia, “concessa” dauno Stato che risorgeva dalle maceriedella guerra, contro ogni tipo di ditta-tura, in Sicilia non ha portato nulla dibuono, così come è accaduto quandosi realizzò l’unità del Paese, perché iprincipi che animavamo quelle impor-tanti determinazioni, sono stati palese-mente e costantemente disattesi.

Quell’Autonomia nasceva da unaspinta “secessionista” di una popola-zione che voleva rendersi “indipen-dente” quando l’Italia era dominatadai fascisti e da Mussolini e che, a Ita-lia liberata, non sapeva quale futuropotesse attenderla.

La Storia viene dimenticata, o “ma-nipolata” per ragioni politiche ma, al-lora, nel 1946, coloro che rappresenta-vano l’Italia, si resero ben conto chealla Sicilia “qualcosa” bisognava purdare, se non si voleva che accadesse ilpeggio. Illustri studiosi elaboraronouno Statuto della Regione che potesse

portare allo sviluppo dell’Isola, e loStatuto, con qualche modifica, venneapprovato e promulgato. Evidente-mente, però, doveva esserci sotto unqualche “trucco” poiché la Sicilia, nel-la sua lunga storia, di “regali” non neha mai ricevuti. Il “trucco” è emersonel corso di questi sessantaquattro an-ni. Lo Statuto non doveva essere ap-plicato, le prerogative in esso contenu-te ignorate. Ma sicuramente se ciò si èverificato la responsabilità non può es-sere soltanto dei governanti l’Italia,ma anche (se non soprattutto) di chi haavuto ruoli nel governo dell’Isola, in-dubbiamente conniventi nella strategiadi tenere costantemente la Sicilia sot-tomessa, in balìa dei più forti del mo-mento.

Il Presidente della Repubblica aMarsala ha rimproverato i politici delSud, e li ha invitati a riconoscere “leproprie insufficienze in decenni di au-togoverno”, spronandoli a sfruttare le“specificità” concesse. E parliamo,dunque, di quelle “specificità” statuta-rie che mai sono state applicate, quelleche quando qualche presidente (ricor-diamoci di Silvio Milazzo e di RinoNicolosi) ha tentato di mettere in motoquelle che oggi vengono chiamate“specificità”, subito si è fatto in mododi renderlo inoffensivo.

Oggi si torna a parlare delle “speci-ficità” poiché, come è stato sottolinea-to, con il Titolo V della Costituzione silavora ad “un più conseguente svilup-po delle Autonomie” nel Paese: per iSiciliani, dopo sessantaquattro anni diAutonomia “bruciata” dalla negligen-za e dalla indifferenza, la volontà diintenti non appare credibile.

Il Presidente della Repubblica è sta-to accolto trionfalmente dai Siciliani,così come vennero accolti Garibaldi egli yankees che sbarcarono nel lugliodel 1943 nell’isola, sperando (ed èquesto l’errore) che qualcosa potessecambiare, che si potesse essere cittadi-ni di prima classe come tutti in Italia,e non subordinati. In realtà la coloniz-zazione della Sicilia è stata non-stop:tutti vengono ad attingere, pochi a da-re. Resta l’amaro in bocca. Resta larabbia.

All’interno i dossier sull’Autonomia

Anno V - N. 9~10 • 27 Maggio 2010 - € 1,50 Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Spettacolo, diretto da Salvo Barbagallo

NELLA SICILIA DELL’AUTONOMIA TRADITABRUCIATI 64 ANNI DI STATUTO SPECIALE

Mentre potenti e politicifesteggiano

l’unità d’Italia e Garibaldi

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di MARCO DI SALVO

Nella dissennata storia dellaRepubblica Italiana l’esem-pio più acclarato delle tante

distorsioni di un sistema costituzio-nale (a parole) difeso e promosso datutti sta nella storia della Statuto Si-ciliano, che sarebbe (il condizionaleè d’obbligo) alla base della tanto (aparole) festeggiata (nelle ultime set-timane) Autonomia.

Babbo Natale in giallo e rossoLa si festeggia come se fosse Na-

tale, come se da un momento all’al-tro si attendesse il discendere di unsimpatico signore dal camino (benin carne, magari con la barba e unvestito di colore giallorosso di im-pronta sicula, in cambio di quellorosso imposto a Santa Claus dallescelte di marketing della Coca Cola)che porti in dono questo o quel re-galo, questa o quella prebenda. Pec-cato che Babbo Natale, come l’Au-tonomia siciliana, semplicementenon esista. E peccato (peccato dav-vero, per tutti quelli che ne ciancia-no tanto, sempre a parole) che dovee quando l’autonomia (l’indipen-denza o, se il caso, la separazione)sono state, esse sono sempre statenella storia solo figlie di moti, discelte politiche e non di regali venu-ti dall’alto. E il paradosso dell’Au-tonomia siciliana è proprio questo.Non dobbiamo conquistarla. Cel’abbiamo, ma non la usiamo (nonla usano i nostri rappresentanti isti-tuzionali, se non, a volte, comespauracchio per alzare il prezzo intrattative di basso livello). Il nostro(finché non ce lo leveranno, magari

mentre fanno il fede-ralismo voluto da chidifende gli interessi dimacroregioni padanedi fatto mai esistite) èun modello di autono-mia sostanzialmenterestato sulla carta, manello stesso tempo cheresta in perenne attesadi una applicazione inquanto sempre formal-mente legittimo. Vi èquasi dell’incredibilenello scoprire che que-sta Autonomia, appli-cata alla lettera, sareb-be addirittura la “ne-gazione dello spreco”,con l’accollo di quasitutti i servizi pubblicida parte della Regionee degli enti pubbliciterritoriali. Si scopre,e sembra incredibile,l’ignoranza in cui so-no stati tenuti i direttiinteressati, i cittadini,che la Sicilia è (o me-glio “sarebbe”) unostato semi-sovrano ap-pena confederato con la RepubblicaItaliana, capace di creare un proprioordinamento tributario, di partecipa-re all’emissione della moneta comu-ne, in cui persino l’amministrazioneperiferica dello Stato (quella resi-dua) sarebbe organizzata e discipli-nata dallo Stato-Regione (ragion percui il Presidente siederebbe nelConsiglio dei Ministri, non comerappresentante della Regione, macome “Ministro della Repubblicaper gli affari dello Stato italiano inSicilia”). La “piccola costituzionesiciliana” che dovrebbe regolare lavita dell’intera Regione, (dovrebbe),non è mai stata attuata del tutto anzil’autonomia della Sicilia si riducead una carta formalmente legittimache è stata attuata solo per 10 anni(dal 1947 al 1957) e dopo dimenti-cata.

Sviluppo contro manodoperaUn’autonomia mai applicata o

forse mai realmente voluta, soprat-tutto per ragioni economiche. Perfare un esempio: l’art. 38 del nostroStatuto “prevede fondi da parte del-lo Stato” da destinare ai lavori pub-blici “a titolo di solidarietà naziona-le”. Fondi dovuti che furonoversati per cinque anni,dal 1951 al 1956 e suc-cessivamente sop-pressi (e sostituiticon altri che inve-ce di garantirel’autonomo svi-luppo finirononelle tasche e nel-lo sviluppo di altreregioni del nostroPaese, contribuendoal miracolo economi-co). La Sicilia non ebbepiù quei finanziamenti volti afavorire la progettazione generale diinfrastrutture e servizi che avrebbe-ro migliorato le condizioni territo-riali regionali, tanto da poter rag-giungere il livello di regioni piùevolute (mentre anche allora si par-lava del Ponte di Messina, natural-mente...). Le stesse verso le qualipartirono i nostri padri e stanno, me-stamente, ricominciando a partire i

nostri figli negli ultimi anni. Tuttoquesto a fronte di uno Statuto, quel-lo siciliano, volto a favorire, l’indi-pendenza, l’economia regionale edun proprio ordinamento tributarioportando l’Isola a sviluppare attivitàproduttive senza più bisogno di ele-mosinare o dipendere dal governocentrale.

Un sogno durato undici anniDal 1957 il nostro Statuto non è

stato più applicato esistendo solonell’ombra. La Sicilia, dunque, vivecontinuamente nell’illegalità, re-mando contro la propria costituzio-ne e spianando il terreno ad unaclasse dirigenziale (non solo politi-ca) corrotta da gravi forme di clien-telismo. Esempio massimo, a con-ferma di tutto ciò, la questione lega-ta all’Alta Corte della Sicilia cherappresentava più di tutti il simboloe l’organo di un’autonomia tradita erifiutata. L’Alta Corte disciplinadall’art. 24 dello Statuto aveva ilcompito di “risolvere” i conflitti traStato e Regione, ma con un raggiodi azione più grande. Era una sortadi “sindacato” di costituzionalità ditutte quelle norme che si devono ap-

plicare in Sicilia provenienti daqualunque fonte. Uno stru-

mento di garanzia. Ap-punto. E, in quanto ta-

le, soppresso. Con lasentenza n. 38 del 7marzo 1957 chedispone così: “Lacompetenza del-l’Alta Corte per laRegione Siciliana è

stata travolta dallaCostituzione; essa

era competenza prov-visoria ai sensi della VII

disp. trans. della Cost., desti-nata a scomparire con l’entrata infunzione della Corte Costituziona-le”.

L’inganno della Corte Costitu-zionale

E invece non è così. Come ha sot-tolineato Massimo Costa in un librodello scorso anno, l’obiettivo dellasua istituzione, disciplinata dall’arti-

colo 24 dello Statuto (è istituita inRoma un’Alta Corte con sei membrie due supplenti, oltre il Presidenteed il Procuratore generale nominatiin pari numero dalle Assemblee le-gislative dello Stato e della Regio-ne, e scelti fra persone di specialecompetenza in materia giuridica),era quello di creare un organo noncon competenza limitata ai con-flitti tra Stato e Regionima con un raggio diazione più vasto chearrivasse ad identi-ficarla con un ve-ro e proprio sin-dacato specialedi costituziona-lità di tuttequelle normeche si devonoapplicare in Sici-lia, qualunque siala fonte. Infatti, se-condo gli articoli 25e 26 dello Statuto, l’or-gano giurisdizionale giudi-ca sulla costituzionalità delle leg-gi emanate dall’Assemblea regiona-le; delle leggi e dei regolamentiemanati dallo Stato, dei reati com-piuti dal Presidente e dagli assessoriregionali nell’esercizio delle funzio-ni di cui al presente Statuto, ed ac-cusati dall’Assemblea regionale.Questa Corte, secondo MassimoCosta, “equamente costituita, avreb-be potuto agire come la paladinadella nostra autonomia.

E si capisce perché, sin dal suoinizio, sia stata fieramente boicotta-ta”. Nei suoi 10 anni di attività, dal1947 fino alla sentenza del 1957 cheha stabilito l’assorbimento delle suefunzioni da parte della Corte costi-tuzionale, nella giurisprudenzadell’Alta Corte deve essere menzio-nata una celebre sentenza, quella delluglio 1949, con la quale essa impe-dì che il Parlamento italiano modifi-casse con legge ordinaria lo Statutosiciliano. “In gran parte delle sen-tenze - osserva Massimo Costa -l’Alta Corte considerava l’autono-mia siciliana un patto tra due entitàparitetiche, nei rispettivi ambiti disovranità riconosciuti. Un’autono-mia che funzionava, continua Costa,nonostante la sempre più apertaostilità dei poteri forti italiani, nono-stante il freno a mano tirato dallastessa Dc autonomista di allora, ob-bligata a ragioni di prudenza pernon spiacere alle centrali politicheromane”.

All’assorbimento delle funzionidell’Alta Corte da parte della CorteCostituzionale si è arrivati, secondoCosta “per mezzo di una sentenzaillegittima”. Un giudizio, a dire ilvero, che l’Alta Corte non ha maiavallato con propria sentenza.“L’autonomia, osserva Costa è statascippata ai siciliani con un vero eproprio colpo di Stato, lasciandolanelle mani di un organo giurisdizio-nale (Corte costituzionale, ndr) chenon è terzo e che dimostra quasi adogni sentenza la propria parzialità e

il proprio centralismo, sman-tellando pezzo a pezzo

l’autonomia sicilianaa colpi di interpre-

tazioni abrogati-ve”. Ma qual èstato il ruolodella Regionedi fronte a que-sto “golpe” po-litico-giuridi-co? “La Regio-

ne - osserva Co-sta- avrebbe do-

vuto aprire una se-rissima crisi istitu-

zionale ricusando lacompetenza della Corte

Costituzionale. Ma chi è politica-mente, culturalmente e psicologica-mente subalterno non è in grado diassumere tale posizione.”

Da lì in poi ogni tanto un’abbaiataalla luna di qualche presidente dellaregione (in cambio di qualche ele-mosina in più) e poco altro. È pro-prio questo il punto: chi è subalter-no riuscirà mai ad essere autonomo?E che senso ha festeggiare l’Auto-nomia che (di fatto) non c’è?

L’esempio più acclarato delle tante distorsioni di un sistema costituzionale difeso da tutti (a parole)

L’Autonomia e Babbo Natale:ci sono, ma solo nella fantasia

Politica 2

27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

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Anno V, nº 9~1027 Maggio 2010

Gli articoli rispecchianol’esclusivo pensiero dei loro autori

La Vocedell’Isola

Il nostroè un modellodi Autonomiasostanzialmenterimasto sulla carta,ma nello stesso tempoche restain perenne attesadi una applicazionein quanto, sempreformalmente,legittimo

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La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

di VALTER VECELLIO

Sbaglia “l’Economist” che bru-talmente parla di due Europe:una che in qualche modo rie-

sce a tirarsi fuori dalle sabbie mobilidi una crisi la cui fine appare ancoralontana; e un’altra, che invece èsempre più avviluppata nel disastrodi cui è in larga parte responsabile?La domanda insistente (e la frequen-za con cui si propone il dubbio soloper questo ha il sapore di una “cer-tezza” fino a poco fa indicibile), èse in Europa sia mai esistita quellavolontà di dare vita a quell’unionepolitica ed economica che Bruxellesriteneva necessaria per far funziona-re l’euro. “La Grecia è piccola, laSpagna è gestibile”, riassume GuyDimore, sull’altra “bibbia” del capi-talismo mondiale, il “Financial Ti-mes”. Poi, la madre di tutte le do-mande: ma se fallisse l’economiaitaliana? Secondo alcuni esperti ildestino dell’euro verrà messo allaprova proprio a Roma. “Nessuno hai mezzi per salvare un paese cosìimportante”, dice Natacha Valla,economista di Goldman Sachs; esnocciola gli elementi di inquietudi-ne: investimenti bassi, modesta cre-scita dell’occupazione, aumento deldebito pubblico (nel 2010 dal 115per cento del PIL, al 118), ormai di-ventato il secondo in Europa, dopoquello greco.

Ci si consola col fatto che tra lefamiglie italiane si registra un bassotasso di indebitamento, e che lamaggior parte dei titoli emessi daltesoro è in mani italiane; tuttavial’analisi è ugualmente spietata: “Di-visa tra un nord economicamente di-namico e orientato alle esportazioni,e un sud arretrato e dipendente dalloStato, l’Italia sembra un microco-smo dell’eurozona”, e si osserva chesarà necessario fare appello a tuttele risorse disponibili per “superarele tensioni e dare prova di capacitàdi risolvere i problemi”. Anni fasempre “l’Economist” descrisse ilnostro Paese come “he real sickman of Europe”, il vero malato delvecchio continente. Ora la situazio-ne è differente: di malati se ne sonoaggiunti altri, ma nessuno dei “vec-chi” nel frattempo è guarito.

Le due Italie: problemi struttura-li, come l’elevata pressione fiscale,l’eccesso di spesa pubblica, la rigi-dità del mercato del lavoro, un siste-ma bancario “arroccato”. Una situa-zione che favorisce e alimenta quel-la che il leader radicale Marco Pan-nella riassume nello slogan: “Ucci-dono la patria europea e creanol’Europa delle patrie”. In questoprocesso, di arroccamento e insiemedi disgregazione, un ruolo tra i piùsignificativi lo gioca la Lega Norddi Umberto Bossi. Lega non a casonella sua storia si è legata ad altrimovimenti e organizzazioni neo-po-pulisti: dai partiti del Progresso eNuova Democrazia in Scandinavia,al Vlaams Blok fiammingo; dallaLega ticinese in Svizzera al Fpoe, ilpartito fondato da Jorge Haider; esenza disdegnare i Republikaner te-deschi e il Front National di Jean-Marie Le Pen in Francia; e più re-centemente con la CDU bavarese diEdmund Stoiber e la Serbia di Slo-bodan Milosevic, quest’ultimo defi-nito da Bossi “molto più democrati-co di D’Alema”. Dichiaratamente

anti-europea, gli uomini della Legasi sono spellati le mani compiaciuti,quando Giulio Tremonti, ha esortato“ad alzare le bandiere dell’onore edell’orgoglio”, e si è atleticamentedomandato: “Perché non è più l’Eu-ropa a cambiare il mondo, ma ilmondo a cambiare l’Europa? Peruna ragione molto semplice -. Per-

ché non è stata l’Europa a entrarenella globalizzazione, ma la globa-lizzazione ad entrare in Europa, tro-vandola insieme incantata e impre-parata…”.

Assistiamo, in questi giorni allaprogressiva (e, parrebbe, inarresta-bile) disgregazione delle forze poli-tiche tradizionali (e qualcuna “nuo-

va”, le ha perfino anticipate e prece-dute); la Lega al contrario si conso-lida e afferma: una politica fatta diparole d’ordine semplicistiche, diverbale contestazione nei confrontidella partitocrazia, e contempora-neamente una sistematica partecipa-zione ai processi di lottizzazione…ilretroterra “culturale” affonda le sue

radici in quello che teorizzava Gian-franco Miglio: una “rivoluzione” fe-derale fondata su tre macro-regioni(Padania, Etruria, Mediterranea), ol-tre le cinque a Statuto speciale:“L’Italia unita è figlia di una con-giuntura storica particolare che hamescolato insieme popoli che nonhanno nulla in comune. Noi abbia-mo nelle vene sangue barbaro, sia-mo legati al negotium, al lavoro. Imeridionali invece vivono nel-l’otium, il dolce far nulla. Una dif-ferenza antropologica”.

“L’Economist” tutto sommato silimita a fotografare una situazioneche sembrava una bizzarra fantasia;e che forse, per quanto bizzarra efantastica, un giorno si realizzerà. Isegni ci sono tutti, in nuce e l’anali-si dell’ “Economist” lo certifica.

L’impietosa analisi, ma forse futuribile, del settimanale “The Economist”

Una nuova mappa dell’Europamentre l’Italia si frantuma

Nel nostro Paese assistiamo, in questi giorni, alla progressiva(e, parrebbe, inarrestabile) disgregazione delle forze politichetradizionali e qualcuna “nuova”, le ha perfino anticipatee precedute. La Lega al contrario si consolida

Politica

“The Economist” ridisegna i confini:il nostro Sud denominato “bordello”

(29 aprile 2010 | Da The Economist online)

Le persone che trovano la loro vicini fastidiosi si possono spostare inun altro quartiere, mentre i paesi non possono. Ma supponiamo che sipossa fare. Rimodulare la mappa d'Europa renderebbe la vita più lo-

gica e amichevole. La Gran Bretagna, che dopo le elezioni politiche dovràconfrontarsi con la sua terribile finanza pubblica, dovrebbe avvicinarsi per ipaesi dell'Europa meridionale che si trovano in una posizione simile. Po-trebbe essere trainata in una nuova posizione vicino alle Azzorre. (Se ilviaggio si rivela accidenta-to, questa potrebbe essereuna buona occasione perfare del Galles e della Sco-zia isole separate). Al po-sto della Gran Bretagna sipotrebbe spostare la Polo-nia, che ha sofferto già ab-bastanza della sua posizio-ne tra Russia e Germania emerita la possibilità di go-dere i venti di rinforzo del-l'Atlantico settentrionale ela sicurezza di avere unmare tra essa e qualsiasipotenziale invasore.

L'incomprensibile con-flitto linguistico belga trafiammingo e francese (cheha appena portato ad unacrisi di governo) rappre-sentano l'Europa centraleal suo peggio, ad esempiola Slovacchia e la mino-ranza etnica in lingua un-gherese. Così il Belgio do-vrebbe scambiare il postocon la Repubblica ceca. Iben organizzati cechi po-trebbero stare benissimocon i loro nuovi viciniolandese e viceversa. LaBielorussia, attualmentesenza sbocco sul mare eche cerca di uscire da sottoil pollice della Russia, gio-verebbe notevolmente dal-lo spostamento nella regio-ne nordica, la cui influenzaha svolto un grande ruolo nell'aiutare i paesi baltici ad uscire dal loro retag-gio sovietico. Così dovrebbe spostarsi verso nord al Baltico, prendendo ilposto di Estonia, Lettonia e Lituania.

Questi tre paesi dovrebbero spostare in una nuova posizione da qualcheparte vicino Irlanda. Come l'isola di smeraldo, essi hanno giocato bene lacarta della "svalutazione interna", riconquistando competitività dal taglio disalari e dei prezzi, piuttosto che prendere la semplice opzione di svalutazio-

ne della moneta, o di incauto indebitamento come la Grecia. I paesi balticisarebbero felice di essere più lontani dalla Russia e più vicini all'America.Tra le altre mosse, Kaliningrad potrebbe spostare la costa verso la Russia,che terminerebbe così il suo status anomalo di exclave, eredità della secon-da guerra mondiale, e risolverebbe qualsiasi possibilità di futuri conflitticoi russi sul transito ferroviario. Negli spazi liberati dalla Polonia e Bielo-russia dovrebbero venire le parti centrale e occidentale dell'Ucraina. Così laGermania, con il confine ucraino ora solo 100 km da Berlino, potrebbe ini-ziare a prendere sul serio l'ingresso in Europa dell'Ucraina. Lo spostamento

ucraino consentirebbeRussia di spostarsi a oveste a sud, così liberando laSiberia per i cinesi, cheverrà comunque annessaprima o poi. Poi arriva unriordinamento dei Balcani.Macedonia, Albania e Ko-sovo deve ruotare posti,con la Macedonia al postodel Kosovo accanto allaSerbia, Kosovo spostato alposto dell'Albania sullacosta e l'Albania verso l'in-terno.

In questo modo le fanta-sie greche paranoiche sullerivendicazioni territorialidegli irredentisti slavi eva-porerebbero. La Bosnia ètroppo fragile per spostarsie dovrà rimanere dove è.La Svizzera e la Svezia so-no spesso confusi. Cosìavrebbe senso spostareSvizzera nord, dove sareb-be adatta ordinatamente inpaesi nordici. La neutralitàsarebbe perfetta avendoaccanto finlandesi e svede-si; la Norvegia sarebbe fe-lice di avere un altro paeseterzo della porta accanto.Germania può rimaneredove è, come può la Fran-cia. Ma l'Austria potrebbespostarsi ad ovest al postodella Svizzera, fare spazioper la Slovenia e la Croa-

zia che si sposterebbero a nord-ovest. Questi potrebbero aderire al NordItalia in una nuova Alleanza regionale (idealmente gestita da un Doge, daVenezia).

Il resto dell'Italia, da Roma verso il basso, sarebbe da separare e da unirecon la Sicilia per formare un nuovo paese, chiamato ufficialmente il Regnodelle due Sicilie (ma soprannominato bordello). E potrebbero formareun'Unione monetaria con la Grecia, e nessun altro.

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Politica4

27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

di ERNESTO GIRLANDO

Niente è peggiore della voxpopuli quando alimenta eamplifica tutti i luoghi co-

muni del cosiddetto uomo qualun-que. Mille gli esempi passabili. Da“chi ruba una gallina va in galera echi ruba un miliardo la fa franca”, a“tutti sono uguali, tutti rubano allastessa maniera”, per parafrasare DeGregori. Per non parlare poi di tuttele combinazioni possibili sui privi-legi, le prerogative, le immunità del-la politica e gli emolumenti e le pre-bende dei politici. Forse però unacosa financo peggiore c’è: è alimen-tarli, i pregiudizi e le dicerie popola-ri, con azioni e talvolta omissioniquasi sempre al di sotto di ogni so-spetto. È un argomento infinito,quello che riguarda gli appannaggidel potere. Da sempre. Fiumi di in-chiostro sono scorsi negli anni, pernon dire nei secoli, per denunciareprivilegi di casta, sprechi di risorse,indebitamenti indebiti, dubbie utilitàe occultamenti di spese, facili affi-damenti di consulenze, stipendid’oro. Mali che si perpetuano e stra-tificano negli anni, per i quali la po-litica dolcevitosa sconta la rata deldiscredito da parte di una società ci-vile il cui mito è, per parte sua, im-pallidito e che solo l’inciviltà dellaprima riesce ancora a conferirgli vi-gore.

Noi che non amiamo i giudizi(peggio, i pregiudizi) all’ingrosso,la vaghezza grossolana della dema-gogia, l’arbitrarietà fumosa e ipocri-ta della retorica, siamo convinti cheun politico debba essere ben pagatoe che la tranquillità economica siauna condizione essenziale affinchéognuno svolga al meglio il propriodelicato compito e sia distolto daicattivi pensieri. Il punto è semmaiun altro: pretendere che il politicofaccia bene il suo lavoro e che siaassecondato e garantito il diritto diogni cittadino di sapere come sispendono le risorse pubbliche. Dice-va Kant nell’Appendice alla Paceperpetua che “Tutte le azioni relati-ve al diritto di altri uomini la cuimassima non è suscettibile di pub-blicità, sono ingiuste”.

L’obbligo di pubblicità di tutti gliatti governativi è tale non solo per-ché è utile al cittadino per conoscerel’operato dei detentori del potere efavorire il loro controllo, ma soprat-tutto perché tale pubblicità costitui-sce già di per sé una forma di con-trollo. Fallito il sogno giacobinoconfigurante l’assolutismo rivolu-zionario quale ineluttabile strumen-to atto a realizzare il regno della vir-tù, abbiamo tutti imparato che è lademocrazia a costituire il regno diuna virtù possibile e che esso regnonon è altro che esercizio quotidianodella pratica democratica. La supe-riorità della democrazia rispetto allostato assoluto, che difendeva la ne-cessità di mantenere il segreto sulledecisioni adottate (gli arcana impe-rii), consiste proprio nella sua capa-cità di rendere trasparente il potere.Se c’è un limite che la pratica de-mocratica non è riuscita a valicare èquello dell’esistenza del cosiddettodoppio stato, ovvero della persisten-za accanto a un potere visibile, di unpotere invisibile.

L’antica formula degli arcana im-perii, di cui Tacito parla negli Anna-

les, dopo essere scampata alla pol-vere e alla ruggine degli anni, sem-bra non aver perso l’alone di fascinoe di mistero che l’ha contraddistintanei secoli. Appena qualche anno orsono, il Segretario generale dell’As-semblea regionale siciliana rispon-deva usando proprio quella formulaalla richiesta di un sindacato internoche tentava di comprendere le ragio-ni per le quali non era stata banditauna gara d’appalto per l’attribuzionedi un call center. “Arcana imperii”

scrisse il Segretario del tempo, evi-dentemente convinto che talune ma-terie, non potendo essere compresedalla ragione di coloro che non vi-vono di politica, dovessero necessa-riamente essere tenute lontano daglisguardi e dall’attenzione dei sudditi.L’episodio sarebbe gustoso e la for-mula, fascinosa e ammaliante, usatada un Segretario dotato certamentedi buona cultura classica e giuridica,puro esercizio virtuosistico di un ac-cademismo erudito, se non fosseche l’Assemblea è in realtà un terri-torio in cui gli arcana imperii, la se-gretazione sistematica degli atti, so-no componenti essenziali e abnormi,profondamente radicati, nella ge-stione della comunicazione istitu-zionale al punto da fare dell’organolegislativo siciliano un bunker inac-cessibile.

Della gestione finanziaria del-l’Ars si sa poco o nulla: si conosco-no le cifre complessive del bilancioannuale ma non le singole voci. Os-sia sappiamo quanto l’Assembleaspende annualmente ma non sappia-mo, per larga parte, come. Non c’èdocumento ufficiale che attestil’ammontare dello stipendio dei de-putati, quali benefit vengono a loroconcessi, a quanto ammonta il vita-lizio di un deputato a fine legislatu-

ra. Non sappiamo quanti e quali de-putati godono di un vitalizio in de-roga. Un sistema complesso quellodel trattamento pensionistico, chesegue regole secondo le quali il par-lamentare gode di un vitalizio pre-vio possedimenti di alcuni requisiti,salvo concedere in deroga, a curadel Consiglio di Presidenza, il vita-lizio a chi i requisiti non li ha.L’unica cosa certa è il cosiddetto“parametro”, una scelta adottata nelcorso delle prime sedute dell’As-

semblea e formalizzata con una leg-ge regionale risalente al 1965, se-condo cui ai deputati regionali sici-liani spetta lo stesso trattamentoeconomico dei membri del Parla-mento e, più precisamente, del Se-nato della Repubblica, consideratodi miglior favore. Ma anche in que-sto caso si deroga abbondantemente.Il Consiglio di Presidenza, del qualeogni decisione non è sottoposta adalcun controllo, pur avendo forza dilegge e non è impugnabile da nessu-no, ammette spesso eccezioni e ag-giustamenti sul trattamento econo-mico dei deputati, ritoccando il pa-rametro ovviamente a favore deglistessi parlamentari.

Poche notizie si hanno circa ilfondo di quiescenza di deputati epersonale. L’unica cosa certa è che,a differenza del Senato, esso non èautonomo, non ha un consiglio diamministrazione o dei revisori deiconti, non ha un regolamento e vie-ne gestito dalla Ragioneria, dal Col-legio dei Questori e dal Banco di Si-cilia. Non si ha notizia in merito aeventuale gara d’appalto per l’asse-gnazione della gestione dei depositiall’istituto bancario.

Le carte contabili che circolanoall’intero dell’Assemblea sono pre-rogativa di pochi intimi e il persona-

le assegnato a quest’area sacra e im-penetrabile è scelto con grande ac-cortezza. Ma se non ci è noto quan-to il Parlamento siciliano spenda permantenere un deputato, tra stipen-dio, rimborsi, indennità, contributiper la segreteria; tra rimborsi eletto-rali, che hanno soppiantato il vec-chio sistema del finanziamento pub-blico ai partiti bocciato da un refe-rendum, e contributi ai gruppi parla-mentari a titolo di elargizione periniziative di carattere politico e cul-

turale con obbligo di rendiconto an-che se, paradosso tra i paradossi,non sono previste sanzioni nel casodi utilizzo dei fondi diverso da quel-lo prescritto (un po’ come la storiadi un paio di Presidenti della Regio-ne condannati per maldestre fughecon malloppo), parimenti fumosa èla condizione che riguarda il perso-nale di Palazzo dei Normanni.

Anche in questo caso il parametrodel Senato dovrebbe costituire il ri-ferimento dei livelli degli stipendidell’Assemblea regionale. Anche inquesto caso gli smarcamenti sonoradicata consuetudine. Si parla diindennità favolose per il capo di ga-binetto del presidente (160 mila eu-ro, oltre lo stipendio che euro più,euro meno si aggira sui 300 mila eu-ro l’anno), di vie privilegiate attra-verso le quali dirigenti, quadri inter-medi, assistenti si vedono lievitare icompensi automaticamente versol’alto.

È il sistema del cosiddetto galleg-giamento, altrove abolito, sempre invigore all’Assemblea regionale sici-liana. Un automatismo compensati-vo che si applica anche e in ugualmisura al vitalizio dei pensionati:aumentano gli stipendi del persona-le attivo, aumentano le pensioni diquello quiescente. Ma la cosa incre-

dibile, anche in questo caso, è chedall’Assemblea non è mai uscitauna notizia ufficiale degli organirappresentativi, una nota formale,che consenta a tutti di sapere comestanno realmente le cose. Arcanaimperii, interna corporis acta.

Di tanto in tanto qualcosa sfuggealle maglie strette della rete silen-ziosa che avvolge misteriosamentela materia. Tempo fa da un quotidia-no è stata resa nota (caso unico) laliquidazione di un Segretario gene-rale del parlamento isolano: un mi-lione e settecento mila euro circa.Mistero venuto alla luce grazie allosfogo del Presidente dell’Ars deltempo a cui dovette tremare parec-chio la mano nel firmare il decretodi liquidazione. Il caso di FeliceCrosta, dirigente dell’Agenzia per leAcque, ha tenuto banco qualche me-se fa per l’eccezionale indennitàprevidenziale che gli è stata ricono-sciuta da una sentenza della Cortedei Conti: 500 mila euro l’anno,1350 euro al giorno. Mentre nessunaccento scandaloso si ode di frontealle pensioni dei dirigenti dell’As-semblea, mediamente superiori diquelle percepite dai dirigenti regio-nali.

Nessuno si indigna sostanzial-mente perché nessuna sa nulla. Ilpunto è proprio questo: la consegnadel silenzio, gli arcana imperii. Tuttizitti: deputati di maggioranza e diopposizione, dipendenti di ogni or-dine e grado. Ogni compenso, ogniemolumento, ogni indennità e ogniappannaggio può anche essere legit-timo e sacrosanto (non crediamo losiano sempre, certo) purché però siadoverosamente reso pubblico e spie-gato. Coprire privilegi ed eccessidell’amministrazione pubblica vuoldire cagionare un deficit di demo-crazia, oltre che di bilancio, far cre-scere il discredito e la sfiducia versola politica e, ancor peggio, verso leistituzioni.

La democrazia si può ammazzarein mille modi, attraverso lo stacano-vismo della dichiarazione quotidia-na, ma può anche morire di inedia afronte del perenne avvilimento delprincipio di pubblicità che è il cardi-ne su cui poggiano le istituzioni de-mocratiche, nonché l’imprescindibi-le valore che regola i moderni siste-mi di comunicazione istituzionale.

Un bunker inaccessibile: le carte contabili che circolanoall’interno dell’Assemblea sono prerogativa di pochi intimie il personale assegnato a quest’area sacra e impenetrabileè scelto con grande accuratezza

Sono note le cifre complessive del bilancio annuale ma non le singole voci

Oggi si conosce poco o nulladella gestione finanziaria dell’Ars

Francesco Cascio, presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana

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di ERNESTO GIRLANDO

Lo sviluppo è una scelta e nonè un percorso obbligato.L’idea è una giustissima idea

ed è un’idea “liberale” nel senso piùprofondo e nobile del termine, per-ché implica il concetto, appunto, discelta e rigetta ogni approccio deter-ministico che esclude il “libero arbi-trio”, la libera capacità di autodeter-minarsi di una comunità e pone lapolitica del fatto compiuto comel’unica opzione praticabile. Ma nelclima di ribaltamento complessivoche viviamo, diventa un’idea fragi-le, che abita più nelle belle speranzee nelle buone letture che nella realtàvera. Lo sviluppo, nel nostro Paeseforse più che altrove, è stato sostan-zialmente un convulso e poco pon-derato sfruttamento intensivo delterritorio e delle sue risorse. È statobenessere economico di tanti ma an-che spoliazione ai danni di intere re-gioni e di intere collettività, tacitatee accecate dalla promessa di chime-rici vantaggi immediati e rapinati diun futuro compromesso da scelte(altrui) sbagliate, sacrificato sull’al-tare dell’avidità (sempre altrui) abreve scadenza. E soprattutto lo svi-luppo siciliano è stato una sommapaurosa di fatti compiuti: prima sitrivellava, si raffinava, si speculava,si costruiva, poi si constatavano leconseguenze. Parliamo al passato,ma nulla nel presente è cambiato.

Nel clima di planetario sgomentoche l’incidente sulla piattaforma pe-trolifera nel Golfo del Messico hadestato nelle coscienze di ciascunodi noi, non possono passare sottotraccia i “fatti compiuti” davanti aiquali qualcuno molto spesso inopi-natamente ancora ci pone.

Risale all’aprile dello scorso an-no, ha una durata di sei anni, inte-ressa un’area complessiva di 460km quadrati: è la nuova concessioneper la ricerca di idrocarburi in marenel tratto che va da Scoglitti a Sam-pieri, che il Ministero dello Svilup-po economico ha rilasciato alla Srn,Sviluppo risorse naturali, societàcon sede in Roma e controllata dalla“Mediterranean Resources” che hainvece sede ad Austin in Texas. En-tro la fine dell’anno in corso la Srndovrebbe entrare in possesso di tutte

le autorizzazioni necessarie ad ini-ziare le indagini sottomarine che nelcaso dovessero dare esito positivolascerebbero il passo all’allestimen-to dei pozzi veri e propri.

Ci risiamo dunque. Ancora i texa-ni all’assalto delle risorse del nostrosottosuolo. Dopo la Panther Oil, co-stretta dalle opposizioni dei territoriinteressati alle loro ricerche di idro-carburi, in particolare a Noto e nelragusano, a sbaraccare, si apre unnuovo fronte di resistenza.

Nondimeno, esso non è il soloche, come d’incanto, si apre in que-sta assurda guerra infinita dellecompagnie petrolifere che, con ilbenestare di assessori regionali epolitici locali compiacenti, dannol’assalto alle risorse di un territorioche da tempo dice no a ogni tentati-vo di violenza.

Sempre la Mediterranean Resour-ces, attraverso la controllata Irminiosrl, ha ottenuto il permesso di effet-tuare ricerche di idrocarburi liquidie gassosi in territorio sciclitano, fi-

nanco in una zona limitrofa alla ri-serva naturale di Mangiagesso e inquella prospiciente la fornace Pen-na. Un’area che si estende per 9.600ettari, interamente ricadente nel ter-ritorio del comune di Scicli, com-prendente monumenti patrimonioUnesco dell’umanità, beni artistici,archeologici, paesaggistici di enor-me rilievo, individuati dalla Comu-nità Europea come Sit, Siti di im-portanza comunitaria, e zone di pro-tezione speciale, Zps. Ancora unavolta ci troviamo davanti al “fattocompiuto”.

Fosse finita. Inuna zona tra Ragu-sa e Santa CroceCamerina, in con-trada Cammarana, aun tiro di schioppodall’antica città diKamarina, in pienazona archeologica,la sovrintendente aiBeni archeologicidi Ragusa, VeraGreco, ha sospesoin via cautelativa ilavori di sbanca-mento per la realiz-zazione di una piat-taforma atta adospitare apparec-chiature di scavo e

perforazione, conseguenza di nuoveautorizzazioni rilasciate dalla Re-gione a una compagnia che da 15anni opera in territorio ragusano,dove ha già effettuato trivellazioninell’assoluto silenzio e nell’indiffe-renza generale. Merito e onore allasovrintendente Greco, dunque.

Che il mondo sia pervaso dallafollia è cosa risaputa. Che le vicen-de della vita politica nel nostro Pae-se abbiano, al meglio, la forma delparadosso, al peggio quella dellapazzia, si sa. È come se non uno matanti ingranaggi mentali siano fuori

uso e pensieri scarrucolati, accom-pagnati da azioni deliranti, circolinoindisturbati. Quale chiave di letturapossibile, se non questa, per com-prendere i meccanismi che condu-cono alle squinternate campagneche alcuni sindaci, associazioni dicategoria, sindacati, hanno messo sua fronte dell’istituzione del Parcodegli Iblei? Una risorsa eccezionaleper il territorio ragusano, un’imper-dibile opportunità di trasformare an-tropologicamente ed economica-mente il territorio e dotarlo diun’identità.

Quale altra chiave di lettura afronte del silenzio, a volte delle sor-dide complicità, che accompagnanol’assalto allo stesso territorio da par-te di compagnie interessate solo a

spremere, sfruttare, negare la stessapossibilità di un futuro ragionevol-mente sostenibile alla gente degliIblei? Possibile che Cia, Confagri-coltura, Camera di Commercio,Cgil, eccetera eccetera, non sianopreoccupate del danno economico eambientale (come follemente lo fu-rono per il Parco) che le trivellazio-ni possono cagionare al “sistemaRagusa”?

Eppure zitti zitti i danni li hannofatti questi magnati del petrolio. IlMediterraneo è il mare più inquina-to da idrocarburi, vuoi perché solca-to in lungo e in largo dalle petroliereche lavano le loro cisterne in mareaperto; vuoi per le piattaforme offshore (una, la Vega opera da ven-t’anni al largo delle coste iblee) chesia nella fase esplorativa, sia inquella estrattiva, sono responsabilidi una larga quota dell’inquinamen-to globale del mare. E non solo.Proprio la Vega Oil e la Edison Spa,in questi giorni sono stati chiamati agiudizio per rispondere dei gravidanni ambientali causati dallo sver-samento in mare, con modalità ille-cite e nocive per l’ecosistema, di ri-fiuti speciali pericolosi derivantidall’attività estrattiva e di stoccag-gio degli idrocarburi, al fine di ri-sparmiare diverse decine di milionidi euro. Nel gennaio scorso la rottu-ra di un tratto dell’oleodotto che daRagusa trasporta il petrolio nellaraffineria di Priolo con inquantifica-bile sversamento di greggio nellavalle del Tellaro, in territorio di No-to, ha dato prova dell’inaffidabilitàdei sistemi di viaggio del petrolioestratto nel ragusano. E speriamoDio non voglia altro.

Ma si può investire nel turismo,nelle risorse vocazionali del territo-rio, nell’agricoltura e nell’enoga-stronomia e poi accettare tutto ciòsenza batter ciglio e per giunta dopoessersi sollevati contro un parco na-turalistico inventandosi di sanapianta rischi per l’economia delleimprese ragusane? Si tratta propriodi una deriva mentale. Cose - ap-punto - da matti.

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La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

Zitti zitti i danni ambientalili hanno già fatti questi magnatidel petrolio che vengono da oltre Oceano:la questione passa sotto silenzioe con il benestare dei nostri governanti

Sviluppo, ambiente e ulteriori trivellazioni petrolifere in terra siciliana

Petrolio: riecco i texani all’assalto delle risorse del nostro sottosuolo

Politica

Striscioni di protesta nella provincia di Siracusa

Incendio sulla piattaforma Deepwater Horizon

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di ERNESTO GIRLANDO

La stagione estiva è alle portee, grazie alla moderna ed effi-ciente rete di collegamento

con il resto del mondo, raggiungerele nostre città sarà un’imperdibileesperienza formativa. I creativi dellepiù importanti aziende legate al set-tore turistico stanno studiando le so-luzioni possibili. Nel frattempo laFederalberghi, in collaborazionecon la Provincia regionale di Ragu-sa, ha diffuso un accattivante opu-scolo di informazione per i turistidal titolo “Che anno è, che posto è”.Ma vediamo nel dettaglio i pacchettipreparati dalle agenzie di viaggi perraggiungere le amene località degliIblei.

Aereo. La fase di completamentodelle strutture aeroportuali comisanedura da quattro anni. Adesso siamoentrati nella delicatissima e per ciòlunga fase di completamento dellafase di… completamento. Tuttavia,già da questa estate l’aeroscalo saràaperto al traffico aereo. In mancan-za del servizio di controllo del volo,l’Aeronautica militare (ancora pro-prietaria del sedime aeroportuale)metterà a disposizione dei viaggia-tori una flotta di velivoli storici pi-lotati da veterani della prima guerramondiale.

Ogni biplano potrà ospitare un so-lo passeggero per volta, che dovràpresentarsi all’aeroporto militare diCiampino, previsto quale punto diraccolta e arruolamento, almeno tregiorni prima della partenza, vestitocon costume d’epoca, per partecipa-re all’alzabandiera e ingrassare i pi-stoni del motore.

Treno. Dopo i tagli di Trenitalia,viaggiare in treno è diventataun’elettrizzante esperienza di turi-smo estremo. Ilpacchetto “Ragusain rotaia” vienefornito in alternati-va a chi ha già pro-vato il Safari inKenia, il parapen-dio sulle Ande,l’attraversamentodel deserto del Sa-hara, il viaggio disola andata a Cher-nobyl. La partenzaè prevista da Mila-no. Si andrà in unquarto d’ora a Bo-logna, dove biso-gnerà scendere daltreno, recuperarein camera iperbari-ca gli effetti del-l’alta velocità, pro-seguire su un in-tercity per raggiun-gere in poche ore Firenze, indi rag-giungere e procedere da Roma Ter-mini in vagone letto, immancabil-mente dotato di Internet, frigobar etivù, servizi forniti, nello spirito del-la nuova politica dei tagli adottatada Trenitalia, in sostituzione del let-to. Sbarcati in Sicilia, il viaggio pro-cederà a bordo di un treno a mano-vella che entrerà trionfante, alcunigiorni dopo, alla stazione di CataniaCentrale.

Da lì, per essere sicuri di raggiun-gere le stazioni iblee, l’ente ferro-viario italiano consiglia ai signoriviaggiatori di portarsi da casa l’ap-posito treno, non compreso nel

prezzo del biglietto nelle tratte da eper Ragusa.

Automobile. La Siracusa-Ragu-sa-Gela, i cui lavori furono inaugu-rati da Vittorio Emanuele Orlando

che ottenne i finanziamenti dall’Eu-ropa nel corso della Conferenza diPace di Parigi del 1919 in cambiodella rinuncia alla Dalmazia, è or-mai dichiarata zona di interesse sto-rico-archeologico e non potrà piùessere toccata. In compenso i turistiin visita sul posto potranno ammira-re gli antichi utensili e il carro a ca-valli per il trasporto dei laterizi ab-bandonati dagli operai del tempo,all’altezza dello svincolo di Rosoli-ni, a causa dell’acquazzone che in-terruppe i lavori, mai più ripresi,nell’agosto del 1921.

La Ragusa-Catania, in attesadell’inizio dei lavori di raddoppio

della corsia, mantiene tempi di per-correnza saldamente ancorati allatradizione imperiale romana, allacui epoca risale la sua costruzionecom’è facile notare dalle pietre mi-

liari che lafiancheggianoe che indica-no la distanzain miglia dalmiliario au-reo . Tempiche si accor-

ciano notevolmente nei giorni dipioggia per mezzo del caratteristicoasfalto saponato di cui è stata op-portunamente dotata l’importantearteria. A causa dell’apertura delcantiere per il raddoppio, questaestate i turisti potranno godere delsuggestivo percorso alternativo pa-rallelo in mezzo ai salici.

Nave. Una confortevole crocieranel Mediterraneo con partenza dallecoste libiche e attracco nel porto tu-ristico di Marina di Ragusa, a bordo

di affollati barconi multicolori neiquali si potrà familiarizzare con uo-mini e donne di diverse etnie. Orga-nizzata dall’agenzia “Mare Nostro”il cui pacchetto di maggioranza èdetenuto dalla mafia siciliana che,caduta in disgrazia, ha dovuto cede-re il controllo della droga ai calabre-si e quello degli appalti alla Prote-zione civile, e adesso cerca di risali-re la corrente grazie al fiorente traf-fico del trasporto passeggeri nel ca-nale di Sicilia. Tutto compreso nelprezzo: dal respingimento al canno-neggiamento, dal ricovero nei centridi identificazione ed espulsioneall’adrenalica esperienza della clan-destinità. Diversa l’accoglienza aquesti turisti nordafricani a secondadell’orientamento politico delle am-ministrazioni locali. Un calcio inculo se di destra, un chinotto e uncalcio in culo se di sinistra.

Poste. Viste le carenze infrastrut-turali di collegamento, alcune im-prese di spedizioni irrompono nelmercato passeggeri, immedesiman-dosi nelle esigenze dell’utente co-stretto a raggiungere territori imper-vi. Il servizio sembra essere effi-ciente: basta farsi imballare nel poli-stirolo o nei più avanzati materialiespansi, e con la giusta affrancaturasi viene spediti per la destinazionescelta. Essenziale trovare all’arrivoqualcuno che firmi l’avviso di rice-vimento.

Pagando un piccolo sovrapprezzosi può anche scegliere la postaespressa aerea ed essere sganciaticon il paracadute sopra la città scel-ta. Allo studio un avveniristico ser-vizio di posta pneumatica: si potràessere sparati attraverso un’enormetubazione che collega le principalicapitali europee con la filiale ragu-sana di Poste italiane. Le prove disimulazione hanno dato buon esito:nei due minuti e venti da Roma aRagusa, l’on. Riccardo Minardo ègiunto a destinazione con la capi-gliatura in piega come sempre e ilsuo stato confusionale non è parsoaumentato, all’arrivo, rispetto allapartenza.

Politica6

27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

Un’esperienza formativa grazie all’efficiente e moderna rete di collegamenti

Stagione estiva alle portevacanze iblee da sballo…

Ecco i principali e aggiornati “pacchetti”preparati dalle agenzie di viaggio per raggiungere le amenelocalità del Ragusano nei prossimi mesi

Ferrovia ragusana: esempio simbolico ed emblematico dello stato dei trasporti in Sicilia

Comiso: resta solo la simulazione a tre dimensioni dell’aeroporto

Ulivo secolare delle campagne iblee

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RAGUSA: Scicli, Modica e Vittoria alla ricerca della soluzione del problema delle discariche

Rifiuti, è emergenza perennebattaglie non-stop fra Comuni

di ERNESTO GIRLANDO

Ci mancava pure questa: il di-sintegratore di rifiuti solidi ur-bani. Nel cupore di questi

giorni, abbiamo tratto profondo einatteso sollievo leggendo sulla stam-pa locale di una straordinaria inven-zione che risolverebbe in un paiod’ore il problema dei rifiuti in pro-vincia di Ragusa (e probabilmentenel mondo). Avevamo lasciato sinda-ci che capeggiavano tumultuanti pre-sidii davanti ai cancelli delle discari-che, polizie municipali in assetto diguerra, politici impegnati in furibon-de liti a difesa dell’integrità del pro-prio orto, Comuni, Provincia, AtoAmbiente, prede di spaventose crisiistituzionali. Tutto tempo perso. Èstata presentata da un’azienda cana-dese ad autorevoli rappresentanti del-la Provincia regionale di Ragusa lamacchina che risolverà il tutto, ridu-cendo la spazzatura a livello sub ato-mico, trasformandola in energia puli-ta e rilasciando alla fine del ciclo unintenso profumo di rose nell’aria. Inomaggio, ogni due disintegratori dirifiuti, sarà offerto ai sindaci l’Appa-recchio per darsi pacche sulle spalle,un’altra straordinaria invenzione del-la ditta canadese da utilizzare ogni-qualvolta si sente il bisogno di con-gratularsi con se stessi. E visto cheormai neanche il cane di casa scodin-zola a sindaci e politici in genere e,dunque, la necessità di sentirsi ap-prezzati e benvoluti è grande, l’og-getto ha notevoli prospettive di mer-cato.

E questa è la parte seria della que-stione. In attesa di scrivere la grandepagina di Storia della Scienza, bastarivedere tutto ciò che è successo inmateria di guerra locale dei rifiuti perrendersi conto che la parte comica èun’altra. Dopo il primo capitolo delconflitto caratterizzato dai respingi-menti degli autocompattatori dei Co-muni di Scicli e Modica da parte delsindaco di Ragusa per evitare che en-trassero nella discarica di Cava deimodicani, una grande confusione hapervaso le pagine di questo clamoro-so evento di storia contemporanea.Grande dissidio intorno a un proble-ma pseudo-amministrativo di fondo:ci si trova davanti a un sistema di di-scariche sub comprensoriali o ad ununico ambito provinciale? Nel primocaso, ognuno sarebbe obbligato aconferire i propri rifiuti nella discari-ca di competenza (in linea con la po-sizione espressa dal sindaco di Ragu-sa); nel secondo, visto che l’ambito èprovinciale, l’Ato può permettere achiunque di abbancare i propri rifiutidove meglio crede. I fatti (o megliogli eventi arbitrari che seguiranno)faranno propendere per la prima op-zione.

Le discariche gestite dalla societàd’ambito sono tre. Ognuna in condi-zioni peggiori delle altre. Quella diCava dei modicani ha ancora un’au-tonomia che si aggira intorno ad unanno; satura quella di Scicli, chiusa,in attesa di essere messa in sicurezzae in attesa di un finanziamento per lacostruzione della quarta vasca chepermetterebbe di prolungare la vitadella discarica di appena 18-24 mesi;quasi satura quella di Vittoria, conun’autonomia residua di pochi mesi,anch’essa in attesa della realizzazio-ne di un’altra vasca. Dal punto di vi-sta finanziario la situazione è ingar-bugliata. Scicli, nel momento in cui

ha passato in consegna la discarica diSan Biagio all’Ato, avrebbe dovutotirar fuori le somme (circa 3 milioni emezzo di euro) per realizzare le operenecessarie a rimettere la stessa infunzione.

Il Comune sciclitano dichiara che isoldi non ce l’ha e che deve ricevereper la precedente gestione della di-scarica (che ha causato la primaGrande Guerra dei rifiuti) svariatimilioni dai comuni di Ispica, Pozzal-lo e Modica (intorno ai sei milioni dieuro soltanto quest’ultimo). Frattan-

to, sono stati individuati tre siti peruna nuova discarica comprensoriale(due a Ispica, uno a Scicli), ma i Co-muni da quell’orecchio non ci sento-no, a parte una promessa verbale delsindaco di Ispica e nulla più. I contidell’Ato sono presto fatti: sei milionidi debiti, a fronte però di 18 milionidi crediti che sono le somme dovutedai comuni e mai versati nelle cassedella società d’ambito. Quindi i sin-daci, da un lato sbraitano e si ammu-tinano, dall’altro non tirano fuori ilbecco di un quattrino, causando criti-cità nella gestione complessiva dei ri-fiuti.

Visto il tutto, l’assessore regionaleal ramo, Pier Carmelo Russo, decide-rà, in data 10 aprile, che dopo il 20 lecose così dovranno funzionare: la di-scarica di Vittoria resterà aperta aiComuni di Vittoria, Comiso, SantaCroce e Acate, mentre Ispica e Poz-zallo ivi avranno accesso solo fino aquando sarà realizzata la nuova va-sca; la discarica di Ragusa ai comuni

di Ragusa, Chiaramonte, Monterossoe Giarratana; i comuni di Scicli eModica conferiranno presso la disca-rica di Mazzarrà S. Andrea in provin-cia di Messina a 250 km. di distanza.

Naturalmente scenderanno in guer-ra Scicli e Modica che paventanoenormi disagi logistici e vertiginosiaumenti di bollette. Si tenterà di evi-tare questa incresciosa situazione conun estenuante susseguirsi riunioni trasindaci, presidente della Provincia edell’Ato Ambiente. L’indice è punta-to su quest’ultimo, accusato un po’

da tutti di essere l’artefice di mille di-sastri. Il tavolo istituzionale elaboreràuna soluzione per scongiurare, alme-no nell’immediato, il trasporto dei ri-fiuti di Modica e Scicli nella discari-ca messinese.

I comuni si impegneranno (ancorauna volta, tanto l’impegno non costanulla) a versare proporzionalmenteparte delle somme dovute, necessariea mettere in sicurezza la discarica diScicli, permetterne l’apertura e av-viare la costruzione delle altre vaschenella stessa Scicli e a Vittoria.

Perfino il sindaco di Ragusa si mo-stra accondiscendente promettendo diaprire la propria discarica fino al 30di aprile a Modica e Scicli, in cambiodel ritiro del ricorso al Tar presentatoprecedentemente dall’Ato control’ordinanza di Di Pasquale che chiu-deva Cava dei modicani.

Tutto sembra risolto ma a gestire lamateria è solo l’inopinato spirito di-lettantistico di dilettanti allo sbara-glio. Sembra di stare alla corrida.

Nessuno aveva pensato che per ria-prire la discarica di Scicli c’era biso-gno di individuarne un gestore e cisono tempi tecnici e procedure da se-guire. Mentre per avviare i lavori diampliamento delle vasche occorronodue gare: una per la progettazione,una per la realizzazione dei lavori.Mesi, forse anni.

Tutto da rifare, dunque. L’improv-visazione, dopo il dilettantismo, lafarà da padrona. L’Ato indicherà ladiscarica di Vittoria come il fronteestremo dell’emergenza: la reazione

del sindaco di Vitto-ria non tarderà. Nuo-ve barricate, stavoltadavanti ai cancellidella discarica diPozzo bollente perimpedire che altri co-muni, oltre a quellidel sub comprenso-rio, vi scarichino i lo-ro rifiuti. Frattanto larottura tra Vindigni,presidente dell’Ato, eNello Di Pasquale sifa sempre più netta: l’uno non ritireràil ricorso al Tar, l’altro ridarà vigorealla delibera che chiude Cava deimodicani al conferimento di altri co-muni. Tempi comici rispettati allaperfezione.

A questo punto non rimane che lasoluzione imposta dall’assessore re-gionale: Modica e Scicli porteranno iloro rifiuti nella discarica di Mazzar-rà S. Andrea. Si scopre stranamenteche le casse dei Comuni interessati

non accuseranno nessun peso aggiun-tivo. Conferire nella discarica messi-nese costerà venti euro meno a ton-nellata, rispetto a Cava dei modicani,risparmio che compenserà i costi ditrasporto.

L’emergenza certo non finisce qui.Quanto durerà ancora la discarica diMazzarrà S. Andrea? Soltanto pochimesi: fino ai primi di luglio. E dopo?Chissà. Quel che per il momento ècerta è la vendetta che Di Pasqualeconsuma ai danni di Vindigni: a po-che settimane dalla scadenza naturale

del mandato, l’assemblea dei sindaciha azzerato il Cda dell’Ato Ambientedi Ragusa e amen, Vindigni è andato.Non ne sentiremo certo la mancanza.Il problema vero è che sentiremo an-cora purtroppo la presenza degli altriprotagonisti di questa grottesca vi-cenda che tra pochi mesi saranno dinuovo chiamati a gestire (si fa per di-re) la nuova emergenza - emergenzache è perenne - dei rifiuti in provin-cia di Ragusa.

La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

Politica 7

Le discariche gestite dalla societàd’ambito sono tre, ognuna in condizionipeggiori delle altre: quella di Cavadei modicani ha ancora un’autonomiache si aggira intorno ad un anno;satura quella di Scicli, chiusa, in attesadi essere messa in sicurezza e quasi saturaquella di Vittoria

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Politica8

27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

Road Map per uscire dalla recessione economica: la fiscalità compensativa

Crisi: l’inversione di tendenzaminacciata dalle speculazioni

di MIRCO ARCANGELI

Dopo aver analizzato (nei pre-cedenti articoli) le cause del-l’attuale recessione econo-

mica e le potenzialità della RegioneSicilia in vista di una possibile ri-presa economica, ragioniamo orasugli strumenti utili per favorire unaripresa, capace di sollevare il PIL eportarlo su livelli di crescita ameri-cani. Vero è, che comincia ad in-travvedersi una leggera inversionedi tendenza di tutti gli indici econo-mici, ma è pur vero che l’intensitàdi questo cambiamento è talmentefragile, da renderlo quasi insignifi-cante, e facilmente attaccabile daglieffetti che la speculazione finanzia-ria, sempre all’erta, può provocare.

Prima di entrare nel merito deglistrumenti che si possono utilizzare aquesto fine, mi corre l’obbligo dipuntualizzare la situazione econo-mica della Comunità Europea, allaluce del crolli di borsa, conseguentiagli attacchi speculativi internazio-nali degli ultimi giorni.

Il rischio di insolvenza di un Pae-se determina il rischio di defaultdello stesso sistema economico diquel Paese. Infatti i titoli di Stato diun Paese vengono acquistati primadi tutto dallo stesso sistema finan-ziario del Paese emittente (Banche,assicurazioni, istituzioni finanziarie,fondi e investitori), sia per risponde-re a norme che prevedono determi-nati equilibri tra titoli a reddito fis-so, titoli a reddito variabile, e inve-stimenti, sia per distribuirlo al popo-lo degli investitori. Se dovesse acca-dere il mancato rimborso dei titolialla scadenza, (o la mancata acquisi-zione dei titoli di nuova emissione acopertura dei vecchi in scadenza)l’intero sistema finanziario andreb-be in crisi, con un probabile rischiodi insolvenza, diffuso in tutti i setto-ri dell’economia.

L’effetto domino poi, causerebbeuna crisi anche nei paesi a questocollegati. Questo è stato il primomotivo a base della reazione comu-nitaria alla crisi Greca, ed al possi-bile rischio di insolvenza. L’Europaha praticamente garantito i creditori(possessori di titoli di stato) dellaGrecia, creando una dotazione di750 mld. di euro, ed ammettendoanche la possibilità, da parte dellaComunità Europea, di acquistare ititoli di Stato di nuova emissionedei paesi europei. Il crollo delleBorse così, si è bloccato, si è poi inparte recuperato il valore perduto,per poi subire altri colpi speculativi.La speculazione infatti, scommetteche l’eccessivo debito di Paesi comeGrecia, Irlanda, Portogallo e Spagna(PIGS) produca un default economi-co degli stessi Paesi, ed un crollodell’euro, come conseguenza finan-ziaria più immediata. In effetti, ilproblema esiste, (debito eccessivodei Paesi europei, recessione econo-mica, ecc.) e non è possibile inter-venire solo con misure straordinarieed estemporanee, poiché alla finenon risultano credibili e durature.

È necessario intervenire, invece,per ridurre il debito pubblico. Oc-corre che nei Paesi europei si inter-venga con riforme strutturali degliapparati statali troppo spreconi; ri-durre le dispersioni, razionalizzare isistemi pensionistici, ridimensionarei costi della politica, sostituire i ma-

nager incapaci e solo politici dellestrutture statali, con manager veri eproduttivi, ed alla fine se ci sarà da“tirare la cinghia” occorrerà, per tut-ti, sopportare i sacrifici conseguenti.Inoltre, è sempre più necessario, ac-celerare i processi per giungere aduna unificazione dei paesi comuni-tari, anche da un punto di vista poli-tico e finanziario, realizzando laconfederazione degli Stati europei,per rendere omogenea e credibile lapropria iniziativa.

Dall’altra parte il sistema econo-mico deve fare la sua parte, deve ri-prendere competitività, si deve rin-novare, deve poter dimensionarsiper competere a livello mondiale, equesto la piccola impresa non sem-pre riesce a farlo. Anche questo ra-gionamento ci porta a considerareineludibile che l’uscita dall’attualecrisi potrà essere possibile solo consoggetti economici diversi. Non sa-ranno più come prima.

Ma come è possibile aiutare edaccelerare il percorso, verso un ido-neo dimensionamento aziendale,con le giuste competenze oltre checonoscenze, capace di essere com-petitivo nei mercati, senza dover vi-vere di rendita, o avvantaggiati damotivi di cambio dell’euro o per as-sistenza pubblica? È necessario in-vestire nella ricerca e sviluppo, uti-lizzare tutte le professionalità esi-stenti, dotarsi di strumenti capaci diabbattere i costi senza pesare sul bi-

lancio dello Stato, già troppo prova-to.

In Italia ci sono 19 laureati su 100giovani (tra i 25 ed i 34 anni), con-tro la media dei Paesi Ocse di 34, laFrancia di 41, la Spagna di 39, gliUsa di 40, il Giappone di 54. Secon-do la Banca d’Italia il numero di im-prenditori con più di 65 anni di età èsceso dal 37,2% del 2002 al 24,2%,mentre gli imprenditori tra i 35 e i55 anni è salito dal 29,1% al 43,9%.Contemporaneamente è aumentatoanche il numero degli imprenditorilaureati, passato dal 23 al 34,7%.Secondo la Banca d’Italia se piùlaureati giovani entrano in azienda,aumenta la probabilità di un rinnovodel sistema. Università, ricerca esviluppo, sono il terreno su cui ilPaese dovrà investire, poiché finoad oggi troppo poco si è fatto.

In questo contesto le professionieconomiche possono rappresentarelo strumento per coniugare le politi-che strategiche all’economia reale eproduttiva. Gli stessi commercialistie consulenti aziendali, dovranno es-sere sempre più, un supporto tecni-co professionale in funzione dellosviluppo, portando la propria pro-fessionalità dentro le aziende, nonsolo per leggere e tradurre gli eventicompiuti (i bilanci), ma soprattuttoper contribuire: alla realizzazionedella progettualità strategico-azien-dale; alla ricerca degli strumenti fi-nanziari più idonei; all’analisi della

produttività aziendale; alla ricercadei mercati; ad interfacciare l’eco-nomia reale al sistema politico.

Per quanto concerne gli strumen-ti, avrà un senso attivare interventidi fiscalità compensativa, e stru-menti operativi di finanza agevolata.Perché i maggiori costi sociali di ta-li agevolazioni produrranno impor-tanti benefici sociali. Fiscalità com-pensativa quindi, legata a finalitàben determinate. Partita come fisca-lità di vantaggio, viene poi definitafiscalità compensativa per poi di-ventare fiscalità dì sviluppo. In real-tà la seconda dizione è quella che ladescrive meglio anche se ilfine è quello dello sviluppo.

Il Credito d’imposta perincremento occupazionale,è lo strumento principe difiscalità compensativa, poi-ché restituisce alle impresegli stessi costi che fa paga-re. In pratica il costo per loStato di una persona assun-ta con il credito d’imposta èpari a zero se in mancanzadi credito d’imposta la stes-sa persona risulta restare di-soccupata. Infatti il costodei contributi a carico deldatore di lavoro (400-500euro) è più o meno pari alcredito d’imposta che rice-ve. Ma il beneficio socialediventa notevole, poiché dàfuturo e speranza ad un di-

soccupato che quindi diventa occu-pato; si distribuisce un reddito che asua volta viene tassato, e lo Stato in-cassa; si incrementa il consumo (da-to dal nuovo reddito a disposizione)e quindi si sviluppa l’economia; siriducono i costi del lavoro a caricodelle imprese, che possono quindimeglio competere.

La fiscalità compensativa si puòutilizzare anche per lo sviluppo dideterminati territori, quali ad esem-pio, il mezzogiorno. Ci si riferisce,in questo caso, ad una tassazionemolto contenuta sulle nuove attività,per un numero di anni consistente,che “compensi” le imprese, dei nu-merosi svantaggi che sostengononell’insediarsi nei territori del Mez-zogiorno e nelle aree depresse.

Ove solitamente si è in presenzadi infrastrutture inadeguate, di fortecriminalità organizzata, di difficoltànelle procedure amministrative eburocratiche, di accesso al creditopiù complicato e con un costo deldenaro più alto, di una patrimonia-lizzazione aziendale inesistente. Inquesto contesto economico le im-prese, attraverso la fiscalità com-pensativa riequilibrano il gap terri-toriale, e si pongono in concorrenzain maniera paritaria con le impresedi territori più avanzati ed organiz-zati.

Anche la detassazione degli utilireinvestiti, rappresenta un idoneostrumento di fiscalità compensativae per lo sviluppo. Scadrà il prossimo30 giugno, il periodo di regime diun anno della Tremonti Ter (detas-sazione degli utili reinvestiti), e sa-rebbe opportuno rinnovarlo almenodi un altro anno, per dare ossigenoagli investimenti volti a migliorarela propria competitività. In conclu-sione, come strumenti da mettere incampo, si intende quelli possibilicon l’intervento della leva fiscalenell’economia in funzione dello svi-luppo.

La road map che si immagina, peruscire dalla crisi, vede quindi neinuovi ruoli dei protagonisti, l’obiet-tivo di costruire le basi di un siste-ma, non creato sul concetto dellaproduzione tout court, ma finalizza-te all’integrazione economica delterritorio, utilizzando le attitudini ele vocazioni presenti, attraversostrumenti quali la leva fiscale e leR&S, con un nuovo ed importantecontributo delle professioni, che an-dando oltre il singolo effetto specifi-co, potrà assurgere a diventare unvero e proprio ruolo sociale.

È necessario intervenire per ridurre il debito pubblico.Occorre che nei Paesi europei si intervenga con riformestrutturali degli apparati statali troppo spreconi;occorre ridurre le dispersioni, razionalizzare i sistemipensionistici, ridimensionare i costi della politica

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La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

Nel sessantaquattresimo anniversariodell’Autonomia Siciliana proponiamo ainostri lettori tre dossier pubblicati negli

anni scorsi, convinti che si riesce a stravolgere lastoria, così come è accaduto, quando si perde lamemoria dei fatti, quando si mitizzano perso-

naggi i cui comportamenti vengono esaltati inpiena mistificazione, ignorando cosa hanno rap-presentato veramente.

La memoria è un bene di tutti e nessuno ha ildiritto di cancellarla sovrapponendo montagnedi menzogne che tornano utili solo al potere ed

ai cosiddetti potenti, di qualsiasi epoca. Noncommentiamo i dossier che ripubblichiamo, mali indichiamo, a nostro avviso, quale strumentoper non dimenticare.

Questi i dossier con le date in cui sono statipubblicati da “La Voce dell’Isola”.

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LA VOCE DELL’ISOLA

11 novembre 2006

La storia mai raccontata: l’impresa dei Mille di Garibaldi

fu una truffa nei confronti dei Siciliani, ed ebbe lo scopo

di annettere la Sicilia ad uno Stato che ancora non esisteva,

in nome di una Unità che portava benefici soltanto al Nord

_______

di Giuseppe Parisi

Carpita la buonafede del popolo isolano, l’analfabetismo

fu la carta vincente di Cavour e dei suoi soci piemontesi

SPECIA

LE

G li accadimenti che carat-terizzano la vita di unPaese possono essere de-scritti in vario modo: o raccon-tando i fatti, riportandoli fedel-mente dopo averli acquisiti dafonti certe, oppure interpretando

i fatti, con l'obiettivo di accertarele cause che i fatti hanno deter-minato. Nell'uno e nell'altro casola ricerca dovrebbe essere obiet-tiva, cioè non strumentale, né diparte, poiché, in caso contrario,si offrirebbe un insieme, un pac-

chetto preconfezionato di luoghicomuni lontani dalla realtà o, co-munque, mistificatore della real-tà. Parlare della Sicilia e di ciòche in Sicilia è accaduto daglianni che vanno dal fascismo aigiorni nostri (o quasi) può essere

lavoro facile se si vogliono riper-correre i luoghi comuni; diventagià opera più complessa voler ri-portare i fatti asetticamente, conanimo cronacistico; impresa ar-dua voler penetrare nei meandridelle cause che i fatti hanno pro-

vocato. Noi intendiamo dare unachiave di lettura ai fatti che pos-sono essere stati all’origine deifatti stessi, ipotizzando un teore-ma: il “teorema siciliano”.(Segue nelle pagine successive)

di Salvo Barbagallo

da pagina 10

da pagina 14

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da pagina 18

La storia stravoltaLa storia dimenticata

Nel 64º anniversario dell’Autonomia siciliana

di Enzo Lombardo

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27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

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IER 10 LA VOCE DELL’ISOLA

11 novembre 2006

Alla luce di così tanto interesse sulla questionesiciliana che si è accentuata in questi ultimitempi, vogliamo narrare quanto accadde in

Sicilia quel famoso 21 ottobre del 1860, anniversa-rio che è ricorso proprio nei giorni scorsi, poiché an-cora sono in tanti a non conoscere la “verità” guar-data da un diverso di punto di vista da quello ufficia-le, di quella pagina di storia che ci ha portato a ciòche siamo oggi.

Al fine di essere il più possibile chiari sulla que-stione, non possiamo esimerci d’iniziare senza bre-vemente accennare ad alcune realtà sullo sbarco diGaribaldi, azione che lo storico Mack Smith ha defi-nito “la donchisciottesca spedizione di Garibaldi edei suoi Mille”, circa il modo rocambolesco di comeavvenne l’operazione. Innanzitutto, apparve chiaroche le operazioni paramilitari di Garibaldi furonoprive di validità giuridica perché a quell’impresamancò la credenziale di uno Stato ufficialmente co-stituito e, quindi, la necessaria copertura di una ban-diera. Si trattò dunque, anostro avviso, di un’av-ventura paramilitare, per-sonale e piratesca assolu-tamente illegale, per usa-re un linguaggio in vogaoggi. Sin dal primo mo-mento, il popolo sicilianoebbe seri dubbi sull’azio-ne: si voleva realmente li-berare la Sicilia dalla do-minazione borbonica, op-pure si voleva compiereun’altra vera e propria in-vasione? Infatti, quelgiorno di maggio, quandoa Marsala giunse Garibal-di con le sue navi, in radae alla fonda del porto tro-vò due cannoniere della“Mediterranean Fleet” in-glese: le HMS. “Argus” e“Intrepid”, formalmentein visita di cortesia in Si-cilia, ma in realtà giuntelì su precise istruzioni delgabinetto PalmerstonRussel; e mentre i gari-baldini del Piemonte era-no già sbarcati e gli altridel “Lombardo” si accin-gevano a imitarli, soprag-giunsero a Marsala la pi-rocorvetta “Stromboli”,comandata da GuglielmoActon, e due altri pirosca-fi armati della stessa flot-ta borbonica, che si ac-corsero della presenza sulmolo di uomini in giubberosse e li scambiarono peri red coats delle truppeinglesi. Allora, il coman-dante Acton, che avevagià fatto armare i pezzi,fece chiedere agli inglesise gli uomini armati chesi vedevano sul molo fos-sero truppe britanniche.Gli inglesi risposero dino, e nel contempo, av-vertirono Acton che i lorocomandanti si trovavanoa terra. Acton, che rabbri-vidì al solo pensiero cheuna scheggia di granatapotesse colpire un ufficia-le della regina Vittoria,decise di attendere il lororitorno sulle loro navi, e so-lo dopo un’ora buona poté aprire il fuoco. Ma a quelpunto, gli uomini intravisti sul molo erano già al si-curo e ben nascosti dai tiri dello “Stromboli” e deipiroscafi “Partenope” e “Capri”.

Questi episodi della prima ora di Garibaldi e deiMille in Sicilia, la dicevano già allora lunga e c’in-ducono oggi a ritenere che, se il capitano di fregataActon non fosse stato troppo fiducioso nella lealtàbritannica e avesse adempiuto al suo dovere di sol-dato, almeno la metà della spedizione che approfittòdi quell’ora per abbandonare il “Lombardo”, avreb-be fatto la stessa fine che fecero nel 1857 i 300 diCarlo Pisacane, e forse la storia che portò la Siciliadall’una all’altra dominazione sarebbe ancora tuttada scrivere.

D’altronde, la perfidia e l’egoismo della diploma-zia inglese, le sue riserve mentali sul destino colo-niale della Sicilia, nel maggio 1860, non vennerocompresi soltanto da quell’ufficiale borbonico che,dopo tutto, passò al nemico prima ancora della capi-

tolazione del proprio re, ma non lo furono dagli stes-si Siciliani nel 1812, nel ‘48, nel ‘60, e anche nel1943-45. La narrazione di quei fatti non ha lo scopodi fare filosofia politica o di rifare la storia dell’im-presa siciliana di un Garibaldi a cui il Foreign Officecredette di riconoscere la stoffa del Bolivar, di SanMartin, di Artigas, di Espartero, la stoffa del liberta-dor sudamericano o iberico, anglofilo per inclinazio-ne o per necessità; né di dare spazio alla sterile eodiosa polemica sull’estrazione tipicamente italica enordista del contingente originario dei cosiddettiMille. Lo scopo è invece di chiarire lo status che ilnuovo invasore rivesti in Sicilia, succedendo all’oc-cupante borbonico. Giuseppe Garibaldi non presemai in considerazione il sacrosanto diritto dei sici-liani alla libertà, né volle riconoscere l’esistenza diquel partito costituzionale che rappresentava l’opi-nione politica maggioritaria di essi. Non di meno, itesti scolastici e la storiografia tradizionale tentanoancora, nel 2006, di far passare per verità la grosso-

lana menzogna secondo cui egli sbarcò nell’isola peraiutare il popolo siciliano a riprendere in mano la di-sponibilità del proprio destino. Infatti, nel primo de-creto fatto a Salemi due giorni dopo lo sbarco, eglisi autoproclamò “comandante in capo delle forze na-zionali in Sicilia” e affermò di “assumere nel nomedi Vittorio Emanuele Re d’Italia, la Dittatura in Sici-lia”. Cioè, si attribuì, senza mezzi termini e senz’al-cun equivoco, la posizione giuridica dell’occupantebellico e, in particolare, dell’invasore il quale, perdelega più o meno espressa del non ancora re d’Ita-lia, intendeva succedere al precedente invasore. Èdunque inoppugnabile che fin da questo suo primodecreto, egli scartasse ogni pur minima concessionealla libertà dei siciliani, poiché con la forza acquista-va la sovranità del territorio che gradualmente anda-va occupando. Contrariamente alla sua conclamatasensibilità di “eroe della libertà dei popoli”, cheavrebbe dovuto indurlo a scegliere di concedere lalegislazione e l’organizzazione che lo Stato di Sici-

lia si era dato nel 1848-49, si comportò da invasore,sfruttando il territorio occupato, distraendone le ri-sorse finanziarie per i bisogni di altri territori, di al-tre popolazioni, di altri Stati.

Gli eventi di quella triste pagina di storia del po-polo siciliano, che fu rapinato, saccheggiato, umilia-to, reso servo e trucidato dai liberatori garibaldini,non trova spazio di approfondimento in questa bre-vissima narrativa che, principalmente, è rivolta al-l’atto ben congegnato di annessione della Sicilia. In-fatti, il 2 giugno, il governo provvisorio garibaldinoaveva emanato da Palermo un decreto sulla divisio-ne dei demani; ma non appena i contadini passaronoa reclamarne l’attuazione e a rivendicare anche laquotizzazione delle terre demaniali acquistate ille-galmente dai commercianti e dai borghesi, fu pro-prio quel governo che cominciò ad applicare controdi essi quegli altri decreti emanati dallo stesso Ditta-tore in difesa della proprietà e degli interessi agraridella borghesia e, per di più, adottando contro i po-

veri disillusi la procedurasommaria dei Consigli diguerra distrettuali, istituiticon il decreto del 20 mag-gio. E se ciò costituì daun lato una garanzia perla classe aristocratico-borghese, la quale inclinòsubito all’annessionepronta ed incondizionata,determinò dall’altro lafrattura definitiva traquello pseudo-liberatore eil proletariato dell’isola.Inoltre, le stragi contadi-ne che Bixio e gli altri co-mandanti delle colonnegaribaldine consumaronoa Bronte, a Nicosia, aMascalucia, a Nissoria, aLeonforte e a Biancavilla,sono il suggello e le pro-ve storiche più schiac-cianti della politica filo-borghese e reazionariaadottata fin dal primomomento dall’Eroe dellalibertà dei popoli. Gari-baldi mise subito in atto ildesiderio del re che “sicompisse senza ritardol’annessione”, e Depretis(pro-dittatore con il de-cretò di Milazzo del 21lu-glio) cominciò ad emana-re tutta una serie di prov-vedimenti allo scopo difar scomparire ogni resi-dua possibilità di autode-terminazione dei siciliani.A tale proposito, ricordia-mo in modo specifico iprovvedimenti politica-mente e psicologicamenteincisivi deI 13 giugno,con il quale si abolì l’em-blema nazionale dell’Iso-la, sostituendolo con lostemma sabaudo, come sela Sicilia dovesse essereconsiderata d’ora innanziun bene di quella Coronao addirittura parte del pa-trimonio privato di queire; quello del 16 giugno,che revocò le dogane tral’Isola e le province ita-liane; quello del I7 giu-gno, che impose alle navi

siciliane la bandiera delloStato sabaudo; quello del 2 luglio, con il quale sistabili che gli effettivi dell’esercito siciliano andava-no a costituire la XV e la XVI divisione dell’esercitopiemontese; quello del 6 luglio, che dispose l’inte-stazione di tutti gli atti pubblici a “Vittorio Emanue-le II Re d’Italia”, quando ancora non lo era; quellidel 5 e del 14 luglio, con i quali gli uomini dellaMarina Militare siciliana furono incorporati negli or-ganici di quella Sarda.

Dal 3 agosto ad oltre la metà di ottobre, anzichédare la pro-dittatura ad Antonio Mordini, si attuòuna vera e propria buriana di provvedimenti: l’esten-sione all’isola dello Statuto Albertino; l’adozionedella formula del giuramento di fedeltà a VittorioEmanuele Il e ai suoi reali successori; l’intestazionedelle leggi “in nome di S.M. Vittorio Emanuele Red’Italia”; l’unificazione monetaria; il riconoscimentoalla pari dei gradi accademici conseguiti fuori dellaSicilia e nei pubblici concorsi svoltisi nell’isola.Vennero recepiti pure i decreti piemontesi sull’ordi-

Giuseppe Garibaldi

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15-28 Settembre 200711LA VOCE DELL’ISOLA

15-28 Settembre 2007

Il teorema siciliano parte dall’ipo-tesi che in un determinato periodostorico uomini appartenenti a

quattro “aggregazioni” di natura dia-metralmente diversa, Stato (nel sensodelle Istituzioni, più propriamentedegli uomini che hanno costituito ilcorpo delle Istituzioni, politici com-presi), Chiesa (partecipazione diesponenti dell’Alto clero, di strutturefinanziarie del Vaticano, di apparte-nenti all’Opus Dei), Massoneria (inquanti hanno mantenuto la loro ade-sione in forma segreta e occulta) eMafia, si siano trovati in accordo perraggiungere precisi obiettivi, miratiinizialmente, ma molto genericamen-te, agli interessi della collettività (na-zionale e internazionale) e poi sfocia-ti, praticamente e concretamente, ininteressi di potere di raggruppamento(in senso assoluto). In merito a que-sto teorema Stato, Massoneria, Chie-sa e Mafia quale perno sul quale ipo-teticamente hanno ruotato gli avveni-menti che hanno costituito le fonda-menta dell’edificio della nuova Sici-lia autonomistica e di gran parte dellastruttura dello Stato italiano, inten-diamo ricordare che i tempi e le si-tuazioni in cui gli appartenenti a que-ste aggregazioni hanno agito neglianni che hanno preceduto lo sbarcoanglo-americano in Sicilia, nel 1943,erano ben diversi dagli attuali: coin-volgevano Paesi diversi, e la valenzadei personaggi stessi era ben lontana,a tutti i livelli, da quella dei discen-

denti che ne hanno assunto, diretta-mente o indirettamente, l’eredità.Probabilmente le stesse intenzioni(leggasi motivazioni) che hanno spin-to protagonisti di natura, ceto e cultu-ra diverse a percorrere una stessastrada, potevano essere condivisibili(leggasi Machiavelli “il fine giustifi-ca i mezzi”) in quei periodi e inseritein quel determinato e particolare con-testo storico. È chiaro che protagoni-sti e loro azioni riletti a distanza, nelTerzo Millennio, e viste le conse-guenze che hanno provocato, assu-mono connotazioni che oggi non solonon possono essere condivise, ma so-prattutto non possono essere compre-se nella loro reale dimensione. Il teo-rema enunciato, pertanto e a nostroavviso, può essere utilizzato solo co-me chiave di lettura per capire con-nessioni altrimenti difficili da indivi-duare, e usato mantenendo la massi-ma cautela nell’esprimere un giudiziodi merito, per evitare il rischio di ca-dere nei luoghi comuni che per tantidecenni sono stati spacciati per veritàassolute. Inoltre, gli elementi del teo-rema Stato, Chiesa, Massoneria eMafia di quegli anni non sono certoquelli che la pubblicistica – più o me-no di comodo – nel corso di oltre uncinquantennio, ha divulgato o tenutisegreti, alimentando, strumentalmen-te o involontariamente, una ignoran-za sicuramente utile a quanti hannovoluto mantenere uno stato di cono-scenza molto nebulosa.

Una chiave di lettura per capire avvenimenti dalle origini a tutt’oggi ignote

Stato, Chiesa, Massoneria segretaOnorata società e Mafia

Chiesa, Mafia, Massoneria, Politica, Mondo econo-mico. L'associazionismo è stato costantemente unfattore determinante nella vita della Sicilia, costi-

tuendo, nelle varie forme in cui si è manifestato, elemen-to fondamentale di sopravvivenza, di mutuo soccorso, diautodifesa, di distinzione di classe.

L'associazionismo, dunque, forte legame, in determi-nati casi indissolubile, fra quanti accettano un vincolo re-ciproco basato su specifici interessi. Quali che siano. An-che per una particolarepredisposizione natu-rale dell'Uomo Sicilia-no, l'associazionismosegreto, o riservato, odiscriminatorio, haavuto modo di radicar-si sia nel tessuto socia-le delle classi domi-nanti, sia nei ceti medie nei ceti meno ab-bienti che, di riflesso,hanno cercato formuledi aggregazione imita-tive, o formule di ag-gregazione in opposi-zione

Le radici della Mas-soneria in Sicilia siperdono nel tempo esicuramente possonoconsiderarsi antecedenti alla stessa Cristianità, se si ten-gono nel debito conto le trasformazioni che la Chiesa sivide costretta ad operare (feste dedicate a Santi) per farefronte alle cosiddette ritualità pagane, con l'obiettivo dinon perdere i favori e il seguito popolari e di acquisirefedeli sotto l'ombrello della religione.

Le radici della Massoneria in Sicilia, pertanto, vannoricercate negli antichi riti trasmessi dai vicini Paesi del

Mediterraneo (vedi l'Egitto, e il rito di "Memphis e Mi-sraim", sino ad oggi attivo), piuttosto che nell'Illumini-smo europeo che ebbe funzione determinante quale "ca-talizzatore" di una materia non ancora codificata in unamoderna funzionalità associativa finalizzata a scopi so-ciali e politici.

Nell'Ottocento la Massoneria siciliana diventavaespressione di una classe che intendeva mantenere il se-greto sulle proprie attività: così come i Liberi Muratori

europei rimanevanopadroni dei misteri, sitrasformava facilmen-te in associazione se-greta che si contrappo-neva al potere domi-nante, trasformandosiulteriormente, a suavolta, in potere.

Dall'altra parte, l'O-norata Società, natadall'esigenza di coprireil vuoto lasciato dalloStato, si manifestavacome espressione diequilibrio e di giusti-zia in una società do-ve, appunto, lo Statonon esercitava la suafunzione, finendo conl'assimilare il sistema

strutturale-organizzativo della Massoneria quale societàsegreta. Storicamente, ai primi dell'Ottocento, l'area diformazione del modello dell'Onorata Società era su baseestremamente settaria, così come lo era la Massoneria;nel secondo Ottocento l'Onorata Società al settarismoaggiungeva il mutuo soccorso, così come avveniva nellaMassoneria.

Onorata Società e Massoneria trovavano, pertanto,momenti di incontro, momenti di alleanza. I territori do-ve questo reciproco travaso è stato più accentuato (e do-ve in diverse istanze esiste ancora) Trapani, Palermo,Caltanissetta, Enna.

La trasformazione dell'Onorata Società in Mafia-sog-getto di arricchimento economico con metodi violenti edi sopraffazione, non poteva non influire sui continuiadattamenti del modo d'essere della Massoneria nei terri-tori della Sicilia occidentale.

La Mafia diventa, così, una ramificata associazione afini criminali, riferendosi al sistema organizzativo pira-midale tipico della Massoneria.

La Mafia, insomma, prende a mutuare i propri modelliin maniera funzionale agli obiettivi che intende raggiun-gere, adattandosi al mutare dei tempi e dei luoghi contutta una serie di caratterizzazioni culturali specifiche de-gli uomini di comando che ne costituiscono il vertice, edella qualità degli uomini e dei mezzi che ha a disposi-zione. La Mafia è, a questo punto, una organizzazionecriminale organizzata, saldamente strutturata, che si av-vale nel tempo di rapporti con ogni tipo di potere (pub-blico, economico, sociale) per svolgere le proprie attivi-tà. La Massoneria della Sicilia occidentale, presa a mo-dello dall'Onorata Società, in vari comparti, subisce latrasformazione di quell'aggregazione in Mafia, organiz-zazione di sfruttamento che sta al passo con i tempi.

Non c'è dunque da stupirsi di trovare (ieri, come pre-sumibilmente anche oggi) in un gruppo massonico (ierinella sola Sicilia occidentale, oggi presumibilmente sulpiano nazionale e internazionale) personaggi (nel mondopubblico o privato) di un certo rilievo che realizzano in-sieme con i cosiddetti mafiosi un livello di collaborazio-ne che può avere riflessi politici o economico-affaristici.Il Caso Sindona è un esempio emblematico.

In questo quadro nessuno può escludere (come hannodimostrato gli scandali dell'ultimo trentennio) che in de-terminati momenti personalità del mondo politico o im-prenditoriale con origini massoniche, possono essere sta-ti (o sono) organiche all'interno di operazioni di naturasquisitamente mafiosa.

Ciò si è verificato quando tra la Mafia e potere politi-co-economico-massonico si è avuta (e si può avere) unasostanziale coincidenza di finalità riguardanti, soprattut-to, la gestione di interessi comuni.

Da tenere nel giusto conto che gli elementi alla basedella progressiva integrazione tra Massoneria e Mafia,sotto la compiacente copertura quantomeno di una partedella Chiesa, hanno avuto ragioni specifiche proprio ne-gli anni del Secondo conflitto mondiale, con una forteaccelerazione nel periodo antecedente allo sbarco alleatoin Sicilia, per consolidarsi alla fine della guerra e artico-larsi (come già rilevato) in precisi patteggiamenti, sfo-ciati ufficialmente nel compromesso della concessionealla Sicilia dello Statuto Speciale Autonomistico, ma chepossono benissimo sottindendere altri tipi di accordi.

Ruolo determinante della Siciliain riferimento agli scenari internazionaliNon è azzardato affermare che la Si-

cilia ha avuto, in qualsiasi tempo,un ruolo importante e spesso deter-

minante non solo nella vita del Paese, maanche in riferimento allo scenario interna-zionale. La posizione geografica dell'isola -estremamente strategica da un punto di vi-sta degli scambi commerciali e come avam-posto militare - ha fatto sì che la Sicilia di-ventasse crocevia di interessi variegati chehanno costantemente travalicato i confininazionali, ma che sempre nel territorio re-gionale hanno trovato la loro ragione d'es-sere. È per questi motivi che personaggi si-ciliani hanno ottenuto e detenuto un potereeconomico, politico e criminale che è ri-uscito a condizionare lo sviluppo e il futurodella regione ed a provocare particolariscelte di indirizzo politico sia sul piano na-zionale che nei rapporti internazionali. Inpoche parole, la Sicilia ha avuto costante-mente una sua particolare centralità negliavvenimenti più incisivi della storia italia-na, dell'Europa, dei Paesi del Mediterraneoe, spesso, dei Paesi d’Oltre Oceano. Cen-tralità accentuatasi maggiormente nel corsodell'ultimo secolo; centralità che la Siciliacontinua a mantenere al di là di quanto pos-sa trasparire, al di là delle apparenti condi-zioni di sudditanza al potere politico edeconomico centrale, al di là del diffuso ma-lessere delle classi meno abbienti. La ric-chezza è accentrata nelle mani di una circo-scritta classe dominante che rifugge dall'ap-parire. Questa classe dominante, nel corsodell'ultimo mezzo secolo, ha raffinato lesue strategie, creando rapporti imperscruta-bili con il mondo finanziario, politico (avolte anche con quello criminale) nazionalee internazionale. A supporto di tale classedominante, una serie di sub categorie e diforme di associazionismo trasversali nonsempre identificabili. L'accumulo della ric-chezza, l'esercizio del potere quasi mai

esercitato in prima persona da chi lo detie-ne, costituiscono i principali fattori dai qua-li si snoda il processo di attivazione degliinteressi che trovano nel territorio-Sicilia illuogo ideale di sedimentazione e il labora-torio sperimentale per le pianificazioni eco-nomiche e politiche che vengono applicatesolo in minima parte localmente, ma chevengono proiettate altrove, dove, appunto,gli interessi principali convergono.

È difficoltoso ricomporre il mosaico de-gli accadimenti che hanno caratterizzato lavita della Sicilia nell'ultimo secolo, tenutoconto anche che agli scenari socio-politico-economico-militari si sono intercalati conti-nui adattamenti nelle linee strategiche trac-ciate da coloro che sono stati protagonisti(spesso non noti) dei fatti stessi. Non è pos-sibile andare alla ricerca di fonti documen-tali; non è possibile attingere a memoriestoriche in quanto, ovviamente, gli stessiprotagonisti hanno provveduto e provvedo-no (quelli ancora in vita) a coprire le loroazioni passate. Insufficienti, dunque, i puntidi riferimento certi. Essendo, però, identifi-cati i pochi elementi - la ricchezza, il potere- che stanno alla base dei variegati intrecci,si può delineare la struttura del mosaico,pur se mancano molti tasselli; si può rico-struire il puzzle della storia siciliana stretta-mente connessa a quella dell’Italia e di di-versi Paesi europei ed extraeuropei, almenoin riferimento agli ultimi sessanta anni.

Come premessa all'analisi sulla centralitàdella Sicilia, nella sua storia e nella suaprospettiva, sono i ruoli ricoperti da alcunenazioni (principalmente Gran Bretagna eStati Uniti d'America) e da alcune aggrega-zioni umane (Mafia, Massoneria, Chiesa,Servizi segreti, Politica) nell'indirizzo che èstato dato, a vario titolo, agli episodi chehanno caratterizzato gli ultimi anni del Se-condo conflitto mondiale nell'isola, chehanno costituito la base della realtà odier-

na. Ciò che è accaduto, infatti, dal 1940 si-no allo sbarco degli Alleati in Sicilia, al-l’occupazione dell’isola (luglio 1943), finoai primi anni dell’autonomia dell’Isola, èstato rilevante: ha visto in prima linea per-sonaggi che hanno agito in nome e per con-to degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, dellaMafia, della Massoneria, della Chiesa.

È in quegli anni che questi personaggihanno costruito la ricchezza e il potere che,poi, hanno condizionato nei decenni suc-cessivi non solamente il futuro della Sicilia,ma anche molti degli assetti socio-politico-economici dell'Italia, influenzando e, a vol-te, determinando le stesse strategie dei go-verni in ambito nazionale, europeo e, spes-so, nell'ambito di alcuni Paesi del Mediter-raneo.

È un periodo estremamente complesso edarticolato, quello che va dagli Anni Qua-ranta sino alla conclusione del conflittomondiale, poiché in quei 5 anni si stabiliro-no accordi e patti scelleratiindissolubili(quali i personaggi che agirono? quale ladimensione e la sostanza dei patti?) che sa-rebbero dovuti durare 50 anni, e che non ri-guardavano soltanto il futuro della Sicilia,ma anche quello dell'Italia e degli equilibriche si sarebbero dovuti stabilire nello scac-chiere del Mediterraneo.

È sufficiente ricordare che la Sicilia ven-ne liberata nel luglio del 1943, quando lesorti della guerra non erano ancora certe;che l'Italia venne liberata nell'estate del1945 e che l'Italia divenne Repubblica nel1946 per potere superficialmente capirequali enormi interessi vennero giocati in Si-cilia proprio in quella manciata di anni.Comprensibile, da parte di coloro che con-dussero gli eventi, la necessità di cancellareogni traccia del loro operato. Comprensibi-le, soprattutto, la necessità di fare in modoche venisse soppressa, a tutti i livelli, lamemoria storica.

L’associazionismocome forma

di mutuo soccorso

Le radici della liberamuratoria in Siciliasi perdono nel tempoe sicuramente possonoconsiderarsi antecedentialla stessa Cristianità

Don Calogero Vizzini

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Estate 1943-Sicilia liberata,1945 fine della guerra. L'am-ministrazione della Sicilia "li-

berata", da parte degli alleati anglostatunitensi nasce come frutto diuna mediazione del contrasto tra laGran Bretagna (che vuol governareda sola la Sicilia per porre una op-zione sulla futura egemonia nel ba-cino del Mediterraneo) e gli StatiUniti (il cui governo riceve pressio-ni dall'importante componente ita-lo-americana) che premono per unagestione diretta e completa dell'Iso-la, consapevoli che l'occupazionedell'Italia avrebbe presentato diffi-coltà e che la conclusione del con-flitto ancora era lontana. Un com-promesso non facile, che comunqueviene raggiunto, con la sottoscrizio-ne di patti della durata cinquanten-nale (ipotesi: “x” numero di mini-steri in ogni governo nazionale apersonaggi siciliani; “x” provviden-ze per la Sicilia programmate nella“canalizzazione” di finanziamenti esussidi mirati,, Sicilia che deve re-stare - in ogni modo - regione nonindustrializzata, ma regione "consu-matrice" di prodotti del nord; “x”privilegi per la classe dominante inSicilia, eccetera).

La maggior parte dei sottoscritto-ri di quei patti oggi sono scomparsiper morte naturale (oppure no), eciò che abbiamo affermato intendia-mo considerarlo una ipotesi di ap-profondimento. Continuando. Al-l'approssimarsi della scadenza dei50 anni della durata degli accordi,gli equilibri nati dal compromessoincominciarono a rompersi: i nuovipatti ancora oggi non riescono adessere sottoscritti, gli equilibri, per-tanto, stentano a consolidarsi. Oggiè già domani, e la Sicilia aspetta an-cora il suo futuro.

Utile ricordare che la Sicilia haottenuto uno Statuto AutonomisticoSpeciale ancor prima della Costitu-zione italiana: uno Statuto che nonè mai stato applicato, e che, se fossestato applicato nelle sue normative,avrebbe potuto cambiare le sortidell’Isola. Non è superfluo chiedereil perché della mancata applicazio-ne di uno Statuto simile.

Il "Teorema Siciliano" non ha ra-gione d’essere, nella misura in cuinon può essere documentalmentedimostrato, ma le ipotesi tracciateprobabilmente costituiscono unarealtà che non necessita di “inter-pretazioni”, ma di ricerca di riscon-tri oggettivi.

Dal 1942 a oggi tanti e tanti fatti,caratterizzati da profondi chiaroscu-ri, si sono aggiunti nella telenoveladella storia isolana: appaiono tutticome fotocopie di episodi prece-dentemente accaduti. Agli omicididi Mafia si sono aggiunti altri omi-cidi: dal dopoguerra cancellati 540nomi, noti e meno noti, fra i quali igiudici Giovanni Falcone e PaoloBorsellino, vittime di una logicache poco ha di umano. Un rosariodi morte. Nel contempo il macrofe-nomeno di tangentopoli non ha ri-sparmiato la Sicilia; poi i grandiprocessi agli insospettabili (leggasiAndreotti o Contrada o Mannino) ea centinaia di affiliati alle cosche;gli arresti spettacolari dei Capi rico-nosciuti della mafia (leggasi TotòRiina o Benedetto Santapaola, Pro-venzano).

La Sicilia ha cambiato volto nelgiro di qualche decennio, nel TerzoMillennio appare come un’altra ter-ra, se è vero, come è vero (i dati sta-tistici lo dimostrano), che il turismointernazionale ne fa una meta ambi-

ta. Ma nulla nello scenario cono-sciuto muta, anche se Don LuigiCiotti si mobilita unitamente allasocietà civile, ai sindacati e ai sin-daci di tutta Italia (a Gela il 23 mar-zo 2004) raccogliendo quindicimilamanifestanti per “La giornata dellamemoria e dell’impegno in ricordodelle vittime della mafia”, per de-nunciare ancora le nuove infiltra-zioni criminali negli appalti pubbli-ci e il lavoro nero come piaga chenon si riesce ad evitare.

Indubbiamente qualcosa è cam-biato: già a metà degli Anni Novan-ta nelle grandi città (da Palermo a

Catania) il numero degli omicidi èdrasticamente calato, la Sicilia nonè più attenzionata dalla stampa na-zionale quale regione con il mag-gior numero di morti ammazzati, ilprimato si sposta in altre regioni aldi là dello Stretto di Messina. In ve-rità resta il luogo comune che conti-nua a classificare le attività delin-quenziali con il termine Mafia, ter-mine che, a nostro avviso, non cor-risponde da tempo allo stato dellecose: le mutazioni del fenomeno so-no talmente evidenti, che chiamareancora Mafia il potere criminale,

può essere elemento fuorviante nel-la conoscenza della realtà odierna.Non esiste più, infatti, la classifica-zione dei livelli criminali così comein precedenza era conosciuta l’orga-nizzazione: nell’epoca della globa-lizzazione, e con le nuove genera-zioni discendenti dalle famiglie ma-fiose, si deve parlare in termini dinetwork internazionali di affari ille-citi attraverso società lecite cheoperano in nome e per conto del cri-mine. Continuare a sostenere che èin Sicilia il cuore di questo mondo,che resta impenetrabile, è limitare ecircoscrivere, e non solo territorial-

mente, la questione. Quel che ciproponiamo, in queste ultime battu-te, con appena due esempi, è sotto-lineare la ripetitività con cadenzaperiodica dei fatti e le apparenticontraddizioni dei fatti stessi che siverificano da un decennio (o più)all’altro.

Così se di separatismo non si par-la per un certo tempo, ecco che ine-vitabilmente torna alla ribalta: i gio-chi dei misteri si aprono e si chiu-dono con estrema velocità. Nel di-cembre del 1992 il sociologo PinoArlacchi – ancor prima di tutta una

seria di rivelazioni su questo argo-mento fornite l’anno dopo da pentitiritenuti attendibili – sosteneva che ilprogetto del separatismo mafiosoesiste. Le considerazioni di Arlacchiscaturivano da dati raccolti: i bossmafiosi avendo un’età media di cin-quanta/sessant’anni, avendo accu-mulato fortune difficilmente spendi-bili senza l’individuazione da partedegli investigatori, e avendo allespalle condanne anche all’ergastolo,hanno necessità di un sito tranquillodove poter trascorrere in serenità ilresto della loro esistenza. Una Sici-lia indipendente, con un suo gover-no facilmente soggetto alle influen-ze malavitose, da questo punto divista è l’ideale. L’altro fattore, quel-lo economico: la prospettiva di unaSicilia definitivamente staccata dal-l’Italia, con una posizione geografi-ca veramente invidiabile, può costi-tuire un paradiso fiscale nel Medi-terraneo, centro di smistamento dasempre di traffici illeciti internazio-nali. Secondo l’opinione di Pino Ar-lacchi un progetto siffatto verrebbefavorito e vedrebbe l’appoggio diimprenditori e uomini d’affari spre-giudicati, oltrechè di politici a cac-cia di nuove fortune. Se si guardaall’immediato futuro, si può notareche l’ipotesi avanzata da Arlacchinon è tanto peregrina: nel 2010 ilMediterraneo diventerà area di libe-ro scambio, mentre le pressioni del-la Lega per un’Italia federata si fan-no sempre più insistenti. Dall’altraparte, in Sicilia, all’Assemblea Re-gionale, è in discussione la modifi-ca dello Statuto autonomistico chenon è mai stato applicato....

Il petrolio siciliano era uno deisogni più ricorrenti di Mattei: peranni e anni non è mai stato ritenutodai governanti siciliani una possibi-le risorsa per cambiare le sorti dellaSicilia. Di un petrolio per il futuronon si parlava da tempo, così comeè stato per il Tungsteno dei Nebrodicompletamente dimenticato, quan-

do, all’improvviso, ecco, dal 22marzo 2004, che c’è un via libera anuove trivelle. Il quotidiano La Si-cilia così descrive l’evento: La Re-gione ha messo nero su bianco, as-sieme con i petrolieri, sui discipli-nari e decreti idrocarburi che daran-no il via alla ricerca e all’estrazionesul territorio siciliano.

Le società Sarcis, Edison e Pan-ther (compagnia texana) sono le pri-me ad esplorare il sottosuolo isola-no per la ricerca di gas e oli in que-sta nuova era di liberalizzazione delsettore. Il governo Cuffaro dà cosìuna svolta in un comparto che, perdecenni, ha visto il monopolio del-l’Eni detenuto con la stessa Regioneattraverso la Sarcis (90 per centoRegione, 10 %per cento Eni), e cheoggi ha visto già pronti anche i te-xani a mettere in moto le trivelle.

L’americano Jim Smitherman, nelcorso della conferenza di presenta-zione dell’evento, a Palermo, ha af-fermato: “Panther Resources e io, inqualità di presidente della società,abbiamo il piacere di iniziare lacaccia: l’esplorazione in Sicilia. LaSicilia è un potenziale enorme an-cora non esplorato”. Così è stato.

Ed è stata la parte orientale dell’i-sola, per il momento, la più interes-sata a questi progetti. In dettaglio:le concessioni riguardano l’estrazio-ne dell’idrocarburo, i permessi la ri-cerca dell’idrocarburo. Le prime ri-guardano la zona di Saperi dove laSarcis opererà in una estensione di69,20 chilomentri quadrati, con uninvestimento di 50.096.319,21 euro;sempre la Sarcis trivellerà a CaseSquillaci su un territorio di 52,50chilometri quadrati con un investi-mento di 18.592.448,36 euro. Se-guono i progetti di ricerca, che ve-dono la Panther scandagliare il Fiu-me Tellaro, 746,937 chilometri qua-drati di territorio con un investi-mento di 43.400.000 di euro; laEdison effettuerà la ricerca nella zo-na di Paternò, 743,80 chilometriquadrati, investendo 5.500.266,00di euro. Altre istanze di Compagniepetrolifere sono al vaglio della Re-gione.

Un interrogativo è lecito: quali imeccanismi che muovono le co-stanti di una sconcertante ripetitivi-tà di avvenimenti? Troppo lungol’elenco degli uomini abbattuti sullastrada di un auspicato progressodella Sicilia. Troppi fatti inquietantisi sono verificati, troppe trame alcui centro c’è la Sicilia. La trasfor-mazione in atto sul territorio – dallapresa di coscienza della gente, allaproduttività dell’imprenditoria chesembra essersi svegliata da un lun-go sonno - necessita di analisi accu-rate per essere sorretta e indirizzataverso uno sviluppo che sia coerentecon lo stesso ambiente e per non ge-nerare facili avventurismi.

C’è il fantasma della mafia inaf-ferrabile; c’è la mafia non certa-mente vinta che muta sembianze,che si fa gli affari suoi che si avvaledegli strumenti che ritiene più op-portuni, servendosi di tutti quei me-diatori che sono disponibili nellasocietà. Ci sono gli interessi inter-nazionali trasversali delle grandilobby economiche che, al pari dellamafia, sanno farsi gli affari propri,utilizzando, a loro volta, strumenti emediatori disponibili. C’è il poteredell’informazione, e chi lo detienesa farne uso. La Sicilia resta sempreterra di conquista. C’è, infine, il cit-tadino rimasto senza punti di riferi-mento, che non crede più neanchenel primato della politica.

Costante la presenza di politici siciliani nel Governo nazionale

Dai “patti scellerati”privilegi e potere per pochi

Mattei (al centro della foto) e gli impianti del petrolio siciliano

Forse i nuovi accordi nonsono ancora stati ratificati.Gli eredi, forse, nonall’altezza di chi in passatoha imposto compromessied equilibri instabili

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di CARLO BARBAGALLO

Come previsto, l’ultimo film diClaudio Fragasso “Le ultime56 ore” ha suscitato polemi-

che e giudizi contrastanti sin dallasua prima proiezione nelle sale, il 7maggio scorso. Si rimprovera al re-gista di fare troppo action movie, divolere ottemperare in ogni modo al-le aspettative degli spettatori d’oggi,ormai abituati al prevalere, appunto,dell’azione sui contenuti, ma con-temporaneamente di non voler per-dere un’occasione per contenuti im-portanti che è doveroso rassegnareal pubblico. Si rimprovera al regista,insomma, di aver voluto mischiarecapre e cavoli per accontentare tutti,e di avere dimenticato che in unabuona storia non devepredominare, “per neces-sità di cassetta”, la spetta-colarità. Sono giudizi fret-tolosi, a nostro avviso,piuttosto ingiusti.

Se lo spettatore nonama (ma è poi vero?) ifilm considerati “d’arte”,dove è costretto a impe-gnare il proprio intelletto,preferendo quelli dove ilsuccesso è affidato allaspettacolarità, all’azione,la responsabilità non èprincipalmente dei registi,ma ricade sulle grandi Ca-se cinematografiche il cuiinteresse primario è quel-lo di portare tanti soldonia casa. I film di “contenu-ti” di soldi in cassa, pur-troppo e spesso, ne portano ben po-chi. Claudio Fragasso ai contenutitiene, così come tiene al successoeconomico dei lavori che realizza,che il pubblico esca dalle sale cine-matografiche soddisfatto, convintod’avere speso bene tempo e danaro.E allora? Allora rimettiamo al giustoposto questo “Le ultime 56 ore”.

Innanzitutto c’è “una” storia -scaturita da un soggetto di RossellaDrudi, che ha curato pure la sceneg-giatura del film - : “Le ultime 56ore” parte da cronache vere (e nondi “fantasia”, come qualcuno hacommentato): parla di soldati ital-iani in missione in Kosovo, che sisono ammalati di leucemia essendovenuti a contatto con scorie diuranio impoverito contenuto neiproiettili utilizzati in quella guerra.La “critica” dovrebbe porre questoaspetto primario alla sua attenzione:parlare di uranio impoverito, deidanni mortali che provoca in chi so-

pravvive alle distruzioni, e di ciòche è accaduto in Kosovo, in-evitabilmente provoca prevedibili

reazioni negative in quanti non vor-rebbero che questo tipo di vicendavenisse divulgato e portato aconoscenza dei cittadini: diversiambienti, da quelli militari, a quellidei fabbricanti di armi, a tutt’oggi,preferirebbero che restasse il silen-zio sulle vicende legate agli eventibellici, e non vedere certo un filmche arriva a milioni di persone.Quello dei militari colpiti da

leucemia e cancro a causa dei proi-ettili con uranio impoverito è un ar-gomento tabù, in Italia come all’es-tero, e per affrontarlo, conqualunque sistema, ci vuole corag-gio. Parlarne significa “denunciare”uno stato di cose non ancora sanato,le cui conseguenze si protrarranno alungo nel tempo. Questo coraggio laDrudi, Fragasso e il produttore Car-lo Bernabei con la sua Heles Film

Production hanno dimostrato diaverlo, e non conosciamo se equante difficoltà abbiano potuto in-contrare nella realizzazione del film.

La storia, dunque, parte con unpunto forte, d’impatto: lo stessoministero dei Beni culturali ne hadovuto prendere atto se lo ha cofi-nanziato, dandogli il merito che glispettava è attribuendogli la qualificadi “film di interesse culturale”. Che

poi Claudio Fragasso abbia messonello stesso calderone azione, giallopisicologico, thriller e sentimental-ismo di marca televisiva non c’è dastupirsi più di tanto: sono ingredien-ti misurati per tenere sempre vivol’interesse e la tensione dello spetta-tore al quale, alla fine, resta un sen-so di inquietudine che lo induce a ri-flettere su tutto ciò che ignora delleguerre che gli italiani combattono

fuori dai confini nazionali, nell’in-tento di portare o mantenere la pacee la libertà..

Si rimprovera a “Le ultime 56ore” di stare tra cinema e televi-sione, tecnicamente parlando, e diciò - si sostiene - ne risente il comp-lesso del film. C’è da dire che oggi iconfini fra grande schermo e picco-lo schermo sono impercettibili, gliuni complementari agli altri. Fragas-

so è un regista italiano che ha narra-to una storia italiana come la puòraccontare un italiano: superficialeil paragone con il Kubrich di “Fullmetal jacket “. Ed è lo stesso registache afferma che “Le ultime 56 orevuole essere un omaggio appassio-nato a certo cinema italiano deglianni Settanta”, a voler significareche il nostro “modo” di fare Cinemanon può essere paragonato ad altrose non solo al Cinema Italiano.

“Le ultime 56 ore” ha una trama(che non raccontiamo) dove si in-trecciano due linee narrative e dovesi incontrano attori come Gianmar-co Tognazzi, Barbora Bobulova, Lu-ca Lionello, Nicole Murgia, LuigiMaria Borruano, Simona Borioni,Primo Reggiani, David Coco, Fran-cesco Venditti, Libero De Rienzo,Maurizio Merli, Nicola Canonico,Diego Guerra, Giampiero Lisarelli,Simone Sabani, Vanni Fais, AndreaFragasso, Claudio Vanni, ClaudioMasin, Emerico Lacetti, MaurizioMatteo Merli, e tanti altri: un cast ditutto rispetto.

Atteso dalla critica e dal pubblico,il film rappresenta sicuramente unamarcia in più nel Cinema Italiano,che spesso langue in un limbo inde-finito.

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I danni provocati dalle scorie dei proiettili con uranioimpoverito pagati in prima persona dai militari italianiin missione nel Kosovo

Riscontro positivo nelle sale per la produzione della “Heles” di Carlo Bernabei

“Le ultime 56 ore” di Fragassoun film tra denuncia e spettacolo

La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

A sinistra Carlo Bernabei, sopra: Gian Marco Tognazzi, sotto: il regista Claudio Fragasso e alcune scene tratte dal film

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di RINA BRUNDU

Il “limite” c’è: inutile negarlo!Prima di procedere ad analizzar-ne la natura nel dettaglio, vorrei

precisare che, secondo me, le pro-blematiche editoriali internettianesono cosa ben distinta dalle macro-scopiche questioni legate agli accor-di e alle baruffe internazionali tese adimostrare “chi comanda” in una si-mile, provvidenziale, dimensione al-ternativa.

Il limite editoriale che mi interes-sa analizzare in questa sede è dun-que quello che riguarda il sempliceutente, quando l’utente è un qualsia-si individuo, una qualsiasi società,una qualunque associazione che sipropone di operare in Rete. Nellospecifico, che si propone di operarein Rete nel campo giornalistico.

Il principale ostacolo editorialeche deve affrontare oggidì il giorna-lismo online è infatti un ostacolo dinatura mentale. Il va sans dire, lastampa tradizionale, così come lavetrine radio o tv, detengono ancoraun notevole primato di credibilitàsulla fiducia. Frasi quali “era scrittosul giornale”, “lo ha detto il notizia-rio” sono comuni come il “buon-giorno” e il “buonasera” e, temo, losaranno ancora per molto tempo avenire.

Di converso, l’espressione “l’holetto online”, ma anche statementspiù specifici quali “lo scrive Wiki-pedia”, o “era l’argomento del gior-no su Facebook” non hanno la stes-sa “autorità” informativa. Al contra-rio, tali fonti virtuali vengono anco-ra viste, da un signor Rossi qualsia-si, come i luoghi per eccellenza dinidificazione dei falsi scoop. Insom-ma, Internet alla stregua di un para-diso fiscale dell’inattendibilità gior-nalistica!

È paradossale! Ferma restando lasua storia ancora giovane (a benguardare, credo sia proprio questo ilvero tallone di Achille), pensiamoper un attimo alle potenzialità di unsito come Wikipedia. Nessuna enci-clopedia cartacea, per quanto blaso-nata, e per quanto credibile, potreb-be mai sperare di fare meglio! Que-sto perché Wikipedia (ovvero la suaidea-essenza) ha una possibilità diespressione universale che nessunaltro editore può eguagliare: nessu-no meglio della fonte che l’ha vissu-ta (qualunque essa sia e a qualunquetitolo) potrebbe raccontare meglio, econ più precisione, una vita, una

esperienza, unavisione critica,una storia, un ri-cordo. Ma an-che una costru-zione intellet-tuale più impe-gnata. Sì, è pro-prio così sem-plice come do-nare (non ruba-re) caramelle adun bambino. E capire questo signifi-ca avere capito tanto. Senz’altro, si-gnifica lavorare molto bene in que-sta già determinante dimensione vir-tuale che, nel futuro prossimo, con-dizionerà ogni nostra esperienzaquotidiana.

Ma naturalmente viviamo tempiinternettiani che sono la preistoriadella loro straordinaria avventura.Ne deriva che la Rete sta ancora lot-tando per aggiustare la sua dimen-sione credibile: e con la Rete stannolottando i giornalisti online. Non

tutti s’inten-de, ma quel-li che sonoveramentetali sicura-mente. So-p r a t t u t t o ,lottano con-tro le pro-prie fobie,le proprieidiosincra-

sie: sono davvero un giornalista sepubblico solamente in Internet?

Data la mia ferma convinzioneche giornalisti si nasce, non voglioneppure prendermi l’impiccio di ri-spondere ad una simile sciocca do-manda. Questo non vuol dire che ilproblema di costruire una base ope-rativa credibile sparisca di suo. Disicuro, l’unico modo che ha il gior-nalismo online di superare l’ostaco-lo mentale di cui si diceva è di man-tenere una serietà di metodo che èfondamentalmente la stessa serietà

di metodo che ci si aspetta dal gior-nalismo tradizionale (e che, purtrop-po, pure quest’ultimo, in molte si-tuazioni, fatica a garantire).

Questa modalità severa non do-vrebbe però implicare approcci bi-gotti di qualsiasi natura verso ununiverso virtuale che ha natural-mente esigenze proprie. Mai sotto-valutare il rischio di disattenderne lenecessità-fisiologiche! Questo perdire che il giornalismo online nondeve proporsi come piattaforma in-tellettuale digitale ripetitiva di sche-mi obsoleti (sebbene noti e vincen-ti), quanto piuttosto come occasioneimportante di improvement e di cre-scita. Per esempio, qualunque sia larubrica giornalistica sotto esame,questa non potrà presentarsi con ilritmo monocorde e bi-dimensionaledel cartaceo, ma dovrà rispecchiarele esigenze di dinamicità (in sensolato) dello spazio virtuale.

Il tema diventa tanto più veroquando si guarda all’essenza che ca-

ratterizzerà il giornale ed il giornali-sta “virtuale”. Ad entrambe questepedine sarà infatti richiesto un ulte-riore “sforzo” intellettivo che dovràmanifestarsi sottoforma di espres-sione multipla delle diverse poten-zialità. E dunque attraverso una no-tevole capacità immaginifica, e dun-que attraverso una variegata visioneda applicarsi alle necessità di analisidell’argomento studiato. Qualunqueesso sia.

In generale, io penso che questolimite mentale editoriale potrà dis-solversi soltanto con il tempo. Me-glio ancora, quando morirà la gene-razione che Internet lo ha concepito.Morto il genitore saccente e intran-sigente, il figlio si responsabilizzeràdi conseguenza. Soprattutto, potràconcentrarsi a risolvere gli altri “li-miti più mondani” che affliggonogli internauti-di-questi-tempi. Equindi anche il loro editore (sempre,in senso lato).

A mio modo di vedere, questi ul-timi sono soprattutto limiti legati altempo e legati all’ancora scarsa at-tenzione che mettiamo nel nostrooperare online (e sono limiti deter-minati, per esempio, da un editingmai completo degli articoli, da unaforma linguistica censurabile – par-lo della mia -,da un’analisi degli ar-gomenti trattati che raramente “la-vora” sotto la superficie e via di-scorrendo). Attualmente, l’impor-tanza della necessità di superarequesti ostacoli viene percepita dav-vero solo dal giornalista, o dal futu-ro-giornalista che si propone in Retecosì come si propone nella vita. Inprimis, presentandosi con tanto dinome e di cognome. C’è da dire in-fatti che se la “firma” del professio-nista poteva contare qualcosa nelgiornalismo tradizionale, nella di-mensione virtuale la “firma” saràtutto. Sarà senz’altro la conditio si-ne qua non che determinerà il suc-cesso di una rubrica. E quindi il suc-cesso di quelle somme di rubricheche saranno i giornali digitali del fu-turo.

Questo perché, se è vero che ilgrande editore tradizionale o “vir-tuale” che sia - avrà sempre le suevariegate ed infinite carte da gioca-re, è anche ipotizzabile che la Reteconserverà in eterno quel suo trattobenigno abbastanza da concedere,finanche al pesce piccolissimo, l’op-portunità di giocarsi l’asso nella ma-nica. E di farlo, in maniera indiscu-tibilmente vincente.

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27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

La Retesta ancoralottandoper aggiustarela sua dimensionecredibile,e con la Retestanno lottandoi giornalisti online

Oggi è necessario e fondamentale mantenere una serietà di metodo

Il limite del Giornalismo online:manca “l’autorità informativa”

Elio Veltri e Antonio Laudati spiegano come si trasforma la criminalità

“Mafia pulita” presentato in Confindustria Catania

La mafia del terzo millennionon spara, né uccide. Macompra e corrompe. È la pri-

ma azienda italiana per fatturato.Una holding del crimine organizza-to da mille miliardi di dollari che siinfiltra nell’economia sana, doveinveste enormi capitali, capaci dicondizionare lo sviluppo di interiterritori. È questo lo scenario de-scritto da Elio Veltri e dal procura-tore della Repubblica di Bari, An-tonio Laudati nel libro “Mafia Pu-lita”.

Il volume è stato presentato neigiorni scorsi in Confindustria Cata-nia, nel corso di un incontro mode-rato dal giornalista Nino Milazzo,al quale hanno partecipato il presi-dente degli industriali di Catania,Domenico Bonaccorsi di Reburdo-ne, il presidente dell'Ance Catania,Andrea Vecchio, il Presidente del-l'Associazione Italiani per l’Euro-pa, Salvo Raiti, il Presidente diConfindustria Avellino, Silvio Sar-no. Come un “golpe strisciante” -spiegano gli autori - la mafia sta

penetrando in ampi settori dellavita pubblica e si mescola al-l’economia legale.

Il suo enorme patrimonio (130miliardi di euro solo in Italia),potrebbe coprire il debito pubbli-co italiano. La nuova mafia èquella che si quota in Borsa, cheriesce ad investire nei settori piùredditizi e soprattutto non è piùun fenomeno legato ai territori delMezzogiorno, ma riguarda pesan-temente il Nord dell’Italia, comel’intera economia internazionale.

Per colpirla, non basta reprime-re, ma occorre una massiccia operadi prevenzione. Molto possono fa-re i cittadini, le associazioni, le im-prese.

I numeri riportati nel volume so-no impressionanti: l' industria delcrimine dà lavoro a quasi un milio-ne e 800 mila italiani: il 27 percento degli abitanti della Calabria,il 12% dei campani il 10 dei sici-liani e il 2 dei pugliesi. La stradamaestra da seguire per gli autori ri-mane quella tracciata da Giovanni

Falcone: colpire la mafia nel fattu-rato e nei capitali, per sottrargli lapreziosa linfa vitale che la sostie-ne.

Do. Co.

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La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

di LUCA PLATANIA

Lia Levi racconta la storiad’amore tra Amos, ricco ban-chiere ebraico e Teresa, una

ragazza cristiana di origini contadi-ne sullo sfondo del Piemonte degliinizi del Novecento.

Per avere scelto di amare una nonebrea Amos è emarginato dalla pro-pria famiglia e dalla propria comu-nità. Teresa, anch’essa bandita dallapropria famiglia, perrendere fe-lice l’uomoche ama ab-braccia lafede ebrai-ca; quindicon un com-portamentosemplice epaziente rie-sce progressi-vamente a ri-cucire i rap-porti con lafamiglia delcompagno, poimarito. La sto-ria si fa dunquepositiva, se-gnando l’ascesadella rispettabi-le famiglia diAmos Segre nel-la buona società,con un finale de-cisamente a sorpresa.

La vicenda di Amos e Teresa ri-manda alle problematiche che do-vettero affrontare le comunità ebrai-che italiane una volta libere daighetti e giuridicamente equiparatenei diritti civili: in che maniera essereagirono ai matrimoni misti? Suquesto punto, dopo essere stato po-sto al bando dal padre, Amos esplo-de con la sorella Anna: “Insomma,ognuno può vivere il suo essereebreo come vuole… abbiamo la li-bertà, non te ne sei accorta?”; maquesto tipo di libertà l’imbarazzataAnna si accorge proprio di nonaverla prevista.

Una sottile ed intelligente ironiasulla classe borghese accompagnatutta la narrazione; è spesso preferi-to dall’autrice il racconto in terzapersona; una scelta indovinata, taleda non disperdere in troppe parolela sostanza dell’intenso dialogo tra iprotagonisti. Il libro ci conduce adun incontro con il mondo ebraico: leusanze, le festività, persino le ricettedei dolci rituali, assolutamente inte-ressanti per i buongustai, rendendoquesto apprendimento leggero, na-turale.

Il percorso di Teresa nell’ebrai-smo diventa il viaggio del lettore(non ebreo, s’intende), che si chiedecon lei: come si fa a diventareebrei? È proprio impossibile conci-liare il culto della Madonna, dopo-tutto di formazione ebraica anch’es-sa, con l’ebraismo, come ricordauna ingenua Teresa alla sua maestraSara?

Nella caratterizzazione dei dueprotagonisti sono state indubbia-mente riversate le maggiori forzedell’autrice: Amos va controcorren-te, è una figura inusuale per l’imma-ginario italiano, abituato a vederegli ebrei del primo Novecento“chiusi”socialmente; è fin dall’ini-zio incline ai più deboli, ai bisogno-

si, in lui un forte bisognoetico accompagna tutta lasua riflessione sulle perso-ne, sulla vita che lo circon-da. Da una iniziale solitudi-ne ed incompletezza, attra-verso il rapporto con TeresaAmos pone in essere le pro-prie potenzialità: più amorericeve, più ne diffonde in-torno a lui ed alla sua casa.

Nonostanteil personaggioTeresa abbiauna comples-sità psicologi-ca che vienesvelata du-rante l’interoarco della vi-cenda, piùche una per-sona intro-spettiva LiaLevi ci de-scrive unadonna fattiva, stra-ordinariamente vi-tale: dalle sue manisono prodotti ine-sauribilmente icorredi rituali deinuovi nati dellacomunità, i dolcimigliori, ecco unaDemetra dispen-satrice di abbon-

danza. Non per niente Teresa è diorigine contadina, è Terra e apparecome una ninfa dei boschi all’atto-nito Amos all’inizio del racconto.

L’aggettivo della sposa protagoni-sta, gentile, potrebbe essere anche

letto “come di gentile animo”, un ri-cordo stilnovistico, ma in realtà Te-resa è tesa totalmente all’amore ver-so il marito, amore che la guida inogni scelta; non è lei a nobilitarespiritualmente lui, si direbbe il con-trario, seppur Teresa possegga giànella sua formazione cristiana lacomprensione e la necessità del-l’amore per il prossimo, traducendo-li con semplicità nell’ebraismo.

Nel volume è ricordato, in un ap-parire e scomparire, il contesto sto-rico, al quale la famiglia Segre si af-faccia con pudore, quasi con distac-co: si discute di Giolitti, del dibatti-to sul divorzio, del suffragio femmi-

nile, dell’intervento italiano nellaGrande Guerra; il fratello di Amos,Salvatore si candida col Partito So-cialista, passato ad un riformismogradualistico, contrario all’interven-to.

Ma la grande storia non turba piùdi tanto i personaggi di La sposagentile. I pogrom russi sono una re-altà lontana, le preoccupazioni sonoquelle quotidiane, quelle dell’am-biente domestico che va difeso dallabruttura del mondo: le feste, la cre-scita dei figli, la normalità ed un be-nessere materiale ed interiore, la so-

luzione dei contrasti per la costru-zione di un microcosmo familiaremigliore. Solo una sottile inquietu-dine, come un segnale di allarmeprende forma lentamente nell’animodi Amos.

Il tutto fino ad una inaspettata ce-sura del racconto: questa felicità, di-ventata normalità, può essere all’im-provviso vietata. Forse perché trop-po bella.

LIA LEVILa sposa gentile

Edizioni e/o, Roma, 2010€ 18,00

Incontro a Catania con la scrittrice piemontese

Vincono sempre le ragioni del cuoredi LUCA PLATANIA

Recentemente nella Libreria Cavallotto diCorso Sicilia a Catania è stata ospitata lapresentazione del volume La sposa genti-

le di Lia Levi. Presente un piccolo, ma competente pubblico

in un contesto informale che ha facilitato gliscambi di opinione, dei commenti e delle im-pressioni sul testo, le domande all’autrice.

Hanno presentato il volume Luigi La Rosa eMassimo Maugeri; l’attrice Egle Doria ha alter-nato agli interventi letture di alcuni brani salientidel romanzo con una bella e suggestiva interpre-tazione.

L’autrice è nota al grande pubblico in partico-lare con Una bambina e basta, toccante testimo-nianza della sua esperienza delle leggi razziali inItalia nel 1938.

Abbiamo avuto modo di incontrata alla finedella presentazione, approfittando della la suacortesia e simpatia:

Signora Levi, in fondo il protagonista delsuo romanzo, Amos Levi, nel rompere con lasua comunità per amore di Teresa compie unascelta del cuore che alla lunga si dimostra giu-sta: non si fa imprigionare dal formalismodella legge, ma si dirige verso il bene a qua-lunque costo.

Sì, lei ha letto bene; ma non è tutto chiaro peril personaggio all’inizio, a volte nella passiona-lità stessa c’è qualcosa di più profondo, razio-nale, che ci guida alla scelta giusta.

È palese comunque che in Amos c’è un’etica

che gli deriva dai suoi stessi insegnamentiebraici, lui li interpreta fino alle estreme conse-guenze.

Lei è riuscita a scrivere un libro di rara de-licatezza di sentimenti e finezza di descrizio-ne; in particolare nell’irrompere di Teresanella vita di Amos, lei ha reso un totale scon-volgimento dei sensi e dell’intelletto, senza pe-rò ricorrere al linguaggio della corporeità.

Oggi la maggior parte degli autori di ro-manzi sembra invece dovere obbedire alleleggi del mercato, indugiando in descrizionierotiche anche molto spinte; come ha fatto apubblicare un libro così?

L’ho fatto, è possibile farlo nonostante ciò chelei evidenzia in molti romanzi di successo pub-blicati in questi anni; le scene d’amore descrittein maniera esplicita ottengono l’effetto contra-rio, più sei esplicito e più ti allontani dal rende-re certe emozioni.

È dalla vaghezza, dall’indeterminato che in-vece scaturisce una forte impressione.

La storia da lei raccontata è così bella dachiedersi se simili unioni fossero davvero pos-sibili nell’Italia del primo Novecento. Eranocasi frequenti?

No, non accadeva di frequente; ma è la storiadei miei nonni, lui ebreo, lei cristiana, che com-pirono questo passo coraggioso, legati da unfortissimo amore.

È alla loro vicenda che mi ispiro in La sposagentile, ma immaginandomela, senza ricavarlada notizie reali; tra l’altro erano pochi i dettagliche si ricordavano nella mia famiglia di questo

strano, ma riuscito matrimonio. È per racconta-re il loro amore che ho scritto questo libro.

Nel seguire Teresa che compie il suo percor-so verso la religione del marito, scelta dettatadall’amore, il lettore apprende gradatamentedi usi, costumi, festività, parole – chiave dellareligione ebraica.

Leggendo il libro si apprende molto, senzaperò uno sforzo scolastico, manualistico; lei èriuscita a rendere interessante e leggero que-sto percorso, era nelle sue intenzioni?

Sì, ho posto delle brevi note che spiegasseroin maniera semplici questo mondo, per rendereuno spaccato della vita tradizionale nella bor-ghesia ebraica del primo Novecento.

Alberto Cavaglion, uno storico e studiosodell’ebraismo italiano ha affermato non mol-to tempo fa in Il senso dell’Arca, Ebrei senzasaperlo che la comunità ebraica in Italia è co-nosciuta solo per la sua testimonianza nellagiornata della Memoria e nelle altre occasioniin cui si ricorda la tragedia della Shoah.

Mancherebbe invece una conoscenza dellacomunità ebraica italiana, della sua presenzasul territorio, del suo apporto al territorio.Che ne pensa?

No, non sono d’accordo. Dopotutto la presen-za ebraica in Italia è piccola: cerca di farsi sen-tire come può, ma i giorni della cultura ebraicasono affollatissimi, la gente è curiosa.

A Roma, dove io vivo, i ristoranti casher, “ri-tuali”, negli ultimi anni sono diventati una deci-na e ciò perché molte persone sono attratte dal-la cultura, finanche dalla cucina ebraica.

In libreria “La sposa gentile” di Lia Levi

Inconsueta storia d’amoresullo sfondo del Piemonte

La vicenda raccontata rimandaalle problematiche che dovettero affrontareagli inizi del Novecentole comunità ebraiche italianeuna volta libere dai ghetti e giuridicamenteequiparate nei diritti civili

Note biograficheLia Levi, di famiglia piemontese, vive a Roma, dove ha diretto per

trent’anni il mensile ebraico «Shalom».Per le Edizioni e / o ha inoltre pubblicato: Una bambina e basta (premio

Elsa Morante Opera Prima), Quasi un’Estate, L’Albergo della Magnolia(Premio Moravia e Premio Fenice Europa), Tutti i giorni di tua vita, Se vavia il re e Il Mondo è cominciato da un pezzo.

Con La Sposa Gentile l’autrice ha ricevuto l’8 Maggio del corrente annoil Premio Alghero Donna per la narrativa 2010.

Lia Levi

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di SALVO ZAPPULLA

Internet è destinato a diventarel'invenzione del secolo, ha rivo-luzionato il sistema della comu-

nicazione. È una finestra sul mondo.Ha dato libero accesso a tutti, visibi-lità a quanti desiderano esercitare illoro diritto all'esistenza, dalla casa-linga al poeta locale cui nessuno vo-leva dare credito letterario. Unoceano popolato da pesci multifor-mi che si muovono sconnessi alla ri-cerca di luce. Nel bene e nel maleha sovvertito certi strumenti di pote-re, egemonia della stampa e della te-levisione. Una rivoluzione in pienaregola. Fioriscono i siti on-line, pro-liferano i blog. Una miriade di stelledove la gente sbarca per avere dirit-to al proprio piccolo raggio di luce.

Il 18 Settembre 2006, un ragazzodella provincia di Catania, dai modiraffinati e dai toni garbati, decide diaggiungere la sua stellina in questosconfinato firmamento: apre un lit-blog (blog letterario) per il semplicedesiderio di comunicare e condivi-dere il suo amore per la letteraturacon altre persone. Nasce Letteratitu-dine. E nasce Maugeri, il fenomeno.L'uomo con la camicia celeste. Saràproprio il garbo, la signorilità, laprofessionalità che faranno di que-sto ragazzo un personaggio di famanazionale. Ben presto il blog entra afar parte della famiglia dei blogd'autore di Kataweb-GruppoEspresso. Letteratitudine diventauno dei salotti letterari più esclusivid'Italia. Un punto di incontro virtua-le dove potersi confrontare, dibatte-re su argomenti culturali, interagire,polemizzare anche, ma in manieracostruttiva ed evitando risse e sterilipolemiche.

Tutto ciò a Massimo Maugeri co-sta energie, impegno costante e durolavoro. Ma è propria questa la capa-cità che lo contraddistingue: la buo-

na educazione, l'affabilità che il pa-drone di casa usa con gli stessi ri-guardi nei confronti dei suoi ospiti,siano essi personaggi famosi o per-sone qualsiasi. E se qualcuno insistea fare il troll, viene invitato con lebuone maniere ad andare a farlo daun'altra parte. Chegià di troll è pienoil mondo e non c'èbisogno di riempi-re anche i siti.Numeri da capo-giro, dibattiti cul-turali di altissimolivello, rubricheaffidate ad esper-ti).

Quasi tutti i piùfamosi scrittoriitaliani accettanodi presentare i lo-ro libri su Lettera-titudine. Qualchenome: Dacia Ma-raini, Paolo DiStefano, RobertoAlajmo, BeatriceMasini, CatenaFiorello, RitaC h a r b o n n i e r ,Giorgia Lepore,Antonella Cilento,Ferdinando Ca-

mon e tanti altri ancora. Camon glidedica un articolo su Tuttolibri, acui fa seguito quello di LoredanaLipperini su Venerdi di Repubblica.Gli addetti stampa delle maggioriCase Editrici gli inviano le novità(una media di 60 libri al mese) spe-

rando in un passaggio su Let-teratitudine.

Insomma, Maugeri rischiadi passare alla storia comel'uomo che ha dato ufficialitàe identità alla cultura diffusaattraverso il virtuale. Tuttoquesto è raccontato in un li-

bro pubblicato da Azimut i cui pro-venti saranno devoluti in beneficen-za a la “Casa della famiglia ferita”,una comunità mariana che gestisceun orfanotrofio nella ex Jugoslavia.

Letteratitudine, il libro, pagg. 274, € 15,00

Nel “Cerchio infinito” la poesia di Renzo Montagnoli

La vita racchiuse in una clessidradi SALVO ZAPPULLA

Leggendo questa silloge poetica di Ren-zo Montagnoli mi è venuto da pensarea un naufrago su una zattera smarrito

nell’oceano tempestoso del grande misterodella vita. Riflessioni nichiliste quelle diRenzo? O aperte alla speranza? C’è un Dioche vigila sulla nostra povera esistenza? E sec’è, perché non incide?

La parola scritta nel suo evolversi spazio-temporale assume concetti che conducono al-la personalità dell’autore, alla sua sofferenzaesistenziale, ai molteplici agenti esterni chene hanno forgiato il carattere. “… Il miosguardo correva lontano/immaginava oltreorizzonte/s’inerpicava su ripidi pendii/s’ag-grappava alle nubi del cielo/correva con l’ac-qua dei fiumi/indugiava in pozzi nascosti/sispegneva nel dubbio del nulla…”.

Le elaborazioni poetiche di Renzo espri-mono tematiche di grande fascino e allo stes-so tempo insondabili, rimandano a suggesti-ve risonanze impossibili a dipanarsi per lamente umana, mirano al raggiungimento diun ‘aulica ed estetica perfezione di forma econtenuto, e da esse traspare la limpida sin-

cerità del suo intelletto. P. Valéry sosteneva:“La poesia deve essere una festa dell’intellet-to”.

O forse la poesia è la condanna dell’intel-letto, la ricerca continua di ombre da esplora-re. “Una luce fugge nel cielo di notte/un ar-cano mistero solca l’universo/veloce si muo-ve in un cerchio infinito/corre senza posa inun’eterna fatica/ le sue strade son lastricate distelle/la sua meta è rincorrere se stessa/ in uncorrosivo cosmico affanno/.E quando rapidascompare ai nostri occhi/lascia uno sciame disogni svaniti”.

Traspare un senso di ineluttabile nei versidi Montagnoli, come volesse avocare a sél’incanto e serrarlo dentro la fortezza dellapropria esistenza, prima che sia troppo tardi,prima che vada in disfacimento sotto le sfer-zate inclementi dell’oblio.

La vita racchiusa dentro una clessidra cheinesorabilmente consuma i suoi granelli. Ani-me che sono transitate fugacemente su que-sto pianeta senza lasciare tracce. Il poeta è unuomo solo, solo più degli altri, limitato nellasua condizione di essere imperfetto, peregri-no che si addentra per un viaggio senza meta,col suo carico di dubbi, in un’odissea di con-

flitti interiori. La sua solitudine è sconfinata,tormentata dal suo incanto e disincanto, daisuoi interrogativi impossibilitati ad avere ri-sposte,

Renzo Montagnoli nasce a Mantova l’8maggio 1947. Laureato in economia e com-mercio, dopo aver lavorato per lungo tempopresso un’azienda di credito ora è in pensio-ne e vive con la moglie Svetlana a Virgilio

(MN). Ha vinto con la poesia “Senza tempo”il premio Alois Braga edizione 2006 e con ilracconto “I silenzi sospesi” il Concorso LesNouvelles edizione 2006. Sue poesie e rac-conti sono pubblicati sulle riviste Isola Nera,Prospektiva e Writers Magazine Italia, oltrea essere presenti in antologie collettive e ine-book. Ha pubblicato la silloge “Canti celti-ci” (Il Foglio, 2007). È il dominus del sitoculturale Arteinsieme (www.arteinsieme.net).

“Letteratitudine”: uno dei salotti letterari più esclusivi d'Italia

Con Maugeri e Internetuna finestra sul mondo

Cultura24

27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

Un punto di incontro virtualedove potersi confrontare, dibatteresu argomenti culturali, interagire,polemizzare anche, ma in manieracostruttiva ed evitando rissee sterili polemiche

Massimo Maugeri, a destra la copertina del libro

Renzo Montagnoli

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di CORRADO PICCIONE

Leggendo e riflettendo su que-sto compendio di cultura po-polare che è la raccolta di in-

dovinelli Non è cosa malcreata diSebastiano Burgaretta, edita daEmanuele Romeo, ci domandiamo:È poesia, poesia vissuta? È una vocemisteriosa che ha echi profondinell’animo umano? Una poesia mo-dulata su sentenziosità vive, che ri-flettono aspirazioni segrete, manca-te o fallite? Sono frammenti o sinte-si parziali di espressioni esistenzia-li?

Dipende, certo, dall’angolo visua-le del lettore, dell’interprete, ma an-che del traduttore da una linguaall’altra. Ma è anche da osservareche la pregnanza concettuale deldialetto dipende dalla sua originariaintensità nella versione del linguag-gio comune. Una pregnanza nellaquale incide la cadenza tradizionaledi una indefinibile interiorità. Mainnanzi a questa raccolta di indovi-nelli, quale può essere la reazioneintellettuale, la posizione psicologi-ca di colui il quale, come chi scrive,non è un cultore di tradizioni popo-lari, non è un esperto di ricerche et-nologiche?

Esiste certamente quella che i la-tini chiamavano dilectatio, che con-sente d’interpretare come gocce diumanità, gocce di umanità che ca-dono su un tessuto esistenziale intri-so di ironia, di scetticismo e di unimpulso, forte impulso, alle inter-pretazioni allusive della cultura diambiente. Queste gocce di umanitàsono una tipica singolarità del vastomondo delle costumanze popolari,dense di suggestioni, nelle quali ri-flettono sorprendenti ancestralità.

Nella pregevole introduzione diSebastiano Burgaretta troviamo lachiave di lettura di questi indovinel-li, che da una originaria espressionedialettale vengono resi in un moder-no linguaggio italiano. Ivi leggiamoconvincenti significazioni del con-cetto di osceno, che da una primiti-va lussuriosità assurge a un princi-pio di naturalità intensamente vissu-ta. E questa osservazione è merite-vole di attenta valutazione. L’osce-no, come occasione, come strumen-to di relazioni sociali, non èun’espressione di relativismo mora-le, di decadenza di costumanze tra-dizionali, non è lo sfrenato sensuali-smo che è indice di negatività; èmodernamente divelto dall’etimo la-tino obscenus, che, secondo glotto-logi e filologi, equivale a infausto.Ma omnia munda mundis. Così nel-la moderna prospettiva l’ammirazio-ne del nudo femminile non è volga-re ostentazione, non è oscena. Il nu-do femminile è l’apoteosi della bel-lezza come nella universale consi-derazione della Venere Anadiomenedel nostro museo. Questo pensieronobilita l’angolo visuale di una mo-derna dimensione della nozione diosceno.

Dalle acute osservazioni di Bur-garetta può trarsi argomento per unapiù approfondita lettura della rac-colta, una lettura intesa a individua-re nelle peculiarità semantiche lanatura unidimensionale dell’animasiciliana. Una lettura psico-antropo-logica della vera anima siciliana,che è avvolta nel velo di una sottileironia, nel considerare la propria vi-

ta e la vita altrui. Ma questa ironiaconduce a quel senso di solitudineche è tipicamente siciliano. Ricordoquell’indimenticabile relazione cheLuigi Pirandello tenne, ricordandoGiovanni Verga. Disse, appunto, frale tante riflessioni indimenticabili,questa: Il siciliano nella profonditàdella sua anima è un uomo solo,perché è profondamente triste.

Ma dove si raccoglie questa tipi-cità tradizionale della sicilianità?Nella figura classica del contadinodel tempo del Pitrè, di SalomoneMarino, che definiva il contadino laparte più eletta del popolo, la più in-genua, la più sana, la più onesta. Mafu sempre così? Il contadino sicilia-no, oppresso dal dispotismo padro-nale, dal flagello dell’usura, dalleavversità della vita, viveva con la

sua famiglia tradizionalmente in mi-seria, ma accettava in silenzio il suodestino.

Viveva in silenzio e ne bevevaquesto colloquio silenzioso con ilsuo animale, quasi sempre un asino,del quale si fidava assai più chedell’ uomo, con il quale aveva peral-tro sporadici e occasionali rapporti.Gli indovinelli, così come i prover-bi, erano il suo soliloquio, si tra-mandavano di generazione in gene-razione, in quanto appropriati ai variaccadimenti della vita. Segnavano letracce del cammino umano, e la mo-notonia della sua quotidianità se-gnava ritmi consueti privi di parole,ma intessuti di gesti significativi,mai insensati.

Il contadino non rideva, non pian-geva, era dominato da un senso fata-listico, supersensibilmente fatalisti-co, della vita; in fondo era uno scet-tico, credo neppure in fondo un cre-dente, pur essendo legato alle tradi-zionali usanze religiose del suo pae-se. Conosceva soltanto il lavoro dal-

l’alba al tramonto, e l’indovinel-lo, come il proverbio, ritmava lasua cadenza esistenziale, era infondo la sua pedagogia. Scettici-smo ed ironia il suo abito mentale,l’ironia come tendenziale dissolu-zione di pregiudizi, di usanze, dimiti, ma anche come una istintivatendenza anarcoide che ha avutosempre nei contadini imprevedibilee causalmente indecifrabili espe-rienze. Quali esperienze? Quelle piùsorprendenti ritmate dagli indovi-nelli e dai detti, ma compresi e in-terpretati, se si riesce a coglierne ilprofondo. Voglio richiamare, a taleriguardo, una mia sorprendenteesperienza personale.

Molti anni fa io, confidenzial-mente con un contadino della nostraAvola, raccolsi una davvero sor-

prendente singolarità. Censurandosiil comportamento tortuoso, non lea-le, non corretto di qualcuno, sentiida questo contadino un giudizio as-solutamente inatteso, che ripeto indialetto: Chissu è un macciavellu.Rimasi sorpreso da questo giudizio.Non avrei mai pensato che nel lin-guaggio di un contadino totalmenteanalfabeta, del tutto incolto, fosseinserito il nome di una personalitàche non conobbe mai la Sicilia, mache soprattutto riuscisse a raffigura-re in quella espressione semanticaun giudizio di carattere morale.

Ma mi domandavo come fossepossibile nell’animo di un incolto,di un analfabeta questa misteriosastratificazione culturale che lo con-duceva ad acquisire implicitamentema inconsapevolmente un giudiziodi carattere storiografico certamenteestraneo alla mentalità di quel con-tadino. Ma questo rimane sempre unmistero. E se pensiamo che questogiudizio così drastico del contadinoin fondo si ricollega a una visione

sto-riografica del Segretario fio-

rentino desueta, superata da studipiù approfonditi, ma che lungamen-te era diffusa nella mente comune,ci rendiamo conto di come questamisteriosa acquisizione di un lin-guaggio, di un riferimento di straor-dinario valore storico fosse acquisi-to nella mentalità di un incolto, diun ignorante. Ma il contadino tuttoquesto riusciva a vedere nell’ambitodi un detto. E se leggiamo attenta-mente questi indovinelli, li vediamotutti come espressione significativadi una visione della vita, di una vi-sione del mondo, ma di una visionedel mondo che è sempre riconduci-bile a quella mentalità che è tipicaappunto del contadino: scetticismo eironia.

Era difficile che un contadino diquel tempo dicesse parole banali,insignificanti, irriconducibili a uncriterio logico. Tutto aveva un signi-ficato. Le parole erano tutte finaliz-zate a un giudizio, a una valutazio-ne. Mi ricordo anche la triste espe-rienza di un altro contadino, un pa-dre il quale riceve, dal figlio, chepure ha portato avanti negli studicon sbocco in attività lavorative diun certo livello, l’ingratitudine, l’in-capacità di capire che cosa ha fattoil padre per lui.

Il contadino non usa parole aspre,giudizi sprezzanti, espressioni talida offendere quell’ingrato suo fi-glio. Assomma e riduce tutto a undetto, che io ho colto dalla bocca dimolti contadini e che voglio ripro-durre anche adesso nell’espressionedialettale: Cu ri nu sceccu fa n ca-vaddhu,/ u primu càuci u scippa id-dhu. A chi genera un figlio e riesce aportarlo ai gradi più alti della vitacomune può succedere che il figlionon solo si dimentica del padre, mai primi calci li dà proprio a quell’in-felice genitore che ha sacrificato lasua vita per lui.

È tutto un mondo, è tutta una vi-sione della vita che andrebbe studia-ta, e fa bene Burgaretta a impegnar-si in questo. È tutto un mondo di-verso da quello comune, diverso,

perché ormai quel contadinonon esiste più; non esisteneppure l’asino, suo amico ecompagno di lavoro. Tutto èaffidato alla memoria, madirei alla memoria del rim-pianto, alla memoria di unanostalgia profondamentevissuta e sofferta. Oggiquel contadino che ripete-va gli indovinelli, e li ripe-teva con una pregnanzaassolutamente allusiva aifatti accaduti e accadibilidella vita non esiste piùpurtroppo. Esiste il colti-vatore diretto, il piccoloproprietario, il piccoloimprenditore, direi, lamezza cultura, che èpeggiore dell’incultura;è sempre meglio l’in-cultura di quel contadi-no che non ha studiato,che non ha mai avutoun libro in mano, chenon è mai andato ascuola, piuttosto che lamezza cultura di chi èandato a scuola spessosenza frutto.

È questo il valoredel libro di Sebastiano Burgaretta,quello di farci rivivere questa tem-perie ideale, questo mondo ornaitramontato sotto i nostri occhi, cheperò egli è in grado di leggere atten-tamente, penetrando nel vivo diqueste pagine. Ha inoltre, sì, di-schiuso un orizzonte straordinario dicultura, di civiltà, la civiltà contadi-na di cui parlava il Pitrè. Questa ci-viltà è vissuta tra noi ed è ripresa,compendiata in questi indovinelli.Ecco perché questa è un’opera di al-ta cultura, che va letta, studiata, me-ditata, e che in un certo modo deverappresentare il transito verso unaconoscenza più approfondita diesperienze che sono vissute accantoa noi e che spesso non abbiamo con-siderato, che spesso non abbiamovalorizzato. Eppure erano esperien-ze dense di una saggezza infinita,che solo l’anima eterna del contadi-no sapeva dare.

Ecco il valore del libro, ecco lanecessità di studiare questo libro.Per questo siamo tutti profondamen-te grati a Burgaretta. La sua èun’opera di cultura, è un’opera diciviltà, perché la civiltà di un popo-lo è anche nel culto delle sue memo-rie. E noi, raccogliendo in questo li-bro il culto delle nostre memorie,facciamo opera di alta civiltà. Cosìsi progredisce, così si va avanti nel-la vita. Così il senso collettivo dellaconvivenza potrà avere fasi succes-sive più elevate e più nobili. Perquesto noi ringraziamo SebastianoBurgaretta, gli siamo profondamen-te grati, perché ha dato un grandeservizio alla cultura siciliana e allacultura nazionale, ha dato un grandeservizio alla cultura universale, per-ché, leggendo in tutto il mondo que-sto libro, si comprenderà qual è ilgioiello culturale e storico della no-stra Sicilia, questo compendio diuniversalità, questo compendio digrandezze umane, di miserie umane,di civiltà, di ironia, di scetticismo.

È un umanesimo, quello della Si-cilia, straordinariamente ricco. Rac-cogliamolo, non disperdiamolo, tra-mandiamolo. Questo è il nostro do-vere.

Cultura 25

Da unaoriginariaespressionedialettale resiin un modernolinguaggioitaliano

La tipica singolarità del vasto mondo delle costumanze popolari

Gocce di umanità gli indovinelli raccolti da Sebastiano Burgaretta

La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

Sopra: presentazione del libro di Burgaretta

Sebastiano Burgaretta

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Cultura26

27 maggio 2010 La Voce dell’Isola n. 9~10

di RITA CHARBONNIER

Esiste ancora la famiglia? Sì,naturalmente; ma il divorzio,la convivenza, le relazioni

omosessuali, i rapporti d’amore sen-za convivenza, la rivoluzione deiruoli di mamma e papà hanno creatooggi famiglie di tipologie molto di-verse.

Come affrontare allora questonuovo scenario, come aiutare i no-stri figli a comprenderlo, come inse-gnare a noi stessi a coltivarlo? Conquesto libro saggiamente allegroBruno Contigiani ci spiega che ilbuon senso non va d’accordo con lafermezza e che l’amore per se stessiè l’esatto contrario dell’egoismo.“Chi va piano. Piccole alchimie pergrandi sentimenti” (Casa editriceRizzoli) è un manuale di auto-aiutounico nel suo genere, un continuoinvito ad ap-prezzare legioie dellanuova normali-tà. La domandache l’autore ri-volge ai suoilettori è moltosemplice: sei si-curo che le coseche ti tormenta-no siano davverodei problemi?

Bruno Conti-giani è anche ilpresidente del-l ’Assoc iaz ioneOnlus “Vivere conlentezza”, che sioccupa di educa-zione e comunica-zione sociale sullepolitiche del temponelle aree del mondo in cui il benes-sere economico è già diffuso, e chesostiene l’autonomia e lo svilupponelle aree povere o con disegua-glianze sociali. È nata alla fine del2005 da un gruppo di persone im-merse nella frenesia della vita diogni giorno, che hanno iniziato aporsi domande sulla propria insod-disfazione.

Lo scopo dell’Associazione ècondividere e diffondere idee chepossano migliorare la qualità dellavita. Per questo organizza eventiculturali (tra i quali la “GiornataMondiale della Lentezza” e il festi-val letterario “Leggevamo quattrolibri al bar”), dibattiti e convegni neiquali ci si confronta su temi cosìdifficilmente misurabili come iltempo e la felicità.

Il primo saggio che hai pubbli-cato, “Vivere con lentezza” (OrmeEditori) è un invito a prendersi ipropri tempi, piuttosto che soc-combere alla frenesia del quoti-diano. In “Chi va piano” (Rizzoli)proponi di applicare questo prin-cipio alle relazioni d’amore. Per-ché hai desiderato scrivere questolibro?

Ci sono momenti, nella vita, incui ci troviamo a un bivio: lì possia-mo dare il nostro meglio, oppure ilnostro peggio. È una scelta. Quan-do ci si lascia, ad esempio, comeaccade sempre più spesso, si puòscegliere di dilaniarsi e farsi laguerra, oppure di continuare a ri-spettarsi reciprocamente. Io raccon-to una storia, la mia, riflessa negliocchi delle donne. Non pretendo di

i n s e g n a r enulla: dicosolo come hofatto, comeavrei potutofare, e comesarebbe sta-to meglionon avessifatto.

Nel libroa f f e r m iche i padris e p a r a t i“non san-no cuci-nare, non

sanno fare la spesa, non sanno ac-cudire, ma principalmente nonsanno riempire il tempo che tra-scorrono con i figli.” Perché, se-condo te, le cose starebbero inquesto modo?

Potrei incolpare le mamme italia-ne, ma non sarebbe giusto. Noi uo-

mini siamo molto abituati a indicaredelle strade; i nostri figli ci guarda-no, talvolta ci giudicano e control-lano se quelle strade le percorriamoanche noi. Certe volte ci chiedonodi fare dei tratti insieme a loro: inquel momento dobbiamo ascoltarlie cercare di capire che cosa vera-mente ci vogliono dire. Senza conti-nuare a porre loro delle domande,che magari ci fanno sentire miglio-ri, ma le cui risposte non arriveran-no mai, oppure arriveranno solo nellinguaggio cifrato che tanto ci fasoffrire. Come va? Bene – Dovevai? Esco – Ti piace? Non lo so.

Nel tuo libro parli anche dell’in-vidia che alcuni provano per la fe-licità degli altri. È un problemache senti in modo particolare?

L’invidia, tra i cosiddetti vizi ca-pitali, è forse quella che ha causatole maggiori sciagure all’umanità.Ne “L’Uccello dipinto” di Kosinskysi racconta che nei gruppi di noma-

di bisognava stare molto attentiquando si scoppiava a ridere: se iltuo vicino riusciva a contarti i dentimentre eri a bocca aperta, sarestimorto entro l’anno. L’invidia fapaura. Mi colpisce che molti, ancheamici, non sappiano godere delletue piccole gioie, fosse anche unavincita minuscola al Gratta e Vinci.Ci sono amici che ti accettano soloquando le cose ti vanno male e nonsopportano i tuoi cambiamenti. Iocredo che gli amici si vedano moltoanche nei momenti felici, non soloin quelli “del bisogno”.

Che senso ha per te la famiglia,e in che modo, oggi, ne vedi unapossibile?

Gira e rigira la famiglia contaancora tanto, solo che sta cambian-do architettura. Resta un nucleo diaffetti, di relazioni, di progetti in co-mune, di rispetto e di regole condi-vise. Dopodiché, allargata o ristret-ta, verticale o orizzontale, tradizio-nale o di genere, su queste basi puòfunzionare. Ci si può separare, mail reciproco sostegno non dovrebbemai mancare. “Per allevare un fi-glio ci vuole un villaggio”, dice unvecchio proverbio africano. Inoltrela famiglia va vissuta in modo tridi-mensionale, nel rispetto di sé, deglialtri, dell’ambiente e del mondo.

“L’invidia,tra i cosiddettivizi capitali,è forsequella che ha causatole maggiori sciagureall’umanità”

Incontro con Bruno Contigiani, autore del gustoso saggio “Chi va piano”

La famiglia di una volta e ora la “nuova” famiglia

Raccontidi Ennio Montesi

Ènelle librerie pubblicato dall’editore Mursia “Rac-conti per non impazzire”, una serie di racconti de-dicati da Ennio Montesi all’amico Federico Fellini

a metà tra psicologia e fantasia, tra il concepibile e l’ir-realizzabile, nei quali i protagonisti vengo-no inghiottiti dalle proprie esistenze. Storietragiche, surreali e profondamente umane incui l’autore esercita la sua abilità narrativainducendo a frugare all’interno delle co-scienze e lasciando aperte diverse piste inter-pretative.

Ennio Montesi è autore di romanzi e sog-getti per la televisione e il cinema. Significa-tivo il suo scambio epistolare con lo scrittorestatunitense Henry Roth, che gli dedicò il rac-conto “Prosewriter’s Threnody”. Montesi èfondatore, insieme a Luigi Cascioli, di Axtei-smo, movimento internazionale di libero pen-siero, che concentra studiosi, cristologi laici,ricercatori, magistrati, scrittori e persone che non accetta-no imposizioni e influenze religiose.

Fa parte della Segreteria Nazionale del partito politicoDemocrazia Atea. Ennio Montesi

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di MARIA LUCIA RICCIOLI

La morte di Salinger ha scate-nato una piena di saggi e arti-coli. Quello scritto da Sandro

Veronesi, uscito su Repubblica il 19febbraio scorso, contiene un riferi-mento ai diari di Diderot che mi èsembrato illuminante: «[…] ognu-no, ha detto Diderot, si costruisceuna statua interiore, e lo fa nel mo-mento peggiore della propria vita,l’adolescenza, quando non sa ancoranulla di sé e del mondo, e non ha laminima idea di come si costruiscauna statua – e poi passa il resto deisuoi giorni a cercare di somigliarle.Se gli va bene arriva il momento incui se ne rende conto e comincia ademolirla, ma è impossibile sbaraz-zarsene del tutto, ed è per questoche nessuno riesce mai a essere feli-ce».

Tutto questo mi è venuto in mente(ri)leggendo il libro d’esordio diMavie Parisi, E sono creta che muta(Perrone Lab, Roma 2009, euro 18).

Cos’hanno a che fare Salinger eDiderot con una storia attuale cheintreccia telefonate, sms, trascrizio-ni di incontri in chat, appuntamentie uscite con le amiche, cene, bagnial mare e nuotate in piscina? Il tito-lo, tratto da una poesia di GiovanniPennisi, è evocativo e nello stessotempo programmatico: la nostra vo-lontà ma soprattutto la vita stessatendono a demolire o scalfire la sta-tua interiore che con caparbietàognuno di noi costruisce su più omeno illusorie certezze e vera sag-gezza forse è proprio quella di la-sciarsi mutare come la creta sotto ledita di un’invisibile artefice, senzarimpianti ma con la serenità di chi siadatta alla corrente della vita senzaostacolarla ma assecondandola.

La protagonista, Kita Narea, portanell’animo i segni della recente se-

parazione. L’ansia diricostruirsi una vita –sentimentale ma an-che professionale efamiliare: l’arte comeridefinizione di sé euna maternità ricom-posta e più consapevo-le – la portano agli in-contri virtuali e realidelle chat, ad un alcoli-smo “domestico” manon meno pericolosodella dipendenza tossi-ca.

L’idea di corrente, distream come i flussi diinformazioni di Facebo-ok, non è solo contenu-tistica: situazioni e dia-loghi scorrono con flui-dità e Mavie Parisi èabile nel farci immerge-re nella liquidità dellavita di tutti i giorni. Lanarrazione si dipana sen-za strappi o stacchi bru-schi, con un linguaggiosemplice che però scavanelle psicologie dei per-sonaggi.

Kita usa il pc come unospecchio dei propri desi-deri, delle proprie angosce. Cercatra le righe delle conversazioni unafrase, una parola che dia un nomealla propria ricerca. Come nellequêtes medievali, il senso del viag-gio sta nel viaggio stesso. Alla finedel romanzo, che non è una vera epropria conclusione – proprio comenella vita – ma una tappa, uno sta-dio incompleto ancora ma più con-scio della statua di creta che è la suaesistenza, Kita accetterà il cambia-mento come crescita.

Il classico romanzo di formazio-ne, il Bildungsroman, qui è un ro-manzo di trasformazione, di scom-

po-sizione e ricomposizione di sé, incui l’arte è catarsi e conforto, l’ami-cizia e l’amore sostegni, puntelli. Latecnica utilizzata – alternanza di ca-pitoli in prima e in terza persona –permette al lettore di osservare lavita della protagonista da angolaturedifferenti.

Le finestre della Bovary qui sonole finestrelle dei programmi perchattare, schermi che sono difesa ol-tre che sguardo virtuale sul mondosconfinato delle solitudini. L’azionequi è tutta interiore e non c’è biso-gno di effetti o colpi di scena perappassionarsi alle vicende di Kita,Stefano, Damiano, dei figli di Kita

disorientati dalla separazionedei genitori ma pronti a recepiregli umori della madre, delleamiche pronte a dispensareconsigli di sopravvivenza purvivendo al pari di Kita le esi-stenze complicate del nostrovivere attuale.

Il libro è stato presentato neldicembre 2009 a Palazzo Be-neventano, a Catania, a Roma,al Biblios cafè di Siracusa, aPalermo e in varie altre locali-tà. Ed ora qualche domandaall’autrice.

Come sei riuscita a darvoce – scusa il bisticcio – alla voceinteriore di Kita? Cosa ti ha ispi-rata aiutandoti a trovare la tuavoce personale?

Penso che ognuno di noi prima diessere uno scrittore sia un lettore,ed in quanto tale abbia dei generipreferiti. Da sempre ho amato leg-gere romanzi in cui la vicenda este-riore fosse solo un pretesto per darevoce all’interiorità. Qualcosa chedesse gli strumenti per compiereuno scavo psicologico all’internodelle relazioni umane, dei sentimen-ti e della maniera di gestirli. Piùche un’ispirazione è stata quindiuna necessità, la necessità di scrive-re io stessa di cose che mi piaceva

leggere e sulle quali mi piaceva sof-fermarmi a pensare.

Ti ritrovi nella definizione di“cantrice del quotidiano”?

Mi calza a pennello perché mipermette di compiere e di far com-piere un processo di identificazioneche renda empatico il mio rapportocon i lettori.

Hai mantenuto per tutto il libroun tono semplice – apparente-mente semplice, direi, dato chescava in profondità nelle psicolo-gie dei personaggi –: in che modoil tema del tuo romanzo hannocondizionato il tuo stile di scrittu-ra?

Questo ha condizionato molto ilmio linguaggio. La sua semplicitàderiva dall’esigenza che le parolearrivino al cuore prima ancora cheal cervello. So che molti critiche-ranno questo concetto, ma per me lascrittura è l’arte di emozionare pri-ma e far riflettere poi attraverso leparole. È un’arte che guarda e ri-flette ciò su cui ha puntato lo sguar-do, attraverso la mediazione delloscrittore.

Quali libri e quali autori ti han-no ispirata nella tua esplorazionedel quotidiano e dell’interiorità?Come ho già avuto modo di dire,ogni autore e ogni autrice che abbiacantato l’epica del quotidiano e diquesto quotidiano abbia saputo tro-vare i risvolti interiori, è stato fontedi ispirazione. Un nome tra tanti, laWharton tra le autrici del secoloscorso. Anne Tyler nel contempora-neo. Nella quarta di copertina di unlibro di quest’ultima si legge che leiriesce a narrare storie tanto comuniquanto irripetibili. E ciò che rendeparticolare, o appunto irripetibileuna vicenda comune è la vita inte-riore che la percorre e la sottende.Il libro al quale mi riferisco è “Le-zione di respiro” con il quale la Ty-ler ha vinto il Pulitzer nel 1988. Maavrei potuto citare qualunque altrosuo libro, per esempio “Un matri-monio da dilettanti”.

A che cosa stai lavorando inquesto momento? Hai un nuovoprogetto di scrittura?

Sto scrivendo un altro romanzo.Questo secondo romanzo, a diffe-renza del primo, avrà come prota-gonista un uomo. La scelta è statacompiuta da tempo, ma ultimamenteè stata rafforzata dai commenti deilettori che hanno mostrato di ap-prezzare la mia capacità di penetra-re il mondo maschile e di rappre-sentarlo. Voglio inoltre addentrarminelle ossessioni e nei disturbi psico-logici. Alla McGrath o alla McEwan, per intenderci, senza peròabbandonare l’idea che anche ciòche apparentemente è inusuale, inrealtà fa parte del quotidiano dimolte storie.

Nuova ristampa di “Giorni di mafia” di Roberta D’Aquino

Significativo vademecum per non dimenticare

Cultura 27

La Voce dell’Isola n. 9~10 27 maggio 2010

di DOMENICO COCO

Nel deludente panorama della visibilitàdell’editoria locale, il libro della ricerca-trice Roberta D’Aquino “Giorni di ma-

fia” riesce ad essere una eccezione: migliaia dicopie vendute, diverse ristampe. Sorge sponta-nea la domanda: è soltanto l’argomento “mafia”che attira i lettori siciliani? Riteniamo che nonsia così, ma che si tratti, invece, del modo comela questione sia stata affrontata.

Innanzitutto c’è da rilevare l’impegno di que-sta giovane ventiseienne, laureata in Giurispru-denza, che attualmente svolge il ruolo di ricerca-trice presso l’ateneo catanese, mentre fa praticaper conseguire l’abilitazione in Avvocatura: Ro-berta D’Aquino non è solo una studiosa dei fe-nomeni legati alla grande criminalità organizza-ta, ma è anche una studiosa interessata a com-prendere la questione siciliana nella sua essenza.Non suoni strana la sua prima tesi presentata perconseguire il diploma degli studi superiori, “Si-cilianità e Sicilitudine”, e la tesi di laurea, “Unaautonomia difficile: genesi e storia dello StatutoSiciliano”.

Roberta D’Aquino è scesa in campo conquanti si sono voluti organizzare per lottare la

mafia: “A pochi giorni dalla commemorazionedella strage di Capaci, in cui morirono il giudiceGiovanni Falcone, la moglie Francesca Morvilloe gli uomini della scorta, mi sono trovata a fareuna riflessione che pone al centro, per una volta,l’aspetto psicologico, introspettivo, la considera-zione di questi eroi come uomini, con le loro le-gittime paure che mai però sconfinarono nellavigliaccheria.

Tra la fine degli Anni ’80 e gli inizi degli An-ni ’90, mentre la città di Palermo, dilaniata dailutti, si svegliava lentamente dal torpore, inizia-vano a vedersi cortei antimafia, attorno alle fi-gure dei Giudici si condensava un’atmosfera in-trisa di invidia, malumori, fatta di parole sussur-rate, di altre non dette, di corvi che misteriosa-mente aleggiavano dentro e fuori il Palazzo diGiustizia. In quel clima quegli uomini continua-rono a lavorare e a condurre la vera lotta allamafia in Sicilia”, afferma la ricercatrice.

Probabilmente questo senso della consapevo-lezza verso l’abnegazione di quegli Uomini-Giudici ha spinto Roberta D’Aquino a scrivere“Giorni di mafia”, ed a procedere nel suo impe-gno, quale testimonianza, di una Siciliana chenon intende sottrarre il suo contributo ad unalotta che, prima o poi, otterrà il suo risultato.

Roberta D’AquinoGIORNI DI MAFIA

Biesse editricePagg. 286

Incontro con Mavie Parisi, autrice del romanzo “E sono creta che muta”

La cantrice del quotidianoche scava nelle profondità

La volontà ma soprattutto la vita stessatendono a demolire o scalfire la statuainteriore che con caparbietàognuno di noi costruisce su più o menoillusorie certezze

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