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CAPITOLO 277 INTRODUZIONE ALLE MALATTIE INFETTIVE 1837 277 INTRODUZIONE ALLE MALATTIE INFETTIVE: INTERAZIONI OSPITE-PATOGENO W. MICHAEL SCHELD Le malaie infeive hanno profondamente influenzato il corso della storia umana. Basti pensare che la cosiddea “morte nera” (causata da Yersinia pestis) ha modificato la struura sociale dell’Europa medioevale, colpendo circa un terzo della popolazio- ne. Altresì, i risultati di storiche campagne militari sono stati alterati dall’insorgenza di epidemie quali la dissenteria e il tifo. Ne sono esempi la ritirata di Napoleone dalla Russia, dopo che il tifo produsse più danni al suo esercito di quanto non fecero le forze avversarie; la decisione della Francia di vendere il territorio della Louisiana dopo la morte di soldati francesi contagiati dalla febbre gialla a Cuba e nella Co- sta del Golfo; l’introduzione del vaiolo tra la popolazione non immune del Nuovo Mondo da parte degli Europei per facilitarne la “conquista”, evento che segnò la na- scita dell’epoca coloniale. Analoga importanza ha avuto la malaria, che ha influenza- to il paern geografico e razziale e la distribuzione delle emoglobine e degli antigeni eritrocitari in Africa. La diffusione di Plasmodium falciparum è infai inibita dalla presenza dell’emoglobina S, e gli eritrociti di gruppo sanguigno Duffy-negativo sono resistenti all’infezione da Plasmodium vivax. Di conseguenza, nelle zone in cui la ma- laria è endemica, sono state selezionate popolazioni con questi faori eritrocitari. Le infezioni sono, inoltre, una delle cause principali di morbilità e mortalità nel mondo. Di circa 53 milioni di decessi avvenuti nel nostro pianeta nell’anno 2009, si stima che almeno un terzo siano da imputare a malaie infeive. Negli Stati Uniti, la polmonite è la quinta principale causa di morte tra tue le cause, e la più comune causa di morte dovuta a infezione. Al momento, la sindrome da immunodeficienza acquisita (Acquired ImmunoDeficiency Syndrome, AIDS) minaccia di distruggere la struura sociale di molti Paesi dell’Africa e sta avendo un enorme impao sul siste- ma sanitario degli Stati Uniti e di altre parti del mondo. Come noto, l’anno 2011 ha rappresentato il trentesimo “anniversario” dallo scatenarsi dell’epidemia dell’AIDS. Circa 35,3 milioni di persone in tuo il mondo sono aualmente infeate dal virus dell’immunodeficienza umano (Human Immunodeficiency Virus, HIV) e, dal 1981, circa 36 milioni di infei sono deceduti (circa 600 000 solo negli Stati Uniti). Di- mensioni ancora maggiori del problema si riscontrano nell’Africa sub-Sahariana, dove l’AIDS è al momento la principale causa di morte. Infezione può essere definita come la moltiplicazione di microbi (da virus a pa- rassiti pluricellulari) nei tessuti dell’ospite. L’ospite, tuavia, seppur infeo, può o meno essere sintomatico. Per esempio, l’infezione da HIV può essere caraerizzata da assenza di evidenti segni e sintomi di malaia per anni. Più precisamente, la defi- nizione di infezione dovrebbe includere la moltiplicazione dei microbi, non solo nei tessuti, ma anche sulla superficie o nelle cavità corporee dell’ospite con conseguenti segni e sintomi di malaia. Per esempio, ceppi di Escherichia coli in grado di produrre tossine possono moltiplicarsi nel lume intestinale e causare manifestazione diarroica senza invadere direamente i tessuti. Tale capacità di produrre tossine è inoltre una modalità con la quali i microbi, pur non entrando direamente in contao con l’o- spite, possono causare malaia. Ne è un esempio Clostridium botulinum, che è in gra- do di crescere in alcuni cibi preparati in modo non correo e di produrre una tossina che, qualora ingerita, può risultare letale. Anche un’infezione relativamente banale, come quella causata dal Clostridium tetani araverso una piccola ferita, può causare una malaia devastante a causa di una tossina rilasciata dal microrganismo. Oltre a questo, diversi faori di virulenza di cui i microrganismi sono dotati vengono tra- sportati in tandem nelle cosiddee isole di patogenicità del genoma (il “viruloma”). Noi tui viviamo immersi in un mare virtuale di microrganismi, e tue le nostre superfici corporee sono colonizzate da una flora baerica residente. Di fao, noi costituiamo un “super organismo” nel quale la flora baerica di cui siamo dotati pre- vale sulle nostre stesse cellule umane con un rapporto di 10:1. In realtà la presenza di tale fisiologica flora baerica ci protegge dalle infezioni. È noto infai che la riduzio- ne della normale colonizzazione dell’intestino aumenta la susceibilità a infezioni da parte di patogeni quali Salmonella enteriditis sierotipo typhimirium. I baeri che costituiscono la normale flora sono in grado di esercitare il loro effeo proteivo araverso diversi meccanismi: (1) utilizzando nutrienti e occupando una nicchia ecologica, in modo da competere con i patogeni; (2) producendo sostanze antibat- teriche che inibiscono la crescita di agenti patogeni; e (3) inducendo l’immunità dell’ospite che è cross-reaiva e pertanto capace di essere efficace anche nei con- fronti dei patogeni. Queste conclusioni possono tuavia apparire semplicistiche. Esempio della reale complessità delle interazioni tra uomo e normale flora baerica è la colonizzazione del trao gastrointestinale da parte di Bacteroides agilis; tale microrganismo esprime un polisaccaride baerico indispensabile per l’aivazione delle cellule dendritiche e per l’induzione di una risposta 1-mediata, cui conse- gue la presenza, a livello splenico, di un numero normale di cellule T CD4 + , dell’ade- guata architeura linfoide e dell’espansione del sistema linfocitico. In questo caso, una singola molecola baerica presente nel nostro intestino è necessaria per rendere quest’ultimo “immunologicamente aivo”. Ne consegue che un microbioma sano e diversificato è fondamentale per un’appropriata funzione del sistema immunitario. Anche il momento in cui avvengono cambiamenti del microbioma può essere di cruciale importanza. Per esempio è stato dimostrato che femmine di topo gravide alimentate con sostanze antibaeriche trasmeono il loro microbioma alterato alla prole. La prole, a sua volta, esibisce un ridoo numero totale e una minore diversifi- cazione dei microbi intestinali, fenomeno associato a un ridoo numero di neutro- fili sia circolanti che residenti nel midollo osseo. Questa modificata omeostasi dei neutrofili porta di conseguenza a un’alterata difesa dell’ospite e a un’aumentata su- sceibilità a sepsi da E. coli K1 e da Klebsiella pneumoniae, classici patogeni neonatali anche nell’uomo. 1 Oltretuo, poiché ai bambini vengono spesso prescrii multipli cicli di antibiotici, sarebbe utile capire se queste esposizioni (spesso non necessarie) possano predisporre al successivo sviluppo di disturbi ormai epidemici, quali asma, autoimmunità, malaie infiammatorie intestinali e obesità. In realtà solo poche specie microbiche possono essere considerate patogeni pri- mari, ed è stato dimostrato che, anche tra queste, un numero relativamente piccolo di cloni causa malaia. Basti pensare che la meningite meningococcica epidemica e la meningococcemia sono provocate da un limitato numero di cloni di Neisseria me- ningitidis; inoltre l’esplosione mondiale di ceppi di Streptococcus pneumoniae penicilli- no-resistenti può essere ridoa a pochi cloni originati nel Sudafrica e in Spagna. Que- sta osservazione supporta il conceo che i microrganismi patogeni si sono altamente adaati a una condizione di patogenicità e hanno sviluppato caraeristiche che li rendono capaci di essere trasmessi tra individui, di aderire alle superfici, di invadere i tessuti, di eludere le difese dell’ospite, e quindi di causare malaia. Al contrario, pato- geni cosiddei opportunisti causano malaia solo negli ospiti compromessi: questi microrganismi, spesso parte della normale flora saprofitica dei soggei sani, posso- no invece agire come invasori virulenti in pazienti con deficit gravi dei meccanismi immunitari di difesa. Un’infezione opportunistica è infai tradizionalmente definita come lo sfruamento di un ospite indebolito da stress psicologici o immunocompro- messo (o entrambi) da parte di patogeni relativamente “non-virulenti”; una defini- zione del genere tuavia rappresenta una semplificazione del fenomeno. Per esempio Pseudomonas aeruginosa riconosce l’aivazione dell’immunità dell’ospite araverso il legame dell’interferone-γ alla proteina di superficie OprF. Tale interazione a sua volta determina una iper-espressione di alcuni determinanti di virulenza quali PA-I (lecA) e piocianina, araverso un sistema di segnale chiamato “quorum sensing”. È chiaro quindi che i baeri hanno sviluppato un “sistema di contingenza” che permee loro di riconoscere precocemente le risposte immunologiche dell’ospite e, di conseguen- za, neutralizzare tale risposta con l’espressione dei propri faori di virulenza. L’acquisizione di microrganismi patogeni può verificarsi con diverse modalità. Una di queste è il contao direo, implicato per esempio nell’acquisizione della malaia stafilococcica. La diffusione aerea, che si esplica generalmente araver- so nuclei di goccioline, avviene invece in malaie respiratorie come l’influenza, la sindrome respiratoria acuta grave (Severe Acute Respiratory Syndrome, SARS), e la recentemente identificata sindrome respiratoria del Middle East (Middle East Re- spiratory Syndrome, MERS). L’acqua contaminata è il veicolo più comune nell’infe- zione da Giardia e nella febbre tifoide. Inoltre, malaie da intossicazione alimenta- re possono essere determinate da tossine extracellulari prodoe da Clostridium per- ingens e da Staphylococcus aureus. Il sangue e suoi derivati possono essere veori per la trasmissione dei virus dell’epatite B e C così come dell’HIV. Tali agenti, così come una varietà di altri patogeni, inclusi Treponema pallidum (sifilide), Neisseria gonorrhoeae (gonorrea) e Chlamydia trachomatis (uretrite aspecifica), possono es- sere trasmessi anche mediante contao sessuale. Il feto può infearsi ancora in ute- ro e, nel caso del virus della rosolia, citomegalovirus o parvovirus B19, l’infezione può addiriura essere devastante. Infine, responsabili della trasmissione di malaie infeive possono essere veori artropodi, come le zanzare nel caso della malaria e della dengue, le zecche per la malaia di Lyme e l’ehrlichiosi, e i pidocchi per il tifo. I patogeni sono in grado di causare malaia grazie a un insieme di adaamenti finemente regolati tra loro, tra i quali la capacità di aderire a specifiche cellule, spesso mediata da struure specializzate come i pili dei baeri Gram-negativi. Per esempio microbi come Shigella posseggono la capacità di invadere le cellule e di danneggiarle, mentre le tossine possono agire a distanza o colpire solo le cellule infee. È sorpren- dente come i patogeni siano in grado di contrastare le difese dell’ospite araverso una varietà di ingegnose modalità. Lo strato anti-fagocitico di pneumococco ne è solo un esempio. Infai, alcuni organismi, come il virus dell’influenza e i tripanosomi, possono addiriura mutare la loro composizione antigenica di superficie a un ritmo sorprendentemente rapido al fine di boicoare il sistema immunitario dell’ospite. Altri patogeni (per es., Toxoplasma gondii) hanno invece la capacità di inibire l’ai- vazione dei fagociti a livello respiratorio, e altri (come Streptococcus pyogenes) sono in grado di distruggere le cellule immunitarie che li hanno fagocitati. Altro faore che gioca un ruolo importante nell’infezione, sia nella trasmissione che nella capacità dell’ospite di combaere l’agente estraneo, è l’ambiente. L’umidità e la temperatura

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CAPITOLO 277 INTRODUZIONE ALLE MALATTIE INFETTIVE 1837

277INTRODUZIONE ALLE MALATTIE INFETTIVE: INTERAZIONI OSPITE-PATOGENOW. MICHAEL SCHELD

Le malattie infettive hanno profondamente influenzato il corso della storia umana. Basti pensare che la cosiddetta “morte nera” (causata da Yersinia pestis) ha modificato la struttura sociale dell’Europa medioevale, colpendo circa un terzo della popolazio-ne. Altresì, i risultati di storiche campagne militari sono stati alterati dall’insorgenza di epidemie quali la dissenteria e il tifo. Ne sono esempi la ritirata di Napoleone dalla Russia, dopo che il tifo produsse più danni al suo esercito di quanto non fecero le forze avversarie; la decisione della Francia di vendere il territorio della Louisiana dopo la morte di soldati francesi contagiati dalla febbre gialla a Cuba e nella Co-sta del Golfo; l’introduzione del vaiolo tra la popolazione non immune del Nuovo Mondo da parte degli Europei per facilitarne la “conquista”, evento che segnò la na-scita dell’epoca coloniale. Analoga importanza ha avuto la malaria, che ha influenza-to il pattern geografico e razziale e la distribuzione delle emoglobine e degli antigeni eritrocitari in Africa. La diffusione di Plasmodium falciparum è infatti inibita dalla presenza dell’emoglobina S, e gli eritrociti di gruppo sanguigno Duffy-negativo sono resistenti all’infezione da Plasmodium vivax. Di conseguenza, nelle zone in cui la ma-laria è endemica, sono state selezionate popolazioni con questi fattori eritrocitari.

Le infezioni sono, inoltre, una delle cause principali di morbilità e mortalità nel mondo. Di circa 53 milioni di decessi avvenuti nel nostro pianeta nell’anno 2009, si stima che almeno un terzo siano da imputare a malattie infettive. Negli Stati Uniti, la polmonite è la quinta principale causa di morte tra tutte le cause, e la più comune causa di morte dovuta a infezione. Al momento, la sindrome da immunodeficienza acquisita (Acquired ImmunoDeficiency Syndrome, AIDS) minaccia di distruggere la struttura sociale di molti Paesi dell’Africa e sta avendo un enorme impatto sul siste-ma sanitario degli Stati Uniti e di altre parti del mondo. Come noto, l’anno 2011 ha rappresentato il trentesimo “anniversario” dallo scatenarsi dell’epidemia dell’AIDS. Circa 35,3 milioni di persone in tutto il mondo sono attualmente infettate dal virus dell’immunodeficienza umano (Human Immunodeficiency Virus, HIV) e, dal 1981, circa 36 milioni di infetti sono deceduti (circa 600 000 solo negli Stati Uniti). Di-mensioni ancora maggiori del problema si riscontrano nell’Africa sub-Sahariana, dove l’AIDS è al momento la principale causa di morte.

Infezione può essere definita come la moltiplicazione di microbi (da virus a pa-rassiti pluricellulari) nei tessuti dell’ospite. L’ospite, tuttavia, seppur infetto, può o meno essere sintomatico. Per esempio, l’infezione da HIV può essere caratterizzata da assenza di evidenti segni e sintomi di malattia per anni. Più precisamente, la defi-nizione di infezione dovrebbe includere la moltiplicazione dei microbi, non solo nei tessuti, ma anche sulla superficie o nelle cavità corporee dell’ospite con conseguenti segni e sintomi di malattia. Per esempio, ceppi di Escherichia coli in grado di produrre tossine possono moltiplicarsi nel lume intestinale e causare manifestazione diarroica senza invadere direttamente i tessuti. Tale capacità di produrre tossine è inoltre una modalità con la quali i microbi, pur non entrando direttamente in contatto con l’o-spite, possono causare malattia. Ne è un esempio Clostridium botulinum, che è in gra-do di crescere in alcuni cibi preparati in modo non corretto e di produrre una tossina che, qualora ingerita, può risultare letale. Anche un’infezione relativamente banale, come quella causata dal Clostridium tetani attraverso una piccola ferita, può causare una malattia devastante a causa di una tossina rilasciata dal microrganismo. Oltre a questo, diversi fattori di virulenza di cui i microrganismi sono dotati vengono tra-sportati in tandem nelle cosiddette isole di patogenicità del genoma (il “viruloma”).

Noi tutti viviamo immersi in un mare virtuale di microrganismi, e tutte le nostre superfici corporee sono colonizzate da una flora batterica residente. Di fatto, noi costituiamo un “super organismo” nel quale la flora batterica di cui siamo dotati pre-vale sulle nostre stesse cellule umane con un rapporto di 10:1. In realtà la presenza di tale fisiologica flora batterica ci protegge dalle infezioni. È noto infatti che la riduzio-ne della normale colonizzazione dell’intestino aumenta la suscettibilità a infezioni da parte di patogeni quali Salmonella enteriditis sierotipo typhimirium. I batteri che costituiscono la normale flora sono in grado di esercitare il loro effetto protettivo attraverso diversi meccanismi: (1) utilizzando nutrienti e occupando una nicchia ecologica, in modo da competere con i patogeni; (2) producendo sostanze antibat-teriche che inibiscono la crescita di agenti patogeni; e (3) inducendo l’immunità dell’ospite che è cross-reattiva e pertanto capace di essere efficace anche nei con-fronti dei patogeni. Queste conclusioni possono tuttavia apparire semplicistiche. Esempio della reale complessità delle interazioni tra uomo e normale flora batterica è la colonizzazione del tratto gastrointestinale da parte di Bacteroides fragilis; tale microrganismo esprime un polisaccaride batterico indispensabile per l’attivazione

delle cellule dendritiche e per l’induzione di una risposta Th1-mediata, cui conse-gue la presenza, a livello splenico, di un numero normale di cellule T CD4+, dell’ade-guata architettura linfoide e dell’espansione del sistema linfocitico. In questo caso, una singola molecola batterica presente nel nostro intestino è necessaria per rendere quest’ultimo “immunologicamente attivo”. Ne consegue che un microbioma sano e diversificato è fondamentale per un’appropriata funzione del sistema immunitario. Anche il momento in cui avvengono cambiamenti del microbioma può essere di cruciale importanza. Per esempio è stato dimostrato che femmine di topo gravide alimentate con sostanze antibatteriche trasmettono il loro microbioma alterato alla prole. La prole, a sua volta, esibisce un ridotto numero totale e una minore diversifi-cazione dei microbi intestinali, fenomeno associato a un ridotto numero di neutro-fili sia circolanti che residenti nel midollo osseo. Questa modificata omeostasi dei neutrofili porta di conseguenza a un’alterata difesa dell’ospite e a un’aumentata su-scettibilità a sepsi da E. coli K1 e da Klebsiella pneumoniae, classici patogeni neonatali anche nell’uomo.1 Oltretutto, poiché ai bambini vengono spesso prescritti multipli cicli di antibiotici, sarebbe utile capire se queste esposizioni (spesso non necessarie) possano predisporre al successivo sviluppo di disturbi ormai epidemici, quali asma, autoimmunità, malattie infiammatorie intestinali e obesità.

In realtà solo poche specie microbiche possono essere considerate patogeni pri-mari, ed è stato dimostrato che, anche tra queste, un numero relativamente piccolo di cloni causa malattia. Basti pensare che la meningite meningococcica epidemica e la meningococcemia sono provocate da un limitato numero di cloni di Neisseria me-ningitidis; inoltre l’esplosione mondiale di ceppi di Streptococcus pneumoniae penicilli-no-resistenti può essere ridotta a pochi cloni originati nel Sudafrica e in Spagna. Que-sta osservazione supporta il concetto che i microrganismi patogeni si sono altamente adattati a una condizione di patogenicità e hanno sviluppato caratteristiche che li rendono capaci di essere trasmessi tra individui, di aderire alle superfici, di invadere i tessuti, di eludere le difese dell’ospite, e quindi di causare malattia. Al contrario, pato-geni cosiddetti opportunisti causano malattia solo negli ospiti compromessi: questi microrganismi, spesso parte della normale flora saprofitica dei soggetti sani, posso-no invece agire come invasori virulenti in pazienti con deficit gravi dei meccanismi immunitari di difesa. Un’infezione opportunistica è infatti tradizionalmente definita come lo sfruttamento di un ospite indebolito da stress psicologici o immunocompro-messo (o entrambi) da parte di patogeni relativamente “non-virulenti”; una defini-zione del genere tuttavia rappresenta una semplificazione del fenomeno. Per esempio Pseudomonas aeruginosa riconosce l’attivazione dell’immunità dell’ospite attraverso il legame dell’interferone-γ alla proteina di superficie OprF. Tale interazione a sua volta determina una iper-espressione di alcuni determinanti di virulenza quali PA-I (lecA) e piocianina, attraverso un sistema di segnale chiamato “quorum sensing”. È chiaro quindi che i batteri hanno sviluppato un “sistema di contingenza” che permette loro di riconoscere precocemente le risposte immunologiche dell’ospite e, di conseguen-za, neutralizzare tale risposta con l’espressione dei propri fattori di virulenza.

L’acquisizione di microrganismi patogeni può verificarsi con diverse modalità. Una di queste è il contatto diretto, implicato per esempio nell’acquisizione della malattia stafilococcica. La diffusione aerea, che si esplica generalmente attraver-so nuclei di goccioline, avviene invece in malattie respiratorie come l’influenza, la sindrome respiratoria acuta grave (Severe Acute Respiratory Syndrome, SARS), e la recentemente identificata sindrome respiratoria del Middle East (Middle East Re-spiratory Syndrome, MERS). L’acqua contaminata è il veicolo più comune nell’infe-zione da Giardia e nella febbre tifoide. Inoltre, malattie da intossicazione alimenta-re possono essere determinate da tossine extracellulari prodotte da Clostridium per-fringens e da Staphylococcus aureus. Il sangue e suoi derivati possono essere vettori per la trasmissione dei virus dell’epatite B e C così come dell’HIV. Tali agenti, così come una varietà di altri patogeni, inclusi Treponema pallidum (sifilide), Neisseria gonorrhoeae (gonorrea) e Chlamydia trachomatis (uretrite aspecifica), possono es-sere trasmessi anche mediante contatto sessuale. Il feto può infettarsi ancora in ute-ro e, nel caso del virus della rosolia, citomegalovirus o parvovirus B19, l’infezione può addirittura essere devastante. Infine, responsabili della trasmissione di malattie infettive possono essere vettori artropodi, come le zanzare nel caso della malaria e della dengue, le zecche per la malattia di Lyme e l’ehrlichiosi, e i pidocchi per il tifo.

I patogeni sono in grado di causare malattia grazie a un insieme di adattamenti finemente regolati tra loro, tra i quali la capacità di aderire a specifiche cellule, spesso mediata da strutture specializzate come i pili dei batteri Gram-negativi. Per esempio microbi come Shigella posseggono la capacità di invadere le cellule e di danneggiarle, mentre le tossine possono agire a distanza o colpire solo le cellule infette. È sorpren-dente come i patogeni siano in grado di contrastare le difese dell’ospite attraverso una varietà di ingegnose modalità. Lo strato anti-fagocitico di pneumococco ne è solo un esempio. Infatti, alcuni organismi, come il virus dell’influenza e i tripanosomi, possono addirittura mutare la loro composizione antigenica di superficie a un ritmo sorprendentemente rapido al fine di boicottare il sistema immunitario dell’ospite. Altri patogeni (per es., Toxoplasma gondii) hanno invece la capacità di inibire l’atti-vazione dei fagociti a livello respiratorio, e altri (come Streptococcus pyogenes) sono in grado di distruggere le cellule immunitarie che li hanno fagocitati. Altro fattore che gioca un ruolo importante nell’infezione, sia nella trasmissione che nella capacità dell’ospite di combattere l’agente estraneo, è l’ambiente. L’umidità e la temperatura

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CAPITOLO 278 Il mIcrobIoma umano 1838

278IL MICROBIOMA UMANOILSEUNG CHO E MARTIN J. BLASER

Fino a non molto tempo fa, la nostra conoscenza sul microbiota umano (prece-dentemente denominato “normale flora commensale”) è stata inficiata dai limiti nelle tecniche di isolamento dei microbi basate su metodi colturali tradizionali. L’introduzione di analisi basate sul DNA ha tuttavia ampliato i nostri orizzonti fornendo un’enorme quantità di nuovi dati, che hanno consentito l’estrazione di informazioni sulla composizione e le proprietà funzionali delle nostre comunità microbiche residenti (il microbioma umano) e i loro geni (il metagenoma). Negli

e la causa per cui le infezioni sono più gravi in alcune persone rispetto ad altre. Al momento attuale varianti di geni che codificano per molecole implicate nell’ade-sione, nel riconoscimento del patogeno, nella risposta infiammatoria citochinica e nell’immunità innata e adattativa vengono identificate a un ritmo stupefacente.

IMMUNITÀ INNATAQuello dell’immunità innata è il campo più attivo nell’immunologia applicata alle malattie infettive. L’identificazione di specifici recettori di riconoscimento (per es., i recettori Toll-like e i recettori nucleotide oligomerization domain-like) che ri-conoscono pattern molecolari associati al patogeno, così come sostanze endogene che riflettono il danno tissutale (per es., l’allarmina), hanno rivoluzionato la nostra comprensione della risposta precoce all’infezione. Agonisti e antagonisti dei re-cettori Toll-like sono già stati inseriti in trial clinici come terapie adiuvanti o per migliorare l’immunogenicità dei vaccini. Un’altra area che è stata recentemente esplorata è lo studio dei peptidi antimicrobici (per es., defensina, catecidina, istati-na, galectina) e il loro ruolo nella risposta precoce alle malattie infettive.

RESISTENZA ANTIMICROBICALo sviluppo di nuovi agenti antibatterici è rallentato malgrado il crescente proble-ma dell’antibiotico-resistenza. Tale divergenza è stata l’argomento di incontri tra in-dustrie farmaceutiche, l’Infectious Diseases Society of America e la U.S. Food and Drug Administration, e a livello internazionale. La presenza di pneumococci mul-ti-resistenti, la resistenza alla vancomicina insorta in S. aureus e negli enterococchi e, forse ancora più importante, la diffusione di bacilli Gram-negativi multiresistenti ne sono solo pochi esempi. Alcuni bacilli Gram-negativi multiresistenti sono ormai suscettibili solo a pochi agenti considerati ultima risorsa, quali la colistina e la tige-ciclina; altri sono davvero intrattabili. Sfortunatamente, si è ancora lontani anni se non decenni dall’introduzione di nuovi agenti attivi contro questi ceppi.

IL RUOLO DEGLI AGENTI INFETTIVI NELLE MALATTIE CRONICHE

Molte cosiddette malattie idiopatiche possono avere una base infettiva. Condizioni croniche per cui esiste qualche evidenza (ma non prove conclusive) di una base infettiva comprendono il diabete, l’aterosclerosi, la leucemia acuta, le patologie vascolari del collagene e le malattie infiammatorie intestinali. L’individuazione at-traverso nuove tecniche, come l’analisi dell’RNA 16S, di microrganismi “non colti-vabili” può svelare agenti responsabili di malattie “non infettive” o suggerire un loro ruolo in condizioni che sono considerate infettive ma in cui il o i patogeni sono dibattuti (per es., le vaginosi batteriche). In aggiunta, è noto che il virus dell’epatite C, il papillomavirus umano e l’Helicobacter pylori sono causa di tumori nell’uomo. Inoltre, cambiamenti nel nostro microbioma possono generare malattia. Altera-zioni nel microbioma intestinale infatti sono associate all’obesità. Un altro recente esempio deriva da esperimenti con topi deficitari di TLR5. Questi topi sviluppano iperfagia e caratteristiche tipiche della sindrome metabolica, incluse iperlipidemia, ipertensione, insulino-resistenza e un’aumentata adiposità, in associazione a un’al-terazione nel microbioma intestinale. In più, il trasferimento di tale microbioma modificato in topi wild-type non colonizzati da germi induce la maggior parte delle caratteristiche della sindrome metabolica anche nei riceventi. La diffusione di nuo-ve conoscenze sul ruolo del microbioma umano sullo stato di salute e di malattia è stato così rapido e profondo nell’ultimo decennio che abbiamo pensato di dedica-re a questo argomento un capitolo separato (vedi Cap. 279).

BiBliografia generale

Per la bibliografia generale e gli altri contenuti aggiuntivi, si invita a visitare il sito web: http://cecil.edizioniedra.it.

possono infatti influenzare la virulenza dei patogeni trasmessi per via aerea. Inoltre, lo stato igienico/sanitario del cibo e dell’acqua, purtroppo carente in molte aree del mondo in via di sviluppo, è un fattore importante nell’acquisizione di patogeni ente-rici e costituisce la principale causa di mortalità, morbilità e disabilità, così come di ritardo di sviluppo fisico e mentale e scarsa performance scolastica. Esempio eclatan-te dell’impatto dell’ambiente è costituito dalla malaria: infatti, sebbene sia noto che la trasmissione avviene attraverso le zanzare, l’associazione con “l’aria malsana” delle paludi la favorisce. Anche lo stato nutrizionale dell’ospite è un fattore significativo in alcune patologie infettive. È probabile che la carenza di micronutrienti contribuisca all’invasione e alla moltiplicazione di alcuni patogeni. È stato recentemente proposto un nuovo concetto secondo il quale le malattie infettive possono causare malnutri-zione attraverso un circolo vizioso che parte dalla diarrea, la quale causa disidratazio-ne e scarso apporto idrico; da ciò deriva diarrea secondaria associata ad arresto della crescita e ritardo di sviluppo intellettuale. In conclusione, lo stabilirsi di un’infezione è un gioco complicato di fattori che includono il microbioma, l’ospite e l’ambiente.

La risposta stessa dell’ospite all’infezione può essere causa di malattia. Per esempio, una pregressa infezione da Campylobacter jejuni è responsabile di circa il 40% dei casi di sindrome di Guillain-Barré. Si pensa che il meccanismo implicato sia la produzio-ne di anticorpi diretti contro il lipopolisaccaride di C. jejuni che cross-reagisce con i gangliosidi dei nervi periferici. Analogamente accade nel caso della meningite, in cui gran parte del danno è dovuta alla risposta dell’ospite all’invasione di batteri patogeni.

Seppur con le dovute eccezioni, le malattie infettive sono spesso trattabili e curabili. Per tale motivo è di vitale importanza formulare un’accurata diagnosi eziologica e impostare prontamente una terapia appropriata. Nelle infezioni acute come la polmonite, la meningite o la sepsi, la rapida istituzione della terapia può essere addirittura salvavita; per questo sarebbe opportuno formulare una diagno-si eziologica presuntiva ancora prima della diagnosi definitiva. Questa diagnosi presuntiva si basa sull’anamnesi, sull’esame obiettivo, sull’epidemiologia della ma-lattia nella comunità, e su metodiche rapide come l’osservazione microscopica di campioni con appropriata colorazione Gram o tecniche molecolari come la ricer-ca di antigeni o la reazione a catena della polimerasi (Polymerase Chain Reaction, PCR). Una terapia antimicrobica cosiddetta empirica può essere impostata inizial-mente nei confronti degli agenti eziologici sospetti, e deve essere successivamente rivalutata appena informazioni diagnostiche più definitive diventano disponibili.

Lo studio e la comprensione delle malattie infettive sono un processo dinami-co. A questa conclusione contribuiscono un numero di fattori o di argomenti di interesse attuale, compresi quelli di seguito illustrati.

INFEZIONI EMERGENTILa più importante infezione emergente è l’AIDS, ma recenti esempi che hanno avu-to un grande impatto sulla sanità pubblica negli Stati Uniti comprendono l’infezio-ne da S. aureus meticillino-resistente acquisito in comunità, un ceppo ipervirulento di Clostridium difficile, l’influenza H1N1 diffusasi nel 2009, e i batteri Gram-negati-vi multi-resistenti, tra cui le Enterobacteriaceae produttrici di carbapenamasi. Negli ultimi 70 anni sono state descritte più di 400 nuove infezioni emergenti; circa il 60% sono zoonosi associate ad aree geografiche considerate “calde”. La loro emer-genza è mediata in gran parte da fattori ecologici, socioeconomici e ambientali.2

GENOMICA E ALTRE “OMICHE”Al momento è stata determinata la precisa sequenza del genoma di più di 2000 microbi che causano malattia nell’uomo. Questa nuova informazione, insieme a informazioni genomiche derivanti da organismi multicellulari come la zanzara Anopheles, rappresenta un’importante promessa per lo sviluppo di nuove terapie e di vaccini. Infatti, un’attenta analisi dei genomi dei patogeni potrà fornire infor-mazioni importanti circa la patogenesi delle infezioni. Per esempio, il sequenzia-mento del genoma di streptococchi di gruppo A, unito all’acquisizione nel corso del tempo di importanti informazioni cliniche, ha permesso di riconoscere nuovi determinanti genici (spesso attraverso profagi) responsabili di aumentata virulen-za e di complicanze infettive quali la sindrome da shock tossico, la fascite necrotiz-zante o entrambe, anche in un singolo paziente con campioni sequenziali. Pertan-to, branche scientifiche come la proteomica, la trascrittomica, la metabolomica e la virulomica hanno trasformato la ricerca sulle malattie infettive e promettono un significativo progresso nella diagnostica e nella terapia nel futuro.

FATTORI GENETICI CHE ALTERANO LA SUSCETTIBILITÀ ALLE INFEZIONI E LA RISPOSTA ALLE MALATTIE INFETTIVE

Questo campo promette nuove e significative informazioni relative a un’ampia va-rietà di risposte alle malattie infettive nell’uomo. Per esempio, è stato dimostrato che una risposta iper-energica, con conseguente produzione di fattore di necrosi tissutale α, potrebbe accentuare lo sviluppo di complicanze cerebrali nella ma-laria da P. falciparum. L’analisi di polimorfismi a singolo nucleotide del genoma umano potrebbe inoltre condurre a una migliore comprensione di due fonda-mentali problematiche nelle malattie infettive: la causa per cui malattie invasive si sviluppano solo in una limitata frazione di individui con un determinato genoma,

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ultimi anni sono stati effettuati grandi progressi nella caratterizzazione della com-posizione del “normale” microbioma nei soggetti sani.1 I principali pattern di rag-gruppamento in alcuni siti corporei, come il tratto gastrointestinale, forniscono nuove modalità per classificare gli individui e, possibilmente, anche il loro rischio di malattia. Sono stati fatti notevoli progressi nel definire i principali concetti in questo campo, tuttavia l’argomento è vasto e numerose sono le implicazioni per lo stato di salute e di malattia dell’uomo. Sebbene sia stata posta maggiore atten-zione sui batteri, sono necessari approfondimenti anche su eucarioti, archea, virus e retrovirus.

CARATTERIZZAZIONE DEL MICROBIOMADa centinaia di milioni di anni gli animali sono colonizzati da microbi residenti; il confronto delle caratteristiche filogenetiche degli ospiti animali e del loro mi-crobiota suggerisce l’esistenza di una specifica selezione basata su meccanismi di co-adattamento. Le interazioni congiunte tra i microbi e i rispettivi ospiti implicano la loro partecipazione in funzioni dell’ospite quali la difesa, il metabolismo e la ri-produzione. La composizione del microbioma varia in base al sito anatomico (Fig. 278-1). Infatti, il principale determinante della composizione batterica è proprio la localizzazione anatomica, tanto che gli individui possono essere classificati se-condo il tipo di batteri maggiormente rappresentati in siti specifici, come il tratto gastrointestinale. Tuttavia, semplici modifiche alimentari possono rapidamente causare cambiamenti sostanziali nella composizione e nella funzionalità intestinale. Analogamente, il microbiota naso-faringeo nei bambini cambia con ritmo stagiona-le, e quello vaginale può variare in rapporto al ciclo mestruale. Il microbiota di un individuo sembra inoltre presentare un pattern ospite-specifico, anche se importan-ti perturbazioni quali l’esposizione antibiotica o le infezioni enteriche possono por-tare a un disequilibrio transitorio o al raggiungimento di un nuovo stato di stabilità.

Tra i mammiferi il microbiota è ampiamente conservato ad alti livelli tassono-mici, anche se le variazioni aumentano progressivamente verso i livelli tassono-

mici più bassi. Di conseguenza, la maggior parte delle sequenze ottenute dall’in-testino di topi rappresenta generi che non sono rilevati nell’uomo. Per di più, vi è una notevole variabilità intra-specie del microbiota all’interno della popolazione umana. Nell’uomo, organismi indicatori come Helicobacter pylori e Streptococcus mutans sottolineano alcune differenze tra il microbiota e il metagenoma nelle di-verse etnie; tuttavia, al momento, l’estensione della variazione etnica nella compo-sizione totale del metagenoma è sconosciuta. È stato dimostrato che i microbiomi di gemelli monozigoti sono più strettamente correlati tra loro rispetto a quelli di individui non imparentati, ma non in maniera così importante, fenomeno che in-dica la co-presenza di importanti influenze postnatali sulla loro composizione.

L’ampia variazione tassonomica a livello più basso e le grandi differenze di com-posizione riscontrate anche tra organismi tra loro fortemente correlati (per es., topi e uomini), sono controbilanciati da una sostanziale conservazione delle funzioni cardine metagenomiche (Fig. 278-2), fenomeno che riflette la conservazione delle proprietà batteriche centrali coinvolte nella sintesi dell’acido nucleico e nella sintesi proteica così come nelle richieste strutturali e metaboliche. Nonostante siano note più di 50 phyla, la maggior parte del microbiota umano è composto da meno di 10 (all’incirca 6) phyla. Batteri provenienti da altri phyla, spesso di origine vegetale, che possono talora essere presenti sulla cute e nel tratto nasofaringeo e intestinale sono generalmente poco frequenti (< 0,01% delle sequenze) e probabilmente rappresen-tano elementi transitori trasportati per via aerea o acquisiti per via alimentare. Ciò av-viene in quanto i fabbisogni paralleli dei singoli batteri portano alla competizione per substrati chiave e alla ridondanza funzionale del microbiota. A ogni modo, l’enorme biomassa batterica offre anche molti geni batterici unici o minimamente ridondanti.

Resilienza e disturbi della comunitàLa resilienza, cioè la capacità di far fronte agli insulti, è un concetto cardine in ecologia. Nonostante il microbioma di individui adulti sia altamente resiliente, lo stesso può non essere vero per i bambini nei quali, poiché le strutture della po-

Capelli

Narice

Cute

Vagina

Colon

Stomaco H. pylori (+)

Stomaco H. pylori (–)

Esofago

Cavità orale

Actinobacteria

A

FirmicutesProteobacteriaBacteroidetesCyanobacteriaFusobacteria

GastrointestinaleOraleUrogenitaleCuteNasale

PC1 (13%)

PC2

(4,4

%)

B

FIGURA 278-1. Differenze nella composizione del microbioma e del metagenoma in diversi siti anatomici. a, variazioni sostanziali nel microbioma tra i diversi siti. le caratteristiche al livello tassonomico più alto (per es., phylum) mostrano una stabilità temporale (longitudinale) negli individui in specifici siti anatomici. nella figura sono indicate le percentuali di sequenze al livello tasso-nomico “phylum” provenienti da studi selezionati. alcune caratteristiche, come la presenza o l’assenza di Helicobacter pylori, sono associate a modificazioni della comunità microbica. (Da: cho I, blaser mJ. The human microbiome: at the interface of health and disease. Nat Rev Genet. 2012;13:260-270; con modifiche.) B, variazioni tassonomiche e relazioni spaziali. I raggruppamenti sono mostrati per siti anatomici. le popolazioni del tratto gastrointestinale, orale, urogenitale e della cute costituiscono gruppi separati, mentre le popolazioni provenienti dalla cavità nasale sono condivise tra cavità orale e cute. Differenze sito-specifiche così come la conservazione interpersonale osservata forniscono un modello per capire il significato biologico e patologico di particolari composizioni del microbioma. (Da: Human microbiome Project consortium. Structure, function and diversity of the healthy human microbiome. Nature. 2012;486:207-214.)

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effetti dell’estinzione a breve termine, ma le estinzioni possono portare comunque a lungo termine a perdita delle risposte contingenti, fenomeno che può causare di-sastri ecologici. Questi concetti sono altamente pertinenti al metagenoma umano, considerando l’importanza delle combinazioni di batteri che sfruttano vie metabo-liche parallele e sequenziali e il grado di interventi medici che possono perturbarle.

INFLUENZE DEL MICROBIOTA DURANTE IL CICLO DI VITA

È noto che differenze nella composizione del microbiota esistono sia tra diversi siti corporei sia tra individui diversi.2 In più si assiste a cambiamenti del microbio-ma per tutta la durata della vita, anche nello stesso individuo. Diversi studi hanno risposto a importanti domande, per esempio se cambiamenti temporali possano essere specifici a seconda delle fasi della vita e se siano predeterminati da caratte-ristiche genetiche dell’ospite o da fattori ambientali (Fig. 278-3).

Ereditarietà del microbiotaLe filogenie congruenti di mammiferi e del loro microbiota forniscono forti evi-denze circa l’ereditarietà del microbiota. Evidenze emergenti supportano una ereditarietà di tipo materno. Infatti fino alla rottura del sacco amniotico, il feto è

polazione microbica sono più dinamiche e in via di sviluppo, la resilienza può es-sere inferiore. Un importante esperimento naturale di tale concetto si è realizzato nel corso degli ultimi 70 anni, durante i quali la maggior parte della popolazione mondiale è stata esposta a dosi farmacologiche di agenti antimicrobici. Tale utiliz-zo si è basato sulla convinzione implicita che il microbioma umano fosse comple-tamente resiliente e in grado di tornare allo status quo ante dopo le perturbazioni indotte dagli antibiotici. Queste esposizioni possono di fatto anche causare una selezione a medio e a lungo termine di organismi resistenti e una destabilizza-zione del microbioma con nuove composizioni di specie in assenza di ulteriori esposizioni antibiotiche. Quindi, nonostante la presenza di una grande resilienza insita in un ecosistema complesso, può verificarsi nello stesso la perdita della ca-pacità di recupero in seguito a continue perturbazioni, fenomeno che potrebbe accompagnarsi a importanti implicazioni future per la salute umana.

EstinzioniIl microbioma umano consta di uno o più ecosistemi complessi. Tali comunità possono resistere alle perturbazioni che avvengono casualmente, ma se specie chiave vengono perse definitivamente le conseguenze possono avere un effetto a cascata fino a provocare estinzioni secondarie. Fortunatamente l’elevata biodi-versità riduce questo rischio. Infatti la ridondanza funzionale può mascherare gli

FIGURA 278-2. Variazione e conservazione delle funzioni del microbioma e del metagenoma in diversi siti anatomici nell’uomo. la composizione filogenetica del microbioma in diversi siti anato-mici presenta una sostanziale variazione tra diversi individui (pannello in alto). la maggior parte dei microrganismi costitutivi, ma non tutti, è costituita da uno o due specie dominanti (per es., Firmicutes e Bacteroidetes nelle feci). Tuttavia, le funzioni metaboliche cardine delle comunità microbiche (pannello in basso) sono ugualmente distribuite e altamente conservate all’interno della popolazione sana e in diversi siti anatomici. la barre verticali rappresentano campioni del microbioma di 242 individui; i colori rappresentano l’abbondanza relativa dei phyla microbici o delle vie metaboliche in quei campioni. FP = fornice posteriore; Pr = piega retroauricolare (Da: Human microbiome Project consortium. Structure, function and diversity of the healthy human microbiome. Nature. 2012;486:207-214.)

Phyla

Vie metaboliche

Narici anteriori PR Mucosa buccale Area sopragengivale Dorso della lingua Feci FP

FirmicutesActinobacteria

BacteroidetesProteobacteria

FusobacteriaTenericutes

SpirochaetesCyanobacteria

VerrucomicrobiaTM7

Metabolismo centrale dei carboidratiBiosintesi di cofattori e vitamineSistema di trasporto di oligosaccaridi e polioli

Metabolismo delle purineSintesi ATPSistema di trasporto di fosfati e aminoacidiAminoacil-tRNA

Metabolismo delle pirimidineRibosomiMetabolismo degli aminoacidi aromatici

FIGURA 278-3. fattori e caratteristiche che influenzano l’acquisizione e lo sviluppo del microbiota dalla nascita all’età adulta. numerosi fattori possono influenzare il microbioma, iniziando dalle esposizioni prenatali, come quelle agli antibiotici, che possono alterare la composizione del microbioma materno. Esistono evidenze in merito alle quali la modalità con cui viene espletato il parto possa influenzare la composizione iniziale del microbioma di un neonato. Il microbioma dei bambini nei primi anni è dinamico, mentre più tardi durante l’infanzia (dopo il terzo anno di età) le comunità microbiche tendono a stabilizzarsi. a ogni stadio della vita il microbiota è suscettibile alle pressioni esterne, come l’esposizione agli antibiotici, l’alimentazione o il sopraggiungere di malattia.

Età materna/prenatale

- Ambiente- Antibiotici- Alimentazione- Malattia- Fattori epigenetici

Età neonatale

- Modalità parto (vaginale vs cesareo)- Contatto cutaneo- Allattamento materno vs artificiale- Esposizioni iatrogene

Prima infanzia

- Esposizione a nuovi ceppi- Alta instabilità delle comunità microbiche- Rapido incremento della biodiversità- Modifiche in risposta all’alimentazione, alla malattia, alla crescita

Età adulta

- Microbiota distinti, differenziati- Stabilità delle comunità microbiche- Ritmo di cambiamento più lento- Persiste suscettibilità all’alimentazione, alla malattia, all’invecchiamento

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testino il rapporto di Bacteroidetes e Firmicutes si modifica con l’età. Dal momento che le specifiche interazioni che il microbioma instaura con l’ospite umano sono enormemente complesse (Fig. 278-5), saranno necessari ulteriori studi al fine di definire le relative vie implicate nel mantenimento dello stato di salute e nella pato-genesi della malattia. Questi concetti sono particolarmente rilevanti nell’oncogenesi, che è tipicamente un processo correlato all’età. Infatti, secondo l’ipotesi multi-step dell’oncogenesi di Nordling, per lo sviluppo di un tumore sono necessarie da quattro a sei mutazioni somatiche. A questo processo multi-step possono contribuire anche le modifiche del microbiota. Infatti i microbi residenti contribuiscono alla mutage-nesi cellulare dell’ospite attraverso i processi di infiammazione, aumento della pro-liferazione cellulare e produzione di metaboliti promutagenici (per es., il butirrato).

COLLEGAMENTI CON LO STATO DI MALATTIA E IMPLICAZIONI SULLA SALUTE

In che modo il microbioma influenza lo stato di salute dell’uomo? Per molte condi-zioni cliniche la sfida è quella di scoprire se esiste un link causale tra le variazioni nel microbioma e la malattia. Tuttavia i limiti nella definizione e nella stratificazione di alcune sindromi cliniche, quali la sindrome dell’intestino irritabile e la dispepsia non ulcerosa, riducono la potenzialità degli studi sul microbioma. Di seguito ven-gono riportati alcuni esempi di osservazioni preliminari ma molto promettenti.

Microbioma cutaneoIl microbioma cutaneo potrebbe avere un ruolo in alcune specifiche patologie, pri-ma fra tutte la psoriasi, una condizione idiopatica infiammatoria cronica. In alcuni studi infatti è stato dimostrato che gli Actinobacteria sono significativamente meno rappresentati nelle lesioni psoriasiche rispetto alla cute integra, fenomeno che av-viene sia nei pazienti con psoriasi sia nei pazienti sani. Altro esempio del ruolo del microbioma cutaneo nella genesi di patologie dermatologiche è costituito dalla dermatite atopica, un’altra condizione infiammatoria cronica, la cui incidenza è au-mentata in gran misura nei Paesi sviluppati: il microbioma è stato chiamato in causa nel determinismo di tale patologia. Le classiche dermatiti atopiche si riscontrano in siti corporei quali la regione volare del braccio e la fossa poplitea, che presentano popolazioni microbiche simili; tale osservazione suggerisce pertanto un ruolo del microbioma nella patogenesi di tale malattia. Analogamente, Proprionibacterium acnes è implicato nell’acne, comune condizione dermatologica. Infatti P. acnes pro-

considerato essenzialmente sterile. Immediatamente dopo il parto per via vagina-le, le popolazioni di microbi nei neonati assomigliano strettamente a quelle della vagina materna, essendo formate in maniera predominante da lattobacilli. Poiché batteri produttori di acido lattico predominano sia nel canale del parto che nel latte materno, la presenza dei lattobacilli non può essere considerata accidentale.

Le multiple opportunità per il microbiota di essere trasferito dalla madre al suo bambino possono essere rese vane dai moderni stili di vita.3 Il parto cesareo anziché vaginale è un ovvio esempio del potenziale impatto delle pratiche medi-che sulla composizione del microbiota, comportando sostanziali differenze nelle popolazioni microbiche del neonato che possono persistere anche per mesi. Tali differenze possono alterare le risposte immuni del neonato, con potenziali conse-guenze a lungo termine (Fig. 278-4).

Influenze post-natali sul microbiotaNel corso della vita ogni persona sviluppa un microbioma densamente popolato. La dentizione è l’evento responsabile delle maggiori successioni nel microbiota orale, suggerendo che il fenomeno della successione potrebbe essere una delle proprietà generali del microbioma umano. Altresì l’esposizione (o la mancata esposizione) a microbi ambientali è un’altra importante ma estremamente variabile sorgente di modifiche per il microbiota residente. Anche l’uso di antibiotici nelle prime fasi di vita provoca cambiamenti sostanziali sia nelle caratteristiche del microbiota che nei fenotipi in sviluppo dell’ospite, e ciò si verifica sia in animali da fattoria che in quelli da esperimento. Se tali premesse siano applicabili ai bambini o meno non è ancora noto, ma sembra essere molto probabile. Se così fosse, sia la tempistica della successione microbica che gli specifici organismi implicati potrebbero avere un ruolo nell’in-fluenzare lo sviluppo metabolico, immunologico, e persino cognitivo dell’uomo.

Dinamiche del microbioma negli adultiLa nostra conoscenza sulle dinamiche del microbioma nell’uomo durante l’età adul-ta, specialmente quelle relative ai cambiamenti legati all’età, è limitata. È noto che il microbiota vaginale nel periodo post-menopausale differisce sostanzialmente da quello tipico del periodo riproduttivo. Analogamente, nello stomaco, lo sviluppo progressivo di atrofia gastrica in parte legato all’età (e intensificato in presenza di H. pylori), seleziona un microbiota gastrico nettamente differente rispetto al normale. Parimenti, con l’avanzare dell’età è logico pensare che cambiamenti analoghi possa-no avvenire anche in altri siti corporei. Per esempio è stato dimostrato che nell’in-

FIGURA 278-4. fattori che influenzano le esposizioni materne e la trasmissione verticale del microbioma tra madre e figlio. Il parto naturale fornisce importanti opportunità per la trasmissione materno-fetale di microbi attraverso una serie di contatti fisici diretti. Tuttavia, le moderne pratiche possono ridurre il flusso di organismi e geni, influenzando in tal modo la composizione del micro-bioma durante le prime fasi dell’infanzia. molti fattori possono influenzare precocemente lo sviluppo del microbioma, compresi fattori genetici ed epigenetici così come le variazioni nell’alimenta-zione e le esposizioni ambientali. Gli organismi che posseggono una specificità di particolari tessuti o nicchie mostrano composizioni di microbioma conservate in specifici siti anatomici. (Da: cho I, blaser mJ. The human microbiome: at the interface of health and disease. Nat Rev Genet. 2012;13:260-270; con modifiche.)

Effettidelle esposizioni

materneAmbiente• Antisepsi• Antibiotici• DietaAltri ospitiEpigenetica

Orale(pre-masticazione del cibo)

Amalgamadentale

Bagniprecoci/estensivi

Partocesareo

Antibiotici durantele prime fasi della vita

Nutrizioneartificiale

Mammario, attraverso l’allattamento al seno(selezione)

Cutaneo(contatto con la cute)

Vaginale(passaggio attraverso il canale del parto)

FIGURA 278-5. equilibrio tra microbi e cellule ospiti co-evoluti. a, equilibrio di un singolo organismo. Questo modello illustra un’interazione contro-regolatoria che coinvolge segnali metabolici e fisici tra microbo e ospite. B, organismi multipli in equilibrio. Questo modello, più complesso del precedente, si approssima meglio alle interazioni esistenti nel microbioma umano. Gli organismi possono avere relazioni di equilibrio individuale (per es., i e ii) con le cellule ospiti. analogamente, un altro microbo (iv) può interagire esclusivamente con un organismo (i) ma non con l’ospite. alcune interazioni possono essere primariamente unidirezionali, come nel caso di un microbo (v) che è influenzato da altri e invia segnali direttamente all’ospite ma non riceve segnali di ritorno dallo stesso. Questo meccanismo può anche avvenire in direzione opposta (vi). (Da: Plottel cS, blaser mJ. microbiome and malignancy. Cell Host Microbe. 2011;10:324-335; con modifiche.)

A B

v

vi iii

i ii

iv

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invasivo come patogeno candidato nella patogenesi della malattia, in considerazio-ne della sua capacità di aderire e invadere le cellule epiteliali e di replicarsi all’in-terno dei macrofagi. Tra le Enterobacteriaceae infatti alcuni batteri possono siner-gizzare con un microbioma alterato nell’aumentare il rischio di colite ulcerosa. Tra gemelli discordanti, non entrambi affetti da colite ulcerosa, quelli affetti presentano una biodiversità batterica significativamente ridotta ma un numero incrementato di Actinobacteria e Proteobacteria. Pazienti con la malattia di Crohn presentano una iper-espressione di Enterococcus faecium e di diversi Proteobacteria rispetto ai con-trolli sani. I pattern microbici osservati per queste condizioni sono tuttavia preli-minari e la loro specificità e causalità con la malattia non è stata ancora dimostrata.6

Il microbiota intestinale e le malattie epaticheIl microbiota intestinale potrebbe essere coinvolto in diverse condizioni epatiche, tra cui la steatosi epatica non alcolica, la steatosi su base alcolica e il carcinoma epa-tocellulare. Il fegato è il primo organo solido esposto a prodotti metabolici generati dal microbioma intestinale, come l’acetaldeide, l’ammonio e i fenoli. Se confrontati a topi privi di germi, la presenza di un microbioma in topi convenzionali porta alla sop-pressione della proteina intestinale nota come epithelium angiopoietin-related protein 4, che inibisce la lipoprotein lipasi, aumentando l’accumulo di trigliceridi a valle nel parenchima epatico e negli adipociti. L’esposizione cronica all’etanolo perturba il mi-crobioma intestinale, ma un ruolo del microbioma nella steatosi non è ancora chiaro. Particolari commensali del colon di topi (per es., Helicobacter hepaticus) promuovono lo sviluppo di epatocarcinoma. Pazienti con cirrosi hanno un microbioma sostanzial-mente alterato, compresi cambiamenti estesi a multipli livelli tassonomici, con incre-mento di Proteobacteria e Fusobacteria (phyla) e di Enterobacteriaceae, Veillonellaceae e Streptococcaceae (famiglia). Sebbene molte osservazioni suggeriscano la presenza di un collegamento tra composizione del microbioma e malattia epatica, tuttavia la di-mostrazione definitiva di tale associazione nell’uomo non è ancora disponibile.

Il microbiota intestinale e l’obesitàTopi resi geneticamente obesi (ob/ob) hanno un rapporto Bacteroides/Firmicutes ridotto rispetto a topi non obesi (ob/+ e wild-type +/+). Il trapianto di microbio-ta intestinale da topi obesi (ob/ob) a topi sterili conferisce loro il fenotipo obeso, che mostra la trasmissibilità dei fenotipi metabolici; i microbioma trasferiti hanno una capacità aumentata di produrre energia. Alcuni studi hanno dimostrato che il trapianto di microbiota umano può determinare un effetto simile. Nell’uomo, le proporzioni relative di Bacteroidetes aumentano con la perdita di peso. In gemelli monozigoti e dizigoti, l’obesità è stata associata con un ridotto numero di Bacteroi-detes e una diminuita biodiversità batterica, con aumento di geni correlati al meta-bolismo lipidico e dei carboidrati. La somministrazione di antibiotici o alterazioni nella dieta in fasi precoci della vita possono selezionare un microbiota con alterata composizione, contribuendo così allo sviluppo dell’obesità.7 L’uso di antibiotici nei bambini prima dei 6 mesi di età è stata associata in maniera significativa a sviluppo dell’obesità. Al contrario, in un altro studio la somministrazione perinatale di un probiotico basato su Lactobacillus rhamnosus GG riduceva l’aumento ponderale du-rante l’infanzia. Questi studi preliminari forniscono un supporto al concetto che il microbiota durante le prime fasi della vita è modificabile, con alterazioni che posso-no interessare il rischio di obesità a insorgenza durante l’infanzia. Studi sono tuttora in corso in adulti al fine di determinare caratteristiche specifiche del microbioma che possono predire il rischio di comorbilità legate all’obesità.8 Interventi usati per trattare l’obesità, come il bypass gastrico Roux-en-Y, alterano sostanzialmente il microbioma intestinale, fenomeno che può in parte determinare effetti metabolici.

Il microbiota intestinale e l’artrite reumatoideUn’alterata regolazione delle risposte dell’ospite secondarie alla disbiosi del lume intestinale potrebbe impattare su siti anatomici distanti. Questo potrebbe essere un meccanismo implicato nell’artrite reumatoide, un’altra condizione infiammatoria cronica idiopatica. Nei topi la presenza di batteri segmentati filamentosi nel micro-bioma intestinale causa espansione locale delle cellule TH17 che poi migrano verso i compartimenti immuni periferici e attivano le cellule B in cellule plasmatiche pro-ducenti anticorpi. La produzione di anticorpi porta a una distruzione immuno-me-diata delle articolazioni caratteristica dell’artrite reumatoide. Alterazioni sostanziali nel microbiota intestinale sono state identificate in pazienti in stadi precoci dell’ar-trite reumatoide, supportando l’ipotesi di un possibile ruolo patogenetico.

L’effetto del microbiota a livello cerebrale e sul comportamentoAlcune evidenze suggeriscono potenziali link tra il microbioma intestinale e proces-si e disturbi neurologici specifici. Topi microbiologicamente sterili mostravano una esagerata risposta ipotalamico-ipofisaria allo stress, risposta che diminuiva dopo normalizzazione della microflora tramite materiale fecale. Successive indagini han-no evidenziato che il microbioma potrebbe alterare alcuni livelli neurotrasmettito-riali, come il fattore neurotropo cerebrale e la serotonina.9 L’incidenza crescente di autismo nelle società sviluppate ha portato i ricercatori a chiedersi se modifiche dei microbi intestinali possano avere un ruolo eziologico in questi disturbi neurologici. Tuttavia associazioni causali sono difficili da determinare in base agli studi esistenti

spera nelle unità pilo-sebacee della cute ed è responsabile della secrezione di enzimi che possono causare danno locale e infiammazione; inoltre studi in corso hanno identificato differenze nei ceppi di P. acnes così come in altri microbi coinvolti nello sviluppo dell’acne. Nell’ulcera cutanea cronica, spesso secondaria a stasi venosa o a diabete, si assiste a importanti cambiamenti nel microbioma cutaneo. Per esempio, le Pseudomonadaceae risultano aumentate in pazienti con ulcere croniche trattate con antibiotici, mentre le Streptococcaceae aumentano nelle ulcere diabetiche.

Microbioma gastricoLa scoperta di H. pylori ha sovvertito il dogma che lo stomaco fosse sterile. Negli individui H. pylori-negativi, si osserva un’elevata biodiversità nel microbiota gastri-co. La maggior parte delle specie predominanti nello stomaco sono abbondanti anche nell’orofaringe, fatto che indica che molti componenti del microbioma sono ingeriti dai siti più prossimali, oppure che ceppi di batteri strettamente correlati a quelli che costituiscono il microbiota orale possono colonizzare aree più distali. Al contrario, tra gli individui positivi per H. pylori quest’ultimo costituisce spesso più del 90% delle sequenze individuate dal microbiota gastrico, fenomeno che ri-duce la biodiversità in questa specifica nicchia. H. pylori è un classico anfibolo; la presenza (o l’assenza) di un microbiota gastrico a dominanza di H. pylori è stretta-mente associato a specifiche patologie seppur con importanti differenze correlate all’età. Infatti la sua presenza aumenta il rischio di sviluppare ulcera peptica, tumo-re del tessuto linfoide associato alla mucosa (Mucosa-Associated Lymphoid Tissue, MALT) e adenocarcinoma gastrico, ma la sua assenza è legata a incremento di eso-fagite da reflusso e asma nei bambini. Tale correlazione con la malattia è un esem-pio delle complesse interazioni dell’organismo umano con il nostro microbiota.

Il microbiota del colon e il carcinoma del colon-rettoIl ruolo del microbiota del colon nello sviluppo del carcinoma del colon-retto è sta-to a lungo sospettato.4 La sintesi di acidi grassi a catena corta, in particolare del bu-tirrato, può indurre apoptosi, arresto del ciclo cellulare e differenziazione attraverso un segnale cosiddetto Wnt. Inoltre i microbi possono essere genotossici nei con-fronti delle cellule epiteliali del colon, inducendo poliploidia cellulare. Il microbiota del colon potrebbe anche favorire lo sviluppo del carcinoma del colon-retto provo-cando una risposta dell’ospite, per esempio attraverso la stimolazione di una esa-gerata risposta immune, potenzialmente attraverso l’attivazione delle cellule TH17. Un altro collegamento con il carcinoma del colon-retto è suggerito dal fatto che la somministrazione di antibiotici è in grado di alterare la composizione del microbio-ta, di determinare l’espressione di geni coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare e di ridurre la proliferazione cellulare. Studi preliminari limitati a specie coltura-di-pendenti, come Streptococcus bovis, non sono stati in grado di valutare adeguata-mente i costituenti anaerobi. Comunque, batteri anaerobi del genere Fusobacterium sono stati recentemente associati al carcinoma del colon-retto; in particolare è stato individuato come implicato in tale correlazione Fusobacterium nucleatum, un micro-bo con attività pro-infiammatoria aderente alla mucosa, identificato in primo luogo nella bocca. In campioni di mucosa di carcinoma del colon-retto, sequenze di F. nucleatum sono significativamente più rappresentate rispetto a campioni di mucosa provenienti da controlli sani, mentre sia Bacteroidetes che Firmicutes sono relativa-mente minori in quelli con neoplasia maligne ricche di Fusobacterium. Tuttavia la causalità di tale associazione non è stata ancora dimostrata. Infine, è stato dimostra-to che fenomeni epigenetici, quali l’ipermetilazione del DNA, possono giocare un ruolo importante nello sviluppo del carcinoma del colon-retto determinando insta-bilità dei microsatelliti e stimolando l’attivazione di vie tipiche dell’adenoma sessile serrato. È possibile quindi che le interazioni con il microbioma possano influenzare vie epigenetiche che portano alla carcinogenesi del colon.

Il microbiota del colon e le malattie infiammatorie intestinaliIl microbioma è essenziale per l’attivazione della risposta immune dell’ospite.5 Infatti è stato dimostrato che nei topi la differenziazione delle cellule TH17 all’interno della lamina propria necessita della presenza di batteri segmentati filamentosi; per esem-pio, il polisaccaride A prodotto da Bacteroides fragilis media la conversione delle cel-lule T CD4+ in cellule T regolatorie. Allo stesso modo si pensa che i microbi possano essere coinvolti nella patogenesi delle malattie infiammatorie intestinali (Cap. 141). La suscettibilità alle malattie infiammatorie intestinali è stata infatti associata alla presenza nell’ospite di polimorfismi di geni implicati nel riconoscimento dei batteri come il NOD2 (Nucleotide-binding Oligomerization Domain-containing protein 2, noto anche come CARD15) e il TLR4 (Toll-Like Receptor 4); è altresì stato osservato che pazienti con malattie infiammatorie croniche migliorano dopo terapia antibiotica.

L’esposizione agli antibiotici nei bambini è stata associata a un significativo au-mento del rischio di malattia di Crohn, suggerendo che perturbazioni del micro-bioma intestinale, come quelle indotte dagli antibiotici, possono incrementare il rischio di malattia. La biodiversità microbica è diminuita in maniera significativa nella malattia di Crohn, fenomeno indicativo di ridotta resilienza del microbioma intestinale. La struttura della popolazione batterica intestinale nei pazienti con coli-te ulcerosa o con malattia di Crohn non è identica a quella riscontrata normalmente ed è tipica della malattia. Studi più recenti hanno chiamato in causa Escherichia coli

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279PRINCIPI DI TERAPIA ANTINFETTIVAGEORGE M. ELIOPOULOS

Di tutti i farmaci usati nel trattamento delle patologie umane, i farmaci antimi-crobici si distinguono poiché sono in grado di agire su bersagli che si trovano solo nei microrganismi invadenti piuttosto che su circuiti o funzioni alterate del-le cellule umane. In ogni caso quando si decide di utilizzare un regime antimi-crobico appropriato è sempre necessario considerare sia l’attività dell’agente nei confronti di patogeni noti o sospetti sia gli effetti che tale agente potrebbe avere sull’individuo che riceve il trattamento. Sebbene il termine agente antinfettivo pos-

sa essere utilizzato più in generale per indicare sostanze che ostacolano l’infezione alterando la virulenza del patogeno o modulando la risposta dell’ospite, in questo capitolo i termini agente antinfettivo e agente antimicrobico sono usati in maniera intercambiabile per riferirsi a farmaci che inibiscono la crescita di microbi pato-geni. Questo capitolo si focalizzerà soprattutto sugli agenti diretti contro i batteri, comunemente chiamati antibiotici, anche se possono essere effettuati molti pa-rallelismi con altri agenti antimicrobici utilizzati per il trattamento di infezioni fungine, virali o parassitarie.

Sulla linea del tempo della storia umana la moderna era antibiotica è alquanto breve. Dall’introduzione della penicillina per uso clinico avvenuta a metà degli anni ’40 i numerosi antibiotici sviluppati per uso umano hanno salvato innumere-voli vite e hanno portato a progressi sbalorditivi in diversi campi, quali per esem-pio la chemioterapia del cancro, il trapianto d’organo e la chirurgia che, a loro volta, hanno migliorato e allungato l’aspettativa di vita di molti individui. Sfor-tunatamente nel corso del tempo i batteri patogeni più comuni hanno sviluppato resistenza agli antibiotici disponibili,1 rendendo sempre più difficile la scelta di regimi antimicrobici appropriati e sempre più concreta la minaccia di una veloce regressione verso una situazione simile all’era pre-antibiotica.

SCELTA DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA MIRATA AL PATOGENO

Terapia antibiotica empiricaIn molte circostanze, la scelta di una terapia antibiotica iniziale avviene empirica-mente, prima che l’organismo eziologico sia stato identificato o testato per la sen-sibilità alle varie molecole antibiotiche. La prima decisione del clinico dovrebbe essere quella di capire se i sintomi riferiti dal paziente siano da riferirsi alla presenza di un’infezione. Infatti la febbre potrebbe essere causata da una neoplasia, da una patologia reumatologica o da altri processi non-infettivi: la sua presenza quindi non implica necessariamente la presenza di infezione. Allo stesso tempo va considerato che cause non-infettive di febbre, quali una tromboflebite, una reazione avversa a farmaci, o una vasculite potrebbero rappresentare un rischio per il paziente tanto pe-ricoloso quanto la presenza di un’infezione, e pertanto non devono essere trascurate.

Ulteriori sintomi e segni clinici, oltre ai dati di laboratorio e agli esami radio-logici, spesso aiutano a capire se l’infezione è probabile o meno e a individuare l’organo o il sistema coinvolti. Questa informazione consente di prevedere qual è il microrganismo più probabilmente responsabile dell’infezione in questione. Per esempio, se i dati iniziali permettono di porre il sospetto di una polmonite acquisi-ta in comunità in una persona precedentemente sana che non ha avuto particolari esposizioni a rischio, Streptococcus pneumoniae e batteri atipici come Mycoplasma o Chlamydophila pneumoniae dovrebbero essere i primi potenziali patogeni da considerare nella scelta della terapia antibiotica. Anche l’osservazione di un cam-pione di espettorato alla colorazione Gram può fornire preziose informazioni. La presenza evidente di cocchi Gram-positivi, per esempio, dovrebbe allertare il cli-nico circa la possibile presenza di Staphylococcus aureus: attualmente molti isolati di S. aureus sono meticillino-resistenti per cui il medico dovrebbe scegliere una terapia che includa anche ceppi resistenti ai comuni antibiotici.

Una guida circa i probabili patogeni per infezioni sito-specifiche e la sensibilità di questi organismi ai diversi agenti antibiotici è disponibile da un gran numero di fonti.2 In alcuni casi la sensibilità dei patogeni sospetti può essere prevista con un alto grado di certezza. Ne è un esempio Streptococcus pyogenes, organismo che resta ancora sensibile alla penicillina G nella quasi totalità dei casi. In altre circostanze si è osservata la comparsa di resistenza ad agenti antibatterici che prima erano consi-derati altamente attivi verso una determinata specie. I tassi di resistenza per un dato microrganismo possono variare molto da regione a regione, in base all’istituto di cura, o anche in relazione all’area clinica all’interno dello stesso ospedale. Per tale motivo l’accesso a dati aggiornati riguardanti la sensibilità antibiotica cumulativa relativi a un determinato istituto di cura riveste grande importanza. I cosiddetti “antibiogrammi”, che tipicamente vengono presentati in forma di tabella, eseguiti sui batteri patogeni isolati di recente nel singolo istituto mostrano le percentuali di sensibilità ai singoli antibiotici testati e possono pertanto guidare nella scelta di una terapia antibiotica empirica appropriata in quella determinata struttura.

È sempre più consolidata l’evidenza che la scelta di un appropriato regime an-tibiotico (ossia di un regime che contenga un agente antibiotico capace di inibire il patogeno responsabile nel sito di infezione) e il pronto inizio di tale trattamento empirico determinano un migliore esito clinico nei pazienti con infezione grave. Su tale scia le linee guida per il trattamento della polmonite acquisita in comunità (Cap. 97) raccomandano la somministrazione della prima dose della terapia anti-biotica mentre il paziente è ancora in Pronto Soccorso.

Ove possibile, i campioni di essudato purulento, sangue, o altri fluidi corporei che si sospetta siano infetti dovrebbero essere ottenuti per le colture prima che venga iniziata la terapia antibiotica. L’identificazione del microrganismo e i test di sensibilità possono essere usati per guidare il successivo trattamento definitivo. A volte tuttavia questo principio deve essere ignorato. Per esempio, nel sospetto di una meningite batterica la terapia antibiotica (spesso con l’aggiunta di corticoste-

poiché molti di questi disturbi interessano bambini con concomitanti sintomi ga-strointestinali e che sono stati ripetutamente trattati con antibiotici. Sono stati anche ipotizzati effetti del microbioma sulla sclerosi multipla e su altri disturbi neurologici.

CAUSA O EFFETTO?Le analisi effettuate sul microbioma umano derivano in gran parte da studi osser-vazionali, e hanno portato all’associazione di alcuni fenotipi di malattia con par-ticolari costituenti del microbiota. Ma quale è il fattore causale? Il fattore A causa il fattore B, il fattore B causa il fattore A, o il fattore C causa entrambi i fattori A e B? Bradford Hill ha elaborato dei criteri per rispondere alle seguenti domande “in quali circostanze possiamo passare da un’associazione osservata a un verdetto di causalità? Su quali basi dovremmo procedere per fare ciò?”. Tali criteri includono la forza dell’associazione, la sua consistenza, specificità, temporalità e plausibilità biologica e, se presenti ipotesi biologiche, la presenza di prove sperimentali e il supporto a una relazione di causalità. Questi criteri possono essere applicati per comprendere i ruoli causali ambientali o genetici (inclusi i metagenomici).

Per capire l’eziologia e la patogenesi delle malattie i modelli sperimentali for-niscono un importante approccio. Modelli animali riproducono alcune patologie umane (come l’asma, l’aterosclerosi) ma altre (come la psoriasi) non sono ben ri-producibili. Per le malattie che possono essere studiate in modelli animali, il ruolo del microbiota può essere esplorato. Modelli sperimentali sui topi sono limitati dalla loro innata diversità nel microbioma. Alcuni stati di malattie sono ben stu-diati in questi modelli, così come gli effetti dei batteri segmentati filamentosi sullo sviluppo dei TH17 o sulla suscettibilità al diabete di tipo 1 in topi diabetici non obesi. L’uso di topi microbiologicamente sterili elimina la variabilità presente nel microbioma fino alla creazione di un microbiota standardizzato e potenzialmen-te confrontabile, ma tale procedura richiede strutture specializzate per cui l’uso è limitato. La recente disponibilità di animali resi microbiologicamente sterili da prodotti commerciali consente la loro standardizzazione senza richiedere strutture specializzate, permettendo così la diretta osservazione degli effetti del microbiota.

PROSPETTIVEPer meglio comprendere le implicazioni che la conoscenza del microbiota e delle variazioni del metagenoma hanno sullo stato di salute e di malattia sono necessari strumenti informatici avanzati. La multidimensionalità dei fenotipi dell’uomo e dei microbi e le loro interazioni dinamiche non lineari richiedono soluzioni che siano invece semplici e lineari.

Tuttavia la complessità nella composizione del microbioma limita l’utilizzo di approcci classici, come i postulati di Koch, nello studio delle malattie a esso asso-ciate. Anziché il ruolo di organismi singoli associati a malattia, ciò che potrebbe avere più rilievo sono le caratteristiche comunitarie (composizione e funzionalità metagenomica). I principi su cui si basa l’interazione dell’ospite con patogeni e commensali presentano molte caratteristiche parallele che possono risultare utili a capire questo nuovo campo, anche se la natura della selezione per il commensa-lismo è altamente complessa e dinamica. Le conoscenze attuali suggeriscono che le interazioni ospite-microbioma hanno un’importante rilevanza sulla suscettibi-lità alle malattie; gli effetti microbici sul metabolismo dell’ospite e sull’immunità offrono una “prova di fatto” del fenomeno della suscettibilità alle patologie. Mo-dificare il rischio di malattia attraverso l’alterazione metabolica, immunologica o lo sviluppo di vie alternative è una valida strategia. Lo studio del microbioma, portando a nuove conoscenze di tratti complessi, potrà portare in ultima analisi a nuove strategie preventive, diagnostiche e terapeutiche.

BiBliografia generale

Per la bibliografia generale e gli altri contenuti aggiuntivi, si invita a visitare il sito web: http://cecil.edizioniedra.it.

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poi incubata. Visualizzando poi il punto in cui l’area di inibizione della crescita sulla superficie di agar interseca la striscia (che è segnata da intervalli corrispon-denti a equivalenti della MIC), è possibile determinare direttamente il valore del-la MIC.

Per effettuare gli studi di sensibilità e interpretarne i risultati è necessario identificare prima di tutto il microrganismo da testare. Ciò consente le scelta del metodo appropriato e dei criteri interpretativi per determinare se un organismo è “sensibile”, “intermedio” o “resistente” a un antibiotico sulla base della deter-minazione della MIC o del diametro della zona di inibizione. Al fine di illustrare meglio questo punto si consideri che un enterococco è considerato sensibile alla penicillina se la MIC è inferiore o uguale a 8 µg/mL, mentre per gli streptococ-chi viridanti il breakpoint corrispondente a sensibilità alla penicillina è una MIC di 0,12 µg/mL. Per tale ragione la conoscenza che la MIC della penicillina di un cocco Gram-positivo a catene corte è 2 µg/mL non consente di determinare se esso sia o meno sensibile alla penicillina a meno che l’organismo non venga identificato.

A volte sono richiesti test aggiuntivi per valutare in maniera più completa la sensibilità a un antibiotico. Per S. aureus oxacillina-sensibili viene effettuato un test che valuta la produzione di penicillinasi e la sensibilità alla penicillina G. Per i ceppi di S. aureus eritromicina-resistenti ma clindamicina-sensibili il laboratorio prima di riportare la sensibilità alla clindamicina deve effettuare un test supple-mentare denominato D-test. Un D-test positivo (ossia la comparsa di un’area di inibizione intorno a un disco di clindamicina in prossimità di un disco di eritro-micina) è indicativo della presenza del gene erm. Il tradotto di questo gene, una metilasi ribosomiale, può conferire resistenza alla clindamicina; tuttavia la clin-damicina è un debole induttore di questo meccanismo di resistenza (al contra-rio l’eritromicina è un forte induttore). Un risultato del D-test positivo implica quindi la presenza di meccanismi di resistenza inducibili. Mutanti con produzio-ne costitutiva di metilasi possono essere selezionati anche durante il trattamento, determinando la comparsa di resistenza alla clindamicina e di conseguenza un maggior rischio di fallimento clinico quando tale farmaco è usato per trattare infe-zioni stafilococciche gravi causate da ceppi portatori del gene erm.

In linea teorica, i test per la presenza di geni di resistenza, dei loro prodotti, o di entrambi possono essere usati al posto del test di resistenza fenotipica. Molti metodi sono in grado potenzialmente di fornire risposte più rapide di quelle che possono essere ottenute con i convenzionali test di sensibilità basati sull’inibi-zione della crescita, che generalmente richiedono diverse ore di incubazione. Al momento, questi test non sono di comune impiego, con l’eccezione del test della meticillino-resistenza con cui viene rilevata la presenza del gene mecA o il suo prodotto, la penicillina-binding protein 2a, o il test della rifampicina per individua-re mutazioni responsabili di resistenza nel Mycobacterium tuberculosis. Tecnologie più avanzate quali la spettrometria di massa a tempo di volo con desorbimento e ionizzazione laser-assistita da matrice, sono state testate come uno strumento in grado di fornire non solo una più rapida identificazione dell’organismo ma anche la loro sensibilità ad agenti antimicrobici.4

Attività battericidaIn alcune circostanze un regime antibiotico che causa l’uccisione dei microrga-nismi patogeni dovrebbe essere preferito a un regime alternativo in grado solo di inibire la crescita del patogeno. L’attività battericida è da preferire nel trattamento dell’endocardite o della meningite; in queste infezioni, infatti, gli agenti batterio-statici agiscono generalmente in maniera scarsa, probabilmente per l’inadeguata risposta dell’ospite nei siti di infezione. Sono stati messi a punto test per misurare l’attività battericida di un antibiotico in vitro. L’attività battericida è generalmente definita come una riduzione pari al 99,9% del numero di unità formanti colonia relative alla densità di inoculo in un determinato tempo di incubazione, che è di solito compreso tra le 20 e le 24 ore.

Nonostante i benefici teorici della determinazione dell’attività battericida di un regime antibiotico o farmacologico, questi test sono raramente utilizzati nella pratica clinica per diversi motivi, tra cui (1) la laboriosità dei test, (2) il potenziale rischio di risultati discordanti dovuti a diversi metodi e criteri usati per determi-nare l’attività battericida, e (3) la non perfetta correlazione tra attività battericida misurata in vitro e le risposte cliniche osservate.

SCELTA DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA APPROPRIATA ALL’INFEZIONE E AL PAZIENTE

Natura dell’infezioneLa determinazione che un microrganismo patogeno sia suscettibile in vitro a un antibiotico non assicura che il trattamento con quel farmaco avrà successo clini-co. L’agente antimicrobico deve raggiungere il sito di infezione in concentrazione adeguata, che si assume sia generalmente alcuni multipli della MIC, e deve dimo-strare attività nel mezzo dell’infezione. Per alcune infezioni e per alcuni antibioti-ci questi requisiti possono non essere facilmente soddisfatti.

Un certo numero di antibiotici non è in grado di penetrare nel liquido cefalo-rachidiano in quantità sufficiente da permettere il loro utilizzo per il trattamento

roidi) non deve essere ritardata anche se non è possibile effettuare velocemente una puntura lombare per ottenere il materiale da inviare in coltura. In tal caso, le emocolture prelevate prima della somministrazione di antibiotici possono rile-vare l’agente eziologico; in alternativa il patogeno può crescere dal campione di liquido spinale anche se la puntura lombare è ritardata.

Terapia antibiotica definitivaL’identificazione del microrganismo causale e la determinazione della sua sensi-bilità ai farmaci disponibili sono le basi per ottimizzare i regimi antibiotici defi-nitivi. Spesso gli antibiotici usati per la terapia empirica sono appropriati anche per la terapia definitiva e possono quindi essere continuati dopo l’identificazione del germe responsabile dell’infezione. In altri casi i risultati ottenuti dalle coltu-re consentono di modificare la terapia introducendo un antibiotico a spettro più ristretto, meglio tollerato o meno costoso.3 In altre circostanze i risultati dei test indicano invece la necessità di estendere lo spettro di un regime antinfettivo ag-giungendo o sostituendo agenti attivi contro patogeni per i quali l’iniziale terapia empirica è risultata inadeguata.

Nella quasi totalità dei casi, è desiderabile testare la sensibilità di un microrga-nismo ad antibiotici che possano poi essere utili. Per riprendere l’esempio già cita-to, sebbene non sia necessario testare la sensibilità di S. pyogenes alla penicillina G, alcuni isolati risultano tuttavia resistenti ai macrolidi (eritromicina, azitromicina) e ad altri farmaci; in tal caso testare agenti alternativi potrebbe essere utile per i pa-zienti intolleranti ai β-lattamici. Pertanto, anche quando l’attività di alcuni agenti antimicrobici può essere predetta con elevato grado di probabilità, i test di sen-sibilità sono comunque utili. Come ulteriore esempio, studi di sorveglianza che hanno esaminato centinaia di isolati batterici hanno dimostrato che la vancomici-na o il linezolid sarebbero in grado di inibire praticamente la totalità dei ceppi di S. aureus isolati dai campioni biologici. Quindi, sulla base di ragionamenti statistici, testare questi agenti non dovrebbe essere giustificato; tuttavia, poiché sono stati recentemente riscontrati rari isolati resistenti ai suddetti antibiotici, è sicuramen-te vantaggioso individuare tali isolati sia a scopo terapeutico che epidemiologico. Inoltre, per la maggior parte dei batteri la resistenza agli agenti usati comunemen-te è talmente frequente che testare gli antibiotici presi in considerazione per la terapia definitiva risulta essenziale. Organismi della famiglia delle Enterobacteria-ceae resistenti a multipli antibiotici sono ormai isolati con tale frequenza (anche in pazienti che vivono in comunità) che la sensibilità agli agenti che prima erano considerati in linea di massima attivi, quali le cefalosporine di terza generazione, i fluorochinoloni e gli aminoglicosidi non è più tanto scontata. Problemi ancora più importanti di antibiotico-resistenza sono riscontrati tra isolati di specie come Pseudomonas aeruginosa, Acinetobacter baumannii e Stenotrophomonas maltophilia.

Test di sensibilitàSono disponibili diversi metodi per determinare la sensibilità di un isolato bat-terico ai farmaci antibiotici utilizzati in terapia. I test più frequentemente usati attualmente nei laboratori di microbiologia clinica sono varianti di tre metodiche: la diluizione seriale, la diffusione su piastra e il gradiente di diffusione. La concen-trazione minima inibente (Minimal Inhibitory Concentration, MIC) rappresenta la più bassa concentrazione di un antibiotico testato in grado di inibire il microrga-nismo nel mezzo di coltura.

Nel metodo per diluizione l’agente antibiotico è diluito in brodo o in agar al fine di diffondere per una gamma di volte a concentrazioni progressivamente de-crescenti (generalmente a multipli di 2); il mezzo di coltura così predisposto è quindi inoculato con un numero standardizzato di microrganismi. Dopo un pe-riodo di incubazione specifico (generalmente da 16 a 24 ore) tra i 35° e i 37 °C, la serie di provette di diluizione o i micropozzetti (per la diluizione in brodo) oppure le piastre di agar (per la diluizione in agar) vengono esaminati per la cre-scita. La MIC è determinata dall’ispezione diretta della più bassa concentrazione che previene la torbidità del brodo o la formazione di colonie su agar. Modifiche di questo metodo permettono l’automatizzazione di molti passaggi nel processo, consentendo una più efficiente esecuzione del test nei laboratori clinici.

Nel metodo con diffusione su disco dei piccoli dischetti di carta impregnati con una quantità standardizzata dell’antibiotico vengono posizionati su una pia-stra di agar, sulla cui superficie è stato seminato il batterio che deve essere testato. Durante l’incubazione l’antibiotico diffonde dal disco nell’agar circostante e ini-bisce la crescita del microrganismo in coltura. Dopo un periodo di incubazione prestabilito viene misurata l’area di inibizione della crescita intorno al disco. Con questo metodo la MIC non è determinata direttamente: facendo affidamento su dati che correlano le zone di inibizione con le MIC, l’area misurata è utilizzata per predire la sensibilità dell’organismo al farmaco testato.

Il metodo del gradiente di diffusione è simile a quello della diffusione su disco, salvo che al posto di usare un disco di carta impregnato con una singola concen-trazione dell’agente antimicrobico questo test utilizza una striscia impregnata dell’antibiotico applicato secondo un gradiente di concentrazione su tutta la sua lunghezza. La striscia giace su una superficie costituita da una piastra di agar su cui è stata inoculata una sospensione del microrganismo da testare; la piastra viene

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