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Numero 5 - Dicembre 2013 Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di immobili, ambiente, edilizia e urbanistica

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Numero 5 - Dicembre 2013

    

Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di

immobili, ambiente, edilizia e urbanistica

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n. 5 – chiuso in redazione il 30 novembre 2013 Sommario

Pagina

NEWS Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 4

RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 13 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 18

APPROFONDIMENTI

Mediazione immobiliare PRESUPPOSTI PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROVVIGIONE AL MEDIATORE Qual è la differenza tra mediazione tipica e atipica? Quando all’agente immobiliare deve essere riconosciuta la provvigione? Quali gli strumenti di tutela utilizzabili dall’agente immobiliare per il recupero della provvigione? Paola Di Michele, Il Sole 24 ORE – Ventiquattrore Avvocato 1° novembre 2013, n. 11 24

Mediazione immobiliare QUANDO LE PARTI SI INCONTRANO CON L’INTERVENTO DEL MEDIATORE La compravendita difficilmente si conclude con il semplice incontro delle volontà di venditore e acquirente. Nella pratica, è il mediatore che raccoglie il consenso delle parti e le assiste sino al contratto definitivo. Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE – CASA Guida all'acquisto e alla vendita, novembre 2013 34

Fiscalità LA REGISTRAZIONE DEGLI ATTI NON SCONTA I TRIBUTI SPECIALI L’annotazione di avvenuta registrazione in calce o a margine dell’atto presentato per la formalità costituisce una fase della procedura stessa di registrazione e non un’attività autonoma. Pertanto, non è soggetta ai tributi speciali. Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 15 novembre 2013 39

Immobili "RENT TO BUY" - PROFILI FISCALI - CHIARIMENTI DELLO STUDIO DEL NOTARIATO

Il rent to buy è una delle forme contrattuali che negli ultimi anni, anche a causa della forte flessione del mercato immobiliare, sta riscontrando in maniera crescente le attenzioni degli operatori del settore. Questa forma contrattuale, che richiama la disciplina della locazione e della vendita, consente ad un soggetto di poter disporre da subito di un immobile a fronte del pagamento di un canone di locazione, con la possibilità di rinviare l'acquisto ad un momento successivo. Dal lato fiscale il rent to buy (cd. locazione-vendita), inteso come contratto di locazione finalizzato ad una successiva compravendita, sconta una doppia imposizione, sia quella diretta (disposizioni del Tuir) sia quella indiretta (Iva e imposta di registro). Vincenzo D'Andò, Il Sole 24 ORE – La Settimana Fiscale, 8 novembre 2013, n. 41 43

   

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Economia, fisco, agevolazioni e incentivi

Tasse al rogito, si cambia Cambia in modo consistente dal 1° gennaio 2014 la tassazione dei contratti che hanno per oggetto il trasferimento a titolo oneroso di beni immobili, per effetto della presa di vigore dell'articolo 10 Dlgs 23/2011 (la legge istitutiva dell'Imu "propria") e l'articolo 26 del decreto legge istruzione (il dl 104/2013, convertito in legge 128/2013). Anzitutto, si abbasserà l'imposta di registro per l'acquisto della "prima casa" dal 3 al 2 per cento (con un minimo di mille euro); cambieranno altresì i requisiti "di lusso" in presenza dei quali questa agevolazione non è concessa (oggi si guarda alle norme contenute in un decreto ministeriale del 1969; dal 1° gennaio prossimo invece saranno considerate "di lusso", e quindi non agevolabili, le unità immobiliari classificate in Catasto nelle categorie A/1, A/8 e A/9). Ogni altro trasferimento immobiliare a titolo oneroso verrà invece tassato con l'aliquota del 9 per cento (oggi si spazia dal 3 al 15 per cento, a seconda dei casi), anche qui con un minimo di mille euro; faranno eccezione i conferimenti di immobili strumentali in società che siano fuori campo Iva, che rimarranno soggetti all'odierna aliquota del 4 per cento. Inoltre, in tutti i casi in cui si applicheranno le nuove aliquote del 9 e del 2 per cento: a) le imposte ipotecaria e catastale saranno dovute nella nuova misura fissa di 50 euro cadauna (al di fuori di questo perimetro, tutte le attuali imposte fisse di 168 euro – e quindi l'imposta fissa di registro e ogni altra imposta fissa ipotecaria e catastale – saranno dovute nella nuova misura di 200 euro); b) si avrà esenzione completa dall'imposta di bollo, dai tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie. Se tutto quanto precede comporta, in linea di massima, un decremento della tassazione, un netto aumento del carico fiscale si avrà invece in tutte le ipotesi in cui oggi sia disposta una tassazione agevolata: con una misura di "taglio lineare", infatti, l'articolo 10, comma 4, Dlgs 23/2011, dispone la soppressione di «tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in leggi speciali» relative ai trasferimenti immobiliari a titolo oneroso. Ad esempio, dovrebbe essere considerato come "agevolato" il trattamento oggi previsto per gli acquisti immobiliari delle Onlus le quali pagano l'imposta di registro fissa e che, dal 1° gennaio 2014, dovrebbero invece pagare il 9 per cento; identicamente, i trasferimenti che riguardano immobili di pregio storico e artistico e che oggi sono tassati con l'aliquota del 3 per cento di imposta di registro (oltre al 3 per cento per imposta ipotecaria e catastale) dal 1° gennaio prossimo dovrebbero essere soggetti all'aliquota di registro elevata al 9 per cento (con il parziale sollievo che le imposte ipotecaria e catastale degraderanno però alla complessiva misura fissa di cento euro). Si pensi, inoltre, al caso dei trasferimenti patrimoniali nell'ambito di un procedimento di separazione e di divorzio. L'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, sancì l'esenzione completa da ogni tributo per questo tipo di attività; la Corte Costituzionale, con sentenza n. 154 del 10 maggio 1999, estese questa previsione anche ai procedimenti di separazione coniugale, ritenendo illegittima la disparità di trattamento che invece si verificava tra il caso dello scioglimento del matrimonio e il caso della separazione dei coniugi. Ebbene, dal 1° gennaio 2014, dovrebbe accadere che da un regime di completo esonero da tassazione si dovrebbe passare (ipotizzando un valore imponibile di 100mila euro) a un carico fiscale di: a) 9.000 + 50 + 50 = 9.100 euro in caso di compravendita per la quale non si applica l'agevolazione "prima casa"; oppure: b) 3.000 + 50 + 50 = 3.100 se sia richiesta l'agevolazione "prima casa". (Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Casa 24 plus, 14 novembre 2013)

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Interventi antisismici, ai privati 74 milioni Nuovi bandi in arrivo Boom di domande nelle Regioni che sfruttato al massimo i fondi della Protezione civile: privilegiati i piccoli interventi con alta efficacia nella riduzione del rischio crolli. La media delle risorse assegnate per progetto è di 24mila euro. Molte Regioni sono però in ritardo e il controllo statale dovrà essere rafforzato Molte richieste in risposta ai bandi comunali, ma anche molto caos, nella prima annualità del Piano nazionale di prevenzione del rischio sismico che aveva a disposizione, oltre ai fondi per microzonazione (10 milioni) e per la messa in sicurezza di edifici pubblici (93,2 mln), anche una prima sperimentale quota di risorse per gli interventi sugli edifici privati (31 milioni di euro, concentrati sulle regioni a più alto rischio). IL BOOM DI DOMANDE Non esiste un monitoraggio dello stato d’attuazione del programma (e anche questo è un problema: «Ci attrezzeremo meglio nei prossimi mesi» dicono alla Protezione civile), ma dalle otto regioni chiave da noi monitorate (per l’annualità 2011, distribuita alle Regioni solo nell’ottobre 2012 e assegnata quest’anno ai beneficiari finali) emerge un vero boom di richieste, in media oltre dieci volte le risorse disponibili: 1.002 domande in Puglia e 62 progetti finanziati, 1.480 domande in Sicilia e 113 assegnazioni, in Veneto 349 richieste e 55 interventi beneficiati. Casi estremi invece la Calabria, che ha aumentato i fondi e allargato all’eccesso la platea dei potenziali beneficiari ma poi non è riuscita a gestire le 10.312 richieste, riuscendo ad approvare solo 27 progetti su una platea finanziabile di 528 (un vero flop programmatico e organizzativo, come si può leggere a pagina 4), e all’opposto l’Emilia Romagna, che ha ristretto a soli 4 comuni, ricevendo così 201 richieste e finanziandone 91. «Le domande dei privati – confermano dalla Protezione civile – sono state in media circa dieci volte rispetto a quanto finanziabile». LE REGIONI FLOP Oltre al caos della Calabria, fra le altre Regioni principali per livello di rischio sismico e finanziamenti ricevuti ce ne sono tre ancora ferme, per motivi diversi. La Campania è pesantemente frenata dal Patto di stabilità (si veda a pagina 4) e dunque ha del tutto congelato i 18,4 milioni che aveva a disposizione quest’anno (3,5 milioni), e il blocco ci sarà probabilmente anche per l’annualità 2012 (ripartita fra le Regioni con il decreto Gabrielli pubblicato il 10 luglio scorso). «Abbiamo più volte chiesto al Governo – spiega l’assessore campano Edoardo Cosenza – come Regioni, una deroga al Patto per le spese di prevenzione sismica e difesa del suolo». Poi c’è il sorprendente ritardo del Friuli, che dopo un’inerzia di otto mesi solo nel giugno scorso ha mosso i primi passi per attribuire i fondi del 2011. E l’Abruzzo, che ha deciso di concentrare le annualità 2011 e 2012, e dunque sbloccherà in un colpo solo 4,3 milioni di euro per gli interventi privati. IL PIANO DI PREVENZIONE È stato l’articolo 11 della legge post-Abruzzo (Dl 28 aprile 2009, n. 39, convertito nella legge 77/2009) a lanciare per la prima volta in Italia un piano di prevenzione del rischio sismico, con finanziamenti a crescere: 42,5 milioni nel 2010 (solo per microzonazione sismica ed edifici pubblici strategici), 145,1 nel 2011 (anche per edifici privati), poi tre anni a 195,6 milioni (2012-2014), e poi di nuovo a scendere 145,1 mln nel 2015 e 44 nel 2016. In tutto 965 milioni. «È certamente una minima percentuale – ammettono alla Protezione civile – rispetto al fabbisogno di messa in sicurezza di un patrimonio edilizio, quello italiano, molto vecchio e fragile. Ma il Piano è importante per diffondere la cultura della prevenzione tra amministratori e cittadini». LE ANNUALITÀ Le tranche annuali vengono attribuite sempre con ritardo, a causa delle complesse procedure di intesa con le Regioni e poi il doppio passaggio dell’Opcm (con le regole) e del decreto del capo della Protezione civile che distribuisce i fondi, entrambi da registrare e pubblicare in Gazzetta. I numeri sopra citati e i resoconti di queste pagine si riferiscono alla tranche 2011 (Opcm 4007/2012), fondi assegnati definitivamente alle Regioni il 3 ottobre 2012. La nuova

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tranche (2012) da 195,6 milioni (Opcm 52/2013) è stata invece attribuita alle Regioni il 10 luglio scorso, e i bandi dei Comuni per assegnare i contributi ai privati sono stati in alcuni casi già pubblicati, in altri si prevede lo saranno tra la fine dell’anno e l’inizio del 2014. I COMUNI BENEFICIARI Spetta alle Regioni, per ogni annualità, scegliere la quota dei fondi di cui all’articolo 2 c.1 lettere b) e c) (infrastrutture, edifici pubblici strategici, edifici privati) da assegnare ai privati, in un range dal 20 al 40%. Nell’annualità 2011 quasi tutte le Regioni si sono fermate al 20% (tabella qui a destra), con le uniche eccezioni di Emilia Romagna (30%), Molise (30%), Basilicata (30%) e Calabria (40%). Con la nuova tranche anche il Veneto, che è la Regione più avanti di tutte, salirà al 40%, e metà dei suoi 2,8 milioni saranno assegnati agli edifici industriali. Le Regioni devono poi decidere i Comuni beneficiari, confermando il requisito minimo di pericolosità sismica fissato dalla ordinanze, una «accelerazione al suolo» di 0,125 ag (una soglia che si colloca a metà della classe 3), oppure restringere il campo, alzando la soglia. L’Emilia Romagna, ad esempio, ha ristretto da 283 a soli 4 comuni, e ogni annualità cambierà comuni interessati, per fare campagne mirate di sensibilizzazione. Ma l’ha fatto anche l’Umbria (92 comuni teorici, assegnati fondi a 53 progetti privati su 5 comuni), la Toscana (247 teorici, 51 progetti su 14 enti locali), le Marche (239 teorici, 80 progetti approvati su 10). QUALI INTERVENTI I fondi possono essere assegnati ai privati per interventi di rafforzamento locale, miglioramento sismico e demolizione e ricostruzione degli edifici, ma di fatto le regole della Protezione civile (Opcm 52/2013 e Allegati), sia per il livello di finanziamento al mq sia per l’entità totale a disposizione, privilegiano l’assegnazione ai piccoli interventi, soprattutto quelli in grado di ridurre i danni alle persone con poca spesa. «Gli interventi – spiegano i tecnici della Protezione civile – per inserire “catene” o tirantature tra pareti sono i più tipici interventi a costo contenuto, 100-150 euro al metro quadrato, che possono arrivare a 150-170 comprese le finiture, e possono evitare i crolli più rovinosi». Per questo tipo di intervento i finanziamenti statali possono coprire il 60-70% del costo totale, e sulla quota residua possono essere utilizzate le detrazioni fiscali al recupero edilizio, attualmente al 65% per l’antisismica in zone 1 e 2. Le regole delle Opcm privilegiano gli edifici più vecchi nelle graduatorie, e a quanto risulta alla Protezione civile «i progetti più frequenti tra quelli finanziati riguardano edifici mono o bi-familiari nei centri storici», soprattutto nei piccoli comuni. (Alessandro Arona, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 11 novembre 2013, n. 44)

Per i proprietari in affitto contestato lo sconto Irpef I contribuenti che avevano concesso in uso gratuito ai familiari il proprio appartamento, pagando contestualmente l'affitto per un'altra casa in cui dimoravano abitualmente, in questi giorni stanno ricevendo gli avvisi bonari da parte dell'agenzia delle Entrate, la quale disconosce la detrazione Irpef sui canoni di locazione indicata nel modello 730/2011. Si tratta di una contestazione, questa volta massiva, che era già stata sollevata da diversi uffici periferici della stessa Agenzia nell'ambito dei controlli del modello 730 e di Unico di anni precedenti. In buona sostanza, secondo l'amministrazione finanziaria, l'indicazione del codice 1 nel quadro B dei fabbricati della dichiarazione dei redditi, che fino all'anno d'imposta 2011 consentiva una deduzione dal reddito complessivo della rendita catastale dell'immobile, sarebbe comunque incompatibile con la fruizione delle detrazioni previste dall'articolo 16 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Al riguardo va sottolineato che i commi 01 e 1 dell'articolo 16 del Tuir riconoscono ai soggetti titolari di contratti di locazione di unità immobiliari «adibite ad abitazione principale», stipulati o rinnovati ai sensi della legge 431 del 1998, una detrazione pari a 300 euro se il reddito complessivo non supera 15.494 euro, che si riduce a 150 euro se il reddito è ricompreso tra 15.495 e 30.987 euro. Nel caso di contratti "convenzionati" la detrazione si eleva rispettivamente a 496 o a 248 euro, fermo restando gli stessi due scaglioni reddituali. Come si evince dalla norma, le condizioni indispensabili per poter fruire della detrazione, a parte l'ammontare del reddito complessivo, sono due: 1) il contratto di locazione deve essere redatto ai sensi della legge 431 del 1998;

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2) il contribuente deve aver adibito ad «abitazione principale» l'alloggio locato. Con riguardo al secondo requisito va evidenziato come il comma 1-quinquies dello stesso articolo 16 del Tuir definisca «abitazione principale» quella nella quale il soggetto titolare del contratto di locazione o i suoi familiari «dimorano abitualmente». Fuori discussione, quindi, che nel caso in cui il contribuente continui a risiedere nella casa di proprietà, pur detenendo in locazione un altro appartamento, non potrà fruire di nessuna delle detrazioni d'imposta previste dall'articolo 16. Ad opposta conclusione si dovrebbe, invece, giungere nell'ipotesi in cui il contribuente abbia posto la sua dimora abituale nell'immobile locato, concedendo in uso a familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado) la casa di proprietà. Sarebbe, infatti, opinabile se l'agenzia delle Entrate negasse la detrazione facendo ricorso all'articolo 10, comma 3-bis, del Tuir, che definisce abitazione principale anche l'immobile in cui dimorano abitualmente i familiari del contribuente, cosicché, nel caso di specie, quest'ultimo si troverebbe con due abitazioni principali (una di proprietà e l'altra in locazione) e con un doppio beneficio. È evidente, invero, che nel caso di specie si tratta di una fictio iuris con la quale viene considerata «abitazione principale» anche quella casa in cui dimora un familiare del contribuente, purché quest'ultimo risieda in un'altro fabbricato non suo. Il che, però, non inficia assolutamente il requisito della "dimora abituale" richiesto dall'articolo 16. A ciò si aggiunga, in via dirimente, che né dal combinato disposto degli articoli 10, comma 3-bis, e 16 del Tuir, né tanto meno dalle istruzioni alle dichiarazioni dei redditi, si evince in alcun modo l'incompatibilità tra le due agevolazioni. (Maurizio Bonazzi, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 1 novembre 2013)

Per la cedolare aliquota al 15% Un particolare calcolo a favore dei contribuenti, può riguardare la cedolare secca in quanto la riduzione dal 19 al 15%, sui canoni derivanti da contratti concordati, ha effetto dal 2013. I contribuenti possono perciò beneficiare della riduzione in sede di acconto per il 2013, ricalcolando l'acconto di novembre, in scadenza il 2 dicembre. Per determinare l'acconto per il 2013, sono previsti due metodi di calcolo: lo "storico" sui dati dellanno precedente, del 730/2013 o dell'Unico 2013, e il "previsionale" sul minore imponibile o sulla minore imposta dell'anno per il quale si versa l'acconto. Può essere questo il caso dei contribuenti che possono fruire della riduzione dal 19 al 15% per cento. In sede di saldo per il 2013, in scadenza nel 2014, potranno poi eseguire i relativi conguagli. È l'articolo 4 del decreto legge 31 agosto 2013, n. 102, a disporre la riduzione dell'aliquota dal 19 al 15% con effetto dal 2013 della cedolare secca per i contratti a canone concordato. La diminuzione decorre dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, in pratica, per l'intero anno 2013, considerato che, per le persone fisiche, il periodo d'imposta coincide con l'anno solare. L'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, dispone che, dal 2011, il canone di locazione relativo ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all'abitazione, può essere assoggettato, in base alla decisione del locatore, ad un'imposta, operata nella forma della cedolare secca, sostitutiva dell'Irpef e delle relative addizionali, nonché delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione; la cedolare secca sostituisce anche le imposte di registro e di bollo sulla risoluzione e sulle proroghe del contratto di locazione. Sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti la cedolare secca si applica in ragione di un'aliquota del 21 per cento. La cedolare secca può essere applicata anche ai contratti di locazione per i quali non sussiste l'obbligo di registrazione. Per i contratti, cosiddetti contratti concordati, relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative o negli altri comuni ad alta tensione abitativa, l'aliquota della cedolare secca calcolata sul canone pattuito dalle parti è ridotta al 19 per cento, misura che, come si è detto, è ulteriormente ridotta al 15 per cento, per l'intero anno 2013. (Salvina Morina, Tonino Morina, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi – Focus Gli acconti di novembre, 6 novembre 2013)

Bonus energia con la vecchia Ace Per i bonus fiscali sugli interventi per il risparmio energetico sono arrivati dall'Enea i chiarimenti su quale modulo compilare per l'Ape e sulla spettanza dell'incentivo per la demolizione dell'edificio e la sua ricostruzione, anche infedele. Dal 4 agosto 2013, l'attestato di certificazione energetica è stato sostituito dall'attestato di prestazione energetica (decreto legge 4 giugno 2013, n. 63) e fino all'emanazione dei decreti

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attuativi le modalità di calcolo da seguire continuano ad essere quelle del Dpr 2 aprile 2009, n. 59 (circolare del ministero dello Sviluppo economico 7 agosto 2013). Per l'Enea (Faq 67), quindi, ai fini della detrazione del 55-65-50%, si deve continuare ad utilizzare lo stesso modulo dell'attestato di qualificazione energetica, che può essere compilato e sottoscritto anche da un tecnico abilitato coinvolto nei lavori di cui alla richiesta di detrazione. Il tecnico compilatore dell'attestato di prestazione energetica, invece, non deve essere coinvolto nei lavori (requisiti dei certificatori nel Dpr 75/2013). Per la detrazione Irpef e Ires sul risparmio energetico del 55% (65% per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014 o al 30 giugno 2015 per i condomini ovvero 50% per le spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015 o dal 1° luglio 2015 al 30 giugno 2016 per i condomini), dal 21 agosto 2013, la nuova definizione di "ristrutturazione edilizia" comprende anche la demolizione e l'infedele ricostruzione (sagoma diversa, ma "con la stessa volumetria di quello preesistente"). Quindi, anche in questi casi è possibile beneficiare della detrazione Irpef ed Ires del 55-65-50% sugli interventi per il risparmio energetico. In caso di demolizione e ricostruzione con ampliamento non spetta la detrazione in quanto l'intervento si considera "nuova costruzione" e non spetta il bonus del 55-65-50% agli «interventi relativi ai lavori di ampliamento». (Luca De Stefani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 6 Novembre 2013)

Acquisto di case restaurate, detrazione da confermare Per le ristrutturazioni edilizie la proroga dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2014 dell'incremento della detrazione Irpef dal 36% al 50% (40% per il 2015), per i pagamenti effettuati dal 26 giugno 2012, potrebbe essere estesa anche agli acquisti di abitazioni di fabbricati interamente interessati a interventi di restauro e risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia. Lo stesso potrebbe valere anche per l'importo massimo su cui calcolare la percentuale (pari al 25% del prezzo di acquisto), il quale per i pagamenti effettuati dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2013 è passato da 48mila a 96mila euro. Si arriva a questa conclusione basandosi sui chiarimenti forniti dalle Entrate nella circolare 18 settembre 2013, n. 29/E, dove è stato trattato l'innalzamento della percentuale di detrazione dal 36% al 50%, per i pagamenti effettuati dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2013 (articolo 11, comma 1, decreto legge 22 giugno 2012, n. 83). In quest'ultimo caso, come per la più recente proroga dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2014 (articolo 6, disegno di legge di stabilità 2014), la norma riguarda solo degli «interventi di cui all'articolo 16-bis, comma 1», Tuir, escludendo quindi quelli del comma 3, relativi agli acquisti di abitazioni di fabbricati interamente ristrutturati. Una prima interpretazione a favore dell'innalzamento della detrazione anche per l'acquisto di case ristrutturate è arrivata dallo studio del Notariato 8 gennaio 2013, n. 129-2012-T, pagina 7. Questa, poi, è stata definitivamente confermata dalle istruzioni al modello Unico PF 2013 e dalla circolare dell'agenzia delle Entrate 18 settembre 2013, n. 29/E, paragrafo 2.1. A differenza della proroga al 31 dicembre 2013 della detrazione maggiorata al 50%, però, quella fino al 31 dicembre 2014 (40% per il 2015) è stata attuata «ferme restando le ulteriori disposizioni contenute nell'articolo 16-bis», Tuir. Ecco che solo le Entrate, potranno estendere all'acquisto di immobili ristrutturati la maxi-detrazione del 50% al 2014 (40% per il 2015). Sempre sul fronte del bonus del 50% per il recupero edilizio va segnalato che le spese di trasloco e custodia dei mobili, per il periodo necessario all'effettuazione degli interventi di recupero edilizio, non possono essere detratte al 36-50%, in base all'articolo 16-bis, Tuir, relativo al bonus fiscale sulle ristrutturazioni edilizie. A chiarirlo è l'agenzia delle Entrate nelle Faq pubblicate nel sito del Governo il 4 novembre 2013, nell'ambito dell'iniziativa "Rimetti la casa al centro del tuo mondo". Va ricordato che in dottrina la vera "domanda frequente" riguarda la possibilità o meno di detrarre il 50% sull'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici dopo aver effettuato qualunque lavoro indicato nell'articolo 16-bis, Tuir, considerando che nella circolare 18 settembre 2013, n. 29/E, l'agenzia delle Entrate, pur non dicendo mai di voler escludere qualcuno dei suddetti interventi, afferma che «in sintesi, la detrazione in esame è collegata agli interventi» di manutenzione straordinaria (e ordinaria, solo su parti comuni condominiali), di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia su singole unità immobiliari residenziali indicate alle lettere a) e b) del comma 1, di ricostruzione o ripristino di immobili danneggiati da eventi calamitosi (lettera c) e di acquisto di abitazioni facenti parte dei fabbricati completamente ristrutturati da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare

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(comma 3). La sintesi delle Entrate, quindi, ha tralasciato gli interventi che vanno dalle lettere da d) a l), dell'articolo 16-bis, comma 1, Tuir. (Luca De Stefani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 6 Novembre 2013)

Edilizia e urbanistica

Patente «a punti» anche per l'edilizia Più vicina la patente a punti per l'edilizia. Come accade per chi guida si partirà da un punteggio base che sarà decurtato a ogni violazione delle misure di sicurezza. Chi perde tutti i punti non potrà partecipare ad appalti né ricevere finanziamenti pubblici. Il sistema di qualificazione per imprese e lavoratori autonomi, previsto dal Testo unico sicurezza (Dlgs 81/2008) comincia a prendere forma, grazie a uno schema di regolamento (un Dpr) che dovrà passare l'esame del Consiglio dei ministri su proposta del ministro del Lavoro. La "patente professionale a punti" riguarderà anche altri settori economici oltre all'edilizia (dai trasporti a i servizi sanitari pubblici). A gestire il meccanismo sarà una "Sezione speciale per l'edilizia" istituita presso le Camere di commercio. Spetterà a questo organismo verificare la sussistenza dei requisiti di qualificazione e la loro permanenza nel tempo. Quattro i requisiti inderogabili di qualificazione. Il primo è la designazione di un "responsabile tecnico in possesso di adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro" da individuare con un accordo in Conferenza Stato-Regioni entro sei mesi dalla pubblicazione del regolamento. Il possesso delle competenze in materia di sicurezza dovrà essere dimostrato anche dai lavoratori autonomi. Necessario poi dimostrare i "requisiti di onorabilità" relativi all'assenza di procedimenti in corso, misure di prevenzione, condanne per riciclaggio, insolvenza fraudolenta e usura. Ultimo punto è il possesso dell'attrezzatura tecnica necessaria alle attività di cantiere. La Sezione speciale per l'edilizia avrà 10 giorni di tempo per rilasciare il documento o rifiutare, motivando, l'iscrizione. In caso di ritardo l'impresa può cominciare a operare in via provvisoria. La patente viene rilasciata "in automatico" a imprese e lavoratori autonomi in possesso di qualificazione Soa e già iscritti alle Camere di commercio, purché in possesso di un regolare Durc. Il Durc assume anche la veste di attestato, visto che il punteggio della patente verrà segnato in un apposito riquadro del documento di regolarità contributiva. Da notare che l'azzeramento dei punti impedirà anche il rilascio del Durc, salvo che non sia in ballo il pagamento di lavori effettuati prima della revoca della patente. Per coprire le spese di funzionamento della Sezione speciale per l'edilizia è previsto il versamento di un "diritto di prima iscrizione" che verrà determinato con decreto del ministero del Lavoro. In via di prima applicazione però a tutte le imprese e gli autonomi operanti nel settore edile sarà richiesto il versamento una tantum di 10 euro. Nel dettaglio il funzionamento della patente a punti verrà precisato dal successivo decreto in cui saranno indicati sia il punteggio iniziale della patente, da attribuire tenendo conto del numero dell'organico medio annuo delle imprese, che il meccanismo di decurtazione dei punti, oltre alla previsione di un procedimento di sospensione della patente e della verifica periodica dei requisiti. Per ditte e lavoratori che operano nel settore dell'installazione e manutenzione di impianti sono previste procedure di qualificazione ad hoc, da mettere a punto con l'accordo di sindacati e imprese. (Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 6 Novembre 2013)

In Italia il fisco più caro per i fabbricati È un'Europa profondamente frammentata quella che emerge da un confronto sulla fiscalità immobiliare. Con differenze talmente pesanti in grado, da sole, di spostare l'ago della bilancia tra la convenienza o meno a mettere in piedi operazioni di sviluppo immobiliare. Ma anche con forti disparità di trattamento tra un cittadino, per esempio, italiano e uno tedesco. Più che di una fotografia, per ricostruire il trattamento fiscale legato all'immobiliare serve un vero e proprio puzzle. Il Sole 24 Ore ha chiesto di approfondire la materia ad Aspesi (l'Associazione delle imprese di sviluppo immobiliare), la quale con l'apporto di un esperto di fiscalità immobiliare ha elaborato le tabelle riportate in questa pagina. La materia è ovviamente complessa, basti pensare che solo in Italia vi è un grossa differenziazione tra operazioni tra privati o con imprese, con l'applicazione o meno dell'Iva. E tra prima e seconda casa. In proposito va sottolineato che l'Italia, a differenza della maggior parte degli altri Paesi, si caratterizza per la predominanza di operazioni che riguardano l'acquisto della casa tra

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privati, che rappresentano l'86,6% del mercato della casa nel suo complesso (il dato è del Centro studi sull'economia immobiliare). Mercato della casa che, a sua volta, rappresenta il 75% dell'intero mercato immobiliare italiano. Prima di entrare nel merito dei risultati dell'elaborazione, va poi precisato che il criterio base di distinzione tra "atti soggetti a Iva" e "non soggetti a Iva" (si vedano le tabelle) è la natura del soggetto venditore: se società/impresa di costruzione o trasformazione, l'atto è ivato; se altra società o privato, l'atto non è ivato. Questo è un principio che, con piccole differenze («Che non è assolutamente possibile descrivere in dettaglio per cinque Paesi in una tabella riassuntiva», precisa Stefano Baruzzi, esperto di fiscalità immobiliare che ha materialmente eseguito l'elaborazione) è lo stesso in tutti i Paesi considerati: Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Italia. Le differenze di trattamento fiscali sono particolarmente evidenti nel caso di un atto di compravendita riguardante un fabbricato intero. Si tratta di un'ipotesi importante, in quanto le indicazioni di tutti i principali Paesi europei vanno nella direzione di diminuire o cessare il consumo di nuovo suolo per riconvertire edifici prima adibiti ad altro uso o, perlomeno, ristrutturare e riqualificare building ormai datati. E la tassazione che ne deriva non è problema solo degli operatori che seguono lo sviluppo di tali operazioni, ma si riversa a cascata sul costo finale dei singoli appartamenti per i privati. Cominciamo dunque dall'esempio di un edificio del valore ipotetico di due milioni di euro. Ebbene, il risultato finale dell'imposizione fiscale nel caso di cessioni non soggette a Iva è di un esborso di 101.800 euro in Francia; 90mila euro in Germania; 101mila euro se residenziale o 81mia euro se non residenziale nel Regno Unito; 120mila euro in Spagna e ben 200mila euro in Italia. In sostanza, nel nostro Paese l'esborso verso il Fisco è all'incirca il doppio rispetto a Francia e Regno Unito, più del doppio in rapporto alla Germania e un po' meno del doppio in comparazione con la penisola iberica. A portare al calcolo finale, la semplice applicazione dei diversi trattamenti indicati nella tabella riportata in pagina. In particolare, il corrispondente dell'imposta di registro in Francia è il 5,09%, in Germania (dove si chiama Grunderwerbsteuer) varia dal 3,5% al 5,5%, nel Regno Unito (stamp duty land tax) va da zero al 15% per gli edifici residenziali e da zero al 4% per quelli non residenziali, in Spagna (Ipt) è il 6 per cento. E in Italia arriviamo al 10% tra imposte di registro, catastali e ipotecarie. Ancora più complessa l'eventualità della cessione di un fabbricato (ipotizzato sempre di due milioni di euro) con aliquota Iva. In questo caso la situazione è molto più frammentata a livello europeo. Mentre in Francia l'imposizione fiscale finale sarebbe di 406mila euro, in Germania si scende a 90mila euro, per risalire a 420mila euro nel Regno Unito e ridiscendere a 200mila euro in Spagna (se residenziale) o 420mila se non residenziale. In Italia avremmo invece 200.500 euro nel caso di un edificio residenziale, 520mila euro se non residenziale. Insomma, forse più che un puzzle è un vero rompicapo. Con effetti di forte discriminazione tra un Paese e l'altro. «Una tale complessità e un accanirsi fiscale sull'immobiliare non portano da nessuna parte – spiega Federico Oriana, a.d. di Aspesi – perchè se non si lavora non si produce gettito. Siamo sicuri, come anche parte del Governo ha dichiarato, che si dovrà intervenire in materia. E abbiamo già reincontrato il ministro Lupi per arrivare a una soluzione». (Evelina Marchesini, Il Sole 24 ORE – Casa 24 plus, 14 novembre 2013)

I pannelli fotovoltaici classificati tra i beni mobili Gli impianti fotovoltaici sono beni mobili; quantomeno questo è il pensiero della Commissione provinciale Tributaria di Milano che ha espresso tale giudizio con la sentenza n. 308/43/13 depositata lo scorso 17 ottobre. La natura di bene mobile o immobile dell'impianto fotovoltaico è un tormentone che non riesce a trovare un assetto definitivo. Nella risposta ad una question-time di qualche tempo fa il Governo si era impegnato ad attivare un gruppo di lavoro costituito dall'agenzia delle Entrate e del Territorio (oggi unico ente) per dirimere la questione; finora nessuna risposta. Invece ci sarebbe bisogno di chiarezza per molteplici ragioni. Per esempio, in caso di realizzazione dell'impianto su terreno o fabbricato altrui l'Agenzia delle Entrate nega il rimborso Iva in quanto nella fattispecie la costruzione non è bene strumentale ma spesa pluriennale e quindi ai sensi dell'articolo 30, lettera C, del Dpr 633/72 non spetta il rimborso ma solo la detrazione (agenzia delle Entrate, risoluzione n. 175/E del 2005). Ai fini della determinazione del reddito minimo sulle società di comodo, se si tratta di bene immobile la percentuale da applicare al costo del bene è del 6% mentre come bene mobile il ricavo minimo è del 15%. Nell'ambito della cessione e comunque nel trasferimento

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dell'impianto effettuato da società agricole diverse dalla società semplice, se si tratta di bene mobile non genera plusvalenza tassabile, mentre nel caso contrario il plusvalore viene assoggettato ad imposta (Dm 213 del 27 settembre 2007). Se la fornitura e la costruzione dell'impianto viene eseguita da un soggetto non residente mutano le modalità di applicazione dell'Iva ai sensi dell'articolo 7 del Dpr 633/72. L'elenco delle conseguenti incertezze potrebbe continuare. Si ricorda che l'agenzia delle Entrate, con le circolari 46/E del 2007 e 38/E 2010, ha chiarito che «l'impianto fotovoltaico situato su un terreno non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli solari) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità», quindi l'impianto fotovoltaico va classificato come bene mobile a meno che per separarlo dall'immobile (terreno o fabbricato), al fine di riutilizzarlo o semplicemente riposizionarlo, non debbano essere «effettuati antieconomici interventi di adattamento». Di parere contrario l'agenzia del Territorio, che con nota n. 31892 del 22 giugno 2012 forniva le istruzioni per l'accatastamento dell'impianto fotovoltaico quale opificio (categoria catastale D1, ovvero D10 per gli impianti rientranti nel reddito agrario) e quindi assoggettabile a Imu salvo esenzioni specifiche; per gli impianti collocati sui tetti l'autonomo accatastamento scatta quando l'impianto incrementa il valore del fabbricato in misura superiore al 15%. La Commissione Tributaria provinciale di Milano ha sposato la tesi che l'impianto fotovoltaico è un bene mobile è ciò è avvenuto nell'ambito di una controversia riguardante il diniego di un rimborso Iva in quanto la costruzione era stata eseguita su terreni di proprietà di terzi. Concludono i giudici di Milano che l'impianto costruito su terreni in affitto mantiene la sua autonomia e non può essere ricompreso nell'alveo dei beni immobili ma bensì in quelli mobili ammortizzabili. Tale circostanza rende legittimo il rimborso Iva assolta per la sua costruzione. (Gian Paolo Tosoni, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 6 novembre 2013)

L'attestato di prestazione energetica nell'analisi operativa del Notariato Il Consiglio nazionale del notariato con lo studio 657/2013/C ha illustrato in una dettagliatissima analisi la disciplina della certificazione energetica. Lo studio evidenzia, preliminarmente, che con il Dl 63/2013 è stata data attuazione alla nuova direttiva comunitaria in materia di rendimento energetico nell’edilizia: – da un lato, viene soppresso l’attestato di certificazione energetica, definito come il documento attestante la prestazione energetica ed eventualmente alcuni parametri energetici caratteristici dell'edificio; – dall’altro, viene introdotto, in suo luogo, l’attestato di prestazione energetica, definito come il documento, redatto e rilasciato da esperti qualificati e indipendenti che attesta la prestazione energetica di un edificio attraverso l'utilizzo di specifici descrittori e fornisce raccomandazioni per il miglioramento dell'efficienza energetica. La finalità di tale attestato è quella di essere chiamato a svolgere il ruolo di strumento di "informazione" del proprietario, dell’acquirente (anche a titolo gratuito) e/o del locatario circa la prestazione energetica e il grado di efficienza energetica degli edifici. L’attestato di prestazione energetica si differenzia dall’attestato di qualificazione energetica per la necessità, prevista solo per il primo, dell’attribuzione della classe di efficienza energetica. I due attestati si distinguono, inoltre, anche per quanto riguarda le caratteristiche del certificatore: infatti mentre l'attestato di qualificazione energetica può essere predisposto ed asseverato da un professionista abilitato alla progettazione o alla realizzazione dell’edificio "non necessariamente estraneo alla proprietà e quindi non necessariamente “terzo”, l’attestato di prestazione energetica dovrà, invece, essere rilasciato da "esperti qualificati e indipendenti" o da "organismi" dei quali dovranno comunque essere garantiti "la qualificazione e l'indipendenza". I due attestati sono, pertanto, chiamati a svolgere ruoli e funzioni ben distinte e non sono tra loro “fungibili”. Gli atti traslativi a titolo oneroso. Il documento del Notariato analizza i casi in cui vi è l’obbligo di allegazione dell’Ape; la norma limita, testualmente, l’obbligo di dotazione, tra gli atti traslativi a titolo non gratuito, alla sola vendita; tra questi rientrano certamente, anche la permuta. Con riferimento agli altri atti traslativi a titolo oneroso, in relazione a quella che pare essere la finalità della disciplina in materia di efficienza energetica, più che in relazione al dato testuale, sembra più opportuno fare riferimento all’effetto economico del negozio avente per oggetto edifici energeticamente rilevanti, per cui, secondo lo Studio del Notariato, si dovrà ritenere plausibile la sussistenza dell’obbligo di dotazione e allegazione in occasione della

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stipula di tutti quegli atti che comportino l’immissione nel mercato immobiliare e la successiva commercializzazione di edifici, comportanti un consumo energetico. Gli atti traslativi a titolo gratuito. Il documento del Notariato evidenzia le importanti novità introdotte: in virtù delle modifiche contenute nel Dl 63/2013, sono soggetti all’obbligo di dotazione (nonché al connesso obbligo di allegazione) gli atti a titolo gratuito che comportino “il trasferimento di immobili”. Il riferimento “agli atti a titolo gratuito”, comporta, secondo lo studio del Notariato che la disciplina deve essere non solo riferita alla donazione o alle liberalità donative, ma anche ad ogni altro negozio nel quale, anche senza spirito di liberalità, vi sia trasferimento di immobile a titolo gratuito. In sostanza la nuova disciplina si applicherà in tutti quei casi in cui, a fronte del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale su un immobile da una delle parti contrattuali a favore dell’altra, quest’ultima non sopporti alcun sacrificio, non essendo tenuta né a corrispondere un corrispettivo in denaro o in natura, né ad obbligarsi ad un determinato comportamento. Per converso, rimangono esclusi dalla novità gli atti a titolo gratuito privi di effetti traslativi. Le locazioni. Il Dl 63/2013 ha apportato novità anche in materia di locazioni, prevedendo che, l’obbligo di dotazione dell’Ape e anche l’obbligo di allegazione (del quale il primo è funzionale), sorgano nel caso di stipula di un contratto di locazione. Lo Studio del Notariato sottolinea, tuttavia, che deve trattasi di una nuova locazione. Non si applica la disciplina in commento, pertanto, se non si è in presenza di una nuova locazione come , per esempio, in presenza di un contratto che rinnova, proroga o reitera un precedente rapporto di locazione. Nel caso di attestazione della prestazione degli edifici esistenti, l'attestato è prodotto a cura del proprietario dell'immobile. L’obbligo di dotazione dell’attestato di prestazione energetica, tra l’altro, sorge prima della stipula del contratto di locazione. Di conseguenza non si può attendere il momento della stipula del contratto di locazione per dotare l’immobile dell’attestato di prestazione energetica; il proprietario è, infatti, tenuto a dotare l’immobile nel momento stesso in cui decide di concederlo in locazione, al fine di poter rispettare gli obblighi di legge. L’attestato energetico deve, poi, essere allegato al contratto di locazione, pena la nullità del contratto medesimo. I contratti di locazione commerciali. Lo Studio del Notariato ritiene, inoltre applicabile, in via estensiva, la disciplina dettata per la locazione anche ai seguenti contratti, per affinità con la figura della locazione , fermo restando che si tratti di nuovi contratti: – il leasing (avente per oggetto un edificio comportante consumo energetico); – l’affitto di azienda (qualora il complesso aziendale comprenda anche edifici comportanti consumo energetico). (Federico Gavioli, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 13 novembre 2013)

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Legge e prassi

(G.U. 30 novembre 2013, n. 28)

Ambiente MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE DECRETO 21 febbraio 2013 Modifica dell'allegato 5 del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151 recante: «Attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonche' allo smaltimento dei rifiuti» (G.U. 8 novembre 2013, n. 262) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE CIRCOLARE DEL 07-11-2013 Circolare recante chiarimenti interpretativi relativi alla disciplina dell'autorizzazione unica ambientale nella fase di prima applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2013, n. 59

Economia, fisco, agevolazione e incentivi MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE COMUNICATO Comunicato relativo al testo del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, coordinato con la legge di conversione 28 ottobre 2013, n. 124, recante: «Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici.». (G.U. 26 novembre 2013, n.276) DECRETO-LEGGE 30 novembre 2013, n. 133 Disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia (G.U. 30 novembre 2013, n. 281)

NOTA Stop alla seconda rata dell'Imu su prime case e terreni agricoli Con il Dl 133/2013, il Governo è intervenuto su uno degli argomenti di fiscalità locale più delicati e dibattuti di quest’anno; quello riguardante l’applicazione dell’imposta municipale propria (Imu). Queste le novità. Per il 2013, salvo le precisazioni per il mini conguaglio, non è dovuta la seconda rata dell’Imu: per l’abitazione principale e le relative pertinenze, esclusi i fabbricati classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9; per le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, nonché per gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (Iacp) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli Iacp, istituiti in attuazione dell’articolo 93 del Dpr 616/1977; per la casa coniugale assegnata al coniuge a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; per l’immobile, purché non censito in una delle categorie catastali A/1, A/8 o A/9, posseduto e non concesso in locazione dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia a ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 28, comma 1, del Dlgs 139/2000, dal personale appartenente alla carriera prefettizia. Il tutto, come previsto dalle lettere da a) a c) del comma 1 dell’articolo 1

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del Dl 133/2013, con richiamo espresso all’articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del Dl 54/2013 convertito dalla legge 85/2013, all’articolo 4, comma 12-quinquies, del Dl 16/2012 convertito dalla legge 44/2012, all’articolo 2, comma 5, del Dl 102/2013 convertito dalla legge 124/2013. Ai sensi delle successive lettere d) ed e) del citato articolo 1, infine, il saldo non è dovuto per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, di cui all’articolo 13, comma 5, del Dl 201/2011, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola e per i fabbricati rurali a uso strumentale di cui all’articolo 13, comma 8, del Dl 201/2011. Il comma 2, per evitare dubbi, si preoccupa di precisare che l’eliminazione del saldo non riguarda né i terreni agricoli né i fabbricati rurali che non rientrino nelle definizioni di cui sopra: è, quindi, confermato che si dovrà versare l’Imu sia sui terreni non posseduti da agricoltori e sia sui fabbricati rurali non strumentali. I ristori delle minori entrate. Con i commi 3, 4 e da 6 a 8 dell’articolo 1 del Dl 133/2013, è disciplinato il ristoro ai Comuni per il minor gettito riscosso a titolo di Imu. A tal fine, con il comma 3, è stanziato un aumento di risorse pari a 2.164.048.210,99 euro per l’anno 2013, di cui 2.076.989.249,53 euro riferiti ai Comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, e 87.058.961,46 euro riferiti ai Comuni delle Regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Con il comma 4, una quota delle risorse stanziate dal comma 3, corrispondente a 1.729.412.036,11 euro, è attribuita ai Comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, direttamente dal ministero dell’Interno. Le attribuzioni sono stabilite per ente; in altri termini, ogni Comune può verificare la propria quota di rimborso nell’allegato “A” al Dl in esame e tale quota verrà attribuita dal ministero entro il 20 dicembre 2013. Ai sensi del comma 8, inoltre, per i Comuni delle Regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, la compensazione del minor gettito Imu avviene attraverso un minor accantonamento, per l’importo complessivo di 86.108.824,15 euro, come evidenziato sempre nell’allegato “A” al Dl n. 133, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell’articolo 13, comma 17, del Dl 201/2011. Il comma 6 coordina le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 8, stabilendo che con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il ministro dell’Interno, da emanare entro il 28 febbraio 2014, sentita la conferenza Stato-città e autonomie locali, è determinato a conguaglio il contributo compensativo nell’importo totale di 348.527.350,73 euro. Tale conguaglio, infatti, sarà pari alla differenza tra le risorse di cui al comma 3 e quelle distribuite ai sensi dei commi 4 e 8, spettante a ciascun Comune. Con il comma 7, infine, è stabilito che nel caso in cui dal predetto decreto risulti un ammontare complessivo di importi riconosciuti al Comune superiori a quanto a esso spettante, l’eccedenza dovrà essere destinata dal Comune medesimo a riduzione delle imposte comunali dovute relativamente ai medesimi immobili per l’anno 2014. Si tratta di un vero e proprio vincolo di destinazione delle maggiori somme disponibili. Le unità abitative assimilate alle abitazioni principali e il mini conguaglio. Con il comma 9 dell’articolo 1 del Dl 133/2013, è stabilito che l’agevolazione Imu prevista per il saldo dal comma 1, si applica anche agli immobili equiparati all’abitazione principale dai Comuni, ai sensi dell’articolo 13, comma 10, del Dl 201/2011 e dell’articolo 2-bis del Dl n. 102, per i quali non spettano le risorse di cui ai commi 3, 4 e 6, ovvero il minor accantonamento di cui al comma 8 del Dl 133/2013. In altri termini, l’assimilazione porterà benefici ai soli contribuenti e non al Comune, che dovrà accollarsene i costi. Il comma 5 dell’articolo 1 del Dl n. 133, invece, disciplina che l’eventuale differenza tra l’ammontare dell’Imu risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione per ciascuna tipologia di immobile che accede all’agevolazione del saldo deliberate o confermate dal Comune per l’anno 2013 e, se inferiore, quello risultante dall’applicazione dell’aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali per ciascuna tipologia di immobile di cui al medesimo comma 1, è versata dal contribuente, in misura pari al 40%, entro il 16 gennaio 2014. Il decreto, dunque, anziché orientarsi verso i soli enti che hanno effettuato aumenti nel 2013, si riferisce a tutti quelli che hanno aliquote superiori a quelle di base (circa 2.400 Comuni in Italia!). Le manovre di bilancio. Con i commi 11 e 12 dell’articolo 1 del Dl n. 133, sono disciplinate alcune deroghe al Tuel, in merito alla contabilizzazione dei ristori, nonché di accesso al credito per il reperimento di liquidità. Precisamente, in deroga all’articolo 175 del Tuel, i Comuni

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beneficiari del trasferimento compensativo sono autorizzati ad apportare le necessarie variazioni di bilancio entro il 15 dicembre 2013. Inoltre, per il 2014, il limite massimo di ricorso da parte degli enti locali ad anticipazioni di tesoreria di cui all’articolo 222 del Tuel è incrementato, sino alla data del 31 marzo 2014 da tre a cinque dodicesimi. Gli oneri per interessi che scaturiscono dall’attivazione delle maggiori anticipazioni di tesoreria, saranno rimborsati a ciascun Comune dal ministero dell’Interno, nel limite massimo complessivo di 3,7 milioni di euro, con modalità e termini che verranno fissati con decreto del ministero dell’Interno, da adottare entro il 31 gennaio 2014. (Claudio Carbone, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa)

Immobili ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA COMUNICATO Indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativi al mese di ottobre 2013, che si pubblicano ai sensi dell'art. 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), ed ai sensi dell'art. 54 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) (G.U. 18 novembre 2013, n. 270) AGENZIA DELLE ENTRATE RISOLUZIONE 22 NOVEMBRE 2013 N. 83/E OGGETTO: Registrazione contratti di locazione a seguito dell’introduzione dell’obbligo di allegazione dell’Attestato di prestazione energetica (APE)

NOTA L'attestazione energetica non paga registro e bollo L'attestato di prestazione energetica (Ape) allegato ai contratti di compravendita o di locazione non è soggetto a imposta di registro né a imposta di bollo; per la confezione di una copia autentica dell'Ape occorre invece scontare l'imposta di bollo di euro 16 per ogni facciata. È quanto stabilito dalla risoluzione dell'agenzia delle Entrate n. 83/e del 22 novembre 2013. L'Ape è stato introdotto dal Dl 63/2013 al posto del precedente Ace (attestato di certificazione energetica); il Dl 63 ha inoltre sanzionato di nullità, in caso di mancata allegazione dell'Ape, a far tempo dal 6 giugno 2013: a) i contratti di compravendita immobiliare (e pure di ogni altro contratto traslativo di immobili a titolo oneroso: permuta, conferimento in società, transazione, rendita, eccetera); b) i contratti di donazione e ogni altro atto traslativo di immobili a titolo gratuito; c) i "nuovi" contratti di locazione (vale a dire non i contratti che siano una proroga di precedenti contratti). In considerazione della introduzione di questo obbligo di allegazione dell'attestato di prestazione energetica al contratto di locazione, a pena di nullità dello stesso (anche se si fa strada l'ipotesi di cancellare la nullità, come scritto ieri sul Sole 24 Ore), l'Agenzia è stata richiesta di rispondere al quesito se tale obbligo di allegazione esplicasse effetti anche ai fini della registrazione del contratto di locazione. L'Agenzia risponde anzitutto che si deve procedere alla registrazione del contratto di locazione e dell'attestato allegato, senza autonoma applicazione dell'imposta di registro all'Ape, in quanto l'attestato non rientra tra gli atti per i quali vige l'obbligo della registrazione. La situazione non cambia se il contratto di locazione sia registrato telematicamente (con l'utilizzo dei software "Locazioni web Siria" e "Iris"), caso nel quale non è prevista la possibilità di trasmettere al fisco anche gli allegati del contratto. Infatti, a parte il rilievo che, in capo ai soggetti tenuti alla registrazione del contratto di locazione, non grava un obbligo di produrre l'Ape in sede di registrazione (dato che l'obbligo di allegazione dell'Ape al contratto è suscettibile di esplicare effetti sulla validità dell'atto ma non ha riflessi sulla registrazione), qualora comunque il contribuente presentasse l'Ape all'Agenzia insieme all'attestazione di avvenuta registrazione del contratto restituita dal servizio telematico utilizzato dall'utente, non dovrebbe scontare alcuna imposta con riguardo all'Ape. Qualora il contribuente peraltro lo desideri (caso assai improbabile), l'Ape può essere registrato "volontariamente" con il pagamento dell'imposta di registro di 168 euro (200 dal 1° gennaio 2014).

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Quanto infine all'imposta di bollo, essa non va applicata in base del presupposto che l'articolo 37, Dpr 445/2000 esonera da bollo le dichiarazioni sostitutive di atto notorio di cui agli articoli 46 e 47 del medesimo Dpr 445/2000 e che l'Ape (ai sensi dell'articolo 15, comma 1, Dlgs 192/2005) deve essere prodotto appunto nella «forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi dell'articolo 47» del Dpr 445/2000. L'imposta di bollo è invece dovuta se l'Ape venga allegato al contratto di locazione in copia certificata conforme all'originale, ai sensi della nota 1 all'articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr 642/1972; il bollo sulla copia è infatti dovuto a prescindere dal trattamento (in termini di imposta di bollo) del documento originale. (Angelo Busani, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 23 novembre 2013) AGENZIA DELLE ENTRATE RISOLUZIONE 8 NOVEMBRE 2013 N. 77/E OGGETTO: Interpello ordinario - Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. (Applicazione benefici previsti per la piccola proprietà contadina agli atti dell’autorità giudiziaria che dichiarano l’acquisto per intervenuta usucapione ordinaria di un terreno agricolo - Articolo 1 della legge 6 agosto 1954, n. 604).

NOTA Sconti alla piccola proprietà contadina anche ai terreni avuti per usucapione Le agevolazioni in materia di imposte di bollo, di registro e ipotecaria contenute nell’articolo 1 della legge 604/1954 per la formazione e l’arrontondamento della piccola proprietà contadina sono applicabili anche ai terreni acquisiti con il possesso ventennale continuato. L’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 77/E del 2013 ha fornito una interessante risposta a seguito di una istanza di interpello, riconoscendo l’agevolazione anche al caso dell’acquisizione del terreno mediante usucapione. Le motivazioni dell’istanza di interpello. Alla base dell’istanza di interpello c’è una ordinanza con la quale un soggetto è divenuto unico ed esclusivo proprietario di un terreno agricolo per intervenuta usucapione ordinaria ventennale. L’istanza, avanzata dal legale del contribuente, è finalizzata a conoscere se la registrazione della suindicata ordinanza possa beneficiare delle agevolazioni previste per la piccola proprietà contadina. L’istante è del parere che, secondo quanto previsto dall’articolo 1 della legge 604/1954, l’elenco degli atti per i quali spettano i benefici per la piccola proprietà contadina non ha carattere tassativo e, pertanto, le agevolazioni devono ritenersi applicabili anche all’acquisto per usucapione ordinaria ventennale, sempreché sussistano i requisiti previsti dalla legge. Le ultime novità sulla piccola proprietà contadina. Il Dl 194/2009, all’articolo 2, comma 4-bis, successivamente modificato dalla legge 220/2010 (legge di stabilità 2011), ha introdotto in maniera definitiva nel nostro ordinamento l’agevolazione in materia di imposta di registro e ipocatastale, denominata “piccola proprietà contadina”, che trae la sua origine dalla legge 604/1954, più volte prorogata nel corso degli anni. L’agevolazione prevede che «gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base agli strumenti urbanistici vigenti, posti in essere a favore di coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, iscritti alla relativa gestione previdenziale ed assistenziale, nonché le operazioni fondiarie operate attraverso l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) sono soggetti alle imposte di registro ed ipotecaria nella misura fissa ed all’imposta catastale nella misura dell’1 per cento.». Sia l’Agenzia delle entrate sia il Consiglio nazionale del notariato hanno ribadito che l’agevolazione in esame è da ritenersi non una messa a regime dell’originaria legge del 1954 ma una nuova e propria disciplina in materia di imposta di registro, sui trasferimenti a favore di coltivatori diretti e imprenditori agricoli. La legge 604/1954 riconosce particolari agevolazioni in materia fiscale, costituite dall’applicazione delle imposte di registro e ipotecaria in misura fissa , anziché proporzionale, e dalla esenzione dall’imposta di bollo, sugli atti inerenti la formazione e l’arrotondamento della “piccola proprietà contadina”. Precisamente, si tratta degli atti: – di compravendita; – di permuta, quando per ambedue i permutanti l’atto sia posto in essere esclusivamente per l’arrotondamento della piccola proprietà contadina; – di concessione di enfiteusi, di alienazione del diritto dell’enfiteuta e di affrancazione del fondo enfiteutico, nonché di alienazione del diritto a usi collettivi inerenti alla piccola proprietà acquistata;

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– di affitto e compartecipazione a miglioria, con parziale cessione del fondo migliorato all’affittuario o compartecipante; – con i quali i coniugi, ovvero i genitori, e i figli acquistano separatamente, ma contestualmente, l’usufrutto e la nuda proprietà; – con i quali il nudo proprietario o l’usufruttuario acquista, rispettivamente, l’usufrutto o la nuda proprietà; – di acquisto a titolo oneroso delle case rustiche non situate sul fondo, quando l’acquisto viene fatto contestualmente in uno degli atti sopra elencati per l’abitazione dell’acquirente o dell’enfiteuta e della sua famiglia. La soluzione delle Entrate. I tecnici delle Entrate, con riferimento ai requisiti relativi ai benefici fiscali applicabili secondo le disposizioni contenute nella legge 604/1954, rilevano come l’istituto dell’usucapione costituisce una modalità di acquisto della proprietà di beni immobili o di altri diritti reali di godimento sui beni medesimi, a titolo originario, ossia in virtù del possesso continuato per 20 anni (articolo 1158 del Codice civile). L’acquisto per usucapione avviene ope legis e, pertanto, le relative sentenze emesse dal giudice hanno efficacia meramente dichiarativa, volta ad accertare l’avvenuta acquisizione del diritto immobiliare sul bene. Dalla lettura della disposizione recata dall’articolo 1 della legge 604/1954, osservano i tecnici delle Entrate, si rileva che i provvedimenti del giudice che dichiarano l’acquisto per usucapione non rientrano tra gli atti espressamente previsti dal Legislatore per i quali spettano le citate agevolazioni. Al riguardo, occorre, tuttavia, considerare che, con riferimento all’applicazione della disposizione, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che all’elenco degli atti per i quali operano i benefici fiscali per la piccola proprietà contadina, di cui all’articolo 1 della legge 604/1954, non va attribuito carattere tassativo. I tecnici delle Entrate, in particolare, richiamano la sentenza della Corte di cassazione 25 marzo 2011 n. 6916 che ha chiarito che «alla lettera della norma supplisce, invero la ratio legis, ravvisabile, inequivocabilmente, nell’intenzione del legislatore di favorire gli atti posti in essere per la formazione o per l’arrotondamento della piccola proprietà contadina (...). Ne consegue che, in via di interpretazione costituzionalmente orientata, l’agevolazione fiscale in discussione deve ritenersi applicabile anche all’acquisto per usucapione giudizialmente accertata di un fondo rustico» . Le conclusioni. Con riferimento al caso in esame, l’Agenzia delle entrate precisa, pertanto, che in relazione all’ordinanza del tribunale con la quale è stato dichiarato l’acquisto per intervenuta usucapione possono trovare applicazione, le agevolazioni per la piccola proprietà contadina, sempre che sussistano i requisiti di legge. (Federico Gavioli, Il Sole 24 ORE - Guida Normativa, 26 novembre 2013) AGENZIA DELLE ENTRATE CIRCOLARE DEL 05-11-2013, N. 32/E Aumento dell’aliquota IVA ordinaria dal 21 al 22 per cento - Articolo 40, comma 1-ter, decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, come modificato, da ultimo, dall’articolo 11, comma 1, lett. a) del decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99

Con circolare l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti sulle modalità di

applicazione dell’aumento dell’aliquota IVA ordinaria dal 21 al 22 per cento. Il documento coordina, in via interpretativa, la nuova misura con le disposizioni del d.P.R. 633/1972 che fanno riferimento alla aliquota ordinaria e alla percentuale di scorporo da applicare al corrispettivo delle operazioni effettuate dai commercianti al minuto e dagli esercenti le attività indicate nell’articolo 22 del d.P.R. 633/1972.

Edilizia e urbanistica MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA DECRETO 10 ottobre 2013 Procedura di cofinanziamento di interventi di edilizia scolastica e messa in sicurezza delle scuole, in attuazione di quanto disposto dalla direttiva 1° agosto 2013 (G.U. 13 novembre 2013, n. 266)

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Giurisprudenza

Mediazione immobiliare

TRIBUNALE VICENZA, SEZIONE 2 CIVILE, SENTENZA 26 MARZO 2013, N. 462 Mediazione e responsabilità del mediatore - art. 1759 c.c. - responsabilità del mediatore - obbligo per il mediatore di riferire alle parti informazioni sulla valutazione e sulla sicurezza dell'affare - notizie incidenti sulla conclusione dell'affare - responsabilità contrattuale - estensione della stessa anche all'omessa informazione di circostanze che il mediatore avrebbe dovuto conoscere - riferimento a tutte le informazioni inerenti alla sicurezza dell'affare - generale obbligo di informazione - non necessità di uno specifico incarico - obbligo per il mediatore di agire con lealtà e diligenza - sussistenza della responsabilità - non conclusione dell'affare se il mediatore avesse agito con correttezza e lealtà - obbligo di adeguata e corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale - caso di specie - attività della società di mediazione - ruolo fondamentale per la conclusione sia del contratto di compravendita immobiliare che del successivo contratto di appalto - comportamento omissivo - rassicurazioni circa la bontà dell'affare e la solvibilità dell'impresa - accertamento di un grave inadempimento da parte della convenuta - risoluzione per inadempimento del contratto di mediazione L'art. 1759 c.c., rubricato "Responsabilità del mediatore", sancisce che il mediatore deve riferire alle parti le circostanze a lui note in merito alla valutazione ed alla sicurezza dell'affare e che possano incidere sulla conclusione dello stesso. Siffatta responsabilità, qualificata prevalentemente come contrattuale, deve estendersi anche all'omessa informazione di circostanze che il mediatore avrebbe dovuto conoscere. Ed infatti, occorre far riferimento a tutte le informazioni inerenti alla sicurezza dell'affare sicuramente rientranti nel generale obbligo di informazione che non avrebbero dovuto essere oggetto di specifico incarico. È, dunque, chiaro che la predetta disposizione pone a carico del mediatore un obbligo di agire con lealtà e diligenza ed è fonte di responsabilità allorché il contratto non sarebbe stato concluso se il mediatore avesse agito con correttezza e lealtà. Ne deriva che il mediatore è gravato dall'obbligo di adeguata e corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale. Ciò detto, nel caso di specie, è emerso come l'attività della società di mediazione-convenuta fosse stata fondamentale per indurre alla conclusione sia del contratto di compravendita immobiliare che del successivo contratto di appalto, non solo non avendo rilevato la situazione effettiva dell'immobile per cui è causa e le condizioni reali di scarsa affidabilità dell'impresa immobiliare, ma addirittura avendo fornito rassicurazioni agli attori circa la bontà dell'affare e la solvibilità dell'impresa. Ritenuto, pertanto, accertato un grave inadempimento da parte della convenuta, si è dichiarato risolto per inadempimento il contratto di mediazione. (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, novembre 2013)

TRIBUNALE ROMA, SEZIONE 10 CIVILE, SENTENZA 26 OTTOBRE 2012, N. 20375 Mediazione immobiliare, provvigione, obblighi del mediatore - compravendita immobiliare - mediazione - obblighi del mediatore - specificazione - omesso riscontro della corrispondenza tra il bene posto in vendita con quello raffigurato nella planimetria consegnata al cliente - rifiuto di quest'ultimo di pagare la provvigione - legittimità - sussistenza In tema di mediazione, il mediatore deve comportarsi in modo da non ingenerare equivoci sulla veridicità delle notizie rilevanti per la conclusione dell'affare, non potendo limitarsi a riferirle senza averne controllato la rispondenza a realtà, dal momento che, anche per effetto della legge 2 marzo 1989, n. 39, chi si rivolge al mediatore per concludere un affare fa legittimo

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affidamento sul suo dovere di imparzialità, ogniqualvolta egli non sia agente di una sola parte, essendo tenuto a riequilibrare l'asimmetria informativa dell'una parte rispetto all'altra sulla sicurezza e convenienza dell'affare. In mancanza del corretto adempimento di tali doveri, il contrante può rifiutarsi di corrispondere la provvigione e dunque, ove l'abbia già versata, può ripeterla dal mediatore stesso. (Nel caso di specie, il Giudice ha ritenuto che la diligenza esigibile dal mediatore avrebbe richiesto che il medesimo ponesse in vendita un bene previa verifica della corrispondenza del bene posto in vendita a quello raffigurato nella planimetria consegnata al proponente). (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, novembre 2013)

TRIBUNALE TRENTO, CIVILE, SENTENZA 9 OTTOBRE 2012, n. 850 Pagamento somma - mediazione - natura e caratteri del rapporto - diritto del mediatore alla provvigione - momento in cui sorge il diritto - messa in relazione delle parti In tema di mediazione immobiliare, il diritto alla provvigione va riconosciuto anche quando l'attività del mediatore non possa qualificarsi come il fattore esclusivo e determinante della conclusione dell'affare. Al fine del riconoscimento del diritto non rileva la necessità di un nesso eziologico esclusivo essendo sufficiente la messa in relazione tra le parti, quale condizione in assenza della quale la conclusione dell'affare non avrebbe avuto luogo. In sostanza l'affare concluso si pone quale conseguenza prossima o remota dell'opera del mediatore dando diritto alla percezione della provvigione anche la sola attività di reperimento dell'altro contraente ovvero la specifica indicazione dell'affare senza che sia necessaria la partecipazione attiva del mediatore alle successive trattative. La conclusione dell'affare fa sorgere il diritto alla provvigione per cui si sostanzia in una sorta di operazione economica generatrice di un rapporto obbligatorio che deve ritenersi concluso quando si costituisca un vincolo giuridico che abiliti ciascuna delle parti ad agire per l'esecuzione in forma specifica del negozio o per il risarcimento del danno. a tal fine è sufficiente che l'opera del mediatore si ponga quale l'antecedente necessario per pervenire alla conclusione dell'affare. Anche la stipula di un contratto preliminare rientra in tale definizione facendo sorgere il diritto alla provvigione. Alcuna rilevanza assume, poi, l'eventuale risoluzione del contratto, trattandosi si successive modifiche consensuali dell'accordo già raggiunto. (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, novembre 2013)

TRIBUNALE TARANTO, SEZIONE 2 CIVILE, SENTENZA 17 SETTEMBRE 2012, n. 1678 Proposta di acquisto immobiliare - predisposizione da parte della società di mediazione - sottoscrizione da parte del promissario acquirente - previsione - mancata conclusione dell'affare per cause riconducibili all'acquirente - imputazione di una determinata somma di denaro - quantificazione - doppio delle provvigioni in caso di conclusione dell'affare - squilibrio contrattuale - vessatorietà della clausola - mancata trattativa ed approvazione per iscritto - nullità. La clausola della proposta di acquisto immobiliare predisposta dalla società di mediazione e sottoscritta dal promissario acquirente recante, in ipotesi di mancata conclusione dell'affare per cause imputabili al promissario acquirente medesimo, il pagamento di una determinata somma a titolo di penale e di risarcimento del danno, ha natura vessatoria e richiede, come tale, una specifica approvazione scritta, ex art. 1341 c.c., nonché una preventiva conoscenza e trattazione da parte del consumatore. Costituiscono, invero, clausole vessatorie, ex art. 33, D.Lgs. n. 206 del 2005 quelle clausole determinanti a carico del consumatore un significativo squilibrio nei diritti e negli obblighi derivanti dal negozio. Nel caso concreto la previsione della proposta di acquisto, sottoscritta dal promissario acquirente, del pagamento di una penale irriducibile e di un forfettario risarcimento del danno pari al doppio delle provvigioni spettanti nel caso di conclusione dell'affare, presenta certamente caratteri di eccessività, tale da determinare uno squilibrio tra le parti contraenti che dà vita, tra l'altro, ad una situazione tale per cui sarebbe maggiormente redditizia per l'agenzia immobiliare una forma di inadempimento da parte del contrante che la conclusione dell'affare stesso. Stante quanto innanzi e difettando la prova, da parte della società attrice, in ordine all'avvenuta preventiva necessaria trattativa della clausola predetta, deve farsi luogo alla declaratoria di nullità della stessa ai sensi dell'art. 36 del Codice del Consumo, trattandosi di una forma di nullità di protezione, operante solo nei confronti del consumatore e rilevabile d'ufficio dal Giudice. (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, novembre 2013)

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TRIBUNALE PADOVA, SEZIONE 2 CIVILE, SENTENZA 12 LUGLIO 2012, N. 1890 Mediazione immobiliare - pluralità di mediatori - divisione della provvigione - sussistenza - condizioni. II diritto alla divisione della provvigione tra più mediatori sussiste quando essi abbiano cooperato simultaneamente e di comune intesa, ovvero abbiano operato autonomamente, ma giovandosi l'uno dell'attività espletata dall'altro, in modo da non potersi negare un nesso di concausalità obiettiva tra i loro interventi e la conclusione dell'affare, e sempre che si sia trattato dello stesso affare, sia sotto il profilo soggettivo, che oggettivo. Non sussiste, invece, il diritto al compenso quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l'intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell'affare per effetto d'iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate, sicché possa escludersi l'utilità dell'originario intervento del mediatore. (ilsole24ore.com, 27 novembre 2013)

Economia e fiscalità

CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA n. 6259 del 13 MARZO 2013 Imposta di registro agevolata per tutte le pertinenze La Corte di Cassazione, con la sent. n. 6259 del 13 marzo 2013, ha statuito l’importante principio secondo cui l’imposta di registro, nella misura agevolata riservata alla prima casa, si applica a tutte le pertinenze dell’abitazione principale e non è limitata a quelle rientranti nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7. A norma dell’art. 1, nota II-bis), comma 1, della tariffa parte prima allegata al D.P.R. 131/1986, gli acquisti di pertinenze di abitazioni non di lusso, anche se con atto separato, possono fruire dell’agevolazione prima casa al ricorrere di tutte le condizioni cui la stessa nota subordina la possibilità di applicare tale agevolazione (immobile ubicato nel territorio di residenza, non titolarità di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, non titolarità su tutto il territorio nazionale di altra casa di abitazione acquistata con le agevolazioni prima casa). Secondo tale comma «sono ricomprese tra le pertinenze, limitatamente a una per ciascuna categoria, le unità immobiliari classificate o classificabili nelle categorie catastali C/2 (cantine, soffitte, magazzini e locali di deposito), C/6 (autorimesse, rimesse, scuderie) e C/7 (tettoie chiuse o aperte, posti auto su aree private, posti auto coperti), che siano destinate a servizio della casa di abitazione oggetto dell’acquisto agevolato». La norma è chiara nel porre un limite al numero delle pertinenze agevolabili, poiché si esprime nel senso di consentire l’applicazione dell’aliquota agevolata con riguardo a un solo immobile rientrante in ciascuna delle categorie previste. È quindi possibile ottenere l’agevolazione in sede di acquisto di un’abitazione con i requisiti prima casa per la quale si costituisca un vincolo pertinenziale con una cantina, un’autorimessa e un posto auto coperto, mentre non è possibile ottenere l’agevolazione per tutte le pertinenze quando il vincolo di pertinenzialità venga costituito tra la stessa abitazione e, per esempio, due autorimesse. La norma non è altrettanto chiara nello stabilire se le pertinenze acquistabili con l’aliquota agevolata siano solo quelle rientranti nelle categorie C/2, C/6 e C/7 oppure se possano fruire della stessa agevolazione anche altre tipologie di pertinenze, rientranti in categorie catastali diverse da queste, come i lastrici solari (terrazzi scoperti). A questo proposito, l’Agenzia delle entrate, con la circ. n. 38 del 12 agosto 2005 (par. 7), si è espressa in senso restrittivo, affermando che l’agevolazione si applica «limitatamente a ciascuna pertinenza classificata nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7». Su questo punto, interviene ora la Corte di Cassazione con sent. n. 6259 del 13 marzo 2013, la quale, rifacendosi alla nozione civilistica di pertinenza di un immobile di cui all’art. 817 cod. civ., afferma che l’inciso che riguarda le tipologie di pertinenze agevolabili di cui nota II-bis) serve a ricomprendere tra le varie pertinenze, ai fini fiscali, anche le unità immobiliari specificate dallo stesso art. 817, senza alcuna esclusione della categoria generale. A parere della stessa sentenza, l’espressione utilizzata dalla disposizione di cui alla nota II-bis «non ha (...) valore esaustivo delle pertinenze a cui può essere estesa l’agevolazione prima casa, ma solo valenza complementare alla categoria generale di pertinenza di rilievo civilistico,

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FIAIP News24, Numero 5 - Dicembre 2013 21

ricomprendente i beni destinati in modo durevole al servizio e ornamento di altro immobile, tra cui va ricompreso anche il lastrico solare di proprietà esclusiva dell’acquirente». Confermando l’operato dei giudici di merito, la Cassazione ritiene, quindi, applicabile l’agevolazione prima casa anche all’acquisto di terrazzi scoperti di pertinenza dell’abitazione principale di proprietà esclusiva dell’acquirente. Il principio statuito dalla Corte di Cassazione dovrebbe implicare non solo che gli immobili di categoria catastale C/2, C/6 e C/7 possano fruire dell’agevolazione riservata alle pertinenze dell’abitazione principale, ma che tale agevolazione: - risulti applicabile per qualunque tipologia di pertinenza, indipendentemente dalla categoria di iscrizione a catasto; - possa operare con riguardo a un solo immobile unicamente nel caso di acquisto immobili rientranti nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, mentre non subisca limitazioni nel caso di unità immobiliari rientranti in categorie catastali diverse da queste. Con la sentenza in commento, infine, la Cassazione supera anche l’eccezione dell’Agenzia delle entrate tesa a sostenere che il terrazzo non potesse fruire dell’agevolazione anche perché censito autonomamente rispetto all’unità immobiliare principale. A parere della Cassazione, infatti, tale argomento viene meno considerando che in base alla citata nota II-bis, l’agevolazione può essere chiesta anche in sede di acquisto con atto separato di una pertinenza dell’abitazione principale. Non necessariamente, quindi, la pertinenza deve essere accatastata unitamente all’immobile cui viene asservita. (Elena Ferrari, Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare, 30 novembre 2013, n. 941)

Contratti immobiliari e forma della procura a vendere

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE 2 CIVILE, SENTENZA 25 MARZO 2013, N. 7473 Contratti immobiliari - preliminare di vendita - formazione ed elementi del contratto - forma della procura a vendere - atto scritto - necessità - fondamento - mancanza della procura scritta - conseguenze - invocabilità, da parte del promissario acquirente, del principio dell'apparenza del diritto - esclusione In tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, il principio dell'apparenza del diritto non può essere invocato dal promissario acquirente che abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del contraente che abbia speso il nome del promittente alienante, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta, giacché per il contratto preliminare è richiesta la stessa forma, scritta “ad substantiam” (artt. 1350 e 1351 cod. civ.), stabilita per il negozio definitivo. (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, 27 novembre 2013)

TRIBUNALE FIRENZE, SEZIONE 2 CIVILE, SENTENZA 14 GIUGNO 2013, N. 2034 Esecuzione specifica del contratto preliminare di compravendita - negozi di trasferimento immobiliare stipulati dal rappresentante - contemplatio domini - non necessità dell'uso di formule sacramentali - contemplatio risultante per iscritto dallo stesso documento e non aliunde - carattere essenziale della forma scritta richiesta a pena di nullità per i predetti negozi - esclusione di una contemplatio domini tacita o in altro modo desumibile - contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam - particolare rigore richiesto anche per la spendita del nome del rappresentato - mancanza di formule che consentano di individuare la spendita del nome altrui - inammissibilità di una contemplatio domini tacita desunta da elementi presuntivi - fattispecie - convenuta - eccezione di invalidità e di inefficacia del contratto preliminare per cui è causa - promittente alienante - mancata spendita del nome di suo figlio l'allora comproprietario dell'immobile conteso - promittente alienante munita di procura alla vendita rilasciata dal di lei figlio - specificazione di ciò in una postilla manoscritta aggiunta - assenza di una formula che esplicitamente chiarisse che la promittente alienante agiva anche in nome del figlio - ravvisabilità della spendita del nome dell'altro comproprietario - contemplatio domini ricavabile comunque dal testo dell'atto - elemento desumibile grazie all'interpretazione della volontà delle parti espressa nelle dichiarazioni e pattuizioni ivi contenute - forma scritta pienamente rispettata - contratto con cui uno dei comproprietari di un immobile ne promette la cessione per l'intero ad un terzo - promessa di vendita di cosa parzialmente altrui - promittente venditore - assunzione dell'obbligo di farne acquistare la proprietà all'acquirente - consenso degli altri comproprietari - consenso

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che il promittente venditore ha tempo di ottenere fino alla stipula del contratto definitivo - contratto perfettamente valido ed efficace - rigetto dell'eccezione di parte convenuta Nei negozi di trasferimento immobiliare stipulati dal rappresentante, la cd. contemplatio domini, pur non richiedendo l'uso di formule sacramentali, deve risultare ad ogni modo per iscritto dallo stesso documento e non aliunde, atteso il carattere essenziale della forma scritta, richiesta a pena di nullità per i predetti negozi. Deve, pertanto, escludersi la contemplatio domini tacita o in altro modo desumibile. Del resto, nei contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam, è palese che un particolare rigore sia richiesto anche per la spendita del nome del rappresentato, con la conseguenza che, in mancanza di formule che consentano di individuare la spendita del nome altrui, non è ammissibile una contemplatio domini tacita, desunta da elementi presuntivi. Alla luce di tali premesse, nella fattispecie, la convenuta ha eccepito l'invalidità e/o l'inefficacia del contratto preliminare per cui è causa, giacché la promittente alienante non avrebbe speso il nome di suo figlio, l'allora comproprietario dell'immobile conteso. Orbene, analizzando le risultanze probatorie, è emerso che la promittente alienante, era munita di procura alla vendita rilasciata dal di lei figlio come specificato in una postilla manoscritta aggiunta al preliminare in questione. Di talché, pur non essendo stata utilizzata un formula che esplicitamente chiarisse che la promittente alienante agiva anche in nome del figlio, si è ritenuto che vi fosse stata comunque la spendita del nome dell'altro comproprietario. In tal caso, infatti, seppure la contemplatio domini non risulta da una formula solenne ed inequivoca, essa è ricavabile comunque dal testo dell'atto, non in via presuntiva, ma grazie all'interpretazione della volontà delle parti espressa nelle dichiarazioni e pattuizioni ivi contenute, sicché la forma scritta è stata pienamente rispettata. Del resto, occorre considerare anche il fatto che il contratto con cui uno dei comproprietari di un immobile ne promette la cessione per l'intero ad un terzo configura una promessa di vendita di cosa parzialmente altrui. Con tale atto negoziale il promittente venditore assume l'obbligo di farne acquistare la proprietà al proprio acquirente od acquistando egli direttamente la parte di proprietà altrui, o procurando il consenso degli altri comproprietari alla vendita; consenso che, trattandosi di un preliminare, il promittente venditore ha tempo di ottenere fino alla stipula del contratto definitivo cui è, parimenti, obbligato; deve affermarsi, pertanto, che un tale contratto è perfettamente valido ed efficace. In ragione di quanto esposto, l'eccezione di parte convenuta è stata disattesa. (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, 27 novembre 2013)

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE 2 CIVILE, SENTENZA 21 APRILE 2010, N. 9505 Contratti in genere - rappresentanza - contratto concluso dal falso rappresentante (rappresentanza senza poteri) - in genere - contratto preliminare di compravendita immobiliare - forma della procura a vendere - atto scritto - necessità - fondamento - mancanza della procura scritta - conseguenze - invocabilità, da parte del promissario acquirente, del principio dell'apparenza del diritto - esclusione - successiva ratifica - forma - atto scritto - necessità - fondamento - fattispecie. In tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, il principio dell'apparenza del diritto non può essere invocato dal promissario acquirente che abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del contraente che abbia speso il nome del promittente alienante, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta, giacché per il contratto preliminare è richiesta la stessa forma, scritta "ad substantiam" (artt. 1350 e 1351 cod. civ.), stabilita per il negozio definitivo; analogamente è da reputarsi per la ratifica dell'anzidetto contratto, concluso, per l'appunto, da un soggetto privo di idoneo potere rappresentativo, richiedente la forma scritta "ad substantiam", poiché l'art. 1399 cod. civ. impone, per la ratifica, la medesima forma prescritta per il contratto cui essa si riferisce. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso che potesse integrare ratifica di un contratto preliminare di compravendita di un fondo, stipulato da un "falsus procurator", l'incameramento, da parte della società proprietaria del fondo stesso, di un cospicuo acconto, versato dal promissario acquirente, sul pattuito prezzo dell'immobile). (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, 27 novembre 2013)

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CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE 2 CIVILE, SENTENZA 13 APRILE 2005, n. 7640 Contratto di compravendita immobiliare - Procura a vendere - Forma scritta – Necessità Nel caso in cui la rappresentanza si dispieghi in un negozio per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, qual è la compravendita di immobili, non solo l'esistenza del potere rappresentativo deve essere documentato in una procura avente la stessa forma, ma la cosiddetta contemplatio domini, o spendita del nome, deve essere non solo espressa ma deve anche risultare, ad substantiam, dallo stesso documento contrattuale, a nulla rilevando che la procura sia esistente ovvero che essa sia esibita o che sia a conoscenza dell'altro contraente, né rileva l'eventuale affidamento di costui sulla esistenza del potere rappresentativo. (http://www.diritto24.ilsole24ore.com, 27 novembre 2013)

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Antincendio Mediazione immobiliare

Presupposti per il riconoscimento della provvigione al mediatore Paola Di Michele, Il Sole 24 ORE – Ventiquattrore Avvocato, 1° novembre 2013, n. 11 la QUESTIONE Qual è la differenza tra mediazione tipica e atipica? Quando all’agente immobiliare deve essere riconosciuta la provvigione? Quali gli strumenti di tutela utilizzabili dall’agente immobiliare per il recupero della provvigione? la RISPOSTA IN SINTESI Il mediatore è chi mette in relazione due o più parti per la conclusione di un dato affare in una posizione di neutralità e indipendenza rispetto alle stesse (ex art. 1754 c.c.). Nel diritto attuale si distingue tra mediazione tipica e atipica. Nella mediazione tipica, il mediatore consegue il diritto alla corresponsione della provvigione (ex 1755, comma 1, c.c.) da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento. Per converso, si discorre di mediazione atipica ove il diritto di credito della provvigione scaturisca a seguito dell’acquisizione di una proposta di acquisto conforme alle condizioni previste e predefinite nell’incarico di mediazione; in tal caso, il diritto del mediatore alla provvigione consegue alla accettazione della proposta del promittente alienante tempestivamente comunicata dal mediatore al promissario acquirente. Gli strumenti esperibili dal mediatore per tutelare il suo diritto di credito saranno differenti a seconda che sia stato o meno predeterminato negozialmente il suo compenso per l’utile attività prestata. Nell’ipotesi in cui vi sia esatta determinazione del quantum, risultante da atto scritto, per il mediatore sarà possibile intraprendere il procedimento monitorio ex artt. 633 ss. c.p.c. Diversamente, in mancanza di un espresso accordo in tal senso, il mediatore dovrà ricorrere all’azione ordinaria, demandando la determinazione della provvigione al giudice che deciderà secondo equità in mancanza di tariffe professionali e di usi (ex art. 1755, comma 2, c.c.). gli APPROFONDIMENTI Presupposti per il riconoscimento della provvigione: tutele per l’agente immobiliare La selezione giurisprudenziale Fac-simile di ricorso per decreto ingiuntivo di pagamento Presupposti per il riconoscimento della provvigione: tutele per l’agente immobiliare l’APPROFONDIMENTO Caratteristiche e requisiti del mediatore Come noto, il codice civile non fornisce la nozione di mediazione, ma descrive al suo art. 1754 la figura del mediatore come «colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza». Pertanto, il mediatoreè chi, in una posizione di indipendenza, pone in relazione due o più consociati per favorire la conclusione di un dato affare. Il mediatore interponendosi in maniera neutra e imparziale, tra i due futuri contraenti, li mette in contatto tra loro, appianandone possibili divergenze (es. sul corrispettivo del bene oggetto dell’acquisto, sulle modalità di pagamento del prezzo, ecc.), facendoli pervenire eventualmente alla conclusione dell’affare divisato (Cass. 7 aprile 2005, n. 7251).

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Dal requisito dell’imparzialità scaturisce che il mediatore non può essere legato alle parti, o anche a una sola di essa, ad esempio, da un rapporto di lavoro subordinato (Cass. 18 febbraio 1998, n. 1719), sebbene un orientamento giurisprudenziale ammetta il rapporto di consulenza come nell’ipotesi della ricerca delle migliori condizioni offerte dal mercato per la conclusione di un contratto di finanziamento bancario (Cass. 18 febbraio 1992, n. 6677). I requisiti di neutralità e indipendenza non vengono meno ove, cessato il rapporto di mediazione, una delle parti incarichi il mediatore di rappresentarla in quegli atti attuativi del contratto concluso per mezzo del suo intervento (es. mandato con rappresentanza nell’atto pubblico di compravendita). S’è detto che il codice civile non fornisce una definizione di mediazione. Non si tratta, tuttavia, di una svista, ma di una precisa scelta di tecnica redazionale, giacché anche per altre figure codicistiche, come ad esempio per il contratto di lavoro subordinato (art. 2094 c.c.), o la fideiussione (art. 1936 c.c.), sono state fornite solo le nozioni giuridiche di prestatore di lavoro subordinato e di fideiussore. Autorevole dottrina (GAZZONI) ritiene che tale opzione sia da attribuire alla volontà del Legislatore di non pronunciarsi sulla natura contrattuale o meno del rapporto di mediazione, ma di lasciare aperta la discussione. Natura giuridica della mediazione: tesi negoziale e non negoziale Sulla questione dell’inquadramento teorico della figura della mediazione, che ha effetti pratico-operativi rilevanti, si fronteggiano essenzialmente due tesi. Un primo indirizzo (CATAUDELLA) qualifica la mediazione come atto giuridico in senso stretto che, in quanto tale, si caratterizza per l’irrilevanza della consapevolezza e volontarietà degli effetti prodotti dal comportamento tenuto dall’agente, poiché i medesimi effetti sono sempre predeterminati dalla legge. Secondo questa ipotesi ricostruttiva, accolta anche da una parte della giurisprudenza (Cass. 25 maggio 1973, n. 1563) deve essere attribuito rilievo alla concreta opera di mediazione a prescindere dall’esistenza di un accordo contrattuale presupposto. Con la conseguenza che le parti interessate all’affare economico, ove traggano utilità dall’opera prestata, si trovano a dover versare la provvigione, ancorché non abbiamo avuto iniziale consapevolezza ovvero non abbiano sollecitato l’intervento del mediatore. Ben può accadere che il mediatore di sua iniziativa procuri delle informazioni utili alla conclusione dell’affare, pur non essendo legato da un contratto a monte, ma sia ugualmente meritevole di protezione attesa l’indiscussa funzione sociale riconosciuta dal nostro ordinamento alla figura in esame. Per la tesi negoziale, maggioritaria sia in dottrina (MARINI) che in giurisprudenza (Cass. 5 marzo 2007, n. 6004), l’accordo di mediazione trova la sua fonte nel conferimento dell’incarico al mediatore con conseguente determinazione concordata della disciplina negoziale. Qui il rilevo centrale è assegnato alla volontà delle parti che devono essere state preventivamente edotte sull’attività di mediazione, in modo da poter valutare l’opportunità di avvalersene. È intuitivo come l’adesione all’una o all’altra teoria non sia scevra di conseguenze operative che si palesano, in particolare, con riferimento al diritto del mediatore alla provvigione (art. 1755 c.c.). Mediazione tipica e atipica Non priva di rilievo è anche la distinzione di matrice giurisprudenziale (Cass. 23 maggio 1991, n. 5846) che delinea i confini tra mediazione tipica e atipica. La disciplina giuridica della mediazione tipica, contenuta negli artt. 1754 c.c. e ss., riconosce all’art. 1755 c.c. il diritto del mediatore alla provvigione ove l’affare sia stato concluso per effetto del suo intervento. Quanto al concreto atteggiarsi del predetto rapporto, un’autorevole opinione (LUMINOSO) ne individua le caratteristiche essenziali nella libertà di recesso della parte che ha conferito l’incarico al mediatore, nella libertà di accettare proposte reperite dal mediatore e nella stretta interdipendenza del diritto alla provvigione alla conclusione dell’affare. Nella prassi commerciale, invalsa in particolare nel settore della mediazione immobiliare, si è diffuso un differente schema di mediazione, disancorato dall’anzidetta tipizzazione codicistica, che, come si vedrà, subordina il riconoscimento della provvigione al semplice reperimento di un soggetto interessato a comperare l’immobile e che abbia poi sottoscritto una proposta di acquisto, accettata dall’alienante. È evidente come tale disciplina di fatto mitighi il rischio che

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al mediatore non venga riconosciuta la provvigione, ampliando lo spettro della nozione di affare concluso. Sicché il mediatore con l’acquisizione di una proposta di acquisto, conforme alle condizioni previste e predefinite nell’incarico di vendita, a prescindere dal buon fine della compravendita, (Cass. 7 aprile 2009 n. 8374), in deroga, dunque, alla disciplina di cui s’è detto, avrà diritto a percepire la provvigione pattuita. Sviluppo fenomenico nel mercato degli immobili: l’agente immobiliare L’agente immobiliare per raccogliere l’intenzione di un soggetto di acquistare un immobile posto in vendita, è solito cristallizzare tale manifestazione di volontà all’interno di un documento, da lui predisposto, che sovente assume la forma della proposta irrevocabile di acquisto; ai sensi dell’art. 1329 c.c. il proponente si obbliga così a mantenere ferma la proposta per un certo periodo di tempo, sottoscrivendo una clausola che riconosce al mediatore il diritto alla provvigione in caso di accettazione della proposta irrevocabile da parte dell’alienante. Sicché, ove la proposta de qua venga accettata dalla parte venditrice, con tempestiva comunicazione fatta al proponente, sorgeranno dei precisi obblighi contrattuali; se, ad esempio, il proponente decida, nonostante l’accettazione della proposta da parte del venditore, di non addivenire alla sottoscrizione dell’atto pubblico di compravendita, oltre alla perdita del deposito cauzionale usualmente versato, egli resterà comunque obbligato al pagamento della provvigione concordata. Pertanto, il mediatore, verificatasi l’accettazione della proposta irrevocabile, in forza di un contratto perfetto, sarà in grado di provare la conclusione dell’affare e, di conseguenza, la maturazione del suo diritto alla provvigione. Da quanto detto emerge la centralità rivestita dalle clausole relative al riconoscimento e determinazione della provvigione, evidenziata da ultimo in una recente pronuncia del Tribunale di Roma del 20 giugno 2013 n. 13684. Nel caso di specie il diritto del mediatore alla percezione della provvigione è stato riconosciuto nonostante la risoluzione della proposta d’acquisto per mancata erogazione del mutuo bancario in favore del proponente-acquirente. Il giudice capitolino ha evidenziato come l’autonomia negoziale delle parti e il potere riconosciuto alle stesse ex art. 1322 c.c., in ordine alla disapplicazione dello schema tipico di cui all’art. 1755 c.c., sia subordinato al raggiungimento dei termini essenziali dell’accordo. Di conseguenza, la parte acquirente per sottrarsi al pagamento della provvigione avrebbe dovuto prevedere l’inserimento nella proposta irrevocabile di acquisto di una clausola sospensivamente condizionata all’ottenimento del mutuo bancario. Al mediatore, invece, non potrà essere riconosciuta la provvigione, ove, seppur concluso un contratto preliminare d’acquisto di un immobile sospensivamente condizionato (art. 1757 c.c.) alla concessione di un’autorizzazione amministrativa, quest’ultima non venga concessa in ragione dell’imperatività di una norma di legge, indipendentemente, quindi, dalla incolpevole volontà delle parti (Cass. 26 marzo 2009, n. 7332). Inoltre può verificarsi che l’agente immobiliare concluda due distinti negozi giuridici, l’uno conferente l’incarico a vendere - con la parte venditrice - e l’altro intercorrente con il soggetto interessato all’acquisto. In tale ipotesi esisterà un formale atto di conferimento dell’incarico nel quale è ben possibile che la parte venditrice si impegni, a sua volta, a riconoscere al mediatore una provvigione nell’ipotesi in cui questi non accetti, senza giustificato motivo, una proposta d’acquisto conforme alle sue iniziali richieste. Normativa di riferimento: Codice civile: artt. 1754, 1755, 1757, 1759, 2043, 2941, 2950; Legge 3 febbraio 1989, n. 39; D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59: art. 73. È tale l’evenienza affrontata in un’altra recente pronuncia del Tribunale di Roma del 26 giugno 2013, n. 13090, in cui nonostante il ricevimento di una proposta di acquisto conforme alle richieste del venditore, quest’ultimo, a seguito di ripensamento, decideva di non voler più alienare il bene. Il Tribunale ha attribuito particolare rilevanza all’incarico conferito dal venditore all’agente immobiliare ove era esplicitamente previsto che nel caso in cui il venditore non avesse inteso accettare, senza giustificato motivo, le proposte d’acquisto conformi all’incarico, costui sarebbe stato tenuto a corrispondere all’agente un corrispettivo minimo pari all’intera provvigione calcolata sul prezzo dell’immobile.

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Ben s’intende come l’apposizione di una simile clausola all’atto di conferimento dell’incarico rischi di essere considerata vessatoria, con conseguente applicazione, ratione personarum, dell’art. 1341, comma 2, c.c. o della normativa speciale posta a tutela del consumatore (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206). Di recente la clausola che riconosce il diritto alla provvigione in capo al mediatore anche in caso di mancato perfezionamento del contratto di compravendita, è stata sottoposta al vaglio della Suprema Corte (Cass. 3 novembre 2010 n. 22357). Gli ermellini hanno ritenuto che la clausola in argomento, riferendosi alla determinazione dell’oggetto del contratto, sfugga al sindacato di vessatorietà, purché la sua formulazione sia chiara e comprensibile, in quanto non verrebbe a determinarsi uno squilibro di prestazioni a carico delle parti. Per ragioni di completezza, si evidenza come nella prassi sia configurabile anche una mediazione atipica a favore di terzo prospettabile ove l’attività intermediatrice venga svolta in favore di un soggetto diverso da colui che ha conferito l’incarico. È l’ipotesi di chi abbia un interesse anche semplicemente morale o affettivo a che altri concluda l’affare; in tal caso colui il quale ha conferito l’incarico è obbligato a pagare la provvigione ove il terzo, per cui è stata svolta l’attività, abbia concluso l’affare anche se egli sia rimasto a esso estraneo (Cass. 11 dicembre 2002, n. 17628). Nozione di affare concluso... L’art. 1755 c.c., come anticipato, subordina il diritto del mediatore alla provvigione alla conclusione dell’affare, avendo altrimenti diritto al rimborso delle sole spese ai sensi dell’art. 1756 c.c. (Trib. Bari 26 maggio 2009, n. 1818). La giurisprudenza si è spesso interrogata sul concetto di affare; chiarificatrice ai nostri fini è la pronuncia della Corte di Cassazione 21 giugno 2004, n. 13590 (Cass. 19 ottobre 2007, n. 22000) secondo cui «la nozione di affare (...) va intesa come un’operazione di natura economica che si risolva in un’utilità patrimoniale, suscettibile, peraltro, di conseguenze giuridiche». Tale concetto appare più ampio rispetto a quello di contratto, rientrando quindi in tale nozione qualsiasi operazione in grado di far sorgere un rapporto obbligatorio tra le parti. Con specifico riferimento al riconoscimento del diritto alla provvigione i giudici di nomofilachia hanno ritenuto di riconoscere il diritto di credito del mediatore ogni qualvolta si sia costituito tra le parti, dallo stesso poste in relazione, un vincolo giuridico tale da abilitare ciascuna ad agire per l’esecuzione specifica del negozio ovvero per il ristoro dei danni subiti. Emerge da ciò l’ampiezza di contenuto che il diritto vivente ha inteso attribuire all’affare, manifestando, come anticipato nei paragrafiche precedono, un evidente favor nei confronti del mediatore. Per comprendere l’effettiva qualificazione della nozione di affare è utile rammentare come nei rapporti di intermediazione, i moduli o formulari standard (ex art. 1342 c.c.) utilizzati dagli agenti assumano spesso la forma di un vero e proprio contratto preliminare, perfezionatosi a seguito della comunicazione dell’accettazione della proposta irrevocabile di acquisto. Diverso è invece il discorso per la modulistica a stampa in cui si prevede un mero impegno delle parti alla stipula di un futuro contratto preliminare. Tale scrittura è qualificata dalla giurisprudenza come preliminare del preliminare e dunque sarebbe improduttiva di effetti giuridici in quanto affetta da nullità (Cass. 2 aprile 2009 n. 8038); la sua invalidità non farebbe sorgere alcun diritto del mediatore alla corresponsione della provvigione, anche in ragione dell’impossibilità, per l’appunto, di ritenere concluso l’affare. Di differente avviso una giurisprudenza di merito (Trib. Bari 5 giugno 2012) che, in caso di proposta irrevocabile di acquisto non seguita dalla sottoscrizione del preliminare ed in presenza di una clausola d’impegno alla corresponsione della provvigione, ha qualificato come legittimo il comportamento del mediatore che l’aveva trattenuta a proprio favore. ... e contributo causale del mediatore alla conclusione dell’affare Se da un lato per il riconoscimento della provvigione è necessario che si concluda l’affare inteso anche nell’accezione più ampia sopra delineata, è parimenti indispensabile che questo si sia concluso grazie al contributo causale del mediatore. Una parte della giurisprudenza (Cass. 20 dicembre 2005 n. 2823; Cass. 17 maggio 2002 n. 7253) attribuisce al predetto concetto una portata lata nei termini in cui afferma che non è indispensabile che il mediatore intervenga in tutte le fasi della trattativa sino all’accordo definitivo, essendo sufficiente che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera da lui

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svolta per l’avvicinamento dei contraenti; con la conseguenza che anche la semplice attività consistente nel ritrovamento o nell’indicazione dell’altra parte o nella segnalazione dell’affare legittima il diritto alla provvigione, sempre che tale attività costituisca il risultato utile della manovra fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti. Inoltre, secondo l’indirizzo accolto da taluni Tribunali, non assume rilievo ostativo al riconoscimento della provvigione il mancato conferimento dell’incarico per atto scritto, in ragione del fatto che l’attività di mediazione può venire accettata dalle parti anche per fatti concludenti (ex multis Trib. Milano 24 ottobre 2012). Iscrizione del mediatore presso la Camera di Commercio Per compiutezza d’indagine si rileva quale ulteriore requisito perché al mediatore venga riconosciuto il diritto alla provvigione, la sua iscrizione al ruolo istituito presso la Camera di Commercio territorialmente competente. Tale previsione è stata introdotta dall’art. 73 del D.Lgs n. 59/2010 che ha sancito la soppressione del ruolo dei mediatori previsto dalla legge n. 39/1989. I dubbi interpretativi sulla portata della norma sono stati compiutamente affrontati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 8 luglio 2010, n. 16147) che ha chiarito come la nuova normativa, che impone ai mediatori di presentare alla Camera di Commercio una dichiarazione d’inizio attività, opportunamente corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti, non trovi applicazione nei rapporti giuridici già esauriti, ovvero in quelli sorti anteriormente alla sua entrata in vigore per i quali, quindi, troverà applicazione la normativa precedente. Detto altrimenti l’iscrizione nel relativo ruolo del mediatore costituisce condizione dell’azione per il riconoscimento del suo diritto alla provvigione. Tale condizione deve essere provata dal mediatore in giudizio, laddove l’eventuale eccezione di nullità del contratto a causa del difetto di detta iscrizione costituisce per la giurisprudenza (Cass. 8 febbraio 2008, n. 3127) un’eccezione in senso lato rilevabile d’ufficio dal giudice. Mancato rispetto degli obblighi informativi: contestazione del compenso Ai fini del riconoscimento della provvigione potrebbe assumere rilievo la responsabilità professionale del mediatore cui il codice civile dedica l’art. 1759 c.c. Tale disposto normativo richiede al mediatore un preciso obbligo informativo sulle circostanze a lui note relative alla sicurezza dell’affare. Spesso la giurisprudenza si è pronunciata su tale questione assumendo delle posizioni tendenzialmente univoche, fatta eccezione per qualche isolata pronuncia. In una sentenza del Tribunale di Roma del 26 ottobre 2012 è stata riconosciuta la violazione dei doveri informativi laddove il mediatore non si era premurato di verificare che un locale dell’immobile posto in vendita non corrispondeva esattamente a quello raffigurato nella planimetria consegnata al proponente, con conseguente mancato riconoscimento della provvigione. Non è stato invece ritenuto responsabile il mediatore che, in difetto di particolare incarico, non abbia eseguito specifiche indagini di tipo tecnico giuridico, finalizzate, previo esame dei registri immobiliari, a verificare che l’immobile oggetto della trattativa fosse libero da trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli (Cass. 6 novembre 2012, n. 19075). Fermo quanto sopra resta comunque l’obbligo del mediatore di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la diligenza professionale (ex art. 1176 c.c.), in negativo, di astenersi dal fornire informazioni non veritiere, su fatti dei quali non abbia consapevolezza, e su fatti che non abbia controllato; ciò anche nel rispetto del dovere di correttezza imposto nell’esecuzione del contratto dall’art. 1375 c.c. Deriva da quanto precede, pertanto, che qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è prospettabile una sua responsabilità per i danni sofferti dal cliente (Cass. 16 luglio 2010, n. 16623). Ove effettivamente si configuri in capo al mediatore un rimprovero occorre chiarire la natura della sua responsabilità. Utile a tal fine è un’interessante pronuncia dei giudici di legittimità (Cass. 14 luglio 2009, n. 16382) che distingue due differenti ipotesi. La prima vede il mediatore agire senza vincolo di mandato; in tal caso egli sarà tenuto a rispettare gli obblighi di correttezza e informazione posti a suo carico, per cui l’eventuale violazione dei predetti doveri, in virtù del contatto sociale che si è venuto a creare tra il mediatore professionale e le parti, configurerebbe, a dire degli ermellini, un’ipotesi di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.

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La seconda vede il mediatore agire quale incaricato mandatario. Orbene, rispetto al soggetto che gli ha conferito l’incarico la sua responsabilità avrà natura contrattuale, diversamente con riferimento al terzo estraneo al rapporto di mandato, egli risponderà a titolo di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. Al di là della mera distinzione teorica gli effetti pratico-operativi non saranno di poco conto perché andranno a incidere sul regime dell’onere della prova, sui termini di prescrizione e sul danno risarcibile. Termine di prescrizione per l’esercizio del diritto del mediatore a richiedere la provvigione Per evitare che il mediatore veda caducato il proprio diritto al pagamento della provvigione è indispensabile che lo stesso attivi tempestivamente la propria richiesta, nel termine annuale previsto ex art. 2950 c.c. Se chiara è la durata del termine, in relazione alla sua decorrenza si registrano differenti indirizzi giurisprudenziali. Una prima impostazione, più aderente al dettato codicistico, ma meno favorevole al mediatore, fa decorrere il termine annuale di prescrizione dal compimento dell’affare, e quindi anche dalla sottoscrizione di un preliminare di compravendita (Cass. 12 aprile 2006 n. 8555, Cass. 26 settembre 2005 n. 18779, Cass. 8 agosto 2004 n. 15161, Cass. 8 agosto 2002 n. 12022). Una seconda impostazione, più attenta alle ragioni del mediatore, tende invece a salvaguardare quelle situazioni in cui le parti, onde sottrarsi al pagamento della provvigione, celino a questi la conclusione dell’affare. Ove ciò si verifichi viene attribuita rilevanza alla causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941, n. 8 c.c.. Questa, tuttavia, non opera per mera ignoranza del titolare del diritto, ma, così come emerge dal dato letterale della norma, solo nel caso in cui l’ignoranza sia procurata; come nel caso in cui vi sia un’attività dolosa del debitore diretta ad occultare intenzionalmente e fraudolentemente al mediatore la situazione di fatto cui è collegato il diritto alla provvigione (Cass. 11 novembre 1998 n. 11348, Cass. 28 marzo 1988 n. 2604, Trib. Reggio Emilia 29 gennaio 2009 n. 109). Determinazione della provvigione e strumenti di tutela La provvigione spettante al mediatore per l’attività espletata è di libera contrattazione tra le parti. Il compenso può essere stabilito in misura percentuale di un dato montante e deve tenere conto del reale valore dell’affare, che per la giurisprudenza è cosa diversa dal prezzo che le parti indicano nel contratto, anche se può coincidere con questo (Cass. 25 maggio 2007, n. 12236). Nulla vieta ai contraenti di stabilire la provvigione in misura fissa; è ammesso anche il patto di sovraprezzo, che non incide sull’imparzialità del mediatore e che si ha quando la provvigione corrisponde al supero (rispetto a una cifra stabilita) ricavabile dalla vendita di un immobile (Cass. 6 agosto 2004, n. 15161). Come s’è anticipato, nel caso di mancanza di un patto negoziale sulla determinazione del compenso, sovvengono dei criteri sussidiari che l’art. 1755, comma 2, c.c. individua innanzitutto negli usi e nelle tariffe professionali. Quanto agli usi si tratterà di quelli invalsi presso le Camere di Commercio territoriali che, da un’indagine effettuata, stabiliscono la provvigione, in caso di compravendita immobiliare, nella misura variabile dal 2% al 3% del valore dell’affare; particolare attenzione va posta anche alle tariffe professionali che qualche giunta camerale ha varato (es. Bolzano), sebbene l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con adunanza del 15 giugno 1995 abbia ritenuto che l’adozione di un tariffario, in regime di libero mercato, possa determinare restrizioni concorrenziali incompatibili con la normativa vigente in materia di mediazione. Infine, la provvigione potrà essere determinata dal giudice secondo equità, in mancanza di usi e tariffe professionali; trattasi di funzione integrativa che interverrà su esplicita istanza della parte interessata. Quanto ai soggetti legittimati passivi dell’eventuale azione di recupero del credito, questi vanno individuati in coloro che hanno partecipato all’atto giuridicamente rilevante, nel quale è contenuta l’operazione economica frutto della mediazione (Cass. 27 luglio 1995, n. 8187). In relazione agli strumenti di tutela, si potrà ricorrere al procedimento monitorio giacché i moduli a stampa possono ben essere considerati prova scritta nell’ampia accezione di cui all’art. 633 c.p.c. ( trattandosi di un riconoscimento di debito potrebbe essere richiesta e concessa la provvisoria esecuzione dell’emanando decreto), previa verificazione della precisa

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determinazione del compenso; viceversa, occorrerà esperire una ordinaria azione a cognizione piena, dovendo ricorrere a fonti eteronome per la determinazione del quantum debeatur in favore del mediatore. L’esperto dovrà porre particolare attenzione alla presenza di eventuali clausole compromissorie derogative degli ordinari criteri di competenza, sia territoriale che funzionale (es. devoluzione delle controversie a giudici arbitri). Considerazioni conclusive L’istituto della mediazione si sviluppa non solo attraverso le norme codicistiche ma anche nella prassi degli affari commerciali che è stata spesso sottoposta al vaglio della giurisprudenza. Ne è emersa la dicotomia tra mediazione tipica e mediazione atipica, l’una espressione della volontà legislativa, laddove il diritto del mediatore alla provvigione è collegato alla messa in relazione dei contraenti, l’altra di conio giurisprudenziale ove il diritto di credito è ricollegato all’acquisizione di una proposta di acquisto conforme alle condizioni previste e predefinite nell’incarico di vendita. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alla modulistica a stampa utilizzata dal mediatore per mettere in contatto le parti interessate all’affare ed alla stesura della clausola relativa al riconoscimento della provvigione, tale che la stessa risulti non equivoca, chiara e determinata nel suoi presupposti e nel suo preciso ammontare. Qualora la clausola sul compenso di mediazione sia disancorata dalla conclusione dell’affare - ma operativa in caso di semplice accettazione della proposta irrevocabile di acquisto - il mediatore avrà un valido titolo per il riconoscimento del suo diritto di credito. La scelta dello strumento di tutela in sede giudiziale dipenderà dal grado di determinatezza della pattuizione del compenso, con evidenti ricadute pratiche nel caso di inammissibilità del procedimento monitorio per la risoluzione della vertenza.

SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE

LA MEDIAZIONE ATIPICA Cassazione civ., sez. III, 7 aprile 2009, n. 8374 Nel contratto di mediazione atipica - configurabile nelle ipotesi in cui il mediatore, evitando l’alea intrinseca alla mediazione, si garantisce la provvigione con l’acquisizione di una proposta di acquisto conforme alle condizioni previste e predefinite nell’incarico di vendita, senza necessità di conclusione dell’affare - la prestazione caratterizzante del mediatore è pur sempre quella di mettere in relazione due o più parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, sicché non viene meno l’obbligo del mediatore di compiere l’attività demandatagli in modo esauriente e funzionale all’interesse della parte alla conclusione dell’affare, e quindi con diligenza adeguata alla sua professionalità, ragionevolmente esigibile, in rapporto alla sua organizzazione concreta, in modo che la controparte non sia legittimata a rifiutarsi di concluderlo per non essere stata informata su circostanze (nella specie, riguardanti il rilascio del certificato di abitabilità) influenti sulla sua conclusione o esecuzione, conosciute o agevolmente conoscibili, poiché in tal caso può essere giustificato il rifiuto di corrispondere il compenso, anche se la parte che ha conferito l’incarico abbia ricevuto un’accettazione delle sue condizioni prestabilite di conclusione dell’affare. LA MEDIAZIONE TIPICA Tribunale di Bari, 13 settembre 2011 n. 2850 Il mediatore matura il diritto a conseguire la provvigione da ciascuna delle parti se l’affare è concluso per effetto del suo intervento, potendo l’opera a tal fine rilevante (la c.d. messa in relazione), estrinsecarsi in qualunque attività “utile” alle medesime parti, ossia che presenti, sia pure non esclusivamente, ma insieme ad altri fattori, un’efficienza causale rispetto alla conclusione dell’affare, quale, a titolo meramente esemplificativo, il reperimento e l’indicazione dell’altro contraente o la segnalazione dell’affare, considerati interventi causalmente “utili” per configurare la prestazione tipica e il conseguente diritto alla provvigione del mediatore, sempreché, laddove si tratti di un incarico di mediazione unilaterale, l’altra parte sia stata posta in grado di conoscerne l’opera o non l’abbia incolpevolmente ignorata.

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LA NOZIONE DI AFFARE Cassazione civ., Sez. III, 19 ottobre 2007, n. 22000 Per “conclusione dell’affare”, dalla quale a norma dell’art. 1755 c.c. sorge il diritto alla provvigione del mediatore, deve intendersi il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno; sicché, anche la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita di un immobile è sufficiente a far sorgere tale diritto, sempre che si tratti di contratto validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti e, quindi, della forma scritta richiesta “ad substantiam” (artt. 1350 e 1351 c.c.). IL DIRITTO DEL MEDIATORE ALLA PROVVIGIONE IN CASO DI AFFARE CONDIZIONATO Cassazione civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 7994 Al fine del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno. Ne consegue che, se anche la stipula di un contratto preliminare può legittimamente considerarsi come «atto conclusivo dell’affare», ai sensi dell’art. 1755 c.c., non altrettanto può esserlo un preliminare i cui effetti siano condizionati dalle parti ad avvenimenti passati o presenti (cosiddetta condizione impropria): in tal caso, qualora si accerti che la condizione non si è verificata, il mediatore non ha diritto alla provvigione. (Principio enunciato dalla S.C. in riferimento a un caso in cui il preliminare di compravendita di un immobile stipulato per effetto dell’intervento del mediatore prevedeva la risoluzione automatica ove fosse stata riscontrata, prima della stipula del contratto definitivo, una preesistente difformità del bene rispetto agli strumenti urbanistici). MEDIAZIONE TIPICA E IRRILEVANZA DEL CONFERIMENTO DELL’INCARICO Cassazione civ., sez. IV, 26 marzo 2012, n. 4830 In tema di mediazione, presupposto essenziale del diritto al compenso non è necessariamente il conferimento espresso dell’incarico, quanto piuttosto la circostanza che il mediatore abbia di fatto svolto un’attività utile per la conclusione dell’affare e che di tale attività le parti fossero consapevoli e da essa abbiano tratto vantaggio. OBBLIGHI DI INFORMAZIONE DEL MEDIATORE Cassazione civ., sez. III, 6 novembre 2012, n. 19075 In tema di responsabilità del mediatore, non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell’adempimento della prestazione ai sensi dell’art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico, dovendosi ritenere pertanto che in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non può considerarsi compreso nella prestazione professionale del mediatore l’obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà dell’immobile oggetto della trattativa da trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli. ASSOGGETTABILITÀ DEL MEDIATORE ALLA LEGGE. N. 39 DEL 1989 Cassazione civ., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16147 Riguardo alla soppressione dell’Albo dei mediatori avvenuta con il D.Lgs. 26 marzo 2010 n. 59, va preliminarmente osservato che non si rivolge ai rapporti già esauriti o a quelli sorti prima dell’introduzione del decreto in questione, in virtù del principio dell’irretroattività della legge applicabile anche alle norme di diritto pubblico art. 11 preleggi). Peraltro nonostante la soppressione del ruolo di cui alla l. n. 39 del 1989, non ha però comportato l’abrogazione dell’intera disciplina. L’art. 73, comma 6, D.Lgs. n. 59 del 2010, stabilisce che «ad ogni effetto di legge, i richiami al ruolo contenuti nella l. 3 febbraio 1989 n. 39, si intendono riferiti alle iscrizioni previste dal presente articolo nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA)». Ne consegue che in assenza di abrogazione della l. n. 39 del 1989, art. 6, ma in presenza della sola soppressione del ruolo, la norma di cui all’art. 6 va letta nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa di cui al D.Lgs.

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n. 59 del 2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che sono iscritti nei registri o nei repertori tenuti dalla Camera di commercio secondo l’art. 73 citato. PRESCRIZIONE DEL DIRITTO ALLA PROVVIGIONE Cassazione civ., sez. III, 26 settembre 2005, n. 18779 Per “conclusione dell’affare”, da cui, a norma dell’art. 1755 c.c., sorge il diritto alla provvigione del mediatore e con cui coincide ex art. 2935 dello stesso codice il dies a quo della relativa prescrizione, deve intendersi il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto, cioè, in virtù del quale sia costituito un vincolo che dà diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno, sicché anche la stipulazione di un contratto preliminare è sufficiente a far sorgere tale diritto, sempre che si tratti di contratto definitivo o preliminare validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti (e, quindi, di forma scritta, ove richiesta ad substantiam, ex artt. 1350 e 1351 c.c.). La prova dell’avvenuta conclusione dell’affare, sia al fine di rivendicare il diritto del mediatore alla provvigione, sia al fine di individuare il termine dal quale decorre la prescrizione di tale diritto, non subisce le limitazioni di cui agli artt. 2725 e 2729 c.c., in ordine alla prova dei contratti dei quali sia richiesta la forma scritta ad substantiam oad probationem, le quali operano soltanto quando il contratto sia invocato come tale, cioè come fonte di diritti e di obblighi tra le parti contraenti, e non anche quando esso sia dedotto da un terzo, o dalle parti stesse, come fatto storico dal quale pur discendono conseguenze in ordine alla decisione. Per le sentenze di Cassazione si rinvia a: Lex 24 (www.lex24.ilsole24ore.com). la PRATICA

IL CASO CONCRETO Tribunale di Roma, Sez. X, 30 gennaio 2013, n. 1920 Con la sentenza in epigrafe il Tribunale si è pronunciato su di un caso di opposizione a decreto ingiuntivo che ha riconosciuto in favore di una società di intermediazione immobiliare il pagamento di una somma a titolo di provvigione. Proposta opposizione avverso il decreto ingiuntivo parte opponente ha sostenuto che: a) nessun affare poteva dirsi concluso in quanto la proposta da ella sottoscritta era un mero atto preparatorio alla stipula di un futuro preliminare; b) la clausola individuante il compenso da versare al mediatore era affetta da nullità perché indeterminata nell’oggetto; c) altre clausole presenti nella proposta erano nulle in quanto vessatorie. Costituitasi in giudizio parte opposta, ha dedotto che: a) l’accordo intervenuto era qualificabile come mediazione atipica, essendo il diritto alla provvigione subordinato non alla conclusione dell’affare, ma alla comunicazione dell’accettazione della proposta; b) la clausola relativa al compenso del mediatore era determinata nell’oggetto; c) l’affare poteva, in ogni caso considerarsi concluso in quanto il contenuto della scrittura era quella di un vero e proprio contratto preliminare; d) le clausole considerate vessatorie erano invece valide ed efficaci. La soluzione accolta dal Tribunale Il Tribunale ha innanzitutto inquadrato la fattispecie nello schema della mediazione atipica, ritenendo che la provvigione, indipendentemente dalla conclusione dell’affare, è da configurare quale compenso per avere il mediatore assunto e adempiuto l’obbligo di impegnare la propria organizzazione nella ricerca del terzo interessato all’affare. Sulle censure sollevate da parte opponente, relative alla pretesa vessatorietà delle clausole, con cui si riconosceva il compenso del mediatore a seguito della semplice conoscenza della avvenuta accettazione della proposta di acquisto, il giudice ne ha rilevato l’insussistenza, essendo lo schema utilizzato dalle parti riconducibile a quello della mediazione atipica. Infine, il magistrato ha rilevato che, sebbene all’interno della suddetta proposta si era fatto riferimento alla norma di cui all’art. 1755 c.c. (peraltro richiamata solo tra parentesi) si doveva attribuire rilievo alla reale volontà del dichiarante che, in modo chiaro e inequivocabile, aveva individuato il momento in cui corrispondere la provvigione in quello di accettazione della proposta.

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FAC-SIMILE

RICORSO PER DECRETO INGIUNTIVO DI PAGAMENTO TRIBUNALE DI <...> Per il sig. <...>, nato a <...> e residente in <...>, nella sua qualità di titolare dell’impresa di intermediazione immobiliare <...> elettivamente domiciliata in <...> presso lo studio dall’avv. <...> che la rappresenta e difende in virtù di procura ad litem resa a margine del presente atto; si dichiara che, ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., tutti i provvedimenti potranno essere comunicati dalla cancelleria, anche a mezzo telefax al n. <…> o posta elettronica al seguente indirizzo mail: <…> - ricorrente –

Contro il sig. <…> nato a <…> e residente in <…> - convenuto –

premesso che 1. il ricorrente è agente immobiliare iscritto al ruolo ag. imm. n. <…> della Camera di Commercio di <…>; 2. l’istante è creditore nei confronti del sig. <…> della somma di € <…> tutt’ora dovuta in forza di proposta irrevocabile d’acquisto immobiliare del <…>, relativa all’unità immobiliare sita in <…>, accettata in data <…> e comunicata al proponente il <…>; 3. il sig. <…>, infatti, nella sua qualità di titolare dell’impresa individuale di mediazione immobiliare <…> in data <…> emetteva fattura per richiedere al convenuto il pagamento della provvigione maturata in virtù della predetta proposta irrevocabile di acquisto; 4. tuttavia, vano è stato ogni tentativo di ottenere da parte del debitore il pagamento di quanto dovuto al ricorrente, come dimostrato dall’esito infruttuoso della diffida del <…>; 5. il credito è certo nel suo ammontare, liquido ed esigibile, nonché fondato su prova scritta consistente nella proposta irrevocabile di acquisto del <…> e relativa fattura; pertanto sussistono i presupposti previsti degli artt. 633 e ss. c.p.c.; 6. trattandosi di riconoscimento di debito, contenuta nella proposta irrevocabile di acquisto del <…> sussistono gli estremi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 642 co. 2 c.p.c., per la concessione della provvisoria esecuzione dell’emanando decreto. * * * Tutto quanto innanzi premesso, il sig. <…> nella qualità spiegata in atti, a mezzo del sottoscritto procuratore, difensore e domiciliata rio

Chiede che l’Ill.mo Tribunale voglia ingiungere al sig. <…> nato a <…> il <…> e residente in <…> per le causali esposte in narrativa, l’immediato pagamento in favore del ricorrente, della somma di € <…>, nonché spese, competenze e onorari della presente procedura, con concessione della provvisoria esecutività dell’emanando decreto. - Si offrono in comunicazione, mediante deposito in cancelleria i seguenti documenti: 1. proposta irrevocabile di acquisto del <…>; 2. fattura conforme ed estratto registro iva; 3. lettera di costituzione in mora. Dichiarazione di valore della causa Ai sensi dell’art. 13 D.P.R. 115/2002 e successive modificazioni si dichiara che il valore della presente controversia ascende ad <…>, pertanto è dovuto un c.u. pari ad € <…>. Lì, <…> avv. <…>.

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Antincendio Mediazione immobiliare

Quando le parti si incontrano con l’intervento del mediatore La compravendita difficilmente si conclude con il semplice incontro delle volontà di venditore e acquirente. Nella pratica, è il mediatore che raccoglie il consenso delle parti e le assiste sino al contratto definitivo Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE CASA – Guida all'acquisto e alla vendita, novembre 2013 Si parla di mediazione quando la conclusione di un determinato affare si realizza con l’interposizione imparziale e neutrale del mediatore tra due o più persone, i contraenti. Il nostro ordinamento non fornisce una descrizione del contratto di mediazione, ma definisce il mediatore come colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza (art. 1754 cod. civ.). L’esigenza di una regolamentazione severa dell’esercizio dell’attività di mediatore immobiliare è stata soddisfatta dalla legge 3 febbraio 1989, n. 39 che prevedeva l’obbligo di iscrizione in apposita sezione del ruolo degli agenti di affari in mediazione degli agenti immobiliari, obbligo sanzionato dalla perdita del diritto alla provvigione. Tale ruolo è stato soppresso dal D.Lgs. 59/2010 che, in attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, ha previsto che le attività disciplinate da tale legge siano soggette a dichiarazione di inizio attività da presentare alla CCIAA la quale, verificato il possesso dei requisiti, procede all’iscrizione nel registro delle imprese, se l’attività è esercitata in forma di impresa, oppure nel Repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA), assegnando la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività (art. 73 del D.Lgs. 59/2010). Può affermarsi che la mediazione è un contratto a effetti obbligatori e a prestazioni corrispettive perché comporta per il mediatore l’obbligo di svolgere l’attività di messa in contatto delle parti per la conclusione dell’affare e per le parti implica l’obbligo di riconoscere un compenso per detta attività. È un contratto a carattere oneroso, giacché il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti. Ed è un contratto a esecuzione istantanea in quanto la prestazione del mediatore si esaurisce nel mettere in contatto le parti dell’affare. Non vi è dubbio comunque che il rapporto intercorrente tra le parti e il mediatore trova disciplina per quanto possibile nelle previsioni dettate dagli artt. 1754 ss. cod. civ., così che il diritto del mediatore alla provvigione (art. 1755 cod. civ.) e l’obbligo di informazione previsto a suo carico (art. 1759 cod. civ.) sorgono nei confronti di tutte le parti intermediate. I compiti Compito proprio del mediatore è quello di operare in favore di entrambe le parti del contratto, senza nascondere loro alcun elemento che possa poi pregiudicarle. Deve essere imparziale e deve perseguire gli interessi di entrambe le parti, comunicando tutte le circostanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, quand’anche di contenuto tale da indurre una delle parti a non stipulare il contratto oppure a sottoscriverlo a condizioni diverse. Non solo. È suo dovere adoperarsi per assumere informazioni utili al fine di far conoscere alle parti eventuali situazioni che devono essere tenute in adeguata considerazione: un generale dovere di diligenza che deriva dalla stessa natura professionale dell’attività del mediatore. Il suo intervento deve perciò concretizzarsi in atti e comportamenti idonei a creare un nesso di causalità tra la sua attività e la conseguente conclusione dell’affare. Elementi caratterizzanti la figura del mediatore sono, senza dubbio, l’indipendenza e l’autonomia dalle parti contraenti: non si può parlare di mediazione se il mediatore agisce come rappresentante nell’interesse di una delle parti. Neppure può qualificarsi mediatore colui

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che sia legato da un rapporto di collaborazione a una delle parti, mancando il requisito dell’imparzialità, carattere essenziale della mediazione. L’attività di mettere in relazione le parti può consistere nella mera segnalazione del nome dell’altro contraente o nella semplice segnalazione dell’affare, oppure si concretizza in interventi durante le trattative finalizzate alla conclusione dell’affare. Si tratta per lo più di azioni promozionali che il mediatore è libero di attuare secondo le modalità che ritenga più idonee, a mezzo annunci pubblicitari, ovvero attraverso offerte mirate da inviare a un adeguato numero L’attività di mettere in relazione le parti di soggetti potenzialmente interessati (direct marketing). Deve in ogni caso trattarsi di un’attività particolare e non generica, per cui l’elenco dei possibili acquirenti non deve essere tratto da archivi di dati accessibili a chiunque, ma essere costituito da soggetti selezionati e davvero interessati all’acquisto. ATTENZIONE L’imparzialità è ciò che distingue la figura del mediatore da quella del procacciatore di affari: i due rapporti hanno in comune l’elemento della prestazione di una attività di intermediazione finalizzata a favorire tra terzi la conclusione degli affari, ma il mediatore agisce in posizione di imparzialità, mentre il procacciatore agisce su incarico di una delle parti interessate alla conclusione dell’affare e dalla quale, pur non essendo a questa legato da un rapporto stabile e organico (a differenza dell’agente), può pretendere il compenso (Cass. 16 luglio 2002, n. 10286). Il diritto alla provvigione Il diritto del mediatore a incassare la provvigione è subordinato, in primo luogo, al presupposto essenziale dell’iscrizione dell’intermediario nel registro delle imprese (ovvero nel REA), mancando il quale, pur in presenza di concreta attività svolta per la conclusione dell’affare, viene meno il dovere di corrisponderla. Affinché sorga il diritto alla provvigione è necessario che l’attività del mediatore sia legata da un nesso di causalità con la conclusione dell’affare. Spetta al mediatore dimostrare di avere posto i contraenti in contatto tra loro e che proprio a seguito di detto contatto, oltre che a eventuale altra attività svolta dal mediatore, si sia concluso l’affare. Ben può essere che il ruolo avuto dal mediatore non sia esclusivo, rappresentando unicamente uno dei fattori che hanno determinato il buon esito della compravendita. In buona sostanza è sufficiente che il contratto si sia concluso “per effetto dell’intervento del mediatore”. Il diritto alla provvigione sorge a prescindere dalla fase in cui l’attività del mediatore si inserisce. È essenziale individuare detta attività e ricondurla alla conclusione dell’affare, soprattutto quando questa si verifica dopo la cessazione dell’incarico. Anche la semplice attività consistente nel reperimento e nell’indicazione dell’altro contraente, o nella segnalazione dell’affare, legittima il diritto alla provvigione, sempre che la descritta attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti. Una volta concluso l’affare – qualora il contratto sia intervenuto tra le stesse parti che il mediatore aveva messo in relazione – è irrilevante – e non consente di escludere il nesso causale tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare – la circostanza che la trattativa si sia conclusa a condizioni diverse con l’intervento di altro mediatore e successivamente alla scadenza dell’incarico (Cass. 26 marzo 2012, n. 4822). Presupposto essenziale del diritto al compenso non è necessariamente il conferimento espresso dell’incarico, quanto piuttosto la circostanza che il mediatore abbia di fatto svolto un’attività utile per la conclusione dell’affare e che di tale attività le parti fossero consapevoli e che da essa abbiano tratto vantaggio (Cass. 26 marzo 2012, n. 4830). Affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è sufficiente che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera dello stesso svolta per l’avvicinamento dei contraenti, purché però tale attività costituisca il risultato utile della condotta posta in essere dal mediatore stesso e, poi, valorizzata dalle parti, senza che abbia rilievo in proposito, quando il conferimento dell’incarico sia avvenuto con patto di esclusiva per un determinato periodo di tempo, la circostanza che l’opera prestata dal mediatore sia stata ultimata in modo idoneo ed efficiente alla conclusione dell’affare successivamente alla scadenza del termine previsto, poiché la stipula di detto patto non è indicativa anche della volontà del preponente di rifiutare l’attività del mediatore profusa oltre il termine medesimo (Cass. 5 Il diritto alla provvigione si ricollega all’efficacia marzo 2009, n. 5348).

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Il diritto alla provvigione si collega all’efficacia dell’intervento effettuato dal mediatore nel favorire la conclusione dell’affare e non già alle forme giuridiche mediante le quali l’affare medesimo è concluso, né alla coincidenza soggettiva tra fase delle trattative e formalizzazione del negozio. Ne consegue che il mediatore può domandare la provvigione alla persona che gli ha affidato l’incarico e ha condotto le trattative, la quale risponde in proprio, tranne che abbia dichiarato fin dall’origine di agire in rappresentanza di un terzo (Cass. 23 marzo 2012, n. 4758). Di regola, la provvigione posta a carico dei soggetti che hanno concluso l’affare si intende omnicomprensiva e assorbe, quindi, anche le spese vive concretamente sostenute dal mediatore, per trasferte o per annunci pubblicati su riviste del settore. Se non diversamente pattuito, il mediatore ha diritto al rimborso delle spese sostenute anche se l’affare non è stato concluso (art. 1756 cod. civ.). In altre parole, se l’affare sfuma, il mediatore perde il proprio diritto alla provvigione, ma resta indenne dal carico dei costi sostenuti nel tentativo di portare l’affare a buon fine. Sono peraltro frequenti nella pratica le clausole che il mediatore inserisce nel contratto con lo scopo di garantirsi il compenso per l’attività svolta, nei limiti, se non altro, di rimborso delle risorse che egli andrà a impegnare con la propria organizzazione per potere concludere il mandato. Ai sensi dell’art. 2950 cod. civ. il diritto del mediatore alla provvigione si prescrive in un anno. Questo termine decorre dal giorno della conclusione dell’affare. In assenza di pagamento, quindi, il mediatore deve agire con tempestività per il recupero in via coattiva del suo credito. Le trattative interrotte e poi riprese Non sorge invece il diritto alla provvigione se l’immobile viene venduto a distanza di oltre due anni da quando le trattative avviate dall’agenzia immobiliare non sono andate a buon fine e con il tramite di un soggetto terzo rispetto a chi aveva dato l’incarico al mediatore, pure se facente parte della famiglia del proprietario. Da ultimo, se l’affare è concluso con l’intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto alla provvigione (art. 1758 cod. civ.), qualora abbiano effettivamente cooperato simultaneamente e di comune accordo, ovvero autonomamente, giovandosi l’uno dell’attività espletata dall’altro. Nell’ipotesi di intervento successivo di due mediatori, ai fini del sorgere del diritto alla provvigione l’opera del primo mediatore, che non abbia condotto a termine l’affare ma abbia messo in relazione le parti, è ininfluente sulla conclusione del contratto. La disciplina di cui all’art. 1578 cod. civ., è dunque inapplicabile ove non sussista il rapporto di con causalità dell’apporto degli intermediari e la conclusione dell’affare sia la conseguenza prossima o remota dell’attività solo del secondo mediatore che ha riproposto l’attività di mediazione nei confronti dei soggetti tra cui l’affare si è concluso (Cass. 6 luglio 2010, n. 15880). Le responsabilità La legge 39/1989 subordina l’esercizio dell’attività di mediazione al possesso di specifici requisiti di capacità professionale, configurandola come attività professionale. L’obbligo di informazione gravante sul mediatore a norma dell’art. 1759 cod. civ., deve pertanto essere commisurato alla normale diligenza a cui il mediatore di media capacità è tenuto a conformarsi nell’adempimento della sua prestazione. Tale obbligo deve riguardare non solo le circostanze note, ma anche tutte quelle la cui conoscenza sia acquisibile da parte di un mediatore dotato di media capacità professionale con l’uso della normale diligenza, in relazione all’ambito territoriale in cui egli opera, al settore in cui svolge la sua attività e a ogni altro ulteriore utile parametro. È stato tuttavia affermato che “non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell’adempimento della prestazione ai sensi dell’art. 1176 cod. civ., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico-giuridico, dovendosi ritenere pertanto che in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non può considerarsi compreso nella prestazione professionale del mediatore l’obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà dell’immobile oggetto della trattativa da trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli” (Cass. 6 novembre 2012, n. 19075).

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Per legge (art. 1759 cod. civ.) è pure tenuto a garantire l’autenticità delle sottoscrizioni delle scritture private e dei titoli trasmessigli durante lo svolgimento delle trattative svoltesi con il suo intervento. Per scrittura privata deve intendersi (art. 2702 cod. civ.) quel documento sottoscritto dal privato anche nella forma di atto unilaterale idoneo alla produzione degli effetti giuridici. Nel caso che qui interessa, il concetto di scrittura privata deve estendersi a ricomprendere tutti quegli atti che in genere vengono redatti o sottoscritti in presenza del mediatore, vale a dire la compilazione di una serie di formulari predisposti che passano dal conferimento dell’incarico alla proposta di acquisto e alla sua accettazione e terminano con la sottoscrizione del contratto preliminare di compravendita. È peraltro opportuno ricordare che il mediatore, nello svolgimento della propria attività, è obbligato (legge 39/1989) a utilizzare formulari regolarmente depositati presso la Camera di Commercio di appartenenza. Quanto invece ai titoli, il riferimento normativo è agli assegni bancari o alle cambiali che vengono di norma consegnati al mediatore a titolo di caparra confirmatoria o di acconto prezzo con l’obbligo di trasmetterli all’altra parte. Egli è tenuto a verificare l’autenticità delle firme apposte dal traente, rispondendone quindi della sottoscrizione dei titoli tutti a lui consegnati. La sua responsabilità sussiste dunque per la sottoscrizione di tutti gli atti che per suo tramite vengono trasmessi alle parti contraenti. E così, è responsabile dell’autenticità della firma apposta sia in calce alla proposta di acquisito o dell’accettazione di essa e sia degli assegni bancari che egli invia all’una o all’altra parte. Si tratta di una responsabilità confinata all’interno delle trattative da lui condotte, che non si estende quindi alla redazione di atti pubblici o di scritture private autenticate, per la quale interviene altro soggetto a cui la legge ha demandato il ruolo di attribuire pubblica fede e di fronte al quale la funzione del mediatore passa certamente in secondo piano. È una responsabilità che deriva dal contratto che si instaura tra la parte (acquirente o venditore che sia) e il mediatore, che lo obbliga a vigilare sull’autenticità delle sottoscrizioni degli atti che comunque hanno a che fare con l’incarico conferitogli di portare a termine la compravendita dell’immobile. Il suo compito, anche solo nel dubbio dell’autenticità, è prontamente avvertire la parte interessata: la comunicazione in tal senso da lui effettuata esclude il legittimo affidamento della parte destinataria della garanzia dell’autenticità della sottoscrizione del documento, così che nessuna responsabilità può essergli semmai ascritta nel caso in cui la firma risultasse poi apocrifa o comunque apposta da un soggetto non legittimato a farlo. Il mediatore non è tenuto a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione, particolari indagini di natura tecnico-giuridica, quale appunto l’accertamento, mediante le c.d. visure catastali e ipotecarie, della libertà da pesi dell’immobile oggetto del trasferimento, al fine di individuare fatti rilevanti per la conclusione dell’affare. È invece gravato, in positivo, dall’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che è richiesta in relazione al tipo di prestazione, nonché, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle: qualora il mediatore non osservi tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni derivati al cliente. Il mediatore immobiliare è invece responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l’ordinaria diligenza l’esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l’acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall’acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione (Cass. 8 maggio 2012, n. 6926).

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La conclusione dell’affare

LA CONCLUSIONE DELL’AFFARE Il concetto è sempre stato oggetto di interpretazione di larga veduta, nel senso che il diritto alla provvigione sorge anche quando il mediatore abbia svolto un’attività marginale, apparentemente di poco conto e di scarso rilievo. Ciò che conta è che il suo intervento abbia avuto un’efficacia determinante, così da potere senza dubbio affermare che senza di esso le parti non avrebbero concluso l’affare. Anche un’attività minima, quale può essere la mera segnalazione dell’affare, è quindi idonea a far sorgere il diritto alla provvigione e l’obbligo della parte tenuta al pagamento a provvedervi. E così, ai fini del sorgere del diritto, è sufficiente che il mediatore, pur non avendo partecipato a tutte le fasi delle trattative, abbia posto in essere anche solo un antecedente necessario alla conclusione dell’affare, poi portato a termine dalle parti: sicché non rileva che la conclusione sia avvenuta dopo la scadenza dell’incarico conferitogli, purché il mediatore abbia messo in relazione i contraenti con un’attività casualmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo (Cass. 18 settembre 2008, n. 23842). L’affare deve essere inteso in senso generico come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti (Cass. 25 ottobre 2010, n. 21836). Spetta in ultima analisi al giudice accertare l’esistenza o meno di un nesso causale tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare. L’analisi deve in primo luogo prendere spunto dalle allegazioni fornite dal mediatore stesso, in presenza delle quali, qualora ritenga provati sia la conclusione dell’affare e sia lo svolgimento della sua attività di intermediazione, deve concludere per l’esistenza del nesso di causalità tra i due fatti, restando a carico delle parti contraenti l’onere di dimostrare il contrario.

L’attività del mediatore in pillole

L’ATTIVITÀ DEL MEDIATORE IN PILLOLE Il mediatore si obbliga a propria cura e spese a promuovere la vendita dell’immobile secondo l’ordinaria diligenza del professionista, servendosi della sua organizzazione e, in particolare, a:

divulgare la disponibilità in vendita dell’immobile a mezzo di pubblicazioni di settore e/o quotidiani o altri mezzi pubblicitari, tra cui l’inserimento in banche dati e, ove possibile, in siti Internet;

ricercare potenziali acquirenti interessati all’acquisto comunicandone sollecitamente l’elenco alla parte venditrice;

consigliare e assistere la parte venditrice nelle attività necessarie per procurare la documentazione indispensabile all’espletamento dell’incarico, quali: planimetrie catastali, documentazione concernente condoni edilizi e/o concessioni in sanatoria, concessioni o licenze edilizie, atto di provenienza, certificati di abitabilità o agibilità, attestazioni di conformità degli impianti;

comunicare sollecitamente a chi abbia manifestato una proposta di acquisto l’avvenuta accettazione della stessa;

fornire alla parte venditrice a semplice richiesta tutte le informazioni circa l’attività svolta;

- fornire assistenza alla parte venditrice anche successivamente alla conclusione dell’affare sino alla stipulazione dell’atto notarile di compravendita.

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Fiscalità

La registrazione degli atti non sconta i tributi speciali L’annotazione di avvenuta registrazione in calce o a margine dell’atto presentato per la formalità costituisce una fase della procedura stessa di registrazione e non un’attività autonoma. Pertanto, non è soggetta ai tributi speciali. Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 15 novembre 2013, n. 940 Con la ris. n. 60/E del 26 settembre 2013, l’Agenzia delle entrate è tornata a occuparsi dei tributi speciali previsti dal D.L. 533/1954 e dal D.P.R. 648/1972, fornendo importanti chiarimenti circa la loro applicabilità nell’ipotesi di registrazione di atti presentati in originale o in copia presso gli Uffici. In particolare, con tale documento di prassi è stato esaminato il trattamento, ai fini dei predetti tributi speciali, relativo alla registrazione di: - scritture private non autenticate della serie 3; - atti pubblici cartacei delle serie 1 e 1V; - scritture private autenticate cartacee delle serie 2 e 2V; - scritture private non autenticate della serie 3V; - atti giudiziari. Il nuovo intervento sul tema si è reso necessario dopo che l’Amministrazione finanziaria, con la circ. n. 26/E del 2011, aveva stabilito che non sono dovuti i tributi speciali per la registrazione dei contratti di locazione con e senza opzione per la cedolare secca, lasciando,così, il dubbio sulla loro applicabilità nelle altre ipotesi di registrazione. Normativa di riferimento - Tabella A del D.L. 533 del 31.7.1954, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 869 del 26.9.1954. - Sostituita dalla Tabella A del D.P.R. 648 del 26.10.1972. - Sostituita dall’art. 16, comma 2, della legge 537 del 24.12.1993 e, da ultimo, dall’art. 3, comma 85, della legge 549 del 28.12.1995. Quadro normativo Il Titolo II della Tabella A, allegata al D.L. 533/1954, al punto 2), prevede la corresponsione dei tributi speciali per «il rilascio dei certificati e attestazioni di qualsiasi specie: copie o estratti di atti, di denunzie e di documenti depositati negli uffici (...)». Tale Tabella è stata successivamente sostituita dal D.P.R. 648/1972 e, da ultimo, dalla legge 549/1995. Alla luce di tale disposizione, alcuni Uffici dell’Amministrazione finanziaria, in passato, hanno applicato diritti fissi per ogni registrazione richiesta, peraltro con una certa disomogeneità degli importi da un Ufficio all’altro. L’Agenzia delle entrate, nel 2011, con la circ. n. 26/E (punto 4.2), ha stabilito, però, illustrando la disciplina della “cedolare secca” sugli affitti, che la registrazione dei contratti di locazione e di esercizio dell’opzione per il regime della cedolare secca, non integra il presupposto per l’applicazione dei tributi speciali, atteso che le annotazioni di avvenuta registrazione apposte dall’ufficio in calce o a margine dell’atto portato alla registrazione costituiscono una modalità di esecuzione della registrazione stessa e, pertanto, non possono qualificarsi né come certificazione, né come attestazione da parte dell’Ufficio. L’Agenzia delle entrate, con lo stesso documento di prassi del 2011, ha anche ricordato che la richiesta di registrazione del contratto è presentata dal contribuente in adempimento di un obbligo di legge e, pertanto, l’attività svolta dagli uffici per l’espletamento di detta formalità non può essere inquadrata nell’ambito dei servizi resi al cittadino di cui al D.L. 533/1954.

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Con la ris. n. 12/E del 24 marzo 2012, poi, l’Agenzia ha osservato che l’interpretazione fornita in occasione dei primi chiarimenti sulla “cedolare secca” deve intendersi quale principio generale e, quindi, applicabile a tutte le tipologie di atti presentati per la registrazione in ufficio. Con tale documento, l’Amministrazione finanziaria ha concluso, pertanto, che non sono dovuti i tributi speciali in relazione alla registrazione dei summenzionati atti presentati all’Ufficio e da questo registrati tramite annotazione degli estremi in calce o a margine degli atti stessi, per carenza del presupposto impositivo. Il medesimo trattamento, peraltro, è riservato ai predetti atti che vengano registrati non in ottemperanza a disposizioni di legge, ma per volontà del soggetto che ne ha interesse ex art. 8 del TUR. Sono dovuti, invece, i tributi speciali per il rilascio di copie, estratti, certificazioni o attestazioni resi dall’Amministrazione finanziaria su richiesta del contribuente. Con il documento di prassi odierno, infine, l’Agenzia delle entrate, nel riprendere il quadro normativo di riferimento sopra delineato, ha concluso che per l’applicazione dei tributi speciali dovuti per il rilascio di certificazioni, attestazioni di qualsiasi specie, copie ed estratti di atti e documenti già in possesso dell’Amministrazione finanziaria: - occorre l’esercizio di una particolare attività da parte del personale degli Uffici nell’esclusivo interesse della parte terza e su iniziativa di essa; - detta particolare attività deve configurarsi come autonoma rispetto alla procedura di registrazione degli atti; - tale attività non deve rispondere a obblighi di legge posti a carico dell’Amministrazione finanziaria. Differenza tra attestazione e annotazione L’annotazione di avvenuta registrazione in calce o margine dell’atto presentato per la formalità prevista dall’art. 16, comma 4, del D.P.R. 131/1986 non solo è dovuta dall’Amministrazione finanziaria in ossequio a un obbligo di legge, ma non rappresenta neppure un’attività autonoma rispetto alla procedura stessa di registrazione. Del resto, il comma 3 del citato art. 16 dispone che la registrazione consiste nell’annotazione in apposito registro dell’atto o della denuncia e, in mancanza, della richiesta di registrazione con indicazione del numero progressivo annuale, della data della registrazione, del nome del richiedente, della natura dell’atto, delle parti e delle somme riscosse (riquadro 1). È evidente, quindi, come l’attività di annotazione altro non sia che una fase del processo di registrazione. Pertanto, l’Agenzia delle entrate, con la ris. n. 60/E, ha confermato che tale annotazione sugli atti non sconta i tributi speciali. RIQUADRO 1 - Procedura di registrazione degli atti: art. 16, commi 3 e 4, del D.P.R. 131/1986 (TUR). - La registrazione consiste nell’annotazione in apposito registro dell’atto o della denuncia e, in mancanza, della richiesta di registrazione con l’indicazione del numero progressivo annuale, della data della registrazione, del nome del richiedente, della natura dell’atto, delle parti e delle somme riscosse. Per gli uffici dotati di sistemi elettrocontabili le modalità relative all’esecuzione della registrazione sono stabilite con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia. - L’ufficio in calce o a margine degli originali e delle copie dell’atto o della denuncia, annota la data e il numero della registrazione e appone la quietanza della somma riscossa ovvero dichiara che la registrazione è stata eseguita a debito; l’annotazione dell’avvenuta registrazione deve essere fatta anche sugli atti eventualmente allegati. È stato ribadito, inoltre, che le conclusioni sopra esposte valgono per la generalità degli atti presentati alla registrazione e anche nell’ipotesi in cui l’Ufficio restituisca al richiedente una fotocopia certificata come conforme, attesa la presentazione di un solo originale per la registrazione. Anche in quest’ultimo caso, infatti, sebbene si tratti di un’attività di certificazione, essa si inserisce nell’ambito del procedimento di registrazione e, quindi, non è soggetta all’applicazione dei tributi speciali. Diversamente, nel caso delle attestazioni di avvenuta registrazione si ricade nelle fattispecie di applicazione dei tributi speciali previste al punto 2) del Titolo II della Tabella allegata al D.P.R. 648/1972, ovvero rilascio di certificazioni, attestazioni di qualsiasi specie, copie ed estratti di

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atti o documenti già in possesso dell’Amministrazione. In tali casi, viene compiuta una specifica e autonoma attività rispetto a quella di registrazione, con la quale viene espletata una ricognizione di informazione ed elementi già in possesso dell’Amministrazione finanziaria e che si conclude con l’emissione di un atto amministrativo dichiarativo (certificazione o attestazione), nell’esclusivo interesse della parte richiedente. Conseguentemente, l’attestazione di avvenuta registrazione sconta i tributi speciali di cui trattasi. Atti depositati presso notai o pubblici ufficiali Con il documento di prassi in commento, l’Agenzia delle entrate si è anche occupata degli atti depositati presso i notai e gli altri pubblici ufficiali. L’art. 36 della legge 340/2000 stabilisce che detti atti non possono essere asportati dai locali presso i quali sono conservati o archiviati. Di conseguenza, i notati e gli altri pubblici ufficiali, ai fini della registrazione di cui al già citato art. 16 del D.P.R. 131/1986, presentano agli Uffici una copia dell’atto certificata conforme dallo stesso pubblico ufficiale, a fronte della quale viene rilasciato un “idoneo documento scritto” recante gli estremi di registrazione, che consente al pubblico ufficiale di effettuare direttamente sull’atto l’annotazione di avvenuta registrazione. L’Agenzia delle entrate ha osservato, innanzitutto, che la formulazione testuale del sopra menzionato art. 36 della legge 340/2000, riferendosi a un “idoneo documento scritto”, il quale non viene mai qualificato come attestato di registrazione, non consente di operare, già a livello lessicale, un collegamento diretto con la disciplina dei tributi speciali. L’attività di emissione di tale documento, inoltre, non si sostanzia in una prestazione particolare resa dal personale degli Uffici nel solo interesse dalla parte richiedente, ma si inserisce nel più ampio processo di registrazione previsto normativamente per gli atti depositati presso notai e pubblici ufficiali. Tale “ idoneo documento scritto”, infatti, consente ai notai e ai pubblici ufficiali di eseguire le annotazioni di avvenuta registrazioni sugli atti presso di loro depositati. Non si tratti, quindi, neppure di un’attività autonoma, essendo parte integrante del processo di registrazione. Con la risoluzione in commento, pertanto, l’Agenzia delle entrate ha stabilito che anche l’emissione del predetto “idoneo documento scritto” da parte degli Uffici non è soggetta ai tributi speciali di cui trattasi, mancando il presupposto per la loro applicazione. Non può, peraltro, considerarsi di segno contrario la circ. n. 226/E/2000, laddove è stato affermato che l’idoneo documento scritto costituisce attestato di registrazione, atteso che tale espressione è stata utilizzata al sol fine di individuare operativamente nel testo della circolare il documento in oggetto. L’Amministrazione finanziaria ha stabilito, infine, che devono ritenersi così superate le indicazioni fornite con la ris. n. 219/E del 2009, nella parte in cui era stato stabilito che l’emissione dell’idoneo documento scritto da parte degli Uffici, costituendo attestato di registrazione, comporta l’assoggettamento ai tributi speciali. Art. 36 della legge 340/2000 - Salvo autorizzazione o ordine della competente autorità giudiziaria, è fatto divieto ai notai e ai pubblici ufficiali depositari di atti pubblici e scritture private autenticate di asportare anche temporaneamente tali atti e documenti dai locali ove gli stessi sono conservati o archiviati. - In tutti quei casi in cui è prevista a qualsiasi fine la produzione in originale dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, il relativo obbligo si intende adempiuto, salvo specifico ordine della competente autorità giudiziaria, mediante produzione di copia certificata conforme dal pubblico ufficiale depositario. - Le annotazioni, gli estremi di protocollo e registrazione, le quietanze e ogni altra formalità da annotarsi a margine degli atti pubblici e delle scritture private autenticate a cura degli uffici finanziari e della Pubblica amministrazione in genere sono eseguite sui documenti stessi dal pubblico ufficiale depositario, sulla base di idoneo documento scritto emesso dalla competente amministrazione cui l’originale avrebbe dovuto essere prodotto in base alla normativa previgente.

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TABELLA DEI PRINCIPALI TRIBUTI SPECIALI Tipologia Certificato o Adempimento Imposta di bollo Diritti (Tributi

Speciali) Richiesta Rilascio Copia conforme scrittura privata registrata

Riferimenti normativi Imposta di bollo: D.P.R. 642/1972 modificato dalla legge 71 del 24.6.2013, art. 7-bis Tributi speciali: D.P.R. 648/1972, Tab. A, Titolo II come modificato dall’art. 3, comma 85 legge 549/1995

16,00 16,00 Diritto di ricerca 7,44 Diritto fisso 3,72 Prima pagina 1,24 Totale diritti 12,40 Per ogni pag. successiva 0,62

Copia non conforme scrittura privata registrata esente esente Diritto di ricerca 7,44 Diritto fisso 3,72 Prima pagina 1,24 Totale diritti 12,40 Per ogni pag. successiva 0,62

Riferimenti normativi Tributi speciali: D.P.R. 648/1972, Tab. A, Titolo II come modificato dall’art. 3, comma 85, legge 549/1995

Copia conforme dichiarazione di successione 16,00 16,00 Diritto di ricerca 7,44 Diritto fisso 3,72 Prima pagina 1,24 Totale diritti 12,40 Per ogni pag. successiva 0,62

Riferimenti normativi Imposta di bollo: D.P.R. 642/1972 modificato dalla legge 71 del 24.6.2013, art. 7-bis Tributi speciali: D.P.R. 648/1972, Tab. A, Titolo II come modificato dall’art. 3, comma 85, legge 549/1995 Copia non conforme dichiarazione di successione

esente esente

Riferimenti normativi Tributi speciali: D.P.R. 648/1972, Tab. A, Titolo II come modificato dall’art. 3,

Diritto di ricerca 7,44 Diritto fisso 3,72 Prima pagina 1,24 Totale diritti 12,40 Per ogni pag. successiva 0,62

Diritto per l’esame delle denuzie di successione ai fini della richiesta di formalità ipotecarie

esente esente Per ogni formalità richiesta 18,59

Riferimenti normativi Tributi speciali: D.P.R. 648/1972, Tab. A, Titolo II come modificato dall’art. 3, comma 85, legge 549/1995

MODALITÀ DI PAGAMENTO

- Gli importi indicati per la richiesta e il rilascio dei certificati si riferiscono a ciascun foglio, che deve essere composto da quattro facciate (D.P.R. 642/1972, art. 5) ovvero da cento linee. Per pagina si intende una facciata. - Il pagamento dell’imposta di bollo si effettua con il mod. F23 (codice tributo 456T) o mediante contrassegno sostitutivo delle marche da bollo (Ag. entrate, provv. 5.5.2005). - Il pagamento dei tributi speciali si effettua con il mod. F23 (codice tributo 964T) ovvero con il contrassegno sostitutivo delle marche da bollo per importi non superiori a € 25,82 (decreto 9.12.1997, art. 3). - I diritti di rilascio e di ricerca devono essere versati con il mod. F23 (codice tributo 886T).

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Immobili

"Rent to buy" - Profili fiscali - Chiarimenti dello studio del notariato 490-2013/T Vincenzo D'Andò, Il Sole 24 ORE – La Settimana Fiscale, 8 novembre 2013, n. 41

QUADRO NORMATIVO Il rent to buy è una delle forme contrattuali che negli ultimi anni, anche a causa della forte flessione del mercato immobiliare, sta riscontrando in maniera crescente le attenzioni degli operatori del settore. Questa forma contrattuale, che richiama la disciplina della locazione e della vendita, consente ad un soggetto di poter disporre da subito di un immobile a fronte del pagamento di un canone di locazione, con la possibilità di rinviare l'acquisto ad un momento successivo. Dal lato fiscale il rent to buy (cd. locazione-vendita), inteso come contratto di locazione finalizzato ad una successiva compravendita, sconta una doppia imposizione, sia quella diretta (disposizioni del Tuir) sia quella indiretta (Iva e imposta di registro). Sul tema il Consiglio nazionale del Notariato ha pubblicato nel mese di agosto 2013 lo Studio n. 490-2013/T nel quale, dopo spunti di riflessione sulla particolare disciplina, propone l'introduzione di un credito d'imposta che consenta ad entrambe le parti del contratto, acquirente e venditore, di recuperare, al momento della vendita, le imposte versate sui canoni di locazione, almeno per quanto riguarda l'imposta diretta, limitatamente ai canoni imputati al corrispettivo dovuto per la successiva compravendita. "RENT to BUY" - PROPOSTA del NOTARIATO: il Consiglio nazionale del Notariato, con lo Studio n. 490-2013/T, relativo alle questioni ed agli spunti di riflessione, ha approfondito i profili fiscali del cd. rent to buy. In tema, peraltro, lo stesso Consiglio nazionale del Notariato ha di recente sottoposto all'attenzione del Legislatore l'opportunità di intervenire non solo sul piano tributario, ma anche sotto il profilo civilistico, per promuovere l'utilizzo di questa formula contrattuale che potrebbe favorire la ripresa delle contrattazioni nel settore immobiliare. La proposta di modifica del regime tributario del rent to buy è stata presentata il 25.6.2013 in occasione dell'audizione formale del Consiglio nazionale del Notariato per l'indagine conoscitiva sulla tassazione degli immobili in commissione finanze del Senato. La proposta auspica l'introduzione di un meccanismo di credito d'imposta che assicuri, sia all'acquirente sia al venditore, il recupero, almeno in parte, al momento della vendita, delle imposte versate sui canoni di locazione, limitatamente ai canoni imputati in tutto o in parte al corrispettivo dovuto per la successiva compravendita. In atto, con il termine rent to buy viene intesa un'operazione unitaria (che può svilupparsi in forme diverse) con la quale viene assicurata, a chi ha intenzione di acquistare un immobile (solitamente la prima casa), la possibilità di conseguire da subito il godimento dell'immobile individuato, con pagamento di un canone di locazione periodico e di rinviare ad un momento successivo l'acquisto del diritto di proprietà sull'immobile ed il pagamento del corrispettivo residuo, imputando, eventualmente, in tutto o in parte, al corrispettivo ancora dovuto i canoni pagati in precedenza. Si tratta di operazioni che presentano, quindi, innegabili analogie con (o che possono strutturarsi mediante) figure contrattuali quali la locazione con opzione di acquisto e la locazione collegata con un preliminare di futura vendita (con obbligo unilaterale o bilaterale), cui segue l'atto (l'accettazione dell'opzione o il contratto definitivo) che produce l'effetto traslativo della proprietà.

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Attualmente dette operazioni scontano, sia dal lato dell'acquirente sia dal lato del venditore, una doppia imposizione: inizialmente come locazione ed al momento del trasferimento, come vendita. IVA: ai fini dell'Iva, ai sensi dell'art. 2, co. 2, D.P.R. 633/1972, sono equiparate alle cessioni "le locazioni con clausola di trasferimento vincolante per entrambe le parti" le quali assumono rilievo, ai fini dell'individuazione del momento impositivo, fin dalla stipula del contratto (art. 6, D.P.R. 633/1972). Pertanto, l'imposta si applica sull'intero prezzo pattuito tra le parti per la futura vendita mentre il pagamento dei canoni, considerati componenti del prezzo della cessione, è escluso dall'imposta. In tale contesto, la Corte di Cassazione, con la Sentenza 13.9.2013, n. 20975, ha stabilito che le operazioni di locazione immobiliare con patto di futura vendita, o con prelazione di vendita, devono essere assoggettate ad Iva al momento della stipula del contratto di locazione e non a quello del successivo rogito notarile per il trasferimento della proprietà dell'immobile. Il rinvio della contabilizzazione dei corrispettivi, che di fatto posticipa il pagamento del tributo e realizza un indebito risparmio d'imposta, è equiparabile ad un caso di elusione fiscale, poiché il contribuente non può liberamente gestire le poste di bilancio e, quindi, decidere quando versare le imposte relative al reddito imponibile. Dal canto suo, l'Agenzia delle Entrate, con la C.M. 21.6.2011, n. 28/E, definisce la locazione con clausola di trasferimento vincolante per entrambe le parti, agli effetti dell'Iva, come il contratto con cui le parti, da un lato, dispongono di attribuire immediatamente il godimento del bene oggetto dello stesso, stipulando una locazione e, dall'altro, si obbligano entrambe a concludere successivamente un atto a contenuto traslativo della proprietà del medesimo bene locato. Pertanto, osserva il Notariato, se nell'operazione di rent to buy si ravvisa una locazione combinata ad un contratto preliminare con obbligo bilaterale e la stessa è effettuata in regime Iva di imponibilità, obbligatoria o per opzione (e quindi deve trattarsi di operazione posta in essere dall'impresa costruttrice o ristrutturatrice del fabbricato abitativo), essa potrebbe essere considerata dall'Agenzia delle Entrate fin da subito quale cessione di beni, con la conseguenza dell'immediata tassazione sull'intero prezzo (in tal caso restando irrilevanti quindi le pattuizioni relative al recupero dei canoni in sede di pagamento del prezzo). Varrebbero, quindi, anche i requisiti e le condizioni di applicazione dell'aliquota Iva per l'applicazione dell'aliquota ridotta nella misura del 4% ai fini delle cd. agevolazioni prima casa. Quanto al successivo contratto di cessione, lo stesso dovrebbe essere registrato con applicazione dell'imposta di registro in misura fissa perché relativo ad un'operazione soggetta ad Iva. In altri casi, conclude lo studio del Notariato, le operazioni di rent to buy si configurano come locazione combinata con un'opzione (o un preliminare con obbligo unilaterale), in base alla quale l'inquilino, ad una determinata scadenza e ad un prezzo pattuito, ha facoltà di acquistare la proprietà. Ritenendosi applicabile, in queste ipotesi, in primo luogo la disciplina Iva del contratto di locazione e, poi, quella della cessione, si pone il problema dell'eventuale rilevanza, agli effetti di tale imposta, del recupero, in sede di pagamento del prezzo di vendita, delle somme già corrisposte nel corso della locazione come canoni. In particolare, qualora la locazione sia collegata ad un'opzione, che attribuisce al conduttore, ad una certa data, la facoltà (e non l'obbligo) di acquistare l'immobile, si applicano separatamente la disciplina fiscale della locazione e quella della vendita, con il problema del recupero delle somme già corrisposte come canoni e scomputate dal prezzo finale. In tal caso, ove il recupero sia realizzato:

mediante riduzione del prezzo di vendita, allora l'Iva applicata sui canoni, dovrebbe, poi, essere applicata solo sulla somma residua, che rappresenta contrattualmente il corrispettivo della cessione;

mediante conversione dei canoni in prezzo, allora in tale seconda ipotesi, ponendosi il problema della duplicazione dell'Iva (inizialmente pagata sui canoni e poi nuovamente dovuta sull'intero "prezzo" pattuito in contratto per la vendita), il Notariato ritiene che sia possibile effettuare la procedura di variazione in diminuzione, ex art. 26 co. 2, D.P.R. 633/1972.

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IMPOSTA di REGISTRO: ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro (dovuta ordinariamente in misura proporzionale, e salvo eventuali trattamenti di favore, sia per le operazioni aventi ad oggetto fabbricati abitativi esenti dall'Iva, ai sensi dell'art. 10, nn. 8 e 8-bis, D.P.R. 633/1972, sia per le operazioni poste in essere da soggetti privati), occorre verificare, riguardo alla locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti, se il contratto possa essere unitariamente assoggettato ad imposta di registro (almeno nell'ipotesi di trasferimento automatico) o se invece la stessa imposta debba essere distintamente applicata ai singoli negozi attraverso i quali si realizza l'operazione, cioè alla locazione, al preliminare ed al contratto definitivo.

"RENT to BUY" - ASPETTI FISCALI Iva

Locazione con contratto preliminare La locazione combinata ad un contratto preliminare con obbligo bilaterale (da parte di un impresa costruttrice) potrebbe essere considerata subito una cessione di beni, con la conseguenza dell'immediata tassazione sull'intero prezzo. Il successivo contratto di cessione dovrebbe essere registrato con applicazione dell'imposta di registro in misura fissa. Locazione combinata con opzione Se invece vi è una locazione combinata con un'opzione (o preliminare con obbligo unilaterale), in base alla quale l'inquilino, ad una determinata scadenza e ad un prezzo pattuito, ha facoltà di acquistare la proprietà, applicandosi l'Iva sul contratto di locazione e poi sulla cessione, si pone il problema dell'eventuale rilevanza del recupero dell'Iva, in sede di vendita, dei canoni già corrisposti. Il recupero può avvenire con la riduzione del prezzo di vendita oppure con l'imputazione dei canoni al prezzo della cessione. Con la riduzione del prezzo della cessione, l'Iva si applicherebbe sui canoni di locazione (operazioni poste dai costruttori) e poi solo sulla somma residua. Nel caso di imputazione dei canoni al prezzo della cessione, se le somme pagate sono qualificate come acconti della cessione, allora sono da assoggettare ad Iva, mentre i canoni seguono la tassazione delle locazioni.

Imposta di registro

Nella locazione con patto di futura vendita vincolante per le parti, va verificato se il contratto possa essere unitariamente assoggettato ad imposta di registro o se invece la stessa imposta debba essere applicata ai singoli negozi.

Imposte dirette

Può porsi il problema di contabilizzazione e di duplicazione dell'imposizione se l'importo viene prima qualificato come locazione e poi al momento della cessione è imputato al prezzo di vendita. Difatti, sia i canoni di locazione sia il corrispettivo della cessione costituiscono componenti positivi del reddito d'impresa rispondenti alle differenti regole di competenza economica.

RECUPERO dell'IMPOSTA di REGISTRO: se il recupero delle somme versate inizialmente come canoni viene attuato mediante riduzione del prezzo, allora l'imposta di registro sulla compravendita è dovuta sul valore venale del bene (o sul valore catastale, se si applica il prezzo valore). Se, invece, il recupero sia attuato mediante imputazione dei canoni al prezzo, a parere del Notariato, occorre distinguere i seguenti casi. Se le somme sono qualificate:

già dall'inizio come acconti sul prezzo, dovrebbe applicarsi l'art. 10, Tariffa, Parte Prima, D.P.R. 131/1986, relativo ai contratti preliminari di ogni specie che consente di scomputare l'imposta di registro pagata sugli acconti da quella dovuta per il definitivo;

inizialmente come canoni di locazione per, poi, essere imputate al pagamento del prezzo solo al momento della cessione, è molto più difficile evitare la duplicazione dell'imposta di registro, poiché è comunque dovuta, per la cessione, sul valore venale del bene (salvo il prezzo valore).

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In tal caso, solo una operazione complessa, che consideri unitariamente l'operazione di rent to buy, consentirebbe di applicare il medesimo art. 10 citato e, quindi, di potere scomputare l'imposta pagata sui canoni.

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In particolare, il Notariato osserva che nella prospettiva di una considerazione unitaria della fattispecie rent to buy, la quale è diretta a realizzare il trasferimento di un immobile quale momento definitivo di un'operazione più complessa, nella quale si ravvisano delle fasi preliminari, con pagamenti di somme (rilevanti agli effetti dell'imposta di registro) destinate a confluire nel prezzo della cessione, si potrebbe valutare la possibilità di estendere alla suddetta fattispecie il meccanismo, di cui alla nota all'art. 10 della tariffa citata, dell'imputazione dell'imposta di registro proporzionale pagata in relazione alle caparre confirmatorie ed agli acconti, pattuiti nei preliminari di ogni specie, in sede di tassazione del contratto definitivo. In sostanza, il meccanismo viene ritenuto diretto ad assicurare un'invarianza tra la tassazione dell'operazione realizzata attraverso la sequenza preliminare/definitivo e la tassazione dell'operazione realizzata direttamente attraverso la stipulazione del solo contratto definitivo. IMPOSTE DIRETTE: ai fini delle imposte dirette, l'art. 109, co. 2, lett. a), D.P.R. 917/1986, dispone che nel caso di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute all'atto della stipula del contratto. Sussiste poi un problema di duplicazione dell'imposizione qualora gli importi periodici siano qualificati e tassati come canoni e siano dopo considerati componenti del prezzo della cessione. In tal caso, precisa il Notariato qualora siano coinvolti imprenditori, si pone la questione della contabilizzazione di un prezzo che non viene interamente incassato perché già corrisposto come canone e di concorrenza della stessa somma nella formazione del reddito di impresa in differenti esercizi. Sia i canoni di locazione che il corrispettivo della cessione rappresentano, infatti, componenti positive del reddito d'impresa (nella maggioranza dei casi si tratta di beni merce e quindi di ricavi), che rispondono a differenti regole di competenza (per i canoni l'esercizio al quale imputare il componente di reddito è individuato in base alla maturazione, per i corrispettivi in base alla stipula dell'atto di cessione, a prescindere dall'incasso), per cui i corrispondenti importi avranno una diversa collocazione temporale. E', dunque, difficile, in tale ipotesi, che si verifichi una sopravvenienza passiva in ragione della mutata collocazione temporale della componente positiva del reddito che da canone diviene prezzo della cessione (le sopravvenienze sono prevalentemente ricollegate ad eventi occasionali, straordinari ed imprevedibili). Permane anche la possibilità di rettificare la precedente dichiarazione al fine di richiedere il rimborso dell'imposta assolta in relazione ai canoni di locazione poi imputati al prezzo della cessione. Peraltro, anche nell'ipotesi in cui il locatore/cedente sia un privato appare difficile ovviare in via interpretativa al problema della duplicazione dell'imposizione, con riferimento a somme che prima rilevano come reddito fondiario (art. 26, D.P.R. 917/1986) e poi possono determinare un reddito diverso (art. 67, co. 1, lett. b), D.P.R. 917/1986). Al Notariato, appare, invece, meno problematica la soluzione laddove il recupero si attui mediante una riduzione del prezzo. In tale caso, riguardo alla possibile emersione di una maggiore plusvalenza per il cessionario in caso di successiva cessione (infraquinquennale), ai sensi dell'art. 67, co. 1, lett. b), D.P.R. 917/1986, il Notariato ricorda che la stessa è esclusa qualora l'immobile sia stato destinato per la maggior parte del periodo ad abitazione principale (ipotesi, peraltro, frequente in dette operazioni).

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Economia, fisco,agevolazioni

Novità in materia di IMU e nuovi criteri per la TARES La conversione del D.L. 102/2013, avvenuta con legge 124/2013 (a pag. 1964), ha introdotto alcune rilevanti novità in materia di IMU e TARES, oltre a rendere definitive quelle già stabilite dal decreto stesso come, per esempio, l’abolizione della prima rata dell’IMU 2013 per i fabbricati costituenti “abitazione principale” dei soggetti passivi - esclusi gli immobili classificati nelle categorie catastali A/1 (abitazioni signorili), A/8 (ville) e A/9 (dimore storiche) - i terreni agricoli e le costruzioni rurali destinate a uso sia abitativo, sia strumentale allo svolgimento delle attività agricole. Antonio Piccolo, Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare, 30 novembre 2013, n. 941 Con l’approvazione definitiva del D.L. 102/2013, recante “Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici”, le discipline dell’IMU e della TARES (artt. 13 e 14 del D.L. 201/2011 convertito dalla legge 214/2011) si sono arricchite di ulteriori novità, ma è caos sulla loro effettiva applicazione, senza contare le novità previste dalla “legge di stabilità” per il 2014, con buona pace del principio della semplificazione tributaria, sistematicamente invocato da tutti ma attuato da nessuno. Vediamo in estrema sintesi, ma in modo distinto e separato, le novelle per i contribuenti IMU e TARES. Per tacere sulle novità previste dalla “legge di stabilità” per il 2014 che si riflettono anche sui tributi in commento, ma sulle quali torneremo con un altro scritto. Disciplina dell’IMU La disciplina dell’IMU (Imposta municipale propria) in esame è quella “sperimentale”, istituita e regolamentata dall’art. 13 del D.L. 201/2011 (convertito dalla legge 214/2011), meglio noto come “decreto Monti”, che è stata modellata sia sulla disciplina dell’IMU “a regime” di cui agli artt. 8 e 9 del D.Lgs. 23/2001, sia su quella dell’ICI approvata con D.Lgs. 504/1992. L’IMU, che ha assorbito anche l’ICI, è entrata in vigore il 1° gennaio 2012 ed è stata già oggetto di non poche modificazioni.

Abolizione prima rata

L’art. 1, comma 1, del D.L. 54/2013 ( convertito dalla legge 85/2013) aveva stabilito per l’anno 2013 la sospensione del pagamento della prima rata dell’IMU, nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, ivi compresa la disciplina della TARES. In particolare il beneficio ha riguardato le seguenti categorie di immobili: a. abitazione principale ed eventuali pertinenze (box, cantina), esclusi i fabbricati classificati nelle categorie catastali A/1 ( abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici); b. unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale (ed eventuali pertinenze) dei soci assegnatari, nonché alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica (ERP), comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’art. 93 del D.P.R. n. 616/1977 (per esempio, ALER); c. terreni agricoli e fabbricati rurali, destinati a uso sia abitativo sia strumentale all’esercizio dell’attività agricola, posseduti da qualsiasi soggetto e quindi anche da soggetti diversi dai coltivatori diretti o dagli imprenditori agricoli professionali (IAP persone fisiche o società). In caso di mancata adozione della riforma entro il 31 agosto 2013, secondo il successivo art. 2 (rubricato “Clausola di salvaguardia”) dello stesso D.L. 54/2013, il versamento della prima rata

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FIAIP News24, Numero 5 - Dicembre 2013 49

doveva essere effettuato entro il termine del 16 settembre 2013. La riforma è ancora in “alto mare”, ma il legislatore ha disposto comunque l’abolizione della prima rata dell’IMU 2013 per le citate categorie di immobili. Infatti, l’art. 1 del D.L. 102/2013 ha stabilito espressamente che per l’anno 2013 non è dovuta la prima rata dell’IMU “sperimentale” relativamente agli immobili oggetto della sospensione. La cancellazione della prima rata è divenuta definitiva, non avendo la legge 124/2013 introdotto alcuna modifica.

Fabbricati merce

L’art. 2 del D.L. 102/2013 aveva novellato la disciplina dei fabbricati cosiddetti “ benimerce”, cioè dei fabbricati (residenziali, commerciali industriali) costruiti e destinati dall’impresa edile alla vendita ma rimasti invenduti. In particolare il comma 1 aveva disposto per l’anno 2013 l’abolizione della seconda rata dell’imposta (saldo) per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa di costruzione alla vendita, ma rimasti invenduti e in ogni caso non concessi in locazione. La legge 124/2013 ha puntualizzato che per tale annualità l’IMU resta dovuta fino al 30 giugno. Di conseguenza, entro il termine del 16 dicembre 2013, i contribuenti interessati dovranno eseguire un versamento a conguaglio, limitatamente al periodo di possesso (fino al 30 giugno), se l’aliquota deliberata per l’anno 2013 sarà superiore a quella dell’anno 2012 (aliquota su cui è stata calcolata la prima rata). La lett. a) del successivo comma 2, nel sostituire il comma 9-bis del citato art. 13 del D.L. 201/2011, ha invece previsto l’esenzione dal pagamento dell’imposta, a decorrere dal 1° gennaio 2014, per detti fabbricati “beni-merce”. La legge 124/2013 non ha introdotto alcuna modifica e quindi il trattamento di esonero “a regime” dei fabbricati costruiti e destinati dalle imprese edili alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, è divenuto definitivo.

Cooperative edilizie e IACP

La lett. b) del medesimo comma 2 dell’art. 2 del D.L. 102/2013, nel sostituire la prima parte del sesto periodo del comma 10 dell’art. 13 del D.L. 201/2011, secondo cui la (sola) detrazione ordinaria (€ 200) prevista per l’abitazione principale (cfr. circ. min. n. 3/DF del 18 maggio 2012, par. 6.3) si applica anche ai fabbricati abitativi posseduti dalle cooperative edilizie a proprietà indivisa e dagli IACP, cioè agli immobili individuati dal comma 4 dell’art. 8 del decreto ICI (abitazione principale dei soci assegnatari e alloggi regolarmente assegnati dagli IACP), ha puntualizzato che detta detrazione opera soltanto per gli alloggi regolarmente assegnati dagli IACP o dagli ERP, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’art. 93 del D.P.R. 616/1977. La legge 124/2013 non ha introdotto alcuna modifica.

Ricerca scientifica

Il comma 3 dell’art. 2 del D.L. 102/2013, nel modificare la previsione di cui alla lett. i) del comma 1 dell’art. 7 del decreto ICI (D.Lgs. 504/1992), applicabile anche ai fini della disciplina dell’IMU per espresso richiamo del comma 8 dell’art. 9 del D.Lgs. 23/2011, ha inserito nell’elenco tassativo delle attività oggetto dell’esenzione, cioè delle attività svolte “con modalità non commerciali” (art. 91-bis del D.L. 1/2012 convertito dalla legge 27/2012; D.M. 200/2012), gli immobili posseduti e utilizzati esclusivamente per l’attività di “ricerca scientifica” da parte dei soggetti di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 73 del D.P.R. 917/1986 (TUIR), vale a dire enti pubblici e privati diversi dalle società, trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale e organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), residenti nel territorio dello Stato. Il beneficio, per espressa disposizione del medesimo comma 3, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2014. La legge 124/2013 non ha introdotto alcuna modifica.

Abitazioni principali assimilate

I commi 4 e 5 dello stesso art. 2 del D.L. 102/2013, invece, si sono occupati dell’assimilazione all’abitazione principale di taluni fabbricati. Più precisamente, così il dettato del comma 4, le unità immobiliari appartenenti allo cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale (ed eventuali pertinenze) dei soci assegnatari, sono equiparate

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all’abitazione principale. Poiché, secondo la legge 124/2013, la novella si applica a decorrere dal 1° luglio 2013, i contribuenti dovranno tener conto dei benefici soltanto per l’ultimo semestre e quindi in sede di pagamento del saldo IMU 2013, previsto entro il termine del 16 dicembre. A decorrere dall’annualità 2014, invece, l’equiparazione all’abitazione principale scatta per i fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali, come definiti dal D.M. infrastrutture 22 aprile 2008. Il comma 5 ha stabilito che non sono richieste le condizioni della “ dimora abituale” e della “residenza anagrafica” ai fini dell’individuazione dell’abitazione principale (ed eventuali pertinenze) del personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia a ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dal personale appartenente alla carriera prefettizia. Tale abitazione, che a nostro parere non potrebbe essere svincolata dal “nucleo familiare” (art. 13, comma 2, terzo periodo, del D.L. 201/2011), è un unico immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come “unica unità immobiliare”, ubicato in qualsiasi territorio dello Stato, posseduto dal militare e non concesso in locazione. La legge 124/2013 ha opportunamente aggiunto che il fabbricato abitativo non deve risultare classificato nelle citate categorie catastali A/1, A/8 e A/9, nel qual caso non può essere considerato abitazione principale, e che per l’anno 2013 la novella dell’assimilazione si applica a decorrere dal 1° luglio. Ne discende che i relativi benefici opereranno solamente per l’ultimo semestre e quindi in sede di pagamento del saldo IMU 2013, previsto - come s’è detto - entro il termine del 16 dicembre.

Obbligo dichiarativo

Il successivo comma 5-bis, inserito nell’art. 2 del D.L. 102/2013 dalla legge 124/2013, ha stabilito che i soggetti passivi, per poter usufruire dei benefici previsti dallo stesso art. 2, devono presentare, a pena di decadenza entro il termine ordinario previsto per la presentazione delle dichiarazioni di variazione IMU, stabilito al 30 giugno 2014 (art. 13, comma 12-ter, del D.L. 201/2011, come modificato dalla lett. a) del comma 4 dell’art. 10 del D.L. 35/2013 convertito dalla legge 64/2013), un’apposita dichiarazione, utilizzando il modello approvato con D.M. finanze 30 ottobre 2012. Tale dichiarazione attesta il possesso dei requisiti ed evidenzia i dati catastali degli immobili oggetto di agevolazione. Tuttavia, per una corretta applicazione di questi particolari benefici, il Ministero dell’economia e delle finanze avrà cura di introdurre con decreto le eventuali necessarie modifiche al citato modello ordinario.

Fabbricati rurali e ICI

Il comma 5-ter, introdotto dalla legge 124/2013, è l’ultima previsione dell’art. 2 del D.L. 102/2013, ma riguarda il trattamento ICI dei fabbricati rurali. Secondo tale novella, che ha carattere interpretativo, avendo espressamente richiamato il comma 2 dell’art. 1 della legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), il riconoscimento della ruralità dei fabbricati produce effetti fiscali retroattivi per cinque annualità, se i contribuenti hanno presentato le domande di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie A/6 (costruzioni abitative) e D/10 (costruzioni strumentali), come stabilito dalle procedure di cui al comma 2-bis dell’art. 7 del D.L. 70/2011 (convertito dalla legge 106/2011) e al comma 2 dell’art. 1 del D.M. finanze 26 luglio 2012. L’ennesimo chiarimento sembra definitivamente risolutivo, essendo stato disposto direttamente dal legislatore, come del resto auspicato anche dal Dipartimento delle Finanze con risposta al question time (VI Commissione finanze) n. 5-00188 del 30 maggio 2013. La norma ha fornito in particolare l’interpretazione autentica del comma 14-bis dell’art. 13 del “decreto Monti” nel senso che la decorrenza degli effetti (fiscali) sia del riconoscimento della ruralità di cui all’art. 9 del vigente D.L. 557/1993 (convertito dalla legge 133/1994), sia dell’inserimento della speciale annotazione negli atti catastali di cui al citato D.M. finanze 26 luglio 2012, ha effetto retroattivo per cinque annualità. La vexata quaestio sulla retroattività del trattamento ICI dei fabbricati rurali, destinati a uso sia abitativo sia strumentale allo svolgimento di attività agricole, sembra quindi avere trovato pace. Del resto, a ben vedere, ci voleva poco. Bastava avere un po’ di buon senso e applicare la disposizione secondo la connessione delle parole ivi contenute (interpretazione letterale), come ha fatto ora il legislatore. Tale attività interpretativa, che ha avvalorato la tesi dei contribuenti, è stata già anticipata da una parte della giurisprudenza tributaria di merito. Infatti, la valenza retroattiva degli effetti fiscali è stata sostenuta da diversi Collegi tributari, secondo cui la domanda di

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variazione catastale è idonea a riconoscere la ruralità a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della medesima domanda (Comm. trib. reg. Bologna, sent. n. 65/12/12; Comm. trib. reg. Brescia, sent. n. 65/63/13; Comm. trib. prov. Brescia, sent. n. 89/10/12). Altre Commissioni hanno invece negato la retroattività degli effetti, valorizzando così la tesi dei comuni (Comm. trib. reg. Milano, sent. n. 77/01/12; Comm. trib. prov. Modena, sent. n. 75/02/13). Significativa ed eloquente - nell’ambito dell’indirizzo minoritario - è la decisione dei giudici modenesi che, nel respingere il ricorso di una cooperativa agricola, hanno ritenuto che ai fini dell’ICI il riconoscimento della ruralità dei fabbricati non ha effetto retroattivo per i contribuenti che hanno presentato nel termine di legge le domande di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie A/6 e D/10. Secondo tali giudici, nel complesso quadro normativo sono intervenuti sia la Corte Costituzionale (sent. n. 227 del 14 luglio 2009), sia le sezioni unite civili della Corte di Cassazione (sent. n. 18565 del 21 agosto 2009). La Consulta ha affermato espressamente che l’art. 23, comma 1-bis, del D.L. 207/2008 (convertito dalla legge 14/2009) è una norma di interpretazione autentica che produce effetti retroattivi dal 1° gennaio 1993 (prima annualità di applicazione del tributo). I giudici del Palazzaccio hanno invece ritenuto che la ruralità può essere riconosciuta ai fabbricati abitativi e strumentali soltanto se classificati nelle categorie catastali, rispettivamente, A/6 e D/10 (fra le ultime, sezione sesta civile, ord. n. 17912 del 23 luglio 2013). Per il Collegio modenese, il principio di diritto basato sulla classificazione catastale può essere modificato soltanto con un intervento legislativo che non è stata la disposizione di cui al citato comma 2-bis dell’art. 7 del D.L. 70/2011, in quanto detta previsione ha previsto la presentazione della domanda di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie A/6 e D/10, entro il termine del 30 settembre 2011 (divenuto poi 1° ottobre 2012, essendo domenica il 30 settembre), accompagnata da un’autocertificazione con la quale il soggetto interessato poteva dichiarare che l’immobile era munito dei requisiti di ruralità con continuità nei cinque anni precedenti. Ma - così i giudici modenesi - i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dello stesso art. 7 del D.L. 70/2011 sono stati abrogati espressamente dall’art. 13 del decreto Monti a partire dal 1° gennaio 2012, per cui fino al 31 dicembre 2011 il beneficio ICI spettava solo ai fabbricati classificati nella “categoria rurale”. Sicché, conclude il Collegio modenese, il D.M. finanze 26 luglio 2012 e in particolare il comma 2 del suo art. 7, secondo cui la presentazione delle domande e l’inserimento negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento dei requisiti di ruralità a decorrere dal quinto antecedente a quello di presentazione della domanda, hanno solamente “illuso” i contribuenti. Per tacere sulla sent. n. 21/04/13 pronunciata dalla Comm. trib. reg. di Bologna, secondo cui il D.L. 70/2011 non attribuisce alcun effetto retroattivo alla domanda di attribuzione della diversa categoria catastale, tanto più che, ragionando in astratto, una siffatta evenienza «porrebbe anche seri problemi di compatibilità costituzionale qualora la questione fosse già stata decisa con sentenza definitiva, finendo la norma per intaccare il giudicato e violare la separazione dei poteri». Il Dipartimento delle finanze, nel ricostruire correttamente l’evoluzione normativa, è già pervenuto a un’opposta conclusione. Ma ora la novella sembra avere definitivamente risolta la questione nel senso che la presentazione delle domande di variazione catastale e l’inserimento negli atti catastali producono gli effetti fiscali previsti per il riconoscimento dei requisiti di ruralità «a decorrere dal quinto antecedente a quello di presentazione della domanda» e quindi a decorrere dal 1° gennaio 2006 per le domande presentate nel 2011 o dal 1° gennaio 2007 per le domande presentate nel 2012. Essa dovrebbe quindi dare certezza alle posizioni giuridiche dei contribuenti, soprattutto se si trovano in contenzioso o hanno già presentato domanda di rimborso al comune impositore competente (art. 1, comma 164, della legge 296/2006). Restano invece impregiudicati gli effetti delle sentenze definitive (art. 2909 cod. civ.), sia di merito sia di legittimità.

Fabbricati in comodato a parenti

L’art. 2-bis del D.L. 102/2013, introdotto dalla legge 124/2013, ha resuscitato la disciplina, prevista invece in materia di ICI (art. 59, comma 1, lett. ), delle unità immobiliari concesse in comodato (uso gratuito) a parenti. Più precisamente la novella, con opportuni adattamenti che consentono un’applicazione dell’agevolazione più restrittiva rispetto a quanto stabilito dalla disciplina dell’ICI, ha disposto al comma 1 che nelle more di una complessiva riforma dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, per l’anno 2013, limitatamente alla seconda rata dell’IMU (saldo), i comuni possono equiparare all’abitazione principale le unità immobiliari

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e relative pertinenze concesse in comodato dal soggetto passivo IMU a parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale (dimora abituale e residenza anagrafica del comodatario). Sono escluse dall’eventuale equiparazione i fabbricati classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, mentre l’equiparazione e quindi l’agevolazione può essere applicata a una sola unità immobiliare, in caso di più unità concesse in comodato dal medesimo soggetto passivo. Ciascun comune potrà definire i criteri e le modalità per l’applicazione dell’agevolazione in commento, compreso il limite dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), al quale subordinare la fruizione dell’agevolazione stessa. Come si può notare, l’equiparazione non scatta automaticamente per legge, ma dipende dalla potestà regolamentare di ciascun comune che, per l’anno in corso, dovrà definire i criteri e le modalità di applicazione con deliberazione adottata entro il 30 novembre, cioè entro il nuovo termine previsto dal comma 1 dell’art. 8 dello stesso D.L. 102/2013 per l’approvazione del bilancio di previsione 2013. I benefici potranno riguardare soltanto i genitori e i figli (parenti in linea retta di primo grado) del contribuente IMU, con esclusione quindi del coniuge, degli altri parenti in linea retta (nonni, nipoti) e dei parenti in linea collaterale (fratelli, sorelle, zii, nipoti, cugini). Naturalmente l’esenzione dal pagamento della seconda rata dell’IMU sarà possibile soltanto se verrà confermata l’abolizione anche della seconda rata dell’IMU 2013 per le tipiche abitazioni principali dei soggetti passivi. Il comodante deve essere un soggetto passivo IMU (titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento), probabilmente con riferimento all’unità immobiliare concessa in comodato, per cui le agevolazioni non possono trovare applicazione qualora il comodante sia, per esempio, un nudo proprietario dell’unità stessa. Poiché il trattamento delle pertinenze (una per ciascuna categoria catastale C/2, C/6 e C/7) non può che essere quello previsto per la relativa abitazione (bene principale), l’eventuale equiparazione comporterebbe l’applicazione dei benefici IMU anche in caso di più soggetti passivi comodanti degli immobili. Per esempio, un figlio riceve in comodato (anche distintamente e separatamente) l’abitazione di proprietà esclusiva del padre e il relativo box di proprietà esclusivo della madre. Tuttavia merita di essere chiarita l’espressione legislativa secondo cui l’agevolazione può essere applicata a una sola unità immobiliare, in caso di più unità concesse in comodato. Per esempio, non è sufficientemente chiaro se un figlio possa ricevere in comodato dal proprio genitore l’abitazione e il box, entrambi di esclusiva proprietà di quest’ultimo. Una pronuncia ufficiale è utile anche sul perimetro applicativo dell’agevolazione, se compete nell’ambito di uno o più comuni. Disciplina della TARES La TARES, cioè il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, istituito e regolamentato dall’art. 14 del “decreto Monti”, è stata oggetto di una serie di norme che hanno modificato la disciplina, l’ultima delle quali è l’art. 5 del D.L. 102/2013 in commento. Anche la TARES, che è un’entrata di natura tributaria che avrebbe sostituito la TARSU (artt. 58 e segg. del D.Lgs. 507/1993), la TIA1 (art. 49 del D.Lgs. 22/1997) e la TIA2 (art. 238 del D.Lgs. 156/2006), non sembra un tributo nato sotto una buona stella. Infatti, come già evidenziato in altri scritti, uno dei principali punti critici è la sua struttura che è costituita da un duplice balzello destinato a coprire i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento e quelli concernenti i servizi comunali “ indivisibili” come, per esempio, l’illuminazione pubblica e la manutenzione di strade. Vediamo in sintesi il contenuto dell’art. 5 del D.L. 102/2013 e le novità introdotte dalla legge 124/2013. Per l’anno 2013 i comuni, con regolamento adottato ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 446/1997 entro il nuovo termine del 30 novembre, possono stabilire di applicare la componente della TARES per la totale copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti tenendo conto, nel rispetto del principio comunitario “chi inquina paga” (art. 14 della dir. 2008/98/CE), dei seguenti criteri: a. commisurazione della tariffa sulla base della quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti, comprensivo delle operazioni di riciclo; b. determinazione delle tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l’anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti; c. commisurazione della tariffa tenendo conto anche dei criteri determinati con regolamento di cui al D.P.R. 158/1999;

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d. introduzione di ulteriori riduzioni ed esenzioni, in aggiunta a quelle già previste dall’art. 14 del D.L. 201/2011 (commi da 15 a 18), che - novità introdotta dalla legge 124/2013 - tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l’applicazione dell’ISEE, nonché introduzione di esenzioni per i quantitativi di rifiuti avviati all’autocompostaggio, come definito dalla lett. e) del comma 1 dell’art. 183 del D.Lgs. 152/2006. Secondo la nuova versione del comma 19 dell’art. 14 del D.L. 201/2011, come modificato dalla legge 124/2013, il consiglio comunale può deliberare ulteriori agevolazioni, rispetto a quelle già stabilite dai commi da 15 a 18 (abitazioni con unico occupante, abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale, fabbricati rurali abitativi) e dal comma 20 (per esempio, mancato svolgimento del servizio di gestione). La relativa copertura può essere disposta attraverso la ripartizione dell’onere sui contribuenti, oppure attraverso apposite autorizzazioni di spesa che non possono eccedere il limite del 7% del costo complessivo del servizio. In ogni caso - così il comma 3 dell’art. 5 in esame - deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, ricomprendendo anche i costi per lo smaltimento dei rifiuti nelle discariche (art. 15, D.Lgs. 36/2003), a esclusione - novità della legge 124/2013 - dei costi relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento sono tenuti a provvedere i produttori degli stessi a proprie spese. Il comune ha l’obbligo di predisporre e inviare ai contribuenti il mod. F24 di pagamento dell’ultima rata del tributo, mentre nel caso in cui il versamento relativo all’anno 2013 risulti insufficiente, secondo il comma 4-bis aggiunto dalla legge 124/2013, non si applicano le sanzioni qualora il comune non abbia provveduto all’invio dei mod. F24 precompilati. Il successivo comma 4-quater, introdotto dalla legge 124/2013, ha stabilito apertis verbis che in deroga alla previsione del comma 46 dell’art. 14 del “decreto Monti”, secondo cui a decorrere dal 1° gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani di natura sia patrimoniale sia tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza (ECA), e alla disposizione contenuta nel suddetto comma 3 dell’art. 5 in commento, per l’anno 2013 i comuni possono determinare, con provvedimento da adottare entro il termine del 30 novembre, i costi del servizio e le relative tariffe sulla base dei criteri previsti e applicati nell’anno 2012 con riferimento al regime di prelievo in vigore in tale anno (TARSU o TIA). In tal caso restano comunque fermi la maggiorazione prevista dal comma 13 dell’art. 14 del “decreto Monti” (€ 0,30 per metro quadrato, aumentabile da ciascun comune fino allo 0,40) e l’obbligo di predisporre e inviare ai contribuenti i relativi modelli di pagamento. Qualora invece il comune per l’anno 2013 continui ad applicare la TARSU, la copertura della percentuale dei costi eventualmente non coperti dal gettito del tributo è assicurata attraverso il ricorso a risorse diverse dai proventi della tassa, derivanti dalla fiscalità generale del comune stesso. Termine per le deliberazioni L’art. 8, comma 1, del D.L. 102/2013 ha differito al 30 novembre 2013 il termine per la deliberazione del bilancio annuale di previsione 2013 degli enti locali, di cui al comma 1 dell’art. 151 del D.Lgs. 267/2000 (31 dicembre). Il termine era stato già differito al 30 settembre 2013 dalla lettera b) del comma 4-quater del citato art. 10 del D.L. 35/2013. Il differimento, secondo la novella introdotta dalla legge 124/2013, si applica anche agli enti in dissesto. In linea generale, quindi, entro il 30 novembre 2013 i comuni potranno approvare fra l’altro le tariffe, le aliquote di imposta e i regolamenti, che esplicheranno effetti retroattivi dal 1° gennaio 2013 (art. 1, comma 169, della legge 296/2006; art. 53, comma 16, della legge 388/2000). Il successivo comma 2 dell’art. 8 del D.L. 102/2013 dispone una deroga, valida soltanto per l’anno 2013, ai fini della disciplina dell’IMU. Infatti, la previsione ha stabilito che per l’anno 2013, in deroga a quanto previsto dal comma 13-bis dell’art. 13 del “decreto Monti”, le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni, nonché i regolamenti dell’IMU, acquistano efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune, che deve avvenire - novella aggiunta dalla legge 124/2013 - entro il 9 dicembre 2013 e deve recare l’indicazione della data di pubblicazione. Naturalmente in caso di mancata pubblicazione entro tale termine, si applicano gli atti adottati per l’anno 2012 (art. 1, comma 169, ultimo periodo, della legge 296/2006). Il vigente comma 13-bis dell’art. 13 del “decreto Monti” sancisce che a decorrere dall’anno 2013, le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni nonché i regolamenti dell’IMU devono essere inviati esclusivamente per via telematica, mediante inserimento del loro testo nell’apposita sezione del Portale del federalismo fiscale. Inoltre, i comuni sono tenuti a inserire nella suddetta sezione gli elementi

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risultanti dalle delibere, secondo le indicazioni stabilite dal Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze, sentita l’Associazione Nazionale dei comuni Italiani (ANCI). L’efficacia delle deliberazioni e dei regolamenti decorre dalla data di pubblicazione degli stessi nel predetto sito informatico. Il versamento della prima rata dell’imposta è eseguito sulla base dell’aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell’anno precedente, mentre il pagamento della seconda rata è effettuato a saldo dell’IMU dovuta per l’intera annualità, con eventuale conguaglio sulla prima rata versata, sulla base degli atti pubblicati nel predetto sito alla data del 28 ottobre di ciascun anno di imposta. A tal fine il comune è tenuto a effettuare l’invio telematico entro il 21 ottobre dello stesso anno. In caso di mancata pubblicazione entro il termine del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l’anno precedente. Poiché il termine per il versamento del saldo IMU 2013 è il 16 dicembre, è evidente che il legislatore deve disporre al più presto una proroga. Parimenti evidente è che il legislatore non può fare sempre quello che vuole, trascurando addirittura regole e principi che egli stesso scrive. Si pensi alla norma fondamentale sui tributi periodici, come l’IMU e la TARES, secondo cui le modifiche introdotte si applicano soltanto a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono (art. 3, comma 1, della legge 212/2000). Non è un bell’esempio.