imp. recensioni 4 · Il discorso procede attraverso l’analisi puntuale e docu-mentata...

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P. MARCHESI, Abbazia e borgo fortificati di Sesto al Réghena, Chiandetti Editore, Reana del Rojale, 2005 (“Castella” n. 87), formato 19x28, pp. 189, ill. b/n e colo- re, edizione riveduta e corretta della stesura del 1978. L’Istituto Italiano dei Castelli è nato, quarant'anni fa, con una triplice missione: studio, salvaguardia e valorizzazio- ne dell’architettura fortificata italiana. Ogni elemento di questa triade è fondamentale, e non può essere trascurato; tuttavia, l’importanza reciproca dei vari elementi non è uguale. È evidente che la valorizzazione delle opere d’architettu- ra fortificata, attraverso la loro riimmissione nel circuito della vita moderna, è un compito che non può essere svol- to autonomamente dall’Istituto: noi possiamo fungere da stimolo, da catalizzatore per coagulare le varie iniziative, possiamo indicare metodi e mezzi d’azione, ma dobbia- mo, per svolgere questo compito, dialogare con le istitu- zioni, i mezzi di comunicazione, i cittadini delle località interessate. Allo stesso modo la salvaguardia può avere in noi dei guar- diani attenti e attivi, delle “sentinelle” sparse sul territorio e in grado, con i vari strumenti messi a punto dall’Istituto nel corso della sua ormai lunga esperienza, di “monitorare” con precisione e costanza le varie situazioni di pericolo (o, al contrario, di rilevare e segnalare quelle di efficace inter- vento, da noi premiato con le Targhe di Segnalazione dell’Istituto, diventate nel corso degli anni, un riconosci- mento altamente prestigioso). Ma, una volta ancora, non possiamo agire in prima persona e da soli su questo aspet- to: possiamo, e dobbiamo, indicare la strada e accompa- gnare il percorso, ma la responsabilità maggiore spetta alle istituzione e ai proprietari delle architetture fortificate. La porta d’ingresso al borgo fortificato. Per contro lo studio delle architetture stesse può essere - e nella realtà è - nostra specifica e primaria competenza. Senza essere vanagloriosi, possiamo dire di averlo svolto bene nel corso del tempo. Sono ormai centinaia, in alcuni casi migliaia, i libri, i convegni, gli articoli, le tavole rotonde su temi specifici, le indagini condotte per diretto intervento dell’Istituto o per merito di persone legate all’Istituto stesso e agenti, verrebbe da dire con una frase fatta, “in nome e per conto” della nostra associazione. Aggiungiamoci l’opera capillare di censimento in tutto il paese, che ha portato alla schedatura di oltre 10.000 opere fortificate, e che sta per essere riversata nel grande Atlan- te Castellano d’Italia che stiamo in questi mesi allestendo. Attraverso quest’attività continua e diffusa ciò ch’era mezzo secolo fa un settore per pochi e sconosciuti culto- ri è oggi diventato uno degli argomenti più trattati, coin- volgenti e “trainanti” in campo turistico, storico, artistico, culturale, ambientale. Se ne sono impadroniti i mezzi di comunicazione di massa, se ne occupano le Amministra- zioni, se ne discute a livello dei cittadini. Alla base di tutto ciò, tuttavia, sta l’infinito, spesso igno- rato, ma essenziale universo delle ricerche e delle pubbli- cazioni monografiche, attraverso cui i singoli fenomeni architettonici e le loro connessioni sono indagati, verifi- cati, via via conosciuti e divulgati. Senza questi studi non esiste nessuna vera conoscenza, nessuna possibilità di far progredire l’immenso complesso culturale prima delinea- to. Ecco perché l’Istituto incoraggia da sempre questo tipo di lavori, spesso garantendo loro il patrocinio e l’im- missione nella collana “Castella”, com’è il caso di quello che presentiamo, dedicato all’abbazia e al borgo fortifi- cati di Sesto al Réghena, che porta il numero 87 della qua- rantennale collana. Tale studio merita poi un’attenzione particolare per alme- no tre motivi. In primo luogo perché si tratta dell’aggior- namento e approfondimento, attraverso una ricerca minu- ziosa, capillare, spesso penetrante, sempre documentatis- sima, di uno studio effettuato, dallo stesso autore e per la stessa collana, quasi trent’anni fa. Sono lavori, questi, che meritano ogni attenzione, perché “scavano” in profondità, portano a conoscenze del tutto nuove, talvolta sconvol- gendo le convinzioni diffuse, e testimoniano una capacità di indagine e di autocritica altissima, matura, vien da dire “distillata”, che induce al rispetto. In secondo luogo per- ché affronta un argomento - quello dell’architettura reli- giosa fortificata - poco indagato e ancor meno conosciu- to, e per contro altamente interessante e ricco di implica- zioni. Infine (ultimo ma non minore aspetto) per essere opera di Pietro Marchesi, da tanti anni membro attivo e di I RECENSIONI Veduta d’insieme dell’abbazia.

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P. MARCHESI, Abbazia e borgo fortificati di Sesto alRéghena, Chiandetti Editore, Reana del Rojale, 2005(“Castella” n. 87), formato 19x28, pp. 189, ill. b/n e colo-re, edizione riveduta e corretta della stesura del 1978.

L’Istituto Italiano dei Castelli è nato, quarant'anni fa, conuna triplice missione: studio, salvaguardia e valorizzazio-ne dell’architettura fortificata italiana. Ogni elemento diquesta triade è fondamentale, e non può essere trascurato;tuttavia, l’importanza reciproca dei vari elementi non èuguale.È evidente che la valorizzazione delle opere d’architettu-ra fortificata, attraverso la loro riimmissione nel circuitodella vita moderna, è un compito che non può essere svol-to autonomamente dall’Istituto: noi possiamo fungere dastimolo, da catalizzatore per coagulare le varie iniziative,possiamo indicare metodi e mezzi d’azione, ma dobbia-mo, per svolgere questo compito, dialogare con le istitu-zioni, i mezzi di comunicazione, i cittadini delle localitàinteressate.Allo stesso modo la salvaguardia può avere in noi dei guar-diani attenti e attivi, delle “sentinelle” sparse sul territorioe in grado, con i vari strumenti messi a punto dall’Istitutonel corso della sua ormai lunga esperienza, di “monitorare”con precisione e costanza le varie situazioni di pericolo (o,al contrario, di rilevare e segnalare quelle di efficace inter-vento, da noi premiato con le Targhe di Segnalazionedell’Istituto, diventate nel corso degli anni, un riconosci-mento altamente prestigioso). Ma, una volta ancora, nonpossiamo agire in prima persona e da soli su questo aspet-to: possiamo, e dobbiamo, indicare la strada e accompa-gnare il percorso, ma la responsabilità maggiore spetta alleistituzione e ai proprietari delle architetture fortificate.

La porta d’ingresso al borgo fortificato.

Per contro lo studio delle architetture stesse può essere - enella realtà è - nostra specifica e primaria competenza.Senza essere vanagloriosi, possiamo dire di averlo svoltobene nel corso del tempo. Sono ormai centinaia, in alcunicasi migliaia, i libri, i convegni, gli articoli, le tavolerotonde su temi specifici, le indagini condotte per direttointervento dell’Istituto o per merito di persone legateall’Istituto stesso e agenti, verrebbe da dire con una frasefatta, “in nome e per conto” della nostra associazione.Aggiungiamoci l’opera capillare di censimento in tutto ilpaese, che ha portato alla schedatura di oltre 10.000 operefortificate, e che sta per essere riversata nel grande Atlan-te Castellano d’Italia che stiamo in questi mesi allestendo.Attraverso quest’attività continua e diffusa ciò ch’eramezzo secolo fa un settore per pochi e sconosciuti culto-ri è oggi diventato uno degli argomenti più trattati, coin-volgenti e “trainanti” in campo turistico, storico, artistico,culturale, ambientale. Se ne sono impadroniti i mezzi dicomunicazione di massa, se ne occupano le Amministra-zioni, se ne discute a livello dei cittadini.Alla base di tutto ciò, tuttavia, sta l’infinito, spesso igno-rato, ma essenziale universo delle ricerche e delle pubbli-cazioni monografiche, attraverso cui i singoli fenomeniarchitettonici e le loro connessioni sono indagati, verifi-cati, via via conosciuti e divulgati. Senza questi studi nonesiste nessuna vera conoscenza, nessuna possibilità di farprogredire l’immenso complesso culturale prima delinea-to. Ecco perché l’Istituto incoraggia da sempre questotipo di lavori, spesso garantendo loro il patrocinio e l’im-missione nella collana “Castella”, com’è il caso di quelloche presentiamo, dedicato all’abbazia e al borgo fortifi-cati di Sesto al Réghena, che porta il numero 87 della qua-rantennale collana.Tale studio merita poi un’attenzione particolare per alme-no tre motivi. In primo luogo perché si tratta dell’aggior-namento e approfondimento, attraverso una ricerca minu-ziosa, capillare, spesso penetrante, sempre documentatis-sima, di uno studio effettuato, dallo stesso autore e per lastessa collana, quasi trent’anni fa. Sono lavori, questi, chemeritano ogni attenzione, perché “scavano” in profondità,portano a conoscenze del tutto nuove, talvolta sconvol-gendo le convinzioni diffuse, e testimoniano una capacitàdi indagine e di autocritica altissima, matura, vien da dire“distillata”, che induce al rispetto. In secondo luogo per-ché affronta un argomento - quello dell’architettura reli-giosa fortificata - poco indagato e ancor meno conosciu-to, e per contro altamente interessante e ricco di implica-zioni. Infine (ultimo ma non minore aspetto) per essereopera di Pietro Marchesi, da tanti anni membro attivo e di

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RECENSIONI

Veduta d’insieme dell’abbazia.

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primo piano dei Consiglio Scientifico dell’Istituto: unnome, direbbero i pubblicitari, “che è una garanzia”. E ineffetti l’autore non si smentisce nemmeno stavolta, inda-gando con perspicace entusiasmo tutti gli aspetti, alcunidei quali complessi e controversi, presentati dal luogo.Non possiamo dire che il suo studio metta un punto fermoe definitivo all’argomento, perché nel campo della ricercascientifica un approfondimento è sempre possibile; macerto ordina nel migliore dei modi tutte le conquiste che sipotevano ragionevolmente ottenere sul tema. Andare oltresarà ben difficile. Per lungo tempo, forse, impossibile.

Flavio Conti

FRANCO VALENTE, Il Castello di Gambatesa, Storia,Arte, Architettura. Edizione Emme, Ferrazzano 2003,pp.190, ill. b/n e colore.

Prima di passare ad analizzare l’ultimo cospicuo lavorodell’amico Valente, desidero ricordare che da qualchetempo il collega è stato cooptato, meritoriamente, nel con-siglio scientifico dell’Istituto dei castelli per una serie diragioni tra le quali spiccano la sua attività di ricerca con-cretizzatasi in pregevoli studi su importanti preesistenzedel territorio molisano, nonché per il costante impegnoprofuso per la costituzione della Sezione Molise.Non credo che si possa ricordare tutta l’opera dell’amicoValente poichè spazia dall’indagine documentaria all’ar-chitettura, dalla storia all’urbanistica, dal censimento deibeni al restauro dei monumenti.Il tomo, di grande formato, contiene 190 pagine illustra-te, per lo più a colori. Molto attuale ci sembra la scelta deicaratteri e della impaginazione; interessanti e intelligentisono il rimando delle note a piè pagina, per agevolare glistudiosi, e l’utilizzo delle foto aeree.La sovraccoperta, con il suo bel particolare pittorico trat-to dal ciclo di affreschi dell’interno, ci appare come unasoluzione originale per un testo a carattere castellologico.Il volume ci colpisce e ci attrae non solo per la riccadocumentazione iconografica degli affreschi che decora-no il castello, ma anche per la scelta singolare di realizza-re un importante volume che avesse come tema un edifi-cio poco conosciuto. Un altro requisito che stupisce gliarchitetti, i quali di solito sono portati alla settorializza-

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RECENSIONI

Uno dei meravigliosi affreschi del castello.

zione e alla collaborazione interdisciplinare, è la facilità ela duttilità con la quale il Valente si accosta ad ambiti cul-turali che non dovrebbero appartenergli. È questa forseuna delle componenti più sorprendenti del volume, inquanto l’autore riesce a coniugare con grande competen-za tutte le discipline che interagiscono nello studio.Ci appaiono affascinanti i meandri disquisitori ed eruditi,spesso suffragati dal ritrovamento di documenti autentici,nei quali l’autore si cala per la ricerca dell’origine delborgo di Gambatesa, delle sue famiglie e dei luoghi limi-trofi tra cui spicca l’ancestrale Toppo di Vipera.Il volume si articola in ben 14 capitoli, oltre alla premes-sa e a due appendici riferite agli Statuti Municipali diGambatesa e all’elenco bibliografico.I 14 capitoli spaziano, come accennato, dalla storia all’ur-banistica, dall’architettura alla pittura, dalla storia dellecasate all’incastellamento al monachesimo. Si ravvisamolta consequenzialità tra i vari argomenti senza che siincorra nella compartimentazione in cui si potrebbe cade-re con questo tipo di studio a carattere multidisciplinare.In mancanza di documenti e di reperti non è risultato age-vole all’autore porre ordine sull’origine del centro antico.Egli, pertanto, è costretto a procede per induzione e conmolta abilità fa ricorso all’ausilio dei toponimi, al posi-zionamento rispetto al territorio nonché al sito. Ne scatu-risce un bell’affresco di carattere generale, teso più allastoria che alla forma urbana, che non si sofferma sull’at-tuale centro demico che, specie dalle foto aeree, si famolto apprezzare per la sue peculiarità dovute soprattuttoall’omogeneità del tessuto urbano, all’uso delle misuratevolumetrie e ad una palese auto tutela praticata dagli abi-tanti non sempre rintracciabile nei centri del mezzogior-no.Molto bella è la pianta del centro antico che viene pro-dotta a pag. 24 nella quale si riesce a leggere bene nonsolo l’omogeneità ed il disegno urbano, ma anche l’argo-mentazione dell’autore sul posizionamento del castello edella chiesa di S. Bartolomeo e quella delle numerosegrotte che con la loro presenza avrebbero stimolato ilculto locale per S. Michele.Il discorso procede attraverso l’analisi puntuale e docu-mentata dell’incastellamento longobardo dove tra le altremolteplici affinità con l’Abruzzo si trova la figura diPandolfo I Capo di Ferro che nel 967 concede ai monacidi S. Vincenzo al Volturno di poter costruire quanti castel-li desiderino per la difesa del territorio, prerogativa chevenne estesa anche sul fronte abruzzese dove enormi

Veduta aerea di Gambatesa.

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erano gli interessi monacali di S. Vincenzo come è statorilevato dall’amico Maurizio D’Antonio nel suo ultimoprezioso lavoro dal titolo Abbazie Benedettine eCistercensi in Abruzzo, Carsa Edizioni 2003.In Abruzzo il fenomeno dell’incastellamento fu invecepiù cospicuo sotto i Normanni anche se nel nono e deci-mo secolo il sistema difensivo fu altrettanto importante(come si evince dagli studi di Lucio Santoro e dal sotto-scritto in l’Abruzzo nel medioevo, Pescara EDIARS 2003)per sottrarre le popolazioni, ancora sparse sul territorio eabitanti negli ex vici e pagi del tardo antico, dai pericolidivenuti sempre maggiori e differenziati.L’autore delinea poi il passaggio del potere longobardo aquello normanno nel momento in cui i primi avevano rior-ganizzato il loro sistema difensivo. Alle due realtà nelfrattempo si verranno a frapporre alcune signorie localiassi potenti quali i conti di Borrello in area frentana equelli di Venafro a sud ovest, tanto da rendere ancor piùcomplessa una situazione politica di per sé farraginosa.L’autore si muove agevolmente, e con dovizia di partico-lari, specie sul terreno storico inerente ai rapporti tra ilcomplesso potere laico e quello monastico. In merito varicordato come Franco Valente abbia compiuto importan-ti e meritevoli studi sul monachesimo in generale e suquello di S. Vincenzo al Volturno in particolare tanto daorientarsi agevolmente in un settore storico irto di diffi-coltà.Successivamente sono stato particolarmente attratto dalcapitolo relativo all’edificio ossidionale, per mio partico-lare interesse, e anche perché avevo una conoscenza moltoapprossimativa del singolare monumento.Il primo impatto è molto piacevole, sia per il calibratoinserimento nel tessuto urbano, cinto a sua volta da muradifensive, sia per la grande semplicità delle volumetriecostituite da ampie e scabre cortine sulle quali si apronopiccole e rade finestre di tipo stilistico (secolo XVI).Un grande effetto di forza e di slancio caratterizza l’invo-lucro costituito da ben quattro piani, molto inusuale inuna struttura che tipologicamente si pone tra la dimoragentilizia e la fortificazione. Questa ibrida caratteristica sievidenzia maggiormente se si pongono a confronto l’usoschietto della pietra e i cicli pittorici dell’interno venendo-si così a creare una differenziazione dialettica di tuttorispetto e di grande stimolo culturale.Mi sembra tra l’altro che Franco Valente si inoltri solo inmodo marginale nella lettura del grande manufatto e pre-ferisca invece condurci all’oggetto per induzione facendo

uso dell’analisi storica e lasciando libero il lettore diorientarsi da solo nell’intricato palinsesto.Più avanti il volume si apre spaziando a tutto campo e inparticolar modo sullo studio della storia di Gambatesa. Sipassa dal capitolo su Riccardo di Gambatesa all’indaginesulla famiglia di Capua, dalle influenze di Don Pedro diToledo (che tanta parte ebbe anche nello scenario aquila-no con l’edificazione della celeberrima fortezza), al pit-tore-decoratore Donato De Cubertino.Fa seguito la puntuale ed erudita analisi relativa al grandeciclo di affreschi che rappresenta uno dei punti di forzadella pubblicazione e nella quale non posso e non voglioinoltrarmi per la sua complessità e per le sue innumere-voli sfaccettature; lascio pertanto al lettore il vivo piaceredi esplorare con calma uno scrigno incredibile che nessu-no potrebbe immaginare che si possa trovare in un luogocosì appartato e segreto.Concludo questa rapida analisi ribadendo la stima ed ilpiù vivo compiacimento al collega Valente che assiemealla nostra presidentessa prof. Onorina Perrella e a tutti icomponenti della sezione Molise dell’Istituto dei Castelliportano avanti il fardello della sezione stessa.Li invito pertanto ad essere sempre più coesi ed attivi nelsettore della tutela e valorizzazione del loro ingente patri-monio fortificato.

Luigi Chiarizia

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RECENSIONI

Porto Santo Stefano, la Rocca.

Prospetto principale del Castello di Gambatesa.

FLAVIO RUSSO - La difesa costiera dello Stato dei RealiPresidi di Toscana dal XVI al XIX secolo - SME UfficioStorico, Roma 2002, pp. 298 ill. col.

L’argomento affrontato da Flavio Russo in questo volumerappresenta un ponderoso excursus su di una zona che,procedendo nel tempo, ha finito per sommare numerosedecine di fortificazioni di tutti i generi, dalla più esiletorre d’avvistamento ai ben più massicci fronti dei terrabastionati, tutti analizzati ed illustrati sulla scorta delleprecedenti esperienze maturate dall’autore relative alRegno di Napoli e allo Stato Pontificio. L’unicità storica di questo piccolo stato, nato nel 1577(pressoché alla fine della guerra di Siena) dalla spartizio-ne tra Granducato di Toscana e Regno di Spagna dellaRepubblica Senese, deriva, secondo Russo, dalla naturadei “presidios” presso gli spagnoli; l’inassimilabilità trale comunità araba e spagnola aveva fatto della “reconqui-sta” una guerra senza quartiere, dove i punti fortificatinon erano, come nel resto d’Europa, nuclei di successivee pacifiche formazioni urbane, ma più spesso, appunto,presidi isolati in territorio ostile, non diversamente daquanto accadeva per i crociati in Palestina. Tali presidiservivano a tenere sotto controllo una determinata zonacon un numero relativamente limitato di uomini, nonchéa difendere quest’ultimi, in caso di rivolte locali, in attesadi rinforzi provenienti dagli altri presidi vicini. Nuove

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comunità potevano formarsi solo artificialmente, costrin-gendo la popolazione locale ad emigrare (o ad uniformar-si) e sostituendola con nuove genti provenienti dallo statod’appartenenza del presidio. Portata avanti in particolaredal Regno di Castiglia, questa politica durò ben oltre laconquista di Granada (1492), ultima roccaforte araba interra spagnola, ma si prolungò anche per tutto il ‘500,prima per sventare ogni possibilità di ritorno in forzedegli arabi, poi per cercare di arginare la pirateria barba-resca nel Mediterraneo occidentale. La conquista spagno-la dell’Africa, voluta fortemente dagli spiriti più integra-listi del cattolicesimo locale, quali la regina Isabella diCastiglia e il cardinale Cisneros, responsabili tra l’altrodell’epurazione o della coercizione al credo ufficiale ditutte le altre comunità religiose diffuse nella Spagna, siscontrò dapprima col problema della fondamentalepovertà del territorio maghrebino. La crociata che si vole-va da Gibilterra a Gerusalemme partì già a fine ‘400,sullo slancio della “reconquista”, con l’annessione dellecittà del Rif marocchino e di Melilla, ma si dimostrò subi-to economicamente fallimentare, e la scarsità del bottinoprospettato ne rallentò immediatamente il cammino;Mers-el-Kebir (1505) e Orano (1509) furono prese soloper la volontà e i diretti finanziamenti del Cisneros, magià da tempo le principali iniziative della Spagna riguar-davano la lotta con la Francia per il ben più ricco Regnodi Napoli. È a questo punto che, cessato il pericolo dellareazione araba in terra iberica, sorse il nuovo problemarappresentato dalla massiccia azione della pirateria barba-resca alleatasi con l’impero ottomano; anche in questocaso gli spagnoli non trovarono altro sistema da opporreche l’istituzione di ulteriori presidi in terra africana, conle principali conquiste di Tripoli (1510), Algeri (1511) eTunisi (1535), allestendo fortificazioni in zone risultateinfine troppo lontane dalla madre patria per diventarnepoli d’attrazione, e che, per di più, finirono per ritrovarsiassolutamente estranee non solo al territorio limitrofo, maanche alla stessa popolazione cittadina, che sempre rima-se loro ferocemente ostile. Ovviamente tale sistema, checostringeva contingenti di soldati anche cospicui a rima-nere isolati e in condizioni di approvvigionamento spessodeficitario, dovendo essere riforniti via mare di tutto,risultò anche estremamente oneroso.Nel caso particolare dei Presidi di Toscana, il suo territo-rio (composto essenzialmente dall’area dell’Orbetellano)fu innanzitutto ritagliato in maniera da togliere alGranducato di Toscana ogni sbocco degno di nota sulTirreno settentrionale e, al tempo stesso, avere un tratto diconfine in comune con lo Stato Pontificio che vi facili-tasse eventuali invii di truppe; oltre al controllo degli statisuddetti, i Presidi costituivano anche un’ideale zona diapprodo e smistamento dei contingenti militari tra i varidomini spagnoli in Italia e nel resto d’Europa. Ma la suanatura di “presidio” fortificato si riferisce soprattutto alla

funzione di argine all’ondata piratesca, col compito spe-cifico di impedirne la risalita fino al Mar Ligure (bisognaricordare che la navigazione dell’epoca, non solo quellamercantile, rimaneva essenzialmente costiera).Dopo la prima parte di inquadramento storico, il testocomprende un secondo capitolo sulle torri costiere e unterzo sulle piazzeforti marittime, che contengono analisiestremamente puntuali su ogni singola struttura fortifica-ta dalle quali vengono ricavate interessanti notazioni. Ad esempio, riguardo le caratteristiche del torreggiamen-to costiero dei Presidi, utile alla completa copertura bali-stica del litorale nonchè continuazione di quelli del Regnodi Napoli e dello Stato Pontificio, Russo nota la scarsadiffusione del classico modello tronco-piramidale, tipicodelle coste meridionali (riconoscibile nel solo forte di S.Stefano e nella torre del Buranaccio), rispetto all’altromodello parallelepipedo su base scarpata, frequente inve-ce nel Lazio; forse assunto per motivi di economicità, talemodello subiva nella zona la modifica fondamentale diabolire l’apparato a sporgere e di ottenenre la coperturadella scarpa tramite un recinto esterno, posto versomonte, dalla caratteristica forma a “coda di rondine”. Riguardo invece alcune delle principali fortificazioni(come la Rocca di Porto Ercole e il vicino Forte Filippo),Russo sottolinea, oltre la non perfetta disposizione dellestrutture atte al fuoco fiancheggiante, anche gli ulterioriproblemi derivanti dalla loro posizione sommitale, chenon permetteva un efficiente tiro radente. Il libro, che contiene numerosi stralci di documenti d’ar-chivio utili a ricostruire l’esatto armamento di numerosefortificazioni, si conclude riportando per intero (e in lin-gua originale) il rapporto redatto ufficialmente in seguitoalla vittoriosa resistenza con la quale le truppe spagnolesventarono l’assedio francese di Orbetello del 1646 (docu-mento custodito nella Biblioteca Nazionale di Madrid);esso comprende interessantissime informazioni che ci illu-minano, oltre che sulla condotta di guerra, anche sullostato delle fortificazioni di Orbetello e Porto Ercole.Concludendo, Russo, in virtù della sua sapienza tecnica estorica, è riuscito ancora una volta a produrre un testoche, per la ricchezza del materiale riportato e la precisio-ne con la quale i temi vengono affrontati, si pone da subi-to come uno dei titoli fondamentali per la conoscenza del-l’argomento.

Davide Maria del Vaglio

IV

RECENSIONI

Porto Ercole, Forte Filippo.

Porto Ercole, Forte Stella.