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serpe di BRODO Miscellanea di cose medicinesi A cura di GIUSEPPE ARGENTESI e LUIGI SAMOGGIA M ARZO 2002 Menabò 2002 ok 25-04-2012 11:27 Pagina 1

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Miscellanea di cose medicinesi

A cura di GIUSEPPE ARGENTESI e LUIGI SAMOGGIA

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Prezzo: 10 €

Copyright © 2002Comitato promotoreVia della Libertà, 27/cc/o Studio Avv. Plata-Chiocchini40059 Medicina (Bologna)

Stampato nel mese di marzo 2002presso la Grafica RagnoVia Lombardia 25, 40024 Tolara di Sotto, Ozzano Emilia (Bologna)

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Comitato promotore:

Giuseppe Argentesi, Remigio Barbieri, Enrico Caprara, Carlo Chiocchini,Gianni Facchini, Raffaele Romano Gattei, Rino Ramazza, Gianni Rimondini,

Luigi Samoggia, Renato Tinti

Comitato di redazione:

Giuseppe Argentesi, Enrico Caprara, Carlo Chiocchini, Gianni Facchini,Raffaele Romano Gattei, Luigi Samoggia

La presente pubblicazione è stata realizzata

con il contributo di

Coop Reno

con il patrocinio di

Supplemento del Periodico della Amministrazione Comunale di Medicina “Punto e”

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Presentazione

Perché “Brodo di serpe” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 07

Miti e antichi usi

“Brodo di serpe”... e altre ricette di LUIGI SAMOGGIA . . . . . . pag. 09

Ricordo di Franco Plata

Il politico Franco Plata di MASSIMO MANTOVANI . . . . . . . . . . . pag. 17L’amico, il socio, il professionista di CARLO CHIOCCHINI . . . pag. 21Franco, un amico con cui confrontarsidi GIUSEPPE ARGENTESI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23

Pagine di storia

Carmelitani e Comunità di Medicina di ENRICO CAPRARA . . pag. 27Don Evangelista Gasperini storico e cronista del ‘700di RAFFAELE ROMANO GATTEI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37Appunti biobibliografici su Giuseppe Biagidi ALDO ADVERSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 43Il Cineforum di Medicina (1965-1968)di GIUSEPPE ARGENTESI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53

Medicina d’oggi

Loris Prantoni in Antartide di CORRADO PELI . . . . . . . . . . . . pag. 65Raccolte e collezioni del Museo: le donazionidi LORELLA GROSSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 69

La lingua della memoria

La storia delle nostre parole di LUCIANO CATTANI . . . . . . . . . pag. 73Lettera d’amore di CLAUDIO CAMPESATO . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 79La casa rossa di ANTONIA GALVANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 81Ricordi in versi di GIGLIOLA SELLERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 91

Indice

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ORMAI DA MOLTI ANNI, grazie all’impegno di un significativo equalificato numero di Medicinesi, appassionati alla storia e alla cultura

in senso lato del nostro paese, vengono dati alle stampe volumi che trattanodi Medicina e dei territori del Comune.Ciò che manca, rispetto alle esperienze di altri paesi della Provincia, è lapresenza di un periodico : una rivista in cui, in modo più snello rispetto adun libro monotematico, possano trovare spazio e confrontarsi articoli, saggi,ricerche, interventi su storia, arte, società, personaggi, lingua e letteraturadella nostra comunità.L’intenzione di colmare questa lacuna con una specifica iniziativa era stataespressa a varie persone già nel 1999 dal compianto Franco Plata: se nonfosse così improvvisamente mancato, certamente ne sarebbe statol’animatore e l’attuazione sarebbe avvenuta in tempi più celeri.“Brodo di serpe” vuole essere un tentativo di provare in concreto questaidea, di verificarne la fattibilità tra i potenziali collaboratori e l’interesse fra ipotenziali lettori; per quanto detto, questo “Numero zero” sperimentale èdedicato a Franco Plata e intende ricordarne, almeno parzialmente, la figurae l’attività.

La pubblicazione, se ritenuta utile e interessante, potrebbe avere cadenzaannuale e articolarsi in sezioni, di massima così individuate:storia; arte e monumenti; personaggi; territorio e ambiente; culto, società efolclore; letteratura (dialetto, prosa, poesia).

Questo primo numero vede la luce ad oltre un anno di distanza da un primoincontro (21 ottobre 2000) fra una trentina di medicinesi, in genere autori discritti e iniziative culturali su Medicina, i quali nel complesso apprezzaronola proposta e per buona parte si dichiararono disponibili a collaborare conpropri lavori alla sua realizzazione: un tempo che ha dimostrato anche ladifficoltà di passare da intenzioni a fatti, da disponibilità a scritti, che haconfermato che anche a Medicina è più arduo realizzare iniziative collettivee continuative che non imprese di singole persone; è quindi anche una primarisposta, limitata ma positiva, alle facili ironie, agli scontati scetticismi, aitentennamenti tattici, della quale è doveroso ringraziare tutti quanti hannocontribuito in questa fase, nella speranza che quelli che ancora mancano,stimolati, forniscano i loro preziosi apporti, indispensabili a che questospunto non sia lasciato cadere.L’intenzione è dare spazio e voce a tutti coloro che, per un qualsiasi motivo,si sono occupati e si occuperanno di Medicina, a partire da quanti hannopubblicato o scritto su argomenti relativi al nostro territorio, conun’attenzione particolare ai giovani, comprese tesi di laurea, con l’unicoscopo di contribuire a ulteriormente animare e fertilizzare la vita culturaledella comunità di Medicina.

PRESENTAZIONE

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PERCHÉ“BRODO DI SERPE”

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CON QUESTO TITOLO un pococurioso vorrei richiamare la

leggenda medicinese più celebre esuggestiva, legata alla guarigione diun imperatore del Sacro RomanoImpero. Non è una cosa nuova, essafa parte della nostra più intimacultura e tutti i medicinesi, di ognietà, la conoscono: una serpe cadutanel brodo procura la guarigione diun grande sovrano, chi dice sia statoLotario II il Sassone chi Federico diHohenstaufen detto Barbarossa, chepremia il luogo della sua recuperatasalute.Prima di approfondire, sia purbrevemente, l’argomento collegato aquesto primo numero della collanamiscellanea di cose medicinesi,voglio fornire il testo della leggendacosì come la tramanda il nostrocronista Evangelista Gasperini (delquale si occupa in questo stessonumero Raffaele Gattei) nelle sueMemorie storiche di Medicina.L’autore, trattando delle origini diMedicina, passa in rassegna lastoriografia antica e recente citandofonti edite ed inedite. Fra le varieipotesi formulate nel tempo, ilmemorialista settecentesco non puòtralasciare anche quanto vienetramandato dalle leggende locali:leggende niente affatto popolari edense di significati. Intanto egliriporta i celebri versi che già allametà del Settecento si citavano amemoria come “cosa antica”, scritti“un tempo” su di un edificio fuoridelle mura di Medicina. Da storicoaccorto e scrupoloso, il Gasperiniriporta entrambe le versionitramandate dalla tradizione.

La prima:

Mira tu viator historia bellaqui per un serpe ebbe pietosa aitaLotario imperator ond’ebbe vitaper cui qui Medicina ognun l’appella.

e la seconda, nella quale il posto diLotario viene preso dal Barbarossa.Il Gasperini, attento lettore di cosestoriche, sa che Lotario II fuveramente a Medicina e vi si fermònel Natale 1132, ma non vi lasciòtracce significative. Sa però moltobene che Federico I Barbarossa nonfu a Medicina, ma ne conosceva afondo le caratteristiche geografiche,le particolarità politiche,l’importanza strategica, leaspirazioni, grazie anche ai contatticon il giurista Pillio da Medicina. Edha pure sotto mano numerosetrascrizioni, copie e regesti deldiploma imperiale del 1155 con ilquale l’imperatore riconoscevadiritti, privilegi, confini e difese delcastello e del territorio di Medicina.Il diploma imperiale sanciva, dopo ledistruzioni operate dai bolognesi, informa solenne una nuova e piùampia fondazione della nostracomunità.La storia ha le sue regoleintransigenti, la leggenda invece puòspaziare grazie alla fantasia: lacreatività dei medicinesi preferisceunificare ogni elemento significativodella figura del Barbarossafacendone un padre della patria che,magnanimo, premia il luogo dellasua inopinata guarigione mediantel’insolita medicina.

MITI E ANTICHI USI

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“BRODO DI SERPE” ...E ALTRE RICETTEdi LUIGI SAMOGGIA

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Dal quadro di G.B. Gennari disegno di Luigi Samoggia

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Ecco qui di seguito il testo dellaleggenda così come riportato dalGasperini nella sua Cronaca:

Aggiungono altri chiamarsi questoCastello o Terra Medicina perchémentre Lothario stava accampatonella campagna ove questa dipresente è fondata, ammalatosi,come dissi, con dubio di malecontagioso di lepra, una mattina,mentre il coco li voleva ministrareil cibo, trovò nella pignatta dellaminestra una spina di vipera che,caduta dall’arbore sotto il quale sicucinava senza che alcuno se nefosse accorto, dentro di quella s’eracotta assieme al cibo. Tutto confusoil coco dubitando, se revelava ilnegozio, non essere come negligentecastigato e cacciato di cortedall’imperatore, si risolvé tacere emandò la minestra nella forma chesi ritrovava al padrone che,mangiata[la] con grandissimogusto, testificando non havere maipiù sentito vivanda migliore,mandò per il coco, volendo sapereda lui che cosa havesse posto nellaminestra che quella volta era statatanto buona. Il coco dubitandod’essere scoperto dell’errorecommesso, si gettò piangendodirottissimamente a’ piedidell’imperatore e, confessandolitutto con ogni sincerità, n’ottennebenignamente il perdono. Cominciòda indi in poi l’imperatore a staresempre meglio e finalmente affattorisanato dalla lepra in memoria diquesto fatto commandò l’edificiod’un castello, che perciò Medicinavolse che fosse chiamato, perché conun veleno gl’era stato improviso etimpensabilmente remedioefficacissimo contro d’ogni male etinfirmità. E proseguì il suo viaggioper la Romagna, Marca d’Ancona educato di Spoleto, che tutto ridussesotto il proprio dominio, versoRoma.

Quando il gruppo promotore diquesta rivista, fatta da medicinesi erivolta alle cose vicine e lontane diMedicina, si è posto il problema didarle un titolo, c’è stata unanimitànello scartare nomi aulici ed elevati,si è preferito invece qualcosa di piùimmediato che facesse riferimentoalla più sentita tradizionemedicinese.Subito si è perciò pensato allaleggenda della biscia che cade nellapentola del Barbarossa, il cui brododiventerà una “medicina” perl’imperatore e per la nostra terra. Siè così scelto il titolo “Brodo diserpe”, omaggio all’antica popolareleggenda e, allo stesso tempo,immagine sintetica ed emblematicadei diversi contributi che vanno aformare un tutt’uno di gustoappetibile e di una certa beneficaefficacia per chi se ne serve. “Brododi serpe” si presenta dunque comeun’icona connotata da richiamistorici, fiabeschi, poetici e popolarilocali, ma si pone anche come unsegno di continuità con una cultura,una tradizione che hanno comecentro una precisa comunità cheviene da lontano e che guardaaltrettanto lontano.Oggi sulla leggenda della serpe, unavolta all’anno, si mobilita tutto unterritorio e Medicina si fa conosceree si proietta all’esterno in tutta la suavitalità creativa, organizzativa eculturale. Anche con questapubblicazione si intende farconoscere Medicina e ciò che leappartiene, in ogni settore, inrapporto a se stessa e ai suoicittadini e a quanti si interessano diquesta nostra piccola, antica città.Ecco dunque le ragioni di un titolo:una vera e propria “impresa” nelsenso araldico del termine;un’immagine e un motto chediventano un programma ed unauspicio per una rivista che sta pernascere.

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Non si può tralasciare di sottolineareche alle radici della leggenda non c’èsoltanto fantasia storico-letterariaper nobilitare Medicina. Tutti sannoormai che la nostra terra si chiamavacosì già da molti secoli prima delBarbarossa; che il nome le viene nonda guarigioni imperiali, quantopiuttosto da antiche strutturesanitarie, oppure da altrettantoantichi culti di divinità mediche; che,infine, come si è detto, Federico“Barbarossa”, a differenza di altriimperatori germanici che furonoeffettivamente ospiti di Medicina,non è mai entrato nel nostro castelloma tuttavia ne ha decretato laricostruzione, la definizione deiconfini comunali e i numerosiprivilegi amministrativi che, seprodussero straordinari vantaggi emotivi di orgoglio ai nostri antenati,furono causa anche di fastidi e diinvidia. I favori del Barbarossa, diMatilde prima e dei sovrani ponteficidopo, per Medicina sono staticontemporaneamente fonte divitalità e di freno, di prosperità e dimiseria, di pace e di guerra, di salutee di malessere a seconda deimomenti storici e delle congiunturepolitiche.Sembra che il serpente che sta allabase del nostro mito di origineesprima tutta la sua ambivalenza,anche se qui diventa un mezzodefinitivo di salute. Ciò che la viperaha in sé è contemporaneamenteoggetto di morte, ma anche di vita, disalute, di medicina appunto.L’emblema non ufficiale di Medicina,la serpe, è ben lontano dalle figuretrionfali che campeggiano in tantistemmi civici: leone, gallo, aquila,stallone ecc. Nei manuali di araldicala serpe è invece simbolo diprudenza ed è pure emblema di“grave fatica per cose ottenute condifficoltà”. Anche questa èun’allegoria che ben si addice aMedicina, alla sua storia passata e

alla sua attualità: la fatica, le lotteper ottenere e mantenere le proprieidentità e libertà e per garantire unlavoro dignitoso alla sua gente sonostate in tutti i tempi una costanterealtà.Quanti si interessano a Medicina (emanifestazioni di interesse per illuogo natale sono molteplici,diramate e anche ambivalenti)possono trovare in questo nostro“Brodo di serpe” un occasione diespressione e di comunicazione; unmezzo per sentirsi insiememedicinesi antichi e nuovi, con tuttociò che portano dentro di cultura,esperienze, conoscenze e fantasiacreativa. Desidereremmo che questanuova rivista fosse un prodotto chegeneri vitalità, senza ricetteprecostituite se non quelle disuscitare, appunto, interesse.

* * *

A proposito del trinomio biscia-serpente-vipera, che la recenterievocazione storica medicinese delBarbarossa ha fatto strepitosamenterimbalzare in tutti i mezzi dicomunicazione, meritano unparticolare rilievo, in questo numero“zero”, alcune antiche “ricette” abase di vipera che la storia dell’artemedica, la farmacopea e le pratichepopolari ci hanno lasciato. Infatti la carne di tale rettile, persecoli, ha costituito un ingredienteindispensabile in numerose“ufficialissime” ricette per guarire unesteso numero di mali. La piùcelebre e illustre di queste fu persecoli la teriaca (o triaca, dal latinotheriaca e dal greco theriake):“rimedio contro i morsi degli animalivelenosi, medicamento di originealchimistica costituito da moltissimiingredienti fra i quali, appunto, lacarne di vipera alla quale siattribuivano poteri di guarigionestraordinari”.

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Questo celeberrimo preparato venivaconfezionato ogni anno con unsolenne apparato, a Bologna (ma nonera diverso in altre città), dalCollegio medico e dalla Compagniadegli Speziali all’internodell’Università (l’Archiginnasio).Insieme con le “più scielte droghe” lacarne di vipera, che andavaprocurata “verso il mese di maggio”,come riporta un testo ufficiale del‘600. E dovevano essere “viperefemmine” che venivano poi “mandatein le Pubbliche Scuole” edammazzate alla presenza degli“Illustrissimi signori Priore eProtomedici”; sarebbero state poicotte “secondo l’arte”, “separate lacarne dalle spine, di quelle si farà lapasta per formare li tresici[pallottole, polpette] nelle PubblicheScuole per mano de’ signori del

Consiglio de’ Speziali, qualitresici doveranno esseresigillati da suddetti signoriMedici col sigillo del loroCollegio, per riseccarli poi inluogo ombroso”. A metàagosto, scelte le “droghe”opportune, il tutto venivasolennemente bollito “a vistadi tutti i studiosi e professori”;lasciato raffreddare, ilprodigioso “composto” venivainsaccato e, dopo lafermentazione, distribuito aglispeziali.Una medicina tanto celebrata abase di vipere femmine, oppioe cannella, a qualcosa dovevapur giovare, nonostante ilsapore certamente non affattogradevole visto che, ancorafino a poco tempo fa, perindicare una cosa pessima inmolti sensi, in dialetto sidiceva: “L’é cativa c’mé latariéga”.Oltre alla “ufficiale” teriacauna miriade di ricette privatenon approvate dalla scienza

medica utilizzavano la carne divipera per vari rimedi.Recentemente, in seguito ad unaintervista radiofonica al sindaco diMedicina Nara Rebecchi sullamanifestazione del Barbarossa,della sua storia e della leggendariguardante Medicina, unascoltatore di Città di Castello,Gilberto Mercati, studioso ericercatore di storia della suaregione, ha inviato a Medicina unadocumentazione tratta dall’archiviodi una nobile famiglia umbra dove lavipera costituisce, come nellapozione imperiale e come nellateriaca, l’ingrediente base enecessario. Sia il sindaco che ilsignor Mercati di buon grado hannoaccolto la mia richiesta di utilizzareper questo articolo i documentiinviati che trascrivo qui di seguito.

Lapreparazionedella triaca(o teriaca) inun’incisionedelCinquecento

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Ricetta umbra del 1500 trattadall’archivio del marchese Bufalini diSan Giustino Umbro.

Alla fine della primavera pigliarevipere avvertendo che sianofemmine, tagliarli il capo e la coda,poi scorticarle, subito scorticatemetterle in una catinella di acquetiepida dove vi si lavino. Poi lavatesi cochino come l’anguilla a lesse oin guazzetto con erbette e porro,ovvero si cochino alesse con unquarto di capone, e in quel brodo sìpreparato vi si può fare minestra edi quello che l’huomo vole. I fegatiet i cori delle vipere si secchinoall’ombra, poi si mettino in tegamecoperto con altro tegame che servinobene, et a ciò siano meglio serratisi possino aratare. Poi si fascinocon pezze di lino bagnate eimbrattate con farina e si mettino aseccare nel forno in modo che se nepossa fare polvere; et questa polvereè buona contro veleno pigliandonequanto ne stia in una cratia[cialda, ostia] et si può pigliare inun uovo.

Dallo stesso archivio Bufalini è trattauna seconda ricetta.

Il vino di vipere

Il vino di vipere si fa in questamaniera: cioè si piglia un fiascocon bocca larga, et è meglio senzaveste perché si vede quando lavipera è morta; avertendo che ilfiasco non sia più di sei libre; poisi piglia una vipera femmina viva,e vi si metta a morire in dettofiasco pieno di vino, e si tura beneperché la vipera non scappi, equando la vipera sarà stata 24 horein detto vino, si vota il vino in altrofiasco, e la vipera si butta perchénon è più buona da niente, e subitosi può cominciare a bere il vino.Si può anco fare un vaso di moltogrande ma con ragione di ogni 6

libre di vino una vipera; e questovino si fa perfetto nel tempo perchéle vipere sono grasse.Per conservare il vino si mettequattro goccie d’olio nel fiascoperché si conservi tanti anni. Inaltri vasi non di vetro non si puòfare perché piglierebbe l’aceto, eperché si potrebbe durar fatica amettere la vipera nel vino quando ilfiasco è pieno si potrà metterviprima la vipera e poi il vino.

Anche nella nostra regione era usatoil “vino viperino”, anch’esso rimediocontro “le malignità, la scabbia,l’elefantiasi, il mal francese, le ulcereincurabili, le scrofole ...”. A pillole,teriaca e vino viperino erariconosciuta, fra l’altre, la singolarevirtù di “far più volatile la massa delsangue”, di depurarlo “d’ogni nocivoescremento”, “in guisa tale che nerende per fino più fresca e colorita”la carnagione. Di quest’ultimaspeciale proprietà si erano accorteanche le donne “vane” che si erano“accostumate” a bere di tale vino“per comparire più vistose e lucide”.La leggendaria ricetta involontariache fece improvvisamente guarirel’imperatore mostra una particolaritàrispetto alle citate, elaborate, ricettemedicamentose. Nella minestraimperiale cade la vipera intera, contanto di testa e di coda, mentre neglielaborati della farmacopeatradizionale queste parti vengonoescluse in quanto viene attribuitaefficacia medica alla sola carne. Tral’altro, dell’animalemalauguratamente bollito nellaminestra, non è dato di sapere ilsesso ma, vista la strepitosaguarigione ottenuta, viene dapensare che si trattasse sicuramentedi una femmina. Nel caso medicinesesi accenna però esplicitamente alpotere medicamentoso non solodella carne ma anche, in particolare,del veleno posseduto dalla vipera:

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“perché con un veleno gl’era statoimproviso ... remedio efficacissimo”.Da quale male sarà mai stato affettol’imperatore Federico Barbarossaquando giunse nei pressi diMedicina? Non sarà che il cuoco, ochi per lui, avesse messo a bellaposta la serpe, o la vipera, nellapentola per guarire l’illustre infermodi una delle malattie sopra indicate?Visto che siamo nel campo dellaleggenda, sarebbe giustificatofantasticarci sopra, arricchendo diparticolari l’episodio centrale dellacelebre guarigione. Non per nulla lanostra tradizione registra, nel tempo,varianti ed aggiunte moltosuggestive e ricche di significato.Come quella dei cavalieri cheavrebbero percorso in un giorno ilcircuito del territorio per definirne i

confini; giunti al limitare delle terreasciutte avrebbero lanciato ungiavellotto nell’acqua delle valliampliando così notevolmentel’ambito giurisdizionale comunale diMedicina. Diversi autori medicinesicontemporanei si sono cimentati inlavori di carattere teatralesull’argomento; altri in epoca piùlontana. Varrebbe forse la pena fareconoscere in modo più esteso eduraturo queste spontanee opereletterarie, o almeno i passi piùsignificativi di esse, magari dandolialle stampe.Di tutto questo “Brodo di serpe”potrebbe diventare lo strumento piùidoneo ed efficace. Per questa edaltre ragioni di salute culturale ce loauguriamo di cuore.

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Immaginesimbolica dellaMedicina, colserpente e ilgallo sacro a Esculapio, in un’incisionetratta da C. Ripa,Iconologia

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RICORDO DI FRANCO PLATA

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IL POLITICO FRANCO PLATA

“IHAVE A DREAM” (1): anche seormai è una citazione abusata,

mi sembra la frase più appropriataper iniziare questo racconto.Ho fatto un sogno: “non affideretepiù, come in passato, una delega inbianco ai partiti, che finivanosempre per gestire la PubblicaAmministrazione in modoautocratico, ricordandosi di voi

solo in prossimità dellascadenza elettorale. Ora avetela possibilità di sceglierepersonalmente il sindaco e lamaggioranza che losorreggerà, dopo aver valutatole persone che si propongonoalla vostra attenzione non inbase ad una tessera di partito,ma per la competenza e laserietà di impegno che vioffrono. Potete esaminare iprogrammi che hannopresentato e capire se sonorealmente rivolti all’interessedella collettività, fornendorisposte concrete alle suenecessità, ovvero secontengono solo il solito elencodi buoni propositi, generico escarsamente efficace. Ecco perché chiediamo il votoa tutti quei medicinesi, senzadistinzione di ideologie o ditessere, che sono accomunatidal desiderio di poter vivere inuna Città Felice”. (2)

Ho fatto un sogno: “adifferenza di altre liste chesono state promosse epresentate da forze politiche eda partiti, la lista Uniti perMedicina ha la fondamentale

caratteristica di essere statapromossa e presentata da uninsieme di persone. Tra questepersone è stato sottoscritto un pattoin base al quale l’iniziativaassunta avrebbe procedute senzasubire alcun condizionamento daparte dei partiti, né nella scelta deicandidati, né nella formazione deiprogrammi, né nella composizione

di MASSIMO MANTOVANI

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della Giunta. Ed è questa la primagaranzia del nuovo, perché rompecon le logiche consunte a cui ipolitici di professione ci hannoabituato anche a livello locale. Tuttoquello che si fa in nome e per contodella cosa pubblica ha unaconnotazione politica. Quindianche la nostra lista civica èpolitica, si colloca al centro, èformata da persone che hannoaccettato di lavorare per il benecomune senza farsi condizionaredai partiti”. (3)

Quel sogno non si è realizzato:“questa linea sottratta ad ognilogica di lottizzazione ha portato adelle defezioni, a dimostrazione cheil vecchio modo di fare politicafatica a morire, anche a livellolocale e nonostante la necessità dirimanere uniti per il bene dellacittà”. (4)

Non è questo il momento (né faparte del compito affidatomi) ditracciare una biografia dell’avvocatoFranco Plata.Il sottoscritto (il quale - come tantialtri che non avevano unaprecedente conoscenza personale,magari dovuta a motivi professionali- prima delle consultazioni elettoraliamministrative della primavera 1995sapeva a malapena distinguerlo dal“prefisso” di una nota ditta locale diinstallatori radioTV) ha avuto l’onoredi condividere con l’avvocato Platal’esperienza del mandatoamministrativo quadriennale1995/99.Quelle che seguono sono pertantoalcune riflessioni personali suquell’esperienza.Il sogno di Franco Plata e di chi,come lui, aveva creduto in quelsogno, non si è dunque realizzatoappieno. Tuttavia le motivazioni che avevanodato vita alla lista civica non si sonosciolte come neve al sole. Plataseppe mantenere i necessari ed

opportuni contatti con il gruppopromotore, soprattutto in occasionedelle scelte più importanti daassumere nel corso del mandatoamministrativo.Con il profondo convincimento cheil ruolo di un gruppo di minoranzanon dovesse essere dettato da unapreconcetta e ottusa opposizione, fupremura della lista civica (e di Platain particolare) far sì che ogniproposta e decisione della Giuntafosse (per quanto possibile)attentamente vagliata e valutata. Unadecisione buona e vantaggiosa per icittadini rimaneva una decisionebuona e vantaggiosa, anche seavanzata dagli “avversari” politici ese si giudicavano necessarie edopportune delle controproposte, sidoveva aver cura di motivarlesempre, con onestà intellettuale, siain riferimento alla forma che allasostanza. Interrogazioni ed interpellanze nonerano mai mirate a “pescare neltorbido”, ma a raccogliere le giusteistanze dei cittadini e sollecitarel’Amministrazione Comunale adintraprendere i più opportuniprovvedimenti.Seguendo questa logica, preso attoche la Giunta era disponibile adaccogliere gli emendamentipresentati dal gruppo Consigliarecapeggiato dall’avvocato Plata edopo aver consultato il comitatopromotore della lista civica, non si èesitato a votare a favore del bilanciopreventivo 1998.L’avvocato Plata non ha “faticato”molto nella sua esperienza diConsigliere Comunale e questaaffermazione va spiegata subito. Daprofessionista abile e preparato egliera abituato ad approfondire gliargomenti prima di rilasciare unqualsivoglia parere: ha trasferitoanche nei lavori del ConsiglioComunale lo stesso metodo.Contratti e regolamenti non avevano

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segreti per lui e, in più diun’occasione, la stessa Giunta èstata attenta nel valutare e pronta adaccogliere emendamenti esuggerimenti proposti dalConsigliere Plata.Consapevole del proprio valore, nonha però mai fatto “cadere le cosedall’alto”, così come mai il dibattitopolitico, in aula come nelle riunioniinformali, è stato da lui condotto, neimodi e nei toni, sopra le righe. LaComunità Medicinese devegratitudine al “politico” FrancoPlata: per le idee, per l’impegnocoerente e competente, per i modimai arroganti di proporre il propriopunto di vista.Gratitudine anche per il “significatopolitico da dare ad una listaveramente civica e cioè svincolata elibera dai condizionamenti deipartiti. Chiarimmo quattro anni fache non intendevamo negare ilvalore, anche storico, dei partiti ela loro funzione tutto sommatopositiva nella rappresentanza

democratica dei cittadini, madicemmo anche che volevamotentare il più ampiocoinvolgimento della cosiddettasocietà civile, lasciata troppospesso ai margini della vitapolitica. Ebbene dopo i primimomenti che sono seguiti allacampagna elettorale nella qualeavevamo viste coinvolte tantepersone, molte delle quali primanon erano mai state solitapartecipare alla politica attiva,abbiamo visto diffondersiprogressivamente un pressochétotale e generalizzato disinteresseper la vita pubblica”. (5)

Che Sindaco sarebbe stato FrancoPlata, se...

Ho fatto un sogno: ho visto Francoin compagnia di Platone e diTommaso Moro, intento inappassionata discussionesull’amministrazione della “respublica”.

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(1) Dal discorso di Martin Luther King al Lincoln Memorial di Washington D.C.- 28 Agosto 1963.(2) - (3) - (4) Dal programma elettorale della lista civica “Uniti per Medicina” - 1995.(5) Dalle “Relazioni dei Gruppi Consigliari di minoranza” - PUNTO E - anno III - numero 3 -

giugno 1999.

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QUANDO SI RICORDA un amicodi solito la memoria corre al

primo incontro, Franco loconoscevo da sempre.Le rispettive madri erano statecompagne di scuola e noi siamocresciuti in case distanti non più dicinquanta metri, frequentando glistessi luoghi, gli stessi amici e lestesse scuole.Infatti dalle elementari fino allalaurea lui, di un anno più anziano,mi ha regolarmente preceduto espesso, ironicamente, preavvertitodel poco roseo futuro che miattendeva.Nel 1967, mentre io ero in partenzaper il servizio militare, Franco iniziòla libera professione.Dopo il mio ritorno alla vita civile el’inizio del praticantato mi capitòpiù volte di confrontarmi con lui sulnostro futuro e da questi colloquiscaturì la sua idea, singolare perquei tempi, di esercitarel’avvocatura in forma associata.Nell’autunno del 1972 iniziammoquell’esperienza che nel 1976formalizzammo con la costituzionedello Studio Legale Associato Plata-Chiocchini che è stato il secondo anascere a Bologna, precursore di unfenomeno che negli anni novanta haavuto nel paese un notevolesviluppo.Da allora l’associazione è duratasino alla sua morte ed in quasitrent’anni debbo rimarcare che soloin due occasioni abbiamo avuto unoscontro di opinioni un po’ vivace enon per motivi relativi al nostrorapporto, ma in merito a giudizidivergenti su terze persone.

Questa premessa è stata necessariaper sottolineare una dellepeculiarità più salienti edumanamente rilevanti del caratteredi Franco.Era un pacificatore, un uomo conuna straordinaria capacità di capirei problemi degli altri, di parlare loro,di prevenire eventuali conflitti esedarli se già in atto. Più volte hoavuto occasione di dirgli che avevasbagliato carriera, la sua vocazioneinfatti non poteva che essere ladiplomazia per la naturale capacitàdi allentare, con il suo intervento, latensione nelle situazioni più accese.Quanti lo hanno conosciuto nonpossono non ricordare la suasingolare abilità - con quel fare unpo’ sornione e con un’intelligentearguzia, di cui debbo confessare diessere stato qualche volta anch’iodestinatario - nello sdrammatizzarele situazioni più delicate.Queste sue qualità emergevanoanche nei rapporti professionali siacon i clienti che le parti avverseesortati, quando era necessario, atrovare soluzioni amichevolipiuttosto che affrontare lunghi ecostosi giudizi.Non sta certamente a me che erosuo socio tesserne le lodi comeavvocato, mi limiterò qui solo aricordare la sua straordinaria dotead essere un vero Maestro neiconfronti dei giovani che hannofrequentato, per la praticaprofessionale, il nostro studio. Nonfiniva mai di sorprendermi come,anche nei momenti di maggiorimpegno, fosse sempre disponibilead ascoltare le loro domande ed a

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L’AMICO, IL SOCIO, IL PROFESSIONISTAdi CARLO CHIOCCHINI

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fornire i chiarimenti richiesti.Da ultimo non può esseredimenticato il suo impegno civile.Fin da giovane ha aderito amolteplici associazioni chesvolgevano attività nel camposociale e pur essendosi avvicinatoalla politica attiva solo nell’ultimaparte della sua esistenza è semprestato un attento osservatore ecommentatore della società italiana.Se vado con la mente al passatoprobabilmente sono più lediscussioni di tema politico-socialeche ho avuto con Lui che quelleriguardanti i problemi del nostrostudio.Anche nel campo pubblico,nonostante l’amarezza che qualchevolta si poteva intuire in Lui peraltrui comportamenti discutibili, laSua azione è sempre stataimprontata alla più assolutacorrettezza.L’unica ragione del suo impegnopolitico risiedeva nella speranza dipoter essere di qualche utilità per laComunità.Così come è stato, quando perlunghi anni ha esercitato, connotevole impegno professionale, esenza remunerazione, l’attività diVice Pretore nel mandamento diBudrio.Rifluendo dal pubblico al privatocredo sia cosa nota che Franco eraun enogastronomo di notevolepreparazione. Ma anche nell’hobby

la sua vitalità, il suo impegno hannoavuto modo di dispiegarsi oltre iconfini di una passione personale.Infatti per lunghi anni ha avuto laresponsabilità di delegato regionaleper l’Emilia-Romagna dellaCommanderie des Cordons Bleus deFrance et d’Italie. La carica locostringeva anche a “faticosi” tourde force presso i ristoranti perorganizzare le riunionidell’associazione. Un impegnoveramente duro e faticoso, dicevalui, anche se alcuni amici,sicuramente i più maliziosi ed i piùinvidiosi, hanno più volte espressodubbi in proposito.Era in sostanza un Uomo che aveval’orgoglio di ciò che faceva e laconsapevolezza del limite. Si trattadi cosa non da poco se si considerache nella nostra cultura più recentec’è poco orgoglio e molta superbia,poca dignità e molta apparenza,dove per apparire si è dispostipersino a svendersi e a servire. E’ undegrado che crea uomini superbisenza orgoglio e uomini servizievolisenza umiltà.Commemorare un Amico è sempreimpresa improba, ed il rischio dicadere nella retorica, o nel ricordoper il ricordo è sempre in agguato,ma nel caso di Franco non trovo pernulla esagerato concludereaffermando che era uno di quegliuomini che arricchiscono la vita dichi ha la fortuna di conoscerli.

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SCRIVE Francesco Alberoni (1):“Quando incontriamo un amico,

anche dopo anni, è come se loavessimo lasciato un momentoprima. Riprendiamo laconversazione come se fosse undialogo interrotto (...) come se nonfosse passato il tempo (...). L’amicoè sempre un maieuta, provoca innoi la ricerca onesta, obiettiva (...).Quando incontriamo un amico (...)non c’è bisogno di colmare nessunintervallo (...) non c’è piùl’intervallo (...) non c’è più iltempo”.Un amico è tale quando il dialogocon lui è senza soluzione dicontinuità, quando si mantieneanche da lontano, nel tempo e nellospazio, quando riprende dallo stessopunto anche dopo anni di nonsentirsi e di non vedersi, quandocontinua, io credo, anche dopo lasua scomparsa.Franco Plata è stato ed è per meanche questo; nel dialogo con lui,anche solitario, fra me e me, harappresentato lo stimolo al dubbio, ainterrogarmi sulle mie presuntecertezze, ideologiche, politiche,culturali, religiose, comunqueacquisite. Era l’amico diverso, perprovenienza e impostazione, che micostringeva a pensare alla relativitàdelle mie verità, senzaprobabilmente che lui l’abbia saputo;anche per questo era per me l’uomodel dialogo e della frontiera.

La mia considerazione per luicominciò per fama: negli anni ‘50,Franco era il bravissimo, a Medicina,della classe successiva alla mia, il

1941. Medicina per ogni anno neaveva più o meno sempre qualificatouno, per vox populi, per voti, perpremi conseguiti. La conoscenzacominciò con la comunefrequentazione del treno/littorinadella “Veneta” negli annidell’università, i primi ‘60, assiemead un gruppo di vispi ventenni, daMassa Lombarda in su e con leanimate discussioni, sui massimisistemi e sulle baggianate, del nonbreve tragitto fino a Bologna eritorno.L’amicizia cominciò conl’A.C.R.A.S.M.A., l’esperienzaarcheologica in cui insieme citrovammo, con un’altra quindicina,trascinati da quel preparatissimo evulcanico animatore che fu in queglianni Gianni Rimondini.Franco fu per me il primo seriovulnus alla infantile e seraficacertezza, così tipica delmanicheismo degli anni del modello“Peppone e Don Camillo”, che tutti ibuoni ed i bravi dovevano stare dallanostra parte della barricata e chedall’altra si dovevano trovare icattivi ed in malafede: lui non era deinostri eppure era serio, preparato,pieno di interessi e in più dotato diuna dialogante capacità dialettica edi una ironia pungente,caratteristiche che lo hanno semprecontraddistinto e fatto apprezzare.Lo sentivo come un polo elettricodotato di carica opposta alla mia:forse per questo c’era attrazione edinteresse reciproci.

La conoscenza e l’amicizia siconsolidarono definitivamente

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FRANCO, UN AMICOCON CUI CONFRONTARSIdi GIUSEPPE ARGENTESI

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nell’agosto del 1963, quando Gianni,Franco ed io ci recammo a Parigi,un’esperienza che ricordo comemolto significativa: poco più cheventenni, pochi soldi, soli perventuno giorni in quella che alloraera di gran lunga la capitaleintellettuale ed artistica del mondo,in tasca un biglietto di secondaclasse andata e ritorno senzacuccetta con sconto universitari eduna prenotazione per dormire in unostudentato di spartana semplicità.Ho memoria di lunghe, umidegiornate, di interminabili camminatea esplorare, settore per settore, tuttoquanto di monumenti, chiese, musei,curiosità e luoghi storici la “VilleLumière” proponeva a giovaniassetati di cultura e disinteressati aidivertimenti libertini per cui andavaaltrettanto famosa; e di lunghe,interminabili discussioni econfidenze, il tutto condito e

sostenuto da croissant, baguette ejambon, qualche bistecca di self-service.Franco era già allora coerentenell’esigere il rispetto dei programmiconcordati: poco o nulla, grazie aquesta regia, ci sfuggì o futralasciato; nulla di poco serio fuaggiunto, purtroppo, non essendostato né previsto né pattuito.

L’occasione in cui meglio poteiapprezzare le qualità organizzative epolitiche di Franco Plata fusicuramente l’iniziativa delCineforum di Medicina, dal 1965 al1968,che collaborai con lui apensare, impostare, realizzare e agestire e di cui Franco fuPresidente, leader e punto diriferimento e di equilibrioriconosciuto. Per quanto ricordo, fuquesta la seconda occasione di unsuo impegno pubblico in iniziative

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Franco Plata con amici medicinesi in delegazione per il Comitatodi gemellaggio a Skofja Loka nel 1964

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unitarie; alcuni anni prima avevainfatti partecipato, su propostadell’allora minoranza, alla segreteriaorganizzativa del Comitato comunaleper il Gemellaggio. In entrambe leesperienze Franco dimostrò le dotiche poi sempre, anche in tempi piùrecenti, gli sono state giustamentericonosciute: l’amore per Medicina,l’equilibrio e la capacità di ascoltodelle opinioni altrui, la concretezza eil senso dell’organizzazione, lacompetenza e la serietà, la capacitàdi convincere e proporsi comeleader, quell’ironia così tipicamentesua che lo rendeva in grado disostenere puntigliosamente, masenza offendere, le proprie verità.

In seguito il lavoro e la vita cisepararono e per circa venti anni inostri incontri furono rari e saltuari,finché a partire dal 1991 poteicollaborare con lui per alcunequestioni di lavoro e riapprezzarne lequalità di preparazione, affidabilitàed equilibrio; quello che vorrei peròricordare è la piacevole sorpresa chesuscitò in me la sua scelta del 1995di proporsi come candidato aSindaco di Medicina capeggiando unraggruppamento di forze di centro edemocratiche, “Uniti per Medicina”.Erano anni di crisi profonda: eranocrollati muri, ideologie, partiti, veritàcredute assolute per decenni, uominiritenuti eterni e onnipotenti; in tutti ipartiti tradizionali molti, specie fra imeno giovani, tendevano adabbandonare la gestione della cosapubblica e la politica, percepitecome attività sporche e pocoattrattive, alla ricerca di impegni piùtranquilli e remunerativi. Da questaspecie di fuga nel privato anche iomi sono sentito influenzato.La scelta di Franco era

controcorrente: lui , non più giovane,con una attività professionaleconsolidata che lo impegnava e logratificava, con un tempo liberoricco di passioni variegate, decidevadi scegliere il pubblico e la politicacome terreno di impegno ulteriore,senza interessi personali da tutelare,convinto della necessità di unrinnovamento profondo e dellapossibilità di migliorare in modosignificativo la situazione diMedicina e dei suoi abitanti.Era, o almeno così a me apparve, unpositivo messaggio di freschezza e difiducia nel futuro. Anche se iorestavo convinto delle ragioni dellasinistra e del riformismo tradizionaledel P.D.S., gli augurai buona fortuna:il suo tentativo era comunque unanovità importante. Qualche anno dopo, mi sembra nel1999, ad una cena con amicimedicinesi, discutendo della vittoriae delle difficoltà dell’Ulivo, miraccontò della sua passata adesionealla battaglia referendaria di Segni edella sua convinzione che occorrevalavorare alla costruzione di un unicopartito (il famoso PartitoDemocratico) delle forze del centroe della sinistra: e mi sembròcontento di constatare che anche iocondividevo la necessità di questaprospettiva, anche se la collocavonei tempi lunghi ed esprimevol’esigenza di arrivarci rafforzando enon indebolendo i punti di forza inessere.Per Medicina poi era ancora pieno diinteresse e di idee di lavoro: unarivista, una Pro Loco...Quante cose avrebbe ancora dato asé, alla sua famiglia, agli amici, allavoro, a Medicina, quante neavremmo ancora potutocondividere...

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(1) FRANCESCO ALBERONI, “L’AMICIZIA” Milano, Garzanti 1984, pp. 27-31.

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La ricerca che ho condotto per lamia tesi di laurea è nata da una

grande passione per la storia del miopaese. Avevo deciso: la mia tesiriguarderà un aspetto dellacomplessa storia di Medicina ... maquale dei tanti aspetti interessantiscegliere? La passione per la storialocale a quel punto si è intrecciatacon l’interesse particolare per unperiodo specifico della storiamoderna: il Seicento.Ad una analisi attenta dellaCronistoria di Giuseppe Simoni sipuò ben cogliere che proprio traCinque e Seicento si collocano glianni che videro interessanti e delicatimutamenti all’interno del castellomedicinese. Attenzione, però, a nonassimilare dal Simoni anchel’atteggiamento ‘medicinacentrico’:ciò che succede a Medicina ha unriscontro ben più ampio e si inseriscein un contesto vasto che ha le suedinamiche complesse e che nonnasce né finisce a Medicina.Tornando a noi...che cosa succede aMedicina negli ultimi decenni delCinquecento? Quali sono ledinamiche che portano il ristrettogruppo di famiglie notabilimedicinesi ad accentrare tutto ilpotere politico nelle loro mani e apermettere l’affermazione di unbrillante gruppo di suoi figli aigradini più alti di un OrdineReligioso? Quali le condizioni chehanno permesso alla Comunità diMedicina di vedere confermati dalleRote Romane, nel corso di tutto ilSeicento, gli importanti privilegi chela esentavano dalla sottomissione alSenato Bolognese?

Sono stati un po’ questi gliinterrogativi che mi hanno spinto acercare la documentazionedisponibile in grado di dare alcunespiegazioni. Ho così consultato tutte le cartedisponibili presso l’Archivio di Statodi Bologna che riguardassero ilconvento dei Padri Carmelitani aMedicina, ho cercato presso laBiblioteca dell’Archiginnasio diBologna possibili tracce dimedicinesi con particolareattenzione verso i carmelitani.Inoltre ho cercato di capire qualifossero i legami di parentela tra lefamiglie notabili ed i carmelitani‘illustri’ che ebbero brillanti carriere;a questo scopo ho consultatol’Archivio Parrocchiale di Medicinadove, grazie alla disponibilità delParroco Mons. Piazza, ho ricostruitogli alberi genealogici di alcune diqueste famiglie.

Comunità e stato modernonella seconda metà del ‘500

Con il secolo XVI si assiste nell’Italiacentro settentrionale all’affermarsidella struttura del cosiddetto Statodel Rinascimento. In particolaresono tre gli aspetti che locaratterizzano: la costituzione dieserciti permanenti, l’organizzazionedi stabili strutture diplomatiche euna forte burocratizzazione centrale.La formazione degli Stati regionali ècoincisa con una progressivaaggregazione di autonomie; spessolo Stato riconosce autonomie taliche delega funzioni sue proprienell’amministrazione della giustizia e

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CARMELITANI E COMUNITÀ DI MEDICINAdi ENRICO CAPRARA

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Medicina, Chiesa del Carmine, l’interno in una fotografia degli anni ‘30

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fiscale. Al processo dirafforzamento del principeo della città dominante ealla creazione di strumentidi governo più forti edincisivi ha corrisposto uncontinuo riconoscimento elegittimazione dei vecchiordinamenti locali. Ecco

perché quando si analizzal’affermarsi dello stato regionale sipuò ben parlare di una vittoria delcontado: mentre prima i suoiprivilegi erano continuamente messiin discussione, ora vengonoconfermati dal principe per ottenerel’appoggio politico. Questofenomeno è particolarmente fortenelle zone di confine dei nuovi statiregionali, laddove poteva essere piùdifficile mantenere legate a sé dellerealtà altrimenti insofferenti diun’autorità troppo forte.La scelta di conservare gli antichiprivilegi era l’unica che potessepuntellare l’instabile autorità dellastato regionale, che vedeva crearsi insé una sorta di “dualismo”: da unaparte il potere centrale del principeo della città dominante, e dall’altrauna serie di realtà territoriali cheavevano rinunciato alla loroindipendenza, ma non ai loroprivilegi. Non si trattava di uno statounitario, bensì di un sistemacaratterizzato da una durevolefrattura tra città dominante eterritorio, tra ‘centro’ e ‘periferia’,solo apparentemente superatadall’alleanza tra il patriziatocittadino e le oligarchie delle cittàsoggette. Attorno alla metà del XVIsecolo la ricerca di una diversa basedi consenso per il principe sipersegue mediante un’ampiadistribuzione di privilegi tra lepopolazioni rurali, che non può certoessere definita ‘moderna’. La forza ela consistenza dei nuovi stati sibasano essenzialmente sull’accordoe sulla divisione di ambiti e di

competenze tra il principe ed ivecchi e nuovi nuclei di poterelocale.L’affermarsi dello stato regionale èuna continua conferma di antichiprivilegi in cambio di una soggezioneconcordata col principe.All’interno del ‘nuovo’ stato trovanoconferma antichi privilegi, sia quellidel feudo, anche se ridimensionatoper le sue pretese di pienaautonomia, che i privilegi dei borghisemi-urbani dell’Italia padana, a cuiè riconosciuta una certa autonomiadalla città.Nella lunga fase di ridefinizione deglistati regionali molti borghi e terrehanno modo di organizzarsi conimportanti iniziative politiche, eriescono a rivendicare e a farsiconcedere una notevole autonomia,spesso definendosi immediatesubjecte o alla Santa Sede oall’Impero, in modo da rendersiautonome dalle città a cui avrebberodovuto sottomettersi.Le cariche degli ordinamenti locali sidistribuiscono quasi dovunqueall’interno di oligarchie ristrette, chea loro volta elaborano complicatimeccanismi non solo per escludere iceti ‘popolari’ dal governo, maaddirittura per controllare l’accessoalle cariche pubbliche ed impedire ilpiù possibile il ricambio sociale.Sono questi gli anni delle ‘strette’ diquasi tutti i consigli o collegicittadini o comunitativi che creanouna ristretta classe politica capacedi monopolizzare la gestione delpotere con l’appoggio del principe odella città dominante.

Stato pontificio e carriere ecclesiastiche

Tra XV e XVII secolo il numero deireligiosi aumentò sensibilmente e inmaniera costante in quanto siassisteva ad una clericalizzazionedell’apparato burocratico che

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Stemmacarmelitanodalfrontespiziodel Librocampionaledelconvento

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coincise con l’invasione da parte deiReligiosi di tutti gli ambiti digestione o amministrazioneburocratica. Dalla metà delCinquecento non fu più possibilericoprire cariche importanti senzafare parte del clero. Si verifica unprofondo intreccio tra carrierereligiose e carriere secolari. Ciò hacomportato un dominio dellagestione politica da parte diun’aristocrazia clericale.Per tutte le realtà che dovevanodifendere delle prerogative diprivilegio o comunque di interessedivenne necessario, quindi,intrattenere rapporti privilegiati conpersonalità del clero. Si era passatidall’uso delle armi come difesa delleprerogative, all’utilizzodell’intermediazione di esponenti delclero sufficientemente autorevoli perdifendere politicamente ediplomaticamente le questioniaperte.Anche le “quasi-città”, quei centricioè che si riconoscevano autonomidalla dominazione della città vicina,compresero che il riconoscimentodella validità dei propri privilegi

dipendeva da un’oculata difesa diquesti presso gli organismi romani,compiuta da personalità chedovevano essere il più vicinepossibile ai luoghi decisionali.La stessa politica intrapresa dalpapato nel corso del Cinquecentonon fu affatto contraria alle realtà diprivilegio che esistevano sulterritorio; essa mirava, invece, a farein modo che queste realtà fosserocontrollate e gestite da una ristrettacerchia di famiglie in contatto ocomunque in rapporto con la curiaromana.Nella seconda metà del Cinquecentoil fenomeno della creazione dioligarchie che gestiscono il poterelocale si verifica anche nei piccolicentri del contado che, in manieraparticolare nello Stato Pontificio,hanno conservato buona parte deiloro antichi privilegi. Questeimmunità riconosciute ai piccolicentri, di solito situati in terra diconfine, o comunque vicini a grandicittà, sono di notevole sostegno algoverno centrale per un controllodella sfera di influenza delle variecittà.

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Ritratto del GeneraleAlberto MassariMedicinese

Ritratto del GeneraleLeone BonfiglioliMedicinese

Ritratto del GeneraleEmilio GiacomelliMedicinese

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La curia romana spesso riconoscevail privilegio ad alcuni castelli oborghi di essere immediate subjectealla Santa Sede, così da porrequalche difficoltà al dilagare dellepretese della città più grande, chemagari a sua volta godeva diparticolari autonomie rispetto alleistituzioni dello Stato. Si viene così averificare una singolare alleanza tracentri minori e governo centrale chepermette un ridimensionamento delpotere dei ceti ricchi delle città.

Con il fenomeno tuttocinquecentesco del rafforzamentodelle oligarchie cittadine i rapportidi parentela venivano ad acquistareun’importanza ancora maggiore chenegli altri secoli. Proprio nei secoliche a noi interessano, il XVI e ilXVII, troviamo una nuovaconcezione della nobiltà, sempre piùlegata alla nascita e all’idea diappartenenza all’aristocrazia soloper legami di parentela, a scapitodelle virtù militari che invece fino aiprimi del Cinquecento conservavanola loro importanza. Il XVI secolorappresenta un punto di svoltaanche per la storia della famiglia:alla chiusura dei ceti oligarchicicorrispose un modello di relazionedi parentela verticale, definito dallasuccessione maschile. L’orgoglio diappartenenza al casato e la sualegittimazione alla gestione delpotere si fondavano sull’antichitàdelle origini. Tuttavia nella vita ditutti i giorni pare che i rapporticognatizi fossero mantenuti vivi econsiderati di una certa importanza.Grazie a recenti studi è stata rivistala rappresentazione della donnacome passivamente sottomessa aldominio maschile, e si è notata unasua capacità di iniziativa nelle sceltefamiliari.In particolare per quanto riguarda ildefinirsi di una “aristocraziaecclesiastica” nello Stato Pontificio

il ruolo delle parentele sia paterneche materne risulta fondamentale;tutta la parentela è mobilitata perottenere al giovane candidatodesignato a ricoprire importanticariche il massimo prestigiopossibile, che, se si otterrà, porteràvantaggi a tutti i componenti dellafamiglia. In particolare nella carrieraecclesiastica, accanto alla relazionetra padre e figlio, si sviluppa unalinea di successione “obliqua”, trazio e nipote. Ciò che la differenziadalla filiazione diretta è che nonprivilegia necessariamente i nipotipatrilineari, ma è spesso attiva suentrambi i lati della parentela, per ifigli dei fratelli e delle sorelle.

Nello Stato Pontificio dagli ultimidecenni del Cinquecento in poi, lacarriera ecclesiastica divienenecessaria per qualsiasi famiglia chevoglia conservare i propri privilegi,ma anche nel caso in cui chi volessedifendere le proprie prerogative nonfosse una famiglia, ma unacomunità. Così come nelle famiglieogni prelato trovava tra i suoiparenti il nipote che potessesuccedergli, così all’internodell’oligarchia delle comunità chegodevano di particolari privilegi sicercava chi possedesse le capacitàdi ascendere all’interno di unastruttura ecclesiastica (spesso unOrdine Religioso) per poterdifendere e far valere in posizioni dimaggior prestigio le proprieprerogative.

La Comunità di Medicina

È in questo contesto storico che siinserisce la vicenda della Comunitàdi Medicina in cui proprio negli annia metà del XVI secolo, precisamentenel 1567, il gruppo di famiglie piùricche ed influenti compie la ‘stretta oligarchica’ del Consiglio che gestiva

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Scena prospettica di Fra’ Ferdinando da Bologna (Sagrestia della Chiesa del Carmine)

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i beni della Partecipanza, definendoil titolo di consigliere vitalizio edereditario.La situazione di Medicina all’internodel contado bolognese e in relazioneal rapporto tra Bologna e Romarispecchia precisamente lecaratteristiche che abbiamo sopradescritto. Negli anni tra la fine delCinque e i primi decenni delSeicento si viene ad instaurare traMedicina e la capitale dello StatoPontificio un’alleanza particolarecon lo scopo di controllare e limitareil potere di cui godeva la cittàegemone, in questo caso Bologna,grazie ai suoi secolari privilegi edautonomie. Nella monarchia papale,infatti, Bologna godeva di uno statusparticolare e si comportava in modopoliticamente conseguente; essaaveva con la Santa Sede un rapportoche si basava sull’idea di un“contratto” che vedeva nell’attobilaterale dei Capitoli di Nicolò V lasua esemplificazione. In questi stessi anni Medicina,agevolata dalla favorevole situazionestorica, andava riscoprendo quelleautonomie dalla città di Bologna cherisalivano al XII secolo, e che fino aquel momento erano state quasitotalmente disattese. I ‘comunisti’medicinesi componenti del PubblicoConsiglio hanno giocato bene le lorocarte in questo contesto,comprendendo la necessità diavviare qualche giovaneappartenente alle proprie famigliealla carriera ecclesiastica, in mododa cercare una strada privilegiata dirapporti tra la Santa Sede, a cuiMedicina si riteneva immediatesubjecte, ed i membri dellaComunità.

Nell’individuare gli elementi chepermisero di definire i rapporti trapotere centrale e potere locale, cheassecondarono od ostacolaronol’affermazione dei privilegi, non si

può non considerare la particolarepresenza del potere del clero. Dalrapporto tra gruppo dirigente, ossiaoligarchia di governo, e clero localedipende la possibilità di questacomunità di fare conoscere i propriproblemi e ottenere dal governocentrale la conferma dei propriprivilegi e quindi delle propriericchezze.Nel Seicento in particolare gli Ordinireligiosi diventano facilmente luoghidi potere all’interno delle comunità,e non solo per le ricchezze cheriescono ad accumulare, ma perchési inseriscono meglio nelle struttureecclesiastiche locali, condizionandospesso le scelte non solo delvescovo, ma anche di più alti prelatia seconda della capacità diinfluenza.Si può quindi affermare che la viadella carriera ecclesiastica, inparticolare interna agli ordinireligiosi, era la via privilegiata peruna comunità intenta ad ottenereinfluenza presso il governo locale ecentrale. In alcuni casi i rapporti traordini religiosi e oligarchie dellacomunità non erano affatto positivi,in altri casi, invece, tra religiosi efamiglie ‘notabili’ c’era un legamestrettissimo, non solo politico, maanche di parentela.È il caso di Medicina, in cui vediamotra gli anni ‘80 del Cinquecento etutto il Seicento un fitto intrecciarsitra famiglie ricche componentil’oligarchia di governo e il localeConvento dei Carmelitani, volutoproprio nei primi anni ‘60 dalConsiglio della Comunità, conl’appoggio delle famiglie abbienti delcastello. Da questa scelta strategicala Comunità, ed in specifico, lefamiglie più ricche, ebbero prestodei vantaggi diretti: due priorigenerali dell’Ordine carmelitanonella prima metà del XVII secolo, ealtri due nella seconda metà. Essi seguirono sempre con attenzione la

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vita e le vicende politiche dellapropria “patria”, collaborando inmaniera fondamentale allaconservazione dei privilegi e dellelibertà di cui la Comunità diMedicina godeva e per cui condusselungo tutto il Seicento una litegiuridica con il Senato di Bolognapresso i tribunali romani.Questo è precisamente ciò cheavvenne a Medicina, in cui laComunità, impegnata a difendere ipropri secolari privilegi, sostenne edagevolò i suoi figli carmelitani, inmodo da vedere difese a Roma leproprie prerogative contro Bologna. Anche i frati si comportaronosecondo l’atteggiamento cheabbiamo visto imporsi nel XVIsecolo: i padri che raggiungevanoimportanti gradi all’internodell’ordine facevano il possibile peragevolare i giovani medicinesi,arrivando addirittura all’atto di“rinuncia”: Emilio Jacomelli, vicariogenerale dell’Ordine, nel 1680rinunciò ad una probabile elezione apriore generale per facilitarel’elezione dell’altro medicineseFerdinando Tartaglia.

Famiglie, parentele e carmelitani

Per verificare se effettivamenteesistevano dei legami di parentelatra i carmelitani ‘illustri’ e lefamiglie notabili medicinesi homesso a confronto alcunidocumenti: – il manoscritto di padre Angelo

Maria Morelli Notizie spettanti alconvento e padri carmelitanidella Terra di Medicina in cuil’autore ha minuziosamenteelencato tutti i nomi deimedicinesi che entrarono inconvento dalla data di fondazione(1561) al 1792;

– un altro manoscritto, questa voltadel medicinese don Evangelista

Gasperini, Series sive catalogusdominorum Patrum defunctorumPublici Consilii Medicinae,conservato nell’ArchivioParrocchiale, in cui sono raccolti inomi e le date di morte deicomponenti il Pubblico Consigliodal 1600 al 1742;

– infine ho consultato i libri deiBattesimi, dei Matrimoni e deiMorti, dell’Archivio Parrocchialedi Medicina. I Battesimi datanodal 1566, i Matrimoni dal 1582,mentre i Morti solo dal 1604.

Consultando e comparando questidocumenti ho potuto ricostruire glialberi genealogici di sette famiglieche ho ritenuto più importanti per loscopo della mia ricerca.Tramite la ricostruzione degli alberigenealogici delle famiglie: Jacomelli,Fontana, Bonfiglioli, Boschi, Carati,Dalla Valle ed Astorri, ho dimostratocome i carmelitani che raggiunsero ipiù alti gradini dell’Ordine fosseroparenti tra loro in maniera assaistretta. Non solo, ma è emersochiaramente che essi appartenevanoalle famiglie che in quel periododetenevano il potere politico aMedicina. In questa sede non èpossibile, per motivi di spazio,riportare né gli alberi né tantomenola loro descrizione che risulterebbeassai noiosa. Basti il fatto che horicostruito la parentela tra benquindici padri carmelitani che nelcorso del Seicento ricoprironoimportanti incarichi all’internodell’Ordine.

Ferdinando Tartaglia

Per dimostrare, invece, il ruoloeffettivamente svolto dai carmelitanimedicinesi a difesa delle prerogativemedicinesi a Roma, ho analizzato edapprofondito lo studio della figuradell’ultimo dei quattro generalimedicinesi dell’Ordine: padre

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FerdinandoTartaglia (1626-1682).Sono assainumerosi idocumenti chedimostrano ilcostante interessedel Tartaglia per levicende del suopaese natale. Tra idocumentidell’Archivio delconventocarmelitano c’èaddirittura uncartone che titola:Diversi documenti

manoscritti e a stampa riguardantialla Comunità di Medicina per lepretensioni promosse da questoconvento contro il Senato diBologna, nonché alcune patenti eBolle Pontificie. Dal titolo si deduceimmediatamente la portata deidocumenti conservati, la maggiorparte di questi appartennero alTartaglia, il quale dimostra di averseguito con grande attenzione levicende medicinesi, tanto chepartecipa a numerose riunioni aRoma negli anni che vanno dal 1660al 1680 con gli avvocati della causamedicinese e gli “agenti” medicinesi aRoma. Non solo, ma padre Tartaglia èil primo che verso la fine degli anniSettanta tenta una ricostruzionecronologica delle vicende politichemedicinesi. Egli scrisse unMemoriale della fondazione diMedicina in cui ricostruisce la storiadi Medicina partendo dal Medio Evo,ma lasciandolo poi incompiuto per lamorte sopraggiunta nel 1682.L’intenzione dichiarata del Tartagliaera quella di raccogliere ladocumentazione necessaria perfacilitare il lavoro degli avvocatidifensori la causa medicinese aRoma. Presso l’Archivio Parrocchiale è

conservata una copia del memorialemanoscritta da EvangelistaGasperini nel 1723, che dichiara diaverla ricopiata dall’originale inpossesso del convento. Inoltrepresso la Bibliotecadell’Archiginnasio sono conservatialcuni brani del memoriale scrittodal Tartaglia. Possiamo dire, quindi,che la prima cronistoria medicineseè stata scritta dal padre Tartaglia,con l’obiettivo principale didimostrare l’origine e sostenere idiversi privilegi di cui godevaMedicina. Egli affrontò, infatti, ipunti nevralgici della storia dellaComunità, cioè quelli che vanno daMatilde di Canossa a FedericoBarbarossa, con una brevissimaparentesi sugli “Accordi del 1411”che furono il fondamento dellabattaglia per l’autonomia. Ad ulteriore conferma del frequentecontatto tra il Tartaglia ed imedicinesi ho potuto studiarealcune lettere che il carmelitanospedì ai componenti del PubblicoConsiglio di Medicina conservatepresso l’Archivio di Stato diBologna; esse sono relazioniapprofondite sulla situazione dellacausa medicinese oppure consiglisu come sia più opportunocomportarsi delle diverse situazioni.

Mi rendo conto che in questo brevespazio forse non sono riuscito aspiegare come avrei voluto ilcontenuto di una ricerca che mi haassai appassionato. Certo sarebbemolto interessante poterapprofondire ulteriormentel’argomento che ho affrontato; inparticolare la consultazione deidocumenti conservati pressol’Archivio Storico del Comune diMedicina, che a me non è statopossibile consultare, penso possanotestimoniare importanti novità sullegame tra il Pubblico Consiglio e icarmelitani a Roma.

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Ritratto delGeneraleFerdinandoTartagliaMedicinese

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La famiglia Gasperini (o Gasparini)è presente a Medicina dal 1568

con un Evangelista, omonimo delsacerdote cronista; nel Seicento eSettecento i suoi membri sioccupano della cosa pubblica e uno,Domenico, è Massaro dellaComunità (1630). Molti suoicomponenti fanno parte dellaConfraternita del Suffragio e ilcasato, che possedeva poderi inlocalità Loreto (tra Medicina eGanzanigo), deteneva, insiemeall’Unione dei Muratori ilgiuspatronato della Cappelladedicata a San Marino nella ChiesaParrocchiale di S. Mamante.Don Evangelista Gasperini nacque aMedicina l’11 settembre 1696 inquesta influente famiglia medicineseda Antonio, Notaio e Depositariodella Comunità, e da Camilla Nanni.La famiglia, imparentata con iTorreggiani, i Prandi e i Fabri,risiedeva in una casa posta di frontea quella della famiglia Prandi, infondo alla Via o Contrada dellaColonna (attuale Via Cavallotti).Suo padrino di battesimo fu il maritodella zia paterna Diamante,Francesco Torreggiani, di Budrio,appartenente ad una nota famiglia divalenti costruttori e architetti tra iquali Alfonso, attivo anche aMedicina.Suo maestro di grammatica fu ilmusicista dilettante Don ApollonioGrossi e forse ebbe per istitutorel’omonimo zio paterno, letterato eraccoglitore di notizie storichelocali. Lo zio materno, il PadreGiulio Cesare Nanni, carmelitano nelConvento di Medicina, è ricordato

anche per essere stato ilcommittente, al pittore ErcoleGraziani, di almeno due quadri dacollocare in alcune Chiese diMedicina.L’ appartenenza ad una famiglia dibuon livello sociale etradizionalmente aperta ad interessiletterari, storici e musicali spiega lasua consuetudine e disposizione acoltivare interessi colti ed eruditi.Nel 1730 è sacerdote, confratelloprofesso della Compagnia delSuffragio e Archivista dellaComunità della quale, succedendo alpadre, diventerà anche Depositario.Si sa che sua è l’idea e il progettoartistico di un ostensorio d’argentocommissionato dalla Confraternitadel Suffragio ad Angelo Piò nel 1751.

Dalle poche notizie, peraltrorinvenibili nei suoi manoscritti, sullasua vita e produzione letterariasappiamo che si interessava alle artifigurative e che apparteneva adiverse Accademie letterarie edartistiche: in particolare partecipòattivamente a quella dei Citaristisuonando anche un violoncellocostruito da lui stesso.Forse si considerava un artista ed unmusicista più che un letterato e leopere manoscritte che ci sonopervenute erano da lui consideratefrutto della propria professione diarchivista erudito della Comunitàpiù che della propria vocazioneartistica e intellettuale. Anche nelDiario, in cui registra con occhioattento le celebrazioni, le opered’arte e gli atti memorabili di cui percenso e formazione culturale è

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DON EVANGELISTA GASPERINISTORICO E CRONISTA DEL ‘700di RAFFAELE ROMANO GATTEI

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testimoneprivilegiatoraramente tradiscela sua condizionedi sacerdotelimitandosi ariportare i fatti conil distacco e lasobrietà di unapersona colta ederudita che, comerisulta dalsottotitolo delleMemorie dellafondazione diMedicina, dichiara

di aver scritto dette memorie acciònon si perdino, e col tempo possinoservire à qualche Penna erudita, perdescrivere, come si deve, il di lei [diMedicina] racconto.Il suo impegno di storico localeemerge, oltre che dai manoscrittirimasti, dai collegamenti e dallerelazioni di studio con altri storici diarea bolognese come il Fantuzzi el’Oretti.Visse a Medicina dove morì nel 1772.E’ stato sepolto nell’Arca (o Tomba)dei Frati sottostante la Chiesa delSuffragio (attualmente sconsacrata eadibita ad usi civili - 2001 -).Dopo la sua morte altri appartenentialla famiglia Gasperini vissero aMedicina e alcuni di essi ebbero ruolireligiosi o civili di rilievo: DonAntonio G. fu parroco di Fiorentinadal 1773 al 1796; Mons. Giuseppe G.,pronipote di Don Evangelista G., fuavvocato rotale e, a sua volta,raccoglitore di notizie storiche locali.Luigi G., nipote per parte di padre,definito dal Simoni “un celibecicisbeo che visse in ottima saluteottant’anni”, alla sua morte, avvenutanel 1840, lasciò un testamento“ispirato ad idee ascetiche, fuori diluogo e di tempo” in cui tra l’altro sidisponeva: “ Dei libri stampati emanoscritti che tengo di miaproprietà, voglio che i Signori

Commissari siano in libertà diprenderne a loro elezione”.Pertanto i manoscritti del Gasperinipassarono in proprietà di uno dei dueCommissari Esecutori Testamentari,il sacerdote e confessore di Luigi G.,Don Gaetano Cavina di Medicina.Alla sua morte, avvenuta in Bologna, isuoi eredi vendettero, comecartastraccia, i quattro sacchi dimanoscritti ad un tabaccaio di StradaMaggiore in Bologna. Il Frate PadreGaetano Codini, al quale iFrancescani Minori OsservantiRiformati di Bologna avevanoaffidato l’incarico di erigere unconvento in Medicina, appuntoutilizzando l’eredità di LuigiGasperini, venuto a conoscenza dellavendita malaugurata, ricomprò imanoscritti a proprie spese e ad unprezzo maggiorato del 50% . Il Simoniprecisa in varie occasioni che, dopotante peripezie, i manoscritti eranoconservati nella “Biblioteca diMedicina”.Attualmente (gennaio 2001) hopotuto verificare presso l’ArchivioStorico Parrocchiale di Medicina,grazie alla paziente cortesia delParroco Arciprete Don MarcelloGalletti, che sentitamente ringrazio,l’esistenza dei manoscritti di seguitoelencati.

Memorie Istoriche di Medicinadall’Anno 1151 sino all’Anno 1613.Raccolta di notizie manoscritte ecitazioni bibliografiche edarchivistiche rilegata insieme aoriginali di documenti, stralci,estratti, bolle, bandi, decreti etc.,riguardanti i fatti storici più rilevantidella storia medicinese - fogli nonnumerati.

Memorie della fondazione diMedicina. FASCIO DI MEMORIEappartenenti all’Historia diMEDICINA Terra dello StatoEcclesiastico. Raccolte da varijScrittori et Archivij: e malamente

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StemmadellafamigliamedicinesedeiGasperini

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legate assieme dal P.re M.troFerdinando Tartaglia CarmelitanoMedicinese, Lettore Publico diMetafisica nella SapienzaRomana, e Priore di Traspontina,l’anno di n.ra salute 1671, acciònon si perdino, e col tempopossino servire à qualche Pennaerudita, per descrivere, come sideve, il di lei racconto. Tutte lesud.e Memorie furono da’ me d.Evangelista Gasperini Medicinesecopiate de verbo ad verbumdall’Originale che’ conservaappresso di se’ il P. FerdinandoSarti Carmelitano Medicinese, etal presente Vicario del S. Ufficionella sua Patria l’anno 1723.Volume rilegato - fogli numerati finoal n. 126 - contiene anchedocumenti, manoscritti o a stampa,in originale o ricopiati a mano.

Diario dal 1726 a tutto il 1739 -Materia ecclesiastica e civile - Vol. I Diario 1740-1750 - Vol. IIDiario 1751-1760 - Vol. IIIDiario 1761-1771 - Vol. IVVolumi rilegati - le pagine non sononumerate - all’inizio mancano una opiù pagine del primo volume - sonoriportate, giorno per giorno, notiziesu quanto accade a Medicina,festività religiose, visite dipersonaggi importanti, avvenimenticulturali, fatti eccezionali, etc..

Cronaca di Medicina del Sig. DonEvangelista Gasparini di 6 mesiArchivista della Comunità espostaa tenore del sistema sul quale essoaveva incominciato a regolarel’Archivio etc, cioè levandolodall’ordine Cronologico, emettendolo per ordine di Materie.Voll. I - II.Volumi rilegati - pagine numeratefino al n. 522 (vol. I) e fino al n. 143(vol. II) - la grafia del titolo non èdel Gasperini.

Cronica dall’anno 1155 all’anno 1727Volume rilegato - pagine nonnumerate - le notizie sono in ordinecronologico - al termine è annotato:Carte n. 152.

Uomini del Publico Consilio diMedicina e Ganzanigo postisecondo l’ordine che da’ me D.Evangelista Gasperini sono statiritrovati.Raccolta rilegata di manoscritti -pagine non numerate - notizie inordine cronologico relative agli annidal 1292 al 1766.

Series sive Catalogus DD. PatrumDefunctorum Publici ConsilijMedicinæ Per EvangelistamGasparini SacerdotemMedicinensem in unum congesta aban. 1600 ad annum 1742.Volumetto rilegato insieme alprecedente - pagine non numerate -contiene gli stemmi dei consigliericomunali morti dal 1600 al 1742 - lagrafia del titolo non è del Gasperini.

Serie delli Massari e Consoli dellaCommunità di Medicina, eGanzanigo principiando l’anno1292.Volumetto rilegato - pagine nonnumerate - le annotazioni successivealla morte [1772] del Gasperini finoal 1778 sono dovute probabilmente alsuo successore nella carica diArchivista della Comunità.

Notizie antiche riguardantiMedicina Ganzanigo, Villa FontanaCastel Guelfo San Paolo levate dalloStudio Alidosi esistentenell’Archivio pubb. di Bologna, edaltrove. Indice delle Notizie levatedallo Studio Alidosio spettanti alleCommunità di Medicina,Ganzanigo e Villa Fontana esistentenell’Archivio pub.o di Bologna. Volumetto rilegato - pagine nonnumerate.

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Notizie cronologiche della Terra, eCastello di MEDICINA.Quaderno con copertina a coloririlegato insieme al precedente -pagine non numerate.

Raccolta delle Memorie, Lapidi,Inscrizioni etc. spettanti alla Terradi Medicina ed altre ancora postealtrove.

Fascicolo di fogli grandi malamenteuniti tra loro e non numerati -riporta n. 159 iscrizioni in ordinetopografico - un’altra iscrizione,datata nel testo 1832, è stataovviamente aggiunta in seguito - diquest’ultima, nel fascicolo, è inclusaanche una frettolosa trascrizione amatita sul retro di un foglio dicalendario (giugno 1893).

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D. o. m.

Iscrizione tratta da una pagina della Raccolta delle Memorie, Lapidi, Inscrizioni etc.spettanti alla Terra di Medicina ed altre ancora poste altrove.

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La seguente Memoria è posta dove anticam(en)te era una piccola Chiesola detta la Celletta dePutti, nella quale hebbe principio la Confraternita del Suffragio, qual Chiesola l’anno 1671 fù

demolita e postavi una Colonna con sopravi la B(eata) V(ergine) che latta il suo DivinoFigliuolo, e sotto li piedi vi erano l’Anime del Purgatorio con la seguente memoria nel

Bassamento di essa Colonna, L’anno poi 1723 consumata dal tempo la scritta sudd(et)ta, liConfratelli del Suffragio vi posero la presente facendovi fare ancora il presente ornamento.

Le lettere “D.O.M.” sono scritte, in corsivo anziché in stampatello (capitale quadrata) e damano diversa da quella del resto del manoscritto.

A Dio ottimo e massimo.Con l’aiuto di Dio e il favore della Madre di Dio, il 5 agosto dell’anno 1651, mentre reggeva laChiesa Romana Innocenzo X Pontefice Massimo, il magnifico principe illustrissimo ereverendissimo signor Arcivescovo di Bologna Gerolamo Boncompagni, essendo Arciprete diMedicina il benemerito Don Francesco Toschi, il popolo di questa Terra, al fine di sollevare leanime dei fedeli dalle pene del Purgatorio, volle cominciare a recitare piamente e devotamentenei giorni festivi l’ufficio funebre dei defunti nel sacro Oratorio qui esistente un tempo, da questomomento sotto la protezione dell’illustrissimo Conte Giovanni Battista Albergati. I confratelli vollero che l’istituenda Confraternita di Santa Maria del Suffragio fosse aggregataall’Arciconfraternita di Roma e curarono che, essendo accresciuta la devozione, in località, allorachiamata “La Rocca”, fuori le mura di questa stessa Terra di Medicina, dopo aver abbattuto ilvecchio oratorio in rovina, fosse riedificato dalle fondamenta questo (sacro) edificio. Affinché non si perdesse il ricordo di sì grande devozione, posero questa lapide nell’anno 1671.Restaurata nell’anno 1723.

D(eo) O(ptimo) M(aximo)_

AVXILIANTE DEO FAVENTE DEIPARA

MARIA NONIS AVGV(sti) ANNO 1651 REGENTE

ECCL(esi)AM INN(ocenti)O X P(ontifice) M(aximo) NEC NON BON(oniae)

ARCHIEP(iscop)O ILL(ustrissi)MO AC REV(erendissi)MO D(omino) HIERONIMO

BONCOMPAGNO PRINCIPE AMPLISS(i)MO

ARCHIPRESB(yte)RO MEDICINÆ MERIT(issi)MO

D(omino) FRANCISCO TVSCHIO HVIVS TERRÆ

POPVLVS VT A PŒNIS PVRGATORII

FIDELIVM ANIMAS SVBLEVARET PIE

SANCTEQVE EORVM OFFICIVM RECI-

TANDVM IN ANGVSTO SACELLO OL-

IM HIC POSITO DIEBVS FESTIS SVS-

CEPERE HINC PROTEGENTE ILL(ustrissi)MO

CO(mite) IO(annes) BAP(tis)TA ALBERGATO

SOCIETATEM SVB NOMINE S(anctae) MA(ri)Æ

SVFFRAGII ARCHICONFRATERNITATI

ROMÆ AGGREGATAM INSTITVENDAM

CVRAVERE DEVOTIONE AVCTA

IN LOCO EXTRA MŒNIA EIVSDEM

TERRÆ TVNC NVNCVPATO LA ROC-

CA A FVNDAM(entis) SACRVM STRVXERE

TEMPLVM VETVSTOQVE DIRVTO SA-

CELLO SOCIETATIS CONFRATRES NE

TANTÆ PIETATIS EXCIDERET MEMO - RIA

H(oc) M(onumentum) P(osuerunt)

ANNO 1671 RESTAVRAT(um) ANNO 1723

Trascrizione, scioglimento delle abbreviazioni e traduzione a cura di R.R. Gattei

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IL MEDICINESE GIUSEPPE BIAGI,radiotelegrafista della Marina

Militare, divenne popolare nel 1928,quando con la sua capacità tecnicariuscì a dare un contributofondamentale per la salvezza deinaufraghi polari della spedizionecomandata da Umberto Nobile, colsuo dirigibile “Italia”: oltre a stabilireil primato mondiale dellatrasmissione radiotelegrafica dalPolo Nord, dimostrò in manieraclamorosa (perché ne parlarono tuttii periodici, tutte le radio e tutti icinegiornali del mondo) la grandeutilità pratica dei radiotelegrafi adonde corte (pur se di dimensionimolto ridotte) (1).Lo scrivente l’ha ricordato con unbreve articolo nel 1º centenario dellanascita, e dell’invenzione della radio,ma a seguito di una ricerca e di unamostra fatta a Medicina nel 60ºanniversario della tragica spedizionepolare; e pertanto qui intende fareconoscere più diffusamente i datibiobibliografici raccolti, e proprio inuna pubblicazione medicinese.Era nato il 2 Febbraio 1897 nellacampagna adiacente a Medicina, oveil padre, Raffaele Biagi – fattoreagricolo dei Garagnani –, e la madre– Virginia Natali – (oriundi diCasalecchio dei Conti, in comune diCastel S. Pietro), da tempoabitavano, per ragioni di lavoro, nelvecchio palazzo Albergati. Ma quiaveva appena finito le scuoleelementari, che suo padre trasferì lafamiglia a Bologna, dove anche i

ragazzi, come allora usava, poteronotrovare subito un lavoro proficuo, emeno duro di quello possibile nellecampagne medicinesi, dove lameccanizzazione, e pure ilsindacalismo ed il cooperativismodei lavoratori agricoli erano appenaagli inizi.A Bologna il Biagi fece i primi trecorsi della scuola tecnica el’apprendistato all’Istituto Aldini, malavorò pure, col fratello Alfredo,nella tabaccheria della Stazioneferroviaria, poi in un negozio delcentro ed infine in officinemeccaniche. Era comunque ancoraun ragazzo quando diede prova diuna vigoria ed un coraggio notevoli,salvando la sorella Cesira dallefiamme, ed un cuginodall’annegamento nel fiume Reno.Intanto cominciavano adaffascinarlo i popolari romanzid’avventure in terre e marisconosciuti: e la suggestione delmare fu per lui così forte che, anchecontro il parere paterno, andò aRimini, per lavorare su una tartanada pesca, per un ben modestosalario; ma potè rimanervi pochigiorni perché, tradito dal timbropostale di una lettera scritta allamadre, lo rintracciò il fratellomaggiore, che lo ricondusse a casa.Aveva comunque solo sedici anniquando tanto insistette coi genitoriche ebbe l’autorizzazione adarruolarsi nella Marina Militare, e laricambiò mandando loro tutto ciòche riusciva a risparmiare sul magro

PAGINE DI STORIA

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APPUNTI BIOBIBLIOGRAFICI SU GIUSEPPE BIAGI

di ALDO ADVERSI

L’eroico radiotelegrafista della “tenda rossa” (1928)

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soldo di marinaio. Fu sul “Palinuro”,poi sulla “Liguria” e sul “Miseno”quando c’era ancora la guerra diLibia. Interessandosi di elettricità edi telecomunicazioni – che alloraavevano ben scarse applicazioni –, fuinviato alla Scuola radiotelegrafistiche la Marina aveva a Varignano diLa Spezia, e poi come operatorenelle corazzate “Giulio Cesare” e“Conte di Cavour”.Nella Grande Guerra (1915-18:l’ultima del Risorgimento) furadiotelegrafista dello StatoMaggiore sulle navi in cui risiedeva ilcomandante Luigi di Savoia (Ducadegli Abruzzi), su sommergibili e suidrovolanti, anche in varie azionimolto pericolose, come quella dellasquadriglia d’idrovolanti di Valona,

comandata dal tenente Pellegrini, ocome i bombardamenti aerei diDurazzo e di Cattaro. Una volta checon l’aereo precipitò in mare, pressola costa albanese, potè salvarsiperché, bravo nuotatore, riuscì amantenersi a galla per ben 6 ore, e fupoi raccolto, ma tre giorni dopo, dalcacciatorpediniere “Airone”. Ottennevari encomi per il buon servizioprestato, e nel 1918 fu assegnato alCentro Radio di S. Paolo a Roma,come tecnico dirigente.Nel 1926 e nel 1927 vinse vari preminelle manovre navali, e fu cosìassegnato istruttore nella Scuola diVarignano in cui era stato allievo (2).Ma il 12 Maggio del 1926 unradiotelegramma indirizzato algoverno annunciava che la bandieraitaliana era stata lasciata cadere sulPolo Nord dal dirigibile “Norge”,condotto dal generale UmbertoNobile e da equipaggio italiano, congli esploratori Roald Amundsen eLincoln Ellsworth, e tre giorni dopoun altro messaggio dall’Alaskaannunziò che, nonostante che laradio non avesse funzionato per duegiorni, era stato compiuto unpercorso complessivo di 13.000chilometri in 172 ore di volo; ma nel1928 il Nobile ottenne di andare indirigibile al Polo Nord edall’Arcipelago detto dello Zar NicolaII, col comando della spedizione, chedoveva comprendere anchescienziati, per nuove ricerche sulposto, quasi completamenteinesplorato: anche perciò aldirigibile (identico al “Norge”) avevadato il nome “Italia” (3). Biagi alloraaveva un’abitazione presso il CentroRadio di Roma, una moglie – AnitaBuccilli –, un figlioletto di 3 anni –Giorgio – ed un altro figlio in arrivo;ma già da 3 anni erano morti i suoigenitori, ad appena 3 mesi l’unodall’altro (4); Nobile era divenutogenerale dell’Aeronautica eProfessore di Costruzioni

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GiuseppeBiagipresso la “tendarossa” (da foto diLundborgedita in“Tempo”il 5 Dic.1965)

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aeronautiche all’Università di Napoli(5). Fu il ministro Costanzo Ciano asegnalare a Nobile ilradiotelegrafista Biagi (6), che fuassunto a bordo dell’“Italia”comunque solo dopo che ebbesuperato le prove preliminarinell’occasione stabilita. La partenzaed il viaggio del dirigibile furonosalutati come qualcosa dieccezionale, ed i notiziari alloradiffusi un po’ in tutto il mondoabbondarono nei particolari, oltreche della rettorica in uso nel tempo(secondo la scuola dannunzianaimperante).Dopo avere superato non pochedifficoltà tecniche ed atmosferiche, edopo che erano state esplorate varieregioni artiche sconosciute, ildirigibile “Italia” giunse sul PoloNord il 24 Maggio 1928, mentre inItalia si celebrava il 13º anniversariodell’entrata in quella Guerra dellaquale si festeggiava il decennaledella vittoria: poiché le bufereimpedivano di scendervi, vi furonolanciate dall’alto le bandiere allapartenza ricevute da varie autorità ela croce avuta dal papa Pio XI,mentre Biagi provvedeva ad inviarea Roma i radiogrammi dettati daNobile ed anche a fotografarel’avvenimento. Ma non fu possibileraggiungere l’Arcipelago dello ZarNicola II, perché durante una nuovaforte bufera di neve, a poca distanzadalla base artica, il dirigibile,specialmente a causa di un gravesovrappeso procurato dal ghiaccio edi varie rotture, precipitò, estrisciando sulla banchisa gettò sulghiaccio 10 uomini (tra i quali Nobilee Biagi) – e la cagnetta Titina –,mentre altri 6 uomini scomparverocol dirigibile stesso, che ripresequota, trascinato dal molto vento,ma presto finì in un rogo fumoso. Diquesti ultimi aeronauti nessuno fupiù ritrovato, nonostante lunghe ecomplesse ricerche; degli altri 10,

uno morì nella caduta, un altromorirà in un vano tentativo diraggiungere a piedi la base, alcuni(fra cui Nobile) riportarono feritegravi, ma i sopravvissuti poteronosalvarsi, in quello sterminato desertodi ghiaccio e bufere nevose, perchédal dirigibile con loro caddero pureuna tenda, alcuni viveri, e variattrezzi fra cui la stazioneradiotelegrafica campale disoccorso, ad onde corte, ed iltecnico Biagi (7).I problemi più gravi furono subitoposti dal disgelo e dalla conseguentederiva dei ghiacci, oltre che dallascarsità di viveri disponibili: questifurono razionati, ma il controllodella posizione geografica facevaconstatare che la base divenivasempre più lontana, e la conclusioneera nelle previsioni molto brutta,perché se non fossero arrivati prestodei soccorsi e non si potesseraggiungere quanto prima una terraferma, entro due mesi al massimo legelide acque polari sarebberodivenute la tomba di tutti.Fortunatamente Biagi era rimasto inbuone condizioni fisiche, e fecepresto a montare e far funzionare ilradiotelegrafo, trasmettendo (ogni 2ore) i testi degli S.O.S. stabiliti daNobile e Mariano, e ricevendo anchele trasmissioni dell’Italia (e del suoCentro Radio di Roma), e dellastessa nave “Città di Milano” cheaveva seguito come appoggio ildirigibile fino presso la meta. Mal’S.O.S. verrà sentito solo il 3Giugno, da un radioamatoresovietico (8). E solamente il 20Giugno la tenda dei naufraghi polari,ricoperta di carte rosse affinchépotesse essere meglio individuatanel candore dei ghiacci (e divenutaquindi famosa col nome di “tendarossa”), fu avvistata dall’aereo delsoccorritore Giovanni Marsano, efurono così ottenuti i primi aiuti dimedicinali, viveri ed attrezzi, ma con

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nuove vittime, perché un idrovolanteitaliano nel ritorno precipitò.Il 24 Giugno lo svedese Lundborgriuscì a raggiungere la tenda col suoaereo, ma potè caricarvi il soloNobile, preferito perché il ferito piùgrave e perché capace di organizzaremeglio i soccorsi; ma in unsuccessivo viaggio l’aereo cappottò elo stesso Lundborg finì fra inaufraghi della “tenda rossa”. Unaltro aereo s’inabissò nel Mare delNord, e fra i soccorritori aveva lostesso Amundsen.Varie nazioni, specialmente delNord, collaborarono in una gara disolidarietà con le autorità italianeche fu unanimemente ammirata, ariprova dell’importanza e sacralitàdella vita umana. Ma solamente il 12Luglio giunse il rompighiacciosovietico Krassin, il più potentedell’epoca, che dopo un’avanzata di

migliaia di chilometri era arrivatoalle massime latitudini artiche(nonostante avesse un’elica a pezzied il timone in avaria), incitato edammirato da tutto il mondo: erano le5,20 quando i naufraghi, sfiniti dalgelo e dalla fame, poteronoabbracciare i soccorritori. Persalvare 8 persone ne eranocomunque morte altre 10, e nelcommentare questi eccezionaliavvenimenti i giornalisti furonoveementemente polemici, ma futrionfale il ritorno dei naufraghi edei loro soccorritori. Un film dellaL.U.C.E. (Lega Universitaria per laCinematografia Educativa), checomprese le principali scene dellapartenza, del viaggio e dell’arrivo deldirigibile nell’Artico, e poi quelle deisoccorsi, delle ricerche e del ritornodei naufraghi, ebbe ampia diffusionee notevole successo (9).

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Il Krassinpresso la“tendarossa” (adestral’antennaradio di G.Biagi - da‘L’Espresso’del 2 Mag.1993, p. 89)

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Era stata ammirata l’audacia italiananel collaudare, fino alle estremepossibilità e col rischio della vita,l’efficienza di uno degli strumentipiù importanti della civiltà modernaper la conquista dell’aria; ma in finequesta sconfitta fragorosa deldirigibile rivelò in modo definitivo lasua inferiorità rispetto all’aeroplano.Da quella data i dirigibili furonoaccantonati (in attesa di tempimigliori), mentre le radio ad ondecorte furono adottate da tutti gliapparecchi e bastimenti destinati aiviaggi lunghi. I superstiti furono invari modi onorati, ed i loromemoriali – nonostante un esplicitodivieto di Mussolini avente lo scopodi smorzare le polemiche – furonocontesi dagli editori, così comequelli dei loro soccorritori. Nobilefra l’altro, oltre al volumemiscellaneo sui risultati scientifici

della spedizione (10), pubblicò unsuo racconto de “L’‘Italia’ al PoloNord” (Milano 1929) che fu subitotradotto in varie lingue e poiristampato in nuove edizioni, conaggiunte e precisazioni e polemiche,ma sempre con molte, ripetuteespressioni di ammirazione,gratitudine e simpatia per Biagi (11).E Biagi, oltre alle intervistegiornalistiche, attese al volume “Imiracoli della radio nella tragediapolare - Biagi racconta...” (Milano1929) (12), nel quale espose consemplicità quanto accadutogli; madel suo comportamento eroico sullabanchisa polare a specialmenteaccanto alla cassetta delradiotelegrafo hanno dato notizieampie, dettagliate e specifiche, oltreai giornali del tempo, tre importantitestimoni che furono con lui sotto la“tenda rossa”: Alfredo Viglieri (“48

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Roald Amundsen ed il “Norge” concui nel 1926 avevaraggiunto(assieme a Nobile) il Polo Nord.(Da Longinesorol.)

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giorni sul pack”, Milano 1929),Francesco Behounek (“Il naufragiodella spedizione Nobile”, Firenze1930) e Felice Trojani (“La coda diMinosse”, 3ª ediz., Milano 1964); el’hanno elogiato pure CescoTomaselli (“L’inferno bianco”, 4ªediz., Milano 1929) ed A. Majorana,(“La spedizione polare artica”,Trapani 1962), che erano stati sullanave-appoggio “Città di Milano” (13).Era stato particolarmente toccante ilfatto che sua moglie gli partorì unafiglia nei giorni tremendi in cui eranaufrago sul pack, ed egli ne appresela notizia via radio, disponendo poi,con un radiogramma, che essa sichiamasse (come il dirigibile) “Italia”(14).Bologna e Medicina gli tributaronofesteggiamenti entusiastici (15), ed aMedicina gli fu intitolato il nuovocampo sportivo. I rapporti fra i

governi sovietico ad italiano ebberoun miglioramento (purtroppoprovvisorio). Il principale storicodella radio, Luigi Solari (che era uncollaboratore del suo inventore,Guglielmo Marconi), pose ben inrilievo sia il suo primato polare cheil nuovo miracoloso salvataggio divite umane operato da unapparecchio di ben piccoledimensioni (16).Peraltro il governo italiano ritenneopportuno prendere provvedimentiriguardo il Nobile, e lo stesso Biagi,con una commissione d’inchiesta lacui relazione conclusiva fuampiamente fatta conoscere tramitela stampa e le radio: al Biagicontestava la cessione (ai russi) deifilmini girati presso la “tenda rossa”con una cinepresa trovata fra gliattrezzi caduti sul pack, ma egli potèproseguire il suo servizio diradiotelegrafista della MarinaMilitare, e fu anche promosso digrado, mentre il Nobile, che siritenne calunniato e si trovò ancheostacolato nel proseguimento delsuo lavoro, preferì dimettersi, esolamente dopo la seconda Guerramondiale ottenne giustizia e potèrientrare nell’Aeronautica coi gradi econ le promozioni spettantigli (17).Era maresciallo, in Africa Orientale,a Mogadiscio, capo della stazioneradio, Biagi, quando nel corso dellaseconda Guerra mondiale gl’inglesiconquistarono quella città, e, fattoloprigioniero lo inviarono (comeinnumerevoli altri) in campo diconcentramento a Bopal, nell’Indiacentrale: dove, con mezzi di fortuna,costruì una radio che,clandestinamente, potè essere fontedi notizie ad anche di sollievo per icommilitoni. Alla fine della guerra,nell’Aprile 1946 tornò in Italia, epreferì risistemarsi con la famiglia aRoma, ma si congedò dalla Marina(18), e per integrare una pensionetroppo scarsa gestì in via Ostiense

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GiuseppeBiagi(ritrattoedito da“Tempo” il 15 Dic.1965, p. 20)

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un distributore di benzina della Shell(19).Continuò ad essere ricordato in ogninarrazione che rievocava la vicendadella “tenda rossa”, anche poi allatelevisione; nonostante che fosseestremamente riservato, accettò diessere ancora intervistato (20).Morì il 1º Novembre 1965, ed igiornali gli dedicarono sveltinecrologi (21). Ma si tornò a parlareanche di lui in cronache televisivedel 1967, quando in Baviera furealizzato un telefilm sulla famosavicenda polare, e di nuovo nel 1968,quando a Leningrado nelle carte di

Samoilovich – uno dell’equipaggiodel Krassin – fu trovato il suobrogliaccio di bordo nel dirigibile“Italia” (22). Comunque negli anni1969-1970 fu il film italo-russo “Latenda rossa” (Krasnaja Palatka) arievocare con molti particolari quellatragica vicenda, ed ebbe moltosuccesso di pubblico e di critica intutta l’Unione Sovietica, oltre che inItalia, dove lo ha riprogrammato laTelevisione il 9 Settembre 1974 e dinuovo recentemente (23).Suo malgrado, Biagi ora fa partedella storia della radio e delleesplorazioni polari (24).

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NOTE

11) Le principali pubblicazioni che ne hanno trattato sono ora elencate in: G. NOBILE STOLP, Bibliografia diUmberto Nobile, Firenze 1984 (di cui una copia, con aggiornamenti inediti dell’Autrice fino al 1988, ènell’archivio del Comune di Medicina, al quale la medesima la donò); S. ZAVATTI, Bibliografia dellespedizioni polari di Umberto Nobile, 2ª ed., Civitanova Marche 1985 (con notizia pure dei cimeli e carteggiconservati nel Museo Polare di proprietà dell’Autore – in seguito acquisiti dalla Biblioteca del Comune diFermo). Ma voglio precisare qui anche come altri quattro personaggi illustri quasi a lui contemporanei neabbiano il medesimo nome: uno zoologo, un letterato, un tenente colonnello del Genio navale ed un pittore.

12) M. DOLETTI, Il radiotelegrafista Biagi nei ricordi dei familiari, ne “il Resto del Carlino” 22 Giu. 1928, p. 4; R.VITI, Il nostro eroe, ne “Il Comune di Bologna”, luglio 1928, pp. 55-56, e ne “L’avvenire d’Italia”, 26 lug. 1928,p. 5 (e cfr. ivi, 14 lug. 1928, p. 5: Come la famiglia dell’eroico Biagi...); A. GRAVELLI, Introduzione, in G.BIAGI, I miracoli della radio nella tragedia polare - Biagi racconta..., Milano 1929, pp. 10-16.

13) I giornali e le radio specialmente d’Europa ne parlarono più spesso fra il 15 Aprile ed il 17 Agosto, enominarono Biagi particolarmente dal 10 Giugno in poi.

14) A. GRAVELLI, op. ultim. cit., p. 10.15) Umberto Nobile era nato a Lauro nel 1885 ed era divenuto ingegnere nel 1908; fra l’altro, oltre a nuovi tipi di

aeronavi (come l’esploratore “O”), aveva ideato il primo paracadute italiano, ed aveva promossa lacostruzione del primo aeroplano metallico, e nel 1926 aveva costruito il dirigibile poi chiamato “Norge”;aveva già pubblicato articoli e libri sui motori e sui dirigibili, nonché sull’esplorazione polare del 1926;divenne poi anche titolare di cattedra all’Università di Napoli, rimanendovi sino al 1955; morirà a Roma nel1978, a 93 anni. Notizie sintetiche su di lui hanno ora le principali enciclopedie, generali e scientifiche:Enciclopedia della scienza e della tecnica, vol. XIII, 7ª ediz., Milano 1980, p., 460; Lessico Universale Italiano,vol. XIV, Roma 1974; s.v.; Enciclopedia Europea, vol. VIII, Milano 1979, s.v.; ecc.

16) Il radiotelegrafista bolognese Biagi..., ne “L’avvenire d’Italia”, 2 Giu. 1928, p. 5. Costanzo Ciano (nato aLivorno nel 1876, morto nel 1939) s’era distinto nella Grande Guerra col comando di MAS in rischiosissimeoperazioni (Cortellazzo, Buccari) e poi con la partecipazione all’impresa Fiumana di Gabriele D’Annunzio;deputato fascista dal 1921, fu ministro delle poste (1924) e delle comunicazioni (1924-34) e presidente dellaCamera (1934).

17) La cassetta del radiotelegrafo ad onde corte (cm 60x25x20) durante il viaggio a Biagi era servita da sedile, edanzi, dato lo scarso spazio della cabina radiotelegrafica, solo per esplicito ordine di Nobile l’aveva caricata.L’apparecchio era stato costruito da Giovanni Marsano - G. CASTELNUOVI, Per primo vidi la “tenda rossa”,in “Vie d’Italia e del mondo”, Luglio 1968, pp. 591-595. Il radiotelegrafista tedesco Gottnaldt affermò d’esserestato lui a consigliare a Nobile anche quell’apparecchio - Perché gli appelli dell’“Italia”..., ne “L’avvenired’Italia”, 8 Giu. 1928, pp. 1. Ma lo stesso Guglielmo Marconi risulta che, interpellato sulle apparecchiatureradio da installare sull’“Italia”, aveva raccomandato apparecchi ad onde corte, sia sul dirigibile che sullanave-appoggio - L. SOLARI, Storia della radio, Milano 1939, pp. 347-348. G. BIAGI, nella sua opera citata allanota 2, ne ha data una descrizione particolareggiata. L’Arcipelago detto dello Zar Nicola II verrà poiribattezzato Terra di Lenin.

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18) Il Nobile, nelle sue narrazioni di quella spedizione, accuserà di grave negligenza il comandante ed ilradiotelegrafista della nave-appoggio “Città di Milano”, che omisero presto di sentire la radiotrasmissioni deldirigibile, e si rimisero all’ascolto solo dopo che il radioamatore sovietico aveva fatta la segnalazione al suogoverno e questo l’aveva passata al governo italiano. Comunque fu dal Centro radio di S. Paolo a Roma cheBiagi apprese che il suo S.O.S. era stato finalmente sentito; e poi fu adducendo casi di sciacallaggio che ilradiotelegrafista della nave-appoggio chiese a Biagi, come prova, il numero della matricola militare che sololui doveva conoscere, e la sua risposta, trasmessa via radio, fu ovunque festeggiata - A. LOVATO, Numero dimatricola, ne “L’avvenire d’Italia”, 12 Giu. 1928, p. 5.

19) Il più diffuso giornale bolognese del tempo, “Il Resto del Carlino”, nominò esplicitamente Biagi, nel 1928, neiseguenti giorni: in Aprile l’1 (p. 1), il 10 (p. 4) ed il 15 (p. 2); in Maggio il 4 (p. 1); in Giugno il 10 (p. 1), il 21(p.1, con articoli di G. TODESCO ed A. SPAINI), il 22 (p. 4), il 24 (p. 1), il 26 (p. 1), il 28 (p.1) ed il 30 (p. 6);in Luglio l’1 (p. 1), il 3 (p. 1), il 7 (p. 6), il 12 (p. 1), il 14 (pp. 1 e 7), il 15 (pp. 1, 3 e 6), il 17 (p. 1 e p. 5), il 18(p. 1), il 20 (pp. 1 e 4), il 21 (p. 1), il 24 (p. 3) ed il 25 (p. 4); in Agosto l’1 (pp. 1 e 2, con cronache di G. DIMARTINO e M. DOLETTI), il 2 (p. 1 con articolo non firmato ma forse di G. PINI, sul suo testamento scrittoquando non sperava più nella salvezza), il 3 (p. 1, con ampio racconto dello stesso BIAGI), il 5 (p. 1), l’11 (p.1 e p. 6), il l4 (p. 1), il 17 (pp. 2 e 3). Anche “L’avvenire d’Italia” parlò di lui, nel 1928, nei seguenti giorni: inGiugno l’8 (p. 1), il 9 (p. 5), il 10 (p. 1), il 12 (p. 5, cit.) il 15 (p. 1), il 24 (in ediz. straord.); in Luglio il 13 (p.1), il 14 (pp. 1 e 5), il 15 (p. 1 - con articolo di R. FORGES DAVANZATI - e p. 5), il 24 (p. 5), il 26 (p. 5); inAgosto l’1 (p. 1, con articolo di A. LOVATO, e p. 5) il 2 (p.1), il 3 (p. 1), l’11 (p. 5), il 18 (p. 5), il 19 (p. 5), il 21(p. 5). Ma il più autorevole e diffuso quotidiano era allora il “Corriere della sera”, al quale pervenivanospecialmente le corrispondenze inviate dalla nave-appoggio da C. TOMASELLI ed U. LAGO - ed i cimeli delTomaselli saranno venduti all’asta da CHRISTIE’S nel Dicembre 1998. La popolare rivista “Tribunaillustrata” gli dedicò una tavola a colori di V. PISANI, che lo raffigurò chino sul radiotelegrafo mentre Nobilegli dettava i messaggi, in mezzo ad una distesa di ghiacci; ma la più importante rivista divulgativa del tempo,l’“Illustrazione italiana”, gli dedicò una prima pagina con una sola sua fotografia, assieme ai figlioli. Biagi fudunque allora il radiotelegrafista italiano più popolare. Sul film della L.U.C.E. si veda anche quanto fu scrittone “Il Resto del Carlino” il 17 Ag. 1928, p. 2. Il rompighiaccio sovietico Krassin, entrato nella leggenda “comesimbolo dell’audacia e della fratellanza al di là delle differenza ideologiche” oltre che come frutto dellamigliore tecnologia dell’URSS, a cura del comandante Yuri Burak fu mantenuto attraccato ad un molomilitare del porto di Leningrado, (poi San Pietroburgo), come un museo, ed anche nel 1993 la vedova diNobile - la cit. G. NOBILE STOLP - ne raccomanderà al presidente russo la conservazione - L. DELL’AGLIO,Eltsin, salva quel rompighiaccio, ne “L’espresso” del 2 Mag. 1993, p. 89. L’eroico sacrificio di R. Amundsenverrà ricordato pure nel bel volume sull’esploratore scritto da Anna e Folco QUILICI, ed edito da Piemmenel 1998.

10) Il testo fu pubblicato subito in Germania; ma in Italia uscirà solamente nel 1938, col titolo: La preparazionee i risultati scientifici della spedizione dell’“Italia”. Altri risultati pubblicò il comandante della nave-appoggio: G. ROMAGNA MANOJA, La R. Marina italiana nella spedizione artica 1928, nella “Rivistamarittima”, 1928, pp. 229-262. Non fece allora una gran bella figura la pur prestigiosa Enciclopedia Italiana,che ignorò in blocco la spedizione del Nobile, dedicando comunque al generale poche e nemmeno esattenotizie biografiche nel vol. XXIV (1934), s.v.

11) Le edizioni che ne fece dopo la seconda Guerra mondiale (e la caduta del fascismo) ebbero i seguenti titoli:Posso dire la verità (Milano 1945), La tenda rossa (Milano 1969 e 1970: vi si parla di Biagi in ben 41 luoghi),La verità in fondo al pozzo (Milano 1978); nel decimo anniversario della sua morte la figlia pubblicòun’antologia da tutte le edizioni precedenti, col titolo: Destino di un uomo (1988). Fra i libri dei soccorritoririlevo: G. ALBERTINI, Alla ricerca dei naufraghi dell’“Italia” (1929); F. BALDIZZONE, La baleniera Braganzaalla ricerca dei naufraghi del dirigibile “Italia” (s.d.); D. GIUDICI, Col Krassin alla tenda rossa (1929); G.SORA, Con gli Alpini all’80º parallelo (1929); R. SAMOILOVICH, S.O.S. nel Mare Artico (1930); A. CASARI,Un alpino verso il Polo Nord (1936). La “tenda rossa” verrà poi conservata, come prezioso cimelio, a Milano,nel prestigioso Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica.

12) La stesura fu curata evidentemente da A. GRAVELLI, ma ne risultò un libro scritto bene e senza tropparettorica; le notizie tecniche che dà sono molte. S’è poi saputo che originariamente aveva una dedica al gen.Nobile, tolta quando l’inchiesta della Commissione predisposta dal governo aveva inasprite le polemiche edaveva accentuate le critiche ad esso. Non poche la illustrazioni, in questa e nelle altre opere citate.

13) Si v. anche: P. MONELLI, Biagi, nel “Corriere della sera” del 14 Lug. 1928.14) Lieto evento in casa di Biagi, ne “L’avvenire d’Italia”, 24 Lug. 1928, p. 5. Con questa bambina in braccio si

farà poi fotografare Mussolini, e sotto la fotografia sarà scritto nei giornali che il duce abbracciava l’Italia.15) Notizie in: “Il Resto del Carlino”, 11 Ag. 1928, p. 6; “L’avvenire d’Italia”, 11 Ag. 1928, p. 5 e 21 Ag. 1928, p. 5; I.

LUMINASI, Giuseppe Biagi, ne “Il Comune di Bologna”, Ag. 1928, pp. 68-69. Sulle accoglienze che avevaavuto a Bologna nel treno coi trasvolatori qui di passaggio e diretti a Roma, si vedano le cronache da “IlResto del Carlino” del 1º Agosto 1928, pp. 1 e 2, e de “L’avvenire d’ltalia” del medesimo giorno, pp. 1 e 5. Suun busto dal vero fattogli nell’occasione dallo scultore bolognese Mario Sarto, si vedano la notizia e la fotone “Il Comune di Bologna”, Nov. 1928 , p. 71. A Medicina ha foto dell’evento Giovanni PARINI.

16) L. SOLARI, op. cit., pp. 348 e segg.17) Nelle già ricordate edizioni postbelliche del suo racconto, Nobile peraltro ha posto ripetutamente in rilievo

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come dal governo (fascista) ed in particolare dal ministro competente (Italo Balbo) non solo non ottennetutte le attrezzature e garanzie richieste, ma fu osteggiato apertamente per il suo non ignoto filosocialismo.Anche poi il cit. F. TROJANI, La coda ecc. pp. 737-791, ha pubblicata una documentata critica alla relazioneconclusiva della Commissione governativa d’inchiesta. Nobile comunque poi potè lavorare nell’UnioneSovietica alla costruzione di dirigibili d’avanguardia, utilissimi dove c’erano grandi distanze da coprire, maprive di strade, ferrovia ed aeroporti. Nel 1946 verrà eletto deputato nell’Assemblea Costituente, nelle listedel Partito Comunista Italiano ma come indipendente.

18) F. HILDEBRANDT, nel suo libro su Nobile pubblicato a Monaco di Baviera nel 1959 ha affermato che ancheBiagi (come Nobile) s’era recato in Unione Sovietica perché ostacolato nel suo lavoro in Italia – ma già S.ZAVATTI – op. cit. – ha fatto rilevare che non è vero.

19) U. NOBILE, La tenda rossa cit., p. 437 (ediz. del 1969). Che il distributore di benzina fosse della Shell me l’hacomunicato l’ing. Mario FOSSER, che conobbe il Biagi a Roma.

20) G. FRISOLI, S.O.S. della tenda rossa, ne “Il lavoro illustrato”, 23-30 Nov. 1952, p. 3; P.C.C. ROUDOLPH, Iprigionieri del Polo, ne “Il giornalino”, 6 Genn. 1957; A. ZANNONI ed E. SPERANZA, Il caso delradiotelegrafista Biagi, in “Paese sera” 22 Dic. 1960 (dove s’esprime meraviglia che Biagi per viveredecorosamente debba fare un mestiere tanto umile come quello di addetto ad un distributore di benzina).

21) I giornali diedero notizia sia della sua morte, che dei suoi funerali (ai quali partecipò lo stesso gen. Nobile),nonché di una pubblica sottoscrizione per un sussidio alla sua famiglia (in cui concorse generosamente pureil Comune di Medicina). Nel popolare settimanale “Domenica del Corriere” fu ricordato con un necrologiodi G. BENSI illustrato da una tavola a colori di W. MOLINO – nel numero del 14 Novembre –. Nelsettimanale “Famiglia cristiana”, in Dicembre, un articolo di F. ZAMBONINI aveva in particolare le notiziedel dono che Biagi aveva fatto della sua cuffia radiofonica usata al Polo Nord come exvoto alla chiesa dellaMadonna del Divino Amore di Roma, e del nuovo racconto che aveva ragistrato su nastro magnetico connuovi particolari della sua leggendaria impresa. Anche il periodico “Tempo” in Dicembre pubblicò unarticolo commemorativo scritto da A. VIGLIERI, che era stato con lui nella “tenda rossa”, e che lo definiva“il vero salvatore” di quei naufraghi, sia per le sue capacità tecniche che per il suo “carattere franco e leale”ed il suo costante “umore gioviale e sereno”, ed anche perché, “sprezzante di ogni rischio” ora sempre edovunque “pronto ad assoggettarsi ad ogni lavoro che gli veniva richiesto” per le necessità quotidiane; erastato suo comandante dopo che Lundborg aveva trasferito il gen. Nobile, e quindi aveva avuto modo digiudicarlo da vicino; e concludeva rammaricandosi che Biagi non evesse avuti i riconoscimenti chemeritava, e che erano stati “concessi ad altri che non avevano certo fatto più di lui il proprio dovere” (15Dic. 1965, pp. 20-23, con 4 illustr.). S. ZAVATTI, che aveva raccolto anche qualche suo cimelio nel proprioMuseo Polare – cit. -, gli dedicò un necrologio nella sua rivista “Il Polo” (a. 1966, p. 11).

22) La notizia fu data da “Paese sera” il 19 Maggio 1968, e fu commentata da U. NOBILE ne “Il Resto delCarlino” del giorno successivo, mentre F. TROJANI espresse un proprio parere nel “Corriere della sera” del1º Giugno, suscitando una polemica col NOBILE, che in questo stesso giornale pubblicò i suoi interventi l’11Giugno, il 5 ed il 27 Luglio, il 20 Agosto e la conclusione il 3 Ottobre, mentre le repliche del TROJANIvennero pubblicate il 22 Giugno, il 17 Luglio ed il 18 Settembre.

23) Sceneggiato da Ennio de Concini, il film fu prodotto dalla Vides di Roma e dalla Mosfilm di Mosca, per laregia di M.K. Kalatozov (pseudonimo di Kalatozisili), e con musiche di Ennio Morricone; ebbe attoririnomati come Sean Connery (nella parte di Amundsen), Peter Finch, Luigi Vannucchi, Claudia Cardinale,ed altri noti in Unione Sovietica, mentre fu Mario Adorf ad interpretare egregiamento la parte di Biagi; lalavorazione era iniziata nel 1965, ma la presentazione fu fatta nel Natale 1969. S. ZAVATTI, nella Bibliografiacit. elenca passim vari articoli pubblicati durante la sua lavorazione e programmazione. Invece G.ALBERTINI ed A. SOLMI, in “Rotary” del Febb. 1970, segnalarono sue varie inesattezze storiche.

24) Oltre che nella cit. storia della radio di L. SOLARI e nelle cit. bibliografie di G. NOBILE STOLP e S.ZAVATTI, Biagi è ricordato nelle storie delle esplorazioni polari di P. GOBETTI e G. DAINELLI, ecc. Ma frala raccolte d’argomento polare – indubbiamente numerose, in tutto il mondo – oltre a quella cit. di S. Zavattia Civitanova Marche ho ammirata quella di Lino BRILLARELLI (precisamente a Portocivitanova). AMedicina l’intitolazione a Biagi del campo sportivo è scomparsa con la distruzione bellica di questo, ma nel1986 è stata fatta quella di una strada.

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A) UN ANNO ECCEZIONALE

Il 1960 fu un anno assolutamentestraordinario per il cinema:eccezionale per la sua specificastoria; spartiacque per il suorapporto con la società civile.Per una fortunata, non casuale,coincidenza nel 1960 viene prodottauna serie eccezionale di film :eccone un elenco sommario.Intanto i tre più grandi registi italianii maestri del post-neorealismo,toccano ciascuno l’apice della loroproduzione:• LUCHINO VISCONTI con “ROCCOE I SUOI FRATELLI” dà unarappresentazione icastica, di grandedrammaticità dell’esodo biblico deimeridionali al Nord (tre anni dopouscirà “IL GATTOPARDO”);• FEDERICO FELLINI con “LADOLCE VITA” stupisce per laoriginalità stilistica nel descrivereansie, vizi e drammi della Romapapalina e cinematografara di queglianni (tre anni dopo uscirà “FELLINI8 1/2”);• MICHELANGELO ANTONIONIcon “LA NOTTE”, il secondo dellatrilogia dell’incomunicabilità(insieme a “L’AVVENTURA” del 1959e “L’ECLISSE” del 1962), raggiungeforse il culmine del suo modoinquietante di narrare la modernitàdei sentimenti.E non è certo tutto qui!

I grandi del neo-realismo vivono unimportante ritorno:• ROBERTO ROSSELLINI si èappena ripresentato, dopo un lungosilenzio, con “IL GENERALE DELLAROVERE” del 1959;• VITTORIO DE SICA conquista dinuovo grandi riconoscimenti con“LA CIOCIARA”, che per altro lanciaSofia Loren come grande attrice.Anche per i maestri della “commediaall’italiana” il 1960 (e dintorni) è unanno di grazia:• LUIGI COMENCINI presenta“TUTTI A CASA”,• MARIO MONICELLI “LA GRANDEGUERRA”(1959),• DINO RISI “UNA VITADIFFICILE”(1961) e poi “ILSORPASSO”(1962).Appaiono nuovi registi con filmrimasti i loro capolavori:• FLORESTANO VANCINI con “LALUNGA NOTTE DEL ‘43”,• ERMANNO OLMI con “ILPOSTO”(1961),• FRANCESCO ROSI con“SALVATORE GIULIANO”(1961) e“LE MANI SULLA CITTA’”(1962).Infine si ricordi che comincia acommuovere e a scandalizzare • PIER PAOLO PASOLINI con la suaopera prima “ACCATTONE”(1961).

E se in Italia la decima musa tocca ilsuo apice, nel resto del mondo nonsi scherza: fate caso a questi titoli.Arrivano in Italia e creano subito

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IL CINEFORUMDI MEDICINA (1965-1968)

di GIUSEPPE ARGENTESI

Una esperienza di superamento dello schema “Peppone/Don Camillo”

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profonda emozione i più noti filmdello svedese • INGMAR BERGMAN: “ILSETTIMO SIGILLO”(1957) e “ILPOSTO DELLE FRAGOLE”(1958).Dagli U.S.A., fra gli altri:• ALFRED HITCHCOCK con“PSYCO”,• STANLEY KUBRICK con“SPARTACUS”, il suo film piùmassacrato e compromesso dalleesigenze commerciali,• BILLY WILDER con “AQUALCUNO PIACE CALDO” (1959),• STANLEY KRAMER con“VINCITORI E VINTI” (1961).Un’ondata di film giapponesi invadee stupisce per la prima voltal’Occidente:• AKIRA KUROSAWA con “ILTRONO DI SANGUE”(1959),• KANETO SHINDO trionfa aVenezia con “L’ISOLA NUDA”.Il genio dissacrante di • LUIS BUÑUEL genera“VIRIDIANA” (1961) e poi“L’ANGELO STERMINATORE”(1962).In U.R.S.S. un giovane regista, cherisulterà poi il più grande dopoEisenstein, • ANDREJ TARKOVSKIJ esce conla sua opera prima “L’INFANZIA DIIVAN” (1962).E’ in Francia, allora a noi più vicinaper gusto ed influenza, che con la“nouvelle vague” si produce unfenomeno per importanzaparagonabile all’Italia:• JEAN LUC GODARD con “FINOALL’ULTIMO RESPIRO”,• FRANCOIS TRUFFAUT con “IQUATTROCENTO COLPI”(1959) e“JULES E JIM”(1962),• ALAIN RESNAIS con“HIROSHIMA MONAMOUR”(1959)e “L’ANNO SCORSOA MARIENBAD”(1961).Una tale concentrazione dicapolavori in un periodo così brevenon la si è mai conosciuta nella

storia del cinema: allora cambiò,anche per questo, il rapporto delcinema con la società civile.

B) UNO SPARTIACQUE

Se già negli anni precedenti deldopoguerra (e forse già negli anni‘30 e ‘40) il cinema era diventato ilpiù grosso fenomeno/novità deldivertimento popolare di massa,credo si possa dire che il 1960rappresenta il discrimine, lospartiacque della percezione delcinema come maggior fenomenoculturale di massa dell’intero ‘900:nel senso che se pur già il film erastato considerato in precedenza arte,ma a livello di una ristretta éliteintellettuale, in quegli anni ladimensione artistico-culturale delcinema assume connotati di massa.Ne è prova l’importanza el’estensione dell’esperienza deiCineforum-Circoli del cinema, su cuitorneremo.Ancora di più tuttavia il cinema,specie nel nostro Paese, divieneelemento determinante delcambiamento di costumi, dicomportamenti, di atteggiamentisentimentali, sessuali etc., di quelfenomeno di modernizzazione e dipassaggio da una cultura contadina –dell’indigenza ad una industriale –dell’abbondanza che il boomeconomico dei primi anni ‘60tumultuosamente produsse.Chi allora, come me, era giovanenon può non ricordare la spiazzantemodernità di atteggiamenti delledonne e degli uomini de “La notte” e“La dolce vita”. Possiamo ancheparlare di anticipazione di quantopoi, in anni successivi, si espressenella battaglia per il divorzio enell’esplosione del ‘68.Vorrei infine sottolineare, seppursempre per cenni, il crescente ruolodirettamente politico del cinema,chiaramente percepito e in parte

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strumentalizzato dai dueschieramenti che in quegli annidividevano l’Italia, quello moderato-cattolico e quello socialista-comunista: strumentalizzato nelsenso che l’uso del cinema comestrumento educativo e di conquistadel consenso trovò espressione neltentativo di ognuna delle due parti dicostruire una propria diffusa rete distrutture di circoli del cinema (iCineforum da una parte comeappendici delle parrocchie; i Clubdel cinema dall’altra come appendicidei circoli ARCI).Ricordando tutto ciò e ripensando aititoli del precedente paragrafo,credo non si possa che convenirecon la definizione del ‘60 comespartiacque, di anno cruciale per laassunzione da parte del cinema di unruolo economico, culturale, sociale epolitico nella nostra società moltopiù importante che in precedenza.

C) ESPERIENZE DI RIFERIMENTO PER MEDICINA

In quegli anni fu tutto un fiorire diriviste specializzate di criticacinematografica, oggi per lo piùscomparse; per tutti il riferimentoera la mitica “Cahiers du cinéma”francese, ma si può ricordare“Cinema nuovo”, “Bianco e nero”, “Ilnuovo spettatore cinematografico”,“Cinema ‘60”,”Filmcritica”.“Cineforum” invece, nato nel 1961come organo della rete cattolica deicircoli Cineforum, è tuttora vivo evegeto ed ha festeggiato con la finedel 2000 il traguardo glorioso del suo400° numero.Sui maggiori giornali e rivisteimportanti scrittori e critici digrande prestigio commentavanosettimanalmente le novità , spessocon memorabili polemiche (ricordo,uno per tutti, Alberto Moravia).Per i medicinesi di allora, quelli che

divennero poi promotori dellaesperienza locale, credo di poter direche ebbe una particolare importanzal’attività del CENTROUNIVERSITARIOCINEMATOGRAFICO promossodall’Opera Universitaria (O.R.U.B.)che organizzava, che io ricordi apartire dal 1960 almeno fino a tuttoil 1963, cicli di proiezioni dei grandiregisti del passato e del presente,prima al cinema “Modernissimo” poial “Re Enzo”, la domenica mattina,con distribuzione di sinteticheschede di presentazione checonservo, senza successivocommento e discussione: ricordoanche una partecipazione in generestrabocchevole di studenti bolognesie non solo, visto che in parecchi,come me, si recavano anche dallaprovincia in città per assistervi.L’esperienza del C.U.C./O.R.U.B.stimolò poi quella del CINEMAD’ESSAI, di iniziativa pubblico-comunale, che, a partire dal 1965proiettava al cinema Apollo cicli difilm con uso esclusivo della sala, incollaborazione fra “CommissioneCinema” del Comune e “TeatroStabile”.Va ricordato che a Bologna ha ancheoperato lungamente e con successo,almeno a partire dal 1961, presso ilcinema Perla, trasformato poi in salaparrocchiale, il CLUB BOLOGNESECINEFORUM, aderente alla F.I.C.(Federazione Italiana Cineforum)cattolica, che si appoggiava allaveramente ottima e ben fornitabiblioteca dei Domenicani pressol’omonima chiesa.

D) LA NASCITA DEL CINEFORUM-CLUB DEL CINEMA DI MEDICINA

Nei primi anni ‘60 anche a Medicinala diffusione del cinema “culturale” el’avvio del suo uso in chiave di

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propaganda politica era una realtà:da una parte nella Sala Don Bosco,dall’altra nel Circolo Culturale ed ininiziative specifiche dell’A.R.C.I.,venivano proiettate, con caratteri diepisodicità ed univocità culturale,pellicole particolari, per lo più amezzo di antiquati, rumorosi e pocoaffidabili proiettori a superotto.Agli inizi del 1965 un gruppo diamici, per lo più studenti universitarima non solo, discussero dellapossibilità di costituire un circolodel cinema unitario, fuori dallevecchie divisioni in destri e sinistri,aperto a tutti, con ambizioniculturali significative, con uso di unavera sala cinematografica (ilGaribaldi), di vere pellicole, di filmimportanti.Certamente l’interesse suscitato el’efficacia dimostrata da iniziativenon di parte ma percepite comedell’intera comunità, come ilComitato di Gemellaggio prima e,più in piccolo ed in particolare, il

Gruppo Archeologico(A.C.R.A.S.M.A.) poi, costituirono unriferimento ed una base importanti.Condizione indispensabile di questaunitarietà fu allora considerato unequilibrio fra le due parti in tutto ciòin cui fosse possibile realizzarlo:a) nell’abbonamento a rivistespecializzate, per cui si scelsero“Cinema Nuovo” di sinistra e“Cineforum” cattolico, dovescrivevano due dei più ascoltaticritici di allora (G. Aristarco eG.B.Cavallaro);b) nella composizione del ComitatoDirettivo in cui le due parti furonoequamente rappresentate;c) nella scelta degli esperti chiamatia commentare alla fine il film dellaserata, scelti alternativamente oquasi fra esponenti delle duecorrenti di pensiero;d) nella composizione delle schededi commento, dove in genere trovavaspazio la nota di una rivista disinistra e quella di una di destra;

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Due schededelcineforumdiMedicina.La prima ède “IlVangelosecondoMatteo” diPier PaoloPasolini; laseconda de“Il settimosigillo” diIngmarBergman

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e) nella stessa programmazione deifilm, dove a un film impegnato sulletematiche sociali seguiva per lo piùun film a contenuto più idealistico oreligioso.Su una sola questione, rilevante, fuimpossibile mantenere questocriterio equilibristico: nella sceltadella organizzazione nazionale cuifare aderire il nostro circolo. Inquesto caso la componente disinistra accettò di fare un passoindietro e si decise l’adesione allaF.I.C. (Federazione ItalianaCineforum) di orientamentocattolico, che in verità appariva piùstrutturata, dotata di supporti e diarticolazioni territoriali. Alsottoscritto e ad Antonio Zini toccòin quel caso il compito, nonsemplicissimo né troppo gradito, diconvincere la nostra parte dellagiustezza e della accettabilità diquesto “sacrificio”.In quella situazione occorreva chequalcuno assumesse un ruolo digaranzia per tutti, quasi super partes,che venisse accettato, perriconosciuto equilibrio e per stimanella persona, come rappresentativodi tutti e di questo spirito unitario:questo ruolo fu esplicitamenteassunto e svolto con moltasensibilità e capacità da FRANCOPLATA, che era stato peraltro fra ipiù impegnati e convinti promotoridel Cineforum e che ne vennenominato Presidente.Anche se l’adesioneall’organizzazione cattolica noncomportò condizionamenti nella vitainterna del nostro Cineforum, cherestò sempre improntata aindipendenza ed equilibrio, tuttaviaqualche singolare esperienza fucompiuta, utile forse, in fondo, adaprire chi di noi la compì allamaggiore comprensione degliargomenti, degli stili, delle personedel campo avverso. Di questeesperienze ne ricorderò due.

La prima fu la partecipazione alCongresso nazionale della F.I.C. chesi tenne nella primavera del 1967 aPadova; si decise che la nostradelegazione fosse composta dalPresidente Franco Plata,ovviamente, e in più dal sottoscrittoe da Gigliola Selleri. Ci recammo,con l’auto di Franco, a Padova dove,in una grande sala conventuale,partecipammo per poco più di mezzagiornata ai lavori del congresso: unconsesso formato per lo più dapersonale religioso (preti, frati esuore), da cattolici di strettaosservanza, in una atmosfera moltoovattata, di stile molto curiale, contematiche spirituali e religiose, conqualche rito di accompagnamento(segno della croce etc.) ricorrente.Un ambiente certamente pococonsono, inusuale e piuttostoimbarazzante per una persona comeme educata al di fuori della liturgiacattolica e non adusa alleconvenzioni tipiche degli ambientireligiosi: ero d’altronde certamentel’unico comunista ateo in unconsesso di alcune centinaia dicattolici militanti. Ovviamente cilimitammo ad ascoltare e a qualchecontatto istituzionale del nostroPresidente.La seconda fu la partecipazione adun Seminario di alcuni giorni,svoltosi ad Assisi, di visione eapprofondimento di film diparticolare significato artistico-spirituale ( fra gli altri, vi fuproiettato in anteprima per l’Italia ilmitico “Au hazard, Balthazar” diRobert Bresson ), cui fu delegataGigliola Selleri. Per testimoniare lasituazione pratica e psicologica diallora, la mentalità corrente di queglianni, mi sembra opportuno riportarequello che Gigliola ne scriveva (daAssisi, 15/9/1967): “...Assisi è unacittadina serena e bianca. Hotrovato un distintissimo esimpatico prete (senza veste!) di

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Genova che mi fa da cavaliere.Abbiamo già parlato di tante cosea tavola (del divorzio, della pillolaad esempio)... Oggi mi vado avedere un po’ le chiese, col solitoprete... è arrivata la mia compagnadi camera, laureata ingiornalismo, simpatica. Ho parlatocon lei... del nostro Cineforum e dialtro... Lei sostiene che l’arte nelcinema non può essere distintadalla morale, e cattolica per giunta.Dice che Cineforum vuol direvedere il cinema dal punto di vistadella morale cattolica e che quindinon capisce cosa ci faccia uncomunista , ad esempio, nelConsiglio Direttivo di unCineforum... Comunque laconoscerò meglio, questagiornalista de ‘L’Avvenire’...!!!’.Questa posizione d’altronde facevail paio con quella di molti comunistiche allora concepivano il cinemasolo come strumento di denunciadelle brutture della società borghesecapitalistica e come espressione del“realismo socialista”: dueschematismi speculari, settarismo emanicheismo che lasciavano ancorapoco spazio al dialogo, allacomprensione reciproca, allatolleranza.

E) I PROTAGONISTI

Non riuscendo a ritrovare, se puresistano, i materiali del Direttivo,ricordo le persone checollaborarono al Cineforumpartecipando alla predisposizionedelle 32 schede che vennerodistribuite alle proiezioni; l’elenco èsicuramente incompleto perché altricollaborarono in diverse mansioni.Albertazzi Ilario, ArgentesiGiuseppe, Bergami Bruno, BertoliniGiorgio, Croci Bruno, Dall’Olio Alba,Dall’Olio Paolo, Dal Rio Vincenzo,Lamma Carla, Plata Franco,Rimondini Gianni, Romagnoli

Carmine, Rossi Enzo, SelleriGigliola, Tinti Renato, Zini Antonio.I nomi che più ricorrono nelleschede sono Argentesi (23 volte),Plata (16), Selleri (15), Zini (15).

F) GLI SCOPI

Nel novembre 1966, traendo leconclusioni del primo anno diattività, il Consiglio Direttivo, per lapenna largamente predominante diFranco Plata, esponeva con moltachiarezza gli scopi della propriaattività, in un Bollettino ciclostilatodistribuito ai soci. Li riportiamo insintesi:1) offrire l’occasione di vedere film

che difficilmente entrano neinormali circuiti distributivi;

2) rivedere film di valore e discuterli;3) presentare sintesi di un regista, di

una scuola, di una corrente;4) porre alcuni registi a confronto

fra loro;5) offrire occasioni di dibattito e

discussione anche con la presenzadi critici qualificati;

6) affrontare i molteplici problemidel mondo d’oggi, partendo dacome un regista ha visto una datarealtà;

7) riuscire finalmente a destare aMedicina interessi più profondi edimportanti dell’andare a caccia, apesca o alla partita di pallone;

8) educare e formare tutti i soci aduna coscienza critica di fronte alfenomeno filmico.

Ancora oggi appare evidente lanotevole ambizione, forsepresunzione, di un complesso cosìarticolato di obiettivi, certamente digrande impegno e con esigenza dinotevoli risorse che pur alloramancavano del tutto; se ben ricordoinfatti il Cineforum non ricevettemai alcun sostegno economico daorganizzazioni od enti, non cercòsponsorizzazioni e si autofinanziòtotalmente.

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Nel documento del Direttivocompaiono anche come significativi:a) la preoccupazione di fugare l’idea

“...che il Cineforum sia unariserva di caccia per uno sparutogruppo di intellettuali...”;

b) il giudizio critico sulla vitaculturale di allora a Medicina:“...Qui in paese ogni iniziativaculturale ristagna... Ogniaspirazione ad unmiglioramento spirituale,... aduna vita sociale culturalmentepiù elevata sembra siastranamente sopita neimedicinesi, piombati in unprofondo e duraturo letargo... colnostro Cineforum offriamo a noistessi la possibilità, se non altro,di fare un po’ di ginnasticamentale, ...di appagare alcune diquelle esigenze di elevazioneintellettuale che devono trovareposto nell’animo di ciascuno...”;

c) l’esigenza di contrastare “...unacerta razza di film... il dilagaredel cattivo gusto e della supinitàdel pubblico di fronte a certi

spettacoli... lepida esaltazione diviolenza e di brutalità (nonchédi bruttezza )...”.

Trovo sorprendente l’attualità ancoroggi, anno 2001, quasi quarant’annidopo, di queste osservazioni ecritiche, specie la terza, non appenasi sostituisca alla parola film quelladi televisione e si pensi alla funzioneda essa svolta in questi ultimivent’anni.

G) I FILM PROGRAMMATI

Vediamo come questepreoccupazioni, questi intenti, questiequilibri trovarono espressioneconcreta nei 34 film che venneropresentati nelle tre stagioni diattività del Cineforum.Non a caso si iniziò con “Il Vangelosecondo Matteo” di P.P. Pasolini:“...Occorreva un’opera d’urto, altempo stesso di indubbio valore e dipresa spettacolare, in grado distimolare riflessioni, discussioni,anche polemiche...; ...il primo seriotentativo di tradurre il testo

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Una scenadel film “Il VangelosecondoMatteo” diPier PaoloPasolini

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evangelico in linguaggiocinematografico ad un livelloartistico elevato..., fatto proprio daP.P. Pasolini, personaggio quantomai problematico e discusso,marxista e comunista professo...”,un’opera che alla Mostra di Veneziadel 1964 aveva ottenuto sia il PremioSpeciale della Giuria che il PremioO.C.I.C. (Ufficio CattolicoInternazionale del Cinema).Subito dopo però la prima serie fudedicata al cinema umoristico, confilm del francese Jacques Tati,dell’inglese Cliff Owen edell’americano Harold Lloyd:evidente la preoccupazione dicatturare un pubblico più largo,popolare, di non spaventare conproposte troppo seriose edintellettualistiche, di accentuareanche il carattere di divertimento delcinema.

Con la seconda serie del 1965-1966 iniziò la esplorazione digrandi registi, con film dell’italianoFederico Fellini, del russo S.M.Eisenstein, dello svedese IngmarBergman, del giapponese KanetoShindo.

Anche la terza serie del 1965-1966 fu interamente dedicata a I.Bergman, con tre film dei suoi piùnoti; un referendum svolto fra i soci,che riconsegnarono ben 123 schedecompilate, aveva indicato infattiqueste preferenze:a) fra i registi: Bergman 27%, Fellini

21%, Visconti 17%, Eisenstein 9%,altri 6%;

b) fra i temi: realtà sociale 35%,l’uomo moderno 21%, l’uomo allaricerca di Dio 14%, i giovani 11%;

c) fra le scuole: neorealista 25%,italiana 22%, americana 13%,verista 12%.

Anche in un successivo referendumil film più gradito risultò “Il SettimoSigillo” di I. Bergman (49%) davanti a“Fellini 8 1/2” (21%) e a “L’IsolaNuda” di K. Shindo (16%).Con l’inizio del secondo anno 1966-1967 la programmazione preseinvece un orientamento nettamentetematico, cercando di corrisponderealle richieste espresse dai soci neireferendum.La prima serie 1966-1967 fu infattidedicata ai giovani, giovani cometema e giovani i registi: due inglesiTony Richardson e Richard Lester,un francese Jean Luc Godard, uncecoslovacco Milos Forman. La seconda serie 1966-1967 ebbecome tema l’antimilitarismo confilm di Sidney Lumet, di ClaudeAutant Lara e di Stanley Kubrick(due film); essa fu accompagnatadalla presentazione ai soci di unciclostilato su cinema e guerra, conun commento dei quattro filmpresentati e di altre importanti operesull’argomento.A grandi registi fu dedicata anchela terza serie del 1966-1967: duemaestri italiani come LuchinoVisconti (due film) e MichelangeloAntonioni (un film).La prima serie del 1967-1968 fudedicata al meridione (QuestoNostro Sud), con film di

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“Il silenzio”(Bergman,1963)

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Francesco Rosi, Lina Wertmuller,Vittorio De Seta e Pietro Germi.L’amore fu quindi il tema dellaseconda serie 1967-1968, con filmdi Ingmar Bergman, di Frank Perry, diDesmond Davis; dell’ultimo film nonsono in grado di ricordare il titolo.Per tentare di recuperare consensicalanti, anche la terza serie del1967-1968 (ultima in assoluto dellavita del Cineforum) fu dedicata altema dell’umorismo inglese confilm di Richard Lester, di C. Reed edi J. Lewis e J. Summers, questavolta però con risultati più scadentiin termini di qualità.Scorrendo l’elenco dei 34 filmprogrammati non si sfugge allasensazione di una certa eterogeneità,casualità e discontinuità di livelloqualitativo di una parte delle opereproposte, alcune delle quali, inparticolare del terzo anno di attività,non hanno certo superato la provadel tempo; va però tenuto conto chele scelte del Direttivo trovaronolimiti oggettivi notevoli sia nellascarsità di risorse economiche sianella carente disponibilità dipellicole di qualità nella retedistributiva.

1965-1966

Il Vangelo secondo Matteo

I SERIE

Le vacanze di M. Hulot

Il braccio sbagliato della legge

A rotta di collo

II SERIE

Fellini 8 1/2

Alexandr Nevskij

Il settimo sigillo

L’isola nuda

III SERIE

Il posto delle fragole

Sorrisi di una notte d’estate

Il silenzio

1966-1967

I SERIE

Gioventù, amore e rabbia

Fino all’ultimo respiro

Gli amori di una bionda

Non tutti ce l’hanno

II SERIE

La collina del disonore

Non uccidere

Orizzonti di gloria

Il Dottor Stranamore

III SERIE

Rocco e i suoi fratelli

Ossessione

Deserto rosso

1967-1968

I SERIE

Salvatore Giuliano

I basilischi

Banditi a Orgosolo

Divorzio all’italiana

II SERIE

Una vampata d’amore

David e Lisa

La ragazza dagli occhi verdi

????

III SERIE

Dolci vizi al foro

Il nostro agente all’Avana

La zuppa inglese

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“SalvatoreGiuliano”(Rosi, 1962)

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H) LA DISCUSSIONE

La grande importanza data alladiscussione fu certamente un trattocaratterizzante della attività delCineforum di Medicina. Neldocumento del Direttivo già citato sidice infatti: “...E il punto piùimportante è proprio questo: lapossibilità che a ciascuno èconcessa, attraverso la discussione,di crearsi una coscienza critica,nel caso specifico cinematografica,che gli sia di aiuto e di sostegnonel vagliare in futuro i film chevedrà. Questa formazione di unacoscienza critica è uno degli scopiprincipali, forse il primo, delCineforum; solo attraverso di essasi può sperare di far breccia nelmuro di apatia, di assenteismo, didisimpegno morale che sembracaratterizzare il gusto delle plateedi oggi...”.Fondamentale, intanto, avere uno“...stimolatore del dibattito (chenon è la stessa cosa, anzi, di unconferenziere) che indirizzi,corregga se il caso, gliinterventi...”. Per questo ci si diedel’impegno di avere per ogni film unesperto che lo commentasse eavviasse il dibattito; specie il primoanno ci si garantì presenze dinotevole qualità:• Renzo Lenzi del Circolo Pavese laprima sera,• Adriano Di Pietro del Cineforumdi Bologna per due serate,• Davide Visani del CircoloCulturale di Massa Lombarda,• Gianni Rimondini per commentareI. Bergman,• Gian Paolo Bernagozzi, Presidentedel Circolo FEDIC di Bologna(successivamente titolare dellacattedra di cinematografia delDAMS) per un film di Bergman e peruna conferenza su Fellini,• Don L. Freni e P. Petazzoni percommentare due film di Bergman.

Importante anche la funzioneattribuita alle schede, che venivanopredisposte per ogni film per“...fornire... la possibilità didisporre di qualche accennocritico, e riprodurre in esse,qualora questo fosse possibile, ladiversità di opinioni espresse dallacritica...”: ne furono predisposte 32e in quelle dell’ultimo anno vivenivano indicate alcune domandeutili a stimolare la discussione,diverse e specifiche per ogni film.Specie all’inizio questi sforzi perottenere una discussine reale e largafra i soci diedero discreti risultati:ad es. dopo “Il Vangelo” di Pasolinisi dovette dedicare una serataapposita solo per discutere il film esi assistette ad un confronto moltovivace, ampio, critico e vario peropinioni e punti di vista. Altre volteperò, e furono le più, si ebbero solodue/tre interventi, dei solitivolonterosi, con scarsa attenzionedei non molti che si fermavano dopola proiezione, al punto che neldocumento del Direttivo si finisceper invitare a restare in sala i solieffettivamente interessati alladiscussione perché “...chi abbiainteresse alla sola proiezione nonsolo non è tenuto a restare, ma è...più utile da assente!...”.

I) RISULTATI E CONCLUSIONE DELL’ESPERIENZA

All’inizio della sua attività ilCineforum di Medicina registrò unindubbio successo: raccolse infatti248 adesioni a socio, datosignificativo in un paese che alloracontava più o meno 5000 abitanti (leadesioni dalle frazioni furono diconsistenza abbastanza scarsa,anche tenendo conto che ladiffusione di mezzi di mobilitàprivata era ancora relativa).Studenti e giovani diplomati

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costituirono certo la parteprevalente, ma non mancaronogiovani e adulti di diverse categoriesociali (operai, contadini, impiegati,autonomi).La presenza alle proiezioni, inmedia, si aggirò sul 70%-80% degliiscritti, specie nel primo anno.Nel secondo anno si mantenne unabuona adesione di soci, non moltoinferiore a quella del primo; un calomolto significativo si registrò invecenel terzo ed ultimo anno sociale, il1967-1968, quando ad alcuneproiezioni si registrò una presenzainferiore alle 100 persone. Era ilsegnale di un tendenzialeesaurimento dell’interesse perl’iniziativa: come già spesso per casianaloghi era successo, il paese sistancava abbastanza in fretta diimpegni continuativi di carattereculturale.Il ridotto numero di soci d’altraparte riduceva le già modestedisponibilità economiche : anche laprogrammazione ne risentiva e conessa l’attrattività delle proposte.Fra le cause della conclusionedell’iniziativa va considerato anche

il fatto che un certo numero deipromotori, studenti universitari, unavolta laureati e inseriti nel mondodel lavoro, oltre a disporre di unminor tempo libero, dovetterorisiedere stabilmente fuori diMedicina.Fra le cause oggettivedell’esaurimento dell’esperienza delClub del cinema-Cineforum diMedicina va tuttavia segnalato ilfatto che sul finire degli annisessanta cominciò il declino delcinema come prevalente formapopolare di divertimento: purtroppoil fenomeno televisione, che neglianni precedenti era rimasto ancoraper lo più limitato a bar, circoli ecase dei benestanti, invadeva le casedi tutti fino a monopolizzarel’interesse ed il tempo libero dellageneralità delle persone, a segregarenelle proprie abitazioni, a porre unaipoteca grave, da cui non siamo piùstati capaci di emanciparci, su tuttele iniziative collettive didivertimento e di confronto, diapprofondimento e di elaborazionesociale della cultura e dellacoscienza critica individuale.

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NOTA - L’idea di raccontare l’esperienza del Cineforum nacque da una chiacchierata con FrancoPlata nella quale valutammo ormai di un certo interesse ricostruire, quaranta e più anni dopo, lacondizione ed il clima di Medicina nel periodo a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60, in un passaggio cru-ciale caratterizzato da un lato dai primi segnali del cosiddetto boom economico, con le conse-guenti trasformazioni sociali, dall’altro, in campo politico dai primi tentativi di superamento,attraverso il dialogo e la collaborazione, dello schema “Peppone-Don Camillo” con la contrapposi-zione muro contro muro, il manicheismo reciproco, la separazione culturale e politica che avevacaratterizzato il primo decennio post-bellico. Ci parve utile farlo partendo dal racconto da partedei protagonisti di allora delle iniziative socio-culturali più significative che furono realizzate inquel periodo, come il Comitato di Gemellaggio, i Circoli ACLI, Culturale e Cittadino, l’ACRASMA,ma anche le organizzazioni politiche, sindacali, cooperativistiche. E’ ovvio che questo primo con-tributo potrà essere utile a comporre un quadro assai più complesso nella misura in cui altri pro-tagonisti di quelle ed altre iniziative racconteranno le loro esperienze ed i loro ricordi.

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QUANDO NEL DICEMBRE 1999Loris Prantoni tornò dalla sua

prima missione qualcuno gli chiesese sarebbe tornato in Antartide: “No,non penso”, rispose. Dopo tre mesiera già a Milano a fare le visitespecialistiche in preparazione allaseconda missione e nel mese didicembre 2001 ha concluso la suaterza spedizione in Antartide. Chissà,alcuni soffrono il mal d’Africa, altripossono sentirsi un po’ persi senzavedere chilometri e chilometri dighiaccio e neve, con la compagnia diqualche pinguino e qualche foca.

Prantoni lavora all’Enea dal 1994,anni in cui ha chiuso lo stabilimentoTemav di Fossatone, è stato percirca sei anni nella sede di Faenzamentre dal luglio dello scorso anno èstato trasferito a Bologna. L’idea diandare in Antartide girava nella suatesta già da parecchio tempo, piùvolte aveva scherzosamenteminacciato la moglie di partire e

spesso i suoi superiori avevanoprovato a convincerlo. Ma si erasempre rimasti alle parole fino ad unpaio di anni fa, quando, riflettendo afondo, Prantoni ha capito che lapossibilità che aveva era unica,un’esperienza che pochi al mondo sipossono permettere e sarebbe statoun errore lasciarsela sfuggire.Quindi fece domanda, si sottopose atest fisici e psicologici prima dicominciare il duro allenamento, unasettimana alla base Enea delBrasimone, dove gli venivanoimpartite nozioni di primo soccorso,antincendio, e dove lo buttavanonelle acque gelide del lago. Dopoquesti sette giorni un’altra settimanasul Monte Bianco, così, peracclimatarsi e prendere confidenzacon ghiaccio e neve. Qualche ferrata,qualche discesa nei crepacci equalche gita in motoslitta. Poi, setutto va bene, sei pronto per partire.

Ma a cosa servono le missioni italiane nel freddo Polo Sud?

Il Governo italiano ha sottoscritto iltrattato Antartico il 18 marzo 1981,mentre il 10 giugno 1985 è stataapprovata la legge che istituiva ilProgramma nazionale di Ricerche inAntartide (PNRA). All’attuazione delprogramma provvedono l’Enea (Enteper le Nuove tecnologie, l’Energia el’Ambiente ), il Cnr (ConsiglioNazionale delle Ricerche) e ilMinistero dell’Università e dellaricerca scientifica e tecnologica. Laprima spedizione risale al 1985 eservì per individuare, a Baia

MEDICINA D’OGGI

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LORIS PRANTONIIN ANTARTIDEdi CORRADO PELI

LorisPrantonisui ghiaccidel PoloSud

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Terranova, il sito idoneo perl’insediamento della base e perimpostare le prime ricerchescientifiche. Quell’anno il personaleera composto da 40 elementi, oggifrequentano la Base quasi 300persone, al massimo cento per volta,che si avvicendano durante i 6 mesilavorativi della base, da ottobre amarzo. Nelle prime spedizionil’Antartide era raggiuntaesclusivamente in nave, solo nel1989 sono atterrati i primi HerculesC-130 dell’aviazione, proprio quellisu cui ha volato Prantoni in questedue ultime spedizioni, laquindicesima e la sedicesima.La base Baia Terranova è sul mare,anche se, nei periodi più freddi, ilmare “vero” lo puoi vedere solo adiversi chilometri di distanza,perché tutto è ghiacciato. Alloggi,laboratori, depositi per carburante,osservatori, spazi ricreativi,insomma, la base ha il necessarioper non far rimpiangere troppo lapropria casa. Certo non siamo aMcMurdo, la base americana, dovevivono 1500 persone, ci sono le vie,tre bar e anche un albergo chiamatoCalifornia Inn, ma Baia Terranovanon è poi tanto male, si dice che simangi tanto bene che il personalespesso torna a casa sovrappeso.Ma ritorniamo alla domandaprincipale, perché andare inAntartide?Gli studi che si compiono nelcontinente antartico sono i piùsvariati, dalla geologia alle ricerchesul clima, dal famigerato bucodell’ozono al programma Euromet,sulle meteoriti. L’Antartide è comeun grande libro sulla storia delnostro pianeta, in alcuni punti lostrato di ghiaccio che copre ilcontinente arriva a 3000 metri dispessore e al suo interno racchiudepietre, meteoriti, fossili, bolle d’ariache ci aiutano a raccoglierenumerosi indizi sulle condizioni

climatiche dei secoli passati. Siarriverà così a ricostruire il climadegli ultimi 500 mila anni. A BaiaTerranova esiste inoltre unastazione sismica a banda larga cheva ad integrare la rete sismologicamondiale. Questa è solo una minimaparte di quello che si fa nelcontinente antartico.

L’esperienzadi Prantoni

Ma parliamo di Prantoni, lui è tra iprimi che arrivano, verso la fine diottobre, quando il ghiaccio stacominciando a sciogliersi, là infattista giungendo l’estate. Prantoniprecede gli scienziati chesuccessivamente sbarcheranno allabase per compiere i loro studi. DaBologna a Milano, da Milano a LosAngeles, da Los Angeles in NuovaZelanda o in Australia, e da lìl’ultimo balzo verso il continenteantartico. Prantoni passapraticamente due giorni senzamettere i piedi per terra. “E’ la partepiù dura - confessa -, non è il freddodel Polo Sud a stancare mal’interminabile viaggio, con tutti ifusi orari che si attraversano”.L’ultimo tratto lo compiono sui C-130 dell’Aviazione Italiana, 8 oreseduti su delle reti con i tappi aproteggere le orecchie dall’infernalerumore dei motori. Si arriva allabase distrutti e se proprio seifortunato potresti trovare qualchegrado sopra lo zero, ma potrebberoanche accoglierti 20 gradi sotto zeroe il famigerato vento catabatico,quello che ti solleva da terra e ti facadere sul ghiaccio. Lo sa benePrantoni che l’anno scorso siprocurò un lieve trauma cranicoproprio a causa di una folata divento improvvisa. Spiegare cosa avviene laggiù e qualisensazioni si possano vivere in unodei luoghi più inospitali del pianeta

MMEEDDIICCIINNAA DD’’OOGGGGII

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non è certo facile, così proviamo achiederlo al diretto interessato.

Cerchiamo intanto di capire qualisono le mansioni che ricopre nellamissione.“Sono mansioni di tipo logistico,cioè relative all’organizzazionetecnica della base. Mi occupo dellamanutenzione dei vari impianti,riscaldamento, acqua, gas e inoltre,avendo fatto il volontario neipompieri per vari anni, svolgoservizio antincendio agli aerei inarrivo e in partenza. Ma si deveessere pronti a fare di tutto”. Come si svolge una giornata tipo, seesiste, all’interno della base?“Solitamente la sveglia è alle 7, dopoessersi sistemati e aver fattocolazione alle 8.15 si comincia alavorare, la pausa è dalle 12.30 alle14, poi si riprende fino alle 19.30.Questo tutti i giorni fino al sabato,la domenica si dovrebbe smetterealle 12.30, ma spesso si prosegue

fino a sera. Comunque sono semprereperibile nel caso arrivi un aereo”.Quali sono state le esperienze piùintense?“Sono stato a Cape Washington,dove c’è una colonia di pinguini e aFront Mountain, campo base deinostri geologi. Due esperienzeindimenticabili. Quando, inelicottero, ci stavamo avvicinandoalla colonia di pinguini imperatoresembrava quasi di vedere unaspiaggia di Rimini, da tanti cheerano. Erano curiosi quando cihanno visto, si avvicinavano,facendo però una sorta di scudo peri piccoli, che stavano un po’ piùindietro.”L’Antartide è un continentecertamente inospitale, ma un po’ difauna esiste, sette specie diverse difoche, otto di pinguini, gli skua,simili ai nostri gabbiani, alcuniinvertebrati come acari ecollemboli, per quel che riguarda ilmare 12 specie di crostacei e circa

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LorisPrantonifra ipinguini

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200 specie di pesci di fondo. Perquel che riguarda la flora sono stateritrovate solo due specie di piantesuperiori, del resto, muschi, licheni,funghi e alghe.Il campo base di Front Mountain acosa serve? “E’ un cosiddetto campo remoto, noisiamo andati a montare una tendaper i geologi che sarebbero andati làa lavorare. Per raggiungere FrontMountain ci vogliono un paio d’orein elicottero, è in una zona interna,lì le temperature cominciano adessere molto più basse. In questoluogo i geologi raccolgono lemeteoriti riportate in superficie daighiacci. Qui le condizioni di vitasono veramente estreme”.I momenti più difficili delle suemissioni?“Il viaggio in aereo, sicuramente,soprattutto l’ultima parte, sul C-130,seduti sulle brandine, con le cuffienelle orecchie, è veramentefaticoso”.Non si tratta certo di un viaggiotranquillo quello dalla NuovaZelanda fino all’Antartide, il volo èprogrammato in questo modo: primadella partenza il pilota chiama labase a Baia Terranova, se il tempo èfavorevole si parte. A metà tragittochiama nuovamente, a quel punto, aseconda del tempo si decide: o si vao si torna indietro, perché se sioltrepassa quel punto non ci

sarebbe più carburante per farritorno in Nuova Zelanda. Ilproblema è che il tempo, in quellezone, non è certo facile daprevedere.Ci può descrivere il suoabbigliamento?“E un completo specifico dellaBailo, sotto abbiamo unacalzamaglia integrale, poi unamaglietta a maniche lunghe, e,sopra, la tuta imbottita, di scarponice ne sono diversi a seconda delleevenienze, sono comunque isolantifino a -70 gradi. I guanti sonomanopole con i sottoguanti, inoltrenon bisogna mai dimenticarsi dimettere gli occhiali da sole”.E’ vero che non era mai salito su unaereoplano prima di andare inAntartide?“Lo posso confermare, ora però misono abbastanza abituato”.Il progetto Antartide è stato alcentro di una delle serate dedicatealla scienza organizzate dal Comunedi Medicina in collaborazione con labiblioteca. Nella stessa serataPrantoni ha mostrato alcunediapositive fatte durante la suaesperienza. “Se le dovessi farevedere tutte staremmo qui delle ore,ne ho fatte tante per stare sicuro,qui non si ritorna tutti i giorni”.Vero, non si torna tutti i giorni, maPrantoni c’è già andato tre volte ec’è chi giura che non sia l’ultima.

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La cultura di una comunità, di unterritorio vissuto ed organizzato è

l’insieme ampio e sfaccettato degliusi, dei costumi, delle tradizioni,della lingua, dei modi e dei ritmi divita quotidiana e non. Cultura è ilmodo in cui si coltivano i campi, è iltempo del lavoro, del riposo, dellafesta, della preghiera, è il cibo che siconsuma, il modo in cui si cucina;anche gli abiti, le musiche e tutte lealtre espressioni produttive,intellettuali ed artistiche di unpopolo sono e fanno la cultura. Perquesto è davvero importante che lacomunità medicinese conservi lamemoria della propria cultura, larenda trasmissibile, la coltivi e lasostenga come un patrimoniocollettivo, non da ostentare ma daoffrire, da condividere. Il museocivico è un luogo di cultura, come losono la scuola, la biblioteca, leassociazioni, i partiti, le feste che siripetono e che celebrano i prodottidella terra, le tradizioni, lericorrenze. Il museo è il depositariodi molti aspetti checontraddistinguono la storia diMedicina e della sua gente.Dovendo parlare in modo esteso delmuseo, devo fare subito unapremessa: il museo e le suecollezioni sono nati dal lavoro e dalcontributo, anche patrimoniale, ditanti che hanno voluto insieme,magari senza conoscersi, costruireun luogo di memoria etestimonianza.A cominciare dalla raccoltad’utensili e strumenti della culturacontadina, esposta sola in parte, sideve ricordare che le donazioni sono

alla base della sua costituzione. Ilgrande telaio in legno donato daErmelinda Biancoli Tinti, nella suaapparente famigliarità con legenerazioni non più giovanissime, èinvece un oggetto preziosissimo, cheattesta modi e tempi del lavoro deltutto diversi da quelli di oggi. La piccola collezione di CheccoMarabini è un sapere enciclopedicoin miniatura sul mondo scomparsodell’agricoltura. Così la vastaesposizione d’archeologia è il fruttodel lavoro di ricerca e diricognizione di gruppi volontari, chesi sono succeduti nel tempo,impegnati nello studio del nostroterritorio e nella valorizzazione degliaspetti storici e archeologici. Il merito di aver iniziato araccogliere e documentare la storiadi Medicina e del suo territorio èstato indubbiamente di un gruppocostituitosi negli anni ‘60, promossoin particolare da GiovanniRimondini. Il lavoro disensibilizzazione allora avviatoconsentì di acquisire dai privatidiverse testimonianze che,nell’insieme, si sono rivelateimportantissime per la ricostruzionedi certi spaccati storici. Consentìinoltre di svolgere una rilevanteattività di ricognizione archeologicae di sensibilizzazione checomplessivamente - sia perritrovamenti del gruppo sia perdonazione di privati - ha portato aduna ricca e rappresentativa raccoltadi reperti, provenienti da varieepoche, del nostro territorio. Così le ceramiche votive - avute indono in gran parte da contadini, ma

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RACCOLTE E COLLEZIONIDEL MUSEO: LE DONAZIONIdi LORELLA GROSSI

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anche da proprietari di palazzi ecase urbane e da collezionisti ecultori - sono servite per ricostruiregli aspetti legati alla religiositàpopolare; così i bellissimi stucchineoclassici provenienti da VillaModoni poi Gennari hannocontribuito, nella sezione dedicataall’arte e all’architettura, ad illustrareil momento di massimo sviluppourbanistico di Medicina. Entrambequeste sezioni sono state arricchiteda altri doni di privati, tra cuiricordo il prezioso crocifisso inargento donato da Camilla Mascagni,che ha abitato lungo tempo nellestanze attualmente occupate dallabiblioteca, e il pregiato autoritrattoad olio su tavola di Antonio Dardani(Bologna 1677-1735) donato dalprofessore Giovanni Rimondini. Altrimedicinesi hanno avuto un ruoloimportante nella donazione allacomunità di patrimoni privati digrande rilevanza storica ed artistica.Grazie al maestro MedardoMascagni, infatti, la comunitàmedicinese ha beneficiato delledonazioni avvenute da parte delliutaio Ansaldo Poggi: un violino delsuo maestro Giuseppe Fiorini, unviolino realizzato dallo stesso Poggie l’intera bottega bolognese delliutaio nato a Villa Fontana. La ricostruzione della primafarmacia pubblica di Medicina, congli arredi e le suppellettili originali, èstata integrata da una sculturarealizzata per il museo dal dottoreGiovanni Rambaldi e donata perricordare la figura del veterinarioAdelmo Mirri, nato a Medicina edivenuto famoso per i suoi meriti nelcampo della prevenzione di gravimalattie epidemiche. Tra le donazioni più ingenti, checostituiscono un vero e proprionucleo espositivo e documentario, viè l’insieme dei disegni, delle opere,delle stampe e delle pubblicazionidel pittore Aldo Borgonzoni.

Borgonzoni è nato a Medicina nellevecchie strade che portavano nelborgo, tra la gente del popolo, tra ipiccoli commercianti e artigiani e trai lavoratori della terra. Nel lavorocreativo e artistico, le sue origini, lasua storia sono state semprestraordinariamente presenti,palpitanti. Mi raccontava Aldo unavicenda curiosa ed esemplare: tempofa, in un evento culturale edespositivo nella grande città diMosca, Borgonzoni parlando aipresenti con estrema naturalezza diMedicina, si stupì e si scandalizzò dicome queste persone, provenienti dadiverse parti del mondo, nonconoscessero il suo paese diprovenienza, terra d’origine di grandiarchitetti e fonte inesauribile dicultura e conoscenza. Questo fattorende molto chiaramente l’idea dicome Medicina sia sempre nellamente e nel cuore del maestro AldoBorgonzoni, nella sua vita quotidianae nel suo lavoro d’artista. Per questa

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A sinistra,AldoBorgonzoni,“Figure aComacchio”- 1956,inchiostrosucartoncino.A destra,Violino del 1933 delliutaioAnsaldoPoggi

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ragione e forse per altre, AldoBorgonzoni ha voluto donare allacomunità medicinese cento disegnirealizzati da lui ed altre opereprovenienti dalla sua personalecollezione d’arte. Questi lavori sonoesposti e conservati nel MuseoCivico di Medicina, con l’intenzionedi realizzare esposizioni temporaneea tema di tutte le opere donate. Ilrapporto dell’artista con Medicinanon è dato e definito, ma tuttora infieri, mutevole e in permanenteevoluzione. Le sue frequenti visite alMuseo e al Comune di Medicinahanno rinsaldato questo legame edhanno portato con sé altredonazioni: in particolare un caroamico e sostenitore del maestro, ilcommendatore Silvano Conti, hadepositato presso la sede municipaleun dipinto di grandi dimensioni,realizzato dallo stesso Borgonzonied a lui dedicato, questa tela piena dicolore ed energia è ora esposta nellaSala del Consiglio comunale; unaltro artista, molto legato aBorgonzoni, Aldo Galgano, hadonato al museo un austero ritrattodel pittore facendo grande onore allavoro di entrambi. La comunità ha

ricambiato questagenerosità espressada Borgonzonirealizzando mostretemporanee,recuperando lastraordinariapittura muralerealizzatadall’artista nellaCamera del Lavoronel 1948,pubblicandocataloghi emonografiededicate al pittoree allestendo unapregevolepinacotecadedicata alla sua

collezione. La donazione non è mai un’azionefine a sé stessa, ma piuttosto unmodo eccellente per condividerecon altri le opere del proprio talentoo i beni che il caso, la fortuna o laprofessione ci hanno portato apossedere. La condivisione di unbene dapprima privato con unacomunità e con il pubblico,arricchisce chi dona e chi riceve,impreziosisce il patrimoniocollettivo, quello di tutti, aumenta lapossibilità per ciascuno diconoscere e sapere, dà ai tantiun’opportunità dapprima riservata apochi. E, in questo momento in cuila vita di ognuno e di tutti sembracosì precaria, in balia d’eventidifficilmente governabili econtrollabili, è forse vero che i benimateriali valgono meno, e se hannoun intrinseco valore culturale e unavalenza per la storia e il patrimoniodi una comunità, è forse giustosoffermarsi a pensare alla possibilecondivisione. Una donazione, sesensata, ben accetta e gestita,moltiplica in maniera esponenziale ilportato di cultura che sta nelle cosee in coloro che le detengono.

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“Lasapienza” -Rilievo instucco, finesec. XVIII,da VillaModoni/Gennari

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IL DIALETTO, IL NOSTRODIALETTO, lingua persa e

abbandonata, dimenticata e negletta,talora ritrovata e recuperata consentimento.La lingua della nostra infanzia, dinostra madre (“scarr cum ut hainsgné tu mèdra” “parla come ti hainsegnato tua madre”, ci sentivamodire ogni tanto da qualcuno a cui ilnostro parlare italiano suonavairritante e incomprensibile a chi eraabituato al dialetto).Ma la decisione era presa; la sceltairreversibile: a scuola si insegnaitaliano e si parla italiano e i residuidel dialetto che talora affiorano sullanostra bocca e su quella dei nostricompagni venivano derisi eriprovevolmente ripresi: “a me mipiace” (a me um piés)...errore!,“bevere” (bàvar)...errore!, si dice: ame piace, si dice: bere!Eppure il dialetto è il legame deinostri sentimenti, del nostro formarsiuomini e individui attraversol’educazione e la cultura, tramandatae trasmessa in famiglia; il dialetto ciriporta ai nostri genitori e ai nostrinonni che molti di noi non hanno piùo che frequentano raramente.Analizziamola questa lingua, questeparole dolci e rozze, dal suonocarezzevole e aspro, tronche ebloccate a metà perché già il nostrocervello le aveva recepite; parolepronunciate e sentite diverse a pocadistanza di spazio (il tempo è piùconservativo).“Si dice così” “Noi diciamo così” “Tunon ti ricordi bene”...e allora ho

deciso di dire come mi ha insegnatomia madre, come ho sentitopronunciare da mia madre,prescindendo, quindi, dal fatto che laparola sia bolognese o romagnola, diImola o di Lugo.

“Port-m-al-giùr” diceva la mamma...Cosa sono? “T-an-li-vad? Aglièn-in-vàtta-a-la-tèvla” (Non le vedi? Sonosulla tavola) e si imparava che “algiùr” erano le forbici, ma la cosafiniva lì. “Perché si chiamano giùr?”...“Che domande fai? Non lo so, non sisa; se sono piccole sono “i giurén” (leforbicine)”... le grandi al femminile, lepiccole al maschile... mah!..; in seguitoapprendevi che si chiamano cosìperché in latino erano “cesoriae”(cesoie, dal verbo caedo: taglio); poil’italiano usò un’altra parola, forbici,appunto, però il dialetto restò fedelealla parola latina: le “caesoriae” e“cisoriae” diventeranno (d)giur e lìsono rimaste. C’è più storia e culturanelle “giùr” che nelle forbici.

“Nunàn l’è sempar davènti a la róla defug; us brusa i pí cumpagna aPinocchio” (il nonno sta sempredavanti al camino; si brucerà i piedicome Pinocchio)...Sì, ma “cusèla laròla?” “E’ il muretto del camino dovesi fa fuoco”:... ma “la róla”?. Più tardi,studiando gli antichi Romani e lalingua latina imparavi che si facevanosacrifici degli animali sull’altare(“area” in latino) e un altare piccolo,anche con fuoco domestico, era una“arula”. Tutti si impadronirono diquesta parola e la usarono, sacrifici o

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LA STORIADELLE NOSTRE PAROLEdi LUCIANO CATTANI

1) “SCARR CUM UT HA INSGNÉ TU MÈDRA”

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no, e il dialetto se ne ricorda: la “róla”o meglio “l’aróla” (ma chi parlava indialetto in genere non scriveva e poi,non era importante la differenzagrafica!).

Sul fare del giorno, quando però ilsole era ancora lontano, ma le stelleincominciavano a impallidire, ilbovaro (e buvèr) o il bifolco (e bióic)si era ormai alzato, aveva giàgovernato la stalla, guardava il cielo escopriva lassù un astro, che gli erafamigliare, che si era levato allora: erail momento di andare nel campo adarare coi buoi (la fatica enorme deibuoi era più tollerata nell’ora ancorafresca). Mio padre era quasi guidatoda quella stella, detta “la strelabuvarina”, la stella dei bovari o deibuoi, parola mai più sentita che mi

evoca una tenerezza indicibile... e ilbambino, svegliato dal genitore peraccompagnarlo nell’aratura, potevascegliere il lavoro: “parer só i bu”(incitare e frustare i buoi) o “sterdaventi ai bu” (guidarli nel solco)...ma il bimbo non faceva né l’una nél’altra cosa e si riaddormentava,magari sognando la “strela buvarina”,come fosse la stella cometa. E ilbabbo prendeva “e pià” (l’aratro), untempo “piolo” di legno, rinforzatodall’”agmira”; “la gmira”, parolamisteriosa e, forse, di lontane origini:ma no... era il vomere (vumìra ogmira, appunto) davanti al quale stava“e caultar”, che fendeva la terra con lasua lama. In seguito apprendevi che initaliano è il “coltro”, ma in latino era il“culter” ed eri fiero che il dialettoavesse mantenuto quella parola.

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La rólad’e camén(foto diEnricoPasquali)

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Misteriosamente, pur essendo in casala ricchezza modesta e le lire quasi unmiraggio, queste non venivano mainominate. “Ai à cumprè una caplina,l’à vrù vint scud” (ho comprato uncappello di paglia e l’ho pagato ventiscudi=cento lire); chi era ricco, era“on da baiuc” (uno da soldi); almercato del giovedì ci si sentivaapostrofare dai mercanti di Lugo, sesi voleva comprare un vitello: “In avìvdi bulén?” (ne avete dei bollini, deisoldi?); un paio di buoi potevacostare “un maranghén d’or” (unmarengo d’oro); quando si era inbolletta ci si lamentava: “An à gnancun french” (non ho una lira); chisubiva un furto: “Im an rubè eportafoi cun tott i sold dentar” (Mihanno rubato il portafoglio con tutti isoldi)... insomma in dialetto le lirenon sono mai esistite!

La “zdàura” (la reggitrice della casa)andava al mercato, portando ipulcini dentro al “burghén”. “Attentich’in s’arghèttan” (attenti che nonmuoiano soffocati) e portava a casa“i anadrén (gli anitrini) o “i ingén” (ifaraoncini, i piccoli della gallinaindiana: “ingìna”), che si mettevanosotto “e corg”. “Attenti cun i magnala troia” (Attenti che non li mangi lascrofa)! “Burghén” e “corg” sonoperduti per sempre: parole venute dalontano e sparite: L’uno era fatto di“zudlìna” intrecciata e aveva il suocoperchio pure di “zudlìna”; i pulcinivi stavano caldi come nel nido; “ecorg” era fatto “ed vinc”, di vimini amaglie larghe e serviva anche perportare “e lacc” (la pula del grano)nella stalla per fare il letto allemucche.

Le nostre mondine andavano in valle“a runchèr e ris” e il contadino nelsuo campo “l’ha da runchèr albiédal”: sarchiano il riso, tolgono leerbe infestanti alle bietole; “parrunchèr ui vol e runcàtt” (una

zappetta), ma per tagliare gli sterpi e irami grossi si usa la “roncola” e leparole con la stessa radice e lo stessosuono si rincorrono (fra i Medicinesiquanti Ronchi: brave persone e intutt’altri mestieri!). Il termine sianima: “runchèr” nel Medioevo,quando tutto il nostro territorio eraselva, palude, acquitrino e boscaglia,significava dissodare, disboscare,formare i campi, “i murì” (con le siepidi razze e more attorno: morelli,appunto) e creare l’attuale paesaggio.Quante località nel Nord Italiaricordano il ronco: Roncadelle-Castelroncolo-Roncofreddo-Ronconuovo-Roncobilaccio...

Diceva il ciclista sconsolato einfangato: “Prandèr a San Martén l’ètotta una burèla” (La strada che va aSan Martino è tutta una buca piena difango). Bella parola la “burèla”: ciragioni sopra, la studi e impari che èdi antiche origini (dal latino“butrium” e dal greco “botros”: fossa,torrente, buca). Quando non è tantopiccola è la “bora”. “Ragazzù, brisaandèr a fer al bagn in tla bora edVolta; as pol anghèr!” (Bambini, nonandate a fare il bagno nella bora diVolta a Ganzanigo, perché ci si puòannegare!); se poi è grandissima è un“burriàn” (per fortuna da noi non cene sono); se è piccola, “al buriunzén”(nel nostro canale, subito sopra allavatoio).

Come toponimo è molto diffuso e lotroviamo vicino a noi, Budrio, a pochichilometri da Medicina, e non cisembra di andare così in basso e cosìin fondo per arrivarvi; e men chemeno quando il ciclista in tenuta va aBudrio di Brisighella o a quello diCasola Valsenio.

Medicina... Midgìna o Miggìna dadove deriva?...Ah! Questa è un’altra storia, una bellastoria.

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Ricostruire l’etimologia o laprovenienza delle parole della nostralingua locale è operazione non solonecessaria alla conservazione ecomprensione del dialettomedicinese e del loro significato,bensì anche utile a ricordare leascendenze culturali ed i rapportiintercorsi fra i nostri antenati e gliabitanti di altri territori vicini elontani.Ho ascoltato e raccolto dalla vocedei più anziani parole dialettali perlo più rare e desuete, a volte quasidimenticate, e ne presento qui duesaggi: per alcune parole, cheiniziano con la lettera A, propongo

una ricerca etimologica; di altreracconto il viaggio che hanno fattoper giungere a noi, quelle che sonorimaste nel nostro dialetto, non lealtre che sono ripartite: in esserisulta evidente la regionegeografica da cui provengono o ilpopolo da cui inizialmente sonostate usate prima di trasferirsi consuono adattato al nostro substratolinguistico.“Brodo di serpe” pubblicheràsuccessivamente sia ilproseguimento di questo lavoro cheeventuali suggerimenti edintegrazioni che qualunque lettoremedicinese volesse comunicare.

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SCHEDE DI LINGUISTICA DIALETTALE (il segno< rimanda alla possibile origine della parola)

ÁIBI: abbeveratoio, truogolo; italiano arcaico: albio < latino ALVEUS=cavitàALLUIÉ: intossicato dal loglio < LOGLIO: pianta tossica che può esserecontenuta negli alimenti.“L’è cativ cmel loi”: è in collera, come chi ha mangiato del loglio.

AMGNÈRA : nel cortile della casa colonica, mucchio di fascine di legna per ilfuoco del camino o del forno < LEGNAIAANDAVÉN: corridoio, ingresso, passaggio < ANDARE o ANDARE E VENIREAPIÉ (1): acceso < APPICCIARE ( regionale) < latino volgare ADPICEARE,derivato di PICEUS = di pece, con riferimento all’uso di tale materiale pertrasferire il fuocoAPIÉ (2): rappreso, detto di latte o grasso < (R)APP(R)ESOARLÉN: graticciato, cannicciato, diminutivo di ARELA < etimologia incerta,forse legata al latino Hara = recinto di canne per maiali*ARPARÈLA: rondella per vite < REPARELLA, che ripara, protegge e chiude*ARSÓR: sollievo dalla fatica e dal caldo < RISTORO (?)*ARTURNÈ: ritorno della sposa alla casa dei genitori dopo una settimana dalmatrimonio < RITORNO*ARPIATÈ: nascosto < RIMPIATTATO < RIN-PIATTO = APPIATTITO <greco PLATYS*ARVÀJJA: piselli < RIVOLGERSI (avvolgersi), con riferimento allacaratteristica della pianta di avvolgersi su qualunque supportoAVAJÈ: scolorito, che ha perso il colore originale < arabo AWAR = dannoNelle parole contrassegnate con il segno * si può notare la presenza del prefissoAR - risultante dalla metatesi di RI -, fenomeno tipicamente emiliano.

2) NOTE ETIMOLOGICHE

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PAROLE CHE HANNO VIAGGIATO PER ARRIVARE DA NOI

CIUCIÁRI: zampognaro, suonatore di ciaramella < pastore proveniente dallaCIOCIARIA, subregione laziale. Un “ciuciari” è anche uno di poco conto, dimente e presenza fisica scarse.FIAMÉNGA: piatto ovale, da portata < dalle FIANDRE, terra deiFIAMMINGHIFRANZISÉN-FRANZISÍNA: gallo e gallina francesini, chioccia molto adattaper allevare e covare i pulcini < dalla FRANCIAINGÍNA: gallina faraona (in italiano), gallina indiana (in dialetto) < dalleINDIE, con riferimento all’area orientale del MediterraneoMAILA DÁGNA: mela (co)togna < da CUDONIA (CIDONIA), città dell’isoladi CretaMUGNÉGA: albicocca < da mela ARMENIACA (dell’ ARMENIA)PÁNG o PÁNDG-PUNGHÉN: topo e topino < da PONTICO, venuto dalPONTO in Asia Minore (latino : RATTUS PONTICUS)POLACHÉN o PULACHÉN: polacchini, stivaletti con stringhe < dallaPOLONIATUMÈNA: divano alla foggia OTTOMANA < da TURCHI OTTOMANI,comodo, rivestito di un bel broccato.“Der una tumanè a on”: picchiarlo al punto da stenderlo (come dire: metterloal tappeto).TURCA: gabinetto privo di vaso per sedersi, costituito da una pedana convaso a pavimento < dalla TURCHIA

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LETTERAD’AMOREdi CLAUDIO CAMPESATO

Tu non conosci Medicina, le suevie, i suoi angoli d’ombra. Tu non

la conosci perché vieni da lontano evedi il paese come si guarda unacampagnola modesta, appena carina.Sei di città, i tuoi occhi straripano diluci, non sai adeguarti ai chiaroscuridelle viuzze dove appare e scompare,come un amante, il sole di provincia.Provaci, fora quella superficialità acui ci stanno condannando, vieni conme nel profondo di acque centenariedove domina il silenzio e la luce èsolo una sfumatura.Vivono là sotto uomini che il tempoha dimenticato, ma che continuanocon i loro sguardi e le loro invisibilibraccia a tenere saldo quel lembo diterra su cui io e te passeggiamo,danziamo, ci abbracciamo. Non stupirti del silenzio serale, diquella mancanza di rumore che ti faparagonare Medicina ad un cimitero,non abbiamo anche noi due i nostrisilenzi? E quante volte succede che non avendo niente da dirci, stiamo lì

vicini, mano nella mano, felici solodella presenza, del respiro unodell’altro?Ascolta il respiro del paese, quandointorno tutto è muto, i brividi deglialberi, i sospiri eterni delle fontane,ascolta i passi di uomini invisibili cheritornano a vecchie case, cheriparano nei loro conventi.Le urla della merciaia, il piantodisperato del bambino smarrito,ascolta il brusio delle preghiere detteper te, per me, per tutti gli uominiche respirano affannosamente dietroqualche porta.Tu non conosci Medicina, anche semi piace pensare che non sia cosìlontano dal tuo cuore, io ti ho apertoil mio, e tu guardando dentro chissàquante volte hai visto quelle mura, icampanili, il fanciullino che andavasognante per le vie del mercato, ungiovedì mattino appena finita lascuola.Quel fanciullino sono io, ricordati,nessun cambiamento, nessun viaggiopotrà cancellare quell’ amalgama diprofumi, quei riflessi vespertini chevivono da sempre in me.Vorrei che lo capissi, e che questamia nostalgia non ti apparisse solocome pigrizia o scarsa voglia diconoscere il mondo, ma come unafedeltà incancellabile, un ripetutosussurro d’amore.Ed ora, se vuoi, possiamo anchepartire.

Profiloinvernale(foto diLuigiGalvani)

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LA CASA ROSSAdi ANTONIA GALVANI

Era una casa rossa, di mattoni avista, lucidati ad olio, posta in

angolo lungo la strada provincialeche le passava davanti, asfaltata,stretta e percorsa da qualchebicicletta, qualche carretto tirato daun cavallo, da una corriera di lineauna volta al giorno eda rarissimeautomobili, e perciòstesso moltopericolosa, e infattinoi bambiniavevamo laproibizione assolutadi attraversarla dasoli; l’altra strada,che chiudeva la casarossa in angolo, erain realtà unastradina dicampagna, nonasfaltata, biancasempre di sassi e dipolvere, di quelleche a camminarcilasciano dietro unanuvoletta bianca,alla maniera di PigPen, e portava allachiesa. Lunga inrealtà non più diduecento metri, misembrava alloralunghissima, e lafacciata della chiesache apparivaproprio alla finedella strada misembravalontanissima eirraggiungibile.Una fatica arrivarci.

La casa rossa era il centro dellanostra vita: da lì non uscivamopraticamente mai, ma in quell’angolochiuso tra le due strade c’era per noiun mondo sterminato dove eraimpossibile annoiarsi.Anzitutto il cortile che circondava la

Unavecchiaimmaginedellachiesa diGanzanigo

Ai figli, perché la memoria non si cancelli

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casa sui quattro lati, con aiuole efiori e cespugli e siepi su due lati,

dove potevamo perdercicome in una giungla

intricata di rami efoglie; e piante da

frutto, peri, unalbicocco epergolati di vigne

sugli altri due lati.Un intero universo.Rivista tanti anni

dopo, la casa mi è poiapparsa quale è in

realtà: una normalissimacasona di campagna

rettangolare, neanchetanto grande, con

un cortile,

neanche tanto grande, il tuttopercepibile ed esplorabile con unsolo colpo d’occhio. Ma per noibambini gli spazi erano dilatati,ampi, sempre nuovi e inesplorati;giochi infiniti si potevano inventarenelle lunghe giornate all’aperto,sempre diversi.Per esempio arrampicarsisull’albicocco, che partiva già quasida terra biforcato in due grossitronchi e sembrava proprioinvitasse a salire sui rami come sugradini su, verso l’alto; oppureesercitarsi alle sbarre su due ramirobusti del pero disposti quasiparalleli tra loro: mani sul primoramo, gambe sul secondo,

allacciarsi con le ginocchia emollare le mani

ricadendo a testain giù con ilarghigrembiulicheportavamo a

ricadere inbassoscoprendoci le

mutande, e dalì vedere ilmondorovesciato.E poi il

“lavandino”: era inrealtà un lavatoio di

pietra leggermente inclinatoper lasciar scorrere l’acquaverso un fossato esterno al

cortile, dove si poteva conun gesso disegnare le caselle e

giocare alla “luna” per interipomeriggi.

Ma il divertimento più grande dellavandino era quando -periodicamente - si faceva il bucatogrosso, quello delle lenzuola; e allorail lavandino si riempiva di dueenormi mastelli di legno, uno per illavaggio e l’altro per il risciacquo, edi due panche anch’esse di legno

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poste sopra i mastelli per insaponaree strizzare la biancheria, e di fianco,sull’erba, veniva montato il “fugone”(la traduzione che noi bambiniavevamo creato per il dialettale “alfugàn”) dove, acceso il fuoco nellaparte bassa, in un enorme paiolosovrastante veniva fatta bollirel’acqua che poi con infiniteprecauzioni veniva versata neimastelli.Anche in questa occasione, come pertutte le cose realmente divertenti,era proibito ai bambini avvicinarsi,ma nessuno strillo di donne potevaimpedire a noi di accostarci appenapotevamo al fugone per ammirare lescintille che volavano nell’aria efarci arrostire dal calore, o diavvicinarci ai mastelli per farcispruzzare dagli schizzi di acqua.E poi ai mastelli c’era la Noccia cheera per noi un personaggioveramente affascinante: era lalavandaia, una donna secca esegaligna sulla cinquantina.Ricordo che rimasi scioccata quandoseppi che “Noccia” che io credevo ilsuo vero nome era in realtà laversione dialettale di Annuccia,diminutivo di Anna, perché nonaveva la faccia da Annuccia, maproprio da Noccia.Era però un tipo allegro e gioviale: laricordo mentre faceva il bucato ecantava a voce spiegata “Che cosaimporta a me-e se non son bella, chec’ho l’amante mio che fa il pittore, emi dipingerà-à come una stella, checosa importa a me-e se non sonbella”.Credo che questa canzone avesseanche altre strofe, ma la Nocciacantava a tutta voce solo questa, e laripigliava dall’inizio appena arrivavaalla fine. Era insomma la canzonedel bucato.

...Quando nelle serate d’estatecalavano le tenebre, calavanoveramente, nel senso che tutto il

paese rimaneva immerso nel buio enel silenzio. Spente tutte le luci dellacasa, un po’ per risparmiare energiaelettrica e un po’ per non fareentrare le zanzare, l’unica luceesistente era quella di una lampadinacomunale sopra l’incrocio tra lastrada provinciale e la stradina cheportava alla chiesa: illuminavaappena l’incrocio e lasciava inpenombra il cortile davanti a casanostra. Gli altri tre lati eranoimmersi nel buio più profondo. Era ilmomento più bello e più pauroso pernoi bambini di giocare a nascondino.Nessuno aveva il coraggio dinascondersi dietro alla casa, tra glialberi, negli angoli dove frusciistrani, rami che stormivano, ombreche si muovevano, lucertole e rospitra l’erba ci riempivano di paura. Eraun altro mondo, non più quellofamiliare e conosciuto dei nostripomeriggi di giochi, ma un universonero dove per noi tutto potevasuccedere.E così finiva che mi ritrovavo sulcortile davanti a casa, seduta sulleginocchia di mio padre che se nestava su una poltroncina di vimini,sotto ad una capannina di rose, arespirare la brezza della sera.Ricordo noi due soli, nellapenombra, nel silenzio, sotto uncielo pieno di stelle.E mio padre guardava le stelle, e silasciava andare a considerazionifilosofiche sull’universo,sull’infinito, sulla nostra piccolezzarispetto al creato, sul nostro esserenulla rispetto a quello che cicircondava.E il conforto e la felicità che midava l’essere seduta sulle sueginocchia - io e lui soli in una serad’estate - non bastavano però atogliermi quel senso di piccolezza,di provvisorietà, di inadeguatezzache le sue parole mi suggerivano eche da allora non mi ha piùabbandonato.

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Nella casa rossa della mia infanzia igiorni trascorrevano praticamentetutti uguali: i nostri giochi, qualchelitigio di poco conto, la vita separatadegli adulti che non si incrociavamai con la nostra.Solo a volte qualche avvenimentostraordinario che ci riempiva dicuriosità, ad esempio un incendiouna sera d’estate in una stalla vicinoa casa nostra: ricordo che mio padremi portò a vederlo sul cannone dellasua bicicletta, là assieme a tanticuriosi, tutti ad ammirare questosplendido fuoco come oggi siassisterebbe ad uno spettacolo difuochi artificiali, senza che nessunodei presenti si curasse di spegnerloné di chiamare i pompieri, cheinfatti non vennero, e il fuoco siconsumò fino a lasciare sul terrenotravi annerite e fumanti.

A maggio c’era il rosario in chiesatutte le sere; ovviamente a me noninteressava in quanto rosario, maper la cornice che vi stava attorno:era di sera, col buio, si andava apiedi accompagnati da ragazze piùgrandi per la stradina bianca epolverosa, e tutt’attorno i campi digrano maturo, e centinaia dilucciole, e i profumi dei campi e deifiori, e nella chiesa profumata colportone spalancato tutte levecchiette che recitavano litanielunghissime e incomprensibili. Tuttoquesto aveva un suo fascino.Sempre a maggio le processioni:lunghe, cantate, con uno sciupio dirose incredibile, tappeti di petali dirose con al centro - sempre di petalidi rosa ma di colore diverso - lascritta “Viva Maria”. Ricordo una diqueste processioni fatta di sera contutti i lumini accesi dentrolampioncini di carta: uno spettacolo.

...Un avvenimento memorabile per

noi bambini era lo svuotamento delpozzo nero che accadeva, ahinoi,raramente, credo ogni due-tre anni ogiù di lì. Si trattava di questo: ilnostro gabinetto situato all’esternodella casa - un metro quadrato dispazio - consistente in un buco perterra con due mattonelleleggermente sopraelevate perappoggiarvi i piedi, non aveva cometutti gli altri gabinetti del paese lefognature perché appunto questenon esistevano, e aveva quindi unpozzetto sottostante cheperiodicamente doveva esseresvuotato. (Eravamo comunque tra lefamiglie fortunate che possedevanoil gabinetto; in altre abitazioni nonesisteva proprio e si risolveva ilproblema andando in bora, in mezzoall’erba e ai cespugli).Quando vedevamo arrivare ilcarretto cominciava per noi la festagrande: era un carretto di legnotrainato da un somaro e condotto daun tizio munito di una lunga perticain fondo alla quale era legato unbidone di latta con del fil di ferro.L’omino piazzava il carretto,sollevava il pietrone che chiudeva ilpozzo nero e per noi disposti attornoin semicerchio a guardarenonostante gli strilli della nonnacominciava lo spettacolo: la perticacol bidone si tuffava nel liquamenero e puzzolente e lo rovesciava nelcarretto sgocciolando, schizzando,debordando, traballando in un fetoreacre e nauseabondo che sidiffondeva ben oltre la casa, unodore pungente e disgustoso, dimerda liquida e nerastra cheavvolgeva tutto e tutti. Mentre mianonna si affannava per tutta ladurata dell’operazione a spargeresecchiate di acqua per terra dove ilbidone con pertica lasciava la sciadello sgocciolamento, noi bambiniaffascinati non perdevamo una

Variazioni sul tema

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mossa ipnotizzati da quellamerda liquida e traballante,giù nel pozzo, su nel bidone,giù nel carretto. Quando ilcarretto a operazioneterminata se ne andavascossando ancora merdaqua e là, vanamenteinseguito da mia nonna checontinuava a rovesciareacqua a secchiate per tuttoil cortile, il puzzo acre - cheavrebbe continuato a farsisentire per giorni e giorni -ci faceva lacrimare gliocchi, ma che importava,eravamo ancora inchiodatilì affascinati da quellospettacolo.Capimmo che il progressoera arrivato anche aGanzanigo quando ungiorno vedemmo arrivare, alposto del carretto colsomaro, un camion conautobotte e un tuboflessibile che inserito nelpozzetto aspirava il tuttoscaricando direttamente nelserbatoio. Gran parte deldivertimento andava cosìperduto, ma la sortebenigna un giorno ci venneincontro: per non so qualeerrata manovra a un certopunto il tubo sfuggì di manoall’addetto dell’operazionecol motore acceso quindi inpieno funzionamento: iltubo come avesse vitapropria si divincolò, sidimenò impazzito come ungrosso serpente roteando adestra e a sinistraschizzando merda ovunque,in alto e in basso, in tutte ledirezioni, prima che l’uomostravolto potesseriprenderne il controllo. Una felicità. Un giorno chenon abbiamo dimenticato.

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Il mondofuori casaIl mondo fuori dallacasa rossa eradavvero piccolo:alcune case allineateai due lati dellastrada provinciale, lastradina che portavaalla chiesa lungo laquale vi erano lescuole elementari,qualche bottega ecampi di grano tuttointorno. Per noibambini era ancorapiù piccolo perchéerano pochi i posti incui ci era permessodi andare.Uno di questi era labottega della Merope,in pratica l’unicospaccio del paese:una botteghinaminuscola, sempreaperta perché da unaporticina dietro ilbanco di vendita siaccedeva alla cucinadei proprietari cheera - come in tutte lecase - l’unica stanzaabitata, e il bottegaioera quindi sempredisponibile all’entratadei clienti.Il banco di venditadisposto ad angoloretto divideva in dueparti la bottega: laparte frontale erariservata alla venditadi alimentari edrogheria, il banconelaterale fungeva databaccheria e daosteria. Era questa lazona di Pippone oste-tabaccaio, un

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giovanottone grande e grosso comelascia intuire il suo nome che lì siintratteneva con un certo numero diclienti fissi che bevevano bicchieridi vino e discutevano con lui dicaccia, accompagnati da una seriedi cani bavosi accovacciati ai loropiedi.Quanto alla Merope, una vecchiettasecca di età indefinibile addettaall’altro reparto, per molto tempoho creduto che fosse la madre diPippone, fino a che mi fu detto conaria scandalizzata che era“signorina”.La Merope “era” la bottega, credoche abbia vissuto tutta la sua vita lìdentro, parte lei stessadell’arredamento. Per qualsiasibisogno casalingo, burro, zucchero,mortadella, noi bambini venivamomandati dalla Merope (e mai peruna spesa intera, ma sempre soloper un singolo prodotto alla volta, enon ho mai capito il perché). Noicomunque andavamo volentieriperché era pur sempre un girettofuori di casa e la bottega aveva unche di misterioso e di oscuro, forseanche per la penombra quasi totale.Dall’alto del soffitto pendevano sulbanco fin quasi a toccare glialimentari delle lunghe strisce dicarta moschicida piene di moscheappiccicate morte o agonizzanti,talune ancora ronzanti o chedibattevano le ali. Anche quello mistupiva e mi incuriosiva, comepotesse la Merope servirti e parlartial di là di quello sbarramento dimosche morte, apparendo esparendo tra le strisce di carta.La bottega di Vincenzo, ilfruttivendolo, invece era piùaccogliente: appena entrati sul latodestro le cassette di frutta everdura, al centro della stanza iltavolo e le sedie in cui lui e lamoglie mangiavano, su una parete lacredenza della cucina, su un’altrauna distesa incredibile di tegami di

rame appesi al muro tuttilucidissimi e brillanti e in un angolola moglie, seduta a quello che credofosse un telaio a mano, filava la lanada mattina a sera. Una scena dapieno Ottocento.Da Aldo il fornaio (mi sembrava giàvecchio allora, e invece ho saputoche è morto qualche mese fa, acento anni tondi) andavamo invecea prendere le crescentine almattino da mangiare con i chicchid’uva, e intendo proprio i chicchi,perché non staccavamo mai igrappoli ma solo gli acini uno aduno, e alla fine dalla viterimanevano a penzolare i grappolivuoti.Ma ci andavo anche per farmirisolvere quei terribili problemi diaritmetica in cui due treni partonoalla stessa ora ma vanno a velocitàdiversa, e a qualcuno interessamoltissimo sapere a che ora arriveràil primo e a che ora il secondo;oppure quelli in cui una vasca vieneriempita di acqua e poi subitosvuotata e si vuole sapere quantisono i litri di acqua e quali i tempidi svuotamento e cose del genere, ea me sembrava tutto assurdo perchéin casa nostra esisteva solo ilrubinetto del secchiaio per lavare ipiatti, più un lavandino per mani efaccia e una catinella per fare il“bagno”, che comunque bagno nonera perché bisognava lavarsi apezzetti dato che nella catinella nonci si entrava tutti interi. Ricordo ilrito della “lavazione” del sabatopomeriggio; nella catinella posta suuna sedia ci si lavava dalla cinturain su, poi messa in terra la catinellavi si entrava per lavarsi dai piedialla vita. Credo che anche noi, nelnostro piccolo, non fossimonormalmente molto puliti, ma si sa,è una necessità per i poveri esserebrutti e sporchi, e poi ci simeraviglia se diventano anchecattivi.

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Valori...Quando era stagione vedevo lemondine che tornavano verso seradalle risaie: venivano su per lastrada della chiesa di ritorno dalla“Malvazza” cioè Selva Malvezzi, inbicicletta, con i loro fazzolettoni intesta con un’enorme visiera dicartone incorporata a ricoprire ilviso per ripararlo dal sole, estivaloni di gomma alti fino allecosce, e le loro povere cose,tegamini, borracce, legate allabicicletta. E la Berta, anch’essamondariso stagionale, ci raccontavaalla sera del loro lavoro durissimo,delle loro rivendicazioni, dell’arrivoimprovviso dei celerini a menarebotte.Erano gli anni delle lotte sindacali eanche a noi bambini ne arrivaval’eco. Il centro della vita politica diGanzanigo era il “Circolo”, cosìveniva chiamato un grande edificiodi fianco a casa nostra a due piani,convesso, rotondeggiante e distampo vagamente fascista: erainvece il centro dei lavoratori, conuno spaccio cooperativo e ungrande bar-osteria al piano terra euna enorme sala per le riunioni alpiano superiore. Davanti, all’aperto,tavoli e panche dove specie d’estategli uomini si fermavano a bere, adiscutere e a giocare a carte.Ricordo i comizi in tempo dielezioni diffusi con l’altoparlante ericordo le musiche di “Bandierarossa” e dell’Internazionale che atutto volume aprivano e chiudevanoi discorsi degli oratori, e la gente

raccolta ad ascoltare e a discutere,e mi sembrava un mondobellissimo, per il quale valeva lapena di lottare.Dietro al Circolo in un grande pratosi tenevano le feste dell’Unità, conla lotteria nella quale io non vincevomai niente, e tanta gente allegra e infesta con le bandiere rosse, e ifazzoletti rossi al collo e i garofanirossi in mano, e io anche se nonpartecipavo di persona ero pursempre là, separata solo dallarecinzione di metallo che dividevacasa nostra dal Circolo e mi sentivoparte anch’io di quel mondo infesta. Questa mia partecipazionecosì istintiva, spontanea, viscerale,mi ha certamente segnato: è statal’inizio di una adesione a certi valoriche poi col tempo è diventata nonpiù solo emotiva, ma ancherazionale.Per un certo periodo funzionòanche, in un locale annesso alCircolo, un asilo nido per i bambinidei lavoratori che non volevanomandare i loro figli all’asilo dellesuore che sorgeva, quello sìufficiale, dietro alla chiesa.Era il mondo di Peppone e donCamillo, insomma, il mondo divisoin due degli anni cinquanta, con ilavoratori del paese che facevanocapo al Circolo, e le famigliecontadine – che vivevano sparsenelle campagne – che facevanocapo alla chiesa. Fu così cheGanzanigo – uno sputo di paese –ebbe due asili nido.

...e altri simili insettiLa casa rossa oggi non esiste più. E’stata trasformata in un villinointonacato di bianco, ingrandita conun’ala aggiunta, con un cancello

elettrico a sbarrare l’entrata e inanetti e Biancaneve nel prato.Neanche il paese esiste più,accresciuto da villini nuovi e

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pretenziosi, trasformato in unmoderno centro residenziale.Per questo ho deciso di scriverequeste righe, perché la memoria non sicancelli.Non sono semplicemente passaticinquant’anni, è finito un mondo chesembra oggi distante anni-luce.Una sola volta in tutti questi anni misono ritrovata incredibilmenteimmersa di colpo nel mondo di allora:è stato quando discesa da una nave dacrociera per una escursione ad Efeso,in Turchia, all’entrata della valle degliscavi archeologici, in una mattinata disole di primavera avanzata, sotto uncielo terso e limpidissimo, mi sonosentita all’improvviso aggredita dagliodori della mia infanzia, profumiintensissimi di erbe e di piantearomatiche: gli odori di Ganzanigo.

Che dire ancora?Sono stati anni felici.Anni poveri anche, in cui la felicità eraavere cinque lire per comperarsi unacaramella mou da Vincenzo o dieci lireper prendere la magnesia dallaMerope, e poi lasciarla scioglierelentamente in bocca sentendolafrizzare e pizzicare sulla lingua.Anni in cui si mangiavano tutti i giornia mezzogiorno inesorabilmentemaccheroni (mai capito comunqueperché - pur nella ristrettezza deitempi - non si potesse una voltavariare facendo, che so, spaghetti) e disecondo un etto di mortadella colpane (anche qui idem come sopra: maicapito perché non si potesse averenon dico prosciutto, ma un etto disalame o di pancetta). Di verdura,quella dell’orto. La frutta direttamentedagli alberi. La domenica però,minestra in brodo e la carne. Fu unlusso quando una sera la Berta ciportò da Bologna, dalla casa in cuiandava a servizio, del the che noi nonconoscevamo e ce lo preparò, e a meparve addirittura un gioco di prestigioquando, schiacciando un limone

dentro ai bicchieri pieni di un liquidoscurissimo, riuscì a farlo diventare diun colore giallo dorato.Anni poveri anche nei divertimenti,che non c’erano e quindi bisognavainventarli.Niente tv che non esisteva, il cinemalontano e irraggiungibile e allora siinventavano i giochi: con i sassolini sidisegnavano le case sul marciapiedeche girava tutto intorno alla casa rossae al posto delle bambole che nonavevamo c’erano le figurine di cartaritagliate dal Corriere dei Piccoli;oppure si giocava per ore a pallacontro il muro (Muovermi - Senzamuovermi - Senza ridere - e quibisognava subito fermarsi e passare lapalla agli altri perché non si riusciva adirlo stando seri, appunto “senzaridere”).A volte per la noia si inventavanogiochi scemi tipo ad esempio colpirecon un elastico le mosche che siposavano istupidite dal caldo estivosui muri della casa, e contare poi icadaveri in terra per stabilire chi era ilvincitore, o addirittura giochi rischiosioltre che insensati come schiacciaretra due marelle, cioè sassi piatti, aduna ad una le api che a decineronzavano sui cespugli di settembriniin fiore.Anni poveri, e freddi vorreiaggiungere.Inverni lunghissimi in una casa in cuiera riscaldata solo una piccolissimacucina con una stufa a legna, e tutto ilresto era gelato. La felicità d’infilarsiin un letto caldo perché riscaldato col“prete” e la “suora” piena di bracicalde, ma al mattino l’acqua gelida perlavarsi, e uscire di casa per andare algabinetto, con la pioggia o con la neve.Erano gli anni cinquanta, e sembrapreistoria.Tutto questo è stata per me la casarossa: giochi, risate, scoperte, odori,sapori... e, per dirla come mio padre,altri simili insetti.Insomma, l’infanzia.

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RICORDIIN VERSIdi GIGLIOLA SELLERI

L’ESSER vissuta nei primi anni divita in famiglie patriarcali,

chiuse, ancorate alle tradizioni, dibraccianti e di contadininell’immediato dopoguerra halasciato ricordi tanto più indelebiliquanto più rapido poi è stato ilcambiamento di ambiente, diabitudini, di valori e anche di linguacon il trasferimento in un paese tuttoproteso al progresso economico esociale e attento ai fermenti politicidegli anni cinquanta.

La consapevolezza che quellolasciato era un mondo destinato afrantumarsi, a scomparire lo ha resopiù prezioso ed ha cristallizzato ogniricordo: giovani zii che facevanogiornata nei poderi altrui, una zia“arzdaura”, la grande e miseraavventura della nonna che, ragazza,vissuta in Brasile come emigrata,aveva seguito in Italia il suo sposo,emigrato anch’egli, adattandosi avivere fra le risaie e rimpiangendo,chissà quanto, la lontana “America”.

Nella larga piana terra grigiala casa sola di sicura pietra.

Il ricordo di un inutile corridoioconduce a uno scuro focolaredove si aprono calde patate.

Sale per scale, larghe allora– oggi sarebbero strette –la bambina che crededi essere adulta...

Di una notte soltanto ha memoriadel buio silenzio delle stelle, fuoridelle grandi stanze spogliedell’odore semplice di stantie mele rossedel profumo povero della farina nei sacchidel rassicurante respiro sonoro di due uomini stanchi.

Al mattino sola fra i grossi lenzuoli- i grandi sono già al lavoro -due scarpe da festa non suedimenticate a lato del lettole dicono della vita che è fuorioltre la casa, oltre le terre di risaie.

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LLAA LLIINNGGUUAA DDEELLLLAA MMEEMMOORRIIAA

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E’ come vederle da lontano:una minuta vecchia vestita senza coloritiene la bambina per manocamminano lungo una cavedagnaai lati i campi più bassi... forse la nonna racconta pianostorie di un tempo e di un luogo lontanoin una linguache non è della fatica e del presente.

Nella terra il sole di mezzogiornofiacca le gambe e le braccia degli uomininell’ombra della casa mani di donna,schiudendo bianche pagnotte,svelano alla bambinale leggi della vitache si credevano immutabili.E il canto di una vecchia romanzad’amore e di morte...

La sera - le scale al lumesono lucide e rossedi pulito e di fatica -la donna promettenella lingua dei campiuna ciliegia canditae la solita favola antica“A’ ira una volta trai ucarin...”La bambina nel letto accogliepian piano la voce sempre più stanca,pascolo protetto di tenerezza.

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Page 93: Menabò 2002 ok 25-04-2012 11:27 Pagina 1...efficacissimo contro d’ogni male et infirmità. E proseguì il suo viaggio per la Romagna, Marca d’Ancona e ducato di Spoleto, che tutto

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In limpidi giorni d’estate in dolci pomeriggi di settembre si andava per strade di polvere e di biancospino. Lasciavamo il paese alle spalle ritornavamo alla grande casa.

La madre era giovane allora e ogni volta si spaventava del saluto sgangherato e terribile di un povero scemo che, solo, in un campo arato, credendo di partecipare alla vita, correva e agitava le braccia.

La strada si faceva più segreta diventava verde cavedagna: l’odore non era più bianco ma fresco di umidi fossi. L’incauto ponte di tronchi sconnessi sembrava essere lì per magia, l’ultimo invito... e là in fondo la casa.

Dall’aia e dalla cascinasolo i piccoli, scalzi, ci facevano festa.Piaceva l’insolita allegria della madreincuriosivano le scarpe e i nastri della bambina.L’arrivo di altri non allontanava le donnedalla buia, silenziosa cucinanon alzava il vecchio, disarmato ormai,dalla sedia di pagliané le sue mani incrociate sul bastone(le mosche conoscono la sua immobilitàe complici partecipano al suo silenzio)

Improvvisa nasceva una festa di richiami, di voci e di urgenti faccende e la libertà dei bambini giocava a tuffarsi sui covoni di paglia a scoprire nei tiepidi nidi i caldi doni bianchia rincorrere tra le stoppie con malvagia tenacia una lenta scrofa a spiare turbati e impertinenti una cagna in calore che si dava passiva all’istinto fugace.

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Come il sole era alto il bisogno di riposo e di ombra portava a casa gli uomini dal campo.Erano stanchi e severi sembravano fieri di essere maschi che soli san fare le cose importanti. Alla lunga tavola poche parole e il cibo non preso, ma dato. Alla madre di tutti quei figli non spetta sedersi accanto al suo uomo.

Basta andare per vigne e sapere il filare: rara uva, di chicchi radi piccoli e grandi, trasparenti sotto l’acqua gelida, imprigionata e domata da una bocca metallica.

O aspettare adagiate su lunghe pale, lente ed esperte, fette di zucca calde di forno colorate di giallo e di arancio del sole di cento giorni d’estate e mangiare affamati il sapore della terra.

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Impaginazione, grafica e copertina

STUDIO PINCHIORRI - BOLOGNA

La foto di copertina è di

LUIGI GALVANI

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