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Medicina del lavoro Lezione 2(3\10\14) La medicina del lavoro si differenzia dalle altre pratiche specialistiche perché si occupa delle patologie lavo- ro correlate. Il medico del lavoro ha il compito di visitare i lavoratori prima di iniziare l’attività lavorativa per giudicarne l’idoneità al lavoro, e durante la stessa per individuare eventuali patologie professionali. I fattori di rischio sono classificati in rischi per la sicurezza o infortunistici, per la salute o di natura igienico alimentare (correlati all’esposizione ad agenti chimici\fisici\biologici) , per la sicurezza e la salute (riguarda- no la sicurezza sul lavoro valutando anche l’impegno emotivo). Anche l’operatore sanitario è ovviamente esposto a fattori di rischio. Nello specifico lo specializzando , con- siderato a tutti gli effetti un lavoratore, verrà sottoposto a visite di idoneità lavorative e a seconda del re- parto è esposto a fattori di rischio operativi più o meno specifici . Tra questi: rischio biologico , correlato al contatto con emoderivati o patogeni aereodispersi rischio allergologico , ad esempio ai guanti in lattice; rischio ergonomico , che riguarda alcune classi specifiche ovvero i chirurghi in relazione a posizioni incongrue che assumono o anche per la stazione eretta prolungata possono in- correre in patologie discali, così come gli stessi infermieri soggetti a patologie discali o disturbi del cingolo scapolare; rischio correlato allesposizione ad agenti fisici ovvero radiazioni ionizzanti; agenti chimici ( ad esempio infermieri adibiti alla preparazione di farmaci antiblastici che se non accuratamente manipolati espongono ad un grave rischio per la salute sia di tipo neoplastico che al sistema cardiocircolatorio): rischio stress. Tratteremo in particolare il RISCHIO CORRELATO AL RUMORE (stress fisico). Che il rumore sia un fattore di rischio è risaputo da tempi antichi, basti pensare che già Plinio il Vecchio in tempi remoti si fece costruire una camere da letto per non udire gli schiamazzi degli schiavi, gli stessi Cice- rone e Seneca raccontavamo come gli abitanti della Valle del Nilo avessero l’udito compromesso per il ru- more delle cascate e nella città di Sibari era vietato introdurre all’interno delle mura galli che potessero di- sturbare il sonno o attuate rumorosi lavori meccanici e addirittura alcune strade erano chiuse al traffico. Per quanto riguarda il mondo moderno si è ottenuto una riduzione dell’esposizione a questo fattore ma in ogni caso le migliorie tecnologiche non sono state affiancate da soluzioni atte a ridurre la rumorosità, a questo bisogna aggiungere che noi tutti siamo esposti a questo fattore di rischio in relazione al traffico vei- colare, aereo automobilistico. I settori lavorativi maggiormente interessati sono 4: industria metalmeccanica, per le costruzioni, estrattiva e biochimica. Per tanto questa patologia è ancora molto idennizzata. Qualsiasi medico che svolge la propria funzione e si rende conto che una patologia può essere di origine professionale è costretto a denunciarla alle autorità competenti e queste patologie verrano poi analizzate in base alla funzione lavorativa e si deci- derà se idennizzarle o meno. Attualmente è la seconda causa di denunce. Riguarda soprattutto i lavoratori in ambito industiale (cantieri edili, fonderie, siderurgie, officine meccaniche) e nei servizi (laboratori chimi- ci, tipografie, operatori discoteche) ma anche nel settore primario. La situazione in campania riflette la me- dia nazionale. WWW.SUNHOPE.IT

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Medicina del lavoro Lezione 2(3\10\14)

La medicina del lavoro si differenzia dalle altre pratiche specialistiche perché si occupa delle patologie lavo-

ro correlate. Il medico del lavoro ha il compito di visitare i lavoratori prima di iniziare l’attività lavorativa

per giudicarne l’idoneità al lavoro, e durante la stessa per individuare eventuali patologie professionali.

I fattori di rischio sono classificati in rischi per la sicurezza o infortunistici, per la salute o di natura igienico

alimentare (correlati all’esposizione ad agenti chimici\fisici\biologici) , per la sicurezza e la salute (riguarda-

no la sicurezza sul lavoro valutando anche l’impegno emotivo).

Anche l’operatore sanitario è ovviamente esposto a fattori di rischio. Nello specifico lo specializzando , con-

siderato a tutti gli effetti un lavoratore, verrà sottoposto a visite di idoneità lavorative e a seconda del re-

parto è esposto a fattori di rischio operativi più o meno specifici . Tra questi:

• rischio biologico , correlato al contatto con emoderivati o patogeni aereodispersi rischio

allergologico, ad esempio ai guanti in lattice;

• rischio ergonomico, che riguarda alcune classi specifiche ovvero i chirurghi in relazione a

posizioni incongrue che assumono o anche per la stazione eretta prolungata possono in-

correre in patologie discali, così come gli stessi infermieri soggetti a patologie discali o

disturbi del cingolo scapolare;

• rischio correlato all’esposizione ad agenti fisici ovvero radiazioni ionizzanti;

• agenti chimici (ad esempio infermieri adibiti alla preparazione di farmaci antiblastici che

se non accuratamente manipolati espongono ad un grave rischio per la salute sia di tipo

neoplastico che al sistema cardiocircolatorio):

• rischio stress.

Tratteremo in particolare il RISCHIO CORRELATO AL RUMORE (stress fisico).

Che il rumore sia un fattore di rischio è risaputo da tempi antichi, basti pensare che già Plinio il Vecchio in

tempi remoti si fece costruire una camere da letto per non udire gli schiamazzi degli schiavi, gli stessi Cice-

rone e Seneca raccontavamo come gli abitanti della Valle del Nilo avessero l’udito compromesso per il ru-

more delle cascate e nella città di Sibari era vietato introdurre all’interno delle mura galli che potessero di-

sturbare il sonno o attuate rumorosi lavori meccanici e addirittura alcune strade erano chiuse al traffico.

Per quanto riguarda il mondo moderno si è ottenuto una riduzione dell’esposizione a questo fattore ma in

ogni caso le migliorie tecnologiche non sono state affiancate da soluzioni atte a ridurre la rumorosità, a

questo bisogna aggiungere che noi tutti siamo esposti a questo fattore di rischio in relazione al traffico vei-

colare, aereo automobilistico.

I settori lavorativi maggiormente interessati sono 4: industria metalmeccanica, per le costruzioni, estrattiva

e biochimica. Per tanto questa patologia è ancora molto idennizzata. Qualsiasi medico che svolge la propria

funzione e si rende conto che una patologia può essere di origine professionale è costretto a denunciarla

alle autorità competenti e queste patologie verrano poi analizzate in base alla funzione lavorativa e si deci-

derà se idennizzarle o meno. Attualmente è la seconda causa di denunce. Riguarda soprattutto i lavoratori

in ambito industiale (cantieri edili, fonderie, siderurgie, officine meccaniche) e nei servizi (laboratori chimi-

ci, tipografie, operatori discoteche) ma anche nel settore primario. La situazione in campania riflette la me-

dia nazionale.

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Effetti fisici del rumore. Il suono è una perturbazione meccanica che si propaga in un corpo elastico messo

in vibrazione che crea movimento nelle molecole dell’Aria e quindi onde sonore. IL suono è una vibrazione

delle molecole d’aria che crea un’onda con caratteri di periodicità, a differenza del rumore (onda non pe-

riodica). Il rumore è per definizione qualsiasi onda sonora che crea sull’uomo effetti non voluti, dannosi, di-

sturbanti e che quindi determina un deterioramento qualitativo dell’ambiente. Le caratteristiche fisiche del

suono sono: frequenza, periodo, lunghezza d’onda, l’ampiezza ,la velocità e l’intensità di propagazione.

Frequenza : numero delle oscillazioni compiute da uno stesso punto dell’onda nell’unità di tempo.

Si misura in Hertz. L’orecchio umano percepisce f che vanno dai 20 a 20000 Hertz.

Periodo: intervallo di tempo necessario per compiere una oscillazione completa. Unità di misura è

il s.

Lunghezza d’onda: spazio percorso dall’onda in un periodo

Velocità propagazione suono : velocità con la quale un suono si propaga in un mezzo e dipende dal-

la densità di questo.

Intensità : potenza media con la quale l’energia viene trasmessa nel vuoto. L’unità di misura è il De-

cibel e la soglia del suono oscilla in un range tra 0 e 10 decibel, quella del dolore 130\140 come un

aereo al decollo. Una normale conversazione presenta un’intensità tra i 60\70 decibel, il traffico

stradale 70\80 decibel.

Quello che differenzia un suono acuto da una suono grave è la frequenza, invece ciò che differenzia un

suono lieve da un suono forte è l’intensità.

Effetti del suono sull’uomo

Il sistema uditivo è costituito da due parti: il sistema deputato al trasporto del suono e l’apparato di perce-

zione o neurosensoriale. Anatomicamente distinguiamo 3 parti : orecchio esterno (timpano, padiglione au-

ricolare e condotto uditivo) che attraverso la membrana timpanica trasmette la vibrazione all’orecchio me-

dio (tubo di eustachio e 3 ossicini martello, incudine, staffa detti adattatori di frequenza) il quale provvede

attraverso la staffa tramite il canale vestibolare al trasferimento del suono all’orecchio interno (coclea co-

stituita dal canale vestibolare e timpanico separati dalla membrana basale ,e i canali semicircolari deputati

al mantenimento dell’equilibrio) e da qui perturbazioni dell’endolinfa giungono alle ciglia della membrana

basale e di qui tramite i rami nervosi al cervello.

La coclea ha quindi essenzialmente 2 ruoli: trasmissione del suono (trasferire l’energia acustica tramite la

finestra ovale all’epitelio ciliato) e trasduzione del suono ( l’energia sonora convertita in impulsi elettrici a

livello del nervo acustico). In questo caso avremo soprattutto una sordità specifica per alcune sequenze,

frequenze medie dai 4000 ai 6000 Hz, e sono alterate entrambe le trasmissioni sia per via aerea che per via

ossea. Le cause sono molteplici ed è importante attuare una adeguata diagnosi differenziale. Nello specifico

riscontriamo ipoacusia neurosensoriale da: trauma acustico cronico, retinoma dell’acustico, ototossicosi.

E’ importante fare un adeguata anamnesi professionale, essenziale per un adeguata diagnosi differenziale.

La presbiacusia è la progressiva riduzione della capacità uditiva fisiologica, dopo i 40anni infatti ognuno di

noi ha una perdita di circa 3,5 decibel all’anno. Anche qui abbiamo alterazione di entrambe le vie però vi è

una caduta sulle frequenze più alte (intorno ai 20000 Hz).

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In un tracciato audiometrico in assi cartesiani sulle ordinate vengono riportate le frequenze, sulle ascisse i

decibel. Normalmente noi udiamo intorno ai 10 decibel su tutte le frequenze. I (…) indicano l’orecchio de-

stro mentre i siasolini (?) l’orecchio sinistro. Le frecce rivolte verso destra indicano la trasmissione del suo-

no per via ossea dell’orecchio destro, quelle verso sinistra la percezione del suono per via ossea del sinistro.

Nel tracciato ipoacustico vediamo linee continue che indicano la via aerea dell’orecchio dx e sx.

Nell’ipoacusia percettiva sono alterate entrambe le vie quindi vedrete una depressione sia per la via aerea

che ossea in un tracciato che è simmetrico per entrambe le orecchie. Nell’ipoacusia percettiva da rumore

c’è una depressione caratteristica: vi è una caduta sui 4000 Hz seguita da una risalita del tracciato. Quindi

per far sentire il suono al paziente dovremo aumentare l’intensità intorno ai 40\60 Db per le frequenze

medie non per le f più alte. Nell’ipoacusia trasmissionale la via ossea non è alterata quindi intorno ai 10 Db

percepisce tutte le vibrazioni. Nella Presbiacusia il soggetto non sente intorno agli 8000Hz quindi bisogna

aumentare l’intensità.

E’ chiaro quindi che l’esposizione al rumore causa danni uditivi ma anche extrauditivi.

Esistono fattori predisponenti: sesso (donne meno colpite), l’età, patologie dell’orecchio medio, uso di so-

stanze ototossiche (farmaci quali gentamicina, streptomicina o sostanze chimiche come benzene, piombo),

hobbies particolari (pesca subacquea).

Gli effetti uditivi si dividono in acuti ( da stimolo uditivo intenso e di breve durata) e cronici (esposizione

cronica al rumore) divisi in 4tipi.

Quando vi è un’esposizione a un rumore che è superiore ai 140 Db si causa un dolore immediato a carico

dell’apparato uditivo, nei casi più gravi si può avere rottura della membrana timpanica con danno a carico

delle cellule ciliate. La lesione in questo caso è quasi sempre monolaterale in quanto la testa fa da schermo

per l’altro orecchio. E’ un’evenienza rara nei luoghi di lavoro ed è classificata come infortunio non come

malattia professionale dovuta ad esempio allo scoppio di una caldaia. Il soggetto subito dopo un trauma

acustico di lieve intensità accusa un dolore lacerante all’orecchio, senso di stordimento, ipoacusia completa

all’orecchio , riferisce la percezione di fischi e presenta vertigini. Generalmente i disturbi regrediscono e nei

casi più favorevoli vi può essere la restitutio ad integrum , le cellule nervose riprendono la loro normale

funzonalità, la membrana timpanica cicatrizza e anche il tracciato audiometrico ritornerà normale.

Per quanto riguarda invece l’esposizione prolungata a stimoli acustici di intensità variabile: un’esposizione

superiore agli 80 Db 8h al giorno per molti anni lavorativi se non adeguatamente accompagnata dall’uso di

dispositivi di protezione individuale e misure di abbattimento del rumore da parte delle macchine sicura-

mente causerà una ipoacusia da trauma acustico cronico. Prima però dell’ipoacusia si ha la cosiddetta “fa-

tica uditiva” o “spostamento temporaneo della soglia uditiva”. Difatti un’esposizione prolungata causa delle

modificazioni dell’apparato uditivo che si traduce in un calo dell’udito la cui entità è proporzionale

all’intensità del rumore e al tempo d’esposizione. Si distinguono due tipi di fatica uditiva: STS2 e STS16, si

parla di fatica uditiva fisiologica e patologica e si distinguono sulla base di diverse caratteristiche quali la

durata, l’entità e la sede. L’STS2 si misura dopo 2 minuti dall’esposizione al rumore e ha una durata di 16h e

identifica un’innalzamento della soglia uditiva rispetto ai livelli normali pre esposizione. Già oltre la soglia

degli 80Db vi è una STS su più frequenze e nello specifico i rumori industriali provocano una STS2 sulle fre-

quenze dei 3000 e 4000Hz. L’STS16 definita come fatica uditiva patologica permane anche oltre le 16h

dall’esposizione allo stimolo acustico perché l’orecchio di un soggetto esposto cronicamente al rumore non

ha più progressivamente la capacità di recupero fino ad arrivare all’ipoacusia franca. Le due STS sono quin-

di espressione di un esaurimento più o meno marcato dei recettori acustici periferici per un apporto ener-

getico insufficiente. Un recupero completo è quindi possibile solo a patto che l’esaurimento funzionale si

mantenga entro certi limiti, in casi contrari si parla di danno uditivo irreversibile.

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Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell’organo del Corti con una

ipoacusia neurosensioriale irreversibile. La gravità del danno è proporzionale alla quantità dell’energia so-

nora somministrata usando un rumore continuo di livello costante e le prime strutture ad essere danneg-

giate sono le cellule ciliate esterne: si ha una frammentazione fino alla scomparsa delle ciglia e una rottura

della membrana cellulare e sostituzione con cellule di sostegno. Le cellule ciliate interne rimangono integre

molto più a lungo: la lesione primitiva è rappresentata dalla fusione di queste. Per esposizioni al rumore

che hanno un livello costante si osservano alterazioni che sono prima di tipo metabolico-funzionale e poi

metabolico-morfologiche, mentre per i rumori impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche

più precoci. In linea generale si può affermare che il peggioramento della soglia uditiva non è lineare ovvero

il soggetto inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con una progressione anche molto veloce di

danno per i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non cambi attività la-

vorativa con esposizione a un altro tipo di rumore.

L’ipoacusia di rumore è classificata in più fasi:

una prima fase definita fatica uditiva: compare pochi giorni dopo l’inizio dell’attività uditiva con un

esame audiometrico normale o al massimo un innalzamento sulle frequenze medie e il pz riferisce

acufeni e stordimento;

una 2° fase definita di latenza: il soggetto non ha sintomi sebbene l’ipoacusia peggiori con innalza-

mento della soglia uditiva di circa 40\50 Db sui 4000Hz evidenziato all’esame audiometrico,

nella 3° fase ricompare la sintomatologia: il soggetto riferisce ad esempio di non sentire il ticchettio

dell’orologio con un esame audiometrico che mostra un innalzamento di circa 60 decibel sui 4.000

heartz ed il deficit viene esteso anche alle altre frequenze dai 2000 ai 3000 .

Nella quarta fase c’è lo stadio di sordità da rumore con un deficit permanente esteso anche alle

frequenze più basse ed alle più alte.

Quindi inizialmente ridotta capacità di udito temporanea, poi apparente stato di benessere, quindi difficol-

tà a percepire i toni acuti e poi difficoltà a sentire le conversazioni.

Le caratteristiche dell’ipoacusia da rumore sono 4:

1. Il deficit è Percettivo perchè il danno è sul nervo sensoriale

2. E’ iniziale e prevalente sulle frequenze medie (4000 Hz), poi si estende sulle alte e basse frequenze

3. E’ bilaterale e simmetrico cioè i tracciati audiometrici di orecchio dx ed sx sono sovrapponibili

4. E’irreversibile, il danno non è recuperabile

Il rumore è causa anche di effetti extra-uditivi, imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture acu-

stiche con le altre strutture del SNC come la formazione reticolare.

Gli effetti più studiati sono a carico del Sistema Cardiovascolare-> aumento frequenza cardiaca, vasocostri-zione periferica, aumento p arteriosa

ma esistono anche effetti

Neuropsichici -> disturbi del tono motorio, dell’equilibrio, della concentrazione, dell’attenzione, che posso-no mettere a rischio la vita del lavoratore (es. aumento del tempo di reazione, diminuzione della percezio-ne di segnali di pericolo con conseguente aumento del rischio infortunistico)

Endocrini-> aumentata produzione di alcuni ormoni

Visus-> dilatazione pupillare

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Gastroenterico-> diminuzione motilità con fenomeni spastici, aumento delle ucere e gastroduodeniti

Respiratori-> aumento frequenza respiratoria

Livello superiori a 65 decibel durante il giorno e 55 durante la notte sono dannosi ed aumentano il rishio di infarto del miocardio, TIA (?)

L’esposizione al rumore causa l’attivazione nell’organismo di due tipi di risposte

1. Risposta d’allarme-> causata da rumori di alta intensità e breve durata, si esaurisce rapidamente, la sua durata ed intensità non dipendono dal livello sonoro o dal tempo di persistenza dello stimolo. Caratte-rizata da: aumento della pressione pupillare, sudorazione cutanea, aumento delle secrezioni e motilità gastrica, aumento delle frequenze cardiaca e respiratoria

2. Risposta Neurovegetativa-> è lenta e generalmente segue quella di allarme, si manifesta per stimoli in-tensi e varia in funzione dell’intensità e della durata dello stimolo con alterazioni a carico di tutti gli or-gani

La valutazione dei rischi derivati dall’esposizione ad agenti fisici nel luogo di lavoro è oggetto di studio della medicina del lavoro.

Il decreto legislativo 81 del 2008 detta le regole per la valutazione del rischio rumore nel luogo di lavoro, e le misure preventive per ridurre il rischio di ipoacusia da trauma acustico cronico nel luogo di lavoro. Il decreto valuta il Livello di Esposizione Giornaliera al rumore, è un valore medio calcolato su una giornata lavorativa di 8 ore e il Livello di Esposizione Settimanale al rumore calcolato su una giornata lavorativa di 5 ore. Il decreto prevede dei limiti di esposizione e dei valori di azione. Il limite di esposizione è 87 decibel ciò significa che durante una giornata lavorativa l’esposizione media al rumore non può superare tale valore. Il valore superiore d’azione è 85 decibel. Il valore inferiore d’azione è 80 decibel. Quando inizia una attività lavorativa il datore di lavoro ha il compito di valutare i rischi tra cui anche quello rumore facendo un sopralluogo con esperti (responsabili sicurezza, ingegneri), valutando le informazioni fornite dalle case produttrici dei macchinari, la presenza di apparecchiature progettate per ridurre l’emissione del rumore, quanto tempo il lavoratore è esposto al rumore. 1. Se l’esposizione al rumore non supera gli 80 dB non si procede, dando solo dei dispositivi di protezione

acustica al lavoratore che, quindi, non svilupperanno patologie professionali. 2. Se l’esposizione al rumore supera gli 80 dB, si procede alla seconda fase misurando direttamente il ru-

more nel luogo di lavoro con un Fonometro (su una giornata lavorativa di 8 h o settimanalmente, su una giornata di 5 h)

A. Se il rumore supera il valore inferiore d’azione il datore ha l’obbligo di fornire i dispositivi di protezione individuali ai lavoratori che possono chiedere di essere sottoposti a sorveglianza sanitaria (il medico competente esegue esame obiettivo ed audiometrico)

B. Se è superato il valore superiore d’azione (85 dB) il datore di lavoro ha l’obbligo di attuare delle misure tecnico-organizzative per ridurre la rumorosità degli ambienti di lavoro, indicare con cartelli i luoghi in cui i lavoratori sono sottoposti a tale intensità di rumore, sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavorato-ri, deve inoltre assicurarsi che i lavoratori indossino i dispositivi di protezione. Dalla sorveglianza sanita-ria scaturisce un giudizio di idoneità che può essere Completa al lavoro, con prescrizione o con medica-zione, o non idoneità al lavoro (dipende dalla patologia del soggetto, dal rischio a cui è esposto, dalla presenza di danno. Es. un soggetto con ipoacusia sottoposto ad una alta esposizione al rumore è non idoneo a quella attività lavorativa).

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Il datore di lavoro ha l’obbligo di informare i lavoratori sul rischio da esposizione al rumore, qundi sulla na-tura dei rischi, sui valori d’azione e sul limite d’esposizione, sui risultati delle misurazioni del rumore effet-tuate. I dispositivi di protezione auricolare sono - Gli inserti auricolari - Le cuffie auricolari-> adatte per esposizioni prolungate, più efficaci dei precedenti, permettono l’ascolto

delle conversazioni - I caschi-> utilizzati per le attività più rumorose (es. utilizzo martello pneumatico) - Gli archetti Agiscono tutti per la via aerea con una attenuazione che non supera i 50 dB. I caschi, coprendo anche la via ossea danno una attenuazione superiore. Tuttti i tipi devono attenuare il rumore consentendo l’ascolto della voce parlata, la scelta dipende dall’ambiente di lavoro, dalle patologie d’organo esistenti, dal tipo di lavoro.

Esposizione al particolato atmosferico Tale tipo di esposizione si può avere sia negli ambienti domestici ( sorgenti indoor-> fumo di sigaretta, ca-minetti, stufe, candele, l’attività di …(51.23)) che in quelli lavorativi. I lavoratori esposti a questo fattore di rischio sono molti, soprattutto quelli esposti a mobile work. Il particolato è formato da particelle fini ed ultrafini la cui fonte di emissione principale è rappresentata dal traffico veicolare (sorgente outdoor), soprattutto dalla combustione dei motori diesel. Queste particelle possono essere causa di danni a carico dell’apparato respiratorio, cardiovascolare, cuta-neo, SNC. Le popolazioni più suscettibili a queste particelle sono gli anziani ed i bambini, soggetti con patologie pol-monari preesistenti infiammatorie o infettive. I bambini sono più suscettibili perchè inalano una quantità maggiore di aria per peso corporeo, hanno un assorbimento più elevato, hanno maggiori richieste energeti-che. L’esposizione di madri non fumatrici al particolato atmosferico durante la gestazione è causa di altera-ta funzionalità polmonare in età prescolare nei figli. Gli anziani sono più suscettibili perchè presentano una preesistente compromissione della funzionalità respiratoria, frequentemente presentano patologie cardio-respiratorie, spesso hanno una alimentazione non corretta (che influenza le difese immunitarie). Le particelle sono classificate in -PM10-> frazione grossolana, solo le più innoque perchè essendo superiori al …(52.35) non raggiungono le vie aeree più fini -La frazione più fine che arriva agli alveoli -La frazione ultrafine (nanoparticelle) che dagli alveoli diffondono a tutto l’organismo La frazione inalabile sono tutte le particelle che penetrano nell’albero respiratorio attraverso le narici e la bocca durante un normale atto respiratorio. La frazione toracica sono le particelle fini che raggiungono la trachea. La frazione ultrafine sono le particelle che arrivano ai sacchi alveolari. Le vie d’ingresso nell’organismo sono: la pelle, il tratto respiratorio, l’apparato digestivo (organi target prin-cipali). L’efficacia dei meccanismi di clearance polmonari diminuisce all’aumentare del numero di particelle inalate (quindi dell’esposizione ad esse), i macrofagi non sono più in grado di fagocitarle. Le particelle possono essere ingoiate direttamente o essere presenti sui cibi (soprattutto quelli ben cotti) Le particelle possono depositarsi nella cute e penetrare tramite essa.

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Una volta penetrati, attraverso il sangue, raggiungono la (54.50), il SNC (probabilmente attraverso il nervo olfattivo) , il fegato, la milza ed altri. Gli effetti sulla salute sono: Alterazioni del SNC e del sistema nervoso autonomo, basso peso alla nascita, nascita pretermine, anomalie congenite (soprattutto malformazioni cardiache), ritardo nell’accrescimento intrauterino, incremento della mortalità pre e post-natale, aumentata incidenza di asma e di altre patologie respiratorie nei bambini, riduzione della funzionalità polmonare, patologie cardiovascolari, cancro. Gli effetti a breve termine sono-> aumento f cardiaca e valori pressori (c’è correlazione tra i giorni di mag-giore inquinamento e il numero di accessi ospedalieri per patologie respiratorie o cardiovascolari) Queste particelle determinano a carico del polmone determinano alterazione della funzionalità, della rispo-sta immunitaria, esacerbazione di patologie polmonari preesistenti (asma, BPCO), fibrosi, tumori (c’è corre-lazione, nei pz asmatici, tra uso dei broncodilatatori e inquinamento ambientale, e c’è una maggiore inci-denza di neoplasie polmonari in soggetti sottoposti ad esposizione lavorativa, es.saldatori). Per quanto riguarda l’azione sull’ apparato cardiovascolare le particelle sono state messe in relazione con ischemia cardiaca, TIA, aumento dei valori pressori, riduzione della cavità (? 58.40) e della frequenza car-diaca e aumento dei markers di trombosi ed infiammazione. L’esposizione alle particelle ultrafini è responsabile di alterato rilascio delle citochine a livello ippocampale e quindi di depressione e deficit cognitivi (uno studio ha dimostrato un declino cognitivo più precoce e stati simil-ansiosi in donne che vivono in centri urbani rispetto a donne in aree rurali). Hanno relazione anche con il morbo di Alzheimer. Le nanoparticelle assorbite attraverso il tratto gastroenterico sono responsabili di una risposta infiammato-ria che può essere causa del morbo di Crohn. Il meccanismo patogenetico comune a tutti i tipi di danno indotti da queste particelle è l’attivazione del processo infiammatorio con rilascio dei vari mediatori, quindi il danno è provocato non solo dalla particella stessa (che essendo piccola supera la barriera capillare e raggiunge il sangue) ma anche dalle sostanze che da essa sono introdotte nell’organismo, come i metalli che le particelle captano dall’atmosfera. Il danno interessa tutte le strutture cellulari: il nucleo, la membrana, i ribosomi, l’apparato del Golgi e così via.

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Sono la dottoressa Lamberti e mi occupo della parte clinica di medicina del lavoro. Il corso fatto da me

verterà sulla gestione delle problematiche cliniche di origine occupazionale da parte del medico del lavoro.

Di tutti gli agenti di rischio occupazionali presenti nelle realtà lavorative, quelli che maggiormente risultano

pericolosi sono:

I movimenti ripetitivi

La movimentazione manuale dei carichi [spostamento di pesi (edilizia) o di pazienti ( ospedale)]*

Rumore

*è una problematica molto presente, cioè ha una tra le maggiori incidenze di denuncia tra le malattie

professionali correlate a queste patologie.

La medicina del lavoro nasce come branca della medicina interna, per tutelare lo stato di salute psicofisica

dei lavorati esposti ad agenti di rischio occupazionali. I decreti legislativi che vi mostrerò, senza i quali il

medico del lavoro non può attuare la sua attività di sorveglianza sanitaria, sono nati esclusivamente per un

motivo : ridurre al minimo l’insorgenza di infortuni e morti presenti nelle realtà lavorative.

Il medico del lavoro, ma tutti i medici, il med.lavoro più degli altri perché è soggetto ad una sanzione più

salata qualora non ottemperi, è obbligato , qualora faccia una visita medica ad un lavoratore che presenti

una patologia, per esempio una lombosciatalgia che insorge durante lo svolgimento dell’attività lavorativa,

o una neoplasia di origine occupazionale, collegata ad esposizione ad agente cancerogeni, è obbligato a

denunciare questa patologia e se non lo fa incorre in sanzioni salatissime.

La med del lavoro nasce per ridurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e malattie professionali.

Il tasso d’incidenza che ora si attesta a circa 2 morti al giorno sul lavoro è un valore che deve portarsi a 0

con la giusta applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza dettate dalla medicina del lavoro.

Andiamo ai decreti legislativi. Ce ne sono stati tanti che già dal 1800 hanno regolamentato la medicina del

lavoro, in particolare i decreti legislativi:

DL 277/91

DPR 303/56

DL 626/94 ( “decreto cardine della sicurezza sui luoghi di lavoro”)

Hanno dettato le regole fondamentali per attuare un sistema di sicurezza sui luoghi di lavoro.

I primi due hanno parlato per la prima volta di tutela nei confronti degli agenti di rischio chimico-fisici del

rumore del piombo e dell’amianto.

Con decreto legislativo 626/94 si è per la prima volta diviso in titoli (11) ed articoli quelli che sono tutti gli

agenti di rischio presenti nelle realtà lavorative. Ciò significa che per la prima volta una legge è stata

strutturata in capi, versi e titoli in modo da dare delle direttive precise a tutte le figure addette al sistema

sicurezza su come organizzare questo sistema per indurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e delle

malattie professionali.

Quindi il decreto cardine che ha per la prima volta suddiviso e in capi e titoli le problematiche della

sicurezza nei luoghi di lavoro è il decreto 626/1994.

Dopo questo i decreti che sono stati emanati, che sono quelli vigenti, secondo i quali noi medici del lavoro

lavoriamo, sono stati quelli nati dal Ministero Prodi. Allora il ministro Prodi, prima di passare la staffetta al

lungo ministero Berlusconi, fortemente spronato dai sindacati, ha emanato questo decreto il DL 81/2008,

che ha stravolto tutti quelli che erano gli obblighi alle varie figure relative alla sicurezza, che dopo vedremo,

dando per la prima volta un carico di responsabilità alle singole figure, non solo al medico del lavoro, ma a

tutta una serie di figure che girano intorno alla sicurezza.

Quindi il DL 81/2008 e poi DL 106/2009 sono quelli vigenti ora che dettano i requisiti e le caratteristiche per

operare in sicurezza negli ambienti di lavoro.

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Tutto quello che vi spiegherò in queste poche lezioni che faremo, nasce da questi due decreti attualmente

vigenti.

Ci sono diverse figure addette alla sicurezza. La mia branca è un po’ al limite tra la medicina legale e la

medicina interna. E’ un’applicazione in clinica di una serie di leggi per tutelare la salute, non dei pazienti,

ma del lavoratore. Protagonista di questa tutela non è solo il medico del lavoro. Questi si trova ad interagire

con una serie di figure , che sono deputate dai decreti ad ottemperare ad una serie di obblighi in materia di

sicurezza. Faccio sempre l’esempio della nostra università: per voi che siete dipendenti a tutti gli effetti

secondo il DL 81/08 come studenti o tirocinanti che stanno svolgendo attività lavorativa, anche solo ai fini

di apprendere un mestiere, dovete essere sottoposti a visita medica, sorveglianza sanitaria, anche gli

studenti anche gli apprendisti, perché la legge dice che anche una tempistica breve, come un’esposizione di

breve durata ad un agente di rischio biologico, che potete incontrare quando andate a fare i tirocini, può

fare insorgere nello studente una patologia di origine lavorativa. In questo sistema di tutela non c’è solo il

medico del lavoro, ma il datore di lavoro, in questo caso il rettore, i dirigenti e i preposti , che non sono

altro che coloro a cui viene fatto un demando di obblighi. Questo perché in una realtà aziendale cosi grande

non è detto che il proprietario di quella struttura sia sempre presente in tutte le micro realtà. Quindi è

necessario demandare compiti relativi alla sicurezza ad una serie di figure che sono i dirigenti e i preposti

che devono aiutare il datore di lavoro, nell’ottemperanza degli obblighi in materia di sicurezza.

Ci sono altre figure di minore importanza, che aiutano il datore di lavoro.

RLS: rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Una persona eletta dai lavoratori, che si interfaccia col

datore di lavoro per tutte le problematiche sollevate dai singoli lavoratori.

( ci sono anche i Sindacati, ma, nella realtà lavorativa di riferimento, c’è un rappresentante che va a gestire

le problematiche di ordine quotidiano, come le mascherine non efficaci …. e rappresenta l’interfaccia col

datore di lavoro)

RSPP: responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Può essere composta da uno o più persone.

Redige in un libro ( documento di valutazione dei rischi) tutti i rischi presenti nella realtà lavorativa. Tutti i

responsabili della sicurezza sono obbligati a firmare, per presa visione, questo testo.

Preposto: è un tutor a cui si è assegnati per un semestre.

La cartella sanitaria di rischio. Il medico del lavoro è obbligato ad redigere una cartella dove sono

dettagliate una serie di caratteristiche anamnestiche e lavorative del soggetto che si sottopone a visita.

La cartella è molto simile ad una cartella presente in un reparto di degenza. Ci sono delle piccole differenze

legate ad alcuni capi, quali: dati relativi all’azienda di provenienza e oltre, all’anagrafica dei lavoratore, c’è

una parte relativa all’anamnesi lavorativa. Quest’ultima è necessaria soprattutto per fare uno stato zero e

capire se c’è stata una pregressa esposizione ad un agente di rischio.

E’ molto importante fare questo back-ground anamnestico lavorativo, perché, qualora insorga una malattia

professionale, questo dato viene valutato dall’INAIL , ente preposto sul territorio nazionale per l’indennizzo

dei danni allo stato di salute, che possono insorgere nel lavoratore.

Quindi vengono effettuate delle visite mediche preventive e delle visite mediche periodiche nell’ambito

della sorveglianza sanitaria.

La visita medica preventiva viene fatta per controllare degli eventuali stati pregressi di malattie in atto. Per

esempio, un lavoratore con una dermatite allergica da contatto cronica che deve essere esposto ad

allergeni di origine professionale. Quindi la visita preventiva è fondamentale per ritrovare stati di

ipersuscettibilità clinica, atopie in questo caso, presenti nel lavoratore che dovrà essere sottoposto ad un

agente di rischio che potrà interferire con questa situazione di ipersuscettibilità.

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La condizione presente in fase di visita preventiva determina delle decisioni in merito a quello che è il

giudizio d’idoneità, che permetteranno di lavorare o di non lavorare o di lavorare con opportune

precauzioni.

La cartella di sanitaria di rischio nasce con questi termini, perché il DL81/08 e DL106/2009 e di altri piccoli

decreti d’integrazione ci dicono che la cartella deve essere fatta in questo modo.

La visita viene fatta in fase preventiva e poi in maniera periodica. Perché non è detto che la problematica di

salute non possa essere slatentizzata dall’attività lavorativa, quindi una tempistica diversa per ogni agente

di rischio lavorativo prevede una visita periodica.

La legge ha stabilito che ci siano altre visite obbligatorie. Sempre quando c’è l’esposizione agli agenti di

rischio cancerogeno, la legge stabilisce che ci sia una visita obbligatoria alla fine del rapporto di lavoro.

Perché, per esempio, tecnico di radiologia esposto a radiazioni ionizzanti, si effettua una visita alla

cessazione del rapporto di lavoro per attestare lo stato di salute dopo l’esposizione ad un agente

cancerogeno. Lo stesso vale per l’esposizione ad agenti cancerogeni come metalli, come la silice e come

l’amianto. Altra visita obbligatoria è quella che viene effettuata quando c’è un cambio di mansioni.

Alla fine della cartella sanitaria viene espresso un giudizio sullo stato di salute del lavoratore. Non è quasi

mai un giudizio di idoneità piena. La legge prevede anche un giudizio di idoneità parziale che viene definito

con prescrizione o limitazione. Ciò significa mantenere il lavoratore alla sua precedente attività lavorativa,

ma farlo con delle precauzioni. Ci sono una serie di patologie croniche che non potrebbero essere gestite se

non tramite l’utilizzo di queste limitazioni e prescrizioni. Quindi significa di consigliare al lavoratore di

utilizzare ulteriori dispositivi di protezione individuale, come guanti, mascherine, camici, tutto ciò che va a

tutelare come presidio esterno la salute del lavoratore.

Esprimere un giudizio d’idoneità con limitazione significa riorganizzare l’attività lavorativa del lavoratore

che ha una particolare patologia per essere reinserito nel lavoro. Grazie a questi giudizi si riescono a

mantenere al lavoro alcuni lavoratori con problematiche serie come l’epatite o meno complicate come la

lombosciatalgia cronica e permettere di ritornare alla precedente mansione con opportune precauzioni per

tutelare il lavoratore stesso. Esempio: il lavoratore con lombosciatalgia cronica eventualmente sottoposto a

un ciclo farmacologico di decontratturanti e antiinfiammatori che non risolve la problematica. Molto spesso

le lombosciatalgie sono refrattarie alla terapia farmacologia, refrattarie a una terapia riabilitativa fisiatrica,

quindi dopo uno o due mesi il lavoratore deve tornare a lavorare, magari è un lavoratore nel settore

dell’edilizia o un infermiere che si trova in reparti con un alto indice MAPO, che è un indice che viene

utilizzato per quantizzare il rischio da movimentazione di pazienti soprattutto in reparti come la geriatria

dove ci sono pazienti allettati e ci sono infermiere che movimentano questi pazienti e vanno a sollecitare il

rachide. Quindi supponiamo che questo infermiere vada incontro periodicamente a lombosciatalgie che

periodicamente determinano un rientro dopo un’assenza per malattia. Il medico del lavoro gestisce questa

situazione dando un’idoneità con limitazione che permetterà al lavoratore di tornare al lavoro svolgendo la

sua attività riducendo però il carico (esistono linee guida di medicina del lavoro che stabiliscono dei carichi

massimi lavorativi o che consigliano dei sussidi prescritti da fornire al lavoratore che vengono utilizzati per

ridurre il peso che grava sulla colonna vertebrale). In questo modo il lavoratore potrà riprendere la sua

precedente mansione e non rischierà un licenziamento.

Abbiamo poi l’inidoneità che può essere temporanea o permanente. Es. temporanea chirurgo con Epatite

C in fase attiva che si sta sottoponendo a una terapia antivirale; in questo caso le linee guida consigliano di

interrompere l’attività lavorativa per 6 o 12 mesi. Dopo tale periodo con le analisi e la consulenza

infettivologica o eventualmente consulenze diverse per altri lavori, si procede all’espressione del giudizio di

inidoneità temporanea o permanente con il quale si può sfociare nel licenziamento.

Il lavoratore ha diritto di confutare il giudizio avverso espresso dal medico del lavoro e a tal proposito per

legge è ammesso il ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio stesso. Quindi il

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lavoratore (ma anche il datore di lavoro) ha diritto a confutarlo seguendo un iter (il giudizio è in mano al

lavoratore ma anche al datore di lavoro). Il giudizio viene portato all’asl di riferimento territoriale; nell’asl

c’è una sezione definita organo di vigilanza territorialmente competente composta da medici del lavoro e

tecnici non medici che vanno a valutare la cartella clinica, i protocolli strumentali utilizzati, il giudizio

espresso per quel lavoratore che ha fatto ricorso. Dopo la valutazione quest’organo esprime un giudizio

finale inderogabile. Questo diventa il giudizio vigente che il lavoratore deve rispettare. Tutto ciò era già

stabilito dal decreto legislativo 626 del’94 ed è stato ribadito, perfezionato e integrato dal decreto 81/2008

e dal 106/2009.

Il ruolo del medico del lavoro è quello di prevenire i danni causati da condizioni insalubri legati alle attività

lavorative e quello di individuare le cause di origine lavorativa che possono aver fatto scatenare la patologia

occupazionale e soprattutto di effettuare denuncia di malattia professionale o di infortuni di origine

lavorativa. Qualora si ponga al medico una patologia recidivante come una patologia allergica, è

importante non solo dare la terapia ma anche capire se tale patologia sia legata al luogo di lavoro (per

esempio l’allergia al talco presente nei guanti al lattice che utilizza un infermiere professionale

ospedaliero).

Il medico di medicina generale come il medico del lavoro ha l’obbligatorietà di denunciare malattie

professionali o infortuni insorti in attività lavorative. Tutti i medici sono obbligati eticamente a denunciare

malattie professionali (per esempio pazienti esposti a silice); questa denuncia viene fatta con appositi

moduli dati ai medici di base ma che sono scaricabili anche dal sito dall’INAIL da tutti i medici che ne

vengono a conoscenza.

Esempio di denuncia del lavoratore per malattia professionale e giudizio negativo :

in un centro di radiologia un tecnico di radiologia donna di 27 anni viene in visita periodica e tramite

radiografia scopre di avere un carcinoma mammario. Attivato l’iter oncologico, io medico del lavoro

riempio i moduli relativi alla denuncia da malattie professionali usando anche tabelle di riferimento dove

ogni malattia è associata a un agente di rischio, in questo caso cancerogeno. Una copia della denuncia viene

inviata all’INAIL, una copia all’asl e una copia la manda il datore di lavoro. La copia che io mando all’INAIL

prevede una serie di indagini. Dopo la denuncia la struttura ha avuto una serie di controlli da parte

dell’INAIL sull’adeguatezza dei luoghi di lavoro relativi a quell’agente di rischio, in questo caso era

importante soprattutto la valutazione delle apparecchiature radiologiche. La struttura è stata chiusa non

per le apparecchiature (che erano tutte a norma) ma per una scala a chiocciola che non era idonea e che

poteva portare a infortuni sul lavoro. L’INAIL ha poi mandato una risposta relativa alla non presenza di

nesso di causalità della patologia con il lavoro perché la lavoratrice aveva lavorato nella struttura solo per

18 mesi, dei quali solo 3-4 di effettiva esposizione poiché aveva avuto una gravidanza. Inoltre i dosimetri

per le radiazioni inviati ogni 2 mesi al controllo segnalavano una quota nulla di esposizione a radiazioni

ionizzanti. Quindi l’INAIL ha accertato l’assenza del nesso di causalità e la lavoratrice non ha avuto nessun

indennizzo.

Esempio di denuncia e giudizio positivo: insorgenza di patologie neoplastiche associate all’esposizione

all’amianto nei quali casi i lavoratori o i loro familiari in caso di decesso dello stesso sono stati indennizzati.

Fino al 2002 era obbligatorio completare la specializzazione in medicina del lavoro in anestesia e radiologia

per firmare i referti come medico del lavoro. Quindi queste 3 specializzazioni permettevano di svolgere il

lavoro di sorveglianza sanitaria.

Nel 2002 il decreto accorpato nel 81/2008 stabilì che anche gli specialisti in igiene e medicina legale

potevano equipararsi ai medici del lavoro e svolgere attività di sorveglianza sanitaria; ciò successivamente è

stato modificato in modo che questi specialisti dovessero effettuare un master abilitante di secondo livello

di 10 mesi per poter esercitare la sorveglianza sanitaria.

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L’art 39 del decreto 81/2008 stabilisce anche che il medico del lavoro operi secondo criteri stabiliti dalla

commissione dell’ICOH (ente internazionale preposto alla sicurezza nei luoghi di lavoro). Il medico del

lavoro opera secondo i principi legati all’ente ICOH.

Il medico del lavoro non si occupa solo di effettuare visite mediche preventive e periodiche ma ha un’altra

serie di adempimenti obbligatori (secondo l’art 25 del decreto 81 del 2008) come:

- collaborare alla valutazione dei rischi insieme al datore di lavoro

- istituire aggiornare e custodire la cartella

- consegnare alla cessazione del rapporto di lavoro la cartella al lavoratore soprattutto in caso di

esposizioni cancerogene

- informare il lavoratore dei risultati della sorveglianza sanitaria (si può avere copia dei risultati e risposta

riguardo lo stato di salute, rappresenta un diritto del lavoratore tutelato dalla legge)

- effettuare il sopralluogo dei luoghi di lavoro (visitare il luogo di lavoro 1-2 volte l’anno) dove afferiscono i

miei lavoratori. Andare a osservare il luogo di lavoro serve per capire se vi sono altri agenti di rischio oltre a

quelli già segnalati. Per esempio posso scoprire che l’anestesista oltre ad essere esposto a rischi di tipo

biologico passa anche molto tempo al pc per lavoro e questo rappresenta un altro fattore di rischio che

vado a riportare nel documento di valutazione dei rischi. L’obbligo del sopralluogo vige sia per il datore di

lavoro che per il medico di lavoro.

- collaborare alla valutazione dei rischi

- effettuare formazione e informazione sui rischi in ogni attività lavorativa (ad esempio lezioni a lavoratori

esposti al rischio di radiazioni ionizzanti per spiegare come lavorare in sicurezza).

Se il medico del lavoro non adempie ai suoi obblighi (sorveglianza sanitaria, sopralluoghi controlli di lavoro,

formazione e informazione sui rischi), è soggetto a sanzioni per legge.

Tutti questi obblighi sono ben specificati da decreti ben strutturati, ma vi è il problema dell’attuazione della

sicurezza nei luoghi di lavoro. Ciò accade soprattutto al sud e consiste nella mancata ottemperanza degli

obblighi di legge. Nel meridione la medicina del lavoro non si è incrementata, al contrario di alcune regioni

del nord, dove invece è una realtà molto presente.

Agenti di rischio:

-agenti di rischio chimico sono quelli collegati all’esposizione a metano, solventi, cancerogeni.

-agenti di rischio fisici come rumore, vibrazione ecc.

-agenti di rischio biologico come hbv, hcv, hiv ecc.

-agenti di rischio trasversali (perche riguardano tutte le condizioni lavorative), rappresentati da stress

lavoro correlati come mobbing o burn out (riconosciuti come rischi professionali a tutti gli effetti in Europa

dal 2004 e in italia dal 2008).

-le allergopatie professionali come l’asma allergico professionale e le dermatiti irritative e da contatto di

origine lavorativa.

-a parte rientrano le problematiche di disergonomia come la movimentazione manuale di carichi, i

movimenti ripetitivi, l’assunzione di posture incongrue e i danni da utilizzo protratto di videoterminali (pc).

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LEZIONE DI MEDICINA DEL LAVORO 14 0TTOBRE 2014, prof Lamberti

Figure del sistema sicurezza, agenti di rischio e introduzione al contesto lavorativo dell’ambiente

ospedaliero (rischio biologico).

Oggi facciamo un excursus rapido sulle figure addette al sistema sicurezza. (quanto di seguito riportato fa

capo a quanto stabilito dal DL 81/2008)

Il lavoratore: consideriamo tale anche colui che, non retribuito, svolge un’attività al sol fine di apprendere

un mestiere, un arte o una professione, quindi anche gli studenti e gli apprendisti, i quali dovranno pertanto

essere sottoposti a sorveglianza sanitaria, in quanto si ritiene che una esposizione, anche breve, a rischio

lavorativo, vuoi sia biologico o chimico, ecc., possa produrre degli effetti sul suo organismo. La tutela di

queste figure è un obbligo del datore di lavoro. Nelle realtà industriali (??? Non sono certa sia la parola

giusta, ma è quanto mi è parso di capire, nds) se il lavoratore non si presenta a visita o al corso di formazione

in materia di sicurezza è sottoposto a sanzione, ciò sta a significare che si tratta di un obbligo.

Il datore di lavoro: è la figura massimamente responsabile del sistema sicurezza e maggiormente coinvolta

dal sistema sanzionatario. È il soggetto titolare del rapporto di lavoro col lavoratore. Si distingue dalle altre

figure (dirigente, preposto ecc.) poiché è l’unico che retribuisce il lavoratore, tutti gli altri obblighi possono

essere demandati alle altre figure, ma con obbligatorietà di firma, ovvero è possibile delegare la formazione

in materia di sicurezza, la sorveglianza e altro, purchè si sottoscriva (da ambo le parti) un documento che

sancisca il passaggio di responsabilità. Doveri del datore di lavoro: informare e formare il lavoratore,

provvedere alla sorveglianza sanitaria, nominare il medico del lavoro, corrispondere il trattamento

economico e stendere il documento di valutazione dei rischi. Questo documento elenca tutti i fattori di

rischio cui è esposto il lavoratore in funzione dell’ambiente in cui opera e della mansione che svolge; in

particolare all’articolo 28 della legge, si dice che tale documento non deve tralasciare alcun tipo di rischio,

come le problematiche stress lavoro correlate, deve altresì riportare le misure di sicurezza messe in atto per

la tutela delle lavoratrici in stato di gravidanza: il decreto per la prima volta introduce il concetto di

differenza di genere.

Dirigente o preposto: (per es. direttore di dipartimento) deve vigilare sull’osservanza degli obblighi di

formazione e sorveglianza sanitaria cui il lavoratore deve sottostare, assicurarsi che la formazione sia

adeguata e messa in pratica sul campo e che solo coloro che sono adeguatamente formati possano accedere a

determinate mansioni, egli deve anche fare segnalazione tempestiva di inefficienze relative a dispositivi o

metodiche di protezione individuale al datore di lavoro, il quale disporrà appositi sopralluoghi di verifica ed

eventuali provvedimenti. Anche dirigenti o preposti sono sottoposti obbligatoriamente a corsi di formazione

con verifica periodica.

RSPP (responsabile del servizio di protezione e prevenzione) figura nominata dal datore di lavoro per

aiutarlo alla stesura del documento di valutazione dei rischi.

AGE (addetti alla gestione emergenza e anti-incendio) sono lavoratori che vengono nominati in numero

variabile, 1 o più in funzione della grandezza della realtà lavorativa di cui sono responsabili, e

successivamente formati allo svolgimento di questa nuova mansione; colui che viene nominato non può

sottrarsi a tale compito (articolo 18) a meno che il medico del lavoro (previa richiesta di visita valutativa da

parte del datore di lavoro) non lo giudichi inidoneo per caratteristiche psico-fisiche. Tali figure sono anche

formate (nel nostro ateneo a partire dal mese prossimo) all’utilizzo del defibrillatore (la cui presenza è

diventata obbligatoria sui luoghi di lavoro a partire da gennaio 2013) e al BLSD.

Volendo riassumere, le finalità della sorveglianza sanitaria sono: operare formazione in materia di sicurezza

sul luogo di lavoro, monitoraggio e valutazione dello stato di salute psicofisica di ogni lavoratore; il medico

del lavoro è inoltre tenuto a stilare ogni anno una relazione sullo stato di salute della popolazione lavorativa

di cui è responsabile, da inviare poi all’INAIL; questa relazione riporta tutte le patologie professionali che si

sono eventualmente manifestate, senza alcun riferimento anagrafico del malato; tali dati saranno sottoposti a

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valutazione dall’INAIL per fare uno studio epidemiologico che monitori e porti a conoscenza delle patologie

professionali che sono presenti in Italia.

Vi avrà poi già detto il prof Sannolo che la visita preventiva del lavoratore da parte del medico del lavoro

serve soprattutto a individuare quelle condizioni di ipersuscettibilità individuale a determinati fattori che

possono diventare dei deterrenti all’assunzione del soggetto o al suo inserimento in contesti che espongano a

particolari agenti di rischio.

Veniamo ora alla classificazione degli agenti di rischio che possiamo incontrare in qualsiasi contesto

lavorativo:

-fisici: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, vibrazioni, rumore, microclima

-biologici: (i principali) hbv, hcv, hiv, tbc, morbillo parotite e rosolia (limitatamente a piccole realtà, come la

pediatria), ebola (era un problema molto raro in passato, ritornato tristemente in auge negli ultimi tempi)

-chimici: gas anestetici, farmaci antiblastici, detergenti, disinfettanti, sterilizzanti e solventi; di questi alcuni

sono anche cancerogeni come ad esempio gli antiblastici, di questi poi alcuni hanno specifiche tossicità

d’organo come il 5fluorouracile che è etichettato come cardiotossico. La manipolazione di queste sostanze

senza adeguati dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherina) ha provocato la manifestazione di

patologie a carico di determinati organi o apparati.

-movimentazione manuale dei carichi (mmc) e movimenti ripetitivi: come abbiamo già detto nella scorsa

lezione, sono esposti a mmc tutte le realtà lavorative, in ambiente ospedaliero parliamo di movimentazione

manuale dei pazienti da parte di infermieri, soprattutto nei reparti di lunga degenza come quelli di geriatria e

ortopedia; le patologie che più frequentemente scaturiscono da mmc sono a carico di rachide, polso e spalla.

Mmc e movimenti ripetitivi rientrano nell’ambito dell’ergonomia del lavoro, una branca della medicina del

lavoro che in particolare studia l’esatta organizzazione del lavoro, gli aspetti più pratici, per poter poi

sviluppare ambienti e supporti adattati alle esigenze del lavoratore (per es. luminosità, sedie, ecc.) esempio di

mestieri caratterizzati da movimenti ripetitivi è quello della cassiera. Rientrano anche nelle competenze

dell’ergonomia del lavoro i vdt (videoterminalisti) che sono quei lavoratori (segretari, impiegati) che

trascorrono almeno 20h, non necessariamente continuative, a settimana utilizzando dei videoterminali;

questo limite delle 20h non continuative è una novità del 2000 (legge comunitaria poi acquisita e introdotta

nel DL 81/2008), precedentemente, infatti, si consideravano vdt solo coloro che stavano al videoterminale

per 4h/die per 5 giorni consecutivi . Per questa categoria di lavoratori c’è un titolo della legge che stabilisce

come e con che cadenza vanno visitati.

(un ragazzo chiede se non vadano inquadrate come vdt anche molte altre figure lavorative e non solo, la prof

risponde che in pratica è così, ma la legge prevede che, relativamente ai soli lavoratori ovviamente, siano

sottoposti a visita solo coloro che vengono definiti vdt dal datore di lavoro –sempre a patto che rispettino il

limite delle 20h-, fa quindi l’esempio dei docenti della facoltà di medicina che vengono dichiarati solo come

esposti al rischio biologico pur se passano molte ore al pc a stendere lavori di ricerca, pertanto saranno

sottoposti solo a visita per rischio biologico e non per i problemi visivi che pure potrebbero avere; altro

esempio è fatto parlando dell’ipotetico caso dell’autista che trasporta pz che devono fare fisioterapia

dichiarato invece dal datore di lavoro come fisioterapista, in questo caso il problema è più grave, perché al

fisioterapista non si fanno ad esempio i controlli sul tasso alcolemico che invece sarebbero previsti per

l’autista, ma lo si visita solo, per es., per mmc, è chiaro quindi le conseguenze di questa non esatta

dichiarazione del datore di lavoro possono rivelarsi molto più pericolose. La prof aggiunge che, qualora

emergesse la realtà di questa situazione, l’unico penalmente responsabile e perciò perseguibile, nonché

sottoposto a pesanti sanzioni, è proprio il datore di lavoro, in quanto il medico del lavoro ha l’obbligo di fare

esclusivamente i controlli dovuti, relativamente ai soli rischi dichiarati dal datore di lavoro per quella

categoria di lavoratori, non è tenuto di accertarsi che quanto dichiarato risponda al vero e non ha

responsabilità in caso accada qualcosa – come conseguenza del rischio non indagato perché non dichiarato-).

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-rischi trasversali: sono riconosciuti dal 2008 e ritenuti responsabili di provocare stress e patologie

psicologiche lavoro-correlate, si tratta di: sindrome del burn out, mobbing, lavoro a turni

- allergopatie professionali come alcune forme asmatiche, dermatiti atopiche e da contatto, esse sono

presenti in diverse realtà lavorative.

-cuore e lavoro: per es. infartuato da reinserire, al riguardo non ci sono linee guida e si sta ancora valutando

come procedere

(Filomena Boccia)

E andiamo ai rischi presenti in ambiente ospedaliero (siamo ancora alla prima lezione, io mi auguravo che a

quest’ora fossimo già alla terza, però mi fa piacere che mi fate le domande e rendiamo la lezione più

discorsiva).

Quando faccio vedere queste immagini dico sempre che la mia specializzanda, avendo fatto l’erasmus in

Francia,in un ospedale di Nizza, ha mostrato quest’immagine che ben si presta alla spiegazione di tutti gli

agenti di rischio ospedalieri,in quanto l’ospedale rappresenta un esempio di realtà lavorativa dove ci sono il

90% degli agenti di rischio che prima abbiamo mostrato. Il laboratorio,la sala operatoria e i reparti di

degenza sono quelli in cui il rischio biologico,quello chimico e quello fisico sono largamente presenti, non

da ultimi anche i rischi trasversali. In ambiente sanitario rischi da stress lavoro-correlato sono principalmente

la sindrome del burn out,che è una patologia che riguarda le figure d’aiuto, quindi medici e infermieri, che

porta, in una serie di fasi successive, da una condizione iniziale di grande entusiasmo per la professione a

una condizione di completo distacco dalla professione stessa, per un inevitabile contrasto quotidiano con

quelle che sono le impossibilità di realizzare tutte le idee positive in merito alla professione medica, legate

molto spesso all’inadeguatezza dei luoghi di lavoro.

E andiamo al rischio biologico, che è la seconda parte della lezione. Ragazzi questa è una lezione a cui tengo

parecchio, quindi mi auguro che la seguiate con attenzione.

Domanda: i turni di lavoro di 12 ore( notturni e diurni) possono essere considerati fattori di rischio

trasversali? se sì, perché non vengono eliminati?

Risposta: solo quelli notturni sono riconosciuti come tali ( i turni prolungati giornalieri non sono

contemplati) e questo ha una motivazione scientifica, perché la mancanza di sonno si associa a

un’alterazione del bioritmo fisiologico ,c’è un’alterazione ormonale, una iperproduzione di cortisolo,quindi

questa problematica è stata correlata all’insorgenza di ansia e depressione e ancora ad altre cose:ci sono una

serie di lavori scientifici relativi a donne (medici o infermiere) che hanno sviluppato il ca mammario, quindi

parliamo di uno stress lavoro-correlato che provoca l’insorgenza di patologie neoplastiche. Nella valutazione

dello stress non ci si basa solo sulle dichiarazioni del soggetto interessato, ma si ricorre a questionari

standardizzati, che vi farò vedere, con items di riferimento, per cui il risultato sarà confrontato con delle

fasce di riferimento verde, giallo o rosso, come un semaforo: l’esito in fascia verde comporta la riproposta

del questionario negli anni, l’esito in fascia giallo-rossa comporta la riproposta del questionario non più a

gruppi di lavoratori ma ad personam, questionari soggettivi, e qualora il questionario soggettivo confermi il

disturbo psicologico, il datore di lavoro è tenuto a pagare la terapia psicologica e il recupero psicologico o

psichiatrico( perché la psicoterapia può anche non essere sufficiente) fatti al lavoratore. La valutazione del

turno notturno come causa si stress viene fatta dall’INAIL, che contribuirà a pagare di tasca sua, insieme alla

struttura che ha scatenato lo stress, sulla base del lavoro già fatto dai medici del lavoro e dagli psicologi e

ulteriormente confermato da un team di medici dell’INAIL (pneumologi, ortopedici, dermatologi), tramite

ulteriori visite mirate a stabilire se c’è il nesso di causalità. Quindi non basta dire “sono stressato”, ma ci sarà

un’attenta valutazione per capire se questo stress è effettivamente legato al lavoro, valutazione clinico-

strumentale che comincia nella struttura grazie al medico del lavoro e si completa nell’ente che poi paga. La

donna in stato di gravidanza viene sottratta dal turno notturno per i nove mesi della gravidanza e per sette

mesi dopo il parto fino a un anno di vita del bambino, in maniera obbligatoria, fino a 3 anni di vita del

bambino potrà sottrarsi in maniera facoltativa; quindi il riconoscimento di rischio reale c’è,la letteratura

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medica lo dimostra e la legge lo riconosce, però ottenere un indennizzo per stress lavoro-correlato sarà di

sicuro più indaginoso rispetto al riconoscimento di una sovrainfezione da epatite B o C, qualora in seguito a

un follow up fatto da noi insorga una problematica di questo tipo che prima non era presente, poiché in tal

caso il dato è oggettivo, mentre per lo stress pochissime sono state le cause effettive riconosciute fino ad ora

(ricordiamo che è stato riconosciuto dal 2008).

Come vi ho detto ( e questa è una domanda che faccio frequentemente agli esami) gli agenti di rischio

biologico maggiormente presenti nel settore sanitario (perché poi ce ne sono tanti altri in settori non sanitari,

che non tratteremo) sono: HBV, HCV, HIV, bacillo della tubercolosi e poi morbillo, parotite e rosolia in casi

selezionati, cioè nei reparti di ginecologia e pediatria, e non da ultimo il virus Ebola.

In ambiente ospedaliero il rischio più noto e studiato è il rischio biologico: per rischio biologico intendiamo,

secondo il decreto legislativo 81 del 2008, non solo l’esposizione diretta ad un agente patogeno e quindi

microorganismo o OGM (organismo geneticamente modificato) ma anche l’esposizione di un lavoratore in

maniera indiretta a un microorganismo, per esempio coltivato in una coltura cellulare: quindi anche i biologi,

i chimici, i biotecnologi possono essere esposti a rischio biologico. Ci sono vari modi di classificare il rischio

biologico; nel famoso diario di valutazione dei rischi, io, medico del lavoro, che ho per la prima volta

l’incarico in un ospedale , trovo le informazioni relative a quali sono i rischi ai quali sono esposti i lavoratori

di cui mi occupo e,solo grazie a queste ,potrò realizzare un adeguato protocollo di sorveglianza sanitaria,

quindi vado a ricercare in quel documento, presente nell’azienda, quali sono le caratteristiche di rischio

biologico presenti in quella realtà. Per fare ciò mi servono delle classificazioni: le classificazioni di

riferimento vanno ad etichettare il rischio biologico in base a dei criteri di infettività, di trasmissibilità,di

patogenicità e neutralizzabilità. Nella pratica la classificazione degli agenti biologici è questa: (al nostro

ateneo è attribuita una classe di rischio tra 2 e 3) gli agenti biologici di gruppo 1 sono quelli che presentano

poche probabilità di causare malattie negli uomini, quelli di gruppo 2 possono causare malattia negli uomini

e quindi costituire un rischio per i lavoratori ,ma nei loro confronti sono sempre o quasi sempre presenti

misure profilattiche e vaccinali, quelli di gruppo 3 possono causare malattie gravi negli uomini e quindi

costituiscono un serio rischio nei lavoratori, possono propagarsi nella comunità e sono quasi sempre

disponibili misure profilattiche terapeutiche ( lo sapete che oggi anche per l’HCV in America è prevista una

terapia a pagamento che determina guarigione), infine ci sono quelli che non mi auguravo mai di trattare, gli

agenti di gruppo 4, per i quali non esistono ancora misure profilattiche e vaccinali, come ad esempio il virus

Ebola. Questa classificazione è importantissima perché permette ai medici del lavoro di andare a quantizzare

il rischio biologico in una determinata struttura. In realtà non lo faccio io medico del lavoro ma lo fa il datore

di lavoro, io posso esprimere la mia e dire ad esempio “guarda, i lavoratori che mi hai mandato non sono

sottoposti a rischio 2 ma 3, quindi adeguati!” ma non sarò mai io, altrimenti nessuno si specializzerebbe in

medicina del lavoro (o igiene e medicina legale e dopo farebbe il master), a modificare l’entità del rischio nel

diario apposito, ma si tratto di un obbligo del datore di lavoro.

Come si trasmettono gli agenti di rischio biologico?ci sono vari tipi di trasmissione:

-nosocomiale, che si studia maggiormente in igiene, da paziente infetto ad altro paziente oppure da ambiente

ospedaliero infetto a paziente;

-occupazionale, di cui ci occupiamo noi, da paziente infetto a operatore;

La domanda intelligente che potreste fare è “e quella che avviene da operatore a paziente?”: sul danno a terzi

ci sono decreti del ministero dell’Italia e Europa che non sono stati ancora emanati,si tratta di una

problematica ancora molto scottante, soprattutto in Italia. In merito alla questione ci sono dei consigli, che

possono essere utilizzati e ci vengono dalla Gran Bretagna, dove un operatore con epatite C cronica viene

invitato a chiedere al paziente il consenso informato a farsi operare; ovviamente è una proposta non

universalmente condivisa.

Domanda : ma in relazione alla trasmissione operatore-operatore? Cioè io medico infetto posso trasmettere

oltre che al paziente anche al collega…

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Risposta: è una cosa molto rara, in ogni caso il collega è sottoposto,come tutti gli altri operatori sanitari, a

sorveglianza sanitaria e lo sarà anche il medico infetto,quindi si sa già da prima se ci sono potenziali rischi di

trasmissione di uno stato infettivo e si cerca di gestirli quando possibile: se c’è un caso di epatite in fase

attiva, le nostre linee guida consigliano di allontanare il lavoratore, anche se fa il chirurgo e può fare solo

quello. Quindi sì ci può stare e scattano tutte le misure profilattiche e preventive, che sono la gestione

dell’infortunio, che ora vediamo,il referto del pronto soccorso e il follow-up a 0-3-6-12 mesi per vedere se

c’è stata la sovrainfezione.

Un altro concetto che dovete avere sul rischio biologico è questo: quando si parla di rischio biologico ci si

riferisce al titolo decimo del decreto legislativo 81 del 2008 e ci si riferisce non solo all’uso deliberato ,che

significa certo, cioè esposizione certa al fattore di rischio biologico, come nell’ambiente ospedaliero, ma

anche all’ uso potenziale: un esempio di esposizione potenziale al fattore di rischio biologico può essere

quello di un banale ufficio di una segreteria amministrativa, dove il videoterminalista lavora al computer per

quelle 20 ore settimanali e si becca una bella legionellosi, perché all’impianto di condizionamento non è stata

fatta la regolare manutenzione che comporta la pulizia dei filtri e vi si è annidata la legionella pneumofila. I

settori lavorativi con esposizione deliberata al rischio biologico sono invece l’università, i centri di ricerca

come i laboratori di microbiologia, i laboratori che sperimentano farmaci, l’industria delle biotecnologie e

degli OGM. Ci sono tutta un’altra serie di lavorazioni che vengono etichettate come a rischio biologico non

ospedaliero, che sono l’industria alimentare, l’agricoltura, la zootecnia, i servizi veterinari,la macerazione

delle carni e, non da ultimo, il servizio di raccolta,trattamento e smaltimento dei rifiuti; altre attività sono i

servizi di disinfezione, sterilizzazione e disinfestazione.

Andiamo quindi ai nostri agenti patogeni pericolosi, li ripetiamo fino alla noia:HBV,HCV,HIV,micobatterio

tubercolare e in rari casi anche la meningite, ma non la tratteremo. Questi dati nascono dalla letteratura

scientifica internazionale pubblicati dalla nostra agenzia di medicina del lavoro e igiene industriale, la

SIMLII dopo 30 anni di attività lavorativa da parte di medici competenti: si è notato che in realtà lavorative

vecchie di 30 anni fa ,quando il vaccino per l’epatite B non era obbligatorio, il range di sovrainfezione per

l’epatite B era più elevato di quello per l’epatite C, principalmente per i chirurghi e gli infermieri

professionali.

Nella mia piccola esperienza dal 2004 nel corso di medicina e chirurgia ci sono stati pochissimi casi si

studenti che si sono punti,rispetto a quelli delle lauree triennali,anche perché, tornando al discorso di

prima,da programma didattico c’è un gradualità di rischio biologico a cui siete sottoposti,dal momento che al

terzo anno dovreste imparare come minimo a misurare una pressione e a fare un’intramuscolo e al sesto a

inserire un sondino naso-gastrico (risata generale).

Questa è un’altra cosa importante: nel contatto percutaneo (sangue infetto-sangue non infetto) abbiamo una

percentuale di sovrainfezione più elevata per l’epatite C( ma stiamo comunque parlando di percentuali basse,

che rasentano lo 0, per HCV è lo 0,45% dopo lesioni percutanee e aumenta se la cute non è integra);è quindi

importantissimo usare i guanti, ma fino a 2-3 anni fa ho visto infermieri professionali in reparti di malattie

infettive senza guanti con pazienti cirrotici allettati: nel caso questi si pungano e sviluppino una dermatite da

contatto con microlesioni saranno più esposto alla sovrainfezione. Nell’HIV la sovrainfezione avviene invece

maggiormente con contatto mucoso. Le percentuali di sovrainfezione da contatto percutaneo sono comunque

basse perché entrano in gioco una serie di fattori: il vaccino contro l’epatite B che dà immunità certa se il

titolo anticorpale è superiore a 10 unità/L, per HCV entra in gioco prima di tutto la carica virale:c’è

differenza cioè tra una goccia di sangue o se ti sei imbrattato completamente di sangue,come può succedere

durante un intervento a cuore aperto dove non è la goccina di sangue ad andarti negli occhi o in bocca,

sempre se non tieni gli occhiali e la mascherina (perché ragazzi qua parliamo di infortuni, ma non parliamo

del fatto che nel 98% dei casi questi sono accaduti perché gli operatori non indossavano nemmeno le scarpe

antiscivolo: in sala operatoria non si va senza mascherina, non si va senza occhiali, non si va senza cuffia o

senza guanti, ancor di più se non c’è una condizione di protezione dall’epatite B, perché c’è una piccola

percentuali di voi che è non responders e quindi potrà fare anche il vaccino cento volte ma non si

immunizza.; quindi prima i dispositivi di protezione individuale, poi la tutela).

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Oltre alla descrizione della tipologia di rischio biologico, si tiene conto anche del livello di rischio biologico

su cui si basa un’altra classificazione:

-livello trascurabile: non c’è assistenza diretta al paziente e non vi è manipolazione dei campioni biologici; io

faccio l’esempio delle specializzazioni, in particolare degli specializzandi in medicina del lavoro o di igiene

(medicina legale no, perché gli operatori fanno le autopsie)che, a meno che non si dilettino a fare i prelievi,

risultano sottoposti a rischio biologico trascurabile;

-livello lieve: assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici: qui rientrano tutti i

reparti di un ospedale;

-livello medio: esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione, ad esempio interventi chirurgici in

sala operatoria;

-livello elevato: c’è assistenza diretta al paziente e manipolazione in prima persona di campioni biologici ma

in più ci sono condizioni tecniche, organizzative e procedurali insufficienti o sfavorevoli;

Domanda : un chirurgo si classifica come a rischio medio-alto?

Risposta : dipende…in genere è classificato a rischio medio alto, ma bisogna tener conto anche del tipo di

interventi che esegue: non in tutti i reparti in cui si fa chirurgia c’è questo rischio medio alto, il livello sarà

medio in una sala in cui quotidianamente si fanno interventi di ernia, alto in una in cui si fanno trapianti di

cuore.

E andiamo al caso clinico per rendere le cose più interessanti ( le lezioni sono strutturate in questo mondo

perché ci tenevo tanto che poi poteste avere un ricordo della medicina del lavoro come di qualcosa collegata

alla medicina interna, in effetti la nostra è una branca della medicina interna, dove senza le nozioni di

cardiologia, pneumologia, radiologia e ortopedia, non possiamo esercitare la nostra professione; quindi il

caso clinico, come lo avete visto in altre branche, viene presentato allo stesso modo anche qui, solo che oltre

all’anamnesi familiare e personale, c’è anche un’anamnesi lavorativa)

Medico di 50 anni attivo nella branca di microchirurgia ricostruttiva, presta attività lavorativa nel settore

ospedaliero da circa 15 anni. Ha un’anamnesi fisiologica senza grosse note (alvo e diuresi regolari, abitudini

voluttuarie normali,nega uso di alcol e stupefacenti,fuma 10 sigarette al giorno da 15 anni, riferisce di avere

assolto al servizio di leva, nega terapie farmacologiche in atto). L’anamnesi familiare rivela una negatività

per epatiti pregresse in atto (perché, come voi sapete, può capitare che in una famiglia ci sia più di un caso,

vista la facilità di trasmissione per la HCV- per HBV ormai siamo invece quasi tutti vaccinati-per abitudini

sessuali particolari o anche semplicemente andando dal barbiere o dall’estetista). All’anamnesi patologica

remota riferisce i CEI (comuni esantemi infantili: morbillo, parotite e varicella), non è vaccinato per HBV,

lamenta episodi frequenti di mialgie e lombalgie,iperfrequenti nelle realtà ospedaliere. Come sintomatologia

lamenta da circa due anni un’astenia aspecifica. Interventi chirurgici: appendicectomia e tonsillectomia in

età infantile. Infortuni lavorativi (domanda:hai mai avuto infortuni lavorativi?):ferita da taglio accidentale

durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciata come da protocollo di infortunio (

questo è un caso simile a quello che è realmente capitato a me,cioè quello di una specializzanda che ha

scoperto di avere l’epatite e ha ricordato di essersi tagliata, negli anni antecedenti alla scuola di

specializzazione,in un reparto di dialisi: solo quell’episodio nel suo background anamnestico si poteva

ricollegare a una pregressa infezione). Anamnesi patologica prossima( come stai adesso?): persistenza di

lieve astenia e calo ponderale, quindi segni molto aspecifici. E andiamo all’esame obiettivo: oltre a un dato

di peso, altezza e pressione arteriosa, si effettua, soprattutto in fase di visita preventiva, un esame obiettivo

generale per andare a osservare lo stato di salute clinica generale: andremo a fare un esame obiettivo del

cuore, del torace, con tutti quelli che sono i momenti (ispezione, palpazione, percussione e auscultazione) e

in particolare ci si concentra soprattutto su quell’organo dove immaginiamo di trovare un’alterazione

collegata al nostro agente di rischio lavorativo, che nel nostro caso è il fegato,che alla palpazione appare

debordante di 1 cm dall’arcata costale ,con una milza in questo caso nei limiti. Esami ematochimici: dati di

glicemia e azotemia bene o male nei limiti così come la creatininemia,AST e ALT 250 e U/l, quadro protido-

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elettroforetico nella norma. Voi avete già avuto nozione dei markers epatitici? Ce li rileggiamo insieme:il

nostro lavoratore presenza assenza di antigene Australia HbSAg, una presenza di HbSAb, un’assenza di

HbEAb e una presenza di anticorpi anti core HbCAb. Allora questo è un grafico omnicomprensivo (indica la

slide) che mi auguravo di trattare a mente fresca( in Finlandia i bambini iniziano a studiare a sette anni,

lavorano per 45 min e 15 min si riposano, voi siete più grandi ma già è passata un’ora e mezza di lezione),

quindi è meglio che questo ce lo andiamo a vedere nella prossima lezione.

(Carola Borrelli)

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Medicina del Lavoro 20/10/2014

Allora ragazzi la scorsa volta ci siamo lasciati descrivendo il caso clinico di un lavoratore di 50 anni attivo

nella branca … con un anzianità lavorativa di 15 anni, anamnesi fisiologica familiare e patologica remota

negativa, non vaccinato per hbv e con questa particolarità anoressica per il mercurio biologico avvenuta

durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciato come da protocollo infortunio sul

lavoro. Esame obiettivo per lo più negativo tranne che per una positività a livello epatico per una lieve

epatomegalia, ecg e spirometria nella norma. Gli esami ematochimici di primo livello chiesti da un medico

del lavoro furono l’azotemia, glicemia, creatinina ( ai limiti), le transaminasi con AST 150 ALT 250 per litro,

emocromo, QPE nella norma. Andiamo ai markers epatitici: Hbs Ag Assente, Hbs Ab presente, Hb Ab

assente, Hbc Ab presente. Ritroviamo una positività del nostro lavoratore per gli anticorpi contro l’

antigene australe Hbs Ag e una positività per gli anticorpi contro l’antigene del core. Compare dopo 2-4

settimane dal contagio, compare dopo all’incirca 5-6 mesi e viene sostituito dall’anticorpo Hbs Ab, può

esserci una piccola eccezione legata al periodo finestra di breve durata dove possono convivere l’Hbs Ab e

l’Hbs Ag ad indicare una condizione di infezione recente nei confronti della quale l’organismo sta reagendo

con la comparsa dell’anticorpo Hbs Ab. Per quanto riguarda l’anticorpo Hbc Ag è un antigene che non viene

rivelato nel sangue del paziente, ma compaiono gli anticorpi contro questo antigene. Invece l’ HbE Ag è un

antigene che si ritrova nel sangue del paziente ed è associato al concetto di non proiettività in atto. Nei

confronti del Hb E Ag compaiono Hb E ab. Gli anticorpi contro il core possono essere di due tipi IgM o IgG a

seconda se l’infezione risulti recente o meno. Nel caso del nostro lavoratore il dosaggio di IgG, che molto

raramente sono compresenti con gli antigeni, ci andava ad indirizzare verso un infezione di vecchia data. La

presenza esclusiva degli Hbs Ab e l’assenza di tutti gli altri marcatori antigenici e anticorpali depone oggi

per un ragazzo di 25 anni per una pregressa vaccinazione, in tal modo i medici del lavoro valutando il titolo

anticorpale possono proteggere il lavoratore dal contatto con nuovi virus in sala operatoria o in altre

strutture sanitarie e allo stesso tempo valutare se effettuare una 4° dose di richiamo della vaccinazione

oppure ricominciare il ciclo. Il nostro lavoratore presentava una positività contemporanea degli anticorpi

anti-Hbv per una pregressa infezione e anti-Hcv, le indagini di secondo livello che vengono effettuate

dosaggio dell HCV-Rna e la collaborazione dello specialista. L’infettivologo richiederà un dosaggio quali e

quantitativo del Hcv-Rna ed un ecografia epato-splenica oltre ad effettuare una visità clinica. Andiamo alla

diagnosi di pregressa infezione da Hbv e di infezione in atto da Hcv, il medico del lavoro invierà il paziente al

centro infettivo logico, al medico del lavoro arriverà la certificazione specialistica che impugnerà per

decidere cosa fare in merito al giudizio di idoneità.

Ciò che interessa al medico del lavoro è la valutazione dello stato di infettività del lavoratore non solo per

una sovra infezione a terzi ma ciò che può succedere al nostro lavoratore stesso. Viene attribuito un

giudizio di inidoneità temporale per procedure invasive svolte in prima persona, tra le quali annoveriamo :

interventi in osso, interventi chirurgici che espongono il lavoratore ad elevate quantità di sangue. Altre

motivazioni la terapia con l’interferone può comportare cefalea, astenia, febbre, queste condizioni

favoriscono l’insorgenza di infortuni nelle sale operatorie. Per tanto il lavoratore viene allontanato dalla

sala operatoria con un giudizio di revisione a 3 mesi e la successiva gestione del giudizio viene ad essere

valutata in base alla progressione della patologia, remissione dell’epatopatia, valutando quindi valori e

andamento delle transaminasi e della replicazione virale associata ad un esame clinico accurato. Il decreto

81 è in merito alla gestione del rischio biologico, in particolare degli agenti patogeni presenti in ambiente

ospedaliero, i lavoratori per i quali viene evidenziato un rischio biologico vengono regolarmente sottoposti

a sorveglianza sanitarià, il datore di lavoro su parere del medico del lavoro adotta misure protettive

particolari. Qualora il medico del lavoro richieda guanti antitaglio per ridurre al minimo la possibilità di

taglio e quindi la possibile sovra infezione da agenti biologici. Il medico del lavoro contatta il datore di

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lavoro, gli chiede l’acquisto di questi guanti e allora il datore è obbligato secondo il titolo 10 articolo 179

comma 2a a fornire dispositivi di protezione individuale adeguati al rischio.

Rapidamente parliamo del vaccino HBV, vaccino sintetico costituito da Dna ricombinante, fatto un ciclo

completo la percentuale di siero conversione è del 95%. Mi è capitato di visitare grossi gruppi di lavoratori

provenienti dal casertano, dalla medesima asl, che nonostante il ciclo completo di vaccino presentavano un

titolo anticorpale bassissimo rientrando nella piccola percentuale di non responders. Tutto ciò è dovuto

essenzialmente a un problema dei lotti di vaccini forniti in quelle zone. La durata della protezione varia tra

5-10 anni, le nuove linee guida di malattie infettive ribadiscono che la protezione dell’individuo è tale per

valori di Hbs Ab superiore a 10 unità per litro, per tanto è possibile quando presenti questi valori evitare di

effettuare il 4° richiamo vaccinale mantenendo intatta la protezione. La vaccinazione per HBV è

raccomandata, ma non obbligatoria, per vari operatori socio-sanitari, personali di assistenza in casa di cura

privata,trasfusi o emodializzati e conviventi con pazienti affetti da epatite B cronica hanno diritto ad avere il

ciclo vaccinale completo per legge dal medico di famiglia. Di fondamentale importanza è la sensibilizzazione

nei confronti di un virus che è facilmente contraibile, sia in ambiente sanitario che all’esterno vista la sua

trasmissione ematica o sessuale in base allo stile di vita e vista la grande diffusione dei virus B e C in

Campania. Il protocollo (le analisi strumentali ed ematochimiche) che rientrano nella sorveglianza sanitaria

del lavoratore esposto ad agenti patogeni virali sono : esami ematochimici di base (azotemia glicemia

transaminasi creatinemia emocromo) e i markers del epatite B e C, esami di secondo livello: Hbv-dna e Hcv-

Rna.

Andiamo ora all’INFORTUNIO BIOLOGICO.

In occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure preventive previste dal

programma di sorveglianza sanitaria. In caso di esposizione parenterale (puntura d’ago), immediatamente

aumentare il sanguinamento, detergere con acqua e sapone o disinfettare. In caso di contaminazione di

mucose oculari o della bocca bisogna risciacquarle con acqua corrente abbondante. In caso di

contaminazione di cute lesa vista la maggiore probabilità di super infezione anche qui lavare con acqua e

sapone abbondante e disinfettare localmente la ferità. La diversità è solo per le mucose dove si va

immediatamente a detergere per andare a diluire la carica microbica che è entrata in contatto con le

mucose. Cosa fare dopo ? Immediatamente rivolgersi ad un agente preposto come caposala, docente,

direttore di scuola di specializzazione, direttore di dottorato e sarete immediatamente inviati verso il

pronto soccorso che vi rilascerà un referto di infortunio biologico senza il quale non può essere attuato il

follow-up sierologico presso la medicina del lavoro a 3-6-12 mesi dall’evento che ci permette di capire se è

avvenuta una sovra infezione da HBV HCV o HIV. Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post-

esposizione quando abbiamo un titolo anticorpale inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV.

Quando un operatore viene a contatto con un soggetto HIV + a seguito dell’esposizione per azzerare il

rischio di trasmissione virale bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la

somministrazione di farmaci antivirali al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività

del paziente. Bisogna recarsi per attivare questo tipo di procedura in pronto soccorso che dovrebbe essere

munito di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.

TUBERCOLOSI

Si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia coinvolta nella problematica della tubercolosi

soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Attualmente nell’ anno 2008 si stimano circa 193 nuovi casi per

centomila abitanti, sebbene i nuovi casi avvengano nelle regioni endemiche . Dal punto di vista

epidemiologico la diffusione dell’infezione tubercolare si localizza principalmente in SudAfrica e in Russia

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con casi di incidenza molto più alti che in Europa. Il primo caso che ha destato allerta in Italia nel 2011 si è

verificato per un infermiera del reparto di pediatria dell’Umberto I di Roma che era strutturato da più di 10

anni, ma non era stata sottoposta a sorveglianza sanitaria e per tanto aveva contratto la patologia. I medici

del lavoro romani furono inquisiti. Da questo caso di tubercolosi in fase attiva è derivato tutto quello che si

sta facendo oggi in tutta Italia per gestire la problematica della tubercolosi. In Italia la tubercolosi è una

problematica in aumento rispetto al passato con un aumento di 10 casi per 100000 abitanti con maggior

incidenza nel nord Italia rispetto al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a flussi migratori nelle regioni del

Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai Paesi dell’Est, mentre in altre zone di

Europa l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori provenienti dall’Africa. Il numero dei

casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle regioni del Nord Italia, ma maggiore

rispetto alle regioni del Sud. Nel 2012 in collaborazione con il prof. Moscatiello primario di pneumologia

abbiamo stilato le linee guida del nostro ateneo per la gestione dei casi di tubercolosi per la multifarmaco

resistenza che i ceppi tubercolari presentavano. Causata dal Micobatterium Tuberculosis di cui fanno parte

una sequela di altri micobatteri tra cui il principale è rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis

Hominis. E’ un patogeno intracellulare, con caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che

gli connota una peculiare acido resistenza insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e

alla reazione di ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux. Il bacillo di

Koch difficilmente determina l’instaurarsi di una infezione laringea e polmonare perché la tubercolosi è

una patologia che nel 95% dei casi si manifesta in fase latente e solo nel 5 % dei casi in forma cavitaria che

corrisponde alla tubercolosi in fase attiva. La probabilità di evoluzione di una forma latente in una forma

cavitaria aumenta nei dieci anni successi al contagio, per tanto il medico del lavoro è tenuto a sorvegliare

tutti i lavoratori al fine di impedire la riattivazione della patologia. La trasmissione della tubercolosi avviene

per via aerea tramite gocce di saliva di piccolissime dimensioni diffuse nell’area : pflugge, starnuto, tosse o

catarro, anche se la trasmissione dipende principalmente dalla concentrazione nell’area del bacillo, per

tanto pazienti allettati in luoghi di piccole dimensioni con ricambio d’aria scarso più facilmente possono

trasmettere il bacillo. Quali sono le problematiche di gestione del medico del lavoro ? Sono la scoperta in

visita preventiva o periodica di una condizione di tubercolosi in fase latente più raramente in fase attiva.

Come viene fatta la diagnosi ? In condizione di tubercolosi in fase attiva con la clinica caratteristica si

indirizzano i pazienti dagli pneumologi, si effettuano una serie di esami tra cui quello fondamentale è

l’esame colturale che ci da una risposta certa in 4-8 settimane oppure per altri tipi di terreni 2-3 settimane.

Per diagnosi di malattia latente si utilizza l’intradermoreazione di Mantoux, nella quale si iniettano dosi di

tubercolina e si va a valutare l’entità della reazione ponfoide nel derma della faccia volare dell’avambraccio

del lavoratore sottoposto. Qualora ci sia stato un pregresso contatto con il bacillo tubercolare la positività

della reazione di Mantoux si appaleserà come un reazione di ipersensibilità di 4°grado. Ci sono dei cut-off

utilizzati per la misura del diametro del ponfo e quindi la determinazione dello stato di tubercolosi in atto o

meno. Questi diametri sono variabili a seconda dei casi e del pregresso anamnestico del lavoratore.

Lavoratori HIV+ affetti da tubercolosi in stadio latente oppure operatori sanitari del Cotugno a contatto con

pazienti allettati affetti da tubercolosi presenteranno dei cut-off differenti rispetto ad un soggetto che non

ha mai avuto contatto con il bacillo. In questi casi il diametro della reazione ponfoide sarà superiore ai 5mm

ancor più se abbiamo a che fare con immigrati provenienti da aria d’Africa a prevalenza di malattia. La

positività alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche quando

apparentemente il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. L’art. 17 coma 1

decreto 81-2008 (non sono sicuro) obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica TBC in ambiente

ospedaliero, obbliga ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico del lavoro almeno una

volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano automaticamente una serie di

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indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria. Questa visita va effettuata per tutti i

contatti lavorativi che sono venuti a contatto con il lavoratore affetto dalla patologia.

Come fa un medico del lavoro a sapere quando e con che intervallo visitare un lavoratore esposto al bacillo

di Koch ? Nel documento di valutazione del rischio il medico del lavoro è obbligato a fare un indagine

epidemiologica dell’ ospedale interessato basandosi su un concetto che ha al centro il numero di casi di

lavoratori affetti da TBC nell’anno. Secondo le linee guida se abbiamo in un ospedale meno di 3 casi l’anno

parliamo di rischio basso o bassissimo,(per la prof. va distinto la fascia di rischio basso da quello bassissimo

perché entrambi connotato un rischio non elevato, ma danno un segnale di allarme differente),nel rischio

intermedio e alto rientrano ospedali dove il numero di casi l’anno risulta essere maggiore e non si fa solo

scoperta di patologia tramite fibrobroncoscopia come avviene negli ospedali del nostro ateneo dopodiché i

pazienti vengono inviati al Cotugno dove ci sono le degenze per i pazienti tubercolotici.

Andiamo a trattare la chemioprofilassi, vaccinazione e dispositivi di protezione individuale.

La sorveglianza sanitaria viene effettuata per la TBC in sede di visita preventiva, periodica o in seguito

all’esposizione con pazienti affetti. I dottorandi, specializzandi e strutturati della chirurgia toracica dopo

essere entrati in contatto con i pazienti affetti da TBC sono rientrati negli elenchi della sorveglianza

sanitaria inviati dalla direzione sanitaria, che effettua indagine e analisi dei contatti, li invia ai medici del

lavoro che eseguono i controlli periodici effettuati al punto zero e ripetuti ogni 60 giorni, perché la

letteratura ci dice che potremmo trovare un falso negativo al punto zero che diventa un vero positivo

nell’arco dei 60 giorni successivi alla prima visita. Tutti i contatti vengono sottoposti a doppia Mantoux al

punto zero e dopo 60 giorni. Una risposta alla tubercolina superiore a 10 può verificarsi in un lavoratore che

ha eseguito la vaccinazione, però il vaccino con il bacillo di CG non viene più proposto in maniera

obbligatoria perché gli studi epidemiologici effettuati nel 2009/2010 hanno stabilito che il vaccino non

avesse un immunità nei confronti del bacillo, perché la popolazione successivamente sottoposta a Mantoux

si presentava completamente negativa. Quindi l’immunità nei confronti del bacillo di Koch non si era

realizzata per cui il vaccino viene proposto esclusivamente in due casi : per la popolazione pediatrica entro

5 anni nelle zone dove la TBC è endemica e nei lavoratori che si ritrovano ad alto rischio di contagio per la

TBC, soprattutto in condizione di immunodeficienza e multi farmaco resistenza. DOMANDA DI ESAME : La

vaccinazione con il Bacillo di CG non viene più effettuata a tappeto per il personale sanitario? La

prevenzione si fa con la proposta della intradermoreazione di Mantoux che va a slatentizzare una

condizione di Tubercolosi latente a cui segue chemioprofilassi tramite consenso informato. L’unica misura

di prevenzione non è più la vaccinazione, ma la Mantoux una volta sola. ALTRA COSA IMPORTANTE : Oggi la

Mantoux va abbinata con un altro test che ha elevata sensibilità e specificità (intorno al 95-98 %) i test

IGRA, in cui non si va ad iniettare tubercolina,ma si va a dosare direttamente nel sangue l’interferon gamma

rilasciato dai leucociti come segnale del pregresso contatto con il bacillo di Koch. Solo quelli che non hanno

avuto il contatto presentano nel sangue l’interferone gamma che viene dosato.

Perché non si sostituisce la Mantoux con il test IGRA che ha una specificità e sensibilità superiore di circa

300 volte rispetto alla Mantoux ? Perché non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta scala, cioè in

tutta la popolazione. Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa vaccinazione o tramite

un contatto che non si è a conoscenza, solo tramite test IGRA possiamo avere la certezza del contagio. Se

l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione radiologica e pneumologica, se il test IGRA è

negativo l’iter diagnostico si conclude. La cosa fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del

test IGRA si fa diagnosi certa di TBC latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test

IGRA negativo possiamo escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch. Purtroppo il

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test IGRA non può essere effettuato su vasta scala perché ha un costo proibitivo, si promuove nelle realtà

ospedaliere dove il medico del lavoro può richiederla al datore di lavoro poiché il numero del personale da

analizzare risulta ristretto a 100-150 persone.

NOZIONI SPECIALISTICHE :

Se abbiamo una Mantoux positiva in visita preventiva, questa sarà sempre un vero positivo e si procederà

in visita periodica proponendo il test IGRA.

Valori borderline di 0.35 di Quantiferon comportano una ripetizione a 3 mesi perché questi valori devono

essere poi riconfermati a 6 mesi. Quindi il medico del lavoro deve riconvocare una piccola percentuale di

persone borderline, perché questi possono diventare francamente positivo e quindi andare incontro a

chemioprofilassi.

In conclusione la collaborazione del medico del lavoro, pneumologo e direzione sanitaria della realtà

ospedaliera permette di gestire anche e soprattutto i casi di TBC in fase attiva con i quali il lavoratore può

venire a contatto. Questi punti rientrano nel programma di formazione e informazione in cui al lavoratore

viene spiegato cosa fare quando viene a contatto con il bacillo di Koch, quali dispositivi utilizzare, quale iter

seguire e quali controlli fare a 0 e 60 giorni per infezione tubercolare. Quindi la sola sorveglianza sanitaria

non è sufficiente a ridurre al minimo l’incidenza di infortuni e malattie professionali, fondamentale in

questo sistema sono la valutazione dei rischi, la prevenzione, protezione, formazione e informazione sul

rischio. Quindi il primo momento del sistema sicurezza significa visitare il lavoratore a rischio biologio,

mentre il secondo momento è informare e formare il lavoratore sui rischi.

LA TUTELA DELLA DONNA LAVORATRICE IN STATO DI GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO

Il decreto cardine che tutela la donna in stato di gravidanza è il decreto 151 del 2001 inserito all’interno del

testo unico 81 del 2008. Excursus storico : nel 1948 entra in vigore la Costituzione che sancisce l'

eguaglianza storica tra uomo e la donna, 1977 divieto di discriminazione in accesso al lavoro per la

formazione e retribuzione della donna , nel 1994 1999 e 2000 con la legge 53 riconoscono nella donna in

gravidanza e allattamento il diritto al congedo di maternità e congedi parentali (congedi per malattia dei

figli). Fino ad arrivare al 2014 in cui il numero di lavoratrici donne aumenta sempre più nel tempo.

LEGGI DI TUTELA

La legge 120 del 1971, la legge 53 del 2000 e la legge 151 del 2001 tutelano la donna lavoratrice in periodo

di gravidanza e allattamento. La tutela per la lavoratrice in stato di gravidanza e allattamento non

comprende solo i 9 mesi di gravidanza, ma fino ai 7 mesi successivi al parto. La comunicazione di stato di

gravidanza va effettuata dalla lavoratrice immediatamente al suo riconoscimento certo in qualsiasi attività

lavorativa. Il datore di lavoro è tenuto venendo a conoscenza dello stato della lavoratrice a tutelare per i

primi 30-45 lo sviluppo e l'integrità del bambino allontanando la lavoratrice da qualsiasi agente teratogeno.

Quindi è necessario e fondamentale dichiarare con imminenza lo stato di gravidanza al dirigente preposto o

datore di lavoro. Il datore di lavoro quando viene a conoscenza dello stato di gravidanza se è possibile

modifica la mansione della lavoratrice oppure cambiare la mansione della lavoratrice. Quando il datore di

lavoro non può cambiare mansione della lavoratrice, come può accadere nelle industrie tessili dove la

maggior parte del lavoro è manuale a contatto con numerose sostanze alcune teratogene, fa un esposto

all'ispettorato provinciale del lavoro chiedendo l'allontanamento della lavoratrice da quel determinato

fattore di rischio. La lavoratrice che non può svolgere altra mansione rimarrà a casa percependo il suo

salario, questa è la novità del decreto 151 del 2001 che tutela in pieno lo stato di gravidanza andando a

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farsi che la donna non perda la sua attività lavorativa e allo stesso tempo venga tutelata la salute del feto.

Nel momento in cui si verifica questa condizione scatta quella che si chiama interdizione anticipata per

maternità. Questa interdizione ovviamente si verifica per quelle donne con alti rischi lavorativi.

La legge 151 del 2001 prevede due allegati uno A e B dove vengono descritti tutti i lavori a cui la lavoratrice

non può essere più sottoposta. La lavoratrice in stato di gravidanza non può essere sottoposta a vibrazioni

meccaniche o a movimentazioni da manovale di carichi pesanti che comportano rischi a livello dorso-

lombare, non può essere più sottoposta a strumentazioni rumorose e assolutamente non può essere

esposta a radiazioni ionizzanti superiori a 1 millisider, non può essere sottoposta a sollecitazioni termiche

(es: Vigili del fuoco) e agenti biologici da 2 a 4 della classificazione che abbiamo visto l'ultima volta per i

quali esistono o meno misure profilattiche nei confronti dei vari agenti biologici. Lo stesso discorso vale per

gli agenti chimici come metalli e sostanze chimiche etichettate come tossiche. Il decreto 151 2001 dice che

qualsiasi lavoratrice non può essere obbligata ad effettuare il turno notturno,dalle 24 alle 6 del mattino,

fino ad un anno di vita del bambino, inoltre fino all'età di tre anni può facoltativamente scegliere di fare o

meno il turno notturno, allo scoccare del terzo anno dovrà sottoporsi al turno notturno a meno che non sia

esente per altre patologie.

CONGEDO OBBLIGATORIO PER MATERNITA'

Il COM scatta automaticamente due mesi prima del parto (a partenza dal settimo mese) e per i tre mesi

successivi alla nascita del bambino (con un ammontare totale di 5 mesi) indipendentemente dall'attività

lavorativa svolta. Il COM può essere anticipato qualora ci siano delle condizioni pregiudizievoli nei confronti

della gravidanza alle quali non è possibile effettuare una riorganizzazione lavorativa. Nessun datore di

lavoro può obbligare la donna a lavorare per i 5 mesi di COM, la quale sarà normalmente retribuita. Altra

condizione di congedo anticipato per maternità, differente da quella precedente in cui il congedo era

anticipato per fattori di rischio lavorativi in caso di mancata riorganizzazione, si verifica quando ci troviamo

di fronte ad gravidanza a rischio. La lavoratrice con certificato di visita ginecologica che attesta il rischio di

aborto e l'incompatibilità con il lavoro svolto può godere del congedo anticipato rimanendo a casa la stessa

giornata del rilascio e ritornare sul posto di servizio tre mesi dopo la nascita del bambino. La lavoratrice se

vuole può continuare a lavorare fino all'ottavo mese di gravidanza, previa certificazione ginecologica e

accettazione della domanda da parte del medico del lavoro della struttura a cui afferisce, utilizzando il

concetto di flessibilità del congedo. Ciò comporta di rimanere a casa con il nascituro per 4 mesi dopo il

parto anzichè 3 mesi, recuperando il mese avendo posticipato il congedo.

ASSENZE RETRIBUITE NEL PERIODO POST-GRAVIDANZA

Se si prevede un orario di lavoro superiore alle sei ore la legge prevede un riposo di due ore se invece

inferiore alle sei una sola ora di riposo, per i parti gemellari questo valore va raddoppiato o triplicato. L'art.

28 DL. 81/2008 dice che il datore di lavoro nel diaro del documento di valutazione del rischio deve avere un

capitolo a parte sulla gravidanza e sulla gestione della gravidanza se non lo fa incombe in una causa penale

e una sanzione superiore a 15000 euro per danno biologico. Nella relazione il datore di lavoro oltre ad

indicare le persone a rischio deve specificare, quali sono le misure per gestire la gravidanza, quali sono le

procedure immediate e quali sono le persone incaricate a gestire la condizione di gravidanza da parte della

lavoratrice.

Mi scuso per tutti gli eventuali errori. In Fede

FORZA NAPOLI <3 1926 <3 Luigi Giugliano

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Medicina del Lavoro 27-10-2014

Prof.ssa Monica Lamberti

DANNI DA ESPOSIZIONE A STRUMENTI VIBRANTI (Prima parte)

Tratteremo oggi i danni da esposizione a strumenti vibranti in ambienti di lavoro, sempre

nell’ambito degli agenti di rischio fisico occupazionali. Allora facendo un breve excursus sulle

caratteristiche delle vibrazioni,le caratteristiche fisiche di una vibrazione sono l’ampiezza espressa

in metri,la velocità espressa in m/s e la frequenza intesa come numero di oscillazioni al secondo.La

misura che definisce la frequenza di una vibrazione è l’Hertz.Quindi ampiezza,velocità,frequenza.

Secondo Misner le frequenze delle vibrazioni che determinano patologie occupazionali si dividono

in basse,medie e alte frequenze.Le basse frequenze sono quelle che vanno da 0 a 2 Hz e sono

associate a mezzi di trasporto come automobili,navi e aerei. Determinano nel gruppo di lavoratori

che ne è esposto il cosiddetto Mal dei trasporti.Le medie frequenze che sono quelle che vanno dai

2 ai 20 Hz associate a macchine di impianti industriali come trattori,come gru,come scavatrici

determinano effetti su tutto il corpo,in particolare osteopatie.Le vibrazioni ad alta frequenza sono

vibrazioni caratterizzate da una frequenza superiore ai 20 Hz e intendiamo per queste strumenti

vibranti come lo scalpello,le perforatrici e il martello pneumatico.Inducono patologie

angioneurotiche e osteoarticolari.Determinano la cosiddetta patologia distrettuale perché vengono

utilizzati dalla mano destra per i destrimani e dalla mano sinistra per i non destrimani e sono quelle

che interessano la Medicina del Lavoro.Quindi riassumendo: patologie che interessano tutto il

corpo sono determinate da basse e medie frequenze,patologie distrettuali sono causate da

vibrazioni ad alta frequenza. Le patologie da vibrazioni che si trasmettono a tutto il corpo (bassa e

media frequenza) vanno a interessare l’apparato osteoarticolare e l’apparato oto-

vestibolare.L’interessamento di quest’ultimo determina una iperstimolazione a livello

vestibolare,quindi a livello dei canali semicircolari determinando appunto disturbi dell’equilibrio

che si ritrovano frequentemente nei lavoratori che sono esposti a basse e medie frequenze.Anche

gli impulsi afferenti dai meccanocettori cutanei e sottocutanei dalle zone mesenteriche e

addominali giocano un ruolo nell’insorgenza della patologia total body collegate alle vibrazioni a

frequenza bassa e media.E andiamo ai danni al sistema osteoarticolare.La colonna vertebrale è la

struttura che maggiormente risente delle vibrazioni total body, in particolare, questo tipo di

vibrazioni determinano una ipersollecitazione a livello del tratto lombare,dorsale e cervicale.Questi

lavoratori possono lamentare più facilmente rispetto ad altri una patologia a livello cervicale e

lombosacrale.Cosa ne deriva?Ne deriva una riferita lombalgia o lombosciatalgia

cronica,slatentizzazioni di ernie o di soluzioni discali soprattutto a livello del tratto lombare e non

da ultimo alterazioni precoci degenerative a livello del rachide lombari questi lavoratori

presentano condizioni di artrosi pregressa e ingravescente.Quindi in età giovanile se sottoposti già

all’utilizzo senza sistema di prevenzione e sicurezza degli strumenti vibranti vanno incontro ad

artrosi pregressa e ingravescente legata al lavoro,dunque di origine occupazionale. E andiamo alla

patologia distrettuale dovuta agli strumenti vibranti.L’utilizzo di martello pneumatico,scavatrici

possono determinare un insieme di disturbi neurologici,vascolari e osteo-articolari che riguardano

in particolare il sistema mano-braccio,quindi collegati ad utensili vibranti ad alta frequenza.E’ chiaro

che ci sono dei fattori che favoriscono l’insorgenza della patologia distrettuale collegati sia alla

modalità d’utilizzo dello strumento vibrante,sia alle caratteristiche peculiari del soggetto che lo

utilizza.Andiamo a vedere quali sono questi fattori determinanti e quindi l’insorgenza della

patologia distrettuale.

Le caratteristiche delle vibrazioni la frequenza,l’ampiezza sono collegate all’insorgenza di una

diversa patologia

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Le caratteristiche delle esposizioni quindi per quanto tempo viene utilizzato quello

strumento,quell’utensile sono collegate chiaramente maggiormente per quelli che lo utilizzano tutti

i giorni all’insorgenza di una patologia distrettuale.Ancora un altro fattore importante è il fattore

biodinamico e cioè come viene mantenuto l’utensile durante lo svolgimento della propria attività

lavorativa,che tipo di forza di prensione viene utilizzata e se questa modalità di utilizzo che è tipica

del singolo lavoratore può più facilmente far insorgere un microtraumatismo a livello delle falangi

acrali delle mani.Fattori ambientali quindi una condizione di microclima sfavorevole che si associa

principalmente ad un utilizzo errato dell’utensile può favorire l’insorgenza della patologia

distrettuale.Patologie preesistenti,quindi condizioni di ipersuscettibilità come malattie vascolari,

come pregressi traumi e lesioni a livello delle falangi distali della mano possono favorire

l’insorgenza di una patologia distrettuale da strumenti vibranti.

E andiamo alle principali attività lavorative dove appunto questa problematica clinica può

manifestarsi più frequentemente: settore dell’edilizia,settore metalmeccanico,le

fonderie,l’industria del legno e anche il settore terziario quindi agricolo forestale.Quali sono quindi i

danni che si associano più frequentemente alle esposizioni alle vibrazioni ad alta frequenza?Lesioni

di tipo vascolare,lesioni di tipo osteo-articolare,lesioni di tipo neurologico e lesioni di tipo

tendineo.Andiamo ad analizzare prima le lesioni vascolari.Caratteristica fondamentale dell’utilizzo

protratto in condizioni di non sicurezza degli strumenti vibranti è l’insorgenza del fenomeno di

Raynauld del tipo secondario.Come ben sapete il fenomeno di Raynaud è caratterizzato da un

arresto transitorio che si slatentizza dopo particolari esposizioni(es freddo) del flusso arterioso delle

zone acrali delle mani e andiamo appunto a vedere quali sono le condizioni predisponenti dei

lavoratori che utilizzano questa tipologia di utensili,condizioni predisponenti all’insorgenza del

fenomeno di Raynaud secondario, perché secondario?Perchè collegato appunto all’utilizzo di

strumenti vibranti.Una condizione cronica di riduzione del flusso sanguigno, dell’ipotensione

arteriosa oppure una stenosi a livello vasale a monte delle arteriole che irrorano le falangi distali

possono favorire,in lavoratori predisposti un fenomeno di Raynaud secondario all’utilizzo di

strumenti vibranti.E andiamo ai vari stadi.Questa classificazione di Stoccolm ci va a rappresentare

quelle che sono le fasi che si evidenziano nei lavoratori che utilizzano strumenti vibranti.Nello

stadio zero non si riferiscono sintomi vaso-spastici quindi non c’è una sintomatologia suggestiva di

fenomeno di Raynaud.Negli stadi successivi,quindi dallo stadio uno in poi si evidenziano fenomeni

di pallore all’estremità di uno o più dita.Nello stadio 2 si evidenziano episodi di pallore alle falangi

distali ed intermedie di tre o quattro dita fino ad arrivare agli stadi 3 e 4 dove oltre al danno legato

all’ipoafflusso sanguigno si manifestano segni distrofici a livello cutaneo e quindi siamo in fase di

malattia professionale da utilizzi di strumento vibrante per la quale si attiva un iter di denuncia di

malattia professionale all’INAIL per cui il lavoratore se dimostra che ha contratto questa patologia

al lavoro viene indenizzato per questa malattia professionale che risulta da causa lavorativa.Quali

sono le indagini che vanno ad approfondire una lesione vascolare come il fenomeno di Raynaud?Ce

ne sono tante.Alcune sono di facile esecuzione e sono le prove termiche e dinamiche che possono

essere fatte anche in un laboratorio di medicina di base,altre richiedono l’utilizzo di

apparecchiature più sofisticate come la fotodismografia(?) e la capillaroscopia.Andiamo a spiegare

prima le prove termiche e le prove farmaco-dinamiche.La prova termica o cold test si basa sul

concetto di slatentizzazione del fenomeno di Raynaud collegato a immersione delle mani in acqua

fredda(circa 10 gradi) da uno a cinque minuti in ambiente confortevole con astensione da fumo di

tabacco che potrebbe dare un falso negativo da almeno un’ora e quello che si va a visualizzare, a

valutare che ci permette di fare diagnosi di fenomeno di Raynaud secondario è il recupero della

irrorazione a livello delle falangi distali che normalmente in una tempistica di 20-25 minuti,in un

lavoratore che presenta fenomeno di Raynaud secondario a utilizzo di strumenti vibranti senza

misure di prevenzione e sicurezza adeguate,questi tempi si allungano di molto.Quindi la tempistica

della non irrorazione che avviene dopo mezz’ora si va a fare diagnosi di fenomeno di Raynaud

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secondario.Sullo stesso principio si basa il test farmaco-dinamico: vengono proposti al lavoratore

derivati della nitroglicerina,in particolare la trinitroglicerina.In condizioni di riposo,il lavoratore

ingerisce la trinitroglicerina a livello sublinguale e i tempi di recupero dell’irrorazione a livello delle

falangi distali vengono valutati come normali o come patologici e quindi collegati all’utilizzo di

strumenti vibranti. Ci sono poi altre apparecchiature come la capillaroscopia e la (?) che a volte

vengono associate a queste prove farmacologiche e chiaramente si richiede l’acquisto di queste

strumentazioni per fare una diagnosi più approfondita.Quando il medico del lavoro fa diagnosi di

fenomeno di Raynaud secondario si richiede il supporto dello specialista in questo caso il

reumatologo che con l’indagine capillaroscopica ci va a mostrare un’alterazione a livello delle

falangi acrali e sarà un’alterazione morfologica,quindi di forma dei capillari e di numero.La

relazione che lui ci mosterà ci permetterà di fare le nostre considerazioni in merito al giudizio di

ideoneità alla mansione di quel lavoratore.Abbiamo quindi analizzato le lesioni vascolari dovute

all’utilizzo di strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo a approfondire gli altri danni che si

possono verificare nel lavoratore che utilizza strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo alle

lesioni osteoarticolari. A livello del semiunare si possono verificare lesioni vacuolari e a livello del

gomito come vi ho detto una condizione di artrosi pregressa e ingravescente che avviene in età

giovanile e ha un andamento che difficilmente risponde alla terapia. Quindi a livello dell’Rx del

gomito andremo a evidenziare quelli che sono i segni di un’artrosi a livello appunto del gomito

quindi la presenza di esostosi e osteofiti.Altra lesione osteoarticolare che ci troveremmo a

osservare nell’ambito del nostro esame obiettivo saranno alterazioni sempre di tipo artrosico

quindi degenerativo a livello dell’articolazione acromio-clavicolare e scapolo-omerale.Questi

distretti insieme al fenomeno di Raynaud vanno valutati sempre sia in visita preclinica che in visita

periodica da noi medici del lavoro.E andiamo alle lesioni di tipo neurologico.Un altro fenomeno

molto frequente è la sindrome del tunnel carpale.Il lavoratore manifesterà alterazioni a livello della

sensibilità tattile e termica,alterazioni legate all’interessamento del nervo mediano e ulnare con

conseguenti variazioni della velocità di conduzione sensoriale e ulnare.Le indagini che andremo a

effettuare sono in prima istanza l’elettromiografia e i potenziali evocati. E quindi l’elettromiografia

come indagine principale per la diagnosi di tunnel carpale perché l’utilizzo protratto,cronico dello

strumento vibrante va a determinare una paralisi del nervo mediano secondaria alla compressione

del nervo stesso collegata ad un edema flogistico da utilizzo protratto dello strumento vibrante con

conseguente insorgenza della sindrome del tunnel carpale.L’ultimo danno potenziale

nell’utilizzatore di strumenti vibranti sono le lesioni tendinee.Quelle più frequenti sono lesioni a

livello dell’olecrano e delle mani.A livello dell’olecrano si possono osservare dei tipici speroni ossei

che si possono ritrovare a livello radiologico e che ci permettono di confermare il dato anamnestico

e semeiologico effettuato sui lavoratori e che è necessario richiedere per fare diagnosi di lesione

tendinea da utilizzo di strumenti vibranti.Alle lesioni tendinee si può associare il morbo di

Dupuytren quindi la retrazione dell’aponeurosi palmare è un altro fenomeno che si può

evidenziare.Un’ultima patologia distrettuale dovuta all’utilizzo di strumenti vibranti è la flebo-

trombosi a livello del distretto succlavio-maxillo-brachiale nei lavoratori che utilizzano lo strumento

vibrante lavorando sempre con l’avambraccio e il braccio lontani rispetto al corpo,quindi lavoratori

che non seguono un corso di formazione adeguato,che non hanno i guanti per ridurre al minimo la

trasmissione delle vibrazioni a livello delle mani e dell’avambraccio possono incorrere anche in una

flebo-trombosi a livello succlavio maxillo brachiale.

E andiamo alle legislazione.Il decreto legislativo 81/2008 descrive tutto ciò che io vi ho raccontato fino ad

adesso dando all’articolo 7 delle indicazioni su come far lavorare i lavoratori in sicurezza nell’esposizione

da vibrazioni e che riguardino il sistema mano-braccio e che riguardino il corpo intero.E quindi andiamo a

questi valori limiti di esposizione e valori di azione. Come vi ha spiegato il prof Sannolo ci sono dei valori

limiti di soglia per gli agenti di rischio chimico a cui si può essere esposti in ambiente di lavoro oltre i quali la

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letteratura scientifica internazionale ci dice che possono esserci dei danni organici nei lavoratori.Lo stesso

vale per tutti gli altri agenti di rischio.Se ci riferiamo alle vibrazioni io andrò a cercare un parametro,un

numero associato ad un’unità di misura.Il decreto 81/2008 dice che il valore massimo di esposizione

giornaliera a vibrazioni total body è riferito a una giornata di otto ore al giorno per quaranta ore

settimanali.Quindi per il sistema mano-braccio il decreto dice che per una giornata di otto ore questo

valore limite di esposizione deve essere di 5 metri a secondo quadrato. Un altro concetto che dovete

apprendere è il valore d’azione giornaliero significa quel range che non deve essere mai superato per far sì

che potenzialmente non si abbia l’insorgenza di tutti quei danni clinici di cui abbiamo parlato fino ad

adesso.Quindi l’81/2008 dice che il valore massimo d’esposizione è di 5 m al secondo quadrato ma dice al

datore di lavoro “attieniti sul valore d’azione che è 2,5 metri al secondo quadrato,e non superare mai i 5”.Si

dice valore di azione perché è il valore che fa scattare l’azione preventiva. Lo stesso vale per le vibrazioni

che si trasmettono a tutto il corpo,sono parametri ancora più bassi e quindi il valore che fa scattare l’azione

è di 0,5 metri al secondo quadrato e non deve superare mai 1 metri al secondo quadrato.Quindi per 8 h al

giorno l’entità delle vibrazioni non deve essere mai superiore per tutto il corpo a 1 e per il sistema mano-

braccio a 5.Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi comunque su valori più bassi.Questo serve per

attuare un sistema di prevenzione e sicurezza che impedisca al lavoratore di manifestare una malattia

professionale.Nel caso in cui successivamente alla valutazione dei rischi risultino superate i valori d’azione

immediatamente si attuano una serie di misure preventive e di sicurezza. Oltre a misurare le vibrazioni a cui

è esposto il lavoratore,oltre a verificare che i parametri di riferimento siano quelli bisogna formare il

lavoratore sull’utilizzo in sicurezza degli strumenti vibranti,sul risultato delle misurazioni relative all’utilizzo

di quei strumenti vibranti per far sì che si riduca allo 0% la possibilità d’insorgenza delle malattie

professionali.

ERGONOMIA E LAVORO: UTILIZZO IN SICUREZZA DEI VIDEOTERMINALI (Seconda parte)

Ergonomia: metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro.L’obiettivo dell’ergonomia

è quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l’ambiente alle caratteristiche psico-fisiche

del lavoratore stesso.Il rispetto dell’ergonomia è sempre previsto dal decreto legislativo 81/2008 in

particolare il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro,nella concezione dei posti di

lavoro è un concetto che serve a ridurre al minimo il danno sulla salute collegato a un lavoro di tipo

monotono e ripetitivo come quello da utilizzo di computer.Perchè il decreto legislativo 81/2008 dà grande

importanza al concetto di ergonomia?Perchè le patologie che possono insorgere al lavoro in condizioni di

disergonomia come una tendinite a livello del sovraspinoso,una tendinite a livello del bicipite o anche

banali borsiti che si possono verificare negli utilizzatori di videoterminali sono riconosciute come malattie

professionali secondo delle tabelle,tabelle di malattie professionali a cui noi facciamo riferimento quando

andiamo a fare una denuncia di malattia professionale.Quindi implementare nei luoghi di lavoro il concetto

di ergonomia significa ridurre al minimo l’insorgenza di queste patologie che sono riconosciute come

malattie professionali. Altre ancora riconosciute come malattie professionali sono le epicondiliti,le trocleiti

e la sindrome del tunnel carpale a livello dell’arto superiore,a livello dell’arto inferiore abbiamo le borsiti

del ginocchio,le tendinopatie del quadricipite femorale e la meniscopatia degenerativa.Quindi queste

patologie osteoarticolari che possono insorgere nel videoterminalista insieme a tutta la problematica

oculare che ora andiamo a vedere sono riconosciute come malattie professionali secondo la tabella delle

malattie professionali del 21-7-2008.Attualmente è stata fatta una revisione di questa tabella.Quindi queste

malattie sono collegate a una disergonomia del luogo di lavoro per cui è molto importante rispettare nella

progettazione dei luoghi di lavoro il concetto di ergonomia.E andiamo ai videoterminali.Per videoterminale

intendiamo un’apparecchiatura dotata di schermo alfanumerico e quindi rientrano in questa categoria tutti

i personal computer e i sistemi dotati di elaborazione dati,testi o immagini.L’addetto al videoterminale è

un lavoratore che per definizione utilizza il videoterminale per almeno 20 ore a settimana.Se mi trovo ad

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andare in una struttura dove il datore di lavoro mi dice che non ci sono video terminalisti,deve fare una

dichiarazione che i suoi ad esempio 10 lavoratori con i dieci nomi utilizzano i videoterminali per 18 ore alla

settimana. In questo caso non scatterà la sorveglianza sanitaria.Quali sono i decreti legislativi che sono stati

ripresi dal decreto legislativo 81/2008 e che hanno parlato in particolare di video visione del lavoro?In

particolare ci interessa la legge 422 del 2000 che ha modificato il concetto del monte-ore (appunto di venti)

collegate al danno da utilizzo di videoterminale. Quindi la variazione della definizione di videoterminalista

che ora vi spiegherò è legata alla legge 422 del 2000 che è stata inserita nel decreto legislativo 81/2008

all’art 7.Quindi si intende per lavoratore non solo come ho detto prima quello che utilizza il computer per 4

ore al giorno per un totale di 20 ore alla settimana,ma anche quello che utilizza un’attrezzatura munita di

videoterminale in modo abituale per 20 ore settimanali,ma in modo non continuativo il che significa che il

lavoratore un giorno lavora 6 ore,un giorno lavora 3,un giorno non lavora proprio con il computer ma

realizza comunque un monte-ore di 20 tramite questa legge 422 del 2000 è riconosciuto comunque come

videoterminalista.Quindi l’utilizzo sistematico ma non continuativo del videoterminale grazie alla legge 422

del 2000 permette di recuperare tutte quelle persone che utilizzano il videoterminale anche in maniera non

continuativa e quindi di inserirle in un sistema di soverglianza santaria per ridurre al minimo l’insorgenza

delle patologie muscolo-scheletriche e oculari che ora andremo a vedere.Ogni quanto viene effettuata la

sorveglianza sanitaria?Il decreto 422 del 2000 ha stabilito un criterio che deve essere rispettato: il

lavoratore fino a 50 anni esegue una sorveglianza sanitaria quinquennale.Dopo i 50 anni la visita viene

effettuata ogni due anni perché si presuppone che si sovrappongono nel 90-95% della popolazione di

videoteminalisti problematiche come la presbiopia che possono interferire in qualche modo con la visione.

Questa tempistica stabilita del legislatore di 5 anni può essere modificata qualora vengano espressi giudizi

di idoneità con prescrizione e quindi lavoratori che hanno problematiche oculari ad es congiuntivite

ricorrente,lavoratori che hanno problematiche lombo-sacrali ricorrenti il medico del lavoro può decidere di

visitarli più frequentemente rispetto a questa tempistica di 5 anni anni prevista fino ai 50 anni dal

legislatore. Altro concetto espresso appunto dall’articolo settimo della legge 422 2000 sono le pause

lavorative.I lavoratori che utilizzano il videoterminale per 20 ore a settimana sono obbligati a fare una

pausa di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.La sorveglianza sanitaria

chiaramente andrà a valutare con maggior attenzione l’apparato oculare e il sistema muscolo scheletrico.Il

datore di lavoro dovrà predisporre le attrezzature da lavoro in modo da assicurare una condizione di

minimo affaticamento oculare e dorso lombare,in particolare(D.lvo 151/2001) per le lavoratrici gestanti che

utilizzano il videoterminale ci sono delle regole da rispettare con un aumento delle pause che quindi

saranno più frequenti.Si consiglia alla lavoratrice in stato di gravidanza di alzarsi dal posto di

lavoro,decontratturare la muscolatura paravertebrale e disassuefare i muscoli oculari dal videoterminale.

Andiamo quindi a quelli che sono i requisiti minimi per un lavoratore in sicurezza del

videoterminalista.Come deve essere la postazione di lavoro?La scrivania dove si poggia un videoterminale

dovrebbe essere consigliata dalle linee guida di colore non riflettente,quindi non bianco,non nero,ma color

ciliegio.Si consiglia per l’acquisto di scrivanie per il videoterminalista definite ergonomiche una superficie

ampia,non riflettente,non di colore bianco.Altra cosa la grandezza della scrivania deve essere notevole in

modo da assicurare un corretto posizionamento degli avambracci al di sopra della stessa perché vedremo

che qualora non ci sta lo spazio per poggiare bene l’avambraccio e quindi muovere con tranquillità

l’avambraccio sulla scrivania nell’utilizzo del mouse si va a sovraccaricare e quindi portare meno

ossigenazione a livello della mano dell’avambraccio con insorgenza di indolenzimento e da ultimo anche la

sidrome di tunnel carpale che è una delle patologie collegate all’uso protratto non in sicurezza del

videoterminalista.Ancora un’altra caratteristica della postazione di lavoro ergonomica è un adeguato

alloggiamento degli arti inferiori,quindi sotto la scrivania deve esserci lo spazio sufficienza perché anche per

questo si può incorrere in patologie a livello degli arti inferiori che possono inteferire con

l’attività.(Domanda: perché non deve essere riflettente il colore della scrivania?Perchè va a creare degli

sfarfalii sul monitor che affaticano gli occhi).Inoltre la sedia deve essere di tipo girevole,con lo schienale

regolabile e con una curvatura ben precisa:una convessità ben precisa che è quella che ripercorre le

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fisiologiche concavità e convessità della colonna vertebrale..Il poggiapiedi non è un obbligo del datore di

lavoro.Se viene richiesto dal lavoratore,ad esempio può essere richiesto da una donna in stato di

gravidanza si presuppone una condizione più frequente di edema agli arti inferiori per cui il poggiapiede

può servire per decontratturare i muscoli degli arti inferiori,quindi su richiesta del lavoratore il datore di

lavoro deve fornire il poggiapiedi.Altra caratteristica che deve avere la postazione di lavoro del

videoterminalista è di avere un adeguato microclima,quindi la scrivania non deve stare né troppo vicino al

termosifone né troppo vicino all’impianto di condizionamento perché il microclima con le caratteristiche di

eccessiva umidità o di poca umidità può determinare secchezza oculare. Alla scrivania bisogna stare con la

schiena diritta e non piegata sulla scrivania.La distanza deve essere 50-70 cm dallo schermo e in più per

evitare affaticamento muscolare soprattutto a livello cervicale e affaticamento visivo,lo spigolo inferiore

dello schermo deve essere al di sotto della visuale che passa tra gli occhi e l’orizzonte,quindi la sedia deve

stare più in alto rispetto al monitor.Quindi questi sono i requisiti minimi che dobbiamo verificare quando

facciamo il famoso sopralluogo annuale.Altra cosa: tutti i fili e filetti collegati al computer devono stare

possibilmente aldilà della postazione perché capita spesso che i fili fanno inciampare il lavoratore che può

rompersi una gamba per un motivo banale.Quindi il decreto prevede anche questo:l’adeguato

alloggiamento di tutto l’impianto elettrico per il funzionamento del videoterminale deve essere

possibilmente attaccato al muro di fronte al videoterminalista.E andiamo ai danni da utilizzo del

videoterminale in condizioni non ergonomiche.La prima alterazione oltre ai disturbi muscolo scheletrici che

già vi ho fatto vedere è la condizione di astenopia = fatica visiva.Quindi sindrome astenopica,disturbi

muscolo scheletrici e stress lavoro-correlato.I video terminalisti sono lavoratori che lamentano più

frequentemente condizioni di stress lavoro-correlato e come vi ho detto rientra negli agenti di rischio

trasversali riconosciuti dal decreto legislativo 81/2008.Che cos’è l’astenopia?E’ una condizione di

debolezza,facile affaticabilità dell’occhio ,dolori oculari,visione confusa o doppia,quindi diplopia.I

lavoratori che utilizzano videoterminali per 20 ore a settimana lamentano frequentemente questa

patologia.Quindi la sindrome che presenta cefalea,emicrania,difficoltà di concentrazione è l’astenopia.Lo

stress lavorativo è molto frequente nei video terminalisti perché il lavoro del videoterminalista molto

spesso ha delle caratteristiche che sono alla base dell’insorgenza di una condizione stressogena: condizioni

di lavoro monotono e ripetitivo,carico di lavoro o eccessivo o troppo scarso,condizione di responsabilità

avvertite dal lavoratore come molto basse rispetto al desiderio di comando da parte del lavoratore

stesso,rapporti conflittuali con i proprio colleghi o superiori e non da ultimo condizioni di disergonomia. I

disturbi di tipo psicologico o psicosomatico sono insonnia,condizione di sindrome ansioso-

depressiva,cefalea e tensione nervosa.Come valuta questo il medico del lavoro?( se viene richiesto il

medico del lavoro,può anche essere incaricato uno psicologo)Viene proposto un questionario fatto

inizialmente in maniera random a tutti i lavoratori e poi qualora questo questionario risulti essere positivo

per cluster di lavoratori,a quel cluster di lavoratori si passa alla cosidetta fase soggettiva,quindi viene

proposto il questionario ad personam.Qualora questa seconda fase risulti essere positiva il datore di lavoro

è tenuto secondo il decreto legislativo 81/2008 a pagare le spese di recupero psicologico-psichiatrico del

lavoratore che presenta questa patologia.La legge però dice che è il datore di lavoro a preparare questi

questionari o con il supporto del medico del lavoro o con il supporto dello psicologo.I difetti visivi come la

presbiopia,come la miopia,come l’ipermetropia non sono causati dal videoterminale ma sono condizioni

che possono essere peggiorate dall’utilizzo protratto in condizioni di non sicurezza del

lavoratore.Quindi,ancora,un’inquinamento a livello dell’aria respirata dal lavoratore ad esempio una sede

con molte fotocopiatrici o una sede con un rilascio di sostanze,questo si chiama inquinamento

indoor,possono determinare irritazione oculare,irritazione a livello delle mucose vanno a determinare più

facilmente una condizione di sindrome astenopica.I distrurbi muscolo-scheletrici sono soprattutto a

collo,schiena,braccia spalle e mani,quindi arti superiori,arti inferiori.Le principali cause lavorative che nel

videoterminalista determinano alterazione a livello della colonna vertebrale sono posture di lavoro

fisse,quindi mantere sempre la stessa postura per tutto l’orario di lavoro in maniera lavorativa può

determinare l’insorgenza di patologie a livello cervicale e dorso lombare.Utlizzare il mouse in maniera

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ripetitiva e con movimenti rapidi può determinare un sovraccarico a livello della mano e dell’avambraccio

con un indolenzimento che può far insorgere oltre al dolore la sindrome del tunnel carpale.

Il Niosh è un ente internazionale che ci va a dire per ogni agente di rischio quali sono i valori limite da

rispettare e in questo caso per il video terminale quali sono le condizioni di lavoro collegate al

videoterminale che possono far insorgere alterazioni muscolo-scheletriche? Assunzione di posture

incongrue sono collegate all’insorgenza di patologie muscolo-scheletriche.

La formazione anche in questo caso è importante.Fare formazione al videoterminalista significa dare queste

principali linee guida:

-Movimento : durante i 15 min di pausa è consigliato alzarsi dalla postazione e se possibile disassuefare i

muscoli posturali o facendosi una rampa di scale o facendosi una piccola passeggiata a piedi per

riossigenare la muscolatura paravertebrale e degli arti inferiori

-Per quanto riguarda gli occhi vengono dati tre consigli: 1)Il palming.Assumendo una posizione

seduta,comoda coprire entrambi gli occhi chiusi con i palmi della mano fino a ottenere questa condizione di

colore nero di fondo.In questo modo si ottiene il rilassamento della mente e si disassuefanno i muscoli

oculari 2)Blinking, significa ammiccamento degli occhi,permette chiudendo le palpebre per 1-2 min di

rilubrificare la congiuntiva oculare e quindi riduce quella sensazione di secchezza collegata all’utilizzo

protratto del videoterminale.3)Sunning che significa esporre gli occhi alla luce solare a palpebre chiuse per

alcuni minuti.Questo è un consiglio che viene dato perché la luce solare ha il potere di vasodilatare ,quindi

di favorire l’afflusso sanguigno a livello oculare,quindi tiutti questi consigli sono utili per la riossigenazione

oculare.Inoltre abbiamo il Washing:lavare con acqua fredda gli occhi è un altro piccolo consiglio che viene

proposto per ridurre sempre al minimo la secchezza oculare.

Vengono anche suggeriti nei corsi di formazione esercizi muscolari di disassuefazione dei muscoli

paravertebrali che permettono

INTRODUZIONE ALLA LEZIONE SUCCESSIVA

Argomento: Patologia da esposizione all’amianto e conseguente mesotelioma che ha determinato nel 2012

ha determinato risarcimenti di grossa entità per le famiglie di lavoratori che avevano avuto esposizione

all’amianto da cui ne era derivata la morte.Questa è una sentenza storica emessa a Torino nel 2012e per la

prima volta in Italia si è parlato di disastro doloso da esposizione all’amianto.

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Medicina del lavoro, prof.ssa Lamberti 4/11/2014

ASBESTOSI

La scorsa volta vi mostrai le immagini rappresentative di una sentenza storica emessa da un gruppo di

Guariniello in merito al risarcimento alle famiglie di operai che erano stati esposti all’amianto nella regione

Lombardia, quindi c’è stato il primo riconoscimento da parte del tribunale della Lombardia nel 2012 di

grossa entità per le famiglie di ex esposti all’amianto.

Il termine amianto non definisce un unico minerale ma comprende un gruppo di silicati di magnesio che si

dividono in due categorie: “asbesti di serpentino” e “asbesti di anfibolo”,che a loro volta si dividono in

amosite, crocidolite e antofillite. La differenza di queste due categorie di amianto sta nelle caratteristiche

fisiche delle fibre: le fibre di amianto serpentino hanno una lunghezza che va fino ai 5cm e un diametro tra

0.7µm e 1.5µm; l’amianto di anfibolo ha un diametro che va fino ai 4µm e una lunghezza maggiore, fino a

8cm.

L’amianto è stato un prodotto largamente utilizzato in varie attività lavorative, soprattutto per la

costruzione di edifici. Dal 1992 la legge 257 vieta l’estrazione, l’importazione e la commercializzazione di

amianto o di prodotti contenenti amianto; dal 1992 ad oggi nessuna attività può produrre o può prevedere

cicli produttivi che impieghino l’amianto come prodotto di partenza. L’esposizione lavorativa all’amianto

oggi si ha solo in un caso : attività lavorative che si occupano della bonifica di ex strutture che ancora

contengono amianto al loro interno; nella nostra regione Campania ce ne sono ancora tantissime.

Nel decreto ministeriale del 6/9/1994 vengono dettati i requisiti minimi per attività che espongono

lavoratori all’amianto nello smaltimento dell’amianto stesso; vi ho portato l’immagine di uno spogliatoio

che si chiama unità UDP dove la legge prevede in maniera dettagliata che non ci sia mai il rilascio di

indumenti nell’ambiente perché il problema dell’amianto è legato non solo all’esposizione diretta ma anche

all’insorgenza di asbestosi e mesotelioma in tutti i familiari che ne sono venuti a contatto. Questi operai

tornavano a casa, depositavano i loro indumenti sporchi e queste fibre si diffondevano in tutta la casa. Non

so se vi è capitato di vedere interviste fatte a intere famiglie decimate dal mesotelioma quindi è molto

importante quello che dice la legge, che prevede uno spogliatoio per coloro che si occupano dello

smantellamento degli edifici a base di amianto, una pulizia separata dal rilascio di indumenti sporchi e

separata completamente dall’esterno per evitare al minimo la diffusione delle fibre fortemente

cancerogene nell’atmosfera e quindi nella popolazione.

L’amianto è stato largamente utilizzato prima del decreto perché ha le caratteristiche di: incombustibilità;

resistenza alle alte temperature; resistenza all’usura, all’aggressione di sostanze chimiche e alla trazione. La

caratteristica dell’indistruttibilità era legata alla incombustibilità, alla grande elasticità, alla fono assorbenza

e alla capacità di creare impianti termoisolati. L’amianto è stato usato nella creazione dei soffitti e pareti

delle case, nell’industria tessile per la creazione di tessuti ignifughi per le varie attività dove è necessario

prevedere questo tipo di rivestimenti. Molti impianti sportivi, ancora oggi ce ne sono nelle scuole,

prevedevano nelle controsoffittature l’utilizzo delle fibre di amianto per la grande capacità di isolamento

rispetto all’ambiente esterno e per la grande capacità di resistenza alle variazioni di temperatura. Impianti

sportivi e alberghieri, quindi, sono stati costruiti con l’utilizzo di amianto. L’industria ferroviaria e navale

(costruzione di rivestimenti condensanti e pannelli) hanno largamente utilizzato l’amianto. Le lavorazioni

dove maggiormente l’amianto ha esposto i lavoratori a intossicazione e all’insorgenza di mesotelioma sono

state l’estrazione in cava o miniera, l’industria del cemento, l’industria dei freni, l’industria tessile,chimica,

dei cartoni. Oggi l’esposizione è prevista solo per lo smaltimento dei manufatti e dei rottami contenti

amianto. Tutte queste industrie ora devono utilizzare materiali alternativi.

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Secondo l’ISPES che è un ente preposto alla prevenzione nei luoghi di lavoro ora accorpato all’INAIL (non

esiste più l’ISPES, esiste solo l’INAIL che ha una sezione chiamata ISPES) si prevede addirittura che ci siamo

ancora 607000 unità produttive presenti sul territorio italiano che espongono i lavoratori all’amianto e si

prevede circa che 3500000 persone siano esposte ancora oggi al problema amianto con una diversità di

esposizione che è maggiore in Veneto e Lombardia ma soprattutto Liguria e Piemonte rappresentano le

regioni dove il problema amianto è ancora molto presente. Noi siamo in una posizione intermedia ma

comunque con elevata esposizione all’amianto.

PATOGENESI

Le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più grandi vengono

eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei bronchioli respiratori,

dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che porterà all’insorgenza della fibrosi

polmonare che è alla base dell’asbestosi. La chemiotassi dei macrofagi, con l’intervento del complemento,

inizia con una tempistica di 48-72 ore. Non tutti i macrofagi sopravvivono al contatto con le fibre di

amianto; alcuni vanno in contro a citolisi, altri inglobano le fibre e rilasciano fattori di crescita per altre

cellule, soprattutto fibroblasti. Un fattore fondamentale nell’iniziazione e perpetuazione del processo

flogistico è FGF e la Fibronectina. Oltre ai fibroblasti sono coinvolte altre cellule flogistiche che

contribuiscono all’insorgenza e alla formazione del granuloma fibrotico che si crea a livello del parenchima

polmonare. Macrofagi attivati, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo

infiammatorio che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell’asbestosi.

ANATOMIA PATOLOGICA

All’esame macroscopico il polmone asbestosico in fase iniziale di esposizione all’amianto non presenta le

lesioni tipiche asbestosiche. Nelle forme più avanzate, quando c’è stata un’esposizione maggiore

all’amianto, i polmoni si presentano di volume ridotto e consistenza aumentata. Tutte le fibre di asbesto

sono in grado di provocare una fibrosi interstiziale diffusa che comincia inizialmente nei lobi inferiori

polmonari poi diffonde a tutti i campi polmonari, destro e sinistro. È importante sottolineare che per fare

diagnosi differenziale con un’altra pneumoconiosi (l’asbestosi è una pneumoconiosi di tipo collagenico

perché le cellule infiammatorie rilasciano collagene a livello dell’interstizio polmonare) molto studiata in

medicina del lavoro, la silicosi, si tiene conto del fatto che esse prevedono un interessamento di zone

diverse a livello polmonare. Se a livello anatomo-patologico le fibre di asbesto inizialmente si localizzano ai

lobi inferiori e alle basi polmonari, in corso di silicosi la localizzazione avviene soprattutto a livello medio-

apicale. Un’altra caratteristica tipica dell’asbestosi, non presente nella silicosi, sono i corpuscoli di asbesto,

tipici dell’asbestosi e non presenti nella silicosi. Essi sono fibre di asbesto inglobate in fagolisosomi presenti

nel sito di flogosi polmonare che al loro interno presentano proteine con ferro che circondano la fibra. Sono

detti corpi ferruginosi e sono presenti a livello polmonare in corso di asbestosi.

Mostra una sezione istologica che fa vedere la consistenza aumentata rispetto a un parenchima polmonare

normale, una struttura molto più compatta tipica dell’asbestosi rispetto a un parenchima normale in cui non

c’è stata invasione delle fibre e trasformazione in fibrosi polmonare.

CLINICA

L’E.O. presenta delle caratteristiche tipiche.

Il lavoratore dopo una latenza di circa 10-15 anni dall’esposizione all’amianto presenta:

Dispnea da sforzo e in fase avanzata anche dispnea a riposo;

Tosse secca, a volte accompagnata da broncospasmo o tosse produttiva;

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Toracodinia, dolore toracico collegato alla presenza di placche pleuriche;

In fase avanzata una condizione di alterazione degli scambi alveolo-capillari, desaturazione

ossiemoglobinica, riduzione dell’ipossiemia, cianosi;

Gli ispessimenti a livello della pleura viscerale determinano delle atelettasie a livello polmonare;

Mesotelioma che 8 lavoratori su 10 (80%) hanno manifestato dopo esposizione a fibre di amianto;

La caratteristica del Mesotelioma è di avere una lunga latenza, dai 15 ai 40 anni dall’esposizione

all’amianto. Ci aspettiamo che nel 2020 si avrà un picco di casi di mesotelioma nelle regioni italiane per

tutti quelli che sono ex esposti, ora non lo sono più, all’amianto.

DIAGNOSI

Esame metodologico. La differenza (domanda d’esame) tra un esame semeiologico fatto in fase

avanzata di esposizione, rispetto a un esame semeiologico fatto nei primi due anni di esposizione

all’amianto, è questa : a livello ausculatorio e percussorio abbiamo assenza completa di rumori in

fase iniziale, ascoltate il murmure vescicolare fisiologico; nelle fasi avanzate dell’esposizione

ascoltate reperti tipici, rantoli o crepitii teleinspiratori su tutti gli ambiti polmonari. I rantoli

migranti, migranti perché all’orecchio percepite questi rumori che sembrano migrare perché

presenti su tutti gli ambiti polmonari, si sentono in fase di teleinspirazione nelle fasi avanzate

dell’esposizione.

Prove di funzionalità respiratoria, proposte dal medico del lavoro. L’indagine di più facile

somministrazione è l’esame spirometrico. Solo nei casi conclamati quando c’è positività all’esame

semiologico di presenza di rantoli, anche a livello diagnostico avremo una positività all’esame

spirometrico.

Altre indagini fatte solo in fase più avanzata sono:

Test di diffusione polmonare di CO;

Esame dell’espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti;

Fibrobroncoscopia e BAL;

Scitigrafia polmonare con Gallio 67;

HRTC, ancor prima dell’rx torace;

A livello radiologico viene utilizzata la classificazione dell’ILO (International Labour Office) secondo la quale

le fibre che si manifestano come opacità lineari a livello dell’esame radiografico, vengono distinte a

seconda del diametro. Le fibre con opacità di diametro fino a 1.5mm vengono classificate con la lettera s;

tra 1.5-3mm con la lettera t; tra 3-10mm con la lettera o.

A livello delle sezioni effettuate tramite HRTC è possibile vedere le stesse opacità in maniera ancora più

evidente. A ex esposti all’amianto è difficile che venga proposta solo l’RX del torace ma si procede quasi

sempre alla HRTC perché la tac ha anche la possibilità di vedere le placche pleuriche, ispessimenti a livello

della pleura parietale che si manifestano dopo 15-20 anni dall’esposizione all’amianto.

MESOTELIOMA PLEURICO

Fino agli anni 60 era un tumore maligno considerato molto raro; si erano avuti dei casi manifestatesi in

Africa quindi non se ne aveva conoscenza in Europa. Le prime indicazioni minime sono arrivate in Europa

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verso gli anni 50-60: si pensava che il mesotelioma fosse un tumore secondario non primario, derivante da

un adenocarcinoma primitivo.

I mesoteliomi che più frequentemente si osservano collegati nel 95% dei casi all’esposizione all’amianto

sono mesoteliomi di tipo epiteliale, che comunque hanno una tempistica dalla scoperta del mesotelioma al

decesso di brevissima durata ma che fortunatamente rappresentano il 50% rispetto a quelli completamente

indifferenziati, a decesso ancora più rapido che rappresentano il 10% del totale.

Si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1000000; in Europa è previsto un rapporto maggiore

per i maschi che per le femmine; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione a fibre di asbesto

e nel 20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare che ne è stato esposto.

Dal punto di vista epidemiologico, studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore

determinante l’insorgenza del mesotelioma nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma il

tempo trascorso dalla prima esposizione. È la latenza dalla prima esposizione che fa la differenza

nell’insorgenza.

Altre forme di mesotelioma non a livello della pleura ma a livello di altre sierose sono meno frequenti ma

sono comunque state osservate negli anni e negli ex esposti all’amianto con i loro familiari: a livello

peritoneale, del pericardio, della tunica vaginale . Oggi con la Medicina del lavoro della SUN è in corso

proprio un progetto sui tumori ovarici collegati all’esposizione all’amianto di donne che ne sono venute a

contatto tramite operai esposti fino al 1992.

I segni e sintomi sono:

Dolore toracico prima transitorio poi continuo, che aumenta con i colpi di tosse;

Dispnea progressiva ingravescente;

Sindrome mediastinica;

Decesso entro 18-24 mesi;

La sorveglianza sanitaria prevede una Rx del torace annuale o in sostituzione, l’esame spirometrico e

qualora si abbia una positività si effettuano anche gli esami di secondo livello (esame dell’espettorato).

Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGH (ente americano preposto ai valori limite per

l’esposizione a sostanze chimiche per i lavoratori) si può prevedere un’esposizione (questo vale solo per

quelli che lo smaltiscono che sono esposti all’amianto in condizioni di iperprotezione, utilizzo dell’unità UFP

e utilizzo dello scafandro, che vedete che utilizzano anche le persone esposte all’Ebola) di 0.1fibra per cm³.

(cm³ è l’unità di misura che si utilizza in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova

eventualmente a inalare queste fibre).

Varie segnalazioni anche se rare di mesotelioma si erano manifestate già nei primi anni del 900. Nel 1991 si

è avuto il primo decreto legge che parla di regolamentazione dell’esposizione all’amianto. Nel 1992

l’amianto è stato eliminato. Grazie alla classificazione della IAC (ente preposto al raggruppamento delle

sostanze chimiche cancerogene per l’uomo), nel 1992 con il DL 257 l’amianto è stato eliminato da tutti i

processi lavorativi, vietandone l’utilizzo, l’importazione e l’esportazione. In tutte quelle che sono le attività

di protezione e prevenzione del datore di lavoro è necessario e obbligatorio prevedere una manutenzione

di eventuali costruzioni a base di amianto. Non sempre l’amianto presente negli edifici può essere causa di

concentrazioni nell’atmosfera per le persone che si trovano ad inalarlo. Il problema amianto è molto

presente nelle nostre scuole (recentemente è stata chiusa una scuola, poi riaperta, ai Colli Aminei perché

non era sottoposta periodicamente a questi controlli relativi alla misurazione ambientale di fibre amianto).

Non tutti gli edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli che sono sottoposti

più facilmente a vibrazioni, in quelli dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle pareti o

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se sono in condizioni di non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente disperdono

nell’aria le fibre amianto).

Un datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni di istallazione dell’edificio e

monitoraggio ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto disperse

nell’edificio. Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffatrometria, spettrometria) che

vanno ad analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, vengono messe su dei vetrini,

conteggiate e quantizzate tramite queste metodiche.

Con il DL 257 oltre a stabilire un valore limite di esposizione per coloro che vengono a contatto con le fibre

di amianto, sono state date delle indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici

a base di amianto.

Il DL 257/1992 prevede tre fasi ai fini dell’eliminazione dell’amianto dagli edifici : rimozione,

incapsulamento e confinamento. La rimozione è una tipologia di eliminazione delle fibre di amianto che

prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di fibre; rappresenta un rischio molto elevato per gli

addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli che smaltiscono questa grossa quantità di fibre. È una

pratica che da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro non viene realizzata perché

determina una grossa emissione di fibre e non rispecchia il principio di protezione e prevenzione dei

lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo l’esposizione. Incapsulamento e

confinamento sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate in tutti gli edifici per rimuovere,

eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di amianto. Vengono utilizzati dei prodotti

chimici che vanno ad adsorbire le fibre, ad esempio si utilizzano delle pellicole di protezione nelle stanze

dove è più presente la dispersione rispetto alle altre. I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la

permanenza del materiale di amianto nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di

manutenzione viene fatto ogni anno. Se questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche

vengono fatti ogni anno si può anche lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una

manutenzione periodica. Infine il confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree, nelle

stanze dove è più presente l’amianto rispetto a quelle in cui non c’è.

Il decreto Ruocco successivamente modificato dal DL 8/11/1997 ha previsto una legislazione dedicata allo

smaltimento dei rifiuti che contengono amianto, per evitare la dispersione delle fibre nell’aria. I decreti

legge che tutelano l’esposizione all’amianto esistono ma non vengono completamente rispettati.

Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in merito all’amianto.

CASO CLINICO

Lavoratore di 74 anni, inviato al pronto soccorso dal medico curante per un riscontro casuale aspecifico di

crisi ipertensiva.

Anamnesi fisiologica: nella norma. Nega fumo, alcol e assunzione di farmaci. Alimentazione regolare.

Anamnesi patologica remota: CEI (comuni esantemi infantili), appendicectomia a 16 anni e un’erniectomia

inguinale a 46 anni. Lamenta episodi saltuari e recidivanti di bronchite da quando era giovane.

Anamnesi patologica prossima: forte astenia, dispnea da sforzo, forti palpitazioni, inappetenza e perdita di

peso di 5kg negli ultimi due mesi.

Anamnesi lavorativa: dall’età di 18 anni fino a 25 anni attività di operaio edile prima in un’acciaieria del

litorale flegreo e in seguito è stato addetto alla coibentazione di tetti, case, edifici a scopo domestico. Da 15

anni riferisce di essere in pensione.

E.O: assenza di murmure vescicolare, PA con una massima borderline e minima nella norma, FC 140, buona

saturazione di O2.

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ECG: nella norma.

Spirometria: sindrome disventilatoria di tipo misto, con prevalente componente restrittiva. In fase avanzata

di una pneumoconiosi la riduzione dei volumi polmonari determina un quadro spirometrico di tipo

restrittivo.

RX torace: calcificazioni di tipo lamellare lungo tutto la pleura.

HRTC: placche pleuriche.

Fatta la diagnosi si procede con le altre indagini (toracocentesi) che vanno a confermare il mesotelioma

pleurico.

SILICOSI

Non riusciremo a trattare la movimentazione manuale dei carichi che vi andate a vedere dalle slide.

La silicosi è una pneumoconiosi collagenica che riguarda ancora la medicina del lavoro perché l’esposizione

a silice a valori normati è ancora prevista nelle realtà lavorative.

CASO CLINICO

Uomo di 60 anni dispnoico, cianotico, tachicardico.

Anamnesi fisiologica: alvo- diuresi nella norma, nega fumo, alcol e assunzione di farmaci.

Anamnesi patologica remota: riferito intervento chirurgico di mastectomia parziale all’età di 48 anni.

Anamnesi patologica prossima: dispnea, astenia, facile affaticabilità a riposo, non ha febbre né calo

ponderale negli ultimi mesi.

Anamnesi lavorativa: sin dai 18 anni si è occupato nel settore estrattivo per la costruzione di trafori e

gallerie.

E.O.: rumori secchi diffusi a tutti gli ambiti polmonari, dispnea, cianosi diffusa al volto, toni tachicardici

all’ECG.

ECG: tachicardia sinusale, con una FC di 150.

Emogasanalisi: segni di iniziale acidosi.

Rx torace : opacità nodulari diffuse irregolari per forma e dimensioni in entrambi i campi polmonari.

HRTC: nella porzione posteriore dei lobi superiori polmonari, diffusa nodularità di variabile grandezza. La

forma di queste nodularità viene definita a guscio d’uovo.

Di fonte a una HRTC di un silicotico e di un asbestotico, la diagnosi differenziale si basa sulla localizzazione:

la localizzazione della silicosi è soprattutto agli apici; in corso di asbestosi la localizzazione è soprattutto alle

basi polmonari.

Diagnosi: silicosi grado avanzato.

Le pneumoconiosi sono patologie polmonari legate ad un accumulo di polveri nei polmoni e alla reazione

stromale che ne deriva. L’inalazione non avviene mai per una singola sostanza chimica, ma l’inalazione si ha

per una miscela di polveri tra cui la silice, che hanno caratteristiche fisico- chimiche variabili. Sono affezioni

dei polmoni provocate da inalazione di polveri miste da cui ne derivano reazioni fibrotiche nodulari dei

polmoni, ossia granulomi. La gravità della manifestazione fibrotica e la tempistica che porta

all’interessamento di entrambi i campi polmonari è legata alla suscettibilità individuale del soggetto

all’esposizione che riceve durante la vita lavorativa.

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Distinguiamo le fibrosi polmonari in “collageniche” e “non collageniche”. Le “non collageniche” sono

caratterizzate dall’accumulo intrapolmonare di polveri inerti non fibrogeniche; nella pratica sono

pneumoconiosi che non determinano alterazione a livello della trama bronchiale perché l’architettura

alveolare non viene sconvolta, la reazione stromale è minima, la reazione alla polvere è reversibile quindi

non si crea un processo flogistico cronico che invece si crea nelle forme collageniche, dette anche

sclerogene o maligne. Le pneumoconiosi “collageniche” più studiate in medicina del lavoro sono quelle da

amianto e da silice, asbestosi e silicosi. La silicosi è una pneumoconiosi sclerogena collegata all’inalazione di

quantità variabili di silice libera o biossido di silice. La tipologia di silice che è una sostanza presente nella

crosta terrestre più diffusa è il quarzo, quindi si parla di silice di quarzo.

La silicosi è causata dall’accumulo intrapolmonare di polvere fibrogenetica che determina un’alterazione

permanente dell’architettura alveolare con reazione stromale collagenica e fibrosi polmonare cronica dose

dipendente, la cui entità di manifestazione è direttamene collegata alla ipersuscettibilità individuale. Una

condizione di distruzione a livello alveolo capillare, quindi una condizione di alterazione bronco alveolare

che si osserva in fase finale nel silicotico e asbestosico, determina di riflesso uno scompenso a livello

cardiaco. Il cuor polmonare cronico è il finale di un soggetto che presenta una pneumoconiosi di tipo

sclerogeno- collagenica. Come e quando si arriva a questa condizione finale che è il cuore polmonare

cronico dipende non tanto dalla dose ma dalla risposta a quella dose perché ci sono soggetti con condizioni

genetiche di ipersuscettibilità individuale che presentano una risposta maggiore anche a quantità minori di

fibre di amianto e silice. La risposta e la tempistica della manifestazione del cuore polmonare cronico che è

il finale di queste patologie fibrotiche dipende dalla risposta individuale del lavoratore.

Nell’inalazione si prevede l’inalazione a polveri miste: silice, ossido di ferro e di alluminio. È però la silice

che va a determinare l’insorgenza del granuloma sclerogeno da esposizione lavorativa.

Le lavorazioni che ancora oggi prevedono l’esposizione a silice sono: industria mineraria, siderurgica, della

ceramica, del vetro e cristallo, nonché del cemento.

Le particelle di silice entrano a livello delle vie aeree e si distribuiscono a secondo delle dimensioni, della

forma, e della massa. Quella da 5-15µm impattano le vie aeree ciliate ma essendo grandi vengono

eliminate dalla clearance. Le più piccole vanno a depositarsi a livello degli alveoli dei lobi superiori. La

reazione flogistica che si viene a creare è molto simile a quella dell’asbestosi: entro 48h dalla deposizione

delle particelle di silice, gran parte di queste vengono fagocitate dai macrofagi. Alcuni macrofagi rimangono

vitali, altri raggiungono tramite movimento ameboide le vie aeree ciliate e vengono eliminate dalla

clearance. Alcuni rilasciano citochine che richiamano neutrofili e fibroblasti. I maggiori fattori di crescita che

vanno a perpetuare il processo infiammatorio sono il TNFα, vTGF e TGFβ. Si creano così i noduli silicotici.

L’inalazione di particelle di silice porta alla formazione di un granuloma sotto forma di nodulo che

rappresenta la risposta infiammatoria focale ad andamento cronico caratterizzato dall’accumulo e

proliferazione di cellule mononucleate. Le principali cellule coinvolte sono non solo monociti e macrofagi

ma anche neutrofili, eosinofili, mastociti, linfociti T e B. La creazione del tessuto di granulazione determina

la neoangiogenesi, formazione di endoteli vascolari e l’evoluzione verso la fibrosi polmonare. Tutto ciò va a

distruggere la trama bronco alveolare e a creare noduli di grosse dimensioni. Nello stadio iniziale si crea un

nodulo che presenta molte cellule flogistiche. Col passare del tempo, 15-20 anni dopo l’esposizione, le

cellule lasciano il posto al collagene rilasciato dai fibroblasti. In fase finale il nodulo non ha più una forma

rotondeggiante ma ha una forma sferica con la caratteristica presenza di tre zone concentriche : la zona

esterna è quella più giovane, formata da fibre collagene disposte in maniera disordinata; la zona intermedia

è formata da fibre collagene in maniera ordinata; all’interno abbiamo una zona centrale completamente

ialinizzata e priva di cellule.

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La silicosi nodulare può manifestarsi in varie forme. Può avere un decorso cronico semplice, decorso

cronico complicato con fibrosi, decorso acuto accelerato oppure può manifestarsi con proteinosi alveolare

silicotica. La forma più frequente è quella a decorso cronico semplice. La forma a decorso cronico

accelerato e la proteinosi alveolare silicotica sono legate ad alte concentrazioni di silice che oggigiorno non

si vedono più. La forma a decorso cronico semplice è quella che si studia di più. Ha una latenza di 20 anni

dall’esposizione, inizialmente completamente asintomatica, in fase avanzata con dispnea, tosse secca o

produttiva, eventuale sovrainfezione con bronchite cronica con febbre e ippocratismo digitale. A causa

della sovrapposizione di bronchiti e asma presenta un quadro tipicamente ostruttivo.

La diagnosi differenziale quindi si basa su due elementi: la localizzazione (asbestosi alle basi, silicosi agli

apici) e l’esame spirometrico. In corso di silicosi l’esame spirometrico presenta un pattern ostruttivo in fase

media di esposizione,in fase finale abbiamo sindromi restrittive perché c’è fibrosi polmonare diffusa. In fase

iniziale media però abbiamo un pattern ostruttivo, solo in seguito arriviamo a una sindrome restrittiva. In

passato era più facile vedere la sovrapposizione di due patologie come la contemporanea presenza di AR e

silicosi o la contemporanea presenza di Sindrome di Erasmus, sclerodermia e fibrosi perché chiaramente la

condizione di immunodepressione andava a slatentizzare queste altre problematiche. Oggi sono casi molto

rari.

La IARC ha inserito la silice nei sicuri cancerogeni e il finale della patologia è il cuore polmonare cronico.

A livello radiologico si utilizzano gli stessi parametri dell’asbestosi: le lettere alfabetiche che vanno ad

etichettare non la fibra ma il diametro delle opacità nodulari. A secondo del diametro la lettera potrà

essere p,q,r,s,t,u in base alla grandezza dei noduli. (consiglia di vedere questa cosa da soli)

I noduli silicotici inizialmente singoli vanno pian piano a confluire e si formano delle grosse opacità

radiologiche.

Il follow-up viene fatto in base al diametro di queste opacità che vanno a superare anche i 5cm, 10cm.

La prognosi è legata alla ipersuscettibilità individuale quindi la risposta o meno all’esposizione è legata alle

caratteristiche del singolo individuo (non solo la genetica, ma tutte le abitudini voluttuarie e alimentari che

insieme al pattern genetico fanno la differenza nell’insorgenza in tempi più o meno rapidi della patologia).

Valore limite di esposizione, il TLV-TWA (valore di massima esposizione in una giornata lavorativa di 8h per

un totale di 20h settimanali) secondo l’ACGH deve essere di 0.025mg/m³. Questo significa che quando vado

a dosare facendo il monitoraggio ambientale la silice presente nell’atmosfera il valore deve essere meno di

0.025mg/m³; se è superiore scattano una serie di misure immediate di segnalazione all’asl, chiusura della

struttura dopo le quali il lavoratore non dovrebbe più essere esposto. Solo con le misure di prevenzione,

solo con adeguati dispositivi di protezione individuale e formazione di sorveglianza sanitaria è possibile

tenere sotto controllo questa patologia.

AGENTI DI RISCHIO TRASVERSALI

Dal 2008, nell’ambito degli agenti di rischio trasversali, lo stress da lavoro viene riconosciuto per la prima

volta come agenti di rischio a tutti gli effetti. Lo stress da lavoro è una condizione definita come un insieme

di reazioni fisiche ed emotive, non commisurate alle capacità e risorse provenienti dall’esterno. Lo stress

viene studiato in medicina del lavoro perché condizioni di stress insorte sul lavoro sono facilmente

correlate agli infortuni quindi ridurre lo stress significa ridurre gli infortuni.

Lo stress è il secondo problema di salute in Europa, secondo alle problematiche muscolo-scheletriche.

Interessa quasi un lavoratore su quattro. L’accordo quadro europeo nel 2004 già aveva riconosciuto lo

stress come agente di rischio professionale. In Italia solo nel 2008 è stato riconosciuto come tale ed è stato

inserito nel DL 81/2008. Il riconoscimento dello stress da lavoro era stato fatto dalla legislazione europea

per accrescere la consapevolezza e la comprensione dello stress da parte delle autorità, dei lavoratori e dei

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loro rappresentanti. L’accordo europeo offriva un quadro di riferimento per individuare le linee per gestire

le problematiche correlate allo stress da lavoro. L’accordo europeo definiva lo stress come un insieme di

sintomi fisici, psichici e sociali, non inteso come malattia ma come segnale di malattia che può derivare

qualora a livello lavorativo non vengano effettuate le dovute misure di protezione e prevenzione atte a

ridurre al minimo tali manifestazioni.

Nell’articolo 28 del DL 81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo

stress presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il

medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei lavoratori e

della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono stressati per motivi

lavorativi. Quindi nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo stress ma non veniva detto

come. La circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico che rappresenta il livello di

attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di lavoro. La valutazione dello stress

viene fatta in due fasi: una valutazione preliminare e una valutazione eventuale. Nella valutazione

preliminare (obbligatoria) si vanno a valutare degli indicatori oggettivi. Il datore di lavoro nella fase

preliminare o obbligatoria deve fare un’analisi statistica degli indici di infortuni presenti in quell’azienda,

valutare il numero di assenze per malattia, il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto

delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Oltre a questo, deve andare a valutare degli indicatori di

contesto e contenuto. Viene proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande.

Queste domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha

soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto ai

compiti a cui deve assolvere,se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori sono

adeguati. La fase preliminare significa quindi proporre check-list e andare a valutare il numero di infortuni e

malattie perché questo percorso metodologico prevede di capire se ci sono soggetti stressati che si

assentano facilmente per motivi derivati dallo stress. Con queste check-list che si propongono si va a

verificare se il lavoratore è soddisfatto della sua ambientazione lavorativa, dei suoi rapporti interpersonali e

del suo ruolo nell’organizzazione. L’ultima famiglia di indicatori che si vanno a valutare sono quelli di

contenuto lavorativo. Vengono fatte delle domande,ad esempio : l’illuminazione nella stanza dove lavori è

sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue conoscenze? Com’è la sedia?

Tutta questa parte preliminare permette tramite l’analisi di eventi esterni (numero di infortuni, numero di

malattie denunciate, numero di segnalazioni da parte del medico competente nonché indicatori di

contesto e indicatori di contenuto) permette di fare lo screening preliminare per capire se siamo in un

rischio basso di stress lavoro correlato o meno.

D: la valutazione dello stress viene fatta anche per noi studenti?

R: la valutazione dello stress nell’ateneo viene fatta non a tutti, ma a gruppi. La proposta della check-list

viene fatta a campione. Esempio: industria meccanica ha diverse sezioni, a gruppi di 4-5 in base al numero

totale vengono proposte queste check-list per quantizzare questi indicatori.

L’esito negativo significa che abbiamo fatto le check-list a campione nei vari settori, ed è stata espressa una

percentuale. Se questa percentuale è uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza particolari

condizioni di disorganizzazione lavorativa. Non c’è stress. La legge prevede che la rivalutazione si faccia

dopo 24 mesi in maniera obbligatoria. Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio che va dal 25 al

50%, immediatamente il datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali, organizzativi

e strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress nei lavoratori. C’è un anno

per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato psicologico del lavoratore. Dopo un

anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito. Se l’esito è ancora positivo si passa alla fase

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eventuale, seconda fase. Si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo programma il

datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del lavoro che ha la

competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari stress lavoro correlati. I

questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito.

La fase eventuale è obbligatoria e prevede la somministrazione di questionari ad personam. Nella proposta

di questionari ad personam, siamo in fascia medio o alta, entrano in gioco una serie di interventi non solo a

livello strutturale, organizzativo e ergonomico ma si parla di soluzioni terapeutiche all’individuo, quindi si

può arrivare alla proposta di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune realtà industriali grandi attivano

uno sportello fatto da persone competenti dove il lavoratore stressato va e segue il suo percorso. La legge

prevede che dal momento in cui si scopre al momento in cui si deve risolvere ci siano tutti gli strumenti per

eliminare la problematica di stress lavoro correlato.

Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore stressato. È previsto che il

medico del lavoro nell’ambito della sorveglianza sanitaria, da medico scopra eventuali condizioni di

disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica. La sorveglianza sanitaria viene proposta

come occasione per scoprire delle situazioni di disagio psicologico da segnalare al datore di lavoro.

Considerato che il DL 81/2008 alla voce stress prevedeva l’emanazione di decreti ad hoc per il mobbing e

per il burnout, parlare di mobbing significa parlare di un’attività persecutoria che in quanto tale può

portare all’espulsione del lavoratore dall’attività lavorativa, causando una serie di ripercussioni psico-fisiche

che spesso sfociano in vere e proprie malattie. In psichiatria c’è una classificazione con la quale si parla del

“disturbo post-traumatico da stress” e “disturbo da disadattamento lavorativo”. Solo queste due

condizioni sono riconosciute dall’INAIL (ente sul territorio preposto al risarcimento da malattia

professionale). Se l’INAIL ritrova che quel lavoratore ha sviluppato “disturbo post traumatico da stress

lavorativo” e “disturbo da disadattamento lavorativo”, indennizza il lavoratore; quindi non il mobbing né lo

stress lavoro correlato, ma patologie psichiatriche sono quelle riconosciute associate a problematiche come

il mobbing e il burnout che l’INAIL eventualmente riconosce. Oggi sono pochissime le malattie professionali

riconosciute da agenti di rischio trasversale e quindi da stress lavoro correlato.

Lavoratori che più sono soggetti a mobbing sono quelli che o hanno un elevato coinvolgimento lavorativo o

hanno ridotte capacità lavorative. Soggetti bersagliati sono quelli “diversi”: lavoratori immigrati oppure

soggetti con disabilità hanno una soglia individuale più bassa, sono ipersuscettibili a malattie come il

mobbing.

Le conseguenze sulla salute sono inizialmente: cefalea,ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione. In

seguito si associa a queste patologie una vera e propria patologia d’organo. Ecco perché rientrano nel

disturbo di adattamento o nel disturbo post traumatico da stress, che sono le uniche riconosciute

dall’INAIL.

La sindrome del burnout è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure professionali

d’aiuto. Nonostante siano state date nuove definizioni del burnout che la classificano come una patologia

che si manifesta con il deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro, in tal senso

farebbero rientrare nella definizione anche non solo figure d’aiuto. Generalmente si parla del burnout

come di una patologia che colpisce figure d’aiuto: educatori, insegnanti, medici, poliziotti, vigili del fuoco,

carabinieri, sacerdoti, operatori assistenziali, psichiatri, psicologi. Queste figure sono caricate da una

duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la persona che viene assistita. In percentuale

la categoria più a rischio è rappresentata dal settore degli insegnanti e dai video terminalisti che lamentano

tutta una serie di fattori di malessere (attività lavorativa monotona).

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Se non opportunamente trattati sfociano nella fase finale del burnout di logoramento psico-fisico che è

l’apatia.

Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:

Preparatoria, che è quella di grosso entusiasmo realistico;

Stagnazione, le grosse aspettative del medico e paramedico non coincidono con la possibilità di

realizzarle nell’ambiente lavorativo;

Frustrazione, iniziano ad insorgere sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione;

Cinismo, l’interesse e la passione si spengono completamente ed entra in gioco quella che viene

definita vera e propria “morte professionale”.

Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi come in

futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.

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Medicina del Lavoro 19/11/2014

Il modello di determinazione del danno è rappresentato da una sequenza di blocchi che partono

dall’esposizione del rischio e, passando per varie fasi, arrivano alla malattia. In realtà possiamo

leggere questa sequenza di fasi anche in senso contrario, partendo dalla malattia e arrivando a

descrivere l’agente del danno. Questo modello si utilizza quando al soggetto è riconosciuto un

danno professionale con lo scopo di capire quale sia stata la causa della malattia.

Ciò è fondamentale per:

- consentire il risarcimento al lavoratore per il danno subito;

- fare prevenzione sui soggetti non malati ma esposti allo stesso rischio;

- individuare soggetti ipersensibili a quell’agente per proprie caratteristiche individuali a

differenza degli altri lavoratori che non avranno la stessa malattia.

Le varie fasi del modello sono connesse tra di loro sia per conoscere l’evento sia per fare

prevenzione. Possiamo partire dall’agente e arrivare alla malattia, oppure dalla malattia e

individuare gli agenti. Ciò che cerchiamo di capire è l’insieme di tutte le sostanze alle quali il

lavoratore è esposto compresi quelli dell’ambiente di lavoro. Ad esempio in una fabbrica per la

produzione di oggetti in plastica dobbiamo conoscere quali sono eventualmente i materiali che

possono esporre il lavoratore a un rischio di danno però dobbiamo considerare anche gli agenti

ambientali. Questa è la valutazione del rischio: stabilire la pericolosità intrinseca di ciascun agente

(sia professionale sia ambientale) e conoscere a priori l’effetto lesivo che ne può scaturire. Solo così

possiamo prevedere l’insorgenza della malattia.

Allora se partiamo dalla sostanza e dalla sua pericolosità dobbiamo arrivare al rischio (la

probabilità che si verifichi un evento avverso). Per fare ciò dobbiamo anche sapere per quanto

tempo il soggetto è stato esposto e a quale dose. Quindi i 3 parametri importanti per la valutazione

del rischio sono:

- pericolosità intrinseca della sostanza;

- dose della sostanza;

- tempo di esposizione del soggetto alla sostanza.

Così possiamo sapere la probabilità e l’eventualità che ci si possa ammalare. Inoltre dobbiamo

monitorare nel tempo per controllare in che modo si evolve la situazione dopo che è avvenuto il

contatto. In questo caso utilizzeremo tutta una serie di indicatori che ci permettono di valutare le

modifiche biologiche che avvengono nell’organismo e gli eventuali danni a tessuti organi e

apparati. Ecco come passiamo a leggere il modello di determinazione del rischio dalla malattia alle

cause che l’hanno determinata con la possibilità di fare prevenzione perché analizziamo

l’evoluzione delle modificazioni cellulari verso il danno, molto tempo prima rispetto a una

diagnosi precoce.

Ciò che rende complesso il modello (e tutte le sue fasi) è l’individualità. Tener conto di questo

elemento rende più accurata la valutazione del rischio. Perciò comprendiamo la necessità di una

attenta anamnesi lavorativa. Ad esempio un fattore di rischio molto importante è lo stress lavoro

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correlato che ci permette di capire come uno stesso luogo di lavoro può essere percepito in modo

diverso tra i lavoratori. Perciò possiamo dire che il rischio diventa individualizzato.

Il medico del lavoro è chiamato non solo alla prevenzione ma anche alla promozione della salute.

Il medico di medicina generale ha un contatto ancora più diretto con il lavoratore. Ciò permette

una corrispondenza importantissima tra medico del lavoro e medico di medicina generale. Infatti

il medico di medicina generale può partecipare alla prevenzione non limitandosi a chiedere

soltanto la professione svolta dal lavoratore, ma approfondendo l’anamnesi professionale. Online,

sul sito ISTAT c’è la pagina ATECO (= classificazione delle attività lavorative) in cui sono

classificati 10 settori lavorativi con i corrispondenti sottosettori. Per ogni settore vengono indicati:

le mansioni frequenti, i compiti lavorativi, i fattori di rischio presenti. Quindi in base all’attività

lavorativa possiamo vedere tutte le caratteristiche associate. Le informazioni che vengono da

queste banche dati hanno carattere di tipo generale a cui si aggiungono informazioni proprie del

territorio offerte da altre fonti.

La valutazione del rischio è importante non solo per la conoscenza del rischio, ma anche perché da

questa analisi quantitativa scaturiscono misure e decisioni per la gestione del rischio. Si elaborano

una serie di opzioni e si sceglie il provvedimento da realizzare. Ad esempio per ridurre

l’inquinamento in città si dispongono zone a traffico limitato.

Il modello generale di regolamentazione dell’esposizione ad agenti di rischio prevede

- l’identificazione di un qualsiasi agente di rischio (fisico, chimico, biologico o ambientale)

con alta o più bassa potenzialità di provocare un danno sul luogo di lavoro;

- di stabilire i rapporti tra la dose e l’effetto ( a che dose si ha l’effetto) e tra l’esposizione e

l’effetto (dopo quanto tempo si ha l’effetto);

- monitoraggio sulle persone esposte a quegli agenti;

- la caratterizzazione del rischio cioè la capacità dell’agente di provocare disturbi o danni

più o meno importanti su un numero elevato di persone e di fare un bilancio per una

valutazione economica. Ad esempio il mal di schiena è causa di molte assenze lavorative

anche se la patologia di per sé è meno grave di molte altre. Lo stesso vale per l’influenza.

- la gestione del rischio che porta allo sviluppo di diverse opzioni e alla scelta delle norme da

mettere in pratica.

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MEDICINA DEL LAVORO

Lezione del 25/11/14

Prof.Sannolo

Ricollegandosi alla lezione precedente il professore fa riferimento ad uno schema utilizzato in medicina del

lavoro e che prende il nome di valutazione dei rischi. Il modello che permette la valutazione dei rischi è

composto da una parte scientifica,ed una gestionale detta anche decisionale e che mette in opera le misure

per la valutazione del rischio.

La valutazione ha inizio con l’identificazione dei fattori di rischio, che ci porta ad identificare le circostanze e

le sostanze che possono determinare danni alla salute. Successivamente si passa ad attribuire a questi

fattori identificati una potenzialità di danno intrinseco detta pericolosità o pericolo;si prosegue poi con il

monitoraggio seguendo nel tempo l’esposizione dei soggetti a questi fattori.

Un modo semplice di approcciarsi alla valutazione del rischio prevede lo studio di tre parametri che sono:

-gravità del danno legato alla pericolosità dell’agente di rischio

-tempo di esposizione

-livello di esposizione.

Se accettiamo la definizione per la quale il rischio altro non è che la possibilità che si verifichi un

danno,possiamo semplicemente fare riferimento ad un’equazione che prenda in considerazione almeno

due parametri, che sono la pericolosità intrinseca e l’entità dell’esposizione. Attraverso queste

equazioni, ed una volta assegnati dei valori ai due parametri di cui abbiamo precedentemente

parlato,otterremmo in maniera semiquantitativa dei grafici rappresentati su un sistema di assi cartesiani.

Incrociando i valori dei parametri sull’asse, avremo subito un’idea di quali siano i rischi associati a delle

sostanze che noi abbiamo già qualificato.

ll valore intrinseco di pericolosità si attribuisce sulla base di una sperimentazione condotta su animali o

linee cellulari,che come prima cosa ci permettono di delineare la curva dose-risposta e di conoscere la

dose, al di sotto della quale ,non riconosciamo nessuna alterazione del sistema biologico in studio. <A

questo punto il prof. mostra 3 esempi di curva dose-risposta: -la prima curva è rettilinea e passa per lo 0

ed è tipica di alcuni cancerogeni,sostanze per le quali non esiste una dose incapace di procurare danno; -la

seconda curva ha aspetto sigmoideo, per cui inizialmente ci saranno tutta un serie di dosi ,corrispondenti al

tratto parallelo all’asse delle ascisse,che non producono effetto o meglio che producono sempre lo stesso

effetto(definito effetto back-ground) ed un valore soglia oltre il quale invece ci saranno tutta una serie di

dosi, che invece causano danno; -il terzo tipo curva identifica una condizione nella quale all’aumentare

della dose anziché verificarsi un danno si verifica un vantaggio.>

In base all’andamento della curva dose-risposta ,si ci orienta sul tipo intervento del medico del lavoro ,che

può essere limitato all’osservazione e follow-up oppure ,può richiedere l’uso di strumenti che permettono

di prevenire il danno alla salute.

La sperimentazione animale ci permette di conoscere la DL50 O DOSE LETALE 50%,che corrisponde alla

dose alla quale è avvenuta la morte del 50% delle cavie. Oltre alla letalità di un’agente possiamo studiare

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altre caratteristiche, come la tossicità acuta subacuta e cronica che vanno studiate, rispettivamente nei

primi 14 giorni,nei 90 giorni e entro i 2 anni.

In pratica,tramite la sperimentazione, possiamo ottenere un database dei fattori di rischio e della loro

pericolosità: una sostanza che ha una DL50inferiore o pari a 1mg/kg rientra nella categoria delle sostanze

ESTREMAMENTE TOSSICHE. Via via, al crescere del valore della DL50 ,avremo sostanze sempre meno

tossiche. Sull’etichetta di queste sostanze entrate in commercio ,ad indicare la pericolosità ,avremo una

serie di simboli che per le sostanze estremamente tossiche sarà il teschio con le tibie incrociate ,mentre per

sostanze che stanno più in basso nella scala della pericolosità, sarà ad esempio la croce di Sant’Andrea.

Spesso affianco all’immagine ,ritroviamo anche una classificazione lessicale che specifica la natura della

pericolosità attraverso le cosiddette frasi di rischio(ad es. NON INALARE etc.).

Dal momento che le sperimentazioni sono condotte sugli animali ,va tenuto presente che i dati che

otteniamo debbano in qualche modo essere corretti e adattati, nel momento in cui vogliamo usarli per

l’uomo. Prendiamo ad esempio in considerazione la NOAL(la dose più alta che non causa effetti) per poterla

adattare all’uomo la si divide almeno per 1000( dal momento che attribuiamo valore 10 ai 3 parametri che

prendiamo in considerazione per l’adattamento ovvero:- il fatto che si tratti di animali da esperimento -la

differenza tra specie e -la suscettibilità individuale)per cui la dose risulta di molto ridotta nel passare

all’uomo. Questi dati ,vengono utilizzati per stabilire i VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE, cioè stabiliamo quale

sia la concentrazione max a cui può essere esposta la popolazione nel luogo di lavoro, tenendo anche conto

della durata dell’esposizione. Va detto che, per stabilire con esattezza la pericolosità di un agente ,si fanno

anche studi epidemiologici cioè si studia una popolazione di individui che sono stati esposti a

concentrazioni note dell’agente nei luoghi di lavoro, e si osserva la comparsa di malattie o l’insorgere di casi

di morte,andando ad integrare dati sperimentali e quelli epidemiologici .Un’altra questione è che oltre a

tenere conto dell’esposizione ,bisogna tenere conto anche della suscettibilità individuale che può essere

geneticamente determinata ma può essere anche temporanea e\o acquisita(es. la donna lavoratrice in

gravidanza).In medicina del lavoro abbiamo anche la possibilità di distinguere gli effetti acuti dagli effetti

cronici e la possibilità di capire quali agenti possono produrre danni immediati e quali possono invece

provocarli a distanza dopo esposizione prolungata ,per cui abbiamo già gli strumenti per distinguere

l’infortunio dalla malattia professionale. Uno xenobiotico può penetrare nell’organismo in diverse modi a

seconda delle sue caratteristiche chimico-fisiche(ad es attraverso la via inalatoria se si tratta di polveri o gas

o attraverso la cute, se si tratta di una sostanza particolarmente liposolubile), in più questa sostanza una

volta giunta nell’organismo può comportarsi in modi diversi :+può per esempio competere con molecole

biologiche per il legame a substrati che svolgono ruoli chiave nella sopravvivenza dell’organismo oppure,

legare molecole con ruoli ritenuti “secondari”; + possono essere biotrasformate dall’organismo in molecole

che hanno una minore capacità lesiva ,ma più spesso ,la biotrasformazione comporta la formazione di

sostanze considerate ancora più tossiche; + in parte possono essere eliminate o accumularsi. tutte queste

fasi devono essere conosciute e monitorate per ovvi motivi .

La valutazione dell’esposizione ,si fa attraverso il MONITORAGGIO AMBIENTALE e il MONITORAGGIO

BIOLOGICO. Una volta identificati gli agenti di rischio, abbiamo la possibilità di misurare nel tempo la loro

concentrazione nei luoghi di lavoro,attraverso il monitoraggio ambientale, e misurare la quantità di questi

agenti nell’organismo ,attraverso il monitoraggio biologico ,(intendendo per biologico il fatto che usiamo

matrici biologiche tipo sangue urine) utilizzando i cosiddetti marcatori biologici ,abbiamo la capacità di

misurare la quantità di queste sostanze che hanno intercettato molecole biologiche o sistemi biologici

importanti per il rischio della salute e ,sempre nell’ambito del monitoraggio biologico,possiamo verificare

se queste sostanze si sono accumulate nell’organismo, perché l’accumulo equivale a un esposizione

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permanente 24h/24 dell’organismo all’agente. Come fase finale abbiamo la possibilità di fare una

sorveglianza sanitaria grazie alla visita periodica alla quale vengono sottoposti questi individui,verificando i

danni indotti da queste sostanze.

L’organo bersaglio è quello sul quale l’agente produce l’effetto o il danno,generalmente è un dato che si ha

già a disposizione nella sperimentazione animale .L’organo critico è l’organo verso il quale l’agente produce

una modificazione non definibile danno .Viene definito critico perché è il primo organo nel quale si

raggiunge una concentrazione,detta critica, tale da rilevare un evento biologico osservabile ,ed è come una

sentinella che allarma il sistema dell’imminenza del danno. La conoscenza dell’organo critico diventa uno

strumento di prevenzione, e ci permette di assumere una serie di iniziative per proteggere l’organo

bersaglio. Quando un soggetto mostra segni di danno,la prima cosa che viene fatta è l’allontanamento dal

fattore di rischio.

Ovviamente i modelli che vengono usati sono semplificati rispetto alla complessità dell’organismo e dei

fattori di esposizione ,che normalmente non sono mai singoli. Il soggetto può essere esposto a più agenti di

rischio,per cui bisogna almeno ipotizzare che sul luogo di lavoro ci siano più fattori di rischio che possono

interagire ed avere un effetto additivo,o sinergico ,oppure che la presenza di un agente a livello

dell’organismo potenzia la pericolosità intrinseca di un altro agente. Oltre agli agenti chimici, ci sono tutta

una serie di altri stressor quotidiani che gravano sul singolo lavoratore ,e che partecipano a differenziare la

risposta allo stesso agente a parità di esposizione da un individuo ad un altro( basti pensare a malattie

pregresse all’età la situazione familiare lo stress etc.). Per cui un medico di medicina del lavoro deve

considerare tutti questi aspetti,ragione per cui il suo ruolo è più vicino a quello del medico generalista che a

quello del medico specialista proprio perché appunto il medico del lavoro conosce molto del suo paziente.

È la dose che fa il tossico, a prescindere dalla pericolosità intrinseca,nel senso che qualunque sostanza a

determinate dosi può determinare un danno e anche l’accesso di acqua può essere considerato dannoso, e

le dosi devono essere anche considerate in relazione alle eventuali interazioni con altre sostanze tossiche

già presenti nell’organismo.

<A questo punto il prof fa una serie di domande ed esempi per far capire che in pratica se si facesse

solamente un monitoraggio ambientale sia sottostimerebbe l’esposizione di alcune categorie di lavoratori e

rimarca quindi l’importanza del monitoraggio biologico o del singolo lavoratore o di gruppi di lavoratori

considerati “uguali dal punto di vista dell’esposizione” cioè dividendo i lavoratori in gruppi in base a

caratteristiche di omogeneità e aiutandosi con la statistica. Quest’ultima cosa la si può fare per studiare

l’andamento del fenomeno ma non per conoscere l’esposizione del singolo individuo o per studiare

l’ipersuscettibilità del soggetto(che dipende dalla capacità del soggetto di biotrasformare l’agente di rischio

e dipende anche dalla velocità con cui questa sostanza viene trasformata e anche dal tipo di sostanza

perché se la sostanza che ha capacità lesiva viene a formarsi proprio tramite biotrasformazione allora sarà

logico che il fast metabolizer o metabolizzatore rapido sarà un soggetto ipersuscettibile).

In ultima analisi ,con il monitoraggio ambientale ,conosciamo la dose esterna ,con il monitoraggio biologico

conosciamo la dose all’interno dell’organismo. La dose esterna verrà comparata con il valore limite di

esposizione ottenuta dagli esperimenti e con il NOAL per stabilire se l’ambiente di lavoro è accettabile o

meno. Con La dose interna (si stabilisce se il soggetto è metabolizzatore rapido se è metabolizzatore lento)

e una volta fatte le misurazioni vanno comparate con gli indici biologici di riferimento e ci dicono quanto il

singolo soggetto è stato esposto e possiamo individuare anche la dose di esposizione all’agente al di fuori

dell’ambiente di lavoro(la memoria dell’esposizione c’è solo nel monitoraggio biologico).

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MEDICINA DEL LAVORO 4-12-2014

L'argomento di oggi è collocato sempre in questa idea che si possa immaginare il rischio collegato

alle esposizioni a un agente o a più agenti di rischio lungo questa direttrice, che abbiamo visto altre

volte, che porta questo modello molto semplificato dalle esposizione fino alla comparsa del cancro.

Volevo sottolineare ancora una volta che questo modello è utilizzabile non solo nell'ambito della

salute dei lavoratori, ma è un modello universale per tenere sotto controllo i rischi connessi con

l'esposizione a specifici agenti che, chimici/fisici, si possono trovare anche nelle condizioni di vita

ordinarie. Vi faccio un esempio: uno degli argomenti che sta molto invocando il dibattito sulla terra

dei fuochi, ma in generale su tutta l'area campana interessata ai roghi e al seppellimento dei rifiuti

tossici, è il fatto di accertare se queste persone delle quali si dice che siano state colpite da malattie

gravissime, quali tumore e via discorrendo, siano realmente state esposte a questi agenti di rischio.

In quel modello che abbiamo visto le volte scorse, il così detto “management”, cioè il che fare nei

confronti del rischio, comporta che uno sappia che cosa determina il rischio; se uno non lo sa, non

conosce i meccanismi che hanno prodotto il danno e, quindi, uno non sa che tipo di misura adottare.

Sapere che cosa fare, cioe prendere le decisioni “di tipo politico” ed evitare che si subiscano danni,

comporta necessariamente la conoscenza dei fattori di rischio, della loro importanza in termini

quantitativi nei luoghi in cui questi agenti vengono individuati nel tempo, che rimangono in questi

luoghi e che possono dare dei fenomeni di esposizione e dei possibili effetti che si subiscono sia in

termini irreversibili sia in termini di reversibilità. Solo se ho una conoscenza scientifica di questa

serie di eventi dalla identificazione degli agenti di rischio fino alla registrazione di una

modificazione di tipo biologico o del danno, è possibile prendere una decisione. Anche allocare

risorse cioè stabilire, ad esempio, non faccio camminare più frequentemente i pullman a Napoli

però i soldi che dovrei utilizzare per comprare 10/15 pullman li utilizzo per bonificare questo sito

perché da questa bonifica ne riceverà un beneficio la popolazione e questa si apprezza avendo

chiaro quale sia il meccanismo che abbia esposto la popolazione al pericolo esaminato. Molte

fallimenti nel prendere decisioni risiede nel fatto che ci sono carenze o assenze in termini della

valutazione del rischio. Questo modello della volta scorsa, nella stringa di sopra porta “National …

American... 1983”, e vi voglio sottolineare che questo sistema di regolamentazione dell'esposizione

degli agenti di rischio, che formalmente è stato messo a punto dal “National Reaserch Contry” degli

USA, è stato concepito per salvaguardare la popolazione generale, cioè è stato proprio costruito per

produrre vantaggi alla popolazione. È stato concepito in questo modo perché i decisori politici che

volevano investire in sicurezza per la salute degli statiunitensi avevano bisogno di sapere perché la

gente si ammalava, quali agenti producevano le malattie e con quali meccanismi ci stava

l'interazione con l'uomo, e quindi, con molecole, cellule critiche. La medicina del lavoro ha adottato

questo lavoro e lo ha perfezionato per il fatto che l'ambito lavorativo costituisce un ambiente utile

per sperimentare quel modello perché a differenza dell'ambiente di vita dove gli individui esposti a

possibili fattori di rischio sono intanto per età e condizioni economiche molto diverse tra di loro.

Quindi è difficile valutare l'impatto di una eventuale esposizione su una popolazione così ampia nel

tentativo di capire se ci sono delle correlazioni. Per questo si usa la sperimentazione animale.

Quando si fa la sperimentazione sugli animali a questo si tende; cioè a individuare un gruppo di

animali che hanno caratteristiche biologiche simili fra di loro in modo tale che, in effetti, si

constatarono attraverso la sperimentazione siano fallimenti attribuibili esclusivamente all'agente a

cui sono stati esposti. Se ci sono delle variabili di età, malattie, povertà, alimentazione è più difficile

individuare il rischio. Il mondo della medicina del lavoro si è prospettato interessante per affinare il

modello proprio perché aveva i lavoratori che avevano una fascia di età certa tra i 20 e 60 anni. Ma

non solo. Anche il luoghi di lavoro sono “sorvegliati”. Di questi lavoratori, il medico competente ha

conoscenza delle loro condizioni generali di salute. Viene monitorato nel tempo. Si possono anche

fare eventuali correlazioni tra modifiche di inquinanti per quantità e qualità nell'ambiente di lavoro

e comparsa di malattie. Un buon progetto di sorveglianza permette di tutelate le modifiche

dell'ambiente con comparsa alla salute dei lavoratori. Abbiamo visto il ruolo del medico generico

nella popolazione generale, invece il medico della medicina del lavoro malgrado un ruolo centrale

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della salvaguardia della salute della popolazione non ha gli strumenti né come missione quella di

tenere questa […] così stringente rispetto ai fattori di rischio. Al medico di base sfugge il tipo di

esposizione cui puoi essere esposto durante il lavoro, non lo sa a meno che non faccio una scheda

dettagliata sul tipo di lavoro e tutti i fattori di rischio. Gli manca un pezzo dei fattori di rischio cui

un soggetto può essere esposto o è esposto che può essere causa di malattie. Nei luoghi di lavoro di

attività ordinaria, tutti i fattori di rischio sono conosciuti e quantificati. Le volte scorse abbiamo

preso in esame quelle valutazioni di tipo semiqualititavo o qualitativo, quelle matrici colorate, in

realtà ha dietro progetto quello di identificare quelli che sono i fattori di rischio e attribuire a

ciascuno di essi un peso in termini di rischio collegato all'esposizione. Nei luoghi di lavoro, questa

operazione di trovare i fattori di rischio e di attribuirgli un peso, è facile perché il lavoro è un

sistema aperto e controllabile. Come se fosse uno spazio in cui si sa cosa entra (ad esempio in una

azienda chimica, le sostanze che arrivano all'industria) e si sa cosa esce (prodotto finito) e cosa

succede (processo di lavorazione). Quindi è un ambiente simile a quello della sperimentazione, per

avere una idea chiara dei rischi. Si adottano questi sistemi che sono quelli che abbiamo registrato

nelle varie stazioni, questa sequenza che vedete qui. La prima parte di questa sequenza ha come

finalità, ragionando su un fattore di rischio per volta, per esempio al benzene o piombo, quella di

stabilire la dose alla quale questo soggetto è esposta. La dose la immaginiamo come dose esterna,

cioè quella che ha a che vedere con la concentrazione dell'inquinante nell'ambiente, e la dose

interna, concentrazione dell'inquinante all'interno dell'organismo. È importante parlare di

monitoraggio della dose esterna, o monitoraggio ambientale. Attraverso il monitoraggio, esame

sistematico e protratto nel tempo di questa dose, si ha la rappresentazione della variazione della

concentrazione in quel punto nel tempo. Si fa per stagione, la stagionalità in cui […] influiscono

sulla concentrazione dell'inquinante. Le concentrazioni di queste determinazioni si confrontano con

quei valori di riferimento che abbiamo visto nelle volte scorse, cioè quelle concentrazione che si

valutavano pericolose per gli animali che poi si confrontavano con le concentrazioni pericolose per

l'uomo. Quelle concentrazioni si chiamano “VALORI LIMITE” e si mettono a confronto il dato

esterno con il dato di legge (variabile, che viene aggiornato di anno in anno). Questo valore limite è

la concentrazione di agente aereodisperso (presenti nell'aria) alla quale si ritiene che la maggior

parte dei lavoratori possa essere esposta per tutta la vita senza subire danni. Questo “maggior parte

dei lavoratori” è sottolineato da quel dato che noi abbiamo accennato più volte, cioè che esistono

delle risposte di ipersuscettibilità. Il medico competente ha il compito di identificare le persone che

fanno parte dei lavoratori che devono essere tutelati tenendo conto che la risposta biologica è anche

a concentrazioni più basse di quelle normali. Questo T.L.V. (valori limite di esposizione) è la chiave

di volta per capire se uno è esposto alla dose pericolosa o meno. Per la predizione del rischio e per

la gestione del rischio, il T.L.V. è stato diviso in tre parti; cioè si sono identificati tre TLV: è una

divisione schematica e anche molto logica. Esistono una miriade di sostanze di sintesi le quali

hanno delle caratteristiche epidemiologiche più disparate. Ci sono sostanze molto pericolose o poco

pericolose. Sono sostanze che hanno un effetto residuo immediatamente e non immediatamente,

cioè a comparsa tardiva. Allora io attribuisco un certo tipo di TLV alle sostanze che possono creare

danni a comparsa tardiva, oppure un TLV alle sostanze che fanno un danno immediato, oppure un

TLV a delle sostanze, ad esempio, con effetti neurotossici. Queste tre categorie di sostanze

corrispondono o meno alle situazioni di salvataggio che si possono identificare in tempo. Eppoi ci

sono quelle sostanze che possono provocare dei danni transitori che vengono considerati con un

altro TLV. È chiaro che questo è schematico. Faccio delle misure nel luogo i lavoro, stabilisco qual

è la concentrazione inquinante. La concentrazione è accettabile o no? Vado a vedere di quella

sostanza qual è il TLV e faccio il confronto. Come si fa il confronto? Si fa il confronto tenendo

conto durante la giornata lavorativa o durante la vita lavorativa, perché questa rappresentazione che

vedete qui è immaginabile nel tempo zero/otto ore, zero/365 giorno ecc.; è un confronto che si può

fare istantaneamente rispetto al TLV nell'arco di tempo lungo. È ovvio nel caso di sostanze che

hanno comparsa tardiva, posso fare questo confronto nella settimana, nel mese, nell'anno. In caso

delle sostanze che hanno un effetto acuto, il confronto lo devo fare oggi, istantaneamente, e non

durante l'arco dell'anno per vedere quante volte io ho superato il limite. Se vado a vedere dopo,

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nell'arco della settimana, quante volte è stato superato questo TLV, vedrò che sarà superato 10 volte

e non farò più la prevenzione. Facciamo un esempio pratico. Questa maniera di capire se questa

cosa funziona o non funziona (se andate in regione gli assessorati competenti queste cose qua non le

sanno [chissà perché ndr] e non le usano per svolgere questo ruolo istruttorio), la rappresentazione

che si da ai cluster della convenzionale in un sistema di assi cartesiani, tempo in ascissa e la

concentrazione che noi misuriamo nelle ordinate. Poiché il TLV con il quale dobbiamo confrontarci

è un dato di concentrazione, lo metterò in ordinata. Se noi dobbiamo verificare il TLV durante le

otto ore lavorative, tracciamo una linea parallela all'asse delle ascisse e vediamo come varia la

concentrazione dell'inquinante. Si inizia da una concentrazione presente durante la giornata

lavorativa, ad esempio poniamo il caso che questo valore valga 5 ppm (parti per milione – maniera

per esprimere una concentrazione delle sostanze disperse) e poniamo che il TLV sia sette.

Cominciamo a misurare questa concentrazione nel luogo di lavoro. Il fatto che sia 5 all'inizio, c'è di

fondo un concentrazione; è raro andare in un luogo e non trovare una concentrazione di fondo.

Comincia il lavoro, come una saldatura, noi registriamo mano a mano la concentrazione in

corrispondenza di questa operazione. C'è un momento in cui l'andamento della curva della

concentrazione che stiamo misurando, supera il TLV, poi finisce l'operazione e la concentrazione

nell'ambiente si riduce grazie alla depurazione, alla ventilazione. A questo punto succede un'altra

fase, un'altra operazione, un'altra saldatura; nei luoghi di lavoro si ripetono le attività. Comincia la

saldatura un'altra volta e si ha un altro picco. Probabilmente se avessimo aspettato altro tempo

sarebbe scesa ancora di più perché sarebbe diluito di più. E la concentrazione sale di nuovo. Alla

fine delle otto ore lavorative avremo questa specie di sinusoide, “come se un serpente circonda la

linea del TLV”. C'è una apparente contraddizione in questa rappresentazione; se bisogna

salvaguardare le persone non bisogna superare il TLV, il valore limite. In questo caso ci sono dei

superamenti, ma anche aree al di sotto. Nel caso di sostanze a comparsa tardiva siamo di fronte a

una gestione di questo limite, che tiene conto del fatto che è scientificamente dimostrato. Siamo nel

problema in cui è possibile superare la soglia purché i superamenti della soglia siano compensati

dall'escursione al di sotto di questa soglia. Questo deriva dal fatto che questi agenti o queste

caratteristiche di TLV hanno comparsa tardiva. Alla fine la soglia totale non deve essere superata.

Sono consentite le escursione purché siano compensate. Come si fa a sapere se sono compensate? Si

misurano le aree al di sopra, si confrontano con le aree al di sotto della curva e se c'è più

abbondanza dell'area al di sotto si dice che è rispettato il valore. Quando abbiamo a che fare con

sostanze neurotossiche, con effetti immediati non gravi recuperabili facilmente (ad esempio un

uomo che usa solventi su un palo della luce in alto), si dice che si avrà dei livelli di riferimento che

sono più alti del TLV, ma ai quali devi rimanere per poco tempo, cioè in poco tempo si ha un minor

effetto e piccola deviazione dallo stato normale e recupero fisiologico di, per esempio, un'ora. Si

dice che queste sostanze sono per brevi esposizioni, 15 minuti al massimo, tempo secondo cui si

pensa che non si inneschino e non si possa provocare danno. Le sostanze, per le quali l'effetto è

immediato, hanno un limite che non può essere mai superato e deve essere monitorato

continuamente altrimenti c'è il rischio di danni gravi. Tutte le sostanze che sono ponderate nel

tempo seguono il TLV-TWA (Time Weighted Averages). Come succede nelle autostrade: il limite è

a 80; non significa che uno non possa arrivare a 100. Uno può arrivare a 100 temporaneamente per

un sorpasso, e non è sanzionato. La cosa importante è che ai passaggi successivi si accerti che

quell'eccesso sia stato compensato dalla minore velocità; cioè dal prossimo controllo mostra che è

rientrato completamente. Molte sostanze hanno anche un TLV-STEL (Short-Term Exposure Limit),

cioè valore limite di soglia per breve periodo di esposizione. Ad certe concentrazioni possono dare

effetti tardivi, ad altre concentrazioni danno effetti acuti. In questo caso specifico non si deve

superare il STEL, e quindi che non si manifesti l'effetto acuto, è superato il TLV-TWA. Le aree al di

sopra sono in eccesso rispetto alle aree al di sotto. È come se in autostrada, tipo l'autostrada Napoli-

Roma, non si potesse superare i 100 km/h, ma sono 100 km/h ponderati. Ad esempio se vado a 110

eppoi a 90, va bene, ma se vado a 150 devo essere sanzionato. Questi dati sulle attribuzioni su

ciascuna sostanza dei vari TLV sono riportati in tabelle sia quelle di agenzie internazionali tipo

questa “ACIGH”, oppure in tabelle della Unione Europea. In più ci sono anche delle note che, in

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questo caso qua, significano “quella sostanza aereodispersa passa anche attraverso [...]”. e quindi

affianco si mette un altro valore che si chiama il […] che indica il limite che noi andiamo a

controllare all'interno dell'organismo. Il monitoraggio ambientale ha una sua articolazione interna.

Se dico che questa zona è inquinata perché ho un dato di dose esterno alto, io ho messo una

macchina che aspira l'aria ad un certo posto, e questa aria una volta che è stata aspirata, la vado ad

analizzare e trovo le dosi esterni. Ma se lo faccio su un territorio molto vasto, saprò la

concentrazione nel posto dove ho messo la macchina, mica in tutti posti dell'area vasta. In effetti

saprò che quel luogo in quel posto ha un certo grado di inquinamento. Poi ci sono pure le variabili

del vento oppure la temperatura, notte/giorno, situazioni che hanno molta influenza su questo dato.

Il luogo di lavoro comunque è un luogo più raccolto e quindi si possono mettere le macchine

campionatrici anche vicino alle zone a rischio. La maniera più interessante per stabilire se uno è

esposto a una dosa alta o meno, è quello di fare un “campionamento personale”, cioè invece di

mettere un campionatore in un posto, si mette il campionatore addosso alla persona. Un po' come

quegli ausili che usano i radiologi. Il radiologo viene giudicato se esposto o no, non tanto sulla base

che il fisico-sanitario misura le radiazioni della macchina alla fonte e dice che i radiologi sono

esposti; non è vero. Il radiologo durante l'rx può svolgere vari ruoli rispetto a un altro radiologo che

sta eseguendo l'esame e quindi non vero che tutti i radiologi sono esposti. E allora si mettono questi

dosimetri personali. In questo caso si rileva quale è la dose di quelle sostanze che sono esposte

quelle persone durante lo svolgimento di molteplici cose. Si campiona, si confronta con il valore

limite e si prende una decisione. Si può mandare la persona a lavorare da un'altra parte in modo da

creare queste compensazioni di queste sostanze; è possibile fare il management dei ruoli, è un

problema di tipo organizzativo. Si può anche usare una “pompa peristaltica” per aspirare l'aria in

prossimità della bocca, questi captatori di aria ambiente vicino al bavero della giacca e questo

simula la qualità dell'aria che entra dentro i polmoni. Si possono usare il “carbone attivo(?)” o si

possono usare dei dischetti simili a quelli dei radiologi che attirano passivamente l'aria. Per le

polveri si usano dei sistemi a filtro che captano l'aria e bloccano sul filtro le polveri. Possiamo

trovarci davanti a sostanze liposolubili e passano attraverso la via cutanea; quale migliore cosa ti fa

il dosaggio dentro l'organismo, e quindi il carico interno di queste sostanze, che poi quello che

svolge l'effetto lesivo? I liquidi biologici. A parte l'eventualità che la sostanza possa entrare dentro

l'organismo attraverso la via cutanea, la quantità di sostanza che entra dentro l'organismo dipende

anche dal territorio. Dal solo dato ambientale, dal solo TLV, non ricaviamo la certezza che

all'interno dell'organismo ci sia la sostanza; può passare per la cute, la via respiratoria o anche dal

cibo. Stiamo parlando del piombo o il benzene. Se andiamo a vedere sulle matrici biologiche la

dose interna, noi integriamo in un dato tutte le vie attraverso le quali l'agente entra nell'organismo,

anche nelle extra-professionali. Qui abbiamo un dato reale di rischio che non dipende solo dal

rischio occupazionale ma anche il rischio legato a una esposizione extra-occupazionale. Il

monitoraggio biologico è più potente rispetto a monitoraggio occupazionale riguardo alle materie di

predizioni del rischio. Attraverso questo campionamento in tempi e modi opportuni, possiamo

valutare quale è la dose degli agenti che può entrare in un organismo e dare degli effetti biologici.

Gli effetti che si possono determinare sono diversi, sia deterministici, allergici e stocastici; gli

esempi che prendiamo in considerazione sono di tipo deterministico e andremo a indagare questi,

cioè quelli nei quali c'è un rapporto dose/risposta, e questo permette anche una gestione facile

perché se noi misuriamo una dose all'esterno o all'interno e sappiamo che c'è un effetto noi,

possiamo organizzare tutto affinché l'effetto non si produca. Tema degli effetti stocastici, cioè di

effetti che non sono correlati alla dose ma alla probabilità dell'evento avverso (che si studia

prevalentemente attraverso l'epidemiologia molecolare). Attraverso il monitoraggio biologico si

misura o dalla sostanza dal quale [...] o attraverso i prodotti di biotrasformazione, oltre a registrare

altre alterazioni reversibili. Le matrici biologiche che si usano a medicina del lavoro sono quelle che

si raccolgono con nulla o minima invasività. Quindi capelli, unghie, saliva, ecc.; per alcune sostanze

che richiedono controllo ma non sono inquinanti, tipo le droghe, che in alcune categoria di

lavoratori devono essere misurate per legge, soprattutto nel tipo di lavoro si pone danno a terzi. Le

sostanze che si misurano sono “indicatori” o meglio, visto che lavoriamo su matrici biologiche,

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“indicatori biologici”. L'indicatore è il parametro che noi misuriamo con il suo corredo di qualità.

Le qualità che questi indicatori hanno, cioè abbiamo indicatori di dose e possono essere:

- indicatori di dose che marcano l'esposizione,

- indicatori di dose che marcano l'accumulo eventuale di questa sostanza nell'organismo,

- indicatori di dose che marcano la quota della dosa che produce l'effetto in corrispondenza

dell'organo bersaglio (indicatori di dose vera o biologicamente efficace).

Accanto a questa serie di indicatori di dose noi abbiamo gli indicatori di esposizione. Queste tre

sotto categorie di indicatori di dose, consente di avere una lettura accurata di quelle che possono

essere i rischi previsti e stimati all'interno del corpo. Gli indicatori di esposizione ci dice solo che

c'è stata una esposizione, e per definizione deve avere una variabilità legata alla variabilità della

dose esterna. Non si può dare il caso che aumenti la dose esterna e non aumenti la dose di

esposizione. È un indicatore prezioso che ci registra che noi siamo stati esposti all'esterno a una

concentrazione di sostanza. Ad esempio, in un dato ambiente due persone hanno indicatori di

esposizione diversi, e ciò vi pone il problema che a parità di dose esterna: perché uno lo ha più

basso e l'altro più alto? Poi magari si scopre che uno era più vicino alla fonte dell'inquinante. Gli

indicatori di accumulo hanno riferimento alle sostanze particolari tipo solventi che hanno il potere

di accumularsi all'intermo dell'organismo. Questo accumulo da un lato conferisce a questo agente il

potere di danno permanente, perché hanno un potere lesivo a esposizioni croniche a basse

concentrazioni. Hanno anche un altro potere, perché se noi riusciamo a mobilizzare queste sostanze,

ci danno la storia dell'esposizione dell'individuo, un po' come tagliare un albero e capirne la vita dai

cerchi del tronco. Nel caso del piombo, se noi riusciamo a mobilizzare il piombo accumulato in vari

organi, tipo osso trabecolare, possiamo capire se l'individuo ha avuto una esposizione alta o bassa di

piombo. Questo può spiegare delle situazioni di salute che registriamo e può consentire il

riconoscimento di “malattia professionale” e quindi di indennizzo a carico dell'istituto assicurativo.

È importante dal punto di vista della predizione del rischio perché è il netto che è entrato all'interno

dell'organismo. Non tutto quello che è entrato nell'organismo è un target efficace del danno; una

quota che è la frazione della dose, che entra, che arriva all'organo che viene danneggiato o una

macromolecola che produce danno, quella quota si chiama “dose biologica lesiva”, ed è quello sulla

base su cui si ragiona per gestire il rischio, soprattutto su agenti molto lesivi. Abbiamo degli

indicatori che ci registrano gli effetti, cioè gli eventi biologici che vengono modificati, allorché la

molecola interagisce con un meccanismo cellulare, succede qualche cosa che viene registrato.

Questi eventi ci servono in chiave predittiva; sono effetti reversibili, eventi che servono ad essere

registrati e ad adottare delle misure sulla salute. Le tabelle per il monitoraggio ambientale hanno

anche una sezione per il monitoraggio biologico. In quest'area delle tabelle si dice che, dato una

sostanza, benzene, qual è l'indicatore che devo cercare? Il benzene quale, quale metabolita, alcuni

metaboliti del benzene sono utili altri no, per esempio alcuni metaboliti sono comuni al

metabolismo di altre sostanze. Quindi ci dice quali metaboliti da dosare che siano facilmente

dosabili. Oltre a questo, le tabelle ci dice dove prenderli, o sangue o orecchie o urine, e questo

campionamento quando lo abbiamo fatto? Prima o dopo l'esposizione? Sono parametri per

l'accuratezza del dato. Questo significa che andiamo a fare le misure all'esterno, per diossine,

cromo, bisogna dire in quali matrici biologiche, in quali condizioni è stato prelevato il campione.

Per prelevare un solvente bisogna stabilire il tempo durante il quale prendere il campione di urine;

un solvente organico, che requisiti ha che impone che uno stabilisca a priori il tempo in cui si va a

prendere il campione? I solventi hanno una emivita breve. Se uno fa la raccolta delle urine il giorno

dopo, può darsi che non c'è ne più di solvente, perché è stato tutto biotrasformato. Quindi dobbiamo

dire la finestra temporale della raccolta. Il piombo (si misura con esame del sangue) non ha finestre

temporali e il tempo di dimezzamento è di circa 15-20 giorni. Durante un arco di tempo di 15

giorni, che poi continua con l'esposizione, si può raccogliere accuratamente in qualsiasi momento.

Persone che sono esposte a monossido di carbonio, che hanno patologie cardiocircolatorie, se uno

deve accertare che queste persone possono continuare a lavorare, si deve accertare questa

esposizione alla fine del turno di lavoro, perché sono 4 ore il tempo di dimezzamento. Il laboratorio

alle sette del pomeriggio non ha una persona che va in fabbrica che va a prendere il prelievo. Dice

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Page 55: Medicina del lavoro - sunhope.it · Medicina del lavoro Lezione 2(3\10\14) La medicina del lavoro si differenzia dalle altre pratiche specialistiche perché si occupa delle patologie

che viene la mattina dopo e la mattina dopo non c'è più monossido di carbonio nell'organismo. E

quindi il medico competente da l'ok per svolgere quel lavoro. In queste tabelle ci sono anche una

serie di notazioni che guidano la lettura del dato, cioè dicono se:

- quella sostanza che stiamo studiando è un indicatore biologico che può avere un background di

interpretazione,

- se è non specifico quell'indicatore, nel senso che c'è un incertezza sulla presenza di un dato visto

che la ricerca non è arrivata ancora al punto di identificare un indicatore specifico per quella

sostanza, e se le misure sono semi quantitative.

Ogni sostanza viene identificata con un numero, ci dice qual è il suo indicatore biologico. Ad

esempio per il benzene uno può usare l’acido S-enil-mercapturico (SPMA) e l’acido trans,trans-

muconico (TTMA). La maggior parte del benzene che entra nell'organismo viene subito

biotrasformato. Vengono usate queste sostanze qui che sono molto rappresentative dal genitore da

cui provengono. Quando si fa il prelievo, qual è il valore di riferimento per queste sostanze e

quando si deve fare il prelievo. Uno gli indicatori se li sceglie, questo vale per i medici competenti

non per voi. Bisogna conoscere la tossicocinetica e i suoi effetti. Ad esempio, il piombo che si

accumula nelle ossa, nei denti come si può determinare? È poco frequente che si dica che si prende

un pezzetto d'osso, e quanto deve essere grande? 50 grammi, 100 grammi. “Immaginate un

lavoratore che sta esposto al piombo che deve fare un indagine biologica al piombo e scopritegli la

gamba e chiedete un pezzetto di osso. Vi spara.” Ci sono altre tecniche per valutare l'accumulo del

piombo. Il campionamento deve essere non invasivo. Dovete inquadrare il soggetto nella sua

interezza, tra le condizioni di salute e le esposizioni.

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