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MEDICINA DEL LAVORO
La medicina del lavoro compare per la prima volta nelle edizioni del 1700 e del 1713 del libro “De Morbis
Artificum Diatriba” di Bernardino Ramazzini, dove si discuteva delle malattie in relazione al lavoro.
La manifestazione clinica e patologica della maggior parte delle malattie di origine ambientale non sono
distinguibili da quelle delle malattie di origine non ambientale. Ad esempio, il tumore al polmone da
inalazione di cromo non è distinguibile da un tumore al polmone da fumo.
È necessario quindi valutare il rischio, cioè un’esposizione reale e compatibile con la malattia (anamnesi).
Per alcune malattie vi è la possibilità di fare dei test, come per l’esposizione a metalli pesanti.
Le malattie professionali sono definite dalle caratteristiche delle cause e non dalle caratteristiche
nosologiche. Gli effetti delle esposizioni lavorative (e ambientali) si sviluppano dopo un periodo di latenza
biologicamente compatibile (ad esempio, la cheratocongiuntivite da UV). Se l’insorgenza è insidiosa è
difficile definire quando è avvenuta l’esposizione. Un esempio è l’esposizione a rumore sul luogo di lavoro:
si perde la capacità di recupero. Un altro esempio è la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO):
l’attribuzione probabilistica è portata da più cause, anche non lavorative.
Il livello di esposizione è un predittore del tipo di effetto. Il NOEL è il No Effect Level, cioè la dose a cui non
mi aspetto effetti, se non nelle persone ipersuscettibili. Posso determinare valori guida per giudicare la
bontà di un posto di lavoro. Il TLV è il Threshold Level Value, che esprime il livello di sicurezza per l’ACGIH
(American Conference of Industrial Hygienists). Sono valori ritenuti accettabili per garantire la statistica
sicurezza (non tiene quindi conto degli ipersuscettibili). Le manifestazioni da ipersensibilità (allergie) non
hanno valori soglia (nel momento in cui l’individuo si è sensibilizzato). Le allergie hanno una fase di
induzione ed una di estrincazione. La fase di induzione può essere influenzata dalla dose. L’allergizzante è
diverso dall’irritante, poiché l’irritante dà reazione in tutti, senza predisposizione individuale. Anche per i
cancerogeni si ritiene non vi siano valori soglia, anche se alcuni ritengono dipenda dalla sostanza e dal tipo
di cancro. Alcuni esempi:
Cr6+: fino ad un certo livello di esposizione l’organismo è in grado di inattivarlo a Cr3+.
Amianto: per il mesotelioma vi è la possibilità di svilupparsi anche in seguito a brevi e basse
esposizioni. L’amianto bianco, o crisotilo, estratto presso le cave di Balangero, è il meno pericoloso.
L’amianto blu, o crocidolite, e l’amianto bruno, o amosite, sono più pericolosi. Per il tumore
polmonare per esposizione ad amianto bianco vi è un livello di esposizione cumulativa che dà la
stessa probabilità di sviluppare un tumore che hanno le persone non esposte.
Benzo(a)pirene e benzene sono regolati a livello di normativa (valore medio giornaliero per il
benzene di 5 μg/m3 e per il benzo(a)pirene di 1 ng/m3).
È quindi essenziale fare una valutazione del rischio, determinando quanto e come sono esposto. La
valutazione del rischio è il primo obbligo per il datore di lavoro e non è mai delegabile ad altre figure
aziendali (D. Lgs. 81/2008).
Diversi soggetti possono rispondere differentemente ad una stessa esposizione. Si può quindi fare una
valutazione del rischio per gruppi omogenei con valenza statistica.
La medicina del lavoro si occupa della salute (e della sicurezza) in relazione al lavoro e all’ambiente di
lavoro. Inizialmente, si limitava a malattie o infortuni direttamente correlabili al lavoro; attualmente si
occupa anche di come il lavoro influenza stati morbosi non direttamente legati al lavoro. Un esempio è
l’asma correlato (o aggravato) al lavoro, che dà iperreattività bronchiale aspecifica; un altro è invece l’ernia
del disco aggravata dalla movimentazione manuale dei carichi.
Dal 1950 l’OMS promuove il mantenimento del maggior grado di benessere dei lavoratori. Non si deve
garantire solo l’assenza di malattia ma anche la presenza di benessere (prevenzione dello stress lavoro-
collegato).
La medicina del lavoro si suddivide in più branche:
Fisiologia del lavoro
Patologia del lavoro
Ergonomia
Psicologia del lavoro
Igiene del lavoro
Sicurezza sul lavoro
L’infortunio professionale è un evento che determina danno alla persona. Si verifica per ragioni di lavoro,
in ambiente di lavoro, in un breve periodo di tempo, per causa “violenta”. Fanno eccezione gli infortuni in
itinere. Ad esempio, la cheratocongiuntivite è un infortunio. Infatti il termine “violento” discrimina la
durata di un turno di lavoro. Dal 2000 il numero di infortuni è andato diminuendo.
La malattia professionale è un evento che arreca danno alla persona. Si verifica per ragioni di lavoro,
nell’ambiente di lavoro in un periodo di tempo diluito (causa “non violenta”). La medicina del lavoro si
occupa più frequentemente di malattie. Le malattie professionali hanno un’eziologia ideale particolarmente
o esclusivamente lavorativa. Costituiscono degli esempi l’angiosarcoma, il mesotelioma, l’asbestosi o la
silicosi, la cui attribuibilità è meno complessa. Altre malattie hanno cause multiple ma indicatori precisi,
come l’anemia da inalazione di piombo. Le malattie correlate al lavoro hanno un’eziologia multipla ma non
hanno indicatori precisi, come le tendiniti o la sindrome del tunnel carpale. Non si hanno strumenti
diagnostici per distinguere la causa. L’attribuibilità è complessa. Per approssimare al vero ho quindi bisogno
di una valutazione del rischio.
Dal punto di vista legale, cioè per l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul
Lavoro), le malattie si dividono in tabellate e non tabellate. L’INAIL è un’assicurazione che tutela il
lavoratore contro il pagamento di un premio da parte del datore di lavoro. In questo modo, il lavoratore è
assicurato per l’infortunio e l’invalidità. Per alcune malattie, come ad esempio la silicosi, vale la presunzione
di rischio: la malattia è probabilmente seguita ad un’esposizione. Altre malattie, come le sindromi da
sovraccarico degli arti superiori non sono legate ad esposizioni in maniera così ovvia. Queste malattie erano
dette non tabellate, quindi secondo l’INAIL non erano di propria competenza. Una sentenza della Corte di
Cassazione (CC 179/80) ha stabilito l’onere della prova a carico del lavoratore per le malattie non tabellate:
è necessario dimostrare che la malattia è insorta per cause lavorative. A partire da questa sentenza si parla
quindi di sistema misto. L’INAIL, al di sotto di un punteggio di invalidità del 6% non indennizza il lavoratore;
fra il 6 ed il 15% indennizza con una tantum; dal 15% in poi indennizza con una pensione mensile. L’INAIL, in
ogni caso, può avvalersi della rivalsa sul datore di lavoro.
Nel quinquennio dal 1995 al 1999, secondo una statistica INAIL del 2000, il 50% della malattie indennizzate
erano casi di iperacusia (è una malattia facile da diagnosticare e la cui causa lavorativa è facile da
dimostrare). Le asme e le alveoliti erano il 2%, le asbestosi l’8%, le silicosi il 4%, le dermatiti il 5% e le
malattie non tabellate il 15%. Dal 1999 al 2002 cambia il quadro: le iperacusie erano il 21,4 e le malattie
non tabellate il 30,5%. Alcune malattie dapprima non tabellate sono entrate nelle tabelle (ad esempio, la
sindrome del tunnel carpale).
L’iter diagnostico in medicina del lavoro è costituito da fasi, di cui alcune in comune con la medicina. Le fasi
in comune sono le prime, cioè la fase clinica (la raccolta dei sintomi e dei segni) e la fase della patologia
speciale (confronto del quadro e diagnosi differenziale). Si aggiunge poi la fase di validazione, cioè la
definizione del nesso di causalità: le malattie professionali sono definite dalle caratteristiche eziologiche.
L’esame del nesso di causalità parte dall’analisi del caso in correlazione al rischio/esposizione.
Vi sono alcuni obblighi di legge riguardo le malattie professionali:
Stilamento di un primo certificato medico da parte del medico da inviare all’INAIL e al datore di
lavoro. L’invio spetterebbe al lavoratore, ma in realtà è obbligo del medico. La mancanza di
adempienza non è sanzionabile. Non è obbligo solo del medico competente, ma di qualsiasi
medico. I criteri di valutazione del danno per il primo certificato sono propri dell’INAIL: i criteri del
medico e dell’INAIL possono non coincidere. L’INAIL infatti utilizza criteri assicurativi. Per quanto
piccola si segnala sempre la malattia all’INAIL, anche perché malattie diverse vanno a sommarsi nel
punteggio di invalidità.
Obbligo di denuncia all’Organo di Vigilanza dell’ASL, in Piemonte è chiamato SPRESAL. Prima della
Riforma Sanitaria del 1998 veniva effettuata all’Ispettorato del Lavoro. Il compito dello SPRESAL è
quello di verificare che le misure di prevenzione siano messe in atto. La denuncia ha una finalità di
prevenzione primaria (e anche di prevenzione secondaria, in quanto l’Organo di Vigilanza ha anche
potere giurisdizionale sui medici e può contestare una cattiva prevenzione secondaria). Non è
chiaro se la gravità della prognosi influisce sull’obbligo di denuncia. Viene effettuata solo per le
malattie professionali e mai per gli infortuni. La denuncia apre un processo penale.
Obbligo di presentare un referto all’Autorità Giudiziaria. Denuncia e referto possono coincidere se
nello SPRESAL è presente un’Autorità Giudiziaria. La finalità è di tipo sanzionatorio (in caso di
omissione dolosa o colposa). L’Autorità deve accertare che la malattia non si sia verificata per
inadempienza alle norme. Qualsiasi medico può compilare il referto. L’omissione di referto è
sanzionabile con ammenda; se l’omissione è del medico competente la colpa è più grave. La gravità
della prognosi influisce sull’obbligo di referto: il referto è obbligatorio per una prognosi maggiore di
40 giorni o per indebolimento permanente di un organo.
Nel 2008, col DM 14 Gennaio 2008, è stato aggiornato l’elenco delle malattie professionali. In questo
Decreto Ministeriale le malattie sono
divise in tre liste in base alla
probabilità con cui sono legate
all’esposizione professionale. È
quindi consigliabile fare denuncia
solo in base alla presenza della
malattia nelle liste o dopo una
valutazione del rischio? Dopo aver
accertato la malattia è la valutazione
del rischio che definisce il nesso
causale. Se la certezza è ragionevole
si procede con la denuncia. Alcuni Organi di Vigilanza ritengono che vadano denunciate anche le malattie
sospette. I medici di base e specialisti dovrebbero porsi il legittimo sospetto. Non fare la denuncia significa
non fare la diagnosi. Il medico che ritiene di essere di fronte ad una malattia professionale dovrebbe
chiedere consulto ad uno specialista.
Diagnosi sospetta
Finalità protettive (principio di precauzione)
Limitazione dell'idoneità
Sospetto
Dell'esistenza di una malattia
Che una malattia certa sia dovuta ad
una causa professionale
Medico di base
Specialista
Medico competente
Quando la valutazione del rischio è impossibile o quando l’iter diagnostico non può essere controllato
(come nel caso di malattie per esposizione pregresse non valutabili o quando il paziente si sottrae ad
accertamenti),si denuncia anche la malattia sospetta.
La prevenzione
Si cerca di prevenire la malattia evitandone l’insorgenza. La prevenzione può essere:
Primaria: inibisce lo sviluppo della malattia agendo sui fattori di nocività e sulla predisposizione
personale.
Secondaria: si cerca di fare una diagnosi preclinica così da agire prima dell’arrivo di una malattia
invalidante.
Terziaria: si cerca di limitare l’invalidità.
L’ISPESL (Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro) è l’istituto che si occupa della prevenzione
sul lavoro.
Le Leggi sulla prevenzione:
DRP 303/1956: norme generali per l’igiene del lavoro, sorveglianza sanitaria, visite mediche
preventive.
D. Lgs. 277/1991: prime direttive comunitarie (direttive di minima). Prende in considerazione il
piombo, il rumore e l’amianto. Dal 1992 l’amianto non può più essere estratto e commercializzato,
quindi questo decreto si occupa soprattutto dei lavoratori addetti alla bonifica.
D. Lgs. 626/1994: ha allargato la medicina preventiva a tutti i settori, tra cui i VDT, la
movimentazione manuale dei carichi, i rischi biologici e i rischi cancerogeni. È stato integrato dal D.
Lgs. 25/2002 per i rischi chimici.
D. Lgs. 230/1995: regola la radioprotezione.
D. Lgs. 81/2008, integrato dal D. Lgs. 106/2009: è articolato in una parte generale ed una più
specifica. Si applica a tutti settori privati e pubblici. Si applica a lavoratori subordinati, autonomi e a
soggetti equiparati (ad esempio, gli studenti universitari).
Art. 15 - Misure generali di tutela:
A. La valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza;
B. La programmazione della prevenzione;
C. L’eliminazione dei rischi e la loro riduzione al minimo;
D. Il rispetto dei principi ergonomici;
E. La riduzione dei rischi alla fonte;
F. La sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o lo è meno;
G. La limitazione al minimo del numero dei lavoratori esposti;
H. L’utilizzo limitato degli agenti chimi, fisici e biologici;
I. La priorità delle misure di protezione collettive rispetto ai DPI;
J. Controllo sanitario dei lavoratori;
K. Informazione, formazione e addestramento;
L. Istruzioni adeguate ai lavoratori;
M. Partecipazione e consultazione dei lavoratori e degli RLS (Rappresentante dei Lavoratori per
la Sicurezza);
N. Programmare e migliorare i livelli di sicurezza;
O. Misure di emergenza (primo soccorso, incendio ed evacuazione);
P. Uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
Diagnosi accertataFinalità preventive,
assicurative e repressiveLimitazione dell'idoneità +
notifiche di legge
Q. Manutenzione di ambienti, attrezzature e impianti.
L’81/2008 prende in considerazione norme generali, ma anche rischi specifici:
o Titolo VI: movimentazione manuale dei carichi;
o Titolo VII: videoterminali;
o Titolo VIII: agenti fisici;
o Titolo IX: sostanze pericolose;
o Titolo X: agenti biologici;
o Titolo XI: atmosfere esplosive.
L’Art. 2 definisce le figure di:
o Datore di lavoro (è il massimo responsabile);
o Dirigente;
o Preposto;
o RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione o APP, Addetto al Servizio
Prevenzione e Protezione);
o Medico competente: collabora alla valutazione del rischio e programma la sorveglianza
sanitaria;
o RLS: è un tramite tra le varie figure.
L’articolo definisce anche i termini di:
o Informazione: attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e
alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro.
Art. 36. - Informazione ai lavoratori:
1. Il datore di lavoro provvede affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata
informazione:
a. sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività della
impresa in generale;
b. sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio,
l'evacuazione dei luoghi di lavoro;
c. sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli
articoli 45 e 46;
d. sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e
protezione, e del medico competente.
2. Il datore di lavoro provvede altresì affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata
informazione:
a. sui rischi specifici cui e' esposto in relazione all'attività' svolta, le normative
di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;
b. sui pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla
base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e
dalle norme di buona tecnica;
c. sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.
3. Il datore di lavoro fornisce le informazioni di cui al comma 1, lettera a), e al comma
2, lettere a), b) e c), anche ai lavoratori di cui all'articolo 3, comma 9.
4. Il contenuto della informazione deve essere facilmente comprensibile per i
lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze. Ove la
informazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della
comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo.
o Formazione: processo educativo attraverso il quale si trasferiscono conoscenze e
procedure utili alla acquisizione di competenze e procedure per lo svolgimento in sicurezza
dei ispettivi compiti.
Art. 37. - Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti
1. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente
ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze
linguistiche, con particolare riferimento a:
a. concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della
prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di
vigilanza, controllo, assistenza;
b. rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e
procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto
di appartenenza dell'azienda.
2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono
definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa
consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata
in vigore del presente decreto legislativo.
3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione
sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del presente
decreto successivi al I. Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la
formazione di cui al periodo che precede e' definita mediante l'accordo di cui al
comma 2.
4. La formazione e, ove previsto, l'addestramento specifico devono avvenire in
occasione:
a. della costituzione del rapporto di lavoro o dell'inizio dell'utilizzazione
qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
b. del trasferimento o cambiamento di mansioni;
c. della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di
nuove sostanze e preparati pericolosi.
5. L'addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro.
6. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente
ripetuta in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi.
7. I preposti ricevono a cura del datore di lavoro e in azienda, un'adeguata e specifica
formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia
di salute e sicurezza del lavoro. I contenuti della formazione di cui al presente
comma comprendono:
a. principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
b. definizione e individuazione dei fattori di rischio;
c. valutazione dei rischi;
d. individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di
prevenzione e protezione.
8. I soggetti di cui all'articolo 21, comma 1, possono avvalersi dei percorsi formativi
appositamente definiti, tramite l'accordo di cui al comma 2, in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano.
9. I lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di
evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di
salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza devono
ricevere un'adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico; in
attesa dell'emanazione delle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 46,
continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del Ministro
dell'interno in data 10 marzo 1998, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 81
del 7 aprile 1998, attuativo dell'articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626.
10. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione
particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti
negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate
competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi.
11. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva
nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi: a) principi giuridici comunitari
e nazionali; b) legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul
lavoro; c) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi; d) definizione e
individuazione dei fattori di rischio; e) valutazione dei rischi; f) individuazione delle
misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione; g) aspetti
normativi dell'attività' di rappresentanza dei lavoratori; h) nozioni di tecnica della
comunicazione. La durata minima dei corsi e' di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi
specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione
adottate, con verifica di apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale
disciplina le modalità dell'obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non
puo' essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50
lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.
12. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in
collaborazione con gli organismi paritetici di cui all'articolo 50 ove presenti, durante
l'orario di lavoro e non puo' comportare oneri economici a carico dei lavoratori.
13. Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori
e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in
materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori
immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della
lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.
14. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione di
cui al presente decreto sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui
all'articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,
e successive modificazioni. Il contenuto del libretto formativo e' considerato dal
datore di lavoro ai fini della programmazione della formazione e di esso gli organi
di vigilanza tengono conto ai fini della verifica degli obblighi di cui al presente
decreto.
Addestramento: far apprendere l'uso corretto di attrezzature, macchine, impianti
dispositivi anche di protezione individuale e le procedure di lavoro. Prende in
considerazione anche le differenze di genere e di razze. Le informazioni devono essere
comprensibili a tutti. Spesso formazione ed informazione sono sottovalutate (ad esempio,
vengono effettuate tramite la distribuzione di manuali).
Art. 74 – Definizioni: “Si intende per dispositivo di protezione individuale, di seguito denominato
«DPI», qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di
proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il
lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”.
I DPI riguardano salute e sicurezza. Deve essere fornito dal datore di lavoro e deve essere
individuale (possibilmente monouso). Vi è obbligo di utilizzo, con verifica da parte del datore di
lavoro. Ai DPI sono comunque preferibili i DPC (Dispositivi di Protezione Collettiva), poiché a volte i
DPI sono mal tollerati. I DPI devono essere certificati con il marchio CE. Devono essere ben
conservati da parte del lavoratore. Per alcuni DPI è necessaria la manutenzione (ad esempio, per le
maschere con filtri è necessaria la sostituzione periodica del filtro).
Art. 75 – Obbligo di uso: “I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o
sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da
misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro”.
I DPI devono essere utilizzati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti
(ad esempio, per i rumori sopra gli 87 dB).
Art. 76 – Requisiti dei DPI:
1. I DPI devono essere conformi alle norme di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, e
sue successive modificazioni.
2. I DPI di cui al comma 1 devono inoltre:
a. essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore;
b. essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;
c. tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore;
d. poter essere adattati all'utilizzatore secondo le sue necessità.
3. In caso di rischi multipli che richiedono l'uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro
compatibili e tali da mantenere, anche nell'uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del
rischio e dei rischi corrispondenti.
I DPI devono essere adeguati, non devono influenzare negativamente il lavoratore e non devono
essere causa di patologie (ad esempio, i guanti in lattice).
Art. 78 – Obblighi dei lavoratori:
1. In ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 20, comma 2, lettera h), i lavoratori si
sottopongono al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di
lavoro nei casi ritenuti necessari ai sensi dell'articolo 77 commi 4, lettera h), e 5.
2. In ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 20, comma 2, lettera d), i lavoratori
utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all'informazione e alla formazione
ricevute e all'addestramento eventualmente organizzato ed espletato.
3. I lavoratori:
a) provvedono alla cura dei DPI messi a loro disposizione;
b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa.
4. Al termine dell'utilizzo i lavoratori seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna
dei DPI.
5. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto
qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione.
Art. 29 – Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi:
1. Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all'articolo 17,
comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione e il medico competente, nei casi di cui all'articolo 41.
2. Le attività di cui al comma 1 sono realizzate previa consultazione del rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza.
3. La valutazione e il documento di cui al comma 1 debbono essere rielaborati, nel rispetto
delle modalità di cui ai commi 1 e 2, in occasione di modifiche del processo produttivo o
dell'organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori,
o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione o a
seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne
evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono
essere aggiornate.
4. Il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), e quello di cui all'articolo 26, comma
3, devono essere custoditi presso l'unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei
rischi.
5. I datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori effettuano la valutazione dei rischi di cui
al presente articolo sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8,
lettera f). Fino alla scadenza del diciottesimo mese successivo alla data di entrata in vigore
del decreto interministeriale di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre
il 30 giugno 2012, gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l'effettuazione della
valutazione dei rischi. Quanto previsto nel precedente periodo non si applica alle attività di
cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d) nonché g).
6. I datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei
rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f).
Nelle more dell'elaborazione di tali procedure trovano applicazione le disposizioni di cui ai
commi 1, 2, 3, e 4.
7. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano alle attività svolte nelle seguenti aziende:
a. aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);
b. aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici,
biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all'esposizione ad
amianto;
c. aziende che rientrano nel campo di applicazione del titolo IV del presente decreto.
La valutazione dei rischi deve andare a confluire nel DVR, già introdotto dal D. Lgs. 626/94. Consiste
nel misurare l’entità del rischio. La valutazione dei rischi è a capo del datore di lavoro, con la
collaborazione dell’RSPP e del medico competente. Viene firmata da tutte e tre queste figure. L’RLS
deve essere consultato e informato prima di fare la valutazione.
Art. 28 – Oggetto della valutazione dei rischi:
1. La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle
attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella
sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei
lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra
cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo
europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza,
secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli
connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi.
2. Il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), redatto a conclusione della
valutazione, deve avere data certa e contenere:
a. una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante
l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione
stessa;
b. l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di
protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all'articolo 17,
comma 1, lettera a);
c. il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel
tempo dei livelli di sicurezza;
d. l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché
dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono
essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
e. l'indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale
e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
f. l'individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi
specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica
esperienza, adeguata formazione e addestramento.
3. Il contenuto del documento di cui al comma 2 deve altresì rispettare le indicazioni previste
dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei successivi titoli del presente
decreto.
Devono essere valutati tutti i rischi, anche quelli legati allo stress lavoro-collegato (questo tipo di
rischio non era previsto dal D. Lgs. 626/94), anche se non sono ancora presenti metodiche validate.
Bisogna valutare anche i rischi per le donne in gravidanza e quelli connessi alla differenza di genere,
età e provenienza da altri Paesi. In ambito lavorativo il rischio è diverso dal pericolo. Il pericolo è la
proprietà potenzialmente causa di danno possedute da una determinata entità. Il rischio è la
possibilità che un pericolo possa provocare danno effettivo in determinate condizioni. Nel DVR
devono essere elencati le misure di prevenzione e di sicurezza e i DPI. È un documento in continua
evoluzione. Deve indicare chi sono le figure e individuare le mansioni esposte a rischi specifici.
Art. 35 – Riunione periodica
1. Nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori, il datore di lavoro,
direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indice almeno una
volta all'anno una riunione cui partecipano:
a. il datore di lavoro o un suo rappresentante;
b. il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
c. il medico competente, ove nominato;
d. il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
2. Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all'esame dei partecipanti:
a. il documento di valutazione dei rischi;
b. l'andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della sorveglianza
sanitaria;
c. i criteri di scelta, le caratteristiche tecniche e l'efficacia dei dispositivi di protezione
individuale;
d. i programmi di informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori
ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute.
3. Nel corso della riunione possono essere individuati:
a. codici di comportamento e buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di
malattie professionali;
b. obiettivi di miglioramento della sicurezza complessiva sulla base delle linee guida
per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro.
4. La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni
di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l'introduzione di nuove tecnologie
che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori. Nelle ipotesi di cui al presente
articolo, nelle unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori è facoltà del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza chiedere la convocazione di un'apposita
riunione.
5. Della riunione deve essere redatto un verbale che è a disposizione dei partecipanti per la sua
consultazione.
La riunione periodica è un incontro tra datore di lavoro, RSPP, medico competente ed RLS,
organizzato almeno una volta all’anno. Devono essere discussi aggiornamenti del DVR, infortuni,
malattie e i risultati della sorveglianza sanitaria. Bisogna comunicare i criteri di scelta dei DPI.
Vengono verbalizzati gli interventi di formazione ed informazione per l’anno successivo.
Art. 13 – Vigilanza
1. La vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio e, per quanto di
specifica competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché per il settore
minerario, fino all'effettiva attuazione del trasferimento di competenze da adottarsi ai sensi
del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, dal Ministero dello
sviluppo economico, e per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e
termali dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. Le province autonome di
Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del presente articolo, nell'ambito delle proprie
competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.
2. Ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al
personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, lo stesso personale
può esercitare l'attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro nelle seguenti attività, informandone preventivamente il
servizio di prevenzione e sicurezza dell'Azienda sanitaria locale competente per territorio:
a. attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di
costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento
di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere
stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi
prefabbricati; lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l'impiego di
esplosivi;
b. lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei;
c. ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del
lavoro e della previdenza sociale, e della salute, adottato sentito il comitato di cui
all'articolo 5 e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in relazione alle
quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge
attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di
prevenzione e sicurezza dell'Azienda sanitaria locale competente per territorio.
3. In attesa del complessivo riordino delle competenze in tema di vigilanza sull'applicazione
della legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, restano ferme le
competenze in materia di salute e sicurezza dei lavoratori attribuite alle autorità marittime
a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli uffici di sanità aerea e marittima, alle autorità
portuali ed aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di
aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale nonché ai servizi sanitari e tecnici istituiti
per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco; i predetti servizi sono
competenti altresì per le aree riservate o operative e per quelle che presentano analoghe
esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con decreto
del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e
della salute. L'Amministrazione della giustizia può avvalersi dei servizi istituiti per le Forze
armate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi
istituiti con riferimento alle strutture penitenziarie.
4. La vigilanza di cui al presente articolo è esercitata nel rispetto del coordinamento di cui agli
articoli 5 e 7.
5. Il personale delle pubbliche amministrazioni, assegnato agli uffici che svolgono attività di
vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività
di consulenza.
6. L'importo delle somme che l'ASL, in qualità di organo di vigilanza, ammette a pagare in
sede amministrativa ai sensi dell'articolo 21, comma 2, primo periodo, del decreto
legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, integra l'apposito capitolo regionale per finanziare
l'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dai dipartimenti di prevenzione delle
AA.SS.LL.
7. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 64 del decreto del Presidente della Repubblica 19
marzo 1956, n. 303, con riferimento agli organi di vigilanza competenti, come individuati
dal presente decreto.
La vigilanza è effettuata dalle ASL. Possono subentrare i vigili del fuoco o il Ministero dello Sviluppo
Economico per le miniere. Gli SPRESAL hanno assunto i compiti dell’Ispettorato del Lavoro, che è
rimasto solo per alcuni settori. Le cartelle cliniche devono essere mantenute sotto segreto
professionale; solo l’Ispettore Medico può visionarle: l’Ispettore Tecnico no, ma può chiederne il
sequestro.
Art. 38 – Titoli e requisiti del medico competente
1. Per svolgere le funzioni di medico competente è necessario possedere uno dei seguenti titoli
o requisiti:
a. specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e
psicotecnica;
b. docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e
psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e
igiene del lavoro o in clinica del lavoro;
c. autorizzazione di cui all'articolo 55 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
d. specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.
2. I medici in possesso dei titoli di cui al comma 1, lettera d), sono tenuti a frequentare appositi
percorsi formativi universitari da definire con apposito decreto del Ministero dell'università
e della ricerca di concerto con il Ministero della salute. I soggetti di cui al precedente
periodo i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, svolgano le attività di
medico competente o dimostrino di avere svolto tali attività per almeno un anno nell'arco
dei tre anni anteriori all'entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono abilitati a
svolgere le medesime funzioni. A tal fine sono tenuti a produrre alla Regione attestazione
del datore di lavoro comprovante l'espletamento di tale attività.
3. Per lo svolgimento delle funzioni di medico competente è altresì necessario partecipare al
programma di educazione continua in medicina ai sensi del decreto legislativo 19 giugno
1999, n. 229, e successive modificazioni e integrazioni, a partire dal programma triennale
successivo all'entrata in vigore del presente decreto legislativo. I crediti previsti dal
programma triennale dovranno essere conseguiti nella misura non inferiore al 70 per cento
del totale nella disciplina «medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro».
4. I medici in possesso dei titoli e dei requisiti di cui al presente articolo sono iscritti nell'elenco
dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute.
Già il D. Lgs. 277/91 definiva i titoli del medico competente, e inoltre prevedeva autorizzazioni
sanatorie. Nel 2002 sono state introdotte nuove specializzazioni (Igiene e Medicina preventiva o
Medicina Legale). Prima del D. Lgs. 626/94 le visite potevano essere effettuate da medici diversi; in
seguito il medico viene designato ufficialmente. I medici con i titoli devono essere iscritti alla lista
del Ministero della Salute. Il medico Autorizzato è l’unico che può occuparsi di radioprotezione di
classe A; il medico competente può occuparsi dei radio esposti di classe B.
Art. 25 – Obblighi del medico competente
1. Il medico competente:
a. collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla
valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della
sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la
tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all'attività' di
formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza,
e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di
lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro.
Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di
«promozione della salute», secondo i principi della responsabilità sociale;
b. programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 attraverso
protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione
gli indirizzi scientifici più avanzati;
c. istituisce, anche tramite l'accesso alle cartelle sanitarie e di rischio, di cui alla lettera
f), aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di
rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria. Nelle aziende o
unità produttive con più di 15 lavoratori il medico competente concorda con il
datore di lavoro il luogo di custodia;
d. consegna al datore di lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione
sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo
del 30 giugno 2003, n. 196, e con salvaguardia del segreto professionale;
e. consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, la documentazione
sanitaria in suo possesso e gli fornisce le informazioni riguardo la necessità di
conservazione;
f. invia all'ISPESL, esclusivamente per via telematica, le cartelle sanitarie e di rischio
nei casi previsti dal presente decreto legislativo, alla cessazione del rapporto di
lavoro, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n.
196. Il lavoratore interessato può chiedere copia delle predette cartelle all'ISPESL
anche attraverso il proprio medico di medicina generale;
g. fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui
sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla
necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della
attività che comporta l'esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta,
informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
h. informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui
all'articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione
sanitaria;
i. comunica per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all'articolo 35, al datore di
lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della
sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti
risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della
integrità psico-fisica dei lavoratori;
j. visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o a cadenza diversa che
stabilisce in base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa
dall'annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua
annotazione nel documento di valutazione dei rischi;
k. partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui
risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della
sorveglianza sanitaria;
l. comunica, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti di cui
all'articolo 38 al Ministero della salute entro il termine di sei mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto.
Il medico competente collabora alla valutazione dei rischi e fa la visita medica generale. I controlli
medici preassunzione possono essere fatti ma a scopo protettivo e non selettivo. Il protocollo deve
essere mirato, per non effettuare accertamenti indebiti. Il medico competente istituisce e aggiorna
la cartella clinica del soggetto con i dati clinici e dei rischi (valori a cui il soggetto è stato esposto). La
documentazione deve essere consegnata al lavoratore alla cessione del rapporto di lavoro. In alcuni
casi (ad esempio, esposizione a cancerogeni) devono essere inviate anche all’ISPSEL (prima del D.
Lgs. 81/08 questo valeva anche per gli esposti a rischi chimici). Prima del D. Lgs. 81/08 il giudizio di
idoneità e il risultato degli esami non venivano consegnati al lavoratore. Il medico competente deve
visitare gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno.
Art. 41 – Sorveglianza sanitaria
1. La sorveglianza sanitaria e' effettuata dal medico competente:
a. nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle direttive europee nonché dalle
indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6;
b. qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico
competente correlata ai rischi lavorativi.
2. La sorveglianza sanitaria comprende:
a. visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro
cui il lavoratore e' destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione
specifica;
b. visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere
il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti,
qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta
l'anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico
competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo di vigilanza, con
provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza
sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
c. visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico
competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute,
suscettibili di peggioramento a causa dell'attività' lavorativa svolta, al fine di
esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
d. visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla
mansione specifica;
e. visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla
normativa vigente.
3. Le visite mediche di cui al comma 2 non possono essere effettuate:
a. in fase preassuntiva;
b. per accertare stati di gravidanza;
c. negli altri casi vietati dalla normativa vigente.
4. Le visite mediche di cui al comma 2, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli
esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico
competente. Nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento, le visite di cui al comma
2, lettere a), b) e d) sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol
dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti.
5. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio di cui
all'articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi contenuti nell'Allegato 3A e
predisposta su formato cartaceo o informatizzato, secondo quanto previsto dall'articolo 53.
6. Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2,
esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
a. idoneità;
b. Idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c. Inidoneità temporanea;
d. Inidoneità permanente.
7. Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti
temporali di validità.
8. Dei giudizi di cui al comma 6, il medico competente informa per iscritto il datore di lavoro e
il lavoratore.
9. Avverso i giudizi del medico competente è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di
comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente
che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del
giudizio stesso.
Bisogna comunque ricordare quanto cita la L. 300/70 (Statuto dei lavoratori):
Art. 5 – Accertamenti sanitari: “Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla
idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.
Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi
degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo
richieda.
Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti
pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico”.
La visita preventiva è diversa dalla visita preassuntiva, che poteva essere fatta solo da un Ente
Pubblico (attualmente può farla anche il medico competente).
La visita periodica di norma è annuale, ma il medico competente, sotto la sua responsabilità, può
variare il suo periodismo.
La visita medica su richiesta è importante per quelle patologie come le allergie, ma non è ben
chiaro se ad essa deve seguire un giudizio di idoneità o una visita periodica ravvicinata.
Il cambio di mansioni può determinare un cambio di rischi.
La visita alla cessazione spesso non viene effettuata, soprattutto se la cessazione è improvvisa. Si
può essere soggetti a multa da parte dello SPRESAL.
La visita medica dopo la ripresa del lavoro sorge ex novo nel D. Lgs. 81/08. Il medico competente
può sostituirsi al medico di controllo per verificare la prognosi medica curante. La visita però può
essere effettuata solo tramite l’ente assicuratore. Alcuni enti come le Ferrovie dello Stato e la
Polizia avevano propri medici che potevano effettuare accertamenti.
I controlli a cui si sottopone il lavoratore devono condurre ad un giudizio di idoneità e sono a carico
del medico competente.
Per prescrizione si intende l’uso di particolari accorgimenti, ad esempio l’utilizzo di tappi prima del
raggiungimento del limite di 87 dB. Le limitazioni sono invece compiti previsti dalla mansione che
non possono essere svolti.
I giudizi devono essere comunicati al lavoratore e al datore di lavoro. I giudizi di idoneità parziale e
di inidoneità temporanea e permanente dovevano essere comunicati già a partire dal D. Lgs.
626/94. Il giudizio di idoneità può essere impugnato dal lavoratore davanti allo SPRESAL. Il
lavoratore può richiedere una visita all’ente pubblico.
Visita medica
Periodica
Preventiva
Su richiesta
In occasione del cambio di mansione
Alla cessazione del rapporto di lavoro
Alla ripresa del lavoro dopo un'assenza maggiore di 60 giorni
Giudizio di idoneità
Idoneità
Idoneità parziale con prescrizioni o limitazioni
Inidoneità temporanea
Inidoneità permanente
La prevenzione degli effetti dell’esposizione ad inquinanti presenti nel luogo di lavoro è l’obiettivo
principale della medicina del lavoro.
Il D. Lgs 81/08, nel Titolo IX tratta le varie sostanze pericolose in ambito lavorativo:
Capo I: Protezione da agenti chimici;
Capo II: Protezione da agenti cancerogeni e mutageni;
Capo III: Protezione dai rischi connessi all’esposizione ad amianto.
Le varie categorie di rischio (R45, R46 e R49) sono applicate a tutte le attività dove vengono utilizzati
prodotti chimici. Sono soggetti a deroghe le sostanze farmaceutiche, che non riportano etichettature. Ad
esempio, farmaci antineoplastici contenenti molecole R45 non sono classificati come R45. Anche i cosmetici
non sono soggetti ad etichettatura.
Per quanto riguarda gli agenti chimici:
Art. 222 – Definizioni
1. Ai fini del presente capo si intende per:
a. agenti chimici: tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli,
allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come
rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o
no e siano immessi o no sul mercato;
b. agenti chimici pericolosi:
1) agenti chimici classificati come sostanze pericolose ai sensi del decreto
legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni, nonché gli
agenti che corrispondono ai criteri di classificazione come sostanze
pericolose di cui al predetto decreto. Sono escluse le sostanze pericolose
solo per l'ambiente;
2) agenti chimici classificati come preparati pericolosi ai sensi del decreto
legislativo 14 marzo 2003, n. 65, e successive modificazioni, nonché gli
agenti che rispondono ai criteri di classificazione come preparati pericolosi
di cui al predetto decreto. Sono esclusi i preparati pericolosi solo per
l'ambiente;
3) agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi, in base ai
numeri 1) e 2), possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute
dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche, chimiche o
tossicologiche e del modo in cui sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro,
compresi gli agenti chimici cui e' stato assegnato un valore limite di
esposizione professionale;
c. attività che comporta la presenza di agenti chimici: ogni attività lavorativa in cui
sono utilizzati agenti chimici, o se ne prevede l'utilizzo, in ogni tipo di procedimento,
Valutazione del rischioLimiti ambientali
Limiti biologici
Limiti ambientali e biologici
SuperatiInterventi di
bonifica ambientale
Rivalutazione del rischio
RispettatiSorveglianza
sanitaria
compresi la produzione, la manipolazione, l'immagazzinamento, il trasporto o
l'eliminazione e il trattamento dei rifiuti, o che risultino da tale attività lavorativa;
d. valore limite di esposizione professionale: se non diversamente specificato, il limite
della concentrazione media ponderata nel tempo di un agente chimico nell'aria
all'interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un determinato
periodo di riferimento; un primo elenco di tali valori e' riportato nell'allegato
XXXVIII;
e. valore limite biologico: il limite della concentrazione del relativo agente, di un suo
metabolita, o di un indicatore di effetto, nell'appropriato mezzo biologico; un primo
elenco di tali valori e' riportato nell'allegato XXXIX;
f. sorveglianza sanitaria: la valutazione dello stato di salute del singolo lavoratore in
funzione dell'esposizione ad agenti chimici sul luogo di lavoro;
g. pericolo: la proprietà intrinseca di un agente chimico di poter produrre effetti
nocivi;
h. rischio: la probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di
utilizzazione o esposizione.
Art. 229 – Sorveglianza sanitaria
1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 224, comma 2, sono sottoposti alla sorveglianza
sanitaria di cui all'articolo 41 i lavoratori esposti agli agenti chimici pericolosi per la salute
che rispondono ai criteri per la classificazione come molto tossici, tossici, nocivi,
sensibilizzanti, corrosivi, irritanti, tossici per il ciclo riproduttivo, cancerogeni e mutageni di
categoria 3.
2. La sorveglianza sanitaria viene effettuata:
a. prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta l'esposizione;
b. periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità diversa decisa dal
medico competente con adeguata motivazione riportata nel documento di
valutazione dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, in
funzione della valutazione del rischio e dei risultati della sorveglianza sanitaria;
c. all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. In tale occasione il medico
competente deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle
prescrizioni mediche da osservare.
3. Il monitoraggio biologico è obbligatorio per i lavoratori esposti agli agenti per i quali e'
stato fissato un valore limite biologico. Dei risultati di tale monitoraggio viene informato il
lavoratore interessato. I risultati di tale monitoraggio, in forma anonima, vengono allegati
al documento di valutazione dei rischi e comunicati ai rappresentanti per la sicurezza dei
lavoratori.
4. Gli accertamenti sanitari devono essere a basso rischio per il lavoratore.
5. Il datore di lavoro, su parere conforme del medico competente, adotta misure preventive e
protettive particolari per i singoli lavoratori sulla base delle risultanze degli esami clinici e
biologici effettuati. Le misure possono comprendere l'allontanamento del lavoratore
secondo le procedure dell'articolo 42.
6. Nel caso in cui all'atto della sorveglianza sanitaria si evidenzi, in un lavoratore o in un
gruppo di lavoratori esposti in maniera analoga ad uno stesso agente, l'esistenza di effetti
pregiudizievoli per la salute imputabili a tale esposizione o il superamento di un valore limite
biologico, il medico competente informa individualmente i lavoratori interessati ed il datore
di lavoro.
7. Nei casi di cui al comma 6, il datore di lavoro deve:
a. sottoporre a revisione la valutazione dei rischi effettuata a norma dell'articolo 223;
b. sottoporre a revisione le misure predisposte per eliminare o ridurre i rischi;
c. tenere conto del parere del medico competente nell'attuazione delle misure
necessarie per eliminare o ridurre il rischio;
d. prendere le misure affinché sia effettuata una visita medica straordinaria per tutti
gli altri lavoratori che hanno subito un'esposizione simile.
8. L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità
della sorveglianza sanitaria diversi rispetto a quelli definiti dal medico competente.
La sorveglianza sanitaria viene effettuata prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta
l’esposizione e poi periodicamente, di norma una volta all’anno; infine, alla cessazione del rapporto
di lavoro.
Art. 224 – Misure e principi generali per la prevenzione dei rischi
1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 15, i rischi derivanti da agenti chimici
pericolosi devono essere eliminati o ridotti al minimo mediante le seguenti misure:
a. progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro;
b. fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e relative procedure di
manutenzione adeguate;
c. riduzione al minimo del numero di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti;
d. riduzione al minimo della durata e dell'intensità' dell'esposizione;
e. misure igieniche adeguate;
f. riduzione al minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione
delle necessita della lavorazione;
g. metodi di lavoro appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza
nella manipolazione, nell'immagazzinamento e nel trasporto sul luogo di lavoro di
agenti chimici pericolosi nonché dei rifiuti che contengono detti agenti chimici.
2. Se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di
un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente
presente sul luogo di lavoro, vi e' solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la
salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non
si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230.
Se vi è solo un rischio basso per la sicurezza o irrilevante per la salute non vi è obbligo di
sorveglianza sanitaria: non vi è quindi obbligo di rivolgersi ad un medico competente. In assenza di
medico competente, ci si può affidare allo SPRESAL.
La prevenzione si basa su:
Prevenzione
Valutazione del rischio
Individuazione dei fattori di
rischio
Quantificazione dell'entità del
rischio
Monitoraggio ambientale
Monitoraggio biologico
Risultati sorveglianza
sanitaria
Informazione e fromazione dei
lavoratori
Controllo sanitario dei
lavoratori
Il rischio può essere:
Fisico: radiazioni (ionizzanti, non ionizzanti, UV, IR), illuminazione, microclima (temperatura,
umidità, ventilazione)
Polveri: sclerogene, non sclerogene;
Chimico: solidi, liquidi, gas e vapori, particellari
o Polveri: particelle solide in sospensione nell'aria, generate per azione meccanica su
materiali;
o Fumi: particelle solide in sospensione nell'aria, di dimensioni inferiori al micron, generati
da processi di combustione, volatilizzazione, condensazione;
o Nebbie: particelle liquide in sospensione nell'atmosfera, generate da processi di
evaporizzazione, condensazione, atomizzazione;
Biologico: microrganismi anche se geneticamente modificati, colture cellulari e endoparassiti
umani.
Le schede di sicurezza prevedono 16 punti, con data di revisione e firma:
1. Identificazione del prodotto e della società
2. Composizione ed informazioni sugli ingredienti
3. Identificazione dei pericoli
4. Misure di primo soccorso
5. Misure antincendio
6. Misure in caso di fuoriuscita accidentale
7. Manipolazione e stoccaggio
8. Controllo dell’esposizione e DPI
9. Proprietà fisiche e chimiche
10. Stabilità e reattività
11. Informazioni tossicologiche
12. Informazioni ecologiche
13. Considerazioni sullo smaltimento
14. Informazioni sul trasporto
15. Informazioni sulla regolamentazione (classificazione, etichettatura, controlli sanitari)
16. Altre informazioni
La classificazione di sostanze e preparati pericolosi, secondo il D. Lgs. 52/77 e il D. Lgs. 285/98, prevede:
Caratteristiche chimico/fisiche:
o Esplosivi;
o Comburenti;
Prevenzione
Valutazione del rischio
Scheda di sicurezza
Ciclo tecnologico
Indagini ambientali
Prevenzione tecnica
Miglioramento tecnologico
Bonifica ambientale
Prevenzione sanitaria
Visite medicheMonitoraggio
biologicoGiudizio di
idoneità
o Infiammabili, facilmente infiammabili, estremamente infiammabili;
Effetti specifici sulla salute:
o Tossici, molto tossici, nocivi;
o Corrosivi, irritanti;
o Sensibilizzanti;
o Cancerogeni, mutageni;
o Tossici per il ciclo riproduttivo.
Effetti sull’ambiente:
o Pericolosi per l’ambiente.
L’etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi avviene con:
Indicazioni di pericolo
Frasi di rischio
Consigli di prudenza
InfoRISK è il metodo di valutazione del rischio chimico adottato dalla Regione Piemonte. Cerca di arrivare
ad un indice unico per quantificare il rischio. Prende in considerazione per ogni sostanza alcuni parametri:
Gravità
Modalità/probabilità
Frequenza/durata
I tre parametri confluiscono in un programma che dà come output un indice da 1 a 100. Da 1 a 10
corrisponde il rischio basso (o irrilevante). Se è presente un R42, il rischio non sarà mai basso.
Il limite di riferimento dell’esposizione professionale è la concentrazione nell’aria di una sostanza nociva
che, se le norme vengono rispettate, non ha generalmente effetti dannosi, anche a lungo termine e nelle
generazioni successive. Il limite di esposizione non costituisce una linea di separazione assoluta fra
concentrazioni non nocive e concentrazioni nocive.
Limiti di riferimento dati dall’ACGIH sono:
TLV-TWA: concentrazione media per un giorno lavorativo di 8 ore per una settimana di 5 giorni;
TLV-STEL: esposizione massima di 15 minuti ripetibile per non più di 4 ore durante il turno di 8 ore
con almeno un’ora di intervallo fra le due esposizioni;
TLV-C (Ceiling): concentrazione da non superare mai.
I TLV proteggono il lavoratore dall’insorgenza di irritazioni, di danni tissutali irreversibili, oppure narcosi di
grado sufficiente ad accrescere la possibilità di infortuni. Le situazioni di particolare reattività e suscettibilità
vanno svelate anche mediante esami appropriati, alla visita di assunzione e alle visite successive.
L’allegato XXXVIII del D. Lgs. 81/08 considera i valori limite di esposizione professionale di 96 agenti chimici.
Nel caso di una miscela, il TLV sarà:
Nonostante siano cancerogeni, per il cloruro di vinile monomero (VCM), le polveri di legno e il benzene vi
sono comunque dei TLV fissati.
Nel 1990 la CEE istituisce la SEG (Scientific Expert Group), che considera LOAEL e NOAEL di 52 sostanze.
I BEIs (Biological Exposures Indices) sono la quantità di una sostanze o dei suoi metaboliti nei tessuti, nei
liquidi biologici e nell’aria espirata di lavoratori esposti a livelli di concentrazione ambientale vicini al valore
TLV-TWA.
Valori biologici:
Valori di riferimento: si riscontrano nella popolazione generale, non esposta per motivi
professionali.
Valori limite: livelli al di sotto del quale non si manifestano effetti negativi per la salute (ACGIH,
BEIs, DFG, BAT-Werte),
Action Level: o del valore limite al di sotto del quale non si ritiene necessario un intervento
né di prevenzione né di controllo biologico o sanitario.
Le vie di assorbimento degli xenobiotici sono:
Digestiva
Percutanea
Respiratoria
Le vie di escrezione sono:
Con l’aria espirata (tal quale)
Con l’urina (tal quale, metaboliti)
Gli xenobiotici vengono metabolizzati principalmente a livello dei microsomi epatici.
Il monitoraggio biologico è un’attività riferita alla salute, ripetuta sistematicamente al fine di intraprendere
azioni correttive mediante la misura e la valutazione di agenti o di loro metaboliti sia nei tessuti sia nei
secreti, negli escreti, nell’aria espirata o nella combinazione di questi per valutare l’esposizione ed il rischio
per la salute in comparazione con un appropriato riferimento.
Gli indicatori biologici (nel sangue, nelle urine, nell’espirato) sono:
Agenti esogeni
Metaboliti (intermedi o finali)
Effetti metabolici
Troviamo:
Indicatori di dose interna:
o Veri di dose o di dose biologica effettiva
o Di esposizione
o Di accumulo
Indicatori di effetto:
o Precoci di danno
o Di danno
Indicatori di suscettibilità
I BEIs non indicano una netta distinzione fra esposizione pericolosa e non pericolosa. Sono possibili riscontri
eccedenti individuali, senza incremento di rischio per la salute. Si applicano a soggetti con esposizione di 8
ore al giorno per 5 giorni alla settimana.
Le matrici biologiche indagate sono:
Sangue
Urina
Saliva
Sudore
Feci
Capelli (per metalli e sostanze ad alta persistenza)
Grasso
Aria espirata
Il prelievo può essere eseguito:
Prima dell’inizio del turno
A termine del turno
A termine dell’ultimo turno della settimana
Ad inizio e termine del turno
Il monitoraggio biologico deve essere programmato quando:
Esiste l’indicatore specifico
La metodologia di laboratorio per la determinazione dello stesso sia affidabile
Sia possibile utilizzare campioni biologici facilmente ottenibili
Sia nota la relazione dose/effetto e siano indici biologici di riferimento (BEIs)
Quando si procede con il monitoraggio biologico?
Quando viene iniziata una nuova attività a rischio;
Quando si analizza il rischio in una lavorazione già esistente;
In qualità di esami complementari alle visite mediche periodiche.
Svantaggi degli indicatori biologici:
Interferenza di variabili non legate all’esposizione (stato fisiologico e di salute, dieta, attività
enzimatiche, età, sesso, gravidanza, farmaci, malattie);
Fattori di esposizione occupazionali (esposizione a più agenti chimici, carico di lavoro, fluttuazioni
dell’intensità dell’esposizione);
Fattori ambientali (inquinamento, attività extraprofessionali);
Fattori metodologici (contaminazione dei campioni, influenza dei metodi analitici).
Vantaggi del monitoraggio biologico:
Costo relativamente contenuto;
Valutazione dell’esposizione globale;
Messa in conto delle variabili di assorbimento;
Messa in conto dei DPI.
Fattori limitanti:
Numero limitato di indicatori disponibili;
Interferenza nella biotrasformazione con altre sostanze non conosciuta;
Non è efficace per sostanze:
o Irritanti a livello del sito di assorbimento;
o Con scarso livello di assorbimento;
o Con azione sensibilizzante, mutagena, cancerogena (senza una precisa relazione
dose/effetto).
Possibile confondi mento con il livello di inquinamento ambientale (le esposizioni lavorative sono
sempre più contenute).
L’eliminazione urinaria dei tossici avviene per:
Filtrati e riassorbiti a livello tubulare secondo gradiente trans-tubulare (ad esempio, metalli);
Secreti e riassorbiti per diffusione semplice a seconda del pH urinario (ad esempio, acidi e basi);
Secreti per trasporto attivo o diffusione facilitata (ad esempio, per legame con altre sostanze o per
gradiente semplice);
Metabolismo delle cellule renali.
L’eliminazione urinaria dipende da:
Portata ematica (massa corporea, sforzo muscolare, riposo, stress termici);
Portata plasmatica (ematocrito);
Ritorno venoso;
Presenza di sostanze competitive;
Carico di acidi e basi;
Metabolismo cellulare (attivazioni metaboliche, effetti tossici).
I risultati devono essere il più possibile standardizzati. In passato si standardizzava in base al peso specifico
delle urine (di solito si considera 1020 o 1024); attualmente si standardizza per la creatinina, una molecola
endogena eliminata con le urine, che riflette il volume di liquido filtrato. Più complicato è il calcolo del
flusso escretorio.
Il monitoraggio biologico su sangue si effettua per:
Sostanze tal quali (libere o legate a macromolecole);
Metaboliti;
Addotti molecolari (DNA, emoglobina, albumina, proteine plasmatiche) nel monitoraggio di
sostanze genotossiche (sono indice di esposizioni prolungate pregresse).
Il monitoraggio può essere effettuato su:
Siero;
Eritrociti;
Sangue intero;
Su sangue:
Venoso (preferito);
Arterioso (più difficile da acquisire);
Capillare (facilmente contaminabile, in grado di rilasciare sostanze volatili).
Il monitoraggio viene effettuato:
Durante l’esposizione (esposizione corrente);
Subito dopo l’esposizione (ad esempio, espressione dell’eliminazione polmonare);
Dopo poche ore dal termine dell’esposizione (ad esempio, espressione dell’eliminazione renale);
Dopo parecchie ore dalla fine dell’esposizione: espressione dell’inquinamento biologico residuo.
Possono incidere: dieta, funzionalità renale,…
Il monitoraggio biologico dell’aria espirata si effettua tramite l’eliminazione respiratoria dal 3 al 95% della
quantità d’aria inalata ed è prevalentemente effettuato per le sostanze poco metabolizzate. Il prelievo è
effettuato durante l’esposizione o dopo un tempo variabile.
Caratteristiche del monitoraggio dell’aria espirata:
Poco invasivo;
Ideale per basse concentrazioni;
Difficoltà di standardizzazione della metodica:
o Variabilità individuale;
o Fluttuazioni dell’esposizione;
o Esposizioni ripetute;
o Tipi di manovra.
Sampling time raccomandato:
Esposizione della giornata (sostanze con emivita da 2 a 10 ore): il campionamento viene effettuato
a termine turno lavorativo;
Esposizione dei giorni precedenti (sostanze con emivita da 10 a 100 ore): il campionamento viene
effettuato al termine della settimana lavorativa.
Minore è l’emivita, maggiore deve essere il numero di campionamenti.
Il monitoraggio ambientale
Per tutelare la salute del lavoratore si effettua:
Monitoraggio ambientale
Monitoraggio biologico
Sorveglianza sanitaria
Il monitoraggio biologico, che è una misura dell’esposizione, non è strettamente legato alla sorveglianza
sanitaria, che è una misura degli effetti dell’esposizione. Ciò che emerge dal monitoraggio biologico non è
un dato sanitario.
Il monitoraggio ambientale è gestito direttamente dall’RSPP. Per monitoraggio si intende ogni forma di
indagine ricorrente e sistematica, di natura biologica e patologica. È una sorveglianza sistematica dei rischi
ai quali i lavoratori sono sottoposti. Non si valutano soltanto sostanze chimiche o polveri o fibre, ma anche
fattori di rischio fisici (ad esempio, il LEX, livello di esposizione giornaliera, per il rumore). Permette di
effettuare la valutazione dell’esposizione utilizzando appropriati limiti di riferimento. L’ACGIH utilizza come
limiti di riferimento il TLV (TWA, STEL e CEILING ) e i BEIs.
Le finalità del monitoraggio ambientale:
Verifica delle condizioni di inquinamento dell’ambiente di lavoro e rapporto con i limiti di
riferimento.
o Superamento del TLV: inaccettabile
o Superamento del 50% del TLV: necessità di miglioramento
o Non raggiungimento del 10% del TLV: situazione sotto controllo
Correlazione fra la concentrazione degli inquinanti nell’ambiente e la dose nei fluidi biologici.
Valutazione dell’efficacia di eventuali misure di bonifica.
Archiviazione di dati ambientali.
Istituzione di un libretto di rischio per ciascun lavoratore.
Controllo delle sorgenti di emissione.
Misurazione oggettiva e standardizzabile.
Facilità di interpretazione.
Limiti del monitoraggio ambientale:
Valutazione della sola via inalatoria.
Possibilità che non rifletta la dose totale assorbita.
Informazioni per soli brevi periodi di tempo.
Impossibilità di tenere conto di suscettibilità individuali, delle diverse mansioni,…
Impossibilità di integrare attività extralavorative.
Bisogna tenere conto delle schede di sicurezza, che però non sono sufficienti, poiché non tengono conto dei
prodotti intermedi che si sviluppano.
Vi sono tutta una serie di norme (UNI, EN ed ISO) che regolano il monitoraggio ambientale.
Parametri da definire:
Flusso volumetrico;
Durata del prelievo;
Volume d’aria campionata.
La durata del campionamento varia in base a:
Tipo di inquinante;
Campionamento
Prelievo diretto (es. Miran) Breve durata
Prelievo indiretto (strumento che si lascia permeare)
Lunga durata (es. intero turno)
Concentrazione presunta dell’inquinante;
Tipo di substrato utilizzato;
Metodica analitica impiegata per l’analisi.
I campionamenti di area sono fissi a circa 15 metri d’altezza.
Permettono di individuare le mansioni a rischio, ma non
l’esposizione degli addetti. Il campionamento personale permette
di valutare l’esposizione del singolo lavoratore.
Il substrato trattiene e concentra le sostanze inquinanti. Deve
essere scelto in base alle proprietà chimico-fisiche della sostanza da
monitorare.
Il campionatore deve essere tarato. È necessario misurare, quindi, il flusso tramite un flussimetro (primario
o secondario).
L’ACGIH indica come skin quelle sostanze che possono essere assorbite tramite la pelle.
L’ACGIH segnala i dati rivisti rispetto all’edizione precedente con (Intended Changes).
I BEIs sono molto meno dei TLV. L’ACGIH suggerisce quando deve essere eseguito il prelievo (a seconda
dell’emivita della sostanza da monitorare).
Le principali tecniche analitiche sono:
Cromatografia
o Gascromatrografia
o Cromatografia liquida
Spettrofotometria
Assorbimento atomico
Per quanto riguarda il particellato aerodisperso (polveri e fibre) l’approccio per il monitoraggio ambientale
è lo stesso che per le sostanze chimiche.
Le polveri si suddividono in
Polveri inalabili: diametro minore di 100 μm
Frazione toracica: diametro inferiore di 10 μm
Frazione respirabile: diametro inferiore di 5 μm
NB: in medicina del lavoro non si parla di PM.
Campionamento ambientale
Personale
Di area
Corpuscolato
Polveri
Fumi
Nebbie
Aerosol
Smog
Polveri
Inerti (o pneumoconiogene):
agiscono per accumulo
Nocive (o slerogene): la lesione progredisce
anche dopo la cessazione dell'esposizione
Negli ambienti di vita il più pericoloso è il PM 2,5.
La determinazione delle polveri aerodisperse viene effettuato tramite:
Conteggio con il microscopio (con filtro diafanizzato);
Espressione della massa (
).
Le fibre hanno determinate caratteristiche:
Diametro inferiore a 3 μm;
Lunghezza maggiore di 5 μm;
Rapporto
Il monitoraggio ambientale delle fibre è effettuato efficacemente con il microscopio ottico a contrasto di
fase (MOCF), con la spettrofotometria e la diffrattometria.
Gli idrocarburi clorurati
Gli idrocarburi clorurati sono usati:
• Per la pulitura a secco di tessuti e pelli (tricloro e percloro);
• Nello sgrassaggio pezzi metallici (preparazione cromatura, saldatura,verniciatura);
• Per la verniciatura (tricloro , percloro) e come svernicianti (cloruro di metilene);
• Nell’estrazione di sostanze (cloruro di metilene, cloroformio, tricloroetilene, dicloroetano);
• Come solventi per resine naturali e sintetiche e per catrami;
• Nell’industria della gomma;
• Nell’industria della seta artificiale;
• Come prodotti intermedi dell’industria chimica;
• Come disinfestanti, pesticidi , fungicidi (CCl4, dicloroetano);
• Come estintori di fiamma (CCl4);
• Come liquidi refrigeranti (Cloruro di metilene, cloruro di etile);
• Come propellenti per aerosol (Freons).
L’intossicazione acuta da tricloroetilene (o trielina) dà sintomi come senso di ebbrezza,
cefalea, vertigini, sudorazione, confusione mentale, polso frequente, talora aritmia, epatopatia e
nefropatia. L’intossicazione cronica dà disturbi gastrointestinali, neurovegetativi e visivi, tremori, polineuriti
(soprattutto al nervo trigemino) e sonnolenza al termine del lavoro.
I principali idrocarburi aromatici sono:
Benzene
Toluene
Xilene
Etilbenzene
Stirene (o vinilbenzene)
Il benzene ha un’azione mielotossica. Infatti induce:
Scarsa produzione di cellule ematiche (emocitopenie aplastiche da
iporigenerazione);
Difetto di maturazione delle cellule ematiche (emocitopenie aplastiche da
inibizione);
Blocco di immissione delle cellule mature nel sangue periferico (dissociazione
ematomidollare);
Atrofia mieloide o mielosi aplastica globale o leucemia mieloide acuta.
La L. 245/63 stabiliva la limitazione dell’impiego del benzolo e dei suoi omologhi nell’attività lavorative. Il
benzene ammesso era massimo l’1%. Con il DM 707/96 il limite scendeva allo 0,1% (ciò non valeva però per
i carburanti e per le sostanze usate ai fini di ricerca). Con il D. Lgs. 66/00 il valore limite per l’esposizione
professionale viene attestato a 1 ppm.
Il 40% del benzene a cui si è esposti viene eliminato come tale con l’aria espirata.
Le principali vie metaboliche che può intraprendere sono:
• La via fenolica è quella più
rappresentata (40%). I
metaboliti finali sono fenolo,
catecolo, idrochinone e 1,2,4-
triidrossibenzene. Questa via
non in grado di evidenziare
esposizioni inferiori a 6-10
ppm.
• La via glutationica è un valido
mezzo per il monitoraggio
biologico anche per esposti a
concentrazione di benzene
minore di 1 ppm. Il metabolita
è l’N-acetil-S-fenilcisteina (o
acido fenilmercapturico)
• La via dell’acido trans-trans muconico riguarda solo il 2% del benzene ma vi è significativa
correlazione anche a livelli di 0,5 ppm.
I BEIs per i principali solventi aromatici sono:
• Benzene
o Acido fenilmercapturico urinario FT: 25µg/g creatinina [B];
o Acido t,t-muconico urinario FT: 500 µg/g creatinina [B];
• Toluene
o o-Cresolo urinario FT: 0,3 mg/L [B];
o Toluene urinario FT: 0,03 mg/L;
o Toluene sangue venoso prima dell’ultimo turno della settimana: 0,02 mg/L;
• Xileni
o Acido metilippurico urinario FT: 1,5 g/g creatinina;
• Stirene
o Ac. Mandelico + Ac. fenilgliossilico urinaio FT: 400 mg/g creatinina [Ns];
o Stirene nel sangue venoso FT: 0,2 mg/L [Sq] ;
• Etilbenzene
o Ac. Mandelico+Ac.fenilgliossilico urinaio FT fine settimana: 0.7 g/g creatinina [Ns, Sq];
o Etilbenzene nell’aria espirata – [Sq].
Dove *Sq+ significa “semiquantitativa” e *Ns+ “Non specific”.
In base ai risultati, si stabilisce la frequenza dei controlli:
• Annuale:
o Tutti i valori entro i limiti di non intervento;
o Valori superiori al massimo del 5% rispetto ai limiti di non intervento;
• Semestrale:
o Valori superiori di un intervallo compreso fra il 5 e il 20% rispetto ai limiti di non intervento;
• Trimestrale:
o Valori eccedenti del 20% i limiti di non intervento.
L’esposizione ai metalli: il piombo
L’esposizione lavorativa al piombo veniva già presa in considerazione dal DPR 303/56, dal DM 18/04/73, dal
DPR 336/94 e dal D. Lgs. 277/91, abrogati poi dal D. Lgs. 25/02.
Le manifestazioni tossiche del piombo sono dovute al piombo circolante allo stato ionico. Il piombo agisce:
Inibendo enzimi;
Producendo spasmo della muscolatura liscia;
Provocando lisi delle emazie circolanti;
Con azione neurotossica.
Il piombo va ad inibire l’ALAdeidrasi SH, necessario per la sintesi dell’emoglobina.
Le principali fasi del saturnismo professionale sono:
Abnorme impregnazione: nessuna manifestazione clinica;
Saturnismo florido: sintomi acuti;
o Colica addominale (anche da colpi porfirinici);
o Orletto di Burton (da solfuri di piombo);
o Anemia di medio grado (emolitica e mielotossica);
o Paralisi del nervo radiale;
o Encefalopatia.
Saturnismo cronico: lentamente evolutivo.
o Gastroduodenite con turbe dispeptiche;
o Colite con irregolarità dell’alvo;
o Anemia iporigenerativa;
o Ipertensione arteriosa;
o Insufficienza renale;
o Arteriosclerosi (encefalopatia).
Il D. Lgs. 25/02 stabilisce che i valori limite di esposizione siano di 150 μg/m3 nell’aria e di 60 μg/100 ml nel
sangue (40 μg/100 ml per le donne in gravidanza).
I gas anestetici
Il 10% degli addetti alla sanità in sala operatoria sono esposti ai gas anestetici. Ciò equivale a
50.000/60.000 operatori fra chirurghi, anestesisti, ferristi e infermieri da sala. Fino al 1970 i gas a cui si era
maggiormente esposti erano il cloroformio e l’etere. Fino agli Anni ’80 le concentrazioni potevano superare
anche di sette o otto volte i limiti di legge.
I principali gas anestetici sono:
Protossido d’azoto (N2O);
Isofluorano (o forano);
Alotano (o fluotano);
Metossifluorano;
Enfluorano (o etrano).
I principali rischi per i gas anestetici sono rappresentati da:
Perdite dall’apparecchiatura per anestesia e dal circuito;
Perdite dai raccordi, dai tubi, dalle maschere;
Scorretta installazione;
Insufficiente manutenzione;
Inadeguatezza dei sistemi di ventilazione.
I principali effetti sono:
Epatotossicità (alotano);
Nefrotossicità (metossifluorano, usato in anestesia veterinaria);
Mielotossicità: depressione midollare e anemia aplastica (N2O negli Anni ‘50);
Aborto (N2O, gli studi sono però discutibili);
Malformazioni fetali (effetto dubbio);
Cancerogenicità: linfomi e leucemie (secondo la IARC l’evidenza è inadeguata);
Effetti sul SNC (modificazioni vigilanza e performance, cefalea, astenia, sonnolenza);
Effetti sul SNP (neuropatie periferiche da deficit di vitamina B12, per esposizione ad alte
concentrazioni).
L’uso dei gas anestetici è stato regolamentato dalla CM 5/89 e dalla Circolare Applicativa della Regione
Piemonte del 27/08/1990. Il TLV per il protossido d’azoto è stato quindi fissato a 50 ppm (100 ppm per le
sale operatorie già esistenti). I valori limite per il monitoraggio biologico sono stati così fissati:
Protossido d’azoto: 27µg/l nelle urine dopo 4 ore di esposizione (55 µg/l per le sale operatorie già
esistenti);
Forano: 3,4 µg/l nelle urine a fine turno;
Alotano: 0,5 µg/l come tale nell’aria espirata a fine turno;
Ac. trifluoroacetico (un metabolita dell’alotano): 1,5 mg/l a fine turno della fine della settimana.
La prevenzione prevede:
Corretta installazione delle apparecchiature nella realizzazione delle sale operatorie;
Manutenzione delle apparecchiature e degli impianti di ventilazione;
Verifica periodica dell’esposizione (controlli ambientali e monitoraggio biologico);
Allontanamento dall’esposizione delle lavoratrici gravide (già prassi abituale).
La miglior prevenzione rimane comunque l’uso di un anestetico meno tossico, come il Savorane
(1,1,1,3,3,3-esafluoro-2-(fluorometossi)propano o meti-
isopropileterefluorurato), utilizzato in miscela N2O o O2 in
sostituzione del forano. Viene determinato come tale nell’aria
espirata e nell’ambiente. Il principale metabolita è
l’esafluoroisopropanolo (HFIP), ricercato nelle urine. La quota
metabolizzata è il 5%.
Le principali caratteristiche del Savorane sono:
Rapida inducibilità;
Rapido mantenimento;
Rapido risveglio;
Chimicamente stabile;
Bassa tossicità.
In sala operatoria la concentrazione del gas anestetico aerodisperso Sevorano viene misurata ponendo i
campionatori a livello delle vie respiratorie del personale di sala e in prossimità dell’apparecchio di
anestesia. Il campionamento attivo può essere effettuato mediante la pompa aspirante PAS-500. Il
campionamento passivo può essere effettuato mediante il campionatore a diffusione RADIELLO. La lettura
immediata della concentrazione del Sevorano aerodisperso può essere effettuata con il rivelatore
spettrofotometrico infrarosso MIRAN.
Per quanto riguarda il monitoraggio biologico i campioni di urina vengono raccolti a inizio e fine turno del
personale addetto alla sala. In laboratorio vengono prelevati 500 μl di urina acidificati con 100 μl di acido
solforico concentrato e posti in un vial da 10 ml per spazio di testa per favorire l’ idrolisi e liberare
l’esafluoroisopropanolo (HFIP). L’idrolisi avviene a 90°C per 24h. L’analisi viene effettuata con la tecnica
della Gascromatografia HS. I risultati sono normalizzati con la creatinina urinaria.
Ambiente e allergie
Negli Anni ’60 sono state descritte, soprattutto per l’asma degli aumenti nella prevalenza (dal 10 al 40%).
Sono aumentati i soggetti con sensibilizzazione allergica, cioè con una risposta immunitaria anormale verso
sostanze comunemente presenti nell’ambiente. Gli anticorpi tipici delle forme di sensibilizzazione sono le
IgE (o reagine). Un individuo atopico possiede IgE verso alcune sostanze comunemente presenti
nell’ambiente. A Torino circa il 30-40% della popolazione è atopico, ma non tutti questi individui hanno
avuto manifestazioni allergiche. Solo la metà di questi individui è consapevole di avere un’allergia. Anche le
sostanze alimentari possono dare
orticarie, edema della glottide
fino a shock anafilattico. È
aumentato quindi il numero dei
sensibilizzati o il numero di coloro
che manifestano il quadro clinico?
Le sensibilizzazioni sono
aumentate indifferentemente
negli adulti i nei bambini? Si
registra un aumento nei nati negli
Anni ’60. È aumentata la capacità
di reagire a queste
manifestazioni: aumentano i primi
ricoveri, ma diminuiscono i
ricoveri successivi. Si prevengono quindi le manifestazioni cliniche. Evitando manifestazioni importanti,
rimane comunque una minima memoria immunitaria. La sensibilizzazione è data dall’interazione tra
predisposizione genetica, allergeni e fattori specifici. L’aumento delle allergie degli ultimi 40 anni non è
attribuibile solo alla predisposizione genetica: in così poco tempo non può essere cambiato il pool genetico
della popolazione. I fattori adiuvanti ambientali aspecifici non comprendono solo l’inquinamento
atmosferico: possiamo definirli meglio con l’espressione “stile di vita”, che comprende un concetto più
ampio. L’inquinamento può essere responsabile di fenomeni di insulti respiratori (noti già nel 1651 a
Londra). Le concentrazione medie degli inquinanti atmosferici negli Anni ’60-’70 fecero descrivere un
aumento della morbilità e della mortalità per bronchite cronica ed enfisema. Per l’asma i dati sono meno
chiari.
Gli inquinanti outdoor hanno:
Azione diretta: iperresponsività bronchiale aspecifica (aria fredda, acqua distillata, istamina,
metacolina);
Azione adiuvante sulla sintesi di IgE negli atopici;
Azione infiammatoria facilitante la penetrazione degli allergeni (alterazione della permeabilità
delle barriere mucose).
Nell’inquinamento ambientale sono presenti principalmente SO2 (combustione dei carburanti), O3
(inquinamento fotochimico), NO2 (combustione di combustibili fossili) e polveri. L’inquinamento fa
aumentare il numero dei sensibilizzati e l’estrinsecazione dei sintomi. Tuttavia, ciò non è scientificamente
provato.
Interazione
Predisposizione genetica
AllergeniFattori aspecifici
Un caso particolare di effetto dell’inquinamento sulla salute della popolazione è dato dalla Germania: la
Germania Ovest è più sottoposta ad asma, rinite, allergie ed atopie, mentre la Germania Est è più
sottoposta a affezioni infettive. Questa differenza era molto evidente nei primi anni successivi alla caduta
del Muro di Berlino.
Anche l’ambiente interno è fonte di inquinamento.
Combustioni domestiche: la fiamma libera delle cucine a gas produce NO2, così come i riscaldatori
portatili; il caminetto produce SO2.
I mobili, i tappeti e il letto sono un rifugio per gli acari, che per sopravvivere hanno bisogno di un
substrato organico, umidità e pelle morta. Mobili in truciolato e laminato plastico rilasciano VOCs e
formaldeide (sono una delle cause della sindrome dell’edificio malato).
Gli animali domestici, come cani, gatti e uccelli, sono causa di allergie, soprattutto per i derivati
dermici.
Le attività umane che prevedono l’uso di colle, solventi e vernici possono generare formaldeide,
così come il fumo di tabacco.
L’inquinamento outdoor può rimanere intrappolato negli ambienti interni. Esistono dei limiti di
riferimento per alcune sostanze (benzo(a)pirene: 1
; benzene: 5
).
Nella stanza da bagno si possono creare muffe.
In cantina possono essere presenti muffe, escrementi di scarafaggio o di gatto.
La coibentazione in amianto è una fonte di inquinamento.
Tra i fattori adiuvanti troviamo:
Un isolamento più efficiente, per un maggior risparmio energetico, trattiene l’inquinamento.
Inquinanti
Primari (emessi come tali nell'atmosfera)
Secondari (si formano in atmosfera ad opera di processi chimici e fisici)
Inquinanti
Di tipo I: agenti presenti outdoor, tipici di Paesi con economia meno progredita
Di tipo II: sia outdoor sia indoor, tipici del mondo Occidentale
Inquinanti
Riducenti (di tipo Londinese)
Ossidanti o fotochimici
Ambienti di vita più grandi e famiglie meno numerose (e quindi un minor affollamento abitativo)
faciliterebbero l’insorgenza di allergie.
Rispetto alle allergie respiratorie, è più chiara l’evidenza del fumo passivo che del fumo attivo. Sono più
facilmente allergici i bambini figli di fumatori. Conta più che altro il fumo materno e la relazione esisterebbe
solo per l’asma (e non la sensibilizzazione allergica, la rinite allergica o da contatto). Conta poi
l’alimentazione: si è diffuso il consumo di cibi non tipici (mango, papaya, arachidi aumentano il numero di
allergeni disponibili) e di cibi contenenti additivi (coloranti e conservanti). Alcuni additivi sono
chimicamente simili all’aspirina, che può dare manifestazioni asmatiche (ad esempio, la tartrazina). I cibi
sono sempre meno freschi e più conservati, con conseguente riduzione dell’assunzione di vitamine A, C ed
E e selenio (antiossidanti protettori delle membrane). È aumentato poi il consumo di sale, che aumenta la
responsività bronchiale. Un altro additivo e la soia. Il glutammato è una causa frequente di allergia.
Importante è l’alimentazione dei lattanti: è meglio evitare nei primi mesi cibi ad alto potere allergizzante
(pesce, noci, semi, latte artificiale). Gli stessi alimenti non dovrebbero essere consumati dalla madre che
allatta al seno. È discusso poi il ruolo delle infezioni infantili. I virus respiratori favoriscono l’asma ma le
infezioni batteriche potrebbero avere un ruolo protettivo. In una famiglia poco numerosa vi sono meno
infezioni. È ridotta la frequentazione di asilo nido; sono aumentate le vaccinazioni; si sono diffusi gli
antibiotici. Sembra poi esserci una correlazione con le infezioni parassitarie. La vita in un’azienda agricola
sembra diminuire la possibilità di allergia (ad esempio, per il consumo di latte non pastorizzato e il contatto
con gli animali). L’aumento di numero degli allergeni disponibili è un fattore importante: sono aumentati
gli allergici all’Ambrosia, finora poco frequente in Italia (avendo attecchito soprattutto vicino ai grandi
aeroporti, si pensa sia stata portata tramite i voli dagli USA). Lo stesso fenomeno è avvenuto in Ungheria.
L’isolamento degli ambienti indoor ha portato all’aumento degli acari.
Confrontando i dati epidemiologici del 1995 e del 1981:
Aumento delle asme (associate o no a riniti);
Aumento dei polisensibilizzati;
Aumento delle sensibilizzazioni verso allergeni indoor (ad esempio, acari).
Le malattie allergiche, soprattutto atopiche, sembrano effettivamente aumentate, in particolare l’asma in
età infantile e giovanile. È verosimile che ciò sia dovuto a cambiamenti dello stile di vita ma non è chiaro
quali siano i fattori specifici responsabili. Non vi è quindi ancora alcuna certezza sulla patogenesi.
Le allergopatie professionali
Le allergopatie professionali condividono alcune caratteristiche con le allergopatie non professionali:
Necessitano di un periodo di latenza fra esposizione e comparsa dei sintomi;
Hanno perlopiù una bassa prevalenza fra gli esposti;
Necessitano di fattori individuali predisponenti;
La relazione dose/risposta non è chiara (è perlopiù una reazione del tutto o del nulla; la risposta
aumenta al perdurare dell’esposizione);
La risposta al sensibilizzante è altamente specifica (a volte si ha cross-reaction, come nel caso della
mela e del polline di betulla o del lattice con il mango, la banana, il peperone e la castagna, a causa
delle componenti proteiche simili).
La predisposizione è importante, ma non da sopravvalutare: la sensibilizzazione è tanto più frequente e
possibile quanto più l’individuo è esposto. È importante quindi la prevenzione ambientale. Alcune
sensibilizzazioni professionali sono più frequenti negli atopici, ma non solo gli atopici diventano allergici.
L’asma è una malattia caratterizzata da crisi. È una malattia infiammatoria cronica, dove sono coinvolti
mastociti ed eosinofili. Provoca una diffusa ostruzione delle vie aeree, reversibile. È associata ad
un’aumentata responsività delle vie aeree. L’asma professionale è causata da agenti lavorativi specifici. La
clinica è la stessa dell’asma non professionale. Vi è poi l’asma aggravata dal lavoro: è un’asma non
professionale stimolata in ambiente lavorativo da agenti irritanti (e non sensibilizzanti).
Vi sono due tipi di asma professionale:
Con periodo di latenza: è il tipo più comune, con una patogenesi immunologica. Dopo la
sensibilizzazione basta un’esposizione minima per avere una crisi.
RADS (senza periodo di latenza): la patogenesi è irritativa e l’esposizione deve essere massiva. Una
volta guarita, con una bassa esposizione non si manifesta nuovamente (un esempio è stato quello
dei Vigili del Fuoco di New York dopo l’attentato dell’11 Settembre 2000). Il quadro clinico è a tutti
gli effetti quello di un’asma. È più vicino ad un infortunio che ad una malattia professionale.
Le asme professionali sono dovute ad un meccanismo di tipo immunologico, cioè reazioni allergiche di tipo
I secondo Gell e Coombs, che scatenano l’anafilassi. Possono essere dovute anche a ingestione di alimenti,
farmaci e punture di imenotteri. È un meccanismo IgE-mediato, dovuto a macromolecole organiche. È
stato ipotizzato che questo meccanismo possa essere alla base di asme anche per sostanze chimiche
semplici: è però difficilmente dimostrabile, mentre per le macromolecole organiche posso usare il Prick test
cutaneo o il Rast test sierologico. Il Rast test è basato sul legame allergene/IgE/anti-IgE. Posso usare anche
l’ELISA. La positività indica sensibilizzazione. Alcune asme di tipo I non sono IgE-mediate (anche se la
cascata di eventi è la stessa). Questo avviene per alcune sostanze chimiche, che scatenano la produzione di
IL5 e IFγ (ad esempio, gli isocianati).
Sostanzialmente, non vi è alcuna differenza fra asma professionale e asma non professionale. L’asma
professionale è preceduta da rinite, che è considerata un evento sentinella. Vi è poi il fenomeno di arresto
e ripresa, cioè il peggioramento in settimana seguito da un miglioramento nel week end o in vacanza.
Questo fenomeno può essere usato come test. L’asma non sempre insorge proprio durante le ore di lavoro:
può avere un effetto immediato, tipico per le macromolecole organiche, o ritardato. Spesso non si
manifesta con il wheezing ma con una tosse secca persistente e un senso di oppressione al torace. Sono
circa 450 gli agenti asmogeni professionali.
Gli allergeni animali sono molto potenti. Nell’ambito vegetale molti semi sono in grado di dare asma (ad
esempio, il caffè verde e il ricino). Il ricino è anche irritante. Ricino e soia hanno dato “epidemie” di asma
nelle città dei porti dove vengono scaricati, come Marsiglia e Napoli. Altre sostanze sono il luppolo,
l’ipecacuana, la paprika e l’henné. Tra le piante troviamo il Ficus benjamina, che è una “parente chimica”
della pianta da cui si ricava il lattice. Anche i funghi possono dare allergie (Aspergillus e Cladosporium, ad
esempio).
Tra le sostanze a basso peso molecolare in grado di dare allergia troviamo:
Metalli: cromo, cobalto, nichel (sono in grado di dare anche dermatiti da contatto, che sono delle
reazioni di IV tipo);
Farmaci: antibiotici (ampicillina, cefalosporina e loro intermedi);
Sterilizzanti (euclorina);
Coloranti (soprattutto coloranti reattivi);
Isocianati;
Ammine;
Agenti asmogeni
Ad alto peso molecolare
Animali
Vegetali
A basso peso molecolare
Anidridi;
Colofonia (è una resina del pino, antiossidante, protegge la saldatura dello stagno);
Persolfati (sono sostanze usate per fare i colpi di sole e per schiarire i capelli);
Formaldeide.
Alcuni degli allergeni più comuni:
Animali da laboratorio: è un’allergia che colpisce dal 15 al 45% degli esposti. Gli allergeni sono
proteine urinarie e salivari. La principale via di dispersione è la lettiera e in secondo luogo le
forfore. Per molte specie sono state individuate le proteine specifiche. Bastano livelli minimi di
allergene (
). L’atopia è un fattore predisponente. Il periodo critico sono soprattutto i primi
due anni di esposizione. I fattori di rischio sono il tipo di lettiera e il numero di animali. La
prevenzione è difficile.
Farine: sono una delle cause più frequenti. Gli allergeni sono le proteine del grano e i miglioranti. I
livelli efficaci sono
(tranne per le amilasi). L’atopia è predisponente. Vi sono casi di cross-
reaction con altre farine e graminacee. Il periodo di latenza è più lungo rispetto agli allergeni
animali.
Polveri di cereali: i principali allergeni sono miceti, endotossine ed acari. Oltre ad asma e rinite
danno alveolite allergica estrinseca, BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e febbre degli
insilatori. Sono in grado di dare asma nelle popolazioni non direttamente esposte.
Polvere di legno: è stata identificata per la prima volta in Canada a causa delle polveri di cedro
rosso. L’allergene è stato identificato nell’acido plicatico, anche se non è stata dimostrata la IgE-
mediazione. L’atopia non è predisponente. Altri agenti sono le vernici, contenenti isocianati, e le
resine, contenenti formaldeide.
Lattice: gli allergeni sono di tipo proteico. Sono in netto aumento le diagnosi per l’aumentato uso di
guanti e profilattici, per la minore qualità dei manufatti in lattice (con una buona lavorazione è
possibile lavare via le proteine), per la sostituzione del talco come lubrificante con amido di mais,
più volatile e più assorbente, e quindi in grado di trattenere meglio le proteine del lattice. L’allergia
al lattice è spesso associata ad orticaria e oculo-rinite. È un rischio non solo professionale, ma della
vita quotidiana (ad esempio, in caso di ospedalizzazione). L’allergia al lattice sottopone al rischio di
shock anafilattico. La cross-reattività è estesa, con manifestazioni locali o generali, con kiwi,
peperoni, castagne e banane.
Gli isocianati sono una delle principali cause di asma professionale anche se ora sono in netta
diminuzione. Sono uno dei componenti delle resine poliuretaniche. Sono usati nell’industria
dell’autoveicolo e del mobile. Hanno diverse capacità sensibilizzanti. La prepolimerizzazione è una
delle cause della diminuzione delle allergie. L’atopia non è predisponente.
È difficile dare dei dati realistici di incidenza e prevalenza delle asme professionali. Non sempre sono
distinte asme professionali e asme aggravate. Vi sono poi differenze tra i vari Paesi e tra le varie realtà
produttive (diversi sistemi di rilevazione). Negli studi trasversali vi è poi l’effetto “lavoratore sano”
(solitamente la popolazione di lavoratori è selezionata fra individui sani: le persone malate vengono
tendenzialmente escluse dall’attività occupazionale) che fa sì che il fenomeno venga sottostimato. Dal 2 al
15% delle asme negli adulti dono di tipo professionale. Negli USA il dato si attesta intorno al 2-6%. L’asma è
superata nel 1999 dalla pleuropatia benigna per l’aumento della sorveglianza sugli ex-esposti ad amianto.
L’asma rimane una delle più comuni malattie professionali a carico dell’apparato respiratorio. Secondo i
dati INAIL nel quinquennio 1995-99 le asme ed alveoliti sono il 2% delle malattie professionali (non è
considerato il settore agricoltura). Le pneumoconiosi sono il 12%. Questa differenza può essere dovuta ad
un eccesso/carenza di diagnosi, all’effetto “lavoratore sano” e alla possibile regressione delle asme.
Secondo i dati del CTO di Torino, le diagnosi positive sono per la maggior parte per gli isocianati fino alla
metà degli anni ’90, poi scompaiono. Progredisce invece il lattice. Costituiscono una frazione significativa
anche le farine e i persolfati.
Bisogna distinguere fra dose sensibilizzante e dose scatenante: non si può rinunciare alla prevenzione
primaria. Bisogna poi chiarire il ruolo dei picchi e dell’esposizione cumulativa. Ci si chiedi poi se vi è un
valore di non effetto. Gli asmogeni possono avere un TLV? Gli isocianati hanno un TLV, poiché per essi
valgono molto i picchi. I TLV degli isocianati, negli ultimi tempi, sono stati abbattuti anche di 100 volte.
L’atopia è un fattore di rischio per le sostanze ad alto peso molecolare. Il valore predittivo dell’atopia è
comunque inadeguato. L’iperresponsività bronchiale aspecifica è un fattore predisponente? Non è ancora
ben chiaro il ruolo. Perché è avvenuto il decremento delle asme professionali? Probabilmente è migliorata
la prevenzione primaria e secondaria.
La prognosi di un’asma professionale è condizionata dalla severità delle crisi, dal grado di iperresponsività
bronchiale, dal tipo di asma (la ritardata è peggio) e dalla durata dell’esposizione (la rimozione
dall’esposizione non appena compaiono i sintomi migliora la prognosi, ma deve avvenire entro i 12 mesi).
La sensibilizzazione può diminuire ma non scompare. Il 100% di chi mantiene l’esposizione continua a
manifestare i sintomi; con la cessazione dell’esposizione circa il 40% degli individui non manifesta più i
sintomi. La cessazione dell’esposizione di solito però ha un risvolto sociale: diminuisce la retribuzione.
L’asma professionale sorge in età adulta negli individui in ambiente lavorativo.
La procedura di diagnosi è così articolata:
1. Storia clinica soggettiva (a cura del medico di base e/o del medico competente);
2. Conferma della diagnosi di asma tramite un aerosol broncodilatatore e un misuratore del picco di
flusso aspiratore. Si realizza così un grafico che mostra un miglioramento nel week end o nei
periodi di mutua.
3. Conferma della correlazione fra asma ed esposizione professionale;
4. Dimostrazione della sensibilizzazione ad un agente professionale;
5. Conferma del ruolo dell’agente professionale tramite un test di provocazione bronchiale specifico,
il Gold Standard, che però presenta dei problemi di standardizzazione e può dare falsi negativi. Di
solito il test dura 30 minuti e si misura la funzionalità respiratoria prima e dopo. Se il dubbio è forte
e la prova breve è negativa si aumenta l’esposizione. Non sono sempre necessari questi test.
La conferma di una RADS invece prevede:
1. Anamnesi: asma insorto dopo un incidente;
2. Test di funzionalità respiratoria.
Le procedure devono essere intraprese tempestivamente.
L’unica vera terapia per un’asma professionale è l’allontanamento dalla causa delle manifestazioni
asmatiche.
L’amianto in Piemonte
L’amianto è un minerale a struttura fibrosa, molto
usato dal Dopoguerra.
Tremolite, antofillite e actinolite sono varianti non
commerciali, contaminanti delle altre varianti.
Il crisotilo ha una conformazione più circonvoluta.
Le fibre hanno una lunghezza paria a tre volte il
diametro. Il cristallo può scindersi in ulteriori fibrille
longitudinali.
Amianto
Serpentino Crisotilo
Anfiboli
Crocidolite
Amosite
Antofillite
Tremolite
Actinolite
Le fibre di amianto si distinguono dalle fibre artificiali (MMF) per la bioresistenza.
L’amianto, a fronte di un basso costo, ha tutta una serie di qualità: resistenza meccanica, flessibilità,
resistenza al calore, resistenza elettrica, resistenza chimica, capacità di isolamento termico.
Nel 1977 i maggiori produttori di amianto erano URSS, Canada e Sud Africa. In Italia si trovava l’unica
miniera attiva dell’Europa dell’Ovest, quella di Balangero. In Piemonte si è quindi concentrata l’attività
industriale relativa all’amianto. In Italia, dal 1992, non si produce più amianto e non lo si utilizza più. È
autorizzata solo la rimozione. Molti Paesi, come la Cina, continuano a produrlo e a commercializzarlo.
Il problema dell’amianto sono le fibre respirabili che arrivano agli alveoli polmonari. Le fibre trovano
scarsa difesa dell’organismo, determinando un danno. Le fibre possono poi migrare alla pleura.
Tra gli effetti dell’amianto:
Asbestosi;
Fibrosi polmonare;
Tumore al polmone;
Mesotelioma.
Il primo passo nella prevenzione delle malattie da amianto è stato la diminuzione del TWA (time-weighed
average), cioè la concentrazione media ponderata sulle otto ore lavorative. I TWA dovevano garantire di
non ammalare. Si è quindi passati da 30 fibre/cm3 (quindi 30.000 fibre/l) a 12, poi a 5, 2, 0,3 e infine a 0,1
per chi opera la bonifica da amianto. Questa diminuzione è avvenuta anche per la consapevolezza dello
sviluppo di altre patologie, come i tumori. Non si può stabilire con precisione un valore limite diverso da
zero per un cancerogeno. Sicuramente, con valori inferiori a 2 fibre/cm3 l’asbestosi non si verifica, poiché
l’asbestosi è una malattia dose-dipendente. Il tumore al polmone si verifica molto in persone con asbestosi.
Il mesotelioma non si può eliminare con valori soglia diversi da zero.
Nel momento in cui è stato bandito l’amianto, secondo il D. Lgs. 257/2002, i lavoratori con almeno 10 anni
di lavoro a contatto con l’amianto hanno ricevuto 6 mesi di contributi per ogni anno di lavoro.
L’asbestosi è una fibrosi polmonare. Il polmone “cicatrizza” in maniera diffusa e il tessuto aereo è
sostituito da tessuto cicatriziale. La malattia compare a 20/30 anni dall’esposizione. Tra i sintomi si hanno
insufficienza respiratoria e la scarsa capacità di diffusione polmonare. Se le cicatrici sono rotondeggianti,
si tratta di silicosi. I corpuscoli di asbesto sono gli indicatori dell’esposizione. I macrofagi alveolari inglobano
le fibre. L’amianto è tossico per i macrofagi, che muoiono e liberano le fibre. Si attivano poi i fibroblasti che
producono tessuto cicatriziale.
Le placche pleuriche sono alterazioni della pleura, visibili con TAC.
Il tumore al polmone è una patologia frequente. Tra le cause predominanti c’è il fumo di tabacco, ma
un’altra causa è l’esposizione ad amianto. Il RR per l’amianto è 4, ma fumo e amianto hanno effetto
sinergico.
Il mesotelioma è un tumore maligno raro (7 o 8 casi su 1.000.000) che si sviluppa a livello della pleura, ma
anche del peritoneo e del pericardio e della tunica vaginale del testicolo (cioè a livello di tuniche sierose).
Ha una sopravvivenza massima di 18 mesi. Sono nate alcune ipotesi secondo cui vi siano cause diverse
dall’amianto (ad esempio radiazioni ionizzanti o virus, ma quest’ultima ipotesi non è verificata). È
comunque una patologia quasi esclusivamente dovuta all’amianto. Il 70-75% delle anamnesi riconducono
ad esposizione professionale, quindi, per spiegare i restanti casi, o vi sono altre cause, o i livelli di
esposizione sono talmente bassi che non serve un’esposizione professionale. La latenza è in media di 30
anni, minima di 20. Il mesotelioma può essere causato anche dal crisotilo, nonostante la sua conformazione
è la sua minore bioresistenza. L’amianto è un cancerogeno completo (è sia un iniziatore sia un promotore).
A differenza degli altri cancerogeni non viene mai inattivato: per questo sono sufficienti basse dosi.
Dove:
I è l’incidenza del mesotelioma;
K è la potenza cancerogena;
E è l’esposizione media (fb/ml);
β è la potenza dell’effetto del tempo dalla prima esposizione;
t sono gli anni dall’inizio dell’esposizione;
è il tempo minimo di latenza.
La latenza è il parametro più importante.
Dagli Anni ’60 l’incidenza del mesotelioma è cresciuta esponenzialmente. Nonostante il bando, quindi, si
sono comunque verificati casi di mesotelioma. Il problema, attualmente, sono gli ACM (Asbestos Containing
Material), cioè i materiali contenenti almeno l’1% del peso di amianto. Con una concentrazione minore di
20 fb/l si può restituire il locale all’uso; se la concentrazione è misurata con un microscopio a scansione
deve essere minore di 2 fb/l.
Per verificare il deterioramento di un materiale si esegue lo stripping: si fa aderire del nastro adesivo e si
strappa. In laboratorio si esegue poi la conta delle fibre.
La bonifica di un locale o di un immobile può essere eseguita tramite:
Incapsulamento (ad esempio, con vernici particolari che “legano” le fibre): è fattibile se lo stato di
deterioramento non è avanzato o se non ci sono vibrazioni.
Confinamento (ad esempio, con controsoffittature): non è fattibile negli esterni. Se la tenuta non è
perfetta le fibre sono rilasciate.
Rimozione: se non è fatta in maniera adeguata, inquina. Deve essere fatta secondo legge. I locali
bonificati devono essere separati tramite filtri ad alta tenuta. Il materiale di risulta deve essere
inviato a discariche idonee.
Cancerogenesi occupazionale
I tumori possono insorgere anche per dosi minime: sono una patologia dose-indipendente. L’incidenza è
rilevante. Il 4% di tutti i tumori riconoscono un’eziologia professionale (se si considerano 150.000
morti/anno per tumore). Secondo l’INAIL ogni anno vengono denunciati 1.000 nuovi casi. Spesso, i tumori
professionali non vengono riconosciuti per ignoranza. Circa il 90% dei casi, secondo l’INAIL, sono tumori del
polmone, ma viene riconosciuto perlopiù il mesotelioma, un tumore rarissimo. Il 92-93% dei tumori
professionali sono denunciati in relazione all’amianto, soprattutto per la facile identificazione rispetto ad
altri agenti.
La legge madre per la tutela dei professionali è la L. 123/07 per la Tutela della Salute negli Ambienti di
Lavoro. La legge viene applicata tramite il D. Lgs. 81/08.
Un agente cancerogeno è un agente di classe A1 e A2 secondo le Direttive Europee: vengono quindi
considerate le sostanze R45, R49 e anche i mutageni R46. L’evidenza di cancerogenesi è data da varie
agenzie, integrando dati di letteratura e di ricerca. I cancerogeni appartengono a circa 20 famiglie. Questa
lista negli ultimi anni non si è molto accresciuta, poiché non è possibile testare direttamente le sostanze
sull’uomo. Ci si avvale quindi di:
Test di mutagenesi su batteri;
Sperimentazioni su animali;
Indagini epidemiologiche sull’uomo.
In ambito industriale si possono indurre indagini epidemiologiche
retrospettive, con la costituzione di coorti industriali o studi caso-
controllo. Per i tumori non è dimostrabile che ci sia una dose diversa
da zero che non dia effetto. Cancerogeni
Genotossici
Non genotossici
Per un cancerogeno, rischio e pericolo coincidono. Se ho un
cancerogeno in un luogo di lavoro, tutti i lavoratori sono
esposti. Devo quindi inserirli nel Registro degli Esposti e
attivare la sorveglianza sanitaria. Nel 1998 la Conferenza
Stato-Regione aveva attivato un approccio piuttosto
generalistico: tutti i lavoratori dovevano essere inseriti nel
Registro degli Esposti se nell’azienda si acquistano
cancerogeni. Tutti gli IPA contengono cancerogeni, sono
ubiquitari e quindi esiste un limite ambientale, così come per l’amianto. Per i cancerogeni con un limite
ambientale si valuta se nell’ambiente di lavoro le concentrazioni sono contenute nei limiti ambientali: in
questo caso non costituiscono un pericolo. Se non c’è un limite per la popolazione generale o se esiste e lo
si supera entro i limiti del 50% del TLV si può applicare una modulazione della sorveglianza sanitaria.
Nel 1998 era stato avviato un procedimento penale verso la Centrale Termoelettrica di Chivasso (TO), dove
mancava il Registro degli Esposti ad oli combustibili. L’ASL fece una prescrizione per inadempienza
dell’obbligo. Venne quindi chiesto di misurare la concentrazione di IPA nel locali della centrale e nelle varie
zone di Chivasso, di monitorare la frazione volatile e la concentrazione del metabolita urinario (a cura di
UNITO e UNIMI). Si scoprì che le concentrazioni interne erano più basse che negli ambienti esterni. Il
magistrato assolse i responsabili.
Secondo la WHO, per il benzene:
Dove UR è l’Unit Risk, cioè l’aumento di rischio per la vita di contrarre la leucemia per esposizione unitaria,
P0 è il tasso di incidenza per la leucemia, RR è il rischio relativo per la leucemia negli esposti e X è
l’esposizione media degli esposti.
Nella misurazione dei cancerogeni bisogna tener conti della strumentazione. Secondo la SIVR (Società
Italiana Valori di Riferimento) conviene accoppiare al valore ambientale il valore biologico.
La prevenzione si articola in:
Prevenzione primaria: eliminazione del fattore di rischio;
Prevenzione secondaria: sorveglianza sanitaria.
La silice e la formaldeide sono stati inseriti dalla IARC fra i cancerogeni, ma l’UE non ha ancora stabilito
l’etichettatura R45. La silice, ad esempio, ha un effetto indiretto sulla cancerogenesi, poiché la silicosi
aumenta la probabilità di contrarre il tumore del polmone.
La TAC spirale viene effettuata una volta all’anno sugli esposti a cancerogeni. Si individuano così anche
tumori di pochi millimetri. La sopravvivenza a cinque anni è un indicatore dell’efficacia della TAC spirale.
I tumori compaiono in età medio/avanzata. Quindi spesso non è il medico competente ad accorgersene, ma
il medico di base. La medicina del lavoro è obbligatoria dagli anni ’80, quindi solo i medici di base più
giovani hanno conoscenze di questo tipo.
La legge sostiene che i lavoratori debbano essere formati ed informati, ma questo non significa generare
allarmismo.
Soglia
Assoluta
Reale (o biologica o perfetta)
Apparente (o pratica)
Statistica