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MAZZONE E MAZZONARI Il desiderio di voler conoscere le nostre radici, sprona a esplorare accuratamente vecchi documenti riguardanti gli accadimenti della vita e della società di Grazzanise; sollecita a rivolgere l’attenzione verso i personaggi del tempo, siano essi noti o ignoti e induce altresì a prendere in considerazione gli eventi storici e i racconti, le favole e leggende narrate dagli anziani; invoglia a esaminare le testimonianze del tempo connessi al susseguirsi degli eventi naturali responsabili delle modificazioni ambientali. L’indagine sul passato è un percorso fantastico da cui si scoprono le regole di vita delle passate generazioni caratterizzate da passioni, desideri, speranze e quant’altro. E’ un tracciato che sprona la fantasia a immaginare singolari scenari della natura e dell'ambiente. Molte documentazioni attestano che il nostro territorio, nasceva come terreno paludoso nel quale le zanzare vessavano gli abitanti trasmettendo la micidiale malaria. In questa zona, le acque stagnanti, putride e puzzolenti rendevano la vita dei nostri avi dura e faticosa tanto da abbrutirli fino a fargli assumere comportamenti impulsivi, inumani, talvolta violenti e crudeli. Nonostante Capua ( situata a pochi chilometri da Grazzanise) nel periodo antico fosse una delle più popolose e prospere città dell’epoca, nessun beneficio arrecò al casale di Grazzanise. Il nostro piccolo villaggio era, purtroppo, destinato ad allignare in quella zona depressa, al tempo scarsamente abitata essendo luogo di passaggio o di rifugio provvisorio degli schiavi, che nell’epoca romana, disertando dall’Anfiteatro della vecchia Capua, trovavano rifugio in questo territorio e nei luoghi viciniori. Gli abitanti di questa terra, sovrastata dai pantani, alimentati dalle acque piovane e dallo straripamento del Volturno, erano esposti ad alta percentuale di mortalità in quanto vittime di malattie endemiche. Per centinaia di anni hanno combattuto contro la forza della natura continuando a bonificare, a costruire argini, a difendersi dai malanni e dai disastri causati dalle catastrofe naturali. Nonostante le opere di canalizzazione avvenute nel XVI secolo, il territorio rimaneva comunque impervio e malsano. Malgrado tutto, con ostinazione, i nostri progenitori seppero adattarsi e compresero come far produrre i terreni acquitrinosi coltivandoli a pascolo e dedicandosi decisamente all’allevamento del bestiame. Divenne così il nostro territorio, il regno delle mucche, delle pecore, e in seguito delle bufale, quest’ultime, adatte a vivere in un habitat fangoso che in gergo locale era definito “Caramone” ( A ufera freschea dint’ o caramone = La bufala si rinfresca nel fango). Era questa, per lo più, la patria dei “Mazzoni”, la patria dei pascoli. Terra inospitale che li ha sfiancati mettendo a dura prova la loro tenacia e forza d’animo. In questo luogo tanto ostile, i nostri

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MAZZONE E MAZZONARI

♦ ♦ ♦

Il desiderio di voler conoscere le nostre radici, sprona a esplorare accuratamente

vecchi documenti riguardanti gli accadimenti della vita e della società di Grazzanise;

sollecita a rivolgere l’attenzione verso i personaggi del tempo, siano essi noti o ignoti

e induce altresì a prendere in considerazione gli eventi storici e i racconti, le favole e

leggende narrate dagli anziani; invoglia a esaminare le testimonianze del tempo

connessi al susseguirsi degli eventi naturali responsabili delle modificazioni

ambientali. L’indagine sul passato è un percorso fantastico da cui si scoprono le

regole di vita delle passate generazioni caratterizzate da passioni, desideri, speranze e

quant’altro. E’ un tracciato che sprona la fantasia a immaginare singolari scenari della

natura e dell'ambiente. Molte documentazioni attestano che il nostro territorio,

nasceva come terreno paludoso nel quale le zanzare vessavano gli abitanti

trasmettendo la micidiale malaria. In questa zona, le acque stagnanti, putride e

puzzolenti rendevano la vita dei nostri avi dura e faticosa tanto da abbrutirli fino a

fargli assumere comportamenti impulsivi, inumani, talvolta violenti e crudeli.

Nonostante Capua ( situata a pochi chilometri da Grazzanise) nel periodo antico fosse

una delle più popolose e prospere città dell’epoca, nessun beneficio arrecò al casale

di Grazzanise. Il nostro piccolo villaggio era, purtroppo, destinato ad allignare in

quella zona depressa, al tempo scarsamente abitata essendo luogo di passaggio o di

rifugio provvisorio degli schiavi, che nell’epoca romana, disertando dall’Anfiteatro

della vecchia Capua, trovavano rifugio in questo territorio e nei luoghi viciniori. Gli

abitanti di questa terra, sovrastata dai pantani, alimentati dalle acque piovane e dallo

straripamento del Volturno, erano esposti ad alta percentuale di mortalità in quanto

vittime di malattie endemiche. Per centinaia di anni hanno combattuto contro la forza

della natura continuando a bonificare, a costruire argini, a difendersi dai malanni e

dai disastri causati dalle catastrofe naturali. Nonostante le opere di canalizzazione

avvenute nel XVI secolo, il territorio rimaneva comunque impervio e malsano.

Malgrado tutto, con ostinazione, i nostri progenitori seppero adattarsi e compresero

come far produrre i terreni acquitrinosi coltivandoli a pascolo e dedicandosi

decisamente all’allevamento del bestiame. Divenne così il nostro territorio, il regno

delle mucche, delle pecore, e in seguito delle bufale, quest’ultime, adatte a vivere in

un habitat fangoso che in gergo locale era definito “Caramone” ( A ufera freschea

dint’ o caramone = La bufala si rinfresca nel fango). Era questa, per lo più, la patria

dei “Mazzoni”, la patria dei pascoli. Terra inospitale che li ha sfiancati mettendo a

dura prova la loro tenacia e forza d’animo. In questo luogo tanto ostile, i nostri

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antenati hanno lavorato come bestie trasferendosi dall’agglomerato abitativo

abbandonando moglie e figli per raggiungere le “Pagliare”. Si legge su un documento

dell’epoca, (risale al 1800) indirizzato alla Giunta Municipale di Grazzanise: - «La

mia dimora è quasi stabile in campagna, nella “Pagliara” del padre Francesco e per

tale ragione per lo più sono assente dal proprio letto, che perciò chiede in linea di

giustizia essere esentato di far parte della Guardia Nazionale». Le “Pagliare” erano

aziende rurali. I “Pagliarari” ( Massari, Butteri, Contadini, Minorenti, Pecorai,

Mantinenti, Guardiani di notte, Cambianti, Streppari, Saurari, Murenienti, Curatini,

Vuttari, Casigni, Porcari, bufarari ecc….) usufruivano di un giorno di riposo al mese

che generalmente capitava di lunedì. Mi è gradito riportare, una poesia d’epoca,

scritta da Salvatore Parente e Michele Petrella, che rende l’idea della vita nelle

“Pagliare”.

✽✽✽

“ Fra dui cumpari pagliarari”

1

Ne cumpà ne saie niente

de lu sciopere e pagliare

pure a vvuie nu vve pare

che sti ccose annà cagnà

9

E li vuttari mmarissi

fanno comm’é purtinari

senza avé mai campagna

hanno solo i muorzi amari

2

Ma sicuro mò ve dico:

chi a tuorto e chi a ragione

sulamente chi cuglione

ccà nu vvede a verità

10

Tale a quale a Santo Pietro

nnanze e pporte u Paraviso

fanno appello ogni matina

senza pianto e senza riso

3

Ricurdate? Tutti quanti

tanta celebri affamati

camurristi furtunati

mò accellenza vonn’avé

11

Po ce stanno i curatini

notte e gghiuorno attuorno o fuoco

p’abbuscà pochi carrini

vanno priesto o santo luogo

4

Sti casigni annubeluti

che fatiche e chesti bracce

hannu fatte toste e ffacce

mo ve dico lu pecché

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E passammocenne appriesso.

murunento e gguardiano

sempe mmiezo a nu pruciesso

sempe cu tibbotte mmano

5

E sapiti pecché chesto

pecché eramo rignuranti

e lu sango e tutti quanti

le facevomo zucà

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E pecché sta vita amara

parrecchi li difesanti

che so l’arbo parassiti

da nui auti tutti quanti

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Songo cose vergognose

pe stu secolo e prugresso

mò nisciuno cchiù e fesso

tutti quanti anna campà

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Mieza a nuie ce vulerria

sulamente u sucialisto

che a giustizia comma a Cristo

ce veneva a prerecà

7

Ccà ce stanne i bufarari

truoni lampi acqua e viento

notte e gghiuorne che spaviento

é nisciuno n’à pietà

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L’eguaglianza ( il diritto

Siamo liberi cittadini)

o pagate: o zitto zitto

mo sapimmo che amma fa

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Cambianti assai cchiù peggio

nsieme e poveri streppari

i purcari i saurari

fanno proprio pietà

L’esteso territorio del bacino del Volturno, è stato definito “Campi Stellati”

raffigurandosi come immensa pianura boschiva colma di animali, caratterizzata da

una folta vegetazione e bagnata dallo stupendo corso d’acqua cristallina del locale

fiume Volturno. Un cielo ammantato di stelle completava quello scenario da paradiso

terrestre. Ma è solo una scena idilliaca perché in realtà, come già affermato, la vita

era dura. Il “Caramone”, purtroppo, ne declassava l’immagine. Esso è esistito fino

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agli anni cinquanta e sino alla metà degli anni sessanta. Molti ricordano i “Caramoni”

della località terriera “Funno”, della zona “Coscienza”, del “Triucio” e così via. Gli

anziani raccontano che quando le mucche, indispensabili per arare i campi, trainare il

carro, produrre il latte e trascinare lo “ Straulo ” carico di “ Pascone ” ( Straulo =

slitta di legno. Pascone = piantine di granturco), spesso affondavano nel fango fino

alla pancia e dovevano essere rimorchiate da possenti buoi (I Vuoi ri Fusari – Erano i

buoi della famiglia Fusaro) per poterne uscire, altrimenti vi restavano prigioniere ed

erano destinate alla morte. La perdita di dette bestie era una grave rovina per la

famiglia, e specialmente per quel nucleo familiare numeroso e povero, che aveva

proliferato sulla base della filosofia “Meglio ricch’e sanghe ch’e sorde” (Meglio

essere contornati da figli che possedere denaro). Sì, perché in tempi passati, le

famiglie erano alquanto numerose e ciò contribuiva alla loro miseria, alla fame, a

dimorare in abitazioni tugurio, a vestire con cenci, a vivere di stenti. Esse non

potevano assicurare un avvenire ai figli, che, già in tenera età, collaboravano nelle

fatiche per il sostentamento del loro nucleo familiare. Si tramandavano così, di

generazione in generazione, l’analfabetismo, l’ indigenza e la carestia. Tralasciando

l’aspetto dell’habitat e della condizione economica, culturale e sociale, è il caso di

soffermarsi sul temperamento dei Mazzonari. E’ dichiarato dalle più elementari

nozioni di psicologia che ogni essere vivente è in continuo rapporto con il suo

ambiente. Quando l’habitat è caratterizzato dal degrado: la sofferenza, il freddo, il

duro lavoro, la frustrazione, le paure, la fame, la miseria, lo sconforto e quant’altro,

genera nell’uomo una natura ostile che lo predispone alla difensiva. In esso

predomina l’istinto della sopravvivenza per cui i comportamenti diventano istintivi e

sdegnosi; ma è pur vero che gli si rafforza la capacità di far fronte agli aspetti

negativi dell’ambiente, per cui, adopera la propria ragione, il proprio ingegno, per

agire nel territorio di appartenenza riuscendo a mantenersi paziente e a combattere gli

eventi assumendo atteggiamenti concilianti anche nelle condizioni più penose. Il

continuo interagire con quell’ambiente inospitale, ha contribuito nel Mazzonaro a

determinare la sua crescita fisica e psicologica. Le esperienze positive e/o negative

vissute in tali condizioni, hanno concorso a modellare uomini valenti, intelligenti e

coraggiosi. In uno scritto del 1915 intitolato “ Il Mazzone nell’antichità e nei tempi

presenti”, il Prof. Alicandri, Primicerio della Chiesa Metropolitana di Capua,

sosteneva che non è facile definire l’indole ed il carattere degli abitanti del Mazzone:

- « il Mazzonese è leale, nemico della doppiezza, dell’adulazione e del servilismo che

altri malamente confonde con l’orgoglio….dall’altra parte ardito, sostenuto nella sua

opinione, spesso fino alla cocciutaggine, intollerante della sopraffazione, in un

ambiente proprio, chiuso nell’odio, a volte mal represso, vigliacco sempre nel

compiere la vendetta lungamente meditata”. Sostiene altresì il prof. Alicandri di

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essere costretto a narrare fatti recenti, il cui racconto non potrà tornar gradito ad

alcuni dei miei conterranei, ma la storia è storia: la storia non mi permette di tacere o

alterare in alcun modo la verità. Fino a pochi anni fa, dunque, in tutte le campagne

del Mazzone imperversava un brigantaggio di nuovo genere. Uomini senza

coscienza, dall’istinto depravante, associati a delinquere, divisi in gruppi operanti

ciascuno per proprio conto, insidiosamente e alla macchia, per vendicare una pretesa

ingiuria per carpire un posto invidiabile, perché meglio retribuito, servendosi

dell’opera di giovanotti di malaffare, incoscienti, spesso alcolizzati, e a vil prezzo

condotti, danneggiavano in cento guise il prossimo, agitavano e contrastavano

l’animo dei buoni, turbavano la pubblica quiete, e mettevano in mala voce gli abitanti

tutti del luogo». Purtroppo col passar dei secoli il circondario ha conservato, in parte,

quest’aspetto negativo. Ne troviamo conferma nel discorso di Mussolini, tenuto

nell’aula di Montecitorio il 26 maggio del 1927 dedicato al problema della mafia; in

esso emerge il riferimento ai Mazzoni. (Si espone la parte che riguarda il nostro

territorio). Il testo dell’orazione di Mussolini (noto come ‘discorso dell’Ascensione’)

é tratto dagli Atti del Parlamento Italiano – Camera dei Deputati, Sessione 1924-

1928, XXVII Legislatura. Discussioni.Vol. VIII dal 26 maggio 1927 al 15 maggio 1928.

…Omissis… - «Veniamo ai Mazzoni. I Mazzoni sono una plaga che sta tra la

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provincia di Roma e quella di Napoli, ex-Caserta: terreno paludoso, stepposo,

malarico, abitato da una popolazione che fin dai tempi dei romani aveva una

pessima reputazione, ed era chiamata popolazione di latrones. Vi do un'idea della

delinquenza di questa plaga. Nei cinque anni che vanno dal 1922 al 1926, furono

commessi i seguenti delitti principali, trascurando i minori: oltraggi alla forza

pubblica 171; incendi 378; omicidi 169; lesioni 918; furti e rapine 2.082;

danneggiamenti 404. Questa è una parte di quella plaga. Veniamo all'altra parte,

quella dell'Aversano: oltraggi 81; incendi 161; omicidi 194; lesioni 410; furti e

rapine 702; danneggiamenti 193. Ho mandato un maggiore dei Carabinieri con

questa consegna: Liberatemi da questa delinquenza col ferro e fuoco! Questo

maggiore ci si è messo sul serio. Difatti, dal dicembre ad oggi, sono stati arrestati,

per delitti consumati e per misure preventive, nella zona dei Mazzoni 1.699 affiliati

alla malavita, e nella zona di Aversa 1.278. I podestà di quella regione sono

esultanti, i combattenti di quella regione altrettanto. Io ho qui un plico di

telegrammi, di lettere, di ordini del giorno, documenti con i quali la parte sana di

quella popolazione ringrazia le autorità costituite, le autorità del regime fascista per

l'opera necessaria di igiene che sarà continuata fino alla fine». Volendo risalire

all’origine del termine Mazzonari va evidenziato che essi sono gli abitanti del

territorio denominato Mazzone. Il termine Mazzoni non caratterizza solo il territorio

di Grazzanise, bensì si estende a tutto il circondario che comprende i paesi della

provincia di Caserta: Santa Maria La Fossa, Brezza, Cancello ed Arnone,

Castelvolturno, Lago Patria, Villa Literno e Grazzanise stesso, quest’ultimo, è

definito il cuore dei Mazzoni. Diverse sono le ipotesi formulate riguardo all’origine

del termine Mazzone. E’ stato affermato che l’appellativo di Mazzone nasce dalla

“Muzzarella mpagliata o: “U Mazz’ e mozzarella”. Già alla fine del settecento e

inizio dell’ottocento si produceva nei territori locali la mozzarella ricavata dal latte di

bufala. Ciò avveniva in poche tenute terriere (In gergo – Pagliare -). Le Pagliare

appartenevano a nuclei familiari benestanti e alcuni caratterizzati da titolo nobiliare.

In queste aziende si confezionava la mozzarella in modo del tutto particolare. Era

consuetudine, avvolgere la mozzarella nelle guglie raccolte sui cigli dei fossi e

sistematala in esse, le stesse si legavano all’estremità superiore e inferiore. Si

presentava così la composizione che assumeva la denominazione di: “U mazzo e

Mozzarella”. Da ciò sarà scaturito “Mazzone” vale a dire accrescitivo di “mazzo”.

Un’altra teoria fa risalire il termine di Mazzonari al bastone del pastore. Ricordando

che all’epoca era molto diffuso il pascolo ovino; si è associato il termine al bastone-

mazza del pastore che pascolava il gregge, e poiché tale bastone-mazza era in parte

grosso ( di conseguenza mazza grossa cioè mazzone), è stata coniata la definizione di

Mazzone. Mazzone è anche stato associato a un sottile arnese con punta di ferro che

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era utilizzato dal bufalaio (in gergo “Ufararo”), attrezzo di cui si serviva a cavallo per

gestire la mandria. Inoltre, la denominazione "Mazzone" è stata assimilata a:

“Mazzone delle rose” essendo il territorio ricco di rose. "Mazzone" corrisponderebbe

persino alla trasformazione delle parole Massa, Maison (casa) o mansiones

richiamando le abitazioni abbandonate del tempo che servivano ad accogliere i

viaggiatori. Le diverse definizioni, purtroppo, non sono convalidate da alcun

documento dimostrativo. Un appellativo più o meno attendibile possiamo dedurlo da

un documento di studio del Dott. Giovanni Parente che si riporta integralmente.

✽✽✽

“ Una più oculata ricerca ci conduce agli atti della tornata (1889) della Regia

Commissione Conservatrice dei monumenti ed oggetti di antichità e delle arti della

provincia di Terra di Lavoro intorno alla Epigrafe Ebraica in ricordo della Signora

Ester, madre di Abramo e figlia di Beniamino scoperta in Castel Volturno. Ester

apparteneva ad una famiglia stimata in quanto Abramo e Beniamino erano Rabbini.

Dalla scritta in ebraico, tradotta in versione latina e quindi italiana, si evince il

soffermarsi dei Masoreti prima della venuta di Cristo nei nostri territori. I Masoreti

(eruditi e scribi ebrei) abbandonando la propria terra a seguito della Prammatica

Sanzione. Essi abitarono Capua ed, errando nei dintorni, si estesero fino ai terreni

prossimi al mare non oltre il confine territoriale di Castel Volturno. La testimonianza

dell’esistenza della lapide è confermata dall’Arcivescovo di Lanciano Mons. A. della

Cioppa, che esperto in lingua ebraica, fu incaricato di decifrarne il significato di

seguito riportato.

- Cippo sepolcrale pietoso….tributo ad Ester, madre di me Abramo, figlio di

Beniamin. La memoria del giusto in benedizione di platza?.

Altra versione fu quella del Chiarissimo Senatore del Regno Prof. Di glottologia nella

Regia Università di Milano Graziadio Ascoli.

- Stela sepolcrale della Pia donna la Signora Ester…..di Abramo, figlia di

Beniamino (di pia memoria), questa sia in benedizione da P(F)tza?) ;

Differente versione fu quella del Prof. Ignazio Guidi

- Lapide sepolcrale della Signora Ester madre di Abramo, figlia di Beniamino.

La memoria del giusto sia in benedizione di Palza o Falza ? .

Fu anche incaricato il nostro compaesano Dott. Giovanni Parente esperto calligrafo e

dotto in lingua latina, greca ed ebraica. Egli presenta la sua conclusione monitoria nel

modo seguente:

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1°- Lezione Ebraica – “hatzadakth Keburath matzabhath abraham immi hester maret

librachah zecher benjamin rabbi bar muplatz”.

2°- Traduzione Latina –“ Locus hic sepulturae hujus (Hic jacet) que justa fuit – Aliter

in codice, sed vive Philotogicon. Domina Hester meter mei Habraham qui Filius

magisteri Beniamjn, memoria justae. De beneditionem . Me tremore confectum ab

nimium dolorem valde miserum”.

3° - Versione Italiana – “ Questo è il luogo della sepoltura di costei , che fu giusta.

(Altrimenti nel sacro codice, ma vedi il filologicon) La Signora Ester madre di me

Abramo. Figliuolo del Rabbino Beniamin, la memoria della Pia andrà di benedizione

in benedizione. O me del dolore convulso!”.

Gli interpreti sottolineano che la presenza dei Masoreti è confermata dall’epigrafe che

era scritta in Ebraico la quale presentava i loro segni consonantici. Nella stessa

scritta si trova la conferma che la lapide è stata posta dal suddetto popolo ( statio

lucus). I Masoreti lasciarono a noi il nome di Mazzone, proveniente dal loro

vocabolo(ebraico מ ז ח ), tradotto in mezach, vives, robur, che descriveva la forza

degli abitatori delle campagne; o altra estrazione come ebraico צ tradotto) ,( מ ח

in machatz percussit, vulneravit), che in effetti evidenziava una certa tendenza

degli abitatori di quel tempo ad esercitare una certa violenza quasi sempre con

sistemi traditori e crudeli molto spesso favoriti dalla boscaglia e dai nascondigli

che il territorio per la sua configurazione naturale, consentiva. E’ da ritenersi che questi ultimi riferimenti rendono più affidabile l’ipotesi

sull’origine dell’appellativo “Mazzoni”.

L’ANTICA ISCRIZIONE - Libera dai punti, ed altri ritrovati Masoretici; e munita dei segni

rabbinici, così come giace. La lapide sulla quale era incisa l’epigrafe presentava le seguenti

dimensioni: larghezza cm. 60 - altezza cm.35 - spessore cm.10.

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Il Mazzonaro è riportato come figura di

uomo a cavallo, forte, di costituzione

prestante e corpulenta, vestito con pantaloni

alla zuava, camicia bianca, gilet, mantello di

cencio di cerreto ( Mantiell’ a rota), stivali

lunghi di cuoio e un grosso cappello. E’ da

precisare che non tutti, ovviamente

corrispondevano alle suddette caratteristiche

fisiche. I Mazzonari, indipendentemente

dalla visione romanzesca di cavalieri

vigorosi e indomabili, erano personaggi

comuni, costretti a vivere di lavoro

massacrante, di patimenti e, considerato il

misero salario, di privazioni. Per secoli gli

abitanti dei Mazzoni hanno dovuto fare i

conti, come già affermato, con i disagi

causati dal territorio, ma anche con le

calamità naturali. Si legge in una conferenza

del Dott. Giovanni Parente, tenuta nelle sala

dell’Asilo infantile di Grazzanise il 1°

Settembre dell’panno 1901 – “Omissis…« E

per queste lontane ragioni e per le

presentissime della continuata colmata dei

terreni, chiusi fra gli argini, prodotta dalle

acque piovane, e per le frane fattevi

lateralmente a cagione dei pascoli abusivi

lasciati in loro balia; o per l’impeto della

corrente delle grandi piene, che muta la direzione si fondono; ed ecco che, (foglio

strappato..?) acqua fuori aspettativa, specialmente di notte (foglio strappato….?) ad

affogare miseramente uomini, animali, masserizie, tutto come avviene spessissimo

e come avvenne quattro anni or sono il dilagamento nello abitato nel periodo di

decrescenza della fiumana. Di ciò fui testimone oculare perché fui chiamato con

grande insistenza a curare un ammalato di perniciosa pneumonica. Vi andai, a metà

di strada dopo 4 kilometri le acque alluvionali, che avevano allagata tutta quella

campagna fino a vista d’uomo, avevano invaso ancora il capo strada.

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Fu indescrivibile lo spavento

cagionato dal fragore fatto dal

rigurgito delle acque correnti…

Come a Dio piacque arrivai al

tugurio dello infelice. E la

melma, alta quasi 20 centimetri

depositatasi dalla inaspettata

alluvione era anche sotto la

lettiera del giaciglio dello

infelice presso il quale fui

portato sulle braccia di due

robusti giovani, come è a

vedersi per gli scavi dei pozzi

artesiani ». Appare abbastanza

dettagliata la descrizione delle

condizioni di vita degli abitanti

dell’epoca. Riferendoci poi al

termine: “lettiera” dobbiamo

precisare che essa null’altro era

che un letto formato da due

scanni di ferro sui quali erano

appoggiate delle tavole con

sopra un materasso, all’epoca

definito “U saccone” ripieno di

foglie di granturco, in gergo “

Preglie”. Che dire ancora dello

svolgersi della vita quotidiana in

famiglia. Le donne impegnate

nelle faccende domestiche,

usavano lavare i panni

all’aperto, soggette ai danni

causati dagli agenti atmosferici.

Esse utilizzavano il lavatoio, in

gergo “U Lavaturo”. Il pozzo

spesso era prossimo al lavatoio

e dallo stesso, l’acqua era tirata

su con il sistema del “Vinnulo”

al quale era avvolta una catena

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che terminava con un gancio a cui si attaccava un pesante secchio di zinco per

attingere l’acqua. D’estate, nell’acqua all’interno, del pozzo, si calava in gergo, “ U

Ceceno” corrispondente ad un’anfora nella quale era contenuta acqua potabile

generalmente prelevata dal locale fiume

Volturno, oppure il fiasco di vino,

un’anguria, o quant’altro si riteneva dover

tenere al fresco. Sia il lavatoio che il

pozzo, in molte famiglie erano in comune

di solito collocati nel cortile di casa. Il

pane era prodotto in casa ed anche il

forno “U Furno” in molti casi si

condivideva sia per la produzione del

pane, sia per altri alimenti. Non tutte le

famiglie, tranne qualcuna benestante,

all’epoca possedevano un forno. Esso, era

generalmente presente nel vicinato ed era

utilizzato da tutti i nuclei familiari dello

stesso abitualmente ogni quindici giorni

per le“fatte di pane”, ma anche nelle

ricorrenze delle festività Natalizie,

Pasquali e altre occasioni. Ogni famiglia,

presi i comuni accordi con il proprietario

del forno, infornava il pane in un giorno

stabilito e quasi tutti erano coinvolti. La

mattina presto, circa alle ore due, lo si

preparava e quando la sua temperatura

raggiungeva il giusto grado di calore, si

infornava la pasta che precedentemente

era stata preparata impastando farina, sale,

acqua e con l’aggiunta del caglio, in gergo

“Criscimonio” fino ad ottenere la quantità

desiderata. La pasta era conservata

all’interno della madia, in gergo

“Matrone” ed era ricoperta con un telo.

Era consuetudine ricavare il pane oltre che

dalla farina di grano, anche da quella del

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granoturco che era posto ad essiccare appendendolo presso la propria abitazione. A

fronte di tanti patimenti e afflizioni, é legittimo chiedersi: i Mazzonari, sono stati e

sono unicamente uomini inclini a esercitare una certa violenza spesso con sistemi

traditori e crudeli? In merito avrei

rilevanti perplessità. Se i ricercatori

si fossero preoccupati di indagare

più a fondo, se avessero seguito

meglio, in ogni suo aspetto, il

percorso storico caratterizzante la

realtà di vita di queste persone, di

sicuro, liberata la mente da

suggestioni leggendarie e da

pèregiudizi, si sarebbero accorti

che il modo di agire di queste

persone è stato ed è, nel bene e

nel male, uguale a tutti gli altri

popoli della terra. Osservandoli e

esaminando più da vicino, i loro costumi di vita, le loro passioni, le debolezze, la

sfera affettiva, ci si rende conto come appaiono cordiali e gentili, amichevoli,

affezionati e disponibili, ma anche determinati a non subire prevaricazione o

prepotenze. Mi è gradito riportare il pensiero di Don Angelo Florio che nel suo testo

“La mia terra, i suoi Grandi” dichiarava: Omissis…….«Il Mazzonaro è nemico della

doppiezza e dell’ipocrisia, espansivo, ospitale, generoso, benigno, sociale,

intelligente: quindi portato naturalmente al sentimentalismo, all’entusiasmo,

all’affetto eccessivo, all’emotività, alle soddisfazioni spirituali, morali e materiali e,

di conseguenza, alle reazioni in difesa del pane e dell’onore».

Alcune notizie sono state tratte da:

Don Angelo Florio, La mia terra, i suoi Grandi,

Atti del Parlamento Italiano – Camera dei Deputati, Sessione 1924-1928, XXVII Legislatura.

Discussioni.Vol. VIII dal 26 maggio 1927 al 15 maggio 1928.

I toponimi Terra dei Mazzoni ed i Mazzonari (alcuni ricavati da Internet)

Testo poetico in vernacolo di Salvatore Parente e Michele Petrella

Scritto del 1915 intitolato “ Il Mazzone nell’antichità e nei tempi presenti”del Prof. Alicandri,

Primicerio della Chiesa Metropolitana di Capua (tratto da internet)

Page 13: MAZZONE E MAZZONARI - grazzanisestoriaememoria.it · alcuni dei miei conterranei, ma la storia è storia: la storia non mi permette di tacere o alterare in alcun modo la verità.

Atti della tornata (1889) della Regia Commissione Conservatrice dei monumenti ed oggetti di

antichità e delle arti della provincia di Terra di Lavoro intorno alla Epigrafe Ebraica: Arcivescovo di

Lanciano Mons. A. della Cioppa, Chiarissimo Senatore del Regno Prof. Di glottologia nella Regia

Università di Milano Graziadio Ascoli. Prof. Ignazio Guidi Dott. Giovanni Parente

Cicerone - Orazione contro la Legge Agraria di Rullo XXXI …..Omissis: ager Campanus colitur et

possidetur a plebe, et a plebe optima et modestissima; hominum optime moratum, optimorum et

aratorum et militum¹,

¹il suolo campano è coltivato e posseduto dalla gente comune, da persone eccellenti e senza pretese; uomini

di carattere lodevole ed i migliori agricoltori e soldati……

…Omissis : adiungit Stellatem campum agro Campano et in eo duodena discribit in singulos homines

iugera².

²Aggiunge agro campano di stelle e da lui diviso i dodici ettari a ciascuno dei suoi uomini……..

Ricerca Prof. Francesco Parente