Il Presidente Visintainer al Convegno Internazionale ... · Repubblica Ceca, la Polonia – per...

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1 Il Presidente del Centro Studi "Vox Populi" ha tenuto il 25 e 26 gennaio scorsi una lectio magistralis presso l'Università Eurasiatica "Lev Gumilev" di Astana, presentando l'ultima monografia di VXP "Ahmed Yassawi Sciamano, sufi e letterato kazako" ed un discorso ufficiale durante il lavori di un Convegno Internazionale promosso dal Parlamento della Repubblica del Kazakhstan. Di seguito il discorso del presidente, Ermanno Visintainer Il Kazakhstan artefice illuminato della modernizzazione degli spazi eurasiatici, modello di convivenza interetnica e interreligiosa. All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, l’improvvisa implosione dell’Impero Sovietico, generò per un momento la Grande Illusione della nostra “nuova” era. Un’illusione in qualche modo sintetizzata dal famoso saggio di Francis Fukuyama il quale osò parlare di “Fine della Storia”. Ovvero di fine dell’era in cui si contrapponevano da antagonisti diversi “modelli” di Stato, di società, di economia e, quindi, di cultura. Da qui la profezia della “globalizzazione” come imminente realizzazione del sogno della Pace Mondiale, o, per lo meno del trionfo di un universale modello. Quello che si potrebbe, pur sommariamente, definire come “Occidentale”, fondato sul Libero Mercato a livello economico, e sulla Democrazia a quello politico. Veniva dunque a porsi il problema della modernizzazione e della democratizzazione del Mondo postsovietico indissolubilmente connesso a quello dello State Building. Tant’è vero che solo nelle propaggini centroeuropee della vecchia egemonia moscovita, il passaggio alla democrazia è stato relativamente facile ed indolore, e questo perché paesi come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Polonia – per tacere del caso, particolarissimo, della Germania dell’Est – avevano già una tradizione culturale ed esperienze di storia recente che li predisponevano a tale passaggio. In sostanza la loro cultura e le loro società contenevano i germi, i presupposti per costruire forme di democrazia occidentale. Dove però questi “semi” non erano presenti, o erano troppo deboli per attecchire – e la mente corre immediatamente alla tragedia della exJugoslavia – il di VXP Il Presidente Visintainer al Convegno Internazionale organizzato dal Presidente Nazarbayev processo si è rivelato non solo difficile, ma spesso tragico. Ben maggiori, infatti, sono state le difficoltà che tale processo di State Building ha incontrato ed ancor oggi incontra in altre regioni dello spazio postsovietico, come nella parte più orientale dell’Europa slavofona ed in Caucaso e, soprattutto, in Asia Centrale. Dove tutto è reso più difficile dalla vastità di questo quadrante geopolitico un autentico intrico di popoli, lingue, culture, tradizioni e religioni diverse. E, per lo più, mai toccati dalla cultura europea e dai suoi modelli sociali e politici. Un immensa regione da sempre cruciale della Geopolitica mondiale. Quel “cuore” dell’Isola del Mondo – come la chiamarono i geopolitici classici da McKinder in poi. Con la fine dell’epoca sovietica, le Repubbliche ormai exsovietiche dell’Asia Centrale recuperarono un’indipendenza tanto agognata, quanto, per molti versi, imprevista, alla quale erano sostanzialmente impreparate per molte ragioni. In primo luogo ragioni “strutturali” interne. Tra queste, l’assenza del substrato sociale necessario a costruire una democrazia di tipo occidentale. Le Repubbliche sovietiche che raggiungevano [continua nella pagina seguente] Tranquillo inverno nippon, la ruota del quotidiano vivere gira nella terra del Sol Levante, dei Samurai e dei Kamikaze e la catastrofe è lì, pronta ad annientare tutto ciò incontrerà sulla propria strada. La terra trema come un’altalena impazzita, ma a quella latitudine e longitudine del globo terrestre sanno cosa siano i sobbalzi e movimenti della Terra, la gente ci vive e convive, tutto tiene con coraggio e sagacia. Ma nulla può contro l’urlo dell’acqua e del mare. Un’onda anomala, uno tsunami gigantesco si sta scagliando sulla terra ferma con una forza impressionante, propria solo di Madre Natura, che non sa, non ricorda e non ha nulla a che fare con posticce presunzioni umane. Di onnipotenza. Coste spostate di quattro metri ed il mare a spazzare tutto ciò incontra sulla sua strada, quasi a riappropriarsi di qualcosa toltogli. Immane il sacrificio. Di vite umane, di destini spezzati, di orfani e disperazione. La molla che a quelle latitudini e longitudini fa scattare la teoria, materializzandola, del superuomo, dell’UOMO con la maiuscola che, nel rispetto assoluto della propria identità e delle proprie credenziali, baluardo della piena consapevolezza del sé, accetta la lezione della Natura. Facendo tesoro, prezioso e discreto, della più assoluta umiltà riguardo la condizione umana, forgiata con il ferro e col fuoco di pensiero ed azione. Miscellanea purissima, madre del senso di appartenenza e del sacrificio. Nella sua più alta espressione, ossia sacrificarsi per l’altro, per garantire un futuro al proprio Paese e alla propria Gente. Secondo il più composto e puro distillato di filosofia scintoista. Energia da rivitalizzare e non da disperdere in rivoli insignificanti. Il messaggio, pulito ed eroico, di quei volontari che, nella pienissima consapevolezza di un destino segnato e compromesso, un mattino hanno alzato la mano ed hanno accettato di spendersi, in prima persona, per spegnere il disastro nella catastrofe, l’incidente alle centrali nucleari. Offrendo la propria persona, all’inondazione radioattiva. Per il proprio Paese e la propria Gente. A cui offrire, sulla propria pelle, un futuro ed un domani! di ALESSIO MARCHIORI Gocce di sangue nella polvere Non ho mai visto gocce di sangue nella polvere, ma ho visto il sangue e ho visto la polvere. Non ho mai visto gocce di sangue nella polvere, ma ho visto gli uomini e ho visto le idee. Non ho mai visto ho solo sentito e... immagino che il sangue sulla polvere cade e cadrà spesso. Le nuvole di fango esistono? Nel disegno della bestia molte gocce di sangue dovranno cadere sulla polvere si seccheranno, poi, qualcuno piangerà, le bagnerà, tornerà il sole, riscalderà quella terra, il vento, allora, alzerà nuvole di fango. Che sia questo il sipario dell'inferno? [Patrick ]

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Il Presidente del Centro Studi "Vox Populi" ha tenuto il 25  e  26  gennaio  scorsi  una  lectio magistralis  presso l'Università  Eurasiatica  "Lev  Gumilev"  di  Astana, presentando  l'ultima  monografia  di  VXP  "Ahmed Yassawi  ‐  Sciamano,  sufi  e  letterato  kazako"  ed  un discorso  ufficiale  durante  il  lavori  di  un  Convegno Internazionale  promosso  dal  Parlamento  della Repubblica  del  Kazakhstan. Di  seguito  il  discorso  del presidente, Ermanno Visintainer  

Il Kazakhstan artefice illuminato della modernizzazione degli spazi eurasiatici, modello di convivenza interetnica e interreligiosa. 

All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, l’improvvisa implosione dell’Impero Sovietico, generò per un momento la Grande Illusione della nostra “nuova” era. 

Un’illusione in qualche modo sintetizzata dal famoso saggio di Francis Fukuyama il quale osò parlare di “Fine della Storia”. Ovvero di fine dell’era in cui si contrapponevano da antagonisti diversi “modelli” di Stato, di società, di economia e, quindi, di cultura. 

Da qui la profezia della “globaliz‐zazione” come imminente realizzazione del sogno della Pace Mondiale, o, per lo meno del trionfo di un universale modello. Quello che si potrebbe, pur sommariamente, definire come “Occidentale”, fondato sul Libero Mercato a livello economico, e sulla Democrazia a quello politico. 

Veniva dunque a porsi il problema della modernizzazione e della democratiz‐

zazione del Mondo post‐sovietico indis‐solubilmente connesso a quello dello State Building. 

Tant’è vero che solo nelle propaggini centro‐europee della vecchia egemonia 

moscovita, il passaggio alla democrazia è stato relativamente facile ed indolore, e questo perché paesi come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Polonia – per tacere del caso, particolarissimo, della Germania dell’Est – avevano già una tradizione culturale ed esperienze di storia recente che li predisponevano a tale passaggio. 

In sostanza la loro cultura e le loro società contenevano i germi, i presupposti per costruire forme di democrazia occidentale. Dove però questi “semi” non erano presenti, o erano troppo deboli per attecchire – e la mente corre immediata‐mente alla tragedia della ex‐Jugoslavia – il 

di VXP

Il Presidente Visintainer al Convegno Internazionale organizzato dal Presidente Nazarbayev

processo si è rivelato non solo difficile, ma spesso tragico. 

Ben maggiori, infatti, sono state le difficoltà che tale processo di State Building ha incontrato ed ancor oggi 

incontra in altre regioni dello spazio post‐sovietico, come nella parte più orientale dell’Europa slavofona ed in Caucaso e, soprattutto, in Asia Centrale. Dove tutto è reso più difficile dalla vastità di questo quadrante geopolitico un autentico intrico di popoli, lingue, culture, tradizioni e religioni diverse. E, per lo più, mai toccati dalla cultura europea e dai suoi modelli sociali e politici. Un immensa regione da sempre cruciale della Geopolitica mondiale. Quel “cuore” dell’Isola del Mondo – come la 

chiamarono i geopolitici classici da McKinder in poi. 

Con la fine dell’epoca sovietica, le Repubbliche ‐ ormai ex‐sovietiche ‐ dell’Asia Centrale recuperarono un’indipendenza tanto agognata, quanto, per molti versi, imprevista, alla quale erano sostanzialmente impreparate per molte ragioni. In primo luogo ragioni “strutturali” interne. Tra queste, l’assenza del substrato sociale necessario a costruire una democrazia di tipo occidentale. Le Repubbliche sovietiche che raggiungevano   

[continua nella pagina seguente] 

Tranquillo inverno nippon, la ruota del quotidiano vivere gira nella terra del Sol Levante, dei Samurai e dei Kamikaze e la catastrofe è lì, pronta ad annientare tutto ciò incontrerà sulla propria strada. La terra trema come un’altalena impazzita, ma a quella latitudine e longitudine del globo terrestre sanno cosa siano i sobbalzi e movimenti della Terra, la gente ci vive e convive, tutto tiene con coraggio e sagacia. Ma nulla può contro l’urlo dell’acqua e del mare. Un’onda anomala, uno tsunami gigantesco si sta scagliando sulla terra ferma con una forza impressionante, propria solo di Madre Natura, che non sa, non ricorda e non ha nulla a che fare con posticce presunzioni umane. Di onnipotenza. 

Coste spostate di quattro metri ed il mare a spazzare tutto ciò incontra sulla sua strada, quasi a riappropriarsi di qualcosa toltogli. Immane il sacrificio. Di vite umane, di destini spezzati, di orfani e disperazione.  La molla che a quelle latitudini e longitudini fa scattare la teoria, materializzandola, del superuomo, dell’UOMO con la maiuscola che, nel rispetto assoluto della propria identità e delle proprie credenziali, baluardo della piena consapevolezza del sé, accetta la lezione della Natura. Facendo tesoro, prezioso e discreto, della più assoluta umiltà riguardo la condizione umana, forgiata con il ferro e col fuoco di pensiero ed azione. Miscellanea purissima, madre del senso di appartenenza e del sacrificio. Nella 

sua più alta espressione, ossia sacrificarsi per l’altro, per garantire un futuro al proprio Paese e alla propria Gente. Secondo il più composto e puro distillato di filosofia scintoista. Energia da rivitalizzare e non da disperdere in rivoli insignificanti. Il messaggio, pulito ed eroico, di quei volontari che, nella pienissima consapevolezza di un destino segnato e compromesso, un mattino hanno alzato la mano ed hanno accettato di spendersi, in prima persona, per spegnere il disastro nella catastrofe, l’incidente alle centrali nucleari. Offrendo la propria persona, all’inondazione radioattiva. Per il proprio Paese e la propria Gente. A cui offrire, sulla propria pelle, un futuro ed un domani! 

di ALESSIO MARCHIORI

Gocce di sangue nella polvere

Non ho mai visto gocce di sangue nella polvere,

ma ho visto il sangue

e ho visto la polvere.

Non ho mai visto gocce di sangue nella polvere,

ma ho visto gli uomini

e ho visto le idee.

Non ho mai visto

ho solo sentito

e... immagino

che il sangue sulla polvere cade e cadrà spesso.

Le nuvole di fango esistono?

Nel disegno della bestia molte gocce di sangue dovranno cadere sulla polvere

si seccheranno,

poi, qualcuno piangerà,

le bagnerà,

tornerà il sole,

riscalderà quella terra,

il vento, allora, alzerà nuvole di fango.

Che sia questo il sipario dell'inferno?

[Patrick ]

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VOX POPULI trimestrale d’informazione www.vxp.it Anno VIII • n. 1 •marzo 2011 Direttore responsabile: ALESSIO MARCHIORI Hanno collaborato: ERMANNO VISINTAINER, PAOLO ZAMMATTEO. Abbonamenti annuali: € 15,00

Autorizzazione del Tribunale di Trento Registro Stampa n. 1175 decreto del 17/4/03 Sede: C.P. 113 - Pergine Valsugana Progetto grafico a cura di: Fabio Franceschini Stampa: Tipografia Pasquali - Fornace (TN)

Un Islam tradizionale di orientamento hanafita, amalgamato con tradizioni sufi profondamente radicate; quindi minoranze sciite, cristiani – prevalentemente ortodossi, ma anche cattolici e protestanti – buddhisti, nonché seguaci di altri culti tradizionali... Insomma, una complessità che avrebbe reso assai probabile l’eventualità che, al crollo dell’URSS e con il conseguimento dell’indipendenza nazionale, il Kazakhstan implodesse e fosse 

dissanguato da strazianti conflitti civili, fomentati da influenti interessi stranieri. 

E invece non è stato così. Tanto che oggi la Repubblica del Kazakhstan non solo presenta una situazione di stabilità politica invidiabile, ma sta conoscendo un crescente sviluppo economico e sociale. Una ormai lunga, stagione di prosperità che rende palese come, il processo di un moderno State Building si trovi, ormai, in una fase molto avanzata. Stabilità garantita, anche, dall’equilibrio con cui i governanti di Astana si sono mossi in questi anni sui delicati scenari geopolitici dell’area, intrattenendo eccellenti rapporti con la rinascente potenza russa – e con la Russia il Kazakhstan è il principale promotore della nuova Comunità Economica Eurasiatica – senza che però questo impedisse loro di mantenere altrettanto buoni rapporti con Washington da un lato e Pechino dall’altro. Ciò ha fatto del Kazakhstan un raro fulcro di stabilità ed equilibrio in una regione in continua metamorfosi, tanto che Astana ha di volta in volta assunto dei ruoli sempre più rilevanti di mediatrice nei conflitti regionali, in particolare nel caso, recentissimo, delle tensioni fra Kirghizistan ed Uzbekistan, paesi confinanti con i quali sta anche promuovendo un’area di libero scambio. 

Le ragioni di questo successo vanno ricercate sin dal 1991, dalle origini dell’Indipendenza kazaka, nella guida illuminata del Presidente della Repubblica Kazaka , Nursultan Nazarbayev (nella foto della pagina precedente, ndr.), il cui intento fin dall’inizio è stato quello di costruire in Eurasia un unico grande spazio aperto ad un nuovo modello di mondo: multipolare, equilibrato, democratico, pluralista, 

[dalla prima pagina] 

 improvvisamente l’indipendenza erano – e ancora, dopo vent’anni, rimangono – dei mosaici etnici e culturali complessi. Intrecci di etnie, di religioni, lingue e culture fino a quel momento tenuti insieme dal potere coercitivo del regime. 

Il caso Kazakhstan. Le ragioni di un processo riuscito di State Building  

Completamente diverso il panorama che invece presenta oggi, a quasi vent’anni dall’indipendenza, il pur vicino Kazakhstan. Sospeso tra Europa ed Asia, uno dei territori più estesi del mondo – ben 2,7 milioni di chilometri quadrati – ancorché con una popolazione “solo” di 15 milioni di abitanti, il Kazakhstan presenta un lunghissimo confine con la Russia, lambendo da una parte la regione caucasica e la Cina, dall’altra. Mentre a sud, confina ancora con le altre repubbliche dell’Asia Centrale ex‐sovietica, Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan, affacciandosi sul Mar Caspio. 

Il PIL annuo pro capite è di oltre 1500 $ statunitensi, ma in decisa crescita, tanto che secondo gli indicatori economici il Kazakhstan in prospettiva potrebbe diventare uno dei paesi con il più alto reddito medio al mondo. In questo è certamente favorito dal fatto di possedere entro lo scrigno del suo vasto e variegato territorio circa il 60% delle riserve minerarie dell’ex‐URSS, e, in particolare i più importanti giacimenti di petrolio e gas naturale fuori dal’area del Golfo Persico; ricchezze cui si aggiunge una ricca economia agricola – che impegna circa il 20% del territorio, oltre che fondata sull’allevamento. 

Ricchezze, però, che da sole non bastano a spiegare il diverso destino del Kazakhstan rispetto ad altri paesi dell’Asia Centrale ex‐sovietica, la sua stabilità interna, nonché il crescente sviluppo industriale che sta vivendo. Anche perché tali “fortune”, in particolare il petrolio, avrebbero potuto anche qui trasformarsi in causa di conflitti e tensioni. In una vera e propria maledizione, come purtroppo si è verificato, e si continua a verificare, altrove. Perché anche il Kazakhstan, oltre ad essere situato nelle dirette vicinanze di alcune delle aree di maggiore criticità del mondo – dal Caucaso al non lontano Afghanistan, senza dimenticare il tormentato Turkestan cinese (o Xinjiang, che dir si voglia) – è anche costituito da un mosaico etnico e culturale estremamente complesso. 

Il Kazakhstan infatti è caratterizzato dalla compresenza al proprio interno di ben 140 gruppi etnici distinti, con i Kazaki, quale gruppo etnico più numeroso e “nazionalità titolare” della repubblica, che costituiscono il 60% della popolazione, seguiti dall’impor‐tante componente russa (dal 22% al 25%) abitante prevalentemente nel nord e nella vecchia capitale Alma Aty, e da altre nazionalità come Ucraini, Uzbeki, Uighuri, Tajiki, Tedeschi e Coreani. Queste ultime due nazioni discendenti dalle popolazioni ivi deportate da Stalin negli anni ’30 e’40. E accanto alle etnie anche diverse religioni, fra cui maggioritaria è quella islamica. 

pacifico e prospero. In tale senso si può veramente affermare che egli abbia incarnato un archetipo, quello dello spirito della Grande Steppa, manifestatosi alla guida di una nazione affascinante, giovane ed in rapido sviluppo. Il ruolo di Nursultan Nazarbayev nella realizzazione di questo progetto è effettivamente stato unico ed insostituibile. 

Sin dai primi anni post‐sovietici, il nuovo gruppo dirigente del Kazakhstan ha saputo 

evitare i rischi di un nazionalismo etnico troppo spinto, puntando, invece, sulla costruzione di un’identità nazionale capace di armonizzare le molte differenze e di portare tutte le diverse etnie a sentirsi parte di un unico “popolo”. Processo che si è snodato, prima, attraverso una Costituzione, che ha cercato di conciliare le nascenti istituzioni democratiche e parlamentari con una guida comune, atta ad evitare una frammentazione della politica su base etnica. Ovvero quella frammentazione che, come abbiamo visto, costituisce ancora uno dei principali problemi del vicino Kirghizistan. Quindi, favorendo una politica della coesistenza tra le diverse etnie e religioni, fondata sui principi della tolleranza e dell’armonia, teorizzati nella “Dottrina dell’Unità Nazionale del Kazakhstan”, promulgata dallo stesso Nazarbayev in più occasioni, e ancora ridefinita e chiarita nell’omonimo documento del 2009, all’atto dell’assunzione della Presidenza dell’OSCE che ha rivestito per il 2010. Un traguardo importante ed ambizioso, un passo in avanti la cui emblematicità non è di poco conto per questo paese rappresentativo dell’intera compagine turcofona ed eurasiatica, nonché crocevia nevralgico fra l’Est e l’Ovest del mondo. Un altro primato conseguito dal Kazakhstan, attraverso il conseguimento di questa presidenza, è quello di essere stata la prima fra le ex repubbliche sovietiche ad assumere questo ruolo di guida alla testa delle 56 nazioni rappresentate dall'OSCE, nonché la prima fra le nazioni in cui la fede dominante è quella islamica. 

La Dottrina dell’Unità Nazionale invece sancisce come il centro, o meglio il vero 

“cuore” dell’identità kazaka debba essere rappresentato non da una qualche specifica appartenenza etnica/tribale, bensì dal sentirsi tutti parte di un’unica comunità nazionale. Ovvero di un unico “popolo” pur fondato su molteplici culture, lingue, religioni distinte, il cui motto è “Unità nella diversità”. 

Tanto che tutti gli indicatori ed osservatori internazionali riconoscono oggi nel Kazakhstan un paese che sta edificando 

istituzioni democratiche sempre più “aperte”, e con un alto grado di rispetto dei 

diritti umani e civili. Cosa che ha, per altro, permesso ad Astana – il cui governo è stato fra i primi a rinunciare all’armamento nucleare ereditato dalla stagione sovietica ‐ di assumere ruoli di crescente importanza per gli equilibri di tutta l’Asia Centrale, e di mantenersi sostanzialmente immune dai contagi dei fondamentalismi etnici e religiosi che tormentano il resto della regione. Il Kazakhstan è un paese che rappresenta un fulgido modello di sintesi fra tecnologia occidentale e cultura orientale, divenuta un imperativo categorico concreto. In politica estera il Kazakhstan sia sta muovendo su una linea multi‐vettoriale, ispirata fra l’altro, ai principi della tolleranza, dello sviluppo interculturale e dell’armonia interreligiosa. In altre parole, un Paese, maturo per muovere il 

passo dal paradigma della competizione globale al paradigma della responsabilità globale. 

Un’interessante quanto positiva esperienza politica di armonizzazione che potrebbe ispirare la stessa Europa, in una fase di stallo da questo punto di vista, attraversata da acerrime discussioni circa le contraddizioni fra integrazione interstatale, immigrazione e necessità di salvaguardare le specificità e le identità. 

Estendo quindi, da parte mia, un auspicio al Kazakhstan di continuare su queste direttive ricordando il proverbio kazako spesso citato dallo stesso Presidente Nazarbayev che recita: «Бірлік болмай ‐ тірлік болмас» (senza unità non vi può essere vita). 

Le ricchezze del Kazakhstan da sole non bastano a spiegare il diverso destino

del Paese rispetto ad altri dell’Asia Centrale ex-sovietica, la sua stabilità

interna, nonché il crescente sviluppo industriale che sta vivendo.

Il presidente Ermanno Visintainer premiato dal Rettore dell’Università di Astana

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Film del 2006, scritto e diretto da Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore del Premio Oscar per il miglior film straniero. 

Il dramma – confronto con la storia della DDR e indagine sullo scenario culturale della Berlino Est, controllata dalle spie della Stasi (Ministero per la Sicurezza dello Stato), temuto organo di sicurezza e spionaggio interni – è il lungometraggio di debutto del regista e sceneggiatore Florian Henckel von Donnersmarck. È il terzo film tedesco a centrare l'Oscar quale miglior film straniero, dopo Il tamburo di latta (Die Blechtrommel) (1980) e Nowhere in Africa (Nirgendwo in Afrika) (2003). 

Berlino Est 1984: il capitano della Stasi Gerd Wiesler, nome in codice "HGW XX/7", deve spiare e tenere sotto controllo Georg Dreyman, famoso scrittore di teatro (è l'unico intellettuale tedesco‐orientale che viene letto ed apprezzato anche all'Ovest), nonché amico personale di Margot Honecker. Intellettuale di spessore, non troppo in linea con l'ideologia del regime. 

Il capitano ‐ spia ritiene sia utile tenerlo d'occhio, non sospetta minimamente i fini del regista dello spionaggio, il ministro della Cultura Bruno Hempf. 

Con precisione scientifica Wiesler s’organizza, spronato e stuzzicato da un’allettante ipotesi di promozione: l’appartamento dello scrittore si trasforma in un grande orecchio. 

Wiesler è single, senza una vita privata, spiando la coppia di artisti, è introdotto nel mondo dell'arte e dello spirito libero. E’l’inizio della metamorfosi; mentre vigila l'appartamento, durante la festa di 

compleanno di Dreyman, la spia registra la presenza di Albert Jerska – regista amico, già da sette anni colpito dal divieto di dirigere in teatro, causa le sue idee politiche: Jerska legge Bertolt Brecht. La scintilla: Wiesler ruba il volume ed inizia a leggerlo segretamente, ne rimarrà folgorato. 

Jerska, stanco di non poter più lavorare, si suicida: Georg Dreyman cambia, per sempre, opinione sul regime. Dopo aver suonato la sonata per pianoforte Die Sonate vom guten Menschen (regalo di Jerska per il suo compleanno), Dreyman decide di fare qualcosa per ribellarsi alla società in cui vive. Contemporaneamente, sotto l'azione della vita degli altri, Wiesler si sottrae sempre più all'incarico di trovare materiale compromettente sullo scrittore. I suoi resoconti diventano irrilevanti. Così non è per Dreyman: con una macchina per scrivere portata a Berlino Est, clandestinamente, da un giornalista della rivista tedesco‐occidentale Der Spiegel, Dreyman scrive un saggio micidiale. Argomento? La percentuale sorprendentemente alta – tenuta segreta dalle autorità – di suicidi nella DDR. 

Lo scoop esce sullo Spiegel: Wiesler non fa nulla per ostacolarlo, anzi, protegge indirettamente Dreyman cercando di insabbiare l'intrigo il più a lungo possibile.  

Ma l’escalation di emozioni e suspense è solo all’inizio: le pressioni ai danni della compagna dello scrittore rischiano di far venire tutto a galla: lo spionaggio si chiude così come l’attività della famigerata Stasi. Un cammeo cinematografico chiude la pellicola. 

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Una serata magica, crogiuolo di  lettura e musica, ha  baciato  il  Teatro  Don  Bosco  e  gli  oltre  200 spettatori presenti, sabato 29 gennaio, all’evento: MARIO RIGONI STERN: Omaggio al Sergente nella Neve. Evento  voluto,  strenuamente,  dal  Centro  Studi Vox Populi, per  ricordare   una  figura  importante del ‘900. Testimone  di  due  guerre,  cantore  della  natura  e del bosco. Grazie alla passione del professor Piero Leonardi, lo  spettatore  è  stato preso per mano, avvicinato all’uomo e allo scrittore Rigoni Stern. All’evoluzione  di  un  giovane  che,  travolto  dalla tragedia  della  guerra,  ha  saputo  trovare,  anche nell’immane  sacrificio,  aspetti  umani    altamente 

Omaggio al Sergente nella Neve

di VXP

DDR e Berlino Est nel film scritto e diretto da Florian Henckel

morali,  e  che  successivamente,  ritornato  ai  suoi monti,  ha  ritrovato  in  essi,  negli  alberi,  negli animali,  le  ragioni  non  soltanto  del  vivere,  ma anche quelle del comunicare agli uomini  il senso e la bellezza dell’esistere. Letture e dialoghi cesellati dal Coro Genzianella di Roncogno di Pergine, padre di  atmosfere pregne ed  indimenticabili,  quelle  che  solo  una  grande corale sa distillare. Il  regalo  migliore  di  un  sodalizio,  al  suo cinquantesimo anniversario di attività, diretto dal giovane  ed  assai  promettente  maestro  Andrea Fuoli. E così hanno preso vita i personaggi degli scritti di Rigoni  Stern,  di  Giuanin,  del  suo  desiderio, irrealizzato,  nelle  steppe  della  Russia  di  tornar  a baita. Scrigno di semplicità e di abitudini.  Della rincorsa, metodica e sistematica del giorno al giorno, ossia Vita. Di  ufficiali  sorridenti  e  caduti,  di  fratellanza  e  di rispetto. Di piante, testimone muti dell’infinita rincorsa del tempo, custodi di segreti e saggezza. Elemento che, forse, questi Tempi Moderni, con  il loro  vorticoso  turbinio  stanno  depredando all’Uomo Moderno. Orfano  antico,  di  arcaico  sapere  e  di  arcaico sentire. 

A.M. 

Il film è stato insignito di numerosi premi: 

• Germania (Deutscher Filmpreis nel 2006, in 7 categorie su 11 nomination); 

• Baviera (Bayerischer Filmpreis, in 4 categorie); 

• Europa (European Film Awards, in 3 categorie).  La Vita degli Altri ‐ Das Leben der Anderen ‐ di Florian Henckel, Germania, 2006 

L ’ A N G O L O D E L L A C U L T U R A

Sguardi a Oriente  Sulle rotte fra l’Europa e  la  Cina    In  questo  periodo, particolarmente  intenso  e  vivace,  da segnalare:    «Dalla  seta  alla  porcellana. Duemila  anni  di  relazioni  tra  Europa  e Cina»,  a  cura  dal  Centro  studi  Martino Martini.  La mostra,  inaugurata  venerdì  11 marzo presso  le  sale  del  Museo  tridentino  di scienze  naturali  in  Trento,  ha  lo  scopo, centrato,  di  illustrare  la  nascita  e l’evolversi,  nei  secoli,  dei  rapporti  tra Oriente e Occidente. Rapporti  alla  base delle  grandi  vie  di c o m u n i c a z i o n e , terrestri  e  marittime, su  cui  si  son  potuti veicolare  prodotti fondamentali  per scambi  economici  e culturali. R e l a z i o n i straordinarie,  sospese tra mito  e  leggenda,  “…  l’Asia  par  che dorma, ma  sta  sospesa  in  aria…”    ,  tra Occidente  ed  Oriente,  pietre  miliari dell’umanità,  dei  rapporti,  costruiti  e sviluppati  attraverso  il  dialogo,  lo scambio e il confronto fra civiltà diverse, costruiti,  pietra  su  pietra,  attraverso l’evoluzione ed  il perfezionamento della Tecnica,  in  senso  lato,  ossia  capacità unica,  dell’Essere  Umano,  di  pensare, studiare  e  concretizzare  situazioni  e strumenti  atti  allo  sviluppo  del  genere umano.  La  mostra  si  articola  su  tre  vie:  la  via della seta, la via delle spezie e la via della porcellana.  Mercanti,  leggendarie,  al limite  del mito,  figure  umane  a  dare  la rotta. Per terra, per mare. Da Est, padre e madre del Sole, su carovane alla mercé 

Sulle rotte fra l’Europa e la Cina

di  impervietà  orografiche  ed  umane, esportatori  nonché  importatori  dello spirito dl commercio. Spirito  della  Serenissima  Repubblica  di San Marco.  Protagonista,  di  primissimo piano, delle relazioni Europa – Cina. Seta,  spezie  e  porcellana,  precursori  di rapporti  diplomatici  di  moderno orientamento  (basti  pensare  al  ruolo strategico  per  il  disgelo  Americano  – Cinese,  negli  anni  ’70 del  secolo  scorso,  della Coca Cola). 

La  mostra  offre  al v i s i t a t o r e   u n coloratiss imo   ed a r t i c o l a t i s s i m o tourbillon  di  oggetti: splendide  porcellane, sculture, abiti e  tessuti in  seta. Oggettistica  di u s o   a b i t u a l e , accompagnata,  però, con  un  occhio  di riguardo,  da  strumenti 

scientifici, astronomici e nautici. I protagonisti, muti e spesso dimenticati, dei  viaggi e della gesta dei  viaggiatori  – mercanti,  illustrate  da  puntuali  e dettagliati  pannelli  illustrativi,  con  cui  il visitatore può conoscere Marco Polo ed i massimi   viaggiatori   portoghesi, passando  per  la  Compagnia  Olandese delle  Indie  Orientali,  multinazionale  del commercio,  nel  periodo   d’oro dell’espansionismo d’Olanda.  La  mostra  si  chiude  con  una  sezione dedicata  alla missione  gesuitica  in  Cina, con  attenzione,  particolare  al  campo degli  studi,  in  cui,  con  capacità  e strumentazione  d’avanguardia,  la Compagnia  di  San  Ignacio  de  Loyola riuscì  a  caratterizzarsi,  per  le  molte innovazioni. 

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nel corso di decenni, rispetto a un territorio 

transfrontaliero e sopranazionale, come il Trentino, che Carlin ha conosciuto bene 

È un estimatore del segno grafico, Fiorenzo Carlin. Si cimenta nel disegno dal vero, quello del bianco e del nero, con ampie concessioni alla citazione della fotografia, sia nella sua migliore espressività tecnica, sia con muto riguardo alla sua valenza simbolica e documentaria. Segue coraggiosamente il solco della tradizione. Le sue superfici sono assorbenti, traslucide, come quei vetri opalini che, una volta investiti dal caleidoscopio delle luci esterne, ne riflettono i tratti essenziali e lo trasformano nel decoro quasi sovrannaturale di una stanza. Non è una stanza qualsiasi. È il riparo, lo spazio intimo, il rifugio di una persona che ha saputo educare il pneuma fantastico. “Parva sed adapta mihi”. Carlin agisce nel contemporaneo come un navigante esperto: i suoi lavori sono disegni accurati, isole di una mappa interiore nella quale l’uomo sa sempre dove, come e perché si colloca.  Il soggetto da citazione si trasmuta silenziosamente in testo critico, esperito 

L ’ A N G O L O D E L L ’ A R T E

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di PAOLO ZAMMATTEO

Luoghi e riferimenti nell’opera di Fiorenzo Carlin

Romantik Hotel Posta 1899 – Ca’ dei Boci Ospitalità, confort e qualità per tradizione. 

 Montagnaga,  piccolo  angolo  di  mondo  alpino,  incastonato  nell’Altopiano  di  Pinè,  terra  trentina semplice  e  genuina  dove,  da  più  di  un  secolo,  la  famiglia  Leonardelli  garantisce  accoglienza, ristorazione ed ospitalità; proprietaria, da più generazioni, dell’Hotel Posta  1899, autentica gemma a quattro stelle, prospiciente il famoso ed assai frequentato Santuario Mariano, mèta di pellegrinaggi. La famiglia può vantare un record: sin dal 1899 gestisce l’Hotel Posta – Ca’ dei Boci.  La  struttura è  stata oggetto di un  importante e  curato  restyling,  con un occhio di  riguardo  all’arte. Grazie  alla  suggestiva  “Caneva  dei  Boci”,  sede  del  Club  “Slapaben  (e  bevi mejo)”,  infatti,  sono  a disposizione degli  spazi a  rotazione per mostre di quadri ed esposizioni  fotografiche, dimostrazione della sensibilità e della cura dedicata dai proprietari al connubio tra espressioni artistiche e cucina. Un palco in pietra nella sala, novella Agorà, consentirà a poeti e musicisti di potersi esprimere, dilettando il pubblico in occasioni particolari.   Nella  splendida  taverna  sotterranea  i  fratelli  Leonardelli  hanno  voluto  ringraziare,  con  semplicità  e profondità,  tutte  le  manovalanze  che,  con  il  loro  lavoro,  hanno  contribuito  alla  realizzazione dell’impresa. Le Mani dei Santi dell’artista Fiorenzo Carlin. Mani callose, ruvide, madri d’operosità. La famiglia  Leonardelli  offre  rispetto  assoluto  della  tradizione  culinaria,  al  passo  coi  tempi,  in  una continua e metodica evoluzione di proposte. È partner del progetto Wine Blog; Ca’ dei Boci è membro, della prima ora, del Club delle Osterie Trentine;  importante  il connubio: menu rispettosi dei prodotti del territorio, ricette estremamente semplici accompagnate da una cantina di livello. Oltre 700 etichette di vini, dalla Toscana, Piemonte, Sicilia e di cui 300 del Trentino Alto Adige‐Südtirol. Con un occhio di assoluto riguardo al Teroldego, Achille, chef e contitolare ha le idee chiare in merito. “Ci  credo molto  in  questo  nostro  vino,  ha  tutte  le  credenziali  per  poter  diventare  il  Brunello  del Trentino”. Parola di Chef!  Per informazioni Ca' dei Boci ‐ Via Domenica Targa, 1 38040 frz. Montagnaga Baselga di Pinè, (TN) Tel: 0461 558322 ‐ Fax: 0461 558952 E‐mail: [email protected] 

Fiorenzo Carlin  Arte,  che  passione!  Sembra  proprio  essere  il  caso  dell’artista  perginese Fiorenzo Carlin, classe 1950. Ex dirigente della Cassa Rurale perginese, ora in pensione, vive e lavora a Pergine.   Passionaccia per la musica fin da giovane (batterista dei mitici Black Hawks), ora apprezzato pittore. Buon conoscitore dell’arte  pittorica,  disciplinata  dalla  frequentazione  di  un  master  presso l’Accademia  di  Belle  Arti  Cignaroli  di  Verona,  non  si  rifà  a  nessun  filone artistico: ama dipingere solo ciò che gli piace e che gli crea emozione. Molto impegnato nel sociale, gli rimane sempre poco tempo per dipingere e per far conoscere le proprie opere (mostre partecipate:  Metropolis – VR; Biblioteca Baselga  di  Pinè  –  TN;  Barycentro  –  TN;  Festival  Sicurezza  Pergine  –  TN;  A memoria d’Arte 2 – VR). La sua pittura è molto materica ed espressiva, con colori originali e ben mixati.  

nella sua lunga carriera lavorativa come 

responsabile del credito cooperativo. Perciò la Wunderkammer, tratteggiata da 

Fiorenzo Carlin, può essere trasferita idealmente, formalmente e sostanzialmente alla rappresentazione del fondamento culturale del territorio cui si ispira e cui rivolge costante attenzione. Un fondamento interpretato nella sua dimensione più nobile. Un ultimo rilievo va rivolto proprio all’equilibrio interpretativo, certamente molto solido nel gestire il rapporto “apparente” fra imitazione del reale (estremamente curata) e finzione, nel segno della scelta compositiva, del montaggio, della rarefazione dei contorni e del colore nel mentre che scompare. Si è di fronte al solito enigma: l’arte, come spazio mentale estremo della fantasia, uccide la realtà? Oppure è il caso che la imiti? Ebbene, Carlin riesce a trasportare l’esercizio grafico fino sulla soglia fra i due elementi, dove la finzione può essere sia imitazione sia pura fantasia: 

due categorie solo “apparentemente” contrastanti, ma in effetti complementari. 

Per suggerimenti e segnalazioni CP 113 - Ufficio Postale di Pergine