IL FUNERALE - Grazzanisestoriaememoria.it · spavento, soprattutto quando parlavano dei segni...

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IL FUNERALE Parlare del funerale significa parlare di qualcuno che é morto, e questo angoscia. Il funerale è celebrato secondo gli usi, costumi e le credenze di ogni comunità. Devo dire che è difficile affrontare l’argomento non potendomi spaziare nelle ricerche in ambito locale senza tener conto di rinnovare afflizioni nel prossimo. A causa della scarsa documentazione in mio possesso, posso soltanto offrire un quadro sintetico di questa tradizione popolare che, tra l’altro, si presenta abbastanza complessa e condizionante perché legata ai luoghi e al vissuto delle persone. Mi limiterò a divulgare delle foto e qualche documento d’epoca che evidenzia, certamente non in modo esaustivo, le trasformazioni avvenute nel tempo riguardo alle consuetudini legate all’argomento. Divulgo, pertanto, un documento di famiglia evitando di causare inconvenienti. Ricordo che quando morì mia nonna, il 19 giugno del 1956, negli ultimi istanti di vita, diverse donne attorniavano il suo letto, tra le quali mia zia e tutte come una musica di sottofondo, sommessamente, recitavano il Santo Rosario. A un certo punto un fortissimo urlo disperato interruppe le preghiere e s’iniziò un fare concitato: persone che aprivano il guardaroba e i cassetti del comò per prendere ciò che serviva per l’occasione, altre iniziarono un via vai tra il piano di sotto e quello di sopra, chi portò una bacinella d’acqua, chi coprì i mobili con lenzuola bianche, chi si apprestò alle pulizie di casa. Un altro gruppo si occupò di lavare e vestire l’estinta. Gli uomini, in attesa nella stanza contigua, inerti e affranti, accennavano appena a un pianto, ma con contegno. La porta che separava la parte maschile da quella femminile all'improvviso fu chiusa e per almeno un’ora nessuno poté accedere nella camera della scomparsa. Poi, in un silenzio totale, l’uscio fu riaperto e la salma fu trovata vestita con abiti e scarpe nuovissimi, un rosario fra le mani e una fascia annodata sulla testa che servì a evitare che la bocca si aprisse, un’altra banda legava i piedi. Intanto qualcuno badò a spalancare il portone di casa per consentire alla gente di accedere liberamente nell’abitazione. Di lì a poco si udì suonare il campanone della Chiesa che diffuse nell’aria lenti e modulati rintocchi. Suonò a morte! Trascorso poco più di un’ora, già nel cortile era presente una moltitudine di persone. Man mano

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IL FUNERALE

Parlare del funerale significa parlare di qualcuno che é morto, e questo angoscia. Il

funerale è celebrato secondo gli usi, costumi e le credenze di ogni comunità. Devo

dire che è difficile affrontare l’argomento non potendomi spaziare nelle ricerche in

ambito locale senza tener conto di rinnovare afflizioni nel prossimo. A causa della

scarsa documentazione in mio possesso, posso soltanto offrire un quadro sintetico di

questa tradizione popolare che, tra l’altro, si presenta abbastanza complessa e

condizionante perché legata ai luoghi e al vissuto delle persone. Mi limiterò a

divulgare delle foto e qualche documento d’epoca che evidenzia, certamente non in

modo esaustivo, le trasformazioni avvenute nel tempo riguardo alle consuetudini

legate all’argomento. Divulgo, pertanto, un documento di famiglia evitando di

causare inconvenienti. Ricordo che quando morì mia nonna, il 19 giugno del 1956,

negli ultimi istanti di vita, diverse donne attorniavano il suo letto, tra le quali mia zia

e tutte come una musica di sottofondo, sommessamente, recitavano il Santo Rosario.

A un certo punto un fortissimo urlo disperato interruppe le preghiere e s’iniziò un

fare concitato: persone che aprivano il guardaroba e i cassetti del comò per prendere

ciò che serviva per l’occasione, altre iniziarono un via vai tra il piano di sotto e quello

di sopra, chi portò una bacinella d’acqua, chi coprì i mobili con lenzuola bianche, chi

si apprestò alle pulizie di casa. Un altro gruppo si occupò di lavare e vestire l’estinta.

Gli uomini, in attesa nella stanza contigua, inerti e affranti, accennavano appena a un

pianto, ma con contegno. La porta che separava la parte maschile da quella femminile

all'improvviso fu chiusa e per almeno un’ora nessuno poté accedere nella camera

della scomparsa. Poi, in un silenzio totale, l’uscio fu riaperto e la salma fu trovata

vestita con abiti e scarpe nuovissimi, un rosario fra le mani e una fascia annodata

sulla testa che servì a evitare che la bocca si aprisse, un’altra banda legava i piedi.

Intanto qualcuno badò a spalancare il portone di casa per consentire alla gente di

accedere liberamente nell’abitazione. Di lì a poco si udì suonare il campanone della

Chiesa che diffuse nell’aria lenti e modulati rintocchi. Suonò a morte! Trascorso

poco più di un’ora, già nel cortile era presente una moltitudine di persone. Man mano

che le ore si susseguivano, sia la stanza dove sostavano i maschi, sia quella dove

giaceva la morta, si gremì di amici e parenti che rimasero, chi in piedi, chi seduto in

cerchio su sedie addossate alle pareti. Nella camera ardente iniziò un piagnisteo

accompagnato da altre voci di donne intente a porre in evidenza, con tono cadenzato e

piagnucoloso, le vicende e le scelte di vita compiute dalla deceduta. Di lì a poco,

l’incaricato delle onoranze funebri, allestì la camera ardente con ceri, fiori e un

crocifisso. Verso sera, prima dell’inizio della veglia, per terra, ai piedi del letto, fu

posto un bacile colmo d’acqua con accanto una candela accesa; questo perché

all’epoca si credeva che durante la notte l’anima della morta vagasse per la stanza in

cerca di purificazione. Nella camera della defunta, durante la veglia vi fu un

intercalare tra preghiere, argomentazioni di vario genere e racconti che suscitavano

spavento, soprattutto quando parlavano dei segni premonitori della morte, come il

verso della civetta sul tetto di una casa, o quando rappresentavano la morte

descrivendola come una vecchia scheletrita, tutta vestita di nero e munita di falce. Mi

rimane impressa l’affermazione di Zia Carmela, una vecchierella, nostra vicina di

casa e amica di mia nonna: «Nuie, quanne murette papà ce mettereme assai paura

pecché senterem’ e rusecà u tarle dint’e trave e u lume se steve quase pe stutà». (Noi,

quando morì papà, sentimmo rosicchiare il tarlo nelle travi e il lume si stava quasi

spegnendo). Preciso che le nostre case dell’epoca erano strutturate con solai costruiti

con travi di legno, pavimentazione con mattonelle di creta, scarsa luminosità e in

molti casi obsolete per cui gli ambienti non si presentavano funzionali e confortevoli

come quelli attuali. Lascio all’immaginazione di ciascuno lo scenario creatosi quella

notte durante la veglia. Nell’altra stanza i discorsi degli uomini vertevano su

argomentazioni inerenti al lavoro, la campagna e su altri episodi di vita generici. Di

tanto in tanto arrivavano termos pieni di cappuccini o caffè, alcuni recati direttamente

dalle persone, altri inviati dai bar locali, in questo caso, un bigliettino di condoglianze

era recapitato insieme al “Ristoro”. Come di prassi, il funerale ebbe luogo dopo

ventiquattro ore. Giunta l’ora della dipartita, il parroco, accompagnato da due

chierichetti, di cui, uno reggeva una candela e il secchiello contenente l’acquasanta e

l’altro un crocifisso, eseguì la benedizione. Durante le preghiere, gli addetti delle

onoranze funebri badarono agli adempimenti del caso. Fuori di casa, lungo la strada,

era già tutto pronto: una lunga fila di corone di fiori e cuscini, la confederazione della

Congrega, il gruppo degli orfanelli, le Suore, le donne del Sacro Cuore, una folla di

persone, il carro funebre con cavalli e qualche auto addobbata a lutto con velo nero

sistemato sulla parte anteriore del cofano. Nel momento in cui fu portata fuori la

cassa con l’estinta, si generarono confusione e pianti angoscianti; fu quello l’inizio

tragico del distacco. Raggruppato e avviato il corteo per raggiungere la Chiesa ritornò

il silenzio. Giunti in Chiesa, la bara fu collocata su un catafalco (alto tre metri circa)

preparato per l’occasione, quindi iniziò la celebrazione della Santa Messa esequiale.

Devo dire che anche in quest’occasione, lo scenario creatosi all’interno della Chiesa

(l’addobbo, il fumo e l’odore dell’incenso emanato durante la benedizione della bara)

m’incussero paura. Eseguita la Santa Messa, fu letto un elogio da parte di un amico di

famiglia. Terminata la funzione, si ricompose il corteo che percorse via tre Grazie,

via Annunziata, via Cesare Battisti e una volta giunto al ponte di “Zi Paolo” cioè il

punto d’incrocio tra la via Cesare Battisti e Via San Leucio, dopo che la bara fu

caricata sul carro funebre per essere condotta al cimitero, il seguito si smembrò e le

auto addobbate a lutto che avevano seguito la sfilata ricondussero i parenti a casa

perché potessero ricevere le condoglianze. Le visite di condoglianze si prolungarono

per otto giorni, durante i quali, nessuno della famiglia uscì da casa fino al dì della

Messa in Suffragio alla quale parteciparono persone di famiglia e amici. Al termine

della Messa, un’anziana donna distribuì a tutti i presenti una prece. In tutti questi

giorni, i congiunti più stretti, a turno, prepararono “U Cuonsolo” che consisteva in un

vero e proprio pranzo. Per un lungo periodo, almeno sei mesi, non si ascoltò la radio

in casa, né si poté partecipare a festeggiamenti di qualsiasi natura. Riguardo al lutto,

mia zia Gaetanina, figlia della defunta nonna, indossò abito, calze e scarpe nere che

poi avrebbe portato per dieci anni. I suoi fratelli di nero indossarono: cravatta, calze

e scarpe, un nastrino al bavero della giacca e una fascia al braccio che avrebbero

portato per sei mesi. Per noi piccolini solo un bottone nero.

Le foto e documenti che seguono, descrivono l’allestimento e lo svolgersi di

alcuni funerali susseguitisi nel tempo.

DOCUMENTI D’EPOCA

Un documento del 22 giugno 1892 (Partecipazione lutto)

Manifesto pubblico

Prece

Bigliettino condoglianze

FUNERALE ANNI 50

Via Giovanni Parente, dalla casa dell’estinta in Chiesa

Prosieguo via Giovanni. Parente

Catafalco dove si collocava la bara per la Santa Messa (alto circa tre metri)

Carro funebre, uscita dalla Chiesa e avvio verso il cimitero

Corteo in Piazza San Giovanni

Via Annunziata

ACCOMPAGNAVANO IL CORTEO:

Oltre al Parroco con i chierichetti, le Suore, la

Congrega, il Gruppo dei piccoli orfanelli, Le

donne del Sacro Cuore.

Le corone e i cuscini erano portati a mano

Via Cesare Battisti

Il carro avanza tra la schiera di fiori per trasportare la salma al cimitero

In via Cesare Battisti, nei pressi dell’incrocio con via San Leucio si scioglieva il corteo

FOTO FUNERALE ANNI 70

I serti di fiori sono trasportati dalle fioriere

Il catafalco è sostituito da un piccolo palchetto.

*

Gli addobbi non si presentano più con il pesante colore nero funereo.

ANNI 80

Tragitto da casa dell’estinto in Chiesa bara trasportata a spalle

La bara poggiata solo su due cavalletti

Dalla Chiesa al cimitero non più a spalle

Per ovvie ragioni i volti sono stati oscurati

DALLA META’ DEGLI ANNI 80 IN POI

LE TRASFORMAZIONI

*

IL CATAFALCO - ELIMINATO

GHIRLANDE E CUSCINI - SULLE AUTO FIORIERE

IL CARRO FUNEBRE - UN’AUTO

IL CARRO A CAVALLI - RARAMENTE UTILIZZATO

LA BANDA - ABOLITA O RARAMENTE PRESENTE

IL LUTTO - CAMBIATO

MOLTE CREDENZE POPOLARI - SUPERATE

I PIANTI - CONTENUTI

LE CONDOGLIANZE - UN GIORNO

I “CUONSOLI” - LIMITATI E/O DEL TUTTO ABOLITI

Concludo questo breve trattato sottolineando che la ricerca ha voluto riportare alla

memoria una tradizione significativa della nostra comunità alla quale i nostri avi

hanno fortemente creduto.

Ricerca Prof. Francesco Parente