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Un ‘sommario’ della Città di vita di Matteo Palmieri Alessandra Mita Ferraro «SENZA AVER PENNE NON SI PUÒ VOLARE» Le Lettere

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Un ‘sommario’ della Città di vitadi Matteo Palmieri

Alessandra Mita Ferraro

«SENZA AVER PENNENON SI PUÒ VOLARE»

Le Lettere

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I

IL MANOSCRITTO MODENESE CAMPORIAPP. 211 = GAMMA S 5 28 E GLI ALTRI MANOSCRITTI

DELLA TRADIZIONE TESTUALE

La Città di vita è l’ultimo grande momento creativo di MatteoPalmieri, quando si fece, come dice Marsilio Ficino, poeta teologo1.Il suo alacre impegno e la dedizione alla vita pubblica, che ne fe-cero uno degli uomini chiave del regime mediceo ai tempi di Co-simo, di Piero e di Lorenzo, si accompagnarono sempre ad unaproduzione intellettuale che quell’impegno e quella dedizione ri-specchiavano, e le opere che realizzò risposero sempre perfetta-mente al clima politico e alle necessità di Firenze2.

Il manoscritto Gamma S 5 28 del Fondo Campori della Biblio-teca Estense di Modena che qui presento è uno dei 5 testimoniche tramandano il testo della Città di vita. Si tratta in realtà diuna sintesi redatta negli ultimi due decenni del Quattrocento checomprende un sommario del poema, alcuni capitoli affiancati dalcommento latino di Leonardo Dati e dalla Canzone Morale diLeonardo Bruni3.

1 L’espressione si legge in una lettera scritta da Ficino nell’aprile del 1474a Palmieri, riportata da A. DELLA TORRE, Storia dell’Accademia platonica diFirenze, Firenze, Carnesecchi, 1902, rist. anast. Torino, Bottega d’Erasmo,1968, pp. 492-493.

2 Per la ricostruzione puntuale della vita, delle opere e del contesto storicoculturale in cui visse Matteo Palmieri rimando al mio Matteo Palmieri. Unabiografia intellettuale. Prefazione di Cesare Vasoli, Genova, Name, 2005, d’orain poi MP. Riprendo qui, riveduto e aggiornato nella bibliografia, parte delcapitolo V (Palmieri poeta teologo, pp. 353-478).

3 Pubblicata in H. BARON, Leonardo Bruni Aretino. Humanistisch-philosophi-sche Schriften, Leipzig-Berlin, 1928 (nuova ed. Wiesbaden, 1970), pp. 149-154.

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Tale testimone non è finora stato oggetto di studio ma è pre-zioso per tracciare la fortuna del poema palmieriano.

È un manoscritto cartaceo, in quarto, composto da 42 cc. (for-nite di moderna numerazione), una copertina in pergamena sullaquale è disegnato un ritratto di Matteo a colori (simile al ritrattodel Botticini del Pluteo laurenziano XL 53, il testimone più pre-zioso) recante la scritta «Matteus Palmerius obiit salutis anno1472»4. A c. 2v compare una copia a colori (rosso e verde) del di-segno che rappresenta il sistema cosmologico palmieriano, copia‘modesta’ del disegno del Laurenziano5.

Sul foglio di guardia si legge:

Di Luigi Fiacchi6.Questo sommario della Città di vita del Palmieri fu trovato da mel’anno 1815 in pessimo stato colle sopraccarte malamente rotte,delle quali facendolo rilegare conservai la prima perché contienel’epoca della morte del Palmieri, e il di lui ritratto benché moltosvanito.Il sommario è fatto da un Proconsolo dell’Arte degli Speziali7 con-

4 Nel Pluteo XL 53 della Biblioteca Laurenziana di Firenze (su cui tornerò)il ritratto, che però è privo di colore, è a c. 303r; con la veste rossa, invece, è raf-figurato l’Autore a c. 11r. L’unica trascrizione semidiplomatica dell’opera è quel-la della Rooke che ho deciso di trascurare rifacendomi direttamente al mano-scritto laurenziano (ormai consultabile anche in rete nella raccolta dei Pluteidella Biblioteca Medicea Laurenziana), che ho in alcune parti trascritto utiliz-zando gli stessi criteri seguiti per l’edizione del ms. modenese, riportando innota fra parentesi tonda la mia traduzione dei passaggi latini. M. ROOKE, Librodel Poema Chiamato Città di Vita Composto da Matteo Palmieri Florentino,Transcribed from the Laurentian MS XL 53 and compared with the Magliabe-chian II II 41, a cura di M. Rooke, 2 voll., Northampton (Mass.), The Collegia-te Press, 1927-1928 (voll. 8 e 9 del Smith College Studies in Modern Languages,ottobre 1926-luglio 1928).

5 Pluteo XL 53, cc. 10rv.6 Luigi Fiacchi (1754-1825) fu uno dei migliori allievi del Collegio Euge-

niano di Firenze. Protetto dal granduca Pietro Leopoldo fu, ormai sacerdotedal 1777, uno dei professori delle Scuole Leopoldine. Entrato in contatto coni membri dell’Accademia della Crusca, ne divenne socio nel 1812 e biblioteca-rio nel 1824. Attento lettore delle Tre Corone e dei rimatori trecenteschi, sioccupò anche di traduzioni curando fra gli altri quello del De amicitia di Cice-rone, apparso a Firenze nel 1809. Fu anche apprezzato favolista e poeta. Il gran-duca gli affidò il compito di curare l’edizione delle opere di Lorenzo il Magni-fico. Voce di F. D’INTINO, Dizionario biografico degli italiani, 76 voll. [A-Mor],Roma, 1960-2012, 47, 1997, pp. 316-317.

7 In realtà, si tratta del proconsolo dell’Arte dei giudici e notai ma l’errorenasce dalla provenienza di Matteo membro di quell’arte.

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temporaneo del P[almieri], come si vede a carta 32-33 del codice,ove si danno ancora buone notizie del Poema8.

Dunque l’Abate Fiacchi nel 1815 rinvenne il sommario e ne curòil restauro necessario per le pessime condizioni del testimone,danneggiato probabilmente dall’inondazione dell’Arno del 15579.

Il manoscritto catturò l’attenzione anche di Domenico Tordiche ne copiò alcune parti oggi conservate nel fascicolo G (Fasci-colo Tordi) del XIV M 168, della Biblioteca di Orvieto, del qualeho già scritto diffusamente10.

L’importanza del manoscritto è legata alla vicenda a cui andòincontro l’opera: sebbene i temi sui quali Matteo riflette nella Cit-tà di vita siano quelli di grande attualità che, da lì a qualche anno,avrebbero occupato i protagonisti dell’Accademia Platonica (ilrapporto tra volontà e libero arbitrio, tra grazia e sommo bene, ilvalore dell’astrologia), la censura in cui l’opera incorse dopo lamorte dell’Autore denuncia come le tesi presentate fossero state

8 Nel ms. è inserita anche una carta sciolta (c. 43), dove è riportato unpassaggio dall’Istoria degli scrittori fiorentini di G. NEGRI (Ferrara, BernardinoPomatelli, 1722, rist. anast. Forni, 1976 dell’edizione del 1885): «Di questopoema in terzetti composto col titolo di Città di vita trovansi tre esemplari apenna, uno nella libreria medicea di S. Lorenzo in Firenze, il secondo nell’am-brosiana di Milano in carta pecora, in fronte al quale ha osservato il Muratoribibliotecario esservi una lettera dell’A[utore] scritta a Lionardo Dati segreta-rio del Papa Paolo II, li 24 marzo 1466. Il terzo testo trovasi in Firenze, pressol’erede del senatore Carlo Strozzi, avente lo stesso nome. Introdusse un terzogenere di angeli imprigionati ne’ corpi a cagion del peccato. G. Negri, Istoriadegli scrittori fiorentini, Ferrara 1722. Pomatelli a pag. 404 dice parlando delPalmieri: ‘Denigrò negli ultimi anni lo splendore del suo sapere col fuoco a cuifu condannata meritamente una sua opera, nella quale, ad imitazione dellaCommedia di Dante, parlando degli angeli, trascorse, non ben fondato teolo-go, nell’errore di Pitagora e di Origene della trasmigrazione delle anime, inse-gnando che queste altro non erano che gli Angioli mantenuti neutrali nella lorribellione, che con circolazione continua animavano i corpi umani mutandoalbergo dall’uno all’altro’».

9 L’alluvione del 1557 danneggiò seriamente gli archivi dell’Arte dei giudi-ci e notai, che aveva sede nei pressi della Badia fiorentina o del Palazzo delPodestà. Ancora nel 1746 il Magistrato del Proconsolo, in risposta ad una Istru-zione di Pompeo Neri, affermava che le scritture più antiche erano in confu-sione «per essere state sotto la piena del fiume Arno dell’anno 1557». Statutidel Comune di Firenze nell’Archivio di Stato. Tradizione archivistica e ordina-menti. Saggio archivistico e inventario a cura di Giuseppe Biscione, Roma,Poligrafico dello Stato, 2009, p. 316n.

10 MP, pp. 435-439.

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da un certo momento avvertite come eterodosse, pericolose, inquanto vi si riconobbero legami con la teologia origeniana.

Matteo stesso fu consapevole fin da subito dei rischi che le sueaffermazioni implicavano. Quando nel 1464 finì di scrivere il poe-ma, chiese all’amico Leonardo Dati, vescovo di Massa Marittima,di redigerne un commento. Leonardo esaudì la richiesta ma loinvitò a rivedere il testo in alcuni luoghi, cosa che effettivamente ilPalmieri fece. Non conosciamo però gli interventi di Matteo, poi-ché nessuna copia della prima redazione ci è giunta. Dal 1466 laCittà di vita circolò a Firenze: la lessero Ficino, Rinuccini e quasicertamente altri membri dell’Accademia Platonica. Probabilmen-te come era accaduto per la Vita civile11, Matteo continuò a rivede-re e limare il testo la cui redazione definitiva, trascritta con ilcommento e la sua biografia, risale al 1472.

Alamanno Rinuccini, nell’orazione funebre in occasione deifunerali pubblici che Firenze gli tributò, fece un accenno al poe-ma, che probabilmente non aveva letto, ma decise di non decla-mare un vero e proprio elogio dell’opera al quale aveva pensato inuna versione non letta dell’orazione12.

Dopo circa un decennio o anche meno dalla scomparsa delPalmieri, Vespasiano da Bisticci fece riferimento alle presunte ideein odore di eresia contenute nel poema e alla volontà, per questomotivo, dell’Autore di far custodire in luogo sicuro, perché certeidee non fossero divulgate, la copia contenente il commento delDati. Certo per il Cartolaio, se mai Matteo aveva sbagliato, era perlicenza poetica e buona fede. Non fu questo però lo spirito concui ci si riferì al poema nel Cinquecento, quando tutti ormai locollegavano strettamente al pensiero di Origene13.

L’autore del sommario si pone sulla stessa linea e sembra avereun intento apologetico quando scrive che, se Matteo nel suo poe-ma potrebbe sembrare «voler tractare contro alla fede nostra cap-tolicha», in realtà è solo perché «la tracta come poeta. Et i poeti

11 MP, pp. 191-204.12 Per questo rimando a MP, p. 165 e Appendice I. Il passaggio è riportato

e commentato oltre.13 Nel corso del XVI secolo molti scrittori presentarono Palmieri eretico a

causa delle idee origeniane o ariane presenti nel poema; ma per la complessa eaffascinante fortuna del poema si veda MP, pp. 419-478.

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alchuna volta tractano cho14 se per tessere et hornar lor opere chein verità non le sentono coll’animo»15.

Il manoscritto fornisce una presentazione dell’opera:

Matteo Palmerio divide la sua vulghar poesia in tre libri o ver chan-tiche et in cento capitoli. XXXIII ne dà alla prima, XXXIII allaseconda et XXXIIII alla terza. I capitoli sono di CL versi et in rimaternarii, chome fe’ Dante nostro poeta.

La sua materia sustantialmente è questa. E’ finge che CiprianoRucellai a sua di huomo doctissimo in grecho et in latino et già dipiù anni morto, in sogni due volte gli apparissi et confortollo et strin-selo affar questa opera, et mostrogli molte chose della vita beata etla oppinion dell’anima, la qual dipoi Matteo innesta et exprime inquesto suo poema16. Et tucta questa sua opera n’è referta et condita.Et questa fu la chagion lo mosse a pigliar la penna et exprimere suascientia et molti suo’ concepti17.

Dopo seguono il riassunto, l’indice del poema, i titoli di tutti i cen-to capitoli e una scelta di passi dalle tre cantiche. Riporta anchealcune parti del commentario di Leonardo Dati, elemento prezio-so se si considera che, dopo la morte di Matteo, l’opera continuaad essere letta ma tutte le testimonianze si riferiscono alle sole terzi-ne del Palmieri, mentre non vi è una sola citazione del commento.

A conclusione della selezione dei capitoli trascritti (cc. 33v-34r)leggiamo:

Questo poema di Matteo apparisce comentato in latino da messerLionardo Dati chanonicho fiorentino nel anno MCCCCLXIV, madi poi lo commento fu fatto per segretario di papa e vescovo diMassa, huomo docto et di buona scientia. Et è questo commentoinserto nel libro di Matteo dirimpecto al testo. Et è segnato pernumeri dal testo al commento per meglio et più facilmente ritrovarel’uno et l’altro. Ma in verità io ho l’oppinione che Matteo solo selcommentassi lui stesso benché lo titoli e mettilo in bocha di meser

14 In margine «Poeticha gharrulitas semper de falsitate hornata est» («laloquacità dei poeti è sempre ammantata di menzogna»).

15 Ms. Campori App. 211, c. 6r.16 Qui in margine leggiamo «Naturale est ut viri sapientes adeo conchupi-

scant suam doctrinam ostendere ut quasi negant illam edicere» («è naturaleche i sapienti amino a tal punto mostrare la propria dottrina, da rifiutare quasidi farla conoscere a tutti»). Ibid., 3r.

17 Ivi.

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Lionardo o per più suo o di meser Lionardo honore forse lo fe’ per-ché dimestici erano et coetanei studiosi. Qual di loro lo commentas-si, io non lo [[so]] di certo, ma questa è mia oppinione.

Nel principio del commento expone meser Lionardo l’originedi Matteo et di sua antenati, et dimostragli nobili et d’anticha pro-genie, et dimostra la statura et forma di Matteo, la sua vita, i suoicostumi et studii, la sua scientia et reputatione civile, et ha operatoin gran facti et offitii supremi publici intrinseci et exstrinseci in im-bascerie al papa et al re di Napoli. Et recita più libri et opere da luidegnamente composte. Tre nella sua adolescientia in vulghar sermo-ne composte. Di poi in eloquio latino la vita di Nicholò Acciaiuoli.Dopo questo dissertissimamente scripse le battaglie tra pisani et noiquando s’ebbe Pisa. Scripse l’ordine de’ tempi in storia da l’originedel mondo et d’Adamo infino all’età sua et più orationi et pistoleelegantemente scripse.

Apparisce questo poema esser facto et composto da Matteo inanni nove o dieci o circha perché nel MCCCLV lo cominciò et nelMCCCCLXV gli diè expeditione. Benché di poi più anni lo tenesseper examinarlo, correggerlo et sollimarlo. Ma poi nel MCCCCLXXIIet MCCCCLXXIII lo fe’ scriver in chavretti d’octima lectera et felloleghare et miniare in gran volume et coverto di chuoio barbero ver-de con guardie chanterute et bullette d’otton dorate et choreggie diseta pagonaze, et così perfecto ornatissimamente et leghato et sug-giellato lo donò al nostro collegio de’ giudici et notai fiorentini conconditione che mai si publichassi né aprissi innanzi alla sua morte.Et così fu acceptato et serrato nella cassa de’ nostri schuittinii inSanta Croce et di poi fu aperto alla morte di Matteo, credo fusse delmese di aprile MCCCCLXXV, et dal mio antecessor proconsolo ri-cheggiendolo, per sua benignità, mi fu achomodato et di poi sottotucto il tempo del mio proconsolato l’ho in diposito et guardia te-nuto, et ho auto assai agio a vederlo et considerarlo, et però n’hotracto questo somario et al fine quasi dell’offitio mio il decto poemaa buon fine ho rinchiuso et serrato nella decta nostra chapsa de’nostri schuittinii in Santa Croce di Firenze18. Anima eius requieschatin pace.

Dunque l’estensore del sommario, fiorentino di nascita o di ado-zione come suggerisce quel noi in riferimento allo scontro di Fi-renze con Pisa, sembra addirittura avere idee originali a proposito

18 Anche una copia dei libri degli iura del Comune di Firenze si conservavain Santa Maria Novella; altre chiese di riferimento erano Ognissanti e SantaCroce. Statuti del Comune, cit., pp. 155-156.

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del testo, azzardando l’ipotesi che Matteo stesso abbia scritto ilcommentario del poema19. Ma su questo ritorneremo.

Siamo davanti ad un documento scritto presumibilmente neglianni Ottanta e precedente al racconto che Vespasiano da Bisticcifa nelle Vite. L’autore deve essere identificato con il proconsolodell’arte dei notai, di cui non conosciamo il nome, che era suc-ceduto nella carica al proconsolo – non sappiamo esattamentequando – che aveva accettato dalle mani di Matteo il preziosocodice, il nostro Laurenziano, Pluteo XL 5320. Qui abbiamo an-che una descrizione minuta del manoscritto, della quale ignorava-mo i particolari a causa dei danni subiti nell’alluvione del 1557. Sitrattava veramente di un preziosissimo dono che il proconsolo ac-cettò dall’umanista con la clausola, della quale parla anche il Car-tolaio, di farlo circolare solo dopo la sua morte. In effetti qualidubbi avrebbe potuto avere nei confronti di un sì prezioso mano-scritto, donato da uno degli uomini più illustri della città? In fon-do la sola ragione plausibile per una richiesta del genere, alla qualepoteva ben sottostare il proconsolo, era quella in base alla qualeMatteo non voleva, ormai vecchio, incorrere in dispute teologiche,né tanto meno offuscare la memoria dell’amico vescovo LeonardoDati. Così affidando il suo lavoro, sul quale egli doveva necessa-riamente avere delle perplessità non risolte, al primo fra i consolicittadini di tutte le arti, si rimetteva al giudizio dei posteri.

I due primi proconsoli custodi del manoscritto non hannonutrito alcuna seria preoccupazione in merito all’ortodossia delleposizioni riportate nel poema, altrimenti l’autore lo avrebbe anno-tato sull’ultima carta insieme alla sua idea, in realtà non peregrina,per cui sarebbe stato Palmieri stesso a stendere il commento. Sisarebbe spiegata, così, come la bizzarria di un filosofo e non di unuomo di chiesa, la sua adesione alla teoria eterodossa, idea portan-te del poema, della preesistenza dell’anima separata dal corpo. Ma

19 Non è irrilevante osservare che negli Statuti dell’Arte dei giudici e notai,anche se la disposizione era comune a tutti gli statuti delle Arti, era prescrittal’osservanza della fede cattolica e l’ubbidienza ai capitoli papali ed imperialiche colpivano gli eretici. G. FILIPPI, L’arte dei Giudici e notai e il suo statutodell’anno 1566, in «Giornale Ligustico», XV fasc. I-II (1888), pp. 1-24, p. 9.

20 Le ricerche sul Libro della coppa, fonte preziosa per l’Arte dei giudici enotai, non ha prodotto risultati, Archivio di Stato di Firenze, Arte dei giudici enotai, 26.

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le cose non andarono così. Non solo il proconsolo non ne erapreoccupato ma il codice era mostrato con vanto ai visitatori. Losappiamo con certezza perché negli stessi anni, a circa un decen-nio dalla morte di Matteo, il fine dantista e domenicano di SantaMaria Novella, Domenico da Corella, che certamente aveva cono-sciuto Matteo durante il Concilio del 1439, riferisce come il mano-scritto della Città di vita ornasse la sala del Proconsolo21. Questi i

21 Domenico di Giovanni nacque a Corella, un paese vicino a Dicomano,in provincia di Firenze, probabilmente nel 1403. Nel 1422 è citato in un capi-tolo dei domenicani di Santa Maria Novella. Lettore presso lo Studio fiorenti-no, fu eletto priore del suo convento nel 1436; due anni dopo era Provincialedella Provincia romana fino al 1443. Durante il Concilio fiorentino partecipòalle riunioni ed era in Firenze, dove è registrato anche nel 1440, quando papaEugenio IV dimorò presso il convento. Oratore affermato e stimato, mantennebuoni rapporti anche con il Patriarca di Gerusalemme e fu tra i firmatari del-l’atto di unione della Chiesa Greca con la Latina. Nell’aprile del 1446 era Vi-cario del Convento. Nel settembre del 1450 maestro Domenico fu eletto nuo-vamente Provinciale della Provincia romana e rimase in carica fino al 1455. Dal1451 fu anche, fino al 1453, Vicario generale dell’ordine ma non fu elettoGenerale nel Capitolo che pure presiedé a Nantes nel maggio del 1453. Dopoquella data si ritirò dagli impegni degli uffici per dedicarsi agli studi. Nell’annoscolastico 1469-1470 ma, con ogni probabilità anche in periodi successivi, in-segnò nello Studio Fiorentino teologia e, contemporaneamente, commentòpubblicamente, nel Salone dei papi nel Convento di Santa Maria Novella, laCommedia con un compenso di cento fiorini «incepit legere unam lectionemin theologia, et opus Dantis poetae florentini, et cum omni studio et diligentiaet absque ulla intermissione, prout manifestum» (A. GHERARDI, Statuti dell’Uni-versità e Studio fiorentino, Firenze, Tip. Cellini, 1881, pp. 475-476). Morì a Fi-renze il 27 ottobre 1483, come sappiamo dal suo necrologio. Fra le sue opere,centrale è il Theotocon o De laudibus B. Mariae Virginia, quattro libri in esame-tri virgiliani completati nel 1468 e dedicati a Piero de’ Medici, introdotti daun’ode saffica che funge da prefazione al poema. Cercò il favore dei Medicicon il De origine Urbis Floretinae, una narrazione poetica divisa in sei libri del-l’origine e della storia di Firenze dalla fondazione alla venuta di Carlo I d’An-giò nel 1267, che si conserva a Firenze nel Laurenziano, Pluteo LXXXXI, Sup.L. Scrisse poi lodi in onore di San Vincenzo Ferreri e di Santa Caterina da Sie-na. Orlandi aggiunge anche che l’Echard ha attribuito a Domenico un DantisCantica, forse commento della Commedia di cui non sappiamo nulla: S. OR-LANDI, Necrologio di S. Maria Novella, 2 voll., Firenze, Olschki, 1955, soprat-tutto I, pp. XXVIII, 187-190, necrologio n. 711 e II, pp. 305-315. Il necrologioè riportato anche da I. TAURISANO, Il culto di Dante nell’Ordine Domenicano,Firenze, Tipografia Domenicana, 1917 (già apparso in «Il Rosario - Memorie Do-menicane», XXXIII (1916), pp. 7-9) in Appendice, Documento V, pp. 44-46, masi vedano anche pp. 29-30; L. AMATO, Il manoscritto di dedica del ‘De origineurbis Florentiae’ di Domenico di Giovanni da Corella, in «Moderni e antichi:quaderni del Centro di studi sul classicismo», II-III (2004-2005), pp. 491-517.

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versi nei quali lo leggiamo (già notati dal Richa, dal Bandini e dallaRooke22):

Ingredior casu dignam Proconsulis aulamIn qua magnorum sunt simulacra VirorumLaurea praeclari quos alta Poematis ornatEt fine praepollens gloria fine beat23.

L’estensore della sintesi dice di averlo potuto consultare a lungoed egli stesso esprime rammarico per il racconto sulle anime diMatteo ma, saggiamente, rimanda ogni giudizio ad esperti teologi,dei quali tuttavia non fa alcun cenno24.

Eppure il codice di cui parlano il Bisticci, il Richa, il Bandini ela Rooke, il Pluteo XL 53 non era certamente una delle copie checircolavano in città. Altri erano gli esemplari letti: quelli giunti anoi e forse altri oggi perduti. Il prezioso codice era stato, una voltaconfezionato (ovvero dopo il 1473), consegnato da Matteo al pro-consolo dell’Arte dei giudici e notai e per questa ragione non vi è

22 G. RICHA, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, X voll., Firenze, Stam-peria di Pietro Gaetano Viviani, 1754-1762, rist. anast. Roma, Multigraficaeditrice, 1989, I, p. 161; A. M. BANDINI, Catalogus codicum latinorum Bibliothe-cae Mediceae Laurentianae, Florentiae, Ex Tipis Caesareis, 1774-1777, vol. VItalicos Scriptores exhibens, coll., 74-96, (la biografia del Palmieri è alle colonne79-81), qui col. 74 nota 4; M. ROOKE, Libro, cit., Preface, cit., I, p. XIII, scrivea proposito del Corella «saw it [il ms.] here, and praised it»; MP, pp. 433-435e 470-473.

23 «Entro per caso nella degna corte del Proconsolo / nella quale sonoconservate le immagini dei grandi uomini / ornati dalla sublime corona delfamoso poema / e arricchiti da una straordinaria gloria senza fine».

24 L’aurore delle carte sciolte, conservate nel Fascicolo G sopra ricordato,aveva cercato di dare un nome a questo primo, attento e interessato lettore delcodice. Commentando il passaggio più interessante, quello dove si ipotizza siastato lo stesso Matteo a scrivere il commento, si legge: «Il Dati pare dunque unprestanome» e ancora, dopo alcuni commenti, «fatto circa il 1480». Dopo variaccenni ai lavori su Palmieri dello Zeno e del Salvini ed altre notizie, leggiamo:«Proconsoli del 1475 [...] 1° gennaio Michael Buoni de Schiattensibus, PaulusLaurentii de Benivienis (e sul margine sinistro: è questo), Pierus Pieri Bonac-cursi». Si sarebbe trattato per lui del Proconsolo Paolo Benivieni. Tuttavia daun esame più attento, sebbene come già detto non sia riuscita a dare un nomeall’autore della sintesi palmieriana, posso però escludere che si tratti di PaoloBenivieni. Era lui, infatti, il proconsolo in carica quando Palmieri morì nel-l’aprile del 1475 e certo, se fosse lui l’estensore del sommario, non solo lo avreb-be presumibilmente annotato ma non avrebbe scritto, a proposito della scom-parsa di Matteo, «credo fusse nel mese di aprile...».

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INTRODUZIONE22

nessun riferimento specifico a questa opera nel testamento delloSpeziale25.

Il più conosciuto testimone del poema Città di vita è il Lauren-ziano, già più volte ricordato e menzionato da Alamanno Rinucci-ni nell’orazione funebre, che giaceva sul corpo di Matteo e, comeè ormai certo, era custodito presso la corporazione dei Giudici eNotai. Dal 1557 è conservato nella Biblioteca Laurenziana: è ilPluteo XL 53, firmato dal copista Neri di Filippo Rinuccini. Ènoto anche agli storici dell’arte per la bellezza delle miniature eper l’accuratezza del formato. Originariamente, prima degli inter-venti di restauro, il codice si presentava, come il sommario ci illu-stra, con una copertina di cuoio «barbero» verde decorato condelle «bullette d’ottone» e dei lacci di seta color ocra26. In perga-mena, è riccamente decorato con miniature e contiene tre interepagine recanti illustrazioni in oro e a colori su ciascuna pagina; ilcommentario di Leonardo Dati corre a fianco e ai piedi delle ter-zine. Due delle lettere che questi scrisse a Matteo sono inclusecome prologo, oltre all’introduzione al poema, che è sempre delDati. Il ricco apparato iconografico è in linea con le raffigurazionitipiche dei manoscritti astrologici, che sono la sfera celeste, i segnizodiacali e simboli delle costellazioni, unite alle divinità classicheche definiscono i pianeti. I disegni, parte integrante del testo, sonoa penna con tocchi di acquerello attribuiti quasi unanimementedagli storici dell’arte a Francesco Botticini. A c. 11r si trova lo scu-do della famiglia Palmieri27.

Un altro codice, ora conservato nella Biblioteca Nazionale diFirenze, è il Fondo Nazionale, già Strozziano, II II 41, una copiasemplice nella decorazione, con le sole iniziali dei tre libri finemen-

25 MP, p. 442.26 Ms. Campori App. 211, c. 34r.27 Per alcune informazioni e riproduzioni del manoscritto si veda L. VEN-

TURINI, Francesco Botticini, Florence, EDIFIR, 1994, pp. 114, 168-176, 220; ladescrizione del codice si deve a I. G. RAO, Matteo Palmieri “Città di vita”, in Iluoghi della memoria scritta. I libri del silenzio. I libri del decoro. I libri dellaporpora, edited by G. Cavallo, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,1994, p. 181. Il codice è stato recentemente esposto in occasione della mostraGalileo: immagini dell’universo dall’antichità al telescopio, a cura di PaoloGalluzzi, Firenze, Giunti, 2009, p. 299.

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INTRODUZIONE 23

te miniate28. Dalla nota finale siamo informati di alcune correzioniche Matteo stesso apportò e dell’esistenza di un altro esemplare,di proprietà dell’autore, oggi perduta: «Finito el terzo et ultimolibro del poema chiamato cictà di vita. Opera composta da Mat-theo Palmieri fiorentino et finita col nome di Dio. Deo gratiasamen. Copiato di mia mano oggi questo dì, primo di marzo 1465,[stile fiorentino, quindi 1466] di mano di me Niccholò di France-sco Corsi di su quello di Matteo Palmieri, e decto Macteo mellocorresse poi»29.

Un terzo manoscritto, anch’esso del XV secolo, si trova nellabiblioteca Ambrosiana di Milano, F. 139 sup. Si tratta, ritengo,della copia confezionata da Matteo per il Dati: in bella scritturaumanistica, riproduce due lettere che insieme a quelle del Pluteopermettono di ricostruire la genesi del testo. Unito da una legatu-ra in cuoio impresso, il frontespizio è a colori e oro e ha la corniceminiata. Ai piedi della pagina all’interno della decorazione sonoposti due scudi, a destra quello del Palmieri e a sinistra quello delDati. Le iniziali di tutti i capitoli sono anch’esse miniate e il capitolodi apertura delle tre cantiche ha iniziali auree con figure30.

28 Il codice è stato citato per la prima volta in tempi moderni dallo Zeno,che se ne servì per il suo studio. Una copia del poema, che io non ho visto,tratta dal Magliabechiano e dal Laurenziano si trovava, fra i mss. Hamiltonianidella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino, segnalata da P. O. KRISTELLER, Iteritalicum, 1963-1997, 6 voll., London – Leiden, E.J. Brill, III, (numero XIX). A.ZENO, Matteo Palmieri, in «Giornale de’ Letterati d’Italia», Venezia, 1712, X,pp. 424-471; XI, pp. 289-292, (qui X, p. 453).

29 E. FRIZZI, La Città di vita, poema inedito di Matteo Palmieri, in «Il Pro-pugnatore», XI (1878), pp. 140-167, p. 150 e n. G. BOFFITO, L’eresia di MatteoPalmieri, in «Giornale storico della letteratura italiana», XXXVII (1901), pp.1-69, (qui pp. 2-3) e M. MARTELLI, Palmeriana, in «Interpres» V (1983-1984),pp. 277-301, (qui pp. 292-293).

30 Il ms. non è mai stato oggetto di studio, il solo a citarlo fu il Boffito, chelo giudicò il più elegante fra i testimoni della Città di vita: L’eresia, cit., p. 3.Con inchiostro diverso vi sono poi alcuni segni apposti per evidenziare alcuneterzine di argomento prevalentemente morale. Nel restauro del 1995 è statasbagliata la ricostruzione dei colori dello scudo del Dati. Si tratta di tre tested’uomo accompagnate dal rastrello a quattro pendenti nel capo. Attualmentele teste sono nere in campo grigio ma le teste e il rastrello sarebbero dovuteessere rosse. Immagino non sia stata condotta alcuna ricerca prima del restau-ro e probabilmente le teste apparivano annerite. Il valore di questo testimone,all’interno dello stemma, ancora da definire per l’edizione critica del testo, ac-quista adesso una posizione rilevante. Sullo scudo del Dati, Le famiglie di Fi-

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[c. 1r]

Charitas SpesMatteus Palmerius temporum scriptor obiit salutis anno MCCCCLXXV2.

Sommario del poema di Matteo Palmieri nominato Città di Vita.

2 «Carità Speranza. Matteo Palmieri scrittore morì nell’anno di salvezzaMCCCCCLXXV».

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UN ‘SOMMARIO’ DELLA CITTÀ DI VITA 103

[c. 9v]

D’Adamo ciaschuno il suo pechato chava, cc. 51v-52rquando in vitiata carne è generatoet sol baptesmo questo male sprana.

Or puoi vedere, non è credere errato,credendo coll’altre opere divine,esser daprima il numero ordinato

Di tucte l’alme che esser den declineper incharnarsi giù ne corpi umani:erro’ sare’ disordinar lor fine.

Ma perché non paian mia decti strani,ben sia di sopra questo ver narrato,s’intenda vo non sian decti prophani.

El vangelista, a chi fu rivelatoda l’angel santo il celestial secreto,in Pasmo a lui dal vero Iddio mandato,

Vide chaduti per divin decretocol pessimo dracon la terza partedi quelle stelle ch’eran nel ciel lieto.

Truovasi scripto nelle sacre charte35huomini tanti su nel ciel sarannoquanti angeli salvò lo primo Marte;

Augustino tanti que’ si salverannoesser scrive quanti son chadutiet di più parla chome que’ nol sanno.

Se ’l terzo adunque in ciel non fur volutiet quanti ne rimase hanno a salireet fian quanti furono i perduti.

Fur tanti quegli che elesson di perirequanti fur santi lucidi et perfecti;gloria hanno il terzo al terç’anno martire.

El terzo terzo non si mostron nectiné bructi fur; sarebbono ismarritise terzo locho non gli avessi electi.

35 Margine sinistro: «Gregorius ait» (dice Gregorio).

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[c. 10r]

Di ragion non e sian questi spartiti cc. 52rvdal tribunal della iustitia etterna,né giudichati infin non sien uditi.

Per fare adunque lor voler si cerna,po’ nollo fer nel loro primo esser purosotto a Minos nuovo ordine gl’inferna.

Sempre Minos36 sta severo37,giudicha il vero et mai nessuno absolve,fin che tucto è dal mal voler sicuro.

Lo spirital voler che non si volveal male o bene, stando secho abstracto,unito a charne s’inviluppa et solve.

Però convien a questo secondo attoanima scenda et vengha in tal materaneghar non possa quello elegha in facto.

Questa sententia, scelta per più vera,mostrano a voi l’autorità già decte,quassù s’intende et vede tucta intera.

Et se per chontro lo intellecto metteche, pareggiando l’un coll’altro, è qualenecessario nulla fuor ne gette,

La qual ragione a questo tanto vale,quanto ad fermar che tucti sien beatiquegli angeli non fer né ben né male.

Ricerchar non si vuol dentro ne’ fatiper le ragioni aschose nello abisso,ma star contenti a lumi ci son dati38, etc.

Capitolo XI39

Com’ ebbi inteso il decto oppinione c. 54rnon era da doctor santi negato,di miglior voglia fe’ dimostratione, etc.

36 Margine sinistro: «Per Minos intelligho conscientiam» («interpreto Mi-nosse come la coscienza»).

37 Pluteo XL 53: «sempre Minos sta severo e duro».38 Sul margine destro, l’estensore inserisce le ultime due terzine dello stes-

so capitolo X, c. 53r : «Quando alma facta o in quale Emisperio / di che sustan-tia fusse o dove stia / mestier non è voler saper l’ontero. / Sol basti intesa dallamente sia / et da vita sentita ch’ella vive / o quinta essentia o vuogli Endelech-ya. / E questo è quello che puro ver ne scrive».

39 Margine sinistro: «Questo capitulo va in questo secondo l’ordine».

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UN ‘SOMMARIO’ DELLA CITTÀ DI VITA 105

[c. 10v]

Molte sententie fanno gli uomini docti

Capitolo V c. 29v

Così facti non son gli huomini docti,per l’anime vengha sol d’una doctrinama convien di più fiumi s’embotti.

Tanto vengha la mente vicina,dove congniosca cielo et terra et mare,et sola stando seco più s’affina.

Senza aver penne non si può volare:così ti dissi et son quegli strumentivi fanno in alto sopra vo’ levare.

Penne intendi pe’ primi fondamenti:danno notitia delle vere chose, etc.

Della creation dell’anime

Capitolo [I]V

Fa di se stesse il maggior chorpo un nodo c. 26vnel quale sua membra tucte insieme serra:chalchando aduna il centro dov’è più sodo.

El membro suo magg[i]ore perché mai errasi chiama a planes et è quel ghovernain sé co’ cieli altri elementi et terra, etc.

Sopra di questi volve un ciel magg[i]ore,40 c. 27rcol bel paese quasi terra dissi,ma intendi sia purissimo vighore.

Così Platone gli extremi degli abissifinì, dove ogni locho in mezo poseet così volle il gran chorpo finissi.

Son quivi i campi delle liete chosechiamati Elysii, dove in contemplaresol vuole Iddio lo spirto si ripose.

40 Margine sinistro: «Primum mobile» («primo mobile»).

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Qui piachue a Dio l’anime creare41,questo loco è terrestre paradisoalla mente purghata vi sa stare

Et fermo a Dio tener suo sguardo fiso, etc.

41 Margine sinistro: «Nota». Sotto: «Venite benedicti patris mei possideteparatum vobis regnum ab orrigine mundi» («Venite, benedetti del Padre mio,possedete il regno preparato per voi dall’origine del mondo»).

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UN ‘SOMMARIO’ DELLA CITTÀ DI VITA 107

[c. 11r]

Quello è da campi Elysii in su

Capitolo VII

Numero grande v’è d’ardenti fochi, c. 37valme già furon incharnate in terra,beate or ghodon ne’ celesti giuochi.

Et tucte quelle questo champo serra,verranno in charne per far la pruovaet tornerà lassù quella non erra.

Dell’ordine delle stelle

Capitolo VIII

La voglia naturale che più s’accende cc. 40rvquanto al suo fine l’anima più pensa,seguendo il ben che raquistar intende,

Fe’ la mia speranza via più accesadi congnoscer que’ lumi in ciel vedea,compresi que’ che sanno per credensa.

Et dissi: “savia donna, io mi credeache chi mostrò la luce non si vede,quella si vede anchor mostrar potea.

Et tu mi di’ che tucto quel si credeo può del ciel sapere è già paleseche non par certo merti ferma fede.

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Senza numero veggio fiamme acceselustrare in cielo splendide et lucenti,le qual da me non sono anchor intese.

Se gli hornamenti in cielo non apparentimostrar potesti, dir non so chagioneperché non mostri que’ che son presenti”.

“La tua domanda par facta a ragione”,ella rispose, “et se questo lasciavatu non m’aprivi anchor questa intentione.

Hor ch’io so quel che ’l tuo chor disiavaet l’ordin nostro questo dir richiede,quello or dirò l’astrologia nechava.