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MATERIALI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE Prof. Franco Pizzetti SCHEDA n. 1 TEMA : RISPOSTA ALLA CRITICHE RELATIVE ALLA “FATTURA” DELLE NORME DI RIFORMA RISPETTO A QUELLE CONTENUTE NEL TESTO DELLA COSTITUZIONE Una delle critiche più frequenti alla riforma Boschi è che le norme in essa contenute sono di cattiva fattura”, spesso consistenti in modifiche parziali, e spesso anche sostanzialmente in semplici emendamenti, alle norme costituzionali in vigore. A questo si aggiunge spesso che le norme costituzionali come modificate dalla riforma sono in generale assai più complesse da capire per il normale cittadino di quelle contenute nella Costituzione del 1948. Si tratta di una critica del tutto risibile per due motivi : Il primo e più importante motivo è che la Costituzione del 1948 fu elaborata da una Assemblea costituente eletta allo scopo precipuo, e sostanzialmente unico, di adottare una nuova Costituzione per il Paese. Va infatti ricordato che quella Assemblea aveva un mandato vincolato sia dal referendum del 2 giugno 1946, che aveva già scelto la forma di Stato repubblicana, sia dal fatto che in quello stesso giorno il popolo italiano oltre ad esprimersi sul referendum elesse anche la Assemblea, allo scopo specifico di approvare una nuova Costituzione. Non a caso, infatti, non si elesse il “Parlamento”, né si elessero due Camere, ma soltanto l’“Assemblea costituente” col preciso mandato di adottare la nuova Costituzione. Inoltre l’Assemblea costituente doveva soltanto votare la fiducia al governo, approvare le leggi di bilancio e ratificare i trattati internazionali L’ Assemblea costituente non esercitò mai poteri legislativi di sua iniziativa e si limitò ad approvare le leggi che, di sua iniziativa e per sua scelta (non per vincolo normativo) il governo di volta in volta riteneva di dover sottoporre anche alla sua approvazione. Di fatto tutta la legislazione in quel biennio fu opera del Governo. Solo in alcuni casi e per richiesta del Governo stesso, una parte della legislazione fu ratificata dall’Assemblea. Lo stesso rapporto di fiducia tra Assemblea costituente e Governo riguardò, oltre al momento della formazione dei governi, essenzialmente l’indirizzo politico internazionale, ma non specificatamente (e comunque non per vincolo giuridico) l’indirizzo politico interno, salvo

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MATERIALI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE

Prof. Franco Pizzetti

SCHEDA n. 1

TEMA: RISPOSTA ALLA CRITICHE RELATIVE ALLA “FATTURA” DELLE NORME DI RIFORMA

RISPETTO A QUELLE CONTENUTE NEL TESTO DELLA COSTITUZIONE

Una delle critiche più frequenti alla riforma Boschi è che le norme in essa contenute sono

di “cattiva fattura”, spesso consistenti in modifiche parziali, e spesso anche

sostanzialmente in semplici emendamenti, alle norme costituzionali in vigore.

A questo si aggiunge spesso che le norme costituzionali come modificate dalla riforma sono

in generale assai più complesse da capire per il normale cittadino di quelle contenute nella

Costituzione del 1948.

Si tratta di una critica del tutto risibile per due motivi:

Il primo e più importante motivo è che la Costituzione del 1948 fu elaborata da una

Assemblea costituente eletta allo scopo precipuo, e sostanzialmente unico, di adottare una

nuova Costituzione per il Paese. Va infatti ricordato che quella Assemblea aveva un

mandato vincolato sia dal referendum del 2 giugno 1946, che aveva già scelto la forma di

Stato repubblicana, sia dal fatto che in quello stesso giorno il popolo italiano oltre ad

esprimersi sul referendum elesse anche la Assemblea, allo scopo specifico di approvare una

nuova Costituzione.

Non a caso, infatti, non si elesse il “Parlamento”, né si elessero due Camere, ma soltanto

l’“Assemblea costituente” col preciso mandato di adottare la nuova Costituzione. Inoltre

l’Assemblea costituente doveva soltanto votare la fiducia al governo, approvare le leggi di

bilancio e ratificare i trattati internazionali

L’ Assemblea costituente non esercitò mai poteri legislativi di sua iniziativa e si limitò ad

approvare le leggi che, di sua iniziativa e per sua scelta (non per vincolo normativo) il

governo di volta in volta riteneva di dover sottoporre anche alla sua approvazione. Di fatto

tutta la legislazione in quel biennio fu opera del Governo. Solo in alcuni casi e per richiesta

del Governo stesso, una parte della legislazione fu ratificata dall’Assemblea. Lo stesso

rapporto di fiducia tra Assemblea costituente e Governo riguardò, oltre al momento della

formazione dei governi, essenzialmente l’indirizzo politico internazionale, ma non

specificatamente (e comunque non per vincolo giuridico) l’indirizzo politico interno, salvo

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che per quanto riguardava il bilancio dello Stato. Per contro il Governo non esercitò mai

alcuna iniziativa né rivendicò mai alcuna competenza in ordine al processo costituente.

In queste condizioni è logico che il testo della Costituzione del 1948 riflette il lavoro di una

Assemblea che ha dedicato 18 mesi unicamente alla redazione della Carta Costituzionale,

adottando anche alcune procedure non codificate in alcun regolamento parlamentare. Fra

queste la più rilevante fu la decisione di istituire la Commissione dei settantacinque che

predispose il progetto della Costituzione con una procedura complessa e con numerose

votazioni, che non coinvolsero affatto tutta la Assemblea.

La Assemblea si espresse in generale su testi già elaborati dalla Commissione dei

settantacinque e le modifiche apportate in Assemblea furono comunque, anche per intesa

politica tra i principali partiti, sempre coerenti col progetto complessivo.

Del tutto diversa invece la situazione che si presenta quando, come nel caso della riforma

Boschi, si riformi parzialmente la Costituzione, applicando il procedimento dell’art. 138

Cost.

L’applicazione del procedimento dell’art. 138 implica infatti non solo la doppia lettura in

entrambe le Camere ma anche il rispetto, nel corso di tutte le fasi dei lavori, dei

regolamenti di ciascuna delle due Camere, con tuti i vincoli procedurali, anche riguardo al

rapporto tra il lavoro in Commissione e quello in Aula, che questo comporta.

Non ci si può meravigliare affatto, dunque, che il prodotto normativo sia di natura diversa

da quella delle norme approvate il 27 dicembre 1947. Si tratta di un fenomeno inevitabile.

Infatti non solo la riforma ex 138 comporta, per sua stessa natura, revisioni a un testo che

non può essere riscritto in tutta la sua completezza, ma impone anche procedure

parlamentari che incidono inevitabilmente sul carattere e la qualità della normazione.

La prova di tutto questo è data dalle non poche (dodici) riforme approvate nel corso della

vigenza della Costituzione del 1948 (si parla delle riforme approvate ed entrate in vigore,

non dei lavori falliti delle due Commissioni bicamerali né del progetto approvato dal

governo Berlusconi ma poi respinto dal referendum popolare confermativo).

Basata rileggere l’attuale Titolo V da un lato, la riforma dell’art.111 relativa al giusto

processo (l. cost. n.2 del 1999) dall’altro, per avere la prova di quanto si sta affermando.

In entrambi i casi, infatti, le nuove norme approvate hanno fattura nettamente diversa e

assai più complessa di quella che caratterizza le norme del testo originale della

Costituzione del 1948. Il nuovo art. 111, in particolare, ha una complessità tecnica e una

articolazione di materie e norme trattate che ricorda assai da vicino il tanto criticato art. 70

della Costituzione, quale risulta nella versione della riforma Boschi.

In sostanza non ha alcun significato mettere a confronto sul piano tecnico la fattura delle norme

del testo della Costituzione del 1948 con quello della fattura delle norme della riforma Boschi e

degli effetti che esse determinano sulle norme costituzionali.

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Il Governo ha consapevolmente e volutamente scelto, anche su indicazione dell’allora

Presidente Napolitano, di procedere a un’opera di ampia riforma del testo della Costituzione

utilizzando il procedimento dell’art. 138 () e non, ad esempio, Commissioni bicamerali o procedure

ad hoc come nella legge istitutiva della Commissione D’Alema).

La scelta di ricorrere alla procedura dell’art. 138 è stata fatta:

- per chiarire che voleva dar vita a una nuova Costituzione (ma solo modificare quella

esistente);

- per non espropriare in alcun modo il Parlamento del suo potere di revisione costituzionale;

- per dare al popolo il diritto di chiedere il referendum confermativo (impegno di Renzi fin

dalla fase iniziale del procedimento).

Questa scelta, che ha un alto valore sistemico e istituzionale, giustifica e spiega alcune

complessità del tessuto normativo che ne è derivato, così come anche la necessità di operare

all’interno di una gabbia regolamentare che spesso ha obbligato a cercare di raggiungere un testo

condiviso, anche scontandone la complessità e la minor immediata chiarezza.

Quello che conta, però, è il contenuto di queste disposizioni.

Nessuno nei mesi di acceso dibattito che ci stanno alle spalle ha mai messo in discussone la

legittimità e l’applicabilità giuridica delle norme prodotte dalla riforma, così come mai nessuno ha

potuto rilevare antinomie o aporie tra il testo costituzionale e le n orme in esso introdotte dalla

riforma.

Le critiche relative alla fattura del testo sono:

a) Deboli, specie se fatte da esperti, perché fingono di ignorare che la diversa tecnica e il

diverso procedimento di approvazione dei testi seguito è la causa prima e principale della

differenza di fattura delle diverse norme.

b) Non convincenti, perché le nuove norme possono piacere o no, ma si inseriscono senza

aporie, né antinomie nel testo che modificano, sicché nessuno può affermare che esse

siano inapplicabili o, peggio, rendano inapplicabili altre parti della Costituzione o norme

specifiche dell’attuale testo costituzionale.

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SCHEDA n. 2

TEMA: DEMOCRATICITÀ DELLA RIFORMA

Una critica fondamentale che si fa alla riforma è aver mantenuto il Senato, sia pure con

competenze parziali, ma di averlo reso non eleggibile direttamente dai cittadini

Questa polemica è molto penetrante nella gente comune perché tende a convincerli che è

stato parzialmente sottratto a loro un diritto, quello di voto.

E’ la stessa polemica fatta alla legge Delrio su province e città metropolitane e infatti

spesso ritorna anche rispetto a questi enti. Polemica sconfitta dalla sentenza della Corte

costituzionale n. 50 del 2015.

Per contrastare questa tesi non sono necessari argomenti troppo raffinati.

Bisogna puntare a due linee di azione tra loro opposte, alle quali se ne può aggiungere una

terza.

L’elemento comune delle due linee principali, (una difensiva e una di attacco) è che:

la sovranità popolare non si esprime solo col diritto di voto ma anche con molte altre

forme. (art. 1 Cost.: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme previste

dalla Costituzione.)

Prima linea: importanza della riduzione della classe politica anche per rafforzare la democrazia

“coesiva” contro quella “divisiva”

L’Italia è un Paese di 60 milioni di abitanti, con più di 8000 comuni, venti regioni, due

Camere, entrambe elette direttamente, che compongono il Parlamento. Prima delle riforma Delrio

aveva anche 100 e più province. A questo si devono aggiungere le circoscrizioni o i municipi nelle

città con più di 250000 abitanti. Poi ci sono gli eletti al Parlamento europeo

Prima della riforma Delrio i cittadini votavano cinque diversi livelli di governo. Oggi

eleggono ancora quattro livelli di governo a rappresentanza diretta.

Il Paese è gravato da un numero molto elevato di cittadini che fanno parte di una classe

politica molto vasta e molto articolata per livelli di governo.

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La democrazia prima delle riforme: una democrazia molto “pervasiva” e molto “divisiva”.

Ogni livello di governo, proprio perché dotato di una propria rappresentanza popolare

diretta e di competenze proprie, è spinto a giustificare la sua esistenza, spesso anche

contrapponendosi agli altri e contestandone decisioni e indirizzi politici.

Un sistema di governo territorialmente articolato nel quale ogni livello sia espressione di

democrazia diretta non solo moltiplica la classe politica (democrazia “pervasiva”) ma favorisce

anche il sorgere di indirizzi politici alternativi o contrastanti rispetto allo stesso territorio o a

medesimi settori di regolazione (democrazia “divisiva”), e quindi farraginosa, lenta, obbligata a

mediare e spesso a mediare al ribasso.

La democrazia delle riforme: una democrazia “coesiva”

La riforma Delrio ha ridotto i livelli di classe politica eletta direttamente trasformando di

fatto gli enti di secondo grado in forme associative di sindaci e consiglieri comunali, anche con

l’intento di rafforzare la democrazia “coesiva” rispetto a quella “divisiva”.

La riforma Renzi-Boschi completa questa disegno:

riduce il numero di parlamentari eletti direttamente dai cittadini (e quindi la classe politica

elettiva) e fa del Senato una Assemblea nella quale sono presenti consiglieri regionali e sindaci

eletti da consiglieri regionali.

Il Senato eletto da consiglieri regionali fra consiglieri regionali e sindaci favorisce una democrazia

coesiva, perché di fatto collega in modo permanente il legislatore statale, del quale fa parte, con i

consigli regionali e i comuni, dei quali i suoi componenti sono espressione, sia perché eletto dai

consigli regionali, sia perché composto da consiglieri e sindaci.

Il quadro complessivo è dunque:

Una diminuzione della classe politica direttamente eletta

Un rafforzamento dei legami tra i diversi livelli di governo, finalizzata a una democrazia più

“coesiva” e meno “divisiva”

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Il punto essenziale è che la democrazia italiana esce dalla riforma più forte

Il voto popolare resta la base del funzionamento democratico complessivo del sistema

perché anche gli organi elettivi di secondo grado sono eletti da persone che

rappresentano i cittadini e sono stati votati da loro.

Gli organi di secondo grado rafforzano la coesione complessiva del sistema democratico

repubblicano e quindi la “democrazia coesiva”.

Il rafforzamento strutturale della democrazia “coesiva” è:

- il completamento della Repubblica delle autonomie dell’art. 5 Cost., che riconosce e

colloca le autonomie locali nel quadro dell’unità della Repubblica.

- il coronamento dell’art. 114, come riscritto dalla riforma del 2001 e da quella Boschi-

Renzi, che definisce la Repubblica composta di comuni, città metropolitane, regioni e

Stato

Seconda linea: Partecipazione diretta rafforzata: iniziativa legislativa a esame garantito;

referendum propositivo e di indirizzo; rimozione quorum strutturale referendum abrogativo

La sovranità popolare non si esprime solo nel voto.

Nella nostra epoca sovranità popolare è anche “partecipazione e forme di democrazia diretta.

La riforma Renzi-Boschi contiene molte norme che rafforzano l’esercizio della sovranità

popolare attraverso forme di democrazia diretta

1) Rafforzamento iniziativa legislativa popolare art. 71

L’iniziativa popolare è rafforzata aumentando il numero delle firme richieste e quindi la

sua “serietà” (150 mila firme invece di 50 mila) ma soprattutto la sua “efficacia” (obbligo

per i regolamenti parlamentari di definire in modo vincolante tempi, forme e limiti per il

loro esame).

La riforma Renzi-Boschi impone di garantire l’esame progetto legge iniziativa popolare in

tempi certi e percorsi definiti.

Non più solo diritto di iniziativa legislativa ma diritto a procedimento legislativo obbligato

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Il diritto ad esame certo della proposta, anche se in tempi rimessi ai regolamenti

parlamentari, assimila iniziativa popolare a quella del governo quando esercita la

“questione di governo” dell’art. 72 u.c.

2) Istituzione referendum propositivo e di indirizzo

La riforma rafforza la partecipazione diretta del popolo col referendum propositivo e di

indirizzo, di cui all’art. 71 u.c.

Si tratta di una novità assoluta, molte volte richiesta dalle minoranze e in genere da tutti

i “partecipazionisti”.

Si tratta di lavorare su legge costituzionale e leggi attuative di cui ad art.71 u. c. ma è un

grande salto in avanti.

3) Mutamento dei quorum per il referendum abrogativo

Il referendum abrogativo è nella Costituzione attuale il solo vero istituto di democrazia

diretta a effetto immediato, oltre al referendum confermativo nel processo

costituzionale che è solo eventuale.

La critica principale alla norma vigente è sempre stata il doppio quorum che rende

“difficile” (ed “eventuale”) che l’espressione della volontà popolare, quando abrogativa,

abbia effetto (occorre anche la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al

voto.

La riforma Renzi-Boschi consente (se si vuole) di superare nettamente questo limite,

senza però aggravare necessariamente l’attivazione popolare dell’istituto.

Va chiarito bene infatti che essa:

- Lascia sempre la possibilità del referendum con 500.000 firme e doppio quorum (quindi

non restringe il diritto referendario)

- Consente che se le firme sono 850.000 cada il quorum strutturale

Risultato: un netto e assoluto miglioramento, che “non toglie nulla” ma “aggiunge

molto” al diritto del popolo di esprimere la volontà abrogatrice di leggi, e quindi di

esercitare il suo potere di “interdizione” verso il legislatore”

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Terza linea: il rafforzamento del “peso” del voto popolare come conseguenza di una sola Camera

elettiva e dell’Italicum

Per quanto possa sembrare strano una unica Camera eletta direttamente dai cittadini rafforza

molto il valore del voto popolare e il peso della rappresentanza diretta dei votanti.

Non a caso il bicameralismo a elezione diretta di entrambe le Camere è sempre stato visto

come un modo per “dividere” il potere rappresentativo del popolo o tout court il “potere

popolare”. (di qui l’ opposizione del PCI al bicameralismo anche alla Costituente).

Aver concentrato in una unica Camera il potere elettivo e di rappresentanza del popolo

rafforza e non indebolisce la rappresentanza democratica (e quindi la democrazia).

Ne è prova il fatto che il Senato, per la sua formazione e i poteri attribuiti, ha ora una altra

funzione sistemica: quella di concorrere a costruire una democrazia coesiva tra i diversi

livelli di governo.

Dunque, al contrario di quello che si dice, proprio perché solo la Camera è elettiva il “voto

popolare pesa di più” perché “è più concentrato”

L’importanza della fiducia riservata alla Camera e il valore dell’Italicum

Anche il voto di fiducia riservato alla Camera e l’Italicum si inscrivono in questo quadro.

Il voto popolare per l’elezione di una sola Camera aumenta ancora se questa Camera è la

sola a dare la fiducia al Governo e quindi il rapporto fiduciario è solo tra governo e

rappresentanza popolare diretta.

Il voto popolare aumento di peso se il sistema elettorale assicura una maggioranza della

Camera espressa direttamente dal voto degli elettori.

Il punto forte dell’Italicum (o comunque di un sistema maggioritario con premio a lista o

coalizione vincente) non è che esso consente al Paese di avere un governo stabile (che non

è vero) ma è che: consente al voto popolare di esprimere direttamente una maggioranza

politica della Camera.

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In questo senso anche il sistema a lista unica (e non a coalizione di liste) aumenta il

peso del voto popolare perché chi vota concorre al formarsi di una maggioranza

non solo definita dal voto ma anche politicamente omogenea, perché espressione

di una sola lista.

Il raccordo tra sistema elettorale maggioritario a doppio turno per liste (con

esclusione delle coalizioni) e elezione di una sola Camera titolare del rapporto di

fiducia ha l’effetto di:

RAFFORZARE E NON DI INDEOBOLIRE LA DEMOCRAZIA ITALIANA.

Si può anche dire, ed è corretto, che con la riforma Renzi-Boschi e il nuovo sistema

elettorale:

IL VOTO DEL CITTADINO VALE DI PIU’

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SCHEDA n. 3

TEMA: LA RIFORMA NON SOLO NON È CONTRO LA COSTITUZIONE MA NE COSTITUISCE IL

COMPLETAMENTO

non siamo di fronte a una riforma che cambia la natura della nostra Costituzione ma,

esattamente al contrario, a una riforma che completa e dà armonia all’ordinamento

costituzionale attualmente in vigore, modificando il testo costituzionale non contro ma a

favore della sua coerenza e armonia.

Va sempre ricordato che: La Costituzione vigente oggi non è più il testo della Costituzione

del 1948 ma quello della Costituzione del 2016 quello modificato dalla riforma del Titolo V

del 2001 che ha trasformato la Repubblica “una e indivisibile”(art.5) e “unitaria (art.114

testo del 1948) in una Repubblica “unica e indivisibile” ma ora “composta” ( composita).

La riforma del 2001 ha insomma cambiato la forma della Repubblica. L’art.114 primo e

secondo comma, come modificati dalla riforma del 2001, dando pieno sviluppo e

attuazione alla Repubblica delle autonomie perché in questo nuovo testo la Repubblica

non si limita a riconoscere l’esistenza degli enti territoriali ma dichiara che essi ne sono

elementi costituitivi

Nella Costituzione approvata nel 1948 l’art. 114 stabiliva che “la Repubblica si riparte in

regioni, province e comuni”. Esso faceva dell’articolazione delle autonomie locali di cui

all’art. 5 Cost. solo una articolazione della Repubblica una e indivisibile.

L’art. 114 Cost. originale, dunque, fondava uno Stato che riconosceva le autonomie locali

(art. 5) e che aveva al suo interno i legislatori regionali (per cui molti parlarono di Stato

regionale) ma quella formula sostanzialmente faceva della Repubblica una entità unitaria,

oltre che”unica e indivisibile”,In quella Repubblica infatti regioni, province e comuni erano

solo sua “articolazioni interne”.

In quel quadro costituzionale l’idea che il Senato dovesse rappresentare le regioni era

presente nel dibattito della Costituente ed emerge dall’art. 56 che afferma che il Senato è

eletto a base regionale (va ricordato che nel testo del 1948 le due Camere avevano durata

“sfalsata”: cinque anni quella dei deputati, sei il Senato). Non fu difficile però negli anni

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successivi, anche per la mancata istituzione delle regioni, operare in modo da attenuare e

scolorire moltissimo il concetto di “ripartizione a base regionale”, fino a fare delle regioni

soltanto le circoscrizioni del Senato.

Col Titolo V e il nuovo art. 114 cambia tutto.

Il nuovo art. 114 recita: “La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città

metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”.

Il secondo comma specifica poi anche che comuni, province, città metropolitane e regioni

sono tutte allo stesso modo “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i

principi fissati dalla Costituzione”.

L’art. 114 della riforma del Titolo V ha cambiato la struttura delle Repubblica,

L’ordinamento repubblicano oggi non è più costituito da una Repubblica “unitaria” (oltre

che “unita e indivisibile”).

Ora l’ordinamento costituzionale italiano è costituito da una Repubblica “una e

indivisibile” (at. 5) ma anche “composta” (o composita) perché si “compone” di cinque

livelli territoriali (art.114).

Noi oggi non viviamo più nella Repubblica del 1948 ma in quella rifondata nel 2001, e che

ha visto la Repubblica “una e unitaria” diventare una Repubblica “una e composita” (o, se

si preferisce, “composta” di cinque livelli territoriali, riducibili a quattro tenendo conto che

secondo la migliore interpretazione (fatta propria anche dalla legge Delrio) città

metropolitane e province non coesistono insieme in un medesimo territorio.

Il Senato della riforma Renzi-Boschi coerente con la Repubblica rifondata nel 2001

Le ragioni del superamento del bicameralismo a rappresentanza omogenea ma anche del Senato

delle regioni

Dunque nella Repubblica rifondata nel 2001 la composizione delle due Camere, al di là che

fosse o meno criticabile il bicameralismo perfetto, è diventata obsoleta perché la

Repubblica composita deve avere un Parlamento in grado di riflettere questa sua

composizione plurima rispetto ai livelli territoriali di governo.

Il superamento necessario del bicameralismo perfetto ma anche dell’ipotesi Senato delle

regioni

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Con l’art.114 Cost. non avrebbe avuto senso istituire un Senato rappresentativo delle sole

Regioni, come forse sarebbe stato possibile fare in modo più organico e compiuto nel

1948.

Nella Costituzione del 1948, giocando sul fatto che le regioni erano titolari del potere

legislativo, si poteva immaginare un Senato delle Regioni (e infatti in questo senso si

discusse alla Costituente ed è da questa discussione poi sospesa che deriva il Senato eletto

a base regionale dell’art. 57, primo comma Cost., che ne ricostituisce ricordo.

Nella Repubblica come ridefinita dal nuovo art. 114 Cost. non è più così.

La attuale forma repubblicana è “una e indivisibile ma composita” e la sua composizione

non differenzia le regioni dai livelli territoriali di governo perché il secondo comma dell’art.

114 Cost. parifica regioni, città metropolitane, province e comuni tutti sotto l’unica dizione

di “enti autonomi”.

Il nuovo Senato come Camera a composizione e rappresentanza coerente con l’ordinamento

repubblicano vigente

Nel quadro delineato, è evidente che:

a) Occorreva superare l’attuale bicameralismo, perfetto quanto a composizione e

rappresentanza, perché in stridente contrasto con il carattere delle Repubblica una e

composita

b) Che non si poteva più ipotizzare il Senato delle regioni, quale che fosse la forma che gli

si voleva attribuire, perché il secondo comma dell’art. 114 Cost. non consente più di

differenziare fino a questo punto le regioni dagli altri enti territoriali

c) Che occorreva dunque optare per un Senato rappresentativo delle istituzioni

territoriali, nel quale fossero presenti rappresentanti dei diversi livelli territoriali di

governo

Il nuovo Senato della riforma Renzi-Boschi coerente con l’ordinamento repubblicano in vigore,

con la legge Delrio e con la soppressione delle province

La riforma del fonda un bicameralismo differenziato nella composizione e nella

rappresentanza, oltre che oltre che nella funzioni.

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Esso è coerente con la duplice natura della Repubblica: da un lato una e indivisibile e

dall’altro “composita”.

L’art. 55 al terzo comma, specificando che “ciascun membro della Camera rappresenta la

nazione” chiarisce che la Camera nel suo complesso è rappresentativa della nazione

La Camera rappresenta dunque la Repubblica nella sua realtà di “una e indivisibile” (per

questo è la Camera che dà la fiducia).

Lo stesso art. 55 al terzo comma chiarisce che “il Senato della Repubblica rappresenta le

istituzioni territoriali ed esercita le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti

costituitivi della Repubblica”.

Il Senato, dunque, è la Camera che rappresenta la Repubblica nella sua altra “faccia” o, se

si vuole, nella sua altra “dimensione”: la “Repubblica composita”, secondo la formula

dell’art. 114 Cost.

Le ragioni della coerenza col modello della Repubblica composita della previsione della

composizione del Senato riservata a consiglieri regionali e sindaci eletti da consigli. Raccordo con

la riforma Delrio, la soppressione delle province e il nuovissimo art. 114

Questa riforma è stata presentata al Senato “dopo” che era già in vigore la riforma Delrio

ha istituito le città metropolitane come enti di area vasta guidate dal sindaco

metropolitano e ha riformato le provincie secondo un disegno pensato “in attesa della

riforma costituzionale” come dice esplicitamente il comma 56 della l. n. 56 del 2014.

Peraltro la riforma Delrio è stata pensata già nella prospettiva di una riforma costituzionale

che abolisse le province, tanto che questa stessa legge stabilisce che essa “in attesa della

riforma costituzionale” riforma le province-enti di area vasta.

Va inoltre tenuti conto che la riforma Renzi-Boschi modifica anche l’art. 114, sopprimendo

anche il riferimento alle “province” e quindi modificando parzialmente la struttura della

Repubblica, che resta “una, indivisibile composita” ma si compone solo più delle regioni,

delle città metropolitane e dei comuni.

In questo contesto, è del tutto coerente con la Repubblica composita del nuovissimo art.

114 che sopprime le province, che il Senato si componga solo di consiglieri regionali e di

sindaci.

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Non va dimenticato infatti che la figura del sindaco è l’organo di vertice sia dei comuni che

delle città metropolitane, cosicché se è vero che dal punto di vista degli enti la Repubblica

si compone di regioni, città metropolitane e comuni, dal punto di vista degli organi di

vertice tanto i comuni quanto le città metropolitane sono guidati sempre e solo da sindaci.

La composizione del Senato limitata a consiglieri regionali e sindaci è perfettamente in

grado di garantire la rappresentanza di tutte le istituzioni territoriali della Repubblica del

nuovissimo art. 114 Cost.

Le ragioni che giustificano l’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali

L’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali è, nel quadro descritto, perfettamente

coerente, ed anzi la sola possibile.

Essa rimette ai consigli regionali, che, almeno fino alla approvazione della legge elettorale

definitiva, potranno, se credono, sempre consultare anche i CAL (organi previsti dalla

Costituzione riformata nel 2001 e per questa parte non modificata dalla nuova riforma),

circa la scelta dei sindaci da eleggere. Scelta che in certe regioni è anche se eleggere un

sindaco metropolitano (che salvo diversa scelta statutaria è anche sindaco del capoluogo) o

un sindaco di un comune.

Sarebbe stato impossibile infatti distinguere tra città metropolitane e comuni al fine di dare

ad entrambe queste categorie di enti una rappresentanza in Senato perché, come è ben

noto, le città metropolitane non coprono l’intero territorio italiano e costituiscono una

articolazione di secondo livello e di rilievo costituzionale presente soltanto in alcune parti

del territorio. La rappresentanza di entrambe le tipologie avrebbe significato sovra

rappresentare le istituzioni territoriali in alcuni territori regionali rispetto ad altri.

Per questo è coerente rimettere ai consigli regionali delle regioni che hanno al loro interno

le città metropolitane la decisione se optare o meno per l’elezione di un sindaco

metropolitano o di un sindaco di un comune, mentre ovviamente le regioni prive di città

metropolitane non possono che eleggere un sindaco di uno dei loro comuni,

Page 15: MATERIALI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE · Assemblea costituente eletta allo scopo precipuo, e sostanzialmente unico, di adottare una nuova Costituzione per il Paese. Va infatti ricordato

Per riassumere:

Per la parte relativa al Senato e alla sua composizione il metro di giudizio non deve e non può

essere la Costituzione del 1948 (che prevedeva una Repubblica una e anche unitaria) ma deve

essere invece la Costituzione modificata nel 2001 (che prevede la Repubblica una e

composita)

Va sempre tenuto presente che dalla riforma del 2001 si sono verificati tre fatti molto

importanti:

a) La legge Delrio ha istituito le città metropolitane e le provincie, definendo però queste

ultime come province-enti di are vasta in attesa della riforma costituzionale

b) La riforma Renzi-Boschi modifica anche l’art. 114 sopprimendo le province tra i livelli di

governo territoriali che compongono la Repubblica

c) Nel nuovo quadro istituzionale il Senato che rappresenta le istituzioni territoriali è il

corretto completamento di una Costituzione che già prevede una Repubblica unica ma

composita

d) Col nuovo art. 114 e la soppressione delle province la “Repubblica composita” non ha più

il livello provinciale

e) Il nuove Senato deve rappresentare le istituzioni territoriali che compongono la

Repubblica come definita dal nuovissimo art. 114

f) Di conseguenza in Senato possono esserci solo consiglieri regionali, che rappresentano

l’istituzione territoriale regione, e i sindaci che, grazie alla riforma Delrio, che ha previsto

sia sindaci comunali che sindaci metropolitani (che, salvo diversa scelta statutaria, sono

anche sindaci del capoluogo), possono rappresentare comunque entrambi questi livelli

territoriali

g) La scelta dei senatori eletti è rimessa correttamente ai consiglieri regionali perché nelle

regioni in cui vi sono sia comuni che città metropolitane i consiglieri regionali sono i più

idonei, eventualmente anche sentito il CAL, di decidere se è bene che la rappresentanza

dei sindaci sia affidata a un sindaco metropolitano/sindaco del capoluogo o a un sindaco

di un comune

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In sostanza il Senato che rappresenta le istituzioni territoriali ex art. 55 terzo comma,

unitamente a una Camera che invece rappresenta la Nazione ex art. 55 secondo comma

riflettono in modo adeguato, armonioso e coerente, il quadro costituzionale attualmente in

vigore in Italia, con la modifica apportata all’art. 114 dalla riforma in esame.

DUNQUE E’CORRETTO DIRE CHE QUESTA RIFORMA NON VA IN ALCUN MODO CONTRO LA

COSTITUZIONE MA CASO MAI LA COMPLETA E LA RAFFORZA. ESSA DA’ UN EQUILBRIO E UNA

COERENZA MOLTO PIU’ FORTE A UNA COSTITUZIONE CHE DOPO LA RIFVORMA DEL 2001 E’

RIMASTA SBILANCIATA DAL MANTENMENTO IRRAGIONEVOLE DI UN BICAMERALISMO A

RAPPRESENTANZA INDIFFERENZIATA