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Giuseppe Panassidi – Il modello di organizzazione pubblica - 1 Università degli Studi di Verona Facoltà di Giurisprudenza Fondazione Dipartimento Funzione pubblica Giorgio Zanotto Cantieri per il coordinamento nelle amministrazioni pubbliche Master di 1° livello in gestione ed innovazione nelle Amministrazioni Pubbliche Lezione del 21 gennaio 2006 “Il modello organizzativo pubblico, con particolare riferimento agli enti locali: principi, criteri e strumenti” Direttore master prof. Giovanni Battista Alberti Tutor master dott. Mattia Cavaleri Docente dott. Giuseppe Panassidi

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Giuseppe Panassidi – Il modello di organizzazione pubblica - 1

Università degli Studi di Verona Facoltà di Giurisprudenza

Fondazione Dipartimento Funzione pubblica Giorgio Zanotto Cantieri per il coordinamento nelle amministrazioni pubbliche

Master di 1° livello in gestione ed innovazione nelle Amministrazioni Pubbliche

Lezione del 21 gennaio 2006

“Il modello organizzativo pubblico, con particolare riferimento agli enti locali: principi, criteri e strumenti”

Direttore master prof. Giovanni Battista Alberti

Tutor master dott. Mattia Cavaleri

Docente dott. Giuseppe Panassidi

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Il modello organizzativo pubblico, con particolare riferimento agli enti

locali: principi, criteri e strumenti Giuseppe Panassidi 1

1. Il processo di riforma della pubblica amministrazione. Come è noto, gli anni novanta sono caratterizzati da un’intensa attività riformatrice, che

interessa gli ambiti ordinamentale, finanziario ed amministrativo con l’obiettivo di renderli più rispondenti alle mutate esigenze della società.

Fra le riforme, occupano un posto centrale le innovazioni introdotte nell’organizzazione pubblica, per soddisfare l’esigenza generalmente avvertita di dare risposte più adeguate alle aspettative dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione.

I cittadini nei rapporti con la pubblica amministrazione, sono interessati, innanzi tutto, a che l’attività amministrativa sia esercitata nel rispetto dei principi costituzionali della legalità e dell’imparzialità, che costituiscono la garanzia di un esercizio dell’azione amministrativa senza discriminazioni, privilegi ed abusi (principio di garanzia, art. 97 Cost).

Pretendono, nel contempo, di disporre di servizi pubblici non costosi e qualitativamente apprezzabili, specie nei casi in cui sono obbligati, per soddisfare i loro bisogni, a rivolgersi al servizio pubblico in quanto reso in regime di monopolio (principio di efficacia ed efficienza, art. 98 Cost).

I principi di garanzia e di efficienza - efficacia sono valori costituzionali, peraltro comuni a tutte le democrazie moderne, che hanno pari dignità e che devono essere, pertanto, necessariamente coniugati ed egualmente garantiti.

Per realizzare il giusto equilibrio fra principio di garanzia e principio di efficienza, fra razionalità legale e razionalità economica, il legislatore ha cercato di introdurre nelle pubbliche amministrazioni, con le riforme degli anni novanta, un nuovo modello organizzativo, che pone l’accento sui risultati, sull’efficacia e sull’efficienza, senza, tuttavia, trascurare il rispetto dei principi di legalità e neutralità, che rappresentano, per così dire, la “cornice” all’interno della quale può (e deve) muoversi l’azione amministrativa. In particolare, ha previsto l’abbandono del modello tradizionale di organizzazione

amministrativa (cosiddetto modello burocratico o gerarchico formale), che, nato con lo Stato liberale, ha prevalso fino ai giorni nostri, e il passaggio ad nuovo modello (cosiddetto “manageriale” o “d’impresa”), che pone decisamente l’accento sui risultati e, nel contempo, non trascura il rispetto del principio di legittimità dell’azione amministrativa 2.

E’ bene chiarire che il modello “manageriale” o “d’impresa” è un modello antitetico a quello burocratico. Mentre nel modello “burocratico”, infatti, l’organizzazione è rigida ed

1 Segretario generale e direttore generale della Provincia di Verona - La presente relazione costituisce la rielaborazione del commento agli artt. 4 e 5 del D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165, che l’Autore ha curato per il volume AA.VV, L’impiego pubblico, Milano, 2003. 2 D’Orta, La dirigenza pubblica tra modello burocratico e modello d impresa, in CECOR_D’ORTA (a cura di), La riforma del pubblico impiego, 1994, pag. 100.

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ordinata gerarchicamente e l’attività amministrativa, che è indirizzata alla mera esecuzione della legge, è vincolata ed ispirata “ad un legalismo, che in alcuni casi, come in Italia, intrecciandosi con altri fattori, finisce per tradursi spesso in formalismo”, nel modello “manageriale”, che pone l’accento “sulla capacità dell’Amministrazione di dare risposte alle attese della società, l’organizzazione è flessibile e l’attività decisionale della burocrazia viene attuata non in base ad «ordini», ma nel quadro degli indirizzi e direttive generali del vertice politico” 3.

Per conformare l’organizzazione della pubblica amministrazione al modello d’impresa, il legislatore degli anni ‘90 ha cercato anche di costruire un corretto assetto dei rapporti tra politica ed amministrazione, tra indirizzo ed azione. E, dopo alcuni tentativi limitati a specifici settori amministrativi, ha puntato, in maniera decisa, sulla distinzione dei ruoli fra organi di governo e organi amministrativi .

2 Il potere organizzativo pubblico.

Nel vigente ordinamento, il potere organizzativo della pubblica amministrazione è

sottoposto a un doppio regime, pubblicistico e privatistico4. In particolare, il regime pubblicistico è stato mantenuto per le linee fondamentali di

organizzazione e per l’organizzazione strutturale degli uffici, per la definizione delle modalità di conferimento dalla titolarità degli uffici di maggiore rilevanza e per la determinazione delle dotazioni organiche complessive (cosiddetta “organizzazione alta o macro-organizzazione”); mentre il regime privatistico è stato introdotto per gli atti attinenti alla gestione dei rapporti di lavoro e alla restante parte di organizzazione (cosiddetta “organizzazione bassa o micro-organizzazione).

La stessa impostazione è stata accolta dal testo unico degli enti locali n. 267 del 2000. Il “codice” degli enti locali, infatti, da un lato, ha previsto la competenza di livello statutario e regolamentare per la definizione di una serie di linee organizzative portanti (articoli 6 e 89) e, dall’altro, ha demandato ai dirigenti responsabili del servizio la competenza per l’adozione degli atti afferenti alla cosiddetta “organizzazione bassa” e per la gestione dei rapporti di lavoro ed ha conferito natura privatistica ai loro poteri datoriali (art. 107).

E’ bene ricordare che a questo doppio regime, pubblicistico e privatistico, si è si è giiunti essenzialmente attraverso quattro fasi:

a) 1° fase – fino agli anni ‘ 80: l’organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro sono regolati solo in ambito publicistico (DPR 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, e DPR 3 maggio 1957, n. 686, regolamento esecuzione);

b) 2° fase - fino ai primi anni ‘90: è una fase caratterizzata da un regime prevalentemente pubblicistico, introdotta dalla legge 29 marzo 1983, n. 93, legge quadro pubblico impiego, che

3 D’Orta, op. cit., pagg 53 e ss. 4 Clarich e Iaria, La riforma del pubblico impiego, 1999, 70 e ss. D’Orta, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni fra diritto pubblico e diritto privato, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, 2000, 89 e ss; Tenca, Natura giuridica degli atti compiuti dal datore di lavoro nel rapporto di pubblico impiego privatizzato con particolare riguardo al conferimento di incarichi dirigenziali, in Giust-it, Rivista internet di diritto pubblico, 12-2000; Marotti, Il lavoro pubblico, in Giust-it, rivista internet di diritto pubblico, 8-2000, il quale critica la stessa locuzione con cui è nota la riforma definita “privatizzazione del pubblico impiego” e suggerisce di sostituirla con la denominazione più corretta e meno parziale di “contrattualizzazione del pubblico impiego”; Marcucci Gestione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego privatizzato, Russo, Commento all’art. 4 del decreto legislativo 29 del 1993 in Le nuove leggi civili commentate, 5 – 6 1999 – 1096 e ss.

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distingue fra materie disciplinate dalla legge o in base a legge, da atto normativo o amministrativo e materie disciplinate da accordi ma che devono essere recepiti con regolamenti;

c) 3° fase, dagli anni ‘93 al ‘97: questa fase è avviata dall’emanazione del D.Lgs 3 febbraio 1993, n. 29, che introduce la prima privatizzazione secondo cui l’organizzazione rimane nell’ambito del regime pubblicistico, mentre la disciplina e i rapporti individuali di lavoro sono “privatizzati”, o meglio contrattualizzati;

d) 4° fase - anni dal 1998 ad ogg: in questa fase si completa la riforma del lavoro pubblico, con la legge delega n. 59/1997 e i relativi decreti 396/1997, 80/1998 e 387/1998 fino al D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165, poi modificato dalla 15 luglio 2002, n. 145. In questa fase, è soltanto la cosiddetta “macro - organizzazione” a rimanere disciplinata dal regime pubblicistico, mentre la cosiddetta “micro - organizzazione” e la gestione dei rapporti di lavoro sono trasferiti al regime privatistico. 2.1. La macro - organizzazione: contenuto, regime e controlli

Il termine “macro – organizzazione” individua, quindi, il complesso di attività che, anche in

seguito alla cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego, il legislatore ha ritenuto di mantenere nell’ambito del diritto pubblico.

Stabilisce, infatti, l’art. 2 del D.Lgs n. 30 marzo 2001, n. 165 che sono mantenute nell’ambito del regime pubblicistico (“Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti) le seguenti materie 5:

a) linee fondamentali dell’organizzazione Rientrano in questa categoria: a) le attività dirette a stabilire le linee fondamentali

dell’organizzazione; b) i criteri con i quali raccordare l’organizzazione con gli effettivi bisogni; c) le decisioni per l’assegnazione ad uffici diversamente strutturati delle relative funzioni; d) i criteri generali per l’organizzazione delle funzioni e delle risorse umane.

Giova ricordare che nella definizione delle linee fondamentali dell’organizzazione degli uffici ciascuna pubblica amministrazione deve conformarsi ai criteri dettati dall’art. 2 dello stesso D.Lgs n. 165, di cui si dirà al successivo paragrafo 2.4.;

b) organizzazione strutturale degli uffici Nell’attività di organizzazione strutturale degli uffici sono compresi: - l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza, cioè di livello dirigenziale, e la loro

organizzazione per funzione omogenee o per progetti o processi; - la disciplina degli uffici di diretta collaborazione degli organi politici,(art. 14, c. 2); - la costituzione di particolari uffici, ancorché non di livello dirigenziale, come quelli per

le relazioni con il pubblico, per la gestione del contenzioso del lavoro, ecc (artt. 11 e 12) 6. 5 Nell’ordinamento antecedente alla legge delega n. 59 del 1997, il regime pubblicistico, ai sensi dell’art. 2 delal legge delega n. 421 del 1992, interessava : a) le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; b) organi, uffici e modi di conferimento della titolarità dei medesimi; c) ruoli e dotazioni organiche; d) procedimenti di selezione per l’accesso e l’avviamento al lavoro; e) responsabilità giuridiche attinenti all’espletamento di procedure amministrative. 6 Altri esempi in cui è la stessa legge a prevedere la costituzione di particolare uffici si ritrovano nella riforma del sistema dei controlli e nei recenti testi unici sulla documentazione amministrativa e in materia di espropriazione. Il D.Lgs 30 luglio 1999, n. 286 di riordino del sistema dei controlli interni prevede che nelle amministrazioni dello stato sia istituito un servizio di controllo interno per le attività di valutazione e controllo strategico (art. 6). Il testo unico in materia di

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Alla stessa categoria appartengono gli atti di natura regolamentare per la definizione delle modalità per il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali di qualunque livello e la graduazione dei livelli di responsabilità dirigenziale ai fini dell’attribuzione del trattamento accessorio (retribuzione di posizione e di risultato), nonché gli stessi provvedimenti di nomina e revoca dei dirigenti;

c) dotazioni organiche complessive E’ affidata a regolamenti del governo o a decreti di singoli ministri, la determinazione del

numero complessivo dei dipendenti delle diverse categorie e qualifiche e le relative variazioni. Per gli enti locali, la determinazione della dotazione organica complessiva è effettuata con il

regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, di competenza dell’organo esecutivo. Le dotazioni organiche e le relative variazioni devono essere definite in coerenza con la

programmazione triennale del fabbisogno di personale (art 39 L. 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni) e, per conseguire risparmi di spesa, in riduzione, salvo deroghe per le forse di polizia, i magistrati e le università (art. 1, c. 93L. 30 dicembre 2004, n. 311 – legge finanziaria 2005);

d) procedure di reclutamento La definizione delle procedure di selezione e di avviamento al lavoro ai fini del

reclutamento del personale deve avvenire o direttamente con la legge, oppure con regolamento ma nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza, imparzialità, rispetto delle pari opportunità, ecc., dettati dall’art. 36 dello stesso D.Lgs n. 1657;

e) assegnazione risorse Appartiene al momento pubblicistico tutta l’attività diretta alla definizione delle risorse

umane, da assegnare ai dirigenti per il raggiungimento degli obiettivi predefiniti dagli organi politici.

f) altre materie L’ambito della “macro – organizzazione” può essere ampliato da ciascuna pubblica

amministrazione, che autonomamente può decidere di attrarre al momento pubblicistico altri aspetti dell’organizzazione e della disciplina degli uffici, anche di livello non dirigenziale, oppure di rimetterli alle determinazioni organizzative non pubblicistiche 8.

documentazione prevede l’obbligo di istituire il servizio per la gestione automatizzata dei flussi documentali (art. 61, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in suppl. ord. alla n. 30/L alla Gazz. Uff. n. 42 del 20 febbraio 2001). Il recente testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità n. 327/2001 prevede, con la finalità di razionalizzare il complesso procedimento di espropriazione per la realizzazione di opere pubbliche, l’obbligo per lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti pubblici di costituire uno specifico “ufficio per le espropriazioni”, come unità operativa autonoma a se stante nell’ambito dell’assetto organizzativo complessivo dell’ente, oppure di assegnare le relative funzioni e poteri ad un ufficio esistente della stessa amministrazione. Consente agli enti locali di costituire un ufficio comune per le espropriazioni o di associarsi nelle forme previste dalla legge (art. 6, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in suppl. ord. n 211/L alla Gazz. Uff. n. 189 del 16 agosto 2001; per il testo del decreto corredato con le relative note v. suppl. ord. n. 231 alla Gazz. Uff. n. 214 del 14 settembre 2001). Fra gli altri numerosi casi, si ricordano ancora gli uffici di statistica, centrali, periferici, delle province , dei comuni previsti dal D.Lgs n. 322/1999 sul sistema statistico nazionale (art. 2 D.Lgs 6 settembre 1999, n. 322, in Gazz. Uff. 22 settembre 1989, n. 222) e lo sportello unico per le attività produttive o per le imprese previsto dal Capo IV del D.lgs 31 marzo 1998, n. 112 e successive modificazioni. 7 La disciplina dell’accesso agli impieghi e di svolgimento dei concorsi è contenuta nel DPR 9 maggio 1994, n. 487 (in suppl. ord. n. 185 alla Gazz. Uff. 9 agosto 1994), modificato con DPR 30 ottobre 1996, n. 693 (in Gazz. Uff. 4 febbraio 1997 n. 28). Agli enti locali il regolamento 487 si applica soltanto nel caso in cui l’ente non sia dotato di una propria disciplina (art. 89, commi 3 e 4, del t.u. n. 267/2000). 8 D’Orta, op. cit., 104 e ss.

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Tutti gli atti di macro - organizzazione trovano il loro fondamento nella legge, o altri fonti normative (decreti, statuti, regolamenti) o, comunque, in provvedimenti amministrativi, in atti cioè a carattere pubblicistico e, quindi, vincolati nello scopo, dalla Costituzione e dalle leggi, alla realizzazione di interessi pubblici (cosiddetti “atti funzionalizzati”).

Gli atti di organizzazione a carattere pubblicistico sono sindacabili per i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi (violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere), sono soggetti ai relativi controlli tradizionali, di legittimità ( anche se spesso solo interni alla stessa amministrazione titolare della competenza) e (ove previsto) di merito, e alla giurisdizione amministrativa nei limiti e con le modalità e le forme previste per la generalità dei provvedimenti amministrativi.

2.2 La micro – organizzazione: contenuto, regime e controlli

Il termine “micro – organizzazione” comprende, invece, tutto l’ambito della organizzazione

non definita normativamente o con provvedimenti amministrativi, ma che l’ordinamento rimette alla competenza degli organi di gestione con i poteri del datore di lavoro privato.

Il c. 2 dell’art. 5 del D.lgs n. 165, e successive modificazioni., prevede la natura privatistica, e non pubblicistica, di tutti gli atti di “micro – organizzazione” e di gestione dei rapporti di lavoro.

Nell’area della “mico – organizzazione” rientra, innanzi tutto, tutta l’attività inerente l’organizzazione degli uffici e del lavoro e, in particolare:

a) l’individuazione degli uffici di livello non dirigenziale; b) il conferimento della titolarità degli uffici di livello non dirigenziale; c) l’organizzazione interna degli uffici e del lavoro (atti di direzione, coordinamento,

controllo, ecc). Vi sono comprese poi tutte le attività di regolazione collettiva ed individuale dei rapporti di

lavoro e, in particolare: a) i contratti collettivi di lavoro; b) gli atti di gestione del personale nel suo complesso (carichi di lavoro, produttività,

orari di lavoro, ec); c) la gestione dei singoli rapporti di lavoro (contratti individuali, mobilità, concessione

di congedi, aspettative, ecc). Le determinazioni organizzative e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono

quindi, assunti dagli organi preposti alla gestione, per espressa previsione normativa, con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato. Non sono, in altri termini, atti e provvedimenti amministrativi caratterizzati da autoritatività ed esecutorietà, ma atti di diritto privato, che pur mantenendo spesso carattere unilaterale, trovano il loro fondamento nel contratto (contratti collettivi e contratti individuali di lavoro) e non nella legge. Essi, a differenza degli atti organizzativi di diritto pubblico, sono privi di imperatività ed esecutività e, così come avviene per il potere organizzativo del datore di lavoro privato, sono espressione di un potere direttivo che nasce dal contratto che costituisce il rapporto di lavoro 9.

9 Pretura Napoli, 24 marzo 1999, in Giust. Civ., 1999, I, 3504.

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Il regime privatistico delle decisioni di organizzazione e di gestione dei rapporti di lavoro comporta alcune conseguenze che si riflettono oltre che sulla tipologia degli atti, anche sul regime dei controlli e sulle forme di tutela.

Questi atti, infatti, sono sindacabili, non con riferimento ai vizi degli atti amministrativi, ma solo per violazione dei diritti, finali o strumentali, derivanti ai lavoratori dalle leggi e dai contratti, nonché per violazione delle regole di correttezza e buona fede che presiedono in generale l’esecuzione di tutti i contratti. In altri termini, sono sindacabili soltanto con riferimento ai vizi che sono propri dell’attività di diritto privato.

Gli atti del potere organizzativo privatistico sono coerentemente sottratti ai controlli tradizionali degli organismi esterni e sono sottoposti, invece, a verifiche periodiche da parte degli organismi di controllo interno per accertarne la loro corrispondenza al pubblico interesse e ai criteri generali di organizzazione cui deve conformarsi anche il potere organizzativo privatistico della pubblica amministrazione.

Anche le determinazioni operative e gestionali, seppure sottoposte al diritto privato, sono vincolate, infatti, dall’esigenza dell’assoluta rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa e, in particolare, al rispetto delle finalità generali fissate dallo stesso D.Lgs n. 165 (artt. 1 e 2), cui deve essere informata l’attività organizzativa qualunque ne sia il regime giuridico, e cioè:

a) efficienza, efficacia ed economicità; b) razionale impiego delle risorse umane; c) determinazione del fabbisogno del personale in relazione ai carichi di lavoro; d) politica di formazione finalizzata all’accrescimento professionale dei dipendenti; e) organizzazione per funzioni omogenee e per obiettivi; f) flessibilità organizzativa; g) semplificazione; h) comunicazione fra gli uffici; i) interconnessione informatica e statistica tra le amministrazioni; j) interesse a soddisfare le esigenze dell’utenza; k) trasparenza e imparzialità amministrativa, valore di garanzia che deve essere

coniugato con quello di efficienza; l) promozione della pari opportunità fra lavoratori e lavoratrici10. Essendo anche il potere organizzativo espresso attraverso atti privatistici finalizzato a

precisi scopi, ne deriva che le determinazioni organizzative e gestionali, ancorché atti di diritto privato, devono essere motivati con riferimento alle finalità cui devono conformarsi.

Queste finalità costituiscono poi i parametri per le verifiche periodiche che gli organismi interni di controllo devono effettuare, ai sensi del terzo c. dell’art. 5 del D.Lgs n. 165 sulle determinazioni organizzative.

Il parametro per la verifica della coerenza, invece, fra le attività rientranti nell’area della “macro – organizzazione” e quelle che appartengono all’ambito della “micro – 10 Sul punto, v. art. 3, Testo unico delle disposizioni legislative in materia della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, approvato con D.Lgs 26 marzo 2001, n. 153, che rubricato “Divieto di discriminazione” vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda a) l’accesso al lavoro indipendentemente delle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale;b) le iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale;c) la retribuzione, la classificazione professionale, l’attribuzione di qualifiche e mansioni e la progressione in carriera.

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organizzazione” è garantita essenzialmente dalle “direttive”, che sono gli strumenti con i quali gli organi politici esercitano la loro funzione di alta direzione, di indirizzo, e di coordinamento e la successiva funzione di controllo in merito alla rispondenza dei risultati della gestione alle direttive stesse 11.

Giova, infine, ricordare che la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità del nuovo modello del potere organizzativo pubblico, in parte pubblicistico e in parte privatistico, in quanto costruito su un equilibrato dosaggio di fonti idoneo a garantire i due precetti costituzionali dell’imparzialità e dell’efficienza 12.

2.3. I criteri generali di organizzazione Il modello organizzativo, che può essere definito di “amministrazione per obiettivi” o

“modello aziendalistico” o “modello d’impresa”, è retto dai principi generali fissati dall’art. 2 dello stesso D.Lgs n. 165, ai quali deve uniformarsi l’organizzazione amministrativa:

a) articolazione funzionale degli uffici: l’applicazione di questo principio impone che l’organizzazione deve essere funzionale ai programmi operativi predisposti e deve perseguire obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità 13;

b) flessibilità gestionale: questo principio comporta che, una volta definita, nel rispetto dei principi fissati dalla legge, l’organizzazione degli uffici con il regime pubblicistico, le misure inerenti all’organizzazione e alla gestione dei rapporti di lavoro siano adottate con atti interni dei dirigenti preposti alla gestione, supportati dagli organismi di controllo interno, con la capacità ed il potere del privato datore di lavoro 14. Per quanto riguarda il principio della flessibilità organizzativa, in particolare, giova ricordare che l’ordinamento ha approntato specifici strumenti per renderlo effettivo. Ha previsto, innanzi tutto, un sistema di programmazione delle dotazioni organiche, non superiore al triennio, strettamente connesso con la programmazione economico-finanziaria e gli obiettivi da perseguire 15. Ha individuato, inoltre, un sistema di reclutamento del personale che privilegia procedure selettive, finalizzate a garantire la verifica del possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti dalla posizione da ricoprire 16, da effettuare con criteri di rapidità, efficienza, pubblicità, 11 Corte dei Conti, sez.. contr. 28 dicembre 1995, n. 167, in Cons. St., 1996, II, 286. Si veda sul punto i questo stesso volume il commento all’art. 14. 12 Corte Cost.25 luglio 1996, n. 313, in Foro it. 1997, I, e 16 ottobre 1997, n. 309, in Lav. Pubbl. amministrativo, 1998, II, 131 e ss. 13 Sono gli stessi principi fissati dalla legge sulla trasparenza del 1990, come criteri propri dell’azione amministrativa (art. 1 della l. n. 241/1990). 14 Art 5, comma 2, del Testo Unico 165/2001. 15 L’art. 5 del D.Lgs n. 239/1993, come riscritto dall’art. 6 del D.Lgsn. 80/1998, ora trasfuso nell’art. 6 del nuovo testo unico n. 165/2001 stabilisce che la dotazione organica deve essere determinata tenendo conto degli effettivi bisogni di personale e in coerenza con gli strumenti di programmazione economico – finanziaria pluriennali (cfr. anche art. 39, commi 1, 2-bis, 3, 3-bis, 3 – ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in Gazz.Uff. 30 dicembre 1997, n. 302, suppl. ord. n. 255/L, e l’art. 91, commi e 2, del D.Lgs n. 267/2000, che obbliga anche gli enti locali alla programmazione triennale del fabbisogno del personale, finalizzata alla riduzione programmata delle spese del personale, e ad adottare politiche di assunzione del personale che siano adeguate ai principi di riduzione complessiva della spesa di personale, in particolare, per nuove assunzioni). 16 L’art. 36 del D.Lgs n. 29/1993, nel testo sostituito dall’art. 22 del D.Lgs n. 80/1998, il cui contenuto è stato trasferito ora nell’art. 35 del t.u. 165/2001, prevede che l’assunzione nelle pubbliche amministrazioni avvenga con contratto individuale, tramite: a) avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche ed i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo; b) assunzione obbligatoria tramite sempre il collocamento delle categorie protette; procedure selettive dirette all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura

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trasparenza e rispetto della pari opportunità. Ha rafforzato la possibilità di utilizzare personale a contratto, anche fuori dalla dotazione organica 17, ed ha introdotto la possibilità di ricorrere, secondo la disciplina dettata dai contratti collettivi nazionali, a , ai contratti di formazione e agli impieghi a tempo, di cui alle disposizioni legislative in materia di incremento dell’occupazione nel settore privato 18;

c) trasparenza dell’attività amministrativa: per garantire la conoscenza dell’attività amministrativa all’esterno è prevista l’istituzione di un’apposita struttura per l’informazione ai cittadini e, per ciascun procedimento, l’attribuzione ad un unico ufficio della responsabilità complessiva dello stesso 19;

d) collegamento dell’attività degli uffici: il dovere di comunicazione interna ed esterna, funzionale al principio di trasparenza e di pubblicità dell’azione amministrativa, è affidato allo strumento informatico, unico mezzo che può garantire un costante flusso di informazioni da e verso l’esterno 20;

e) armonizzazione degli orari di apertura degli uffici: gli orari di servizio e di apertura degli uffici devono essere armonizzati con le esigenze dell’utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione Europea.

E’ riservata, in sintesi, agli organi di governo la programmazione strategica, cioè la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare e i connessi poteri di direzione politica e di controllo dei risultati conseguiti..

adeguata (ma non esclusiva) l’accesso dall’esterno. Questa disposizione pone il presupposto legislativo “per l’attivazione di procedure di selezione interna contrattualmente regolate, necessarie per garantire forme di carriera verticale all’interno delle pubbliche amministrazioni”, Ruffini, Si avvia alla pensione anche il concorso pubblico, in Guida agli enti locali, 25 aprile 1998, n. 16, pag. 99. I regolamenti degli enti locali, nella definizione delle procedure delle assunzioni devono fare riferimento, ai sensi dell’art. 89, c. 3, del D.Lgs n. 267/2000, devono fare riferimento ai suddetti principi sanciti dall’art. 36 del D.Lgs n. 29/1993. 17 Per gli enti locali, v. ora artt. 90, 108 e 110 del D.Lgs n. 267/2000. 18 L’art. 36 del D.Lgs n. 29/1993, come sostituito dall’art. 22 del D.Lgs n. 80/1998, (ora art. 36 del testo unico in commento) demanda ai contratti collettivi nazionali la disciplina della materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, della fornitura dei rapporti interinali, in applicazione della legge n. 230/1962 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), dell’art. 23 della L n. 56/1987 (“Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro – Disposizioni in materia di contratti a termine”), dell’art. 3 del D.L. 726/1984, convertito nella L 836/1984 (“Misure urgenti a sostegno ed incremento dei livelli occupazionali”), dell’art. 16 del D.L. n. 299/1994, convertito nella L 451/1994 (“Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali- Norme in materia di contratti di formazione e lavoro”), dalla L n. 196/1997 (“Norme in materia di promozione dell’occupazione”, in Gazz. Uff. 4 luglio 1997, n. 154). Si veda sul punto l’accordo quadro 9 agosto 2000 CCNQ per la disciplina del rapporto di lavoro del personale assunto con contratto di fornitura di lavoro temporaneo e, per quanto attiene agli enti locali, il contratto integrativo dei contratti 31 marzo e 1 aprile 1999 per il personale del comparto regioni – autonomie locali, stipulato in data 15 settembre 2000, che disciplina le diverse forme flessibili di assunzione negli enti locali (telelavoro, contratti di formazione professionale, lavoro interinale e contratti a tempo determinato). Da ultimo le forme flessibili sono regolate dalla cosiddetta riforma Biagi, e cioè la legge delega n. 30/2003 in materia di occupazione e di mercato del lavoro e il D.Lgs 276/2003, e s.m. 19 Anche il principio della trasparenza è indicato dalla legge n. 241/1990 come uno dei principi cardine dell’azione amministrativa. 20 V. anche art. 10 dello stesso t.u. n. 165/2000, che ed affida all’organismo indicato dalla legge delega n. 421 del 1992 il compito di definire modelli e sistemi utili alla interconnessione tra le amministrazioni. Sul punto, è opportuno ricordare che il percorso di formazione di un quadro normativo di riferimento in materia di “governo elettronico” nella pubblica amministrazione è stata molto lento e graduale e si è concluso con l’emanazione del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2001, suppl. ord. 30/L, dove hanno trovato coordinamento e valorizzazione le disposizioni normative che negli anni novanta hanno tentato di introdurre nella pubblica amministrazione l’evoluzione tecnologica e, in particolare, il complesso di regole giuridiche per la redazione e la gestione dei documenti informatici (Panassidi – Ferrara, Il quadro normativo di riferimento, in AA VV, La documentazione amministrativa, Milano, 2001).

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2.4. La “contrattualizzazione” del rapporto di lavoro pubblico Come ha chiarito la Corte costituzionale, il rapporto di lavoro dei dipendenti è attratto

nell’ambito della disciplina civilistica “ per tutti quei profili che non sono connessi al momento esclusivamente pubblico dell’azione amministrativa”; mentre l’organizzazione nel suo nucleo essenziale resta affidata “alla massima sintesi politica espressa dalla legge nonché alla potestà amministrativa nell’ambito di regole che la stessa pubblica amministrazione pone” 21.

E’ abbandonato, quindi, il tradizionale statuto integralmente pubblicistico dell’impiego pubblico a favore di un nuovo modello in cui è essenzialmente il contratto che regola le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali (c.d. privatizzazione del pubblico impiego).

a) la deroga delle altre fonti da parte del contratto L’art. 2, c. 2, del D.Lgs n. 165 stabilisce, infatti, che salvo le diverse disposizioni contenute

nello stesso decreto, i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici sono disciplinati dalle disposizioni di cui al Capo I, titolo II del libro V del codice civile, nonché dalle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa. E il successivo comma 3 dello stesso aggiunge che “I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente”. Mentre l’art. 45, c. 1, precisa che “Il trattamento economico e fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi.”

La riforma del lavoro pubblico attribuisce, quindi, al contratto la natura di fonte particolarmente qualificata e competenza regolativa esclusiva in materia di trattamento economico.

In particolare, la suddetta disposizione prevede un meccanismo di deroga del contratto collettivo rispetto ad altre fonti del diritto e la sua efficacia abrogativa di disposizioni normative (leggi e regolamenti) che attribuiscono incrementi retributivi non previsti dai contratti stessi.

Infatti, il comma 2 dell’art. 2 del D.Lgs n. 165, al secondo periodo, dispone: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti, o a categorie di essi, possono essere derogati dai successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”. E il successivo comma 3, dopo avere attribuito al contratto collettivo l’esclusività in materia di attribuzione di trattamenti economici ai pubblici dipendenti, confermata dal successivo art. 45, c. 1, aggiunge che “le disposizioni di legge, regolamento o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dell’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale” .

Un esempio di questo schema, che prevede la derogabilità delle altre fonti da parte dell’attività negoziale delle parti, salvo diversa disposizione della legge stessa, è dato dal comma 223 dell’articolo unico della legge 23 dicembre 2005, n. 266, (legge finanziaria 2006)22, che espressamente dichiara non derogabili dai contratti o accordi collettivi le disposizioni suil personale della stessa finanziaria (commi 207, 208, da 210 a 215 219 e 220) che, nel sopprimere le analoghe disposizioni contenute nei CCNL, limitano il rimborso delle spese di

21 Corte cost , 16 ottobre 1997, n. 309, in Giur.it, 5/1996, 2584 22 In suppl. ord. n. 211/L alla Gazz. Uff. n. 302 del 29 dicembre 2005.

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viaggio in aereo alla classe economica, fissano la misura dell’equo indennizzo,. sopprimano le indennità di trasferta, ecc.

b) le diverse tipologie di contratti Gli atti negoziali previsti sono: - il contratto collettivo quadro (CCNQ): il suo ambito riguarda la definizione dei comparti e

delle aree di contrattazione collettiva e la regolazione degli istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti e aree 23;

- il contratto collettivo nazionale (CCNL): ha il compito di regolare le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali.

- il contratto decentrato integrativo a livello di singolo ente o di più enti : disciplina, a livello del singolo ente o amministrazione, o di più enti, le materie che la contrattazione nazionale rimanda a quello livello di negoziazione

- il contratto individuale di lavoro: costituisce il rapporto di lavoro e lo regola in conformità ai contratti nazionali e decentrati e nel rispetto dei minimi contributivi fissati dagli stessi contratti.

c) il procedimento contrattuale L'attività di contrattazione collettiva nazionale è curata dall'Agenzia per la rappresentanza

negoziale delle pubbliche amministrazioni, ARAN, che stipula i contratti di lavoro relativi ai vari comparti, alle diverse aree della dirigenza, nonché agli altri settori espressamente previsti dall'art. 70 del D.Lgs n.165/2001.

L'ARAN, organismo tecnico, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa, gestionale e contabile, ha la rappresentanza legale di tutte le pubbliche amministrazioni in sede di contrattazione collettiva, che esercita sulla base degli atti di indirizzo formulati dai Comitati di settore costituiti per ciascun Comparto di contrattazione collettiva (art. 41, c. 3, del D.Lgs. n. 165/2001; per le amministrazioni e le aziende autonome dello Stato, opera come Comitato di settore il Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite il Ministro per la funzione pubblica).

Gli atti di indirizzo contengono principi ed obiettivi generali dell'azione di governo per la riforma della pubblica amministrazione ed i conseguenti obiettivi fondamentali della specifica disciplina contrattuale di comparto, ivi comprese le disponibilità finanziarie per i contratti da stipulare.

La contrattazione collettiva nazionale di lavoro tra ARAN e controparti sindacali si svolge attraverso un complesso procedimento, che è interamente regolato dal del D.Lgs n. 165, art. 47, e che si articola nelle seguenti fasi: a) la legge finanziaria individua le risorse finanziarie destinate alla contrattazione collettiva per le amministrazioni statali, in base alle compatibilità definite nel documento di programmazione economica e finanziaria; mentre per le restanti amministrazioni pubbliche

23 I comparti attualmente sono: aziende, ministeri, regioni ed autonomie locali, sanità, scuola, agenzie fiscali, enti pubblici non economici, ricerca, università, Presidenza del Consiglio dei ministri, enti art. 70 D.Lgs n. 165 e accademia e conservatori (cfr CCNQ 18 dicembre 2002, per la definizione dei comparti di contrattazione per il quadriennio 2002 – 2005) A questi sono da aggiungere le aree dirigenziali per aziende e ministeri; regioni e autonomie; due per la sanità; scuola; agenzie fiscali e enti pubblici non economici; ricerca e università; Presidenza Consiglio dei ministri; enti art. 70 D.Lgs n. 165 e accademia e conservatori (da ultimo, cfr. CCNQ 3 ottobre 2005 per la modifica dell'accordo quadro del 23 settembre 2004 Relativo alla definizione delle autonome aree di contrattazione della dirigenza per il quadriennio 2002 – 2005).

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le risorse finanziarie sono a carico dei rispettivi bilanci, fermo restando i parametri fissati nel documento di programmazione economica e finanziaria; b) i Comitati di settore deliberano, preventivamente, gli atti di indirizzo (quelli relativi alle amministrazioni diverse dallo Stato vengono sottoposti al Governo che ha 10 giorni per valutarne la compatibilità con la politica economica e finanziaria nazionale), che vengono inviati all'ARAN; c) l'ARAN avvia la trattativa negoziale con le confederazioni e le organizzazioni sindacali di comparto maggiormente rappresentative ai sensi dell'art. 43 del D.Lgs. n. 165/2001; d) la trattativa può avere una prima fase conclusiva che si concretizza in una preintesa sul contenuto contrattuale complessivo, che è oggetto di consultazione con i lavoratori da parte delle organizzazioni sindacali e di eventuali ulteriori verifiche da parte dell’ARAN con le amministrazioni rappresentate; e) la trattativa si conclude con una ipotesi d'accordo, con la quale le parti formalizzano l'accordo definitivo; f) entro 5 giorni dall’accordo definitivo, l’ARAN deve acquisire il parere dei Comitati di settore sulla ipotesi di accordo e sugli oneri finanziari, diretti e indiretti, che ne derivano sui bilanci delle amministrazioni interessate; g) acquisito il parere favorevole, l'ARAN trasmette il giorno successivo alla Corte dei conti la quantificazione dei costi contrattuali ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio; h) la Corte dei conti deve esprimersi entro 15 giorni e possono verificarsi due ipotesi: - se la certificazione é positiva, il contratto viene sottoscritto definitivamente e diventa

efficace dal momento della sottoscrizione; il testo é pubblicato sulla Gazz.Uff. al fine esclusivo di portarlo a conoscenza degli utenti;

- se la certificazione é negativa, sentito il comitato di settore o il Presidente del Consiglio dei ministri, l’ARAN assume le iniziative necessarie per adeguare la quantificazione dei costi contrattuali o, se non lo ritiene possibile, riapre le trattative; la procedura di certificazione deve, comunque, concludersi entro 40 giorni dall'ipotesi di accordo, decorsi i quali il Presidente dell'ARAN, salvo che non ravvisi l'esigenza di riaprire le trattative, ha mandato di sottoscrivere definitivamente il contratto collettivo.

3. Il principio della distinzione dei ruoli

Nel nostro ordinamento l’assetto dei rapporti fra politica ed azione è regolato oggi per tutte

le aree della pubblica amministrazione dal principio generale della distinzione dei ruoli, secondo cui indirizzo e controllo competono agli organi di vertice e amministrazione e gestione alla dirigenza 24.

Questo nuovo assetto dei rapporti fra politica ed amministrazione è il risultato di un lento processo, che è iniziato nel 1957, con l’attribuzione ai dirigenti generali dello Stato del potere di adottare autonomamente gli atti vincolati per legge, e che ha raggiunto, attraverso diverse

24 A questo principio si sottraggono soltanto le Amministrazioni degli esteri e dell’interno, le Forze armate e di polizia e la Presidenza del Consiglio dei ministri.

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tappe di avvicinamento, un significativo traguardo nel 1998 con il decreto legislativo n. 80/1998 25.

3.1 L’evoluzione dl principio della distinzione dei ruoli: dall’art. 3 del decreto 29 all’art. 4 del testo unico n. 165

Il primo timido tentativo di introdurre, con scarso successo, nell’ordinamento repubblicano

un nuovo assetto dei rapporti fra politica ed amministrazione risale però al DPR n. 748/1972, sulla riforma della dirigenza statale. 26

Alla riforma della dirigenza statale del 1972 segue quella degli enti parastatali nel 1975, disegnata sullo stesso modello di quella statale 27.

Poi, dopo un certo periodo di tempo durante il quale questa problematica è stata accantonata, l’introduzione di una tendenziale distinzione fra indirizzo e gestione e l’affermazione della responsabilità dei dirigenti per i risultati sono ripresi nella legge di riforma dell’INPS e dell’INAIL del 1989 28, che assegna al “consiglio di amministrazione la definizione di obiettivi, programmi e direttive generali, al comitato esecutivo i poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria di carattere generale, al direttore generale (massimo organo burocratico) la sovrintendenza su organizzazione, personale e attività e, infine, alla dirigenza concrete responsabilità di amministrazione e gestione e tutte le attribuzioni non demandate ad altri organi” 29.

E’, però, soltanto con la legge di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali n. 142 del 1990 che si ritrova affermato in modo più netto il principio della distinzione tra indirizzo politico – amministrativo e gestione amministrativa, con la contestuale valorizzazione dell’autonomia gestionale della dirigenza pubblica locale 30. 25 L’art. 155 del DPR 10 gennaio 1957, n. 3, sull’attribuzione del direttore generale, stabiliva che “Il direttore generale ed il capo di ufficio centrale equiparato alla direzione generale … provvedono direttamente agli atti vincolati di competenza dell’amministrazione centrale …”. 26 La riforma del 1972, pur avendo tracciato la distinzione fra indirizzi politici e responsabilità dei dirigenti per i risultati (art.19), non ha conseguito risultati apprezzabili per diverse ragioni. Innanzi tutto, perché il trasferimento della competenza dai ministri ai dirigenti è stato solo parziale e la prevista responsabilità dei dirigenti per i risultati dell’azione degli uffici è rimasta sulla carta. Ma, soprattutto, perché si è verificata la “rinuncia di fatto della burocrazia ai propri poteri in cambio della esenzione dalla responsabilità e da eccessive interferenze dei ministri sulle carriere e sullo stato giuridico – economico”. Per una approfondita analisi dei tentativi di riforma dell’assetto del rapporto politica –amministrazione, vedi C. D’Orta, Management e pubblica amministrazione in Italia: gli antefatti, in AA.VV. La riforma del pubblico impiego, Bologna , 1994, 63 e ss. Sulle motivazioni del fallimento della riforma del 1972, vedi, fra l’altro, Cassese, La carriera del burocrate: dirigenza politica ed amministrativa in Italia, in Sociologia del lavoro, 1981,105; D’Alberti, Per una dirigenza pubblica rinnovata, in D’Alberti ( a cura di), La Dirigenza pubblica, Il Mulino, 1990, 16. 27 V. L. 20 marzo 1975,n. 70, relativa a “Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavori del personale dipendente (in Gazz. Uff. 2 aprile 1975, n. 87). Si veda, inoltre, il D.P.R. 5 dicembre 1987, n. 551, sull’adeguamento della disciplina dei dirigenti del parastato a quella dei dirigenti delle amministrazioni statali (in Gazz. Uff. 13 marzo 1985, n. 62). 28 L. 9 marzo 1989, n. 88. 29 D’Orta, La dirigenza pubblica tra modello burocratico e modello d’impresa, op. cit, 65. 30 L’art. 51 della legge 8 giugno 1990, n. 142, infatti, già nella sua originaria formulazione, codifica nel nostro ordinamento, per la prima volta in modo abbastanza netto il principio della distinzione fra indirizzo politico - amministrativo, affidato alla responsabilità degli organi elettivi, e gestione amministrativa, di competenza del vertice burocratico – amministrativo. E stabilisce, specificatamente, che agli organi politici compete l'attività d'indirizzo e di controllo sull'attuazione degli obiettivi predeterminati, mentre ai dirigenti spetta tutta l'attività di natura gestionale, ivi compresa l'adozione degli atti che impegnano l'ente verso l'esterno in quanto non riservati dalla legge e dallo statuto agli organi di governo. La medesima disposizione specifica che sono affidati ai dirigenti, sulla base delle modalità previste dallo statuto - nuovo strumento di autonomia normativa affidato dalla stessa legge a comuni e province - la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità delle procedure di appalto e la stipulazione dei contratti. iova

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Nello stesso periodo ha inizio, con il decreto legge 6 febbraio 1991, n. 35, convertito nella legge n. 111 dello stesso anno, la riforma delle unità sanitarie locali con la sottrazione della gestione ai comitati di gestione e il suo passaggio ad amministratori straordinari, che si è completata poi, nel 1992, con la definitiva attribuzione ai direttori generali delle aziende sanitarie locali dei poteri di gestione 31.

Con il decreto legislativo n. 29/1993 il nuovo sistema di regole in materia di assetto dei rapporti politica – amministrazione perde la sua caratteristica settoriale e diventa principio fondamentale del nostro ordinamento, esteso a tutte le pubbliche amministrazioni. Diventa, quindi, principio valido anche per le regioni ordinarie e costituisce, rientrando nel novero delle norme fondamentali di riforma economica-sociale, limite alla potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli uffici anche delle regioni a statuto speciale nonché delle province autonome di Trento e Bolzano 32.

La formulazione originaria del testo dell’art. 3 del decreto n. 29 qualificava come “separazione” l’assetto dei rapporti fra politica e gestione, forse proprio per enfatizzare la portata innovativa del principio. Questa formulazione è stata poi corretta con il D.Lgs n. 80 del 1998, che sostituisce all’espressione “separazione” quella più appropriata di “distinzione”.

Nel corso degli anni ’90, la formulazione originaria dell’art. 3 del decreto n. 29 ha subito diverse correzioni fino ad acquisire nel 1998 la formulazione poi ripresa dal D.Lgs n. 165/200133.

L’art. 3 del D.Lgs n. 29 del 1993 nella sua formulazione originaria, parzialmente corretta dal decreto emanato nello stesso anno, stabiliva la netta separazione fra gli organi di governo e i dirigenti, riprendendo la testuale indicazione contenuta nell’art. 2 della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, poi confermata dall’art. 11, c. 4, della legge delega n. 59 del 1997.

ricordare poi che le riforme degli anni ’90 dell’ordinamento degli enti locali successive alla legge n. 142, da quella dell’ordinamento finanziario e contabile del 1995 al recente testo unico del 2000, hanno completato l’applicazione al settore delle autonomie locali del principio generale di distinzione dei ruoli, concretizzando le previgenti disposizioni dell’art. 51 della legge n. 142 del 1990, con la piena devoluzione alla sfera della competenza dirigenziale, non solo di tutti gli atti e provvedimenti già direttamente riconducibili all’ambito gestorio come individuato dall’art. 51 della L. n. 142 del 1990, ma, in generale, di tutti gli atti che non attengono all’ambito di indirizzo politico – amministrativo. In particolare, la riforma dell'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, innanzitutto, ha arricchito nel 1995 il sistema di un nuovo strumento operativo, di programmazione economico - finanziaria, che consente di tradurre il principio legislativo della distinzione fra politica ed azione in regola organizzativa e di dargli effettiva attuazione: il piano esecutivo di gestione. Successivamente la riforma Bassanini del 1997 ha dettagliato le funzioni dei dirigenti con l’individuazione in via espressa e diretta delle attribuzioni riservate alla loro sfera gestoria, demandando allo statuto e ai regolamenti l’individuazione delle sole modalità di esercizio. Nel 1999, la L n. 265, di riforma della L. n. 142 del 1990, con disposizioni trasfuse nel T.U n. 267 del 2000, da un lato, ha incluso nel codice deontologico degli amministratori, oltre al dovere di imparzialità e di buona amministrazione, anche quello del pieno rispetto del principio della distinzione dei ruoli; dall’altro, ha attribuito ai dirigenti l’esternazione delle determinazioni volitive concernenti la determinazione a contrattare, sostituendola alla deliberazione a contrattare, con ciò riconducendo alla loro sfera di competenza e di responsabilità l’intero circuito decisionale relativo alle relazioni intersoggettive degli enti locali a contenuto patrimoniale, dalla determinazione a contrattare, alla scelta del contraente fino alla stipulazione dei contratti (artt. 19 e 14 della L. 3 agosto 1999, n. 265, che ha ad oggetto “Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990 n. 142). 31 V. D.Lgs 30 dicembre 1992, n. 502 (in suppl. ord. alla Gazz.Uff. 30 dicembre 1992, n. 305), sul riordino della disciplina in materia sanitaria. 32 V. Baldini, Razionalizzazione dell’amministrazione regionale ed autonomia organizzativa delle Regioni: aspetti problematici, in Le Nuove Leggi Commentate, n. 5-6, 1999, 1054 e ss. 33 Il testo dell’art. 3 del D.Lgs n. 29 del 1993 è sostituito, prima, dall’art. 2 del D.Lgs18 novembre 1993, n. 470 e, poi, dall’art. 3 del D.Lgs 31 marzo 1998, n. 80 e, ulteriormente modificato dall’art. 1 del D.Lgs 29 ottobre4 1998, n. 387.

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Con la correzione poi operata dall’art. 3 del D.Lgs n. 80 del 1998 l’espressione “separazione” è stata sostituita con quella più appropriata di “distinzione”.

E’ apparso, però, chiaro fin dall’inizio ai commentatori che, nonostante l’espressione utilizzata, l’assetto dei rapporti fra vertice politico e vertice burocratico non ricalcava lo schema della “separazione” tra politica ed amministrazione, che avrebbe imposto una scissione netta fra funzione di governo, affidata agli organi rappresentativi, ed esecuzione amministrativa, riservata alla burocrazia 34.

Il modello disegnato dalla riforma del 1993 non ricalcava neppure lo schema opposto, cosiddetto dell’ “osmosi”, in cui l’apparato amministrativo è concepito come mero “prolungamento” del governo e la discrezionalità politica invade anche il campo dell’esecuzione amministrativa, in nome della più assoluta coerenza fra indirizzo ed azione35.

La riforma, al contrario, ha cercato, fin dalla formulazione originaria del 1993, di privilegiare un modello che favorisse un’ampia collaborazione fra organi politici ed organi burocratici nello svolgimento delle rispettive funzioni.

E’ evidente, in effetti, che politica ed amministrazione possono essere tendenzialmente distinti, ma non separati in modo definitivo e netto. Nella pratica, soprattutto, è agevole osservare che l’indirizzo quasi mai consiste nella sola indicazione di fini ed obiettivi, ma reca per lo più in se anche le prime scelte gestionali e che i dirigenti di fatto partecipano con le proposte all’elaborazione delle policies; in altri termini, che fra funzione politica e funzione amministrativa intercorre tendenzialmente un continuum.

La costruzione del decreto n. 29 è coerente con queste considerazioni. Nel decreto n. 29, infatti, gli organi politici perdono la competenza per la gestione ma allo stesso tempo mantengono forti poteri di sovraordinazione e controllo e, con gli atti di indirizzo e normativi di competenza, la possibilità di ridurre l’ambito della gestione stessa. I dirigenti, peraltro, non si limitano alla funzione di gestione ma finiscono per partecipare con le proposte alla formazione delle policies.

Riassumendo, il decreto legislativo n. 29, ancorché nella sua formulazione originaria contenesse l’espressione “separazione”, ha riorganizzato l’assetto dei rapporti tra politica ed amministrazione, tra indirizzo ed azione, non sull’irrealizzabile scissione, funzionale e strutturale, e tanto meno sulla loro assoluta coerenza o sovrapposizione, ma sulla base di un modello che possa garantire, nel governo della cosa pubblica, un corretta interconnessione fra indirizzo, che compete gli organi politici, e gestione, che spetta, invece, alla dirigenza 36, assicurando così l’unità delle organizzazioni amministrative.

Con le correzioni adottate con il decreto n. 80 del 1998 il testo dell’art. 3 del decreto n. 29 perde anche alcune disposizioni di dettaglio, che erano state introdotte dal decreto correttivo dello stesso anno 1993, sull’incarico di direttore amministrativo dell’università, ma mantiene 34 Questo modello è stato scartato dalla riforma perché proprio di una amministrazione vista come attività strettamente esecutiva, “esente da discrezionalità, in linea con lo Stato liberare, essenzialmente regolatore e poco interventista in campo economico e sociale” D’Orta, La dirigenza pubblica tra modello burocratico e modello d’impresa, op. cit, 60. 35 Come sostiene D’Orta, op. cit, 60 “ne sono corollario la selezione politica del personale burocratico e il radicale dei vertici e quadri amministrativi in occasione di cambiamenti politici. Il valore burocratico della lealtà e della neutralità è sostituito dal pieno è sostituito dal pieno legame fiduciario con il vertice politico, fino al caso estremo della sovrapposizione del partito allo Stato”. 36 Sul punto, cfr D’Orta, op. cit., 59 e ss. F. Merloni, Amministrazione neutrale e amministrazione neutrale (a proposito di rapporti fra politica ed amministrazione), in Diritto pubblico, 1997, 319; S. Amorosino, In tema di rapporti fra direzione politica e dirigenza amministrativa, in Rivista trim. Scienza dell’Amministrazione, 1996, 5 e ss.

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principi in materia di adeguamento delle amministrazioni non espressione di rappresentanza politica, che, invece, avrebbero dovuto trovare la loro esatta collocazione nell’originario art. 13 e poi nell’ art. 27/bis (aggiunto dal decreto n. 80 stesso e oggi trasfuso nell’art. 27 del testo unico).

Con lo stesso decreto n. 80 del 1998 la formulazione della disposizione sulle attribuzioni dei dirigenti è modificata anche con l’inserimento dell’espressa previsione della competenza dirigenziale nell’adozione di “atti e provvedimenti amministrativi” (oltre che nella gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa), per evitare interpretazioni restrittive della norma da parte della giurisprudenza e della dottrina che tentavano di escludere dal campo di competenza dei dirigenti l’adozione di alcuni provvedimenti amministrativi, quali le concessioni, le autorizzazioni, ecc 37.

Le correzioni introdotte dal decreto n. 80 del 1998 al testo originario dell’art. 3 del decreto n. 29 del 1993 hanno conferito, quindi, alla disposizione una formulazione più chiara e sistematica, che è stata poi ripresa nell’art. 4 del D.Lgs n. 165, che si può riassumere nella formula della “distinzione collaborativa” fra vertice politico e vertice burocratico.

3.2 Le finalità della distinzione fra politica ed azione

Il principio dell’autonomia dei dirigenti rispetto alle funzioni di indirizzo politico, che

comporta l’esercizio di ampi poteri nell’organizzazione e nell’impiego delle risorse finanziarie ed umane, ha la sua copertura costituzionale negli artt. 97 e 98 della Costituzione.

E’ coerente, infatti, con i principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, che come ha ricordato la Corte Costituzione in diverse pronunce 38 costituiscono i principi essenziali cui deve uniformarsi l’organizzazione degli uffici pubblici.

E’coerente, inoltre, con l’assetto delle responsabilità delineato dalla stessa Carta Costituzionale, che, in buona sostanza, assegna agli organi di governo la responsabilità politica di tradurre in obiettivi i programmi politici approvati dagli elettori e ai dirigenti la responsabilità di attuarli. Il principio costituisce, in ultima analisi, una risposta equilibrata alla soluzione del problema di costruire un assetto di rapporti che garantisca la compresenza nella complessa organizzazione amministrativa di due diversi attori, l’organo politico e quello amministrativo.

Il principio, come è noto, è stato inserito dalla legge n. 421 del 1992 fra quelli cui doveva attenersi il Governo nell’esercizio della delega per razionalizzare e riorganizzare il settore del pubblico impiego. La disposizione, in particolare, autorizza il Governo a “prevedere .. la separazione tra i compiti di direzione politica e quelli di direzione amministrativa”, con “l’affidamento ai dirigenti, nell’ambito delle scelte di programma, degli obiettivi e delle direttive fissate dal titolare dell’organo di autonomi poteri di direzione, di vigilanza e di controllo, in particolare, la gestione di risorse finanziarie

37 Sull’evoluzione della disciplina, C..D’Orta, Politica e amministrazione, in Il Lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Commentario diretto da Franco Caprinici e Massimo D’Antona), Tomo I, 2000, 378 e ss 38 Fra le altre, cfr sentenza 15 ottobre 1990, n. 453 e 11 giugno 1993 n. 333., dove la Corte Costituzionale evidenzia che nell’imparzialità della pubblica amministrazione viene ad esprimersi la distinzione profonda tra governo, che è espressione delle forze di maggioranza, e amministrazione, che, è si preposta ad attuare l’indirizzo politico della maggioranza ma è vincolata ad agire senza distinzione di parti politiche al fine di perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento.

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attraverso idonee tecniche di bilancio, la gestione delle risorse umane e la gestione delle risorse strumentali …” 39.

L’innovazione nell’assetto dei rapporti fra direzione politica e direzione amministrativa, come è stato correttamente osservato, è finalizzata a ricondurre l’amministrazione per intero alla neutralità, cioè ad una amministrazione totalmente sottratta alla politica. In altri termini, il principio della distinzione fra policy e management ha lo scopo di introdurre una regola organizzativa della pubblica amministrazione per rendere effettivo il principio costituzionale di imparzialità e serve a distinguere competenze e responsabilità giuridiche all’interno della stessa pubblica amministrazione.

Il principio è, inoltre, coerente con il progetto complessivo del legislatore ordinario di trasformare l’organizzazione della pubblica amministrazione in senso “aziendalistico”, per favorire il recupero di efficienza nell’agire pubblico 40 .

3.3 Gli atti di indirizzo e controllo

L’art. 4 del D.Lgs n. 165 contiene, oltre all’affermazione generale del principio della

distinzione dei ruoli, un’elencazione puntuale, ancorché esemplificativa (..ad essi spettano, in particolare:…) 41, degli atti di indirizzo politico amministrativo, in cui si estrinseca la funzione di governo.

L’elenco comprende, in particolare, sia atti a contenuto generale, quali quelli di regolamentazione, di programmazione e di pianificazione, di fissazione di criteri generali per benefici a terzi, le direttive, gli atti di assegnazione di risorse, di determinazione di tariffe e oneri a carico di terzi; sia atti a contenuto per così dire particolare, quali gli atti afferenti alla nomina e alla designazione e le richieste di pareri al Consiglio di stato e alle Autorità amministrative indipendenti.

L’elenco degli atti qualificabili di indirizzo politico – amministrativo di competenza degli organi di governo comprende :

a) gli atti normativi La lettera a), c. 1, dell’art. 4 precisa, innanzi tutto, che l’esercizio della funzione di governo

da parte degli organi politici comporta sia l’emanazione di “decisioni in materia di atti normativi” (ad esempio, decisioni di presentare al consiglio dei ministri schemi di disegni di legge o di regolamento governativo; approvazione di disegni di legge, approvazione di regolamenti governativi e ministeriali, regolamenti e statuti, ecc), che “l’adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo”.

Alla categoria appartengono, quindi, anche gli atti normativi interni, e cioè le istruzioni di carattere normativo, contenuti in atti di varia denominazione (circolari, direttive generali, ordinanze, ecc.), emanati appunto per formulare gli indirizzi per l’interpretazione delle norme e per la loro corretta applicazione 42 .

39 Art. 2, c. 1, lett. g) l. 23 ottobre 1992, n. 421, in suppl. ord. alla Gazz. Uff. n. 257 del 31 ottobre 1992, relativa a delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale. 40 F. Merloni, (Commento di), in AA.VV, Le Nuove Leggi civili commentate, AA.VV, n. 5-6-, Padova, 1999, 1085 e ss. 41 Sulla tassatività della categoria di atti qualificabili di indirizzo, C D’Orta, op. cit, 380. 42 R. Alessi, Principi di diritto amministrativo, 1978,120; R. Galli, Corso di diritto amministrativo, 1994, 53; V. Italia, G. Landi, G Potenza, Manuale di diritto amministrativo, 2000, 278.

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Giova ricordare che la legge sulla trasparenza amministrativa del 1990 prescrive, allo scopo di facilitarne la conoscenza anche da parte dei cittadini, la pubblicazione di tutti gli atti (direttive, istruzioni, circolari, ecc) nei quali si determina l’interpretazione di norme giuridiche o si dettano norme per la loro applicazione 43.

Nella stessa categoria degli atti normativi possono essere ricompresi anche gli atti deliberativi di capitolati generali, che si pongono nei confronti dei dirigenti competenti a concludere i contratti come atti normativi, alle cui statuizioni quegli organi debbono attenersi nella determinazione delle altre condizioni essenziali del contratto 44.

b) gli atti di programmazione Le lettere b) e c), c. 1, dell’art. 4 precisano che la funzione di indirizzo degli organi di

governo si concretizza essenzialmente nella programmazione dell’attività amministrativa, mediante “la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali” e “la individuazione di risorse umane, materiali ed economico – finanziare da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione fra gli uffici di livello dirigenziale generale”.

Il metodo della programmazione è, quindi, lo strumento essenziale per assicurare la realizzazione del nuovo assetto dei rapporti fra politica ed azione e il nuovo modello organizzativo di amministrazione per obiettivi.

E’ nella fase di programmazione, infatti, che gli organi politici, con il supporto tecnico dei dirigenti, definiscono precisi punti di riferimento (obiettivi, priorità e piani), per soddisfare i bisogni della collettività, e quantificano le risorse, finanziarie, umane e strumentali, da assegnare ai dirigenti per la realizzazione degli obiettivi predefiniti.

Lo strumento tipico per impartire indirizzi è la direttiva, che per risultare coerente con la ratio che ispira il sistema della distinzione fra il potere di indirizzo politico e la gestione, devono svolgere nei confronti dei dirigenti una funzione di alta direzione e di indirizzo e coordinamento, nonché assicurare gli strumenti per la verifica della rispondenza dei risultati della gestione stessa alle direttive impartite, senza tuttavia vincolare le scelte proprie dei dirigenti45.

Per lo Stato competente alla definizione della programmazione e all’emanazione delle direttive è il ministro, come indicato all’art. 14, c. 1, lettere a) e b) dello stesso D.Lgs n. 16546.

Per le altre amministrazioni statali, l’organo monocratico di vertice. Per gli enti pubblici non economici nazionali, l’individuazione dell’organo competente è rimessa all’apposito regolamento di organizzazione.

Per le regioni a statuto ordinario e per le altre pubbliche amministrazioni, per le quali esiste, ai sensi dell’art. 4, c. 4, e dell’art. 27 dello stesso testo unico, il solo obbligo di adeguamento ai principi tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti, per l’individuazione dell’organo competente occorre fare riferimento agli atti emanati da ciascun ente interessato.

43 L’art. 26 della legge 7 agosto 1990, n. 241 completa la previsione legislativa che obbliga a pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale le circolari esplicative dei provvedimenti legislativi contenuta nell’art. 18, c. 4, del D.P.R. n. 1092/1985. 44 A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1989, 88. 45 Corte dei Conti, sez. Controllo, 28 dicembre 1995 n. 167, in Cons. St, 1996, II, 286. 46 Secondo il nuovo modello della struttura del bilancio dello Stato L.. 3 aprile 1997, n. 94 e D.Lgs 7 agosto 1997, n. 279, le unità previsionali di base: a) sono l’unità giuridica elementare di bilancio, che poi vengono disaggregate in riferimento ai singoli oggetti di spesa ai soli fini della gestione; b) sono individuate in stretta connessione con l’individuazione dei centri di responsabilità amministrativa; c) il ministro assegna le risorse previa definizione degli obiettivi che l’amministrazione intende perseguire (v. anche art. 14 t.u. 165/2001).

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Per gli enti locali giova ricordare che il testo unico del 2000 utilizza la programmazione di primo livello come strumento per regolare i rapporti fra i diversi organi politici - consiglio, sindaco o presidente della provincia e la giunta e fra organi politici e dirigenti e quella di secondo livello per disciplinare i rapporti fra organo esecutivo e dirigenti47.

c) i criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi L’art. 12 della L. n. 241 del 1990 prescrive che le amministrazioni devono preventivamente

stabilire, nelle forme previste dai propri ordinamenti, criteri e modalità per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere.

La stessa disposizione precisa che le amministrazioni devono attenersi ai criteri in parola e che l’effettiva osservanza dei criteri e modalità prestabiliti deve risultare dai singoli provvedimenti attuativi.

Gli atti con i quali le amministrazioni provvedono a definire “criteri e modalità” hanno ovviamente natura normativa e, pertanto, sono di competenza degli organi politici e devono assumere la forma del regolamenti. I provvedimenti attuativi, per i quali la definizione dei criteri è condizione di legittimità, sono invece atti di gestione, che rientrano come tali nella competenza dei dirigenti.

E’ opportuno evidenziare che la mancanza di criteri predefiniti per la concessione di vantaggi non legittima l’assunzione dei relativi provvedimenti da parte degli organi politici, ma richiede semplicemente un loro intervento per completare la disciplina mancante;

d) i criteri generali in materia di tariffe ed oneri a carico di terzi Compete agli organi politici anche l’adozione dei criteri generali per la determinazione della

politica fiscale. Sul punto, si ricorda che, per quanto attiene agli enti locali, la competenza in materia di

istituzione ed ordinamento dei tributi e disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e servizi è attribuita al consiglio mentre è riservata alla giunta la determinazione delle aliquote dei singoli tributi48;

e) gli atti di nomina Le nomine, designazioni ed atti analoghi che rientrano nelle attribuzioni degli organi politici

sono soltanto quelli che specifiche disposizioni normative attribuiscono alla loro competenza. In altri termini, per qualificare una nomina o designazione atto di indirizzo è necessario che

una specifica disposizione attribuisca all’organo politico la relativa competenza. In mancanza, la competenza rientra nelle attribuzioni dei dirigenti.

Un esempio di competenza per le nomine e per le designazioni attribuita da una specifica disposizione agli organi politici è costituito dall’art. 19 dello stesso decreto in materia di conferimento di incarichi di direzione di uffici di livello dirigenziale generale. Altro esempio è costituito dalle disposizioni del testo unico degli enti locali del 2000 che assegnano al sindaco o presidente della provincia la nomina, la designazione e la revoca di rappresentanti dell’ente in seno ad aziende, enti ed istituzioni, il conferimento degli incarichi dirigenziali, la nomina 47 Il consiglio esercita la sua funzione di indirizzo polittico amministrativo con la partecipazione alla definizione e verifica delle linee programmatiche di governo presentate dal sindaco all’inizio del mandato amministrativo e con l’adozione di atti di macro – programmazione in campo finanziario, tributario, patrimoniale e territoriale. Il sindaco assume la responsabilità dell’Amministrazione con la presentazione delle linee programmatiche di governo ed, unitamente alla giunta, esercita l’azione di governo con alcuni atti di programmazione di secondo livello, quali il PEG e il regolamento sull’ordinamento degli uffici e i servizi (artt. 42, 49, 50 del t.u. n. 267/200). V. anche il successivo § 4. 48 Art. 42, c. 2, lett. f).

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del segretario comunale o provinciale, la nomina del direttore generale, nonché al consiglio la nomina dei rappresentanti dello stesso consiglio in seno ad aziende, enti ed istituzioni 49;

f) le richieste di pareri alle Autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato La lettera f), c. 1, dell’art. 4, riserva agli organi di governo la competenza per la richiesta di

pareri al Consiglio di Stato e alle Autorità indipendenti. Questa disposizione è del tutto coerente con la funzione di rilievo politico che oggi

svolgono detti organismi. Il Consiglio di Stato, infatti, dopo la ridefinizione dell’ambito della sua competenza ad opera

dell’art. 17 della lL n. 127/1999, ha mantenuto la sola funzione di organo di consulenza del Governo, essendo stata soppresso l’obbligatorietà del suo parere per i contratti delle amministrazioni statali. La funzione consultiva del Consiglio di Stato è, quindi, ormai limitata alle funzioni di rilievo politico – amministrativo e non si estende, come nel passato, a quelle di carattere meramente gestionale. Ciò giustifica la riserva della competenza in materia agli organi politici.

Le stesse considerazioni valgono per quanto attiene alle richieste di pareri alle Autorità amministrative indipendenti, che, poiché “hanno spesso carattere paranormativo o paragiustiziale di grande rilievo politico amministrativo” sono state correttamente allocate nell’ambito delle funzioni di indirizzo di competenza degli organi politici 50.

Spetta, invece, alla dirigenza la richiesta di pareri agli organi consultivi dell’amministrazione (art. 16, c.1, lett. g);

f) gli altri atti di indirizzo politico – amministrativo Questa categoria residuale comprende gli altri atti di indirizzo politico indicati dallo stesso

decreto n. 165 e, in particolare, quelli elencati all’art. 14 che completa con altre disposizioni la disciplina generale dettata dall’art. 4.

In questa categoria rientrano anche tutti gli atti che sono qualificati di indirizzo dalla normativa specifica che disciplina l’ordinamento degli enti dotati di autonomia rinforzata o funzionale 51.

L’art. 4 del D.Lgs n. 165 non specifica, però, il soggetto cui è attribuita la competenza all’adozione degli atti di indirizzo politico, ma si limita ad allocarla in capo agli “organi di governo”. Mentre è agevole per i ministeri e le altre amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, individuare, rispettivamente, nel Ministro e nell’organo monocratico di vertice, il soggetto competente all’adozione dell’atto di indirizzo politico – amministrativo e di controllo, più complessa è la questione per tutte le amministrazioni pubbliche dotate di più vertici politici o elettivi, come ad esempio, le università, gli enti di ricerca e gli enti locali territoriali.

Per gli enti locali territoriali, ad esempio, occorre fare riferimento non solo alla specifica normativa che regola il loro ordinamento e l’esercizio delle loro funzioni 52, ma anche ai relativi statuti che, fra l’altro, hanno il compito appunto di specificare le attribuzioni degli organi53.

49 Artt. 50, c. 8; 97, c .2; 108 e 109 50 C. D’Orta, op. cit, 385 51 Per gli enti locali, v. gli articoli 42, 48, 50, 54 , 169 del t.u. n. 267/2000 52 Per gli enti locali, v. artt. 42, 48, 50, 54 e 107 del D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267, il cui teso è stato ripubblicato sul suppl. ord. n. 177/L alla Gazz Uff n. 254, del 30 ottobre 2000 – serie gen. 53 Art. 6, c. 2, del D.Lgs. n. 267/2000.

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In sintesi, il comma 1 dell’art. 4 limita i poteri degli organi di governo all’indirizzo politico – amministrativo e li specifica in un’elencazione non esaustiva che deve essere completata con altre disposizioni dello stesso decreto e con quelle di leggi successive che espressamente e specificamente potranno attribuire compiti gestionali agli organi di governo.

La disposizione deve essere letta unitamente all’art. 14, che contiene, oltre a norme soltanto di diretta applicazione alle amministrazioni statali sulle modalità e sulle procedure per l’esercizio della stessa funzione di indirizzo politico ed amministrativo da parte dei ministri (c. 1), anche statuizioni di portata generale valide per tutte le pubbliche amministrazioni sul divieto di riforma, revoca e avocazione da parte degli stessi organi di governo degli atti adottati dai dirigenti e sul potere degli stessi organi di sostituirsi, a mezzo di apposito commissario, in caso d’inerzia, e di annullarli per motivi di legittimità (c. 3). 3.4. Gli atti di gestione

L’art. 4, c. 2, del D.Lgs n. 165 definisce la clausola generale di competenza a favore della

dirigenza amministrativa per tutti gli atti che non rientrano fra quelli riservati agli organi di governo.

La disposizione, in generale, riserva al vertice burocratico competenza esclusiva in materia di pianificazione operativa e sua attuazione, e cioè per l’emanazione degli atti che attengono alla gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, anche laddove impegnano l’amministrazione verso l’esterno, da realizzare con autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane e strumentali.

Le funzione dei dirigenti sono poi dettagliate, con una elencazione anche in questo caso meramente esemplificativa, per i dirigenti dei ministeri e delle amministrazioni autonome negli articoli 16 e 17 e nel c. 10 dell’art. 19, che fa riferimento, in particolare, alle funzioni dirigenziali di tipo ispettivo, e a compiti di consulenza, studio e ricerca, nonché nell’art. 25 per i dirigenti delle istituzioni scolastiche e nell’art. 26 per i dirigenti del servizio sanitario nazionale54.

Dalle lettura del complesso delle disposizioni citate si ricava, quindi, che le funzioni dirigenziali possono suddividersi, innanzi tutto, in due grandi gruppi.

Nel primo rientrano le funzioni di direzione degli uffici con i connessi poteri di adozione di atti e provvedimenti amministrativi e di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, che sono ripartiti fra i dirigenti preposti ad uffici dirigenziali generali e altri dirigenti.

Nel secondo gruppo le funzioni ispettive e le funzioni di studio, di ricerca e per lo svolgimento di incarichi speciali, che possono essere svolti dai dirigenti cui non è affidata la direzione degli uffici dell’amministrazione su richiesta degli organi di vertice dell’amministrazione stessa.

Le funzioni dei dirigenti che rientrano nel primo gruppo sono definiti, poi, dettagliatamente negli articoli 16 e 17 e concernono la formulazione di proposte agli organi di direzione politica in materia di atti normativi e di atti di indirizzo politico – amministrativo, la redazione dei progetti per l’attuazione dei programmi; l’organizzazione degli uffici; la gestione del personale, che i dirigenti assumono, ai sensi dell’art. 5, c. 2, dello stesso D.Lgs n. 165, con 54 E’ rimessa alla contrattazione collettiva dei comparti l’istituzione di un’apposita area della vicedirigenza (art. 17-bis del D.Lgs n. 165, aggiunto dall’art. 14 – octies del D:L: 30 giugno 2005, n. 115 e relativa L. di conversione 17 agosto 2005, n. 168.

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la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato. E, in generale, tutti gli atti necessari per attuare i programmi e gli indirizzi definiti dagli organi di vertici e controllare l’attività degli uffici 55.

Parte della dottrina sostiene l’assoluta esclusività, specificatamente negli enti locali, delle prerogative dirigenziali, che non potrebbero essere esercitate, neppure per delega, da altri dipendenti 56. Altra parte della dottrina 57 ritiene, invece, che l’esclusività delle funzioni dirigenziali non è riferita dalla norma ad altre categorie di personale, quali il segretario, il direttore generale e i funzionari titolari di posizione organizzativa, ma soltanto agli organi politici. In base a questa tesi, ad esempio, alcune delle attribuzioni dirigenziali potrebbero essere attribuiti al segretario generale, come espressamente consentito dall’art. 97 del testo unico degli enti locali, al direttore generale, che la recente giurisprudenza qualifica figura professionale dirigenziale58, ed, ancora, ai responsabili delle posizioni organizzative nei limiti dei compiti, delle funzioni e degli obiettivi connessi con la loro posizione 59.

La giurisprudenza e la dottrina continuano ad esprimere sulla questione orientamenti difformi 60.

3.5 La responsabilità di risultato o gestionale

La riforma della pubblica amministrazione riconosce ai dirigenti, quindi, un’accentuata

autonomia gestionale nella realizzazione degli indirizzi del vertice politico. Coerente con il nuovo sistema è la previsione di una specifica responsabilità dei dirigenti,

denominata correttamente responsabilità gestionale, in quanto non collegata alla valutazione di ogni singolo atto emanato, ma all’andamento generale della gestione cui il dirigente stesso è preposto.

E’ prevalente l’opinione che la responsabilità dirigenziale, introdotta dal nostro ordinamento fin dalla riforma della dirigenza del 1972 61, sia una tipologia distinta ed autonoma dalle altre responsabilità, piuttosto che una specificazione della responsabilità disciplinare o della responsabilità amministrativa. In particolare, la responsabilità amministrativa presuppone un comportamento che viola le regole giuridiche ed è imputabile solo per dolo o colpa grave 62.

55 Per gli enti locali, occorre fare riferimento principalmente agli articoli 107, 108 e 192 del testo unico degli enti locali del 2000, che definiscono le attribuzioni dei dirigenti 56 Olivieri, Le competenze della dirigenza nell’assetto degli enti locali disegnato dal Teso Unico. Il riparto in rapporto al segretario e al direttore generale,in Rivista Internet di diritto pubblico, www.Giust.it, del 26 ottobre 2000. 57 Sia consentito citare G. Panassidi, Riflessioni sull’esclusività o meno, dopo il D.Lgs n. 267, delle attribuzioni dei dirigenti degli enti locali, in Rivista internet di diritto pubblico www.Giust.it, n. 11- 2000. 58 TAR Lazio, sez.. II bis, 14 marzo 2001, 1896, secondo cui il direttore generale degli enti locali è figura equiparabile ai dirigenti e può presiedere le commissioni di concorso, in rivista Internet di diritto pubblico, www.Giust.it, n. 4-2001. 59 Martinelli, Le posizioni organizzative negli enti con la dirigenza, in Aziendaitalia, n. 7/2000, 227 e ss) 60 Sull’esclusività delle funzioni della dirigenza TAR Lombardia, sez.. III, 18 gennaio 2002, n. 112; Consiglio di Stato, sez. V, 1 aprile 2004, n. 1812; TAR. Sardegna, sez.. I, 23 marzo 2004, n. 432; contra, TAR Lazio, sez. II - bis, 14 marzo 2001, n. 1816; TAR Calabria - Catanzaro, sez. II - 28 luglio 2004, n. 1729. 61 L’art. 19 del DPR n. 748/1972 aveva già introdotto la nozione di responsabilità dirigenziale, la cui valutazione era rimessa al singolo Ministro, senza il supporto, però, di organismi tecnici preposti a tale compito. 62 Pinelli, La responsabilità per risultati e controlli, in Diritto amministrativo, 1997, n. 3. pagg 385 e ss; Terracciano, Il nuovo sistema delle responsabilità manageriali dei dirigenti e dei responsabili dei servizi, in Quaderni Consiel, 1998, n. 1, pag. 25. Non sembra, invece, che possa essere accolta la tesi secondo cui la responsabilità dirigenziale sia da comprendere nella responsabilità disciplinare (Maddalena, Responsabilità dirigenziale e responsabilità amministrativa,

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La responsabilità dirigenziale, invece, nasce per la violazione o per il mancato adempimento di quella particolare obbligazione di risultato, che consiste nel perseguimento degli obiettivi, fini e priorità fissati con le direttive degli organi di governo e che il dirigente assume, in generale, con l’incarico; in altri termini per la violazione dei canoni di gestione e non dei canoni normativi e trascende il comportamento individuale del dipendente 63.

Per evitare che questo particolare genere di responsabilità si trasformi in responsabilità oggettiva, che farebbe capo al dirigente in quanto tale, è necessario il concorso dei seguenti indispensabili presupposti:

a) preventiva determinazione da parte degli organi politici dei programmi, degli obiettivi e delle priorità;

b) assegnazione delle risorse, finanziarie, strumentali ed umane, adeguate agli obiettivi assegnati, da determinare anche attraverso la negoziazione con i dirigenti interessati;

c) predeterminazione di parametri di valutazione dei risultati con riferimento agli obiettivi programmati64.

Questa tipologia di responsabilità, infatti, che è propria di un sistema di amministrazione per obiettivi, esige, per non tradursi in responsabilità oggettiva, una prioritaria ed indispensabile attività degli organi politici di fissazione degli obiettivi e di assegnazione delle risorse, nonché la determinazione, del pari prioritaria, dei parametri di controllo dei risultati. Il tutto attraverso un processo di negoziazione.

E’ necessario, inoltre, sempre al fine di evitare che la responsabilità gestionale sia intesa come responsabilità oggettiva, anche il concorso dell’elemento soggettivo della colpevolezza e del nesso di causalità fra l’azione o l’inazione del dirigente ed il risultato negativo della gestione

La relativa sanzione si risolve nella possibilità di revoca dell’incarico o di recesso per giusta causa e può essere applicata solo attraverso un procedimento, che ha inizio con la contestazione dell’addebito, per consentire all’interessato di valutare ciò che gli si contesta e di formulare le proprie giustificazioni e si conclude con un giudizio sui motivi che hanno comportato il risultato negativo contestato.

Perché ricorra l’illecito gestionale e si possa procedere all’applicazione delle relative sanzioni, le norme indicano come presupposti la grave inosservanza delle direttive o i risultati negativi della gestione 65, per sottolineare, come è stato correttamente osservato, che per l’applicazione delle sanzioni non è sufficiente la sola inosservanza formale delle direttive impartite dagli organi politici e neppure il semplice risultato negativo della gestione, ma è in Atti del Convegno “Giurisdizione e controllo, il ruolo della Dirigenza, Roma, Corte dei Conti, 24 – 25 maggio 1998), o che abbia tratti in comune con la responsabilità amministrativa tanto da richiedere per la sua sanzionabilità il concorso del danno erariale (Pieroni, Pianificazione dell’attività amministrativa e controlli gestionali, in Scuola Centrale Tributaria, suppl. a Notiziario fiscale, 1995, n 3-4, pag. 37. Sulla responsabilità amministrativa, cfr Corte dei Conti, Sez.. Giur. per il Lazio del 25 settembre 2000, in Giust.it, Rivista internet di diritto pubblico, n. 5-2001. 63 Cfr. anche Corte dei Conti, Sez.. Piemonte, sentenza 16 febbraio- 13 aprile 2000 n. 1192/EL/2000 in Guida agli Enti Locali del 9 settembre 2000, n. 33, 74 e ss. 64 Si veda il nuovo sistema dei controlli interni di cui alla riforma approvata con legge 30 luglio 1999, n. 286 (Gazz. Uff. 18 agosto 1999, n. 193), al successivo paragrafo 3.6. (Delfino, Falduto , Fontana, Miele,Panassidi, Pantè, Sistemi di controllo e valutazione, per la regolarità, la direzione e l’incentivazione, Milano, 2000). 65 Cfr. art. 109 del D.Lgs n. 267/2000, che dispone in materia di revoca degli incarichi dei dirigenti locali in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell’assessore di riferimento o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati con il piano esecutivo di gestione o per responsabilità particolarmente grave e reiterata. Si veda anche il contratto collettivo nazionale per l’area della dirigenza del comparto regioni autonomie locali, stipulato in data 23 dicembre 1999.

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necessario il concorso di ambedue gli elementi; non basta, in altri termini, che siano stati emanati gli atti di indirizzo, senza i quali mancherebbe lo stesso contenuto dell’obbligazione di risultato, ma è anche necessario che il mancato rispetto degli indirizzi non si risolva in un inadempimento solo formale, ma comporti anche la conseguenza del valore negativo della gestione.

E’ opportuno sottolineare, inoltre, che la responsabilità di risultato, introdotta dalla riforma del lavoro pubblico del 1993, si differenzia in modo sostanziale, dalla responsabilità dirigenziale introdotta nel nostro ordinamento dalla riforma della dirigenza del 1972, soprattutto con riguardo ad un aspetto essenziale.

Infatti, nella riforma del 1972 era assente qualsiasi riferimento a parametri di efficienza e a tecniche di valutazione della responsabilità. In altri termini, in quel sistema era il singolo Ministro a contestare al singolo dirigente “i risultati negativi”, senza la mediazione di apparati tecnico amministrativi preposti a tali compiti… né i ministri venivano altrimenti provvisti di elementi tali da contestare ai dirigenti i “risultati negativi” sulla base di parametri predeterminati66.

Con il modello introdotto dal D.Lgs n. 29/1993 e poi perfezionato dal D.Lgs n. 286/1999, ed oggi trasfuso negli articoli 4, c. 2, 20 e 21 del D.Lgs n. 165 in esame il controllo sui risultati, invece, è saldamente ancorato a parametri di efficienza annualmente predeterminati dal nucleo di valutazione o servizio di controllo interno.

L’intervento di un apposito organismo tecnico, composto di esperti in tecniche di valutazione e nel controllo di gestione, garantisce che la verifica dei risultati dia effettuata da un organo competente e, in certa misura, autonomo.

L’organismo, al qual è demandato il presidio del sistema di controllo, assicura, in altri termini, che i dirigenti siano chiamati a rispondere dei risultati secondo una valutazione improntata a criteri di obiettività, scevra da ipotetici giudizi personali, connotati da contingenti motivazioni soggettive dell’organo politico.

L’adozione di questo sistema, che punta sulla previsione di un controllo sui risultati basato sulla preventiva determinazione di obiettivi e di parametri di efficienza fissati annualmente da un organismo tecnico, differenzia la responsabilità gestionale della riforma del lavoro pubblico degli anni 90 dalla responsabilità dirigenziale di cui alla riforma del 1972.

Sul punto, la Corte dei conti ha precisato che “fino a che il Ministro non abbia provveduto a definire gli obiettivi e i programmi dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 14 d.lgs 29/93, pur non potendosi affermare che sia totalmente interdetta ai dirigenti ogni attività gestionale, sussiste comunque un impedimento all’effettuazione di quelle spese che non derivano da una precostituita destinazione normativa, ma che richiedono per la loro effettuazione una ulteriore specificazione, nonché la determinazione di priorità operativa” 67.

Inoltre, l’intervento di un organismo tecnico nel sistema di valutazione dei dirigenti, permette di introdurre precise limitazioni al rapporto fiduciario fra l’organo politico e quello burocratico di vertice.

Il sistema descritto, infatti, se correttamente attuato, garantisce che il rapporto fiduciario non si esaurisca in un apprezzamento personale dell’organo politico, che, nel nuovo quadro normativo di riferimento, esorbiterebbe dalla proprie competenze allorché formulasse giudizi

66 Pinelli, op. cit, pag 388. 67 Corte dei conti, Sez.. Controllo Stato, deliberazione n.. 35/1996.

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di disvalore ed adottasse provvedimenti sanzionatori senza il supporto di un appropriato riscontro della responsabilità dirigenziale 68.

In altri termini, con il nuovo sistema si limita il pericolo di introdurre nel nostro ordinamento una nuova tipologia di spoyle system (… all’italiana), che potrebbe vanificare il principio della distinzione fra indirizzo ed azione, togliere effettività ai poteri riconosciuti dalla legge ai dirigenti e causare “un uso strumentale della pubblica Amministrazione da parte del potere politico” 69.

3.6 Le garanzie del rispetto del principio della distinzione dei ruoli

Il comma 3 dell’art. 4 del D.Lgs n. 165 rafforza il principio della distinzione dei ruoli con

specifiche garanzie. Stabilisce, infatti, l’impossibilità di derogare alle competenze dirigenziali se non ad opera di

specifiche disposizioni legislative 70. L’applicazione di questa regola comporta che non sarebbe possibile attribuire competenze

gestionali agli organi politici con atti di normazione secondaria, quali regolamenti o statuti, essendo stata riservata soltanto alla legge la possibilità di modificare la delimitazione dei confini tracciati dall’art. 4 tra atti di competenza degli organi politici ed atti di competenza dei dirigenti.

Ad ulteriore garanzia, la disposizione in esame prevede che la deroga deve essere espressa. E’ da ricordare, per inciso, che il rispetto della distinzione dei ruoli è garantito anche

dall’attribuzione, ope legis, agli organi dirigenziali degli atti di gestione che disposizioni pre vigenti al 23 aprile 1998 assegnavano alla competenza degli organi politici, introdotta dall’art. 45, c. 1, del D.Lgs n. 80 del 1998 e confermata dall’art. 70, c. 6, del D.Lgs n. 165 71 - 72 .

Un esempio di deroga espressa ad opera di specifica disposizione legislativa alla competenza esclusiva dei dirigenti è fornito della recente legge di riforma della legislazione nazionale del turismo, che attribuisce al sindaco la competenza per il rilascio delle autorizzazioni all’apertura e ai trasferimenti degli esercizi ricettivi turistici, nonché per la revoca e

68 T.A.R. Piemonte, sez.. II, 26 gennaio 1996, n. 31, in Il Foro It., 1996, pag. 454 69 Cassese – arabia, Relazione Cassese, in L’Amministrazione e la Costituzione, proposte per la Costituente, Il Mulino, Bologna, 1993. 70 Questa garanzia è testualmente ripresa dal testo unico delle leggi degli enti locali del 2000, per rafforzare l’applicazione della distinzione dei ruoli nell’ambito dell’ordinamento delle autonomie locali ed evitare che l’intervento conservativo di statuti e regolamenti locali riducesse le competenze gestionali dei dirigenti a favore dei cosiddetti “assessorati”. 71 Per gli enti locali analoga disposizione è contenuta nell’art. 107, c. 5, del D.Lgs n. 267/2000, che prevede appunto l’attribuzione agli organi dirigenziali gli atti gestionali che disposizioni pre vigenti al 13 ottobre 2000, data di entrata in vigore dello stesso testo unico, assegnano alla competenza degli organi politici, con la sola eccezione della funzione di sovrintendenza all’espletamento delle funzione di sovrintendenza delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia, che il sindaco e il presidente della provincia continuano ad esercitare e delle attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale. 72 Il rispetto del principio della distinzione dei ruoli è garantito negli enti locali anche da uno specifico obbligo di comportamento a carico degli amministratori, introdotto dalla legge di riforma del loro status n. 265 del 1999 e poi ripreso dall’art. 78, c. 1, del T.U. n. 267/2000. Questa disposizione stabilisce, infatti, che il sindaco, il presidente della provincia, gli assessori, i consiglieri e gli altri amministratori tutti, nell’esercizio delle loro funzioni, non solo devono agire in modo corretto ed efficace, ma devono specificatamente improntare il loro comportamento al rispetto della distinzione fra le funzioni competenze e responsabilità loro assegnate e quelle dei dirigenti.

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sospensione dell’autorizzazione 73. La deroga si giustifica perché l’autorizzazione è rilasciata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza74.

Altro esempio di deroga legislativa al principio generale della distinzione fra funzioni, competenze e responsabilità degli organi politici e quelle proprie dei dirigenti è costituito dall’art. 53 della legge finanziaria 2001, che consente, a certe condizioni, nei comuni con popolazione fino a 5000 abitanti, di affidare i compiti gestionali al sindaco e agli assessori 75 .

3.7 Il principio della distinzione dei ruoli nelle amministrazioni ad autonomia funzionale

Il comma 4 dell’art. 4 del D.Lgs n. 165 contiene una disposizione sulla trasposizione del

principio della distinzione dei ruoli alle amministrazioni pubbliche, i cui organi di vertice non siano espressione, diretta o indiretta, di rappresentanza politica.

Questa norma avrebbe potuto trovare una sua più idonea collocazione nell’art. 27, rubricato “criteri di adeguamento per le pubbliche amministrazioni non statali”, anziché nell’art. 4, che ha ad oggetto principi generali sull’assetto dei rapporti fra politica ed amministrazione.

73 L. 29 marzo 2001, n. 135, in Gazz. Uff. n. 92 20 aprile 2001. L’art. 9 della legge, rubricato “semplificazioni” riscrive il procedimento per l’apertura e il trasferimento di sede degli esercizi recettivi, nonché per la revoca e sospensione della relativa autorizzazione. Il provvedimento autorizzativi è di competenza del sindaco ed abilita il titolare unitamente alla prestazione dell’esercizio recettivo, alla somministrazione di alimenti e bevande alle persone alloggiate, ai loro ospiti ed a coloro che sono ospitati nella struttura in occasione di manifestazioni e convegni organizzati, nonché alla fornitura di giornali, riviste, pellicole per uso fotografico, nonché ad installare attrezzature a carattere ricreativo. 74 Art. 86 del tups 18 giugno 1931, n. 773.

75 Art. 53 L. 23 dicembre 2000, n. 388. Questa disposizione, infatti, ha introdotto, in deroga al principio generale della distinzione fra politica ed amministrazione, la possibilità per gli enti locali con popolazione inferiore a tre mila abitanti di affidare la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnico gestionale ai componenti dell’organo esecutivo. Per utilizzare la deroga, i comuni devono seguire un percorso procedurale abbastanza complesso, finalizzato proprio a garantirne un uso limitato a casi eccezionali. E’ necessario, innanzitutto, prevedere questa scelta in sede di regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e motivarla con l’impossibilità di potere disporre di figure di disporre di idonee figure professionali e con la necessità di ottenere dei risparmi. La dimostrazione della mancanza di figure professionali idonee non è di certo agevole, tenuto conto che in ogni ente deve essere obbligatoriamente presente la figura del segretario comunale, figura dotata, per studi effettuati e percorso formativo, di alta competenza professionale. La stessa disposizione, peraltro, precisa che il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio. Una disposizione analoga era stata introdotta dall’art. 19, comma 2, del D.Lgs 25 febbraio 1995, n. 77, come integrato dall’art. 6 del D.Lgs 11 giugno 1996, n. 336 per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti. Ma la norma aveva avuto breve esistenza, in quanto espunta dall’ordinamento solo due anni dopo con l’art. 3, c. 1, del D.Lgs 23 ottobre 1998, n. 410. Molto critico sulla deroga introdotta, Nobile, Piccoli comuni e responsabilità dei servizi fra il d.lgs 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000, n. 388. Una querelle mai sopita, in Rivista internet di diritto pubblico, Giust.it, n. 01-2001. La deroga introdotta per i piccoli enti locali, che tuttavia rappresentano la stragrande maggioranza dei comuni italiani, è criticabile sotto diversi aspetti. Innanzitutto, il criterio adottato per introdurre la deroga, che prevede per la sua applicazione il rinvio al regolamento e alla deliberazione dell’ente locale, non sembra del tutto rispettoso della garanzia prevista dal comma 3 dell’art. 4 del t.u. n. 165/2001. Questa disposizione sembrerebbe, infatti, stabilire che la deroga debba essere espressamente e specificatamente prevista dalla legge e non sulla base della legge da norme di rango secondario quali restano comunque, nonostante l’accentuata autonomia normativa ed organizzativa dei comuni, i regolamenti di organizzazione degli enti locali. In secondo luogo, contrasta con le disposizioni legislative dell’art. 109, c. 2, del D.Lgs n. 267/200 e con le indicazioni dei recenti contratti di lavoro del personale delle autonomie locali, che sono tutte finalizzate a valorizzare i responsabili degli uffici e dei servizi con l’attribuzione di specifiche competenze funzionali giuridicamente equiparabili a quelle dei dirigenti. In ogni caso, introduce un elemento di contraddizione in un modello organizzativo che, definito in modo coerente dal legislatore, attende soltanto di trovare concreta e completa attuazione.

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La disposizione riguarda in buona sostanza gli enti di ricerca a carattere non strumentale, nonché le università e le camere di commercio che la legge n. 59 del 1997, che definisce con il termine “autonomie funzionali”, per evidenziare che l’autonomia è riferita solo all’esercizio delle funzioni attribuite ma non attiene, invece, alla scelta dei fini.

Anche questi enti devono seguire il principio guida della distinzione fra le funzioni di indirizzo, spettanti agli organi di vertice, e i compiti tecnico – gestionali affidati ai dirigenti e al personale tecnico – amministrativo.

E’ stato correttamente osservato che “il modello politica – amministrazione designato dal d.lgs 29/93 è pensato, fondamentalmente, per le amministrazioni in cui gli organi di governo sono direttamente espressione di rappresentanza politica (…), mentre con molte maggiori incertezze e difficoltà potrà conformarsi agli enti di ricerca, alle università (ed altre amministrazioni “non rappresentative”), rispetto alle quali può evidenziarsi, al più, un indirizzo scientifico – politico – amministrativo 76.

Per questi amministrazioni, infatti, la distinzione fra politica ed amministrazione si traduce essenzialmente nella demarcazione fra indirizzo – controllo e gestione, da attuare tenendo conto del fatto che in questi enti la finalità non è tanto quella di garantire l’imparzialità e la neutralità della gestione quanto piuttosto di assicurare momenti decisionali diversi in tema di programmazione e di gestione. Viene suggerito per questi enti , per evitare di privarsi dell’apporto degli organi accademici soprattutto dove le scelte tecniche riguardano strutture didattico – scientifiche, di realizzare un momento intermedio fra l’indirizzo e la gestione, ove si possa attuare l’integrazione e la collaborazione fra le diverse professionalità presenti in questi enti 77 .

4. Gli strumenti per l’applicazione dei nuovi principi di organizzazione negli enti locali (cenni)

Come ricordato nel corso della trattazione, i nuovi principi di organizzazione del potere pubblico si applicano anche agli enti locali (comuni e province, comunità montane, consorzi, unioni di comuni).

Per la loro concreta applicazione nelle loro organizzazioni, gli enti locali dispongono, oltre agli strumenti di programmazione economico – finanziaria (bilancio di previsione e relazione previsionale e programmatica) e territoriale (paini urbanistici e di settore), di due specifici strumenti operativi: a) il piano esecutivo di gestione (PEG); b) il regolamento sull’ordinamento degli uffici e servizi 4.1. Il piano esecutivo di gestione

Compete alla giunta comunale (o provinciale), sulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal consiglio, adottare il piano esecutivo di gestione (PEG), determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli stessi, unitamente alle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie, ai dirigenti 78.

76 G Gardini, Brevi note sulla distinzione fra funzioni di indirizzo e gestione nelle università, in Rivista internet di diritto pubblico, Giust.it, del 27 giugno 2001. 77 G. Gardini, op.cit; ; Cammelli, Autonomia universitaria. Ovvero: il caso e la necessità, in Diritto pubblico, 1995. 78 Art. 169, D.Lgs n. 267/ 2000 e s.m..

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L’adozione del PEG è un momento particolarmente significativo nella gestione dell’Ente, in quanto con tale strumento la giunta dà effettiva attuazione al principio legislativo della distinzione tra politica e gestione. E’, infatti, con il piano esecutivo di gestione (e solo con questo strumento) che i dirigenti o, nei comuni privi di qualifiche dirigenziali, i responsabili dei servizi, assumono effettivamente la responsabilità della gestione e la titolarità della funzione di spesa.

Il piano esecutivo di gestione costituisce il punto di riferimento per il controllo da parte della giunta del grado di raggiungimento dei risultati, degli eventuali scostamenti e delle cause, endogene o esogene, che li hanno determinati. A tal fine, di norma si procede alla redazione di report periodici sull’attività realizzata da parte dei dirigenti e si attivano i meccanismi del controllo di gestione 79. 4.2. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi

L’altro strumento di regia dell’organizzazione è il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che la giunta deve adottare, secondo i principi generali stabiliti da disposizione di legge e nel rispetto dei criteri, anch’essi generali, fissati dal consiglio.80.

Questo strumento, come è noto, deve definire, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuare quelli di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della loro titolarità, nonché determinare le dotazioni organiche complessive. Ed ancora, il regolamento disciplina le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza ed imparzialità e degli altri principi fissati dall’art. 36 del decreto n. 29 del 1993.

Ed è sempre con il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che la giunta, infine, può definire altre scelte organizzative importanti, quali quelle relative al personale a contratto tempo determinato fuori pianta organica di qualifica dirigenziale o di alta specializzazione, alle collaborazione esterne ad alto contenuto di professionalità, ai criteri di nomina del direttore generale, agli uffici di staff alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta e dei singoli assessori, alle assunzioni temporanee negli enti interessati da mutamenti demografici collegati a flussi turistici o a particolari manifestazioni.

4.3. Considerazioni L’attuazione nei comuni e nelle province delle regole sulla distinzione fra funzioni,

competenze e responsabilità degli organi politici e quelle proprie dei dirigenti incontra ancora oggi notevoli difficoltà anche a causa delle forti resistenze da parte dei soggetti chiamati ad applicarle. Gli amministratori tendono spesso a rifiutare di assumere il nuovo ruolo, in quanto ritengono che sminuisca la funzione della politica ed, anziché porre la loro attenzione nella

79 Art. 147 D:L.gs n. 267 e s. m. 80 Art 89, D.Lgs n. 267/ 2000 e s.m.

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formulazione degli obiettivi e delle direttive e nella verifica della loro attuazione, continuano ad operare per ordini puntuali e ad inserirsi nella gestione.

I dirigenti continuano ad essere abbastanza restii all’assunzione delle nuove responsabilità e ad orientare la loro attività ai risultati.

Alle resistenze dei soggetti chiamati ad attuare il principio della distinzione dei ruoli e ad un certo deficit di cultura amministrativa – gestionale si aggiunge anche un utilizzo non idoneo degli strumenti operativi, che l’ordinamento offre per consentire l’applicazione concreta delle nuove regole di organizzazione : piano esecutivo di gestione (peg) e regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.

Il PEG ancora oggi, specie nelle organizzazioni elementari dei piccoli enti, è costruito solo come documento contabile, cioè solo come mezzo per disaggregare le risorse e gli interventi di bilancio in capitoli, e non assolve, quindi, alla funzione affidatagli dal legislatore di strumento di “programmazione operativa”.

I regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi spesso non si limitano a dettare le regole generali di organizzazione, come richiesto dal nuovo sistema delle fonti in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni, ma definiscono in modo analitico gli aspetti organizzativi. E così sottraggono spazi alla potestà organizzativa dei dirigenti ed inseriscono elementi di rigidità nella struttura, in contrasto con il criterio di flessibilità organizzativa che è uno dei criteri cui deve ispirarsi l’organizzazione nelle pubbliche amministrazioni.

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