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ISSN 2384-9312 mente M SSONICA Rassegna quadrimestrale Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia n.6 Mag.- Ago. 2016

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ISSN 2384-9312

menteM SSONICA

Rassegna quadrimestrale

Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italian.6 Mag.- Ago. 2016

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Laboratorio di storiadel Grande Oriente d'Italia

n.6 Mag.- Ago. 2016

Sommario

Profili di Gran Maestri

Adriano Lemmi..............................................................1

di Giovanni Greco

Saggi

Massoni riformisti e massoni rivoluzionari nella Prima

Guerra Mondiale ...........................................................5

di Gian Biagio Furiozzi

La comunicazione antimassonica nell’età

dei totalitarismi: i casi di Francia e Serbia .................10

di Marco Cuzzi

Domizio Torrigiani al confino. La memorialistica.......13

di Giuseppe La Greca

Svetlost Balkana – “Luce dei Balcani” ........................16

di Antonio Spadaro

Massonerie nel mondo

Malta............................................................................19

di Fabio Martelli

Portogallo.....................................................................23

di Stefano Scioli

Il riordino della Memoria

Il “fratello” Collodi: fra indizi e prove controverse

della sua affiliazione....................................................26

di Gianmichele Galassi

menteM SSONICAISSN 2384-9312

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Adriano Lemmi nacque a Livorno il 30aprile 1822, figlio di Fortunato e di TeresaMerlini.

Adriano Lemmi è stato uno dei patrioti italiani dimaggior rilievo, amico fidato di Mazzini, di Saffi,di Kossuth, capo dell’ala radicale del nazionali-smo ungherese, finanziò e collaborò con Pisacaneprima, e con Garibaldi poi, fu Gran Maestro delGrande Oriente d’Italia e Sovrano commendatoredel Rito scozzese antico e accettato. Non volle maiinsediarsi nelle cattedre e fra gli ermellini, mavolle, con tutta la caparbietà di cui era capace, ope-rare negli sgabuzzini dei bidelli, nelle officinedegli studiosi, nei laboratori dei giovani.Lemmi seguì le orme paterne, dedicandosi fin dagiovanissimo alle attività commerciali, incardi-nandosi nel contempo profondamente negli idealidemocratici. Si recò a Marsiglia, a Malta, in Egitto,a Costantinopoli dove non mancò di avviare ope-razioni commerciali sinanco a volte spregiudicate.Nel 1847 a Londra conobbe Mazzini a cui da alloralo legò una amicizia profonda, e questo rapportolo segnerà fortemente, giacché Mazzini ritennesempre di potersi fidare del Lemmi, avvalendo-sene per ottenere finanziamenti per la causa del-l’indipendenza nazionale. Da quel tempo Lemmi

divenne il maggior finanziatore dell’unità del no-stro paese, utilizzando danaro suo e coagulandoforze, energie, risorse per aiutare i patrioti, per iviaggi, per le armi, per l’abbigliamento, per imezzi di trasporto e per determinare opportunemediazioni, guadagnandosi l’appellativo di “ban-chiere della rivoluzione italiana”.Finanziò la spedizione di Carlo Pisacane che avevagrandissima necessità di mezzi e di sostegni, e chepremeva per un’azione immediata, sorretto dalteorema che l’idea nata dai fatti si doveva propa-gare attraverso azioni rivoluzionarie, senza media-zioni di alcun tipo. La propaganda del fatto e ladrammaticità dei gesti clamorosi erano i soli, perPisacane, ad attirare irresistibilmente l’attenzionee la partecipazione popolare.Poi Lemmi organizzò e foraggiò la spedizione deiMille acquisendo cospicui meriti che Garibaldiseppe riconoscere conferendo alla società Adami-Lemmi (Pietro Augusto Adami era un noto finan-ziere livornese e suo parente) la costruzionedell’intera rete ferroviaria del Mezzogiorno conti-nentale e della Sicilia. Successivamente i moderatipiemontesi prima ne limitarono il raggio d’azione,poi riuscirono a determinarne la revoca, ma nonriuscirono ad evitare che Lemmi ottenesse il mo-nopolio dei tabacchi.Non mancò di occuparsi anche delle necessitàdella sua piccola patria, della città di Livorno, peresempio in relazione alla rete elettrica e a diversealtre opere, come si evince dalle carte presso Ar-chivi comunali e, in particolare, dalla documenta-zione livornese a lui dedicata, “Fondo massoneriaAdriano Lemmi”, all’interno ora del Sistema Do-cumentario Provinciale livornese. Dal 1877 si dedicò particolarmente alla vita mas-sonica, divenendo prima Gran tesoriere e poi GranMaestro. Aiutò numerose logge a sopravvivere, avolte pagando di tasca propria capitazioni e con-tributi, e dall’80 volle imporre una tassa di centolire agli affiliati, divenuta obbligatoria dall’87,tendente da un lato a creare un cospicuo capitaleper l’istituzione, e dall’altro a scremare le personepiù modeste sotto il profilo economico. Si consi-deri che il salario di un operaio era di circa 2 lire,per cui si trattava di rimarcare l’aggregazione degliiscritti “secondo criteri di classe” (F. Conti).In particolare mi sembrano decisive le riflessioniche ha svolto al riguardo Marco Novarino: “Il

ADRIANO LEMMI

di Giovanni Greco

PROFILI DI GRAN MAESTRI

Adriano Lemmi

1

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G.M. Adriano Lemmi, che possedeva notevoli dotipolitiche, comprese quale poteva essere l’impattodella nascita di un’organizzazione che prendendole distanze dall’estremismo anarchico e dall’in-transigente classismo operaista si poneva comeforza emancipatrice disposta ad accettare le regoledemocratiche e a partecipare alla vita politica insenso legalitario”. Lemmi attraverso la massoneria tentò di rafforzarelo stato nato dal risorgimento, tendendo all’attua-zione di riforme sociali con una chiara matricelaica e progressista e puntando ad una emargina-zione della chiesa di Roma e delle organizzazionicattoliche, nei cui confronti le sue critiche e riservefurono sempre fortissime, sostenendo che quandosi perde l’autorità non si è più degni di esercitarla.Fu straordinariamente anticlericale, vietò ognicontatto con la Santa Sede, guardò più alla mas-soneria francese anticlericale che a quella ingleseaconfessionale e sostenne l’insegnamento laico:“lo stato deve formare il cittadino, non il devoto.La scomparsa del potere temporale dei papi è ilpiù memorabile avvenimento del mondo”. Lemmicercò di rafforzare la presenza nell’istituzione diimportanti rappresentanti del mondo politico eculturale, da Giuseppe Zanardelli a Quirico Filo-panti, da Agostino Bertani a Giovanni Bovio, daGiuseppe Ceneri a Francesco Crispi, a Giosue Car-ducci – col quale intrecciò una grande amicizia –con una costante e formidabile attenzione alle vi-cende politiche italiane e a tutto ciò che al ri-guardo emergeva dalle logge del paese, tanto dasostenere: “Se le antiche dottrine e tradizionidell’ordine vietarono ai liberi muratori di gittarsiin mezzo alle gare dei partiti politici, esse perònon li vollero inerti”. Non casualmente nel 1887,a casa di Lemmi, si riunì una commissione diquattordici persone, presieduta da Saffi, che de-terminò l’assorbimento del Supremo Consiglio diTorino nel GOI. Durante la sua Gran Maestranza iparlamentari iscritte alle officine superarono ab-bondantemente le trecento unità, riuscendo a coa-gulare ed unire diverse organizzazionimassoniche, e, nella loggia Propaganda, riunì intal senso il fior fiore della massoneria italiana for-nendo un precedente all’esperienza successiva diLicio Gelli, che attuò appunto un fenomeno li-quido, ambiguo, coperto e sfuggente. In queltempo Lemmi “raccolse gli esponenti di maggiorrilievo dell’establishment politico, economico eculturale” (F. Conti).Lemmi riuscì a concentrare ogni potere all’internodel GOI, compreso l’insindacabile giudizio nelleammissioni di nuovi richiedenti, e soprattutto perla prima volta in modo sistematico e convinto, vi-

sitò pressoché tutte le logge italiane, anticipandodi un secolo le più recenti impostazioni. Diedevita a numerose e qualificate manifestazioni pub-bliche, fra cui l’erezione in piazza dei Fiori a Romadel monumento a Giordano Bruno, a cui parteci-parono oltre tremila massoni con le loro insegne. Dopo la P2 c’è voluta una fatica immane per far dinuovo cogliere appieno la ricchezza del patrimo-nio dell’istituzione massonica, sceverando il malee facendolo diventare cura, marcando un rinnova-mento che ha rappresentato un nuovo inizio.In particolare nell’archivio di Giuseppe Ceneri(1837-1905) presso la Biblioteca comunale del-l’Archiginnasio di Bologna, vi è un fascicolo rela-tivo a Lemmi composto da dieci documenti,collocazione busta 9, fascicolo 49, 1888-1897, daiquali emerge anche come riuscì a unificare, sottoil labaro del GOI, le varie obbedienze massonicheitaliane in quella fase destinate a una vita gramae spesso ai margini dell’operato massonico.Erano i tempi dell’enciclica antimassonica Huma-num genus, emanata da papa Leone XIII nel 1884,che attribuì la responsabilità principale della finedel potere temporale alla massoneria, la qualereagì raggiungendo, in quel tempo, i livelli piùalti di anticlericalismo.A Livorno, il 27 aprile 1892, Lemmi disse:“quando presi le redini della massoneria italiana,da vari anni essa non dava che raramente qualchesegno di vita” per cui decise d’intraprendere unviaggio fra le logge italiane che durò sei mesi.Lemmi diede un assetto stabile all’organizzazioneportando la sede, fino ad allora misera e inospi-tale, in un palazzo prestigioso, fu per il matrimo-nio civile, e quindi per il divorzio, fu per lacremazione, creò un superpartito dai mille tenta-coli, fu molto attento all’accrescimento del tesorodell’ordine, si occupò di definire sistematicamentele coordinate fondamentali degli ideali massonici,in particolare sotto il versante etico e sociale: ”lamassoneria deve partecipare ai grandi movimentidella nazione. O noi siamo gli ispiratori e mode-ratori della opinione pubblica, o non abbiamo ra-gione seria d’esistere”. La sua idea base era quelladi conferire alla massoneria una piena visibilità,incuneando i massoni al potere e al governo: “Lelogge italiane non possono soffermarsi in aride eaccademiche discussioni, ma debbono scendere incampo e lavorare per il più rapido conseguimentodei nostri ideali”, e di conseguenza la massoneriadoveva essere completamente alla luce del sole.Certamente la sua azione di pedagogia laica e pa-triottica culminò il 9 giugno 1889 allorquandovenne inaugurato a Roma, in Campo dei Fiori, ilmonumento a Giordano Bruno scolpito da Ettore

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Ferrari, futuro G.M., a cui parteciparono oltre tre-mila iscritti convenuti da tutta Italia che tenneroalte le insegne massoniche a Roma e nel paese.Nel 1895 la loggia milanese “Cisalpina-Carlo Cat-taneo” di rito scozzese, sancì di fatto con un comu-nicato molto pesante contro i metodi di Lemmi, eper gli intrighi e i compromessi che gli venivanoattribuiti, e consumò una scissione con l’installa-zione della federazione Massonica Italiana distampo radicale.Morì a Roma il 23 maggio 1901 dopo aver indi-cato ampiamente le sue priorità: il suffragio uni-versale e la consegna della terra ai contadini. A luisi deve pure, e non è un vanto da poco, il reinse-rimento di Giosue Carducci nelle fila massoniche.Dopo che il poeta aveva scritto un libello rivoltoai fratelli, il G.M. Frapolli lo aveva espulso, maLemmi ebbe l’acume di non dissipare un patrimo-nio di così grande profilo per la massoneria inter-nazionale. A Livorno, nel parco di Villa Fabbricotti, vi sonoi busti dei due grandi massoni livornesi, AdrianoLemmi e Alessandro Tedeschi. Sempre a Livorno– dato che i legami di Lemmi con la sua città fu-rono sempre “viscerali e profondi” – la famigliaSgarallino, Jacopo e Andrea, è custode di un co-spicuo patrimonio di cimeli garibaldini e masso-nici, ivi compreso il famoso telegramma“Obbedisco” di Garibaldi al re. Scelse, in ossequioai suoi ideali, di essere cremato, esistendo a Li-vorno ben due società per la cremazione, e risul-tando questa città quella col più alto numero dicremazioni in tutto il paese. La cremazione perLemmi rappresentò l’ultimo modo per dare ancoraun forte segnale della sua visione della vita, edella morte, alla ricerca continua di una religiositàda contrapporre a quella cattolica.In conclusione ancora una volta, Adriano Lemmi,si staglia, per dirla con Fulvio Conti, come una “fi-gura di grande rilievo nazionale e con un ruolo distraordinaria rilevanza nella storia della massone-ria italiana dell’età liberale”, riscosse consensiconvinti da Crispi a Bovio, a Saffi, fu certamentedecisivo ai fini della modernizzazione del nostropaese “in senso laico e democratico” e determinòuna autentica rivoluzione copernicana all’internodell’Istituzione.

*Questo articolo, inedito, è parte di una relazioneche svolsi il 28 dicembre 2010 nella Sala Specchidi Villa Mimbelli a Livorno all’interno del conve-gno Adriano Lemmi tra politica, economia e fratellanza.L’iniziativa venne promossa dal Comune di Li-vorno in collaborazione col Comitato livornese perla promozione dei valori risorgimentali e col

Grande Oriente d’Italia. Vi parteciparono l’asses-sore alla cultura labronica dott. Mario Tredici, giàgiornalista de “Il Tirreno”, il prof. Fabio Bertinidell’Università di Firenze, il Gran Maestro Ag-giunto dell’epoca il dott. Massimo Bianchi (“nonsi fa la storia di Livorno se non si passa dai fratellimassoni: i migliori valori di questa città fannoparte del dna del Grande Oriente d’Italia”), l'al-lora Presidente del Collegio dei MM.VV. della To-scana Stefano Bisi, attuale Gran Maestro, e ilprofessor Fernando Cordova, che poi morì appenasei mesi dopo, l’11 luglio 2011. Nelle ore prece-denti la sua morte, per un male fulminante chenon gli diede scampo, aveva invitato di essere ri-cordato “agli amici e agli studiosi”.E a dicembre del 2010 fu l’ultima volta che lavo-rammo insieme. E quella sera all’agape che seguì,rivolse tante appassionate domande, in particolareal G.M. Aggiunto Massimo Bianchi sul metodo mas-sonico e sul conseguente patrimonio spirituale massonicodei relatori presenti. Le nostre strade si erano spessoincrociate perché Fernando, prima allievo all’Uni-versità di Messina del prof. Domenico De Giorgioall’interno della cattedra di Storia del risorgi-mento, e poi del prof. Renzo De Felice, insegnòdiversi anni all’Università di Salerno, nel miostesso Istituto di storia moderna e contemporanea,diretto dal prof. Augusto Placanica, prima di an-dare ad insegnare alla Sapienza a Roma.Studiò per molti anni la massoneria soprattutto at-traverso le carte dell’Archivio Centrale dello stato

PROFILI DI GRAN MAESTRI 3

Busto di Adriano Lemmi a Villa Fabbricotti, Livorno

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di Roma, tant’è che nel 1993 ricevette dal Goi ilprestigioso premio intitolato a “Giacomo Treves”per aver pubblicato i migliori volumi sulla mas-soneria in quegli anni.° Gli ero affezionato soprattutto perché “cercava ilpalpito della vita e la traccia profonda dei vinti” (G.Aragno).Fu a lungo presidente dell’Istituto calabrese perla storia dell’antifascismo e dell’Italia contempo-ranea. Non casualmente il prof. Pantaleone Sergicosì concluse un appassionato discorso: “ A nomemio e dell’Icsaic sono vicino alla moglie e ai figli.La mia tristezza è inesprimibile. La Calabria nonpotrà mai dimenticarlo”. A lui, amico schivo e gentile, è dedicato questo ri-cordo, per la sua sapienza e per la sua umanità.Addio caro amico della gente di Calabria.

° F. Cordova, Massoneria e politica in Italia: 1892-1908,Roma-Bari 1985;F. Cordova, Agli ordini del serpente verde. La massone-ria nella crisi del sistema giolittiano, Roma 1990;F. Cordova, La crisi massonica del 1908. Una riflessioneinedita di Oreste Dito, in “Historica”, n. 2, 1991.Successivamente al premio “Treves” pubblicò an-cora, nell’ambito degli studi sulla massoneria, Massoneria in Calabria: personaggi e documenti 1863-1950, Cosenza 1995 eMassoneria e fascismo, in “Historica”, n. 1, 1997.

Bibliografia

G. Guezzoni, Garibaldi, Firenze 1882;A. Lemmi, Discorso pronunciato all’agape del 2 gennaio1888 per iniziativa delle logge di Roma, Roma 1888;A. Lemmi, Discorsi massonici pronunciati a Livorno, Ge-nova, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, ReggioCalabria, Palermo, Napoli e Roma, Roma 1893;A. Lemmi, La massoneria e la questione sociale. Discorsopronunciato in Roma la sera del 28 gennaio 1894, Mi-lano 1894;P.A. Giorgi, Il trionfo del Goi, Roma 1895;D. Margiotta, Adriano Lemmi (1822-1906), ?? 1900.A. Luzio, La massoneria e il risorgimento italiano, Bo-logna 1925;E. Morelli, L’archivio di Adriano Lemmi, in “Rasse-gna storica del Risorgimento”, XVI, 1938;G. Dè Neri, Giosue Carducci e l’apostolato massonico diAdriano Lemmi, Roma 1946;L. Kossuth nel suo carteggio con Adriano Lemmi, 1851-1852, a cura di L. Pasztor, Roma 1947;S. Gallo, La lega della democrazia (1879-1883) e le let-tere inedite di A. Mario ad Adriano Lemmi e a Giosue

Carducci, in “Bollettino della Domus Mazziniana”,XXVI, 1980;A.A., Adriano Lemmi Gran Maestro della nuova Italia(1885-1896), Roma 1985;Un’amicizia massonica. Carteggio Lemmi-Carducci condocumenti inediti, Foggia 1991;G. Cingari e S. Fedele, ( a cura di), Il socialismo nelMezzogiorno d’Italia 1892-1926, Roma-Bari 1992;F. Conti, Adriano Lemmi e la massoneria livornese fraOtto e Novecento, in “Hiram”, n. 4, 2001;C. Pipino, (a cura di), Un’amicizia massonica. Carteg-gio Lemmi-Carducci, Foggia 2006;M.G. Bollini, P. Busi, P. Foschi, C. Maldini, A.Manfron. A. Riccò, Fondi nel web. Guida on line aifondi archivistici e documentari della Biblioteca comunaledell’Archiginnasio, Bologna 2010;G. Caniatti, Archivio di Giuseppe Ceneri, Inventario,Bologna 2013.

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La copertina di un libro delProf. Ferdinando Cordova

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In una recente storia della Prima guerra mon-diale, Marco Mondini ha definito la Primaguerra mondiale italiana “un paradosso”, in

quanto l’intervento del Regno d’Italia nel conflittofu presentato come l’ultima campagna del Risorgi-mento, ma il Governo che condusse il Paese inguerra, scrive, “aveva poco in comune con le idea-lità del nazionalismo romantico e democratico diMazzini o con l’inspirata strategia politica di Ca-vour”1. Per combattere contro i loro ex alleati, ilcapo del Governo Salandra e il ministro degli EsteriSonnino “pretesero infatti la cessione del territoriodi Bolzano, abitato da 250 mila austro-tedeschi, malasciarono al suo destino la città di Fiume, abitatada una popolazione di lingua e cultura italiana”.Ora, se questo è vero per la maggioranza del Go-verno (quella di area liberal-conservatrice capeg-giata da Antonio Salandra e Sidney Sonnino) vafatto presente che del Governo fece parte, durantela guerra, anche un personaggio dalle idee moltodiverse: il massone Leonida Bissolati, leader delPSRI, che riprese la visione mazziniana di un’Eu-ropa democratica, contraria ad ogni tendenza na-zionalistica e tantomeno imperialistica.Bissolati era stato il primo direttore dell”Avanti!”(1896). Deputato dal 1897, criticò fin d’allora la Tri-

plice Alleanza. Parlò di “democrazia europea” com-posta da Francia, Inghilterra e Italia e di libertà pertutte le nazioni oppresse dai due imperi austriacoe turco. Si rifaceva, in sostanza, alla visione di Giu-seppe Mazzini e alla sua idea di risistemazionedella Carta d’Europa com’era stata definita nelCongresso di Vienna del 18152.Nel 1915 si arruolò volontario e partì per il frontecon il semplice grado di sergente. L’anno successivofu nominato Ministro senza portafoglio nel Go-verno Boselli3. Spinse subito per la dichiarazionedi guerra anche alla Germania, la cui struttura au-toritaria e le cui mire imperialistiche gli sembra-vano il più grave ostacolo alla democratizzazioneeuropea. Poco dopo, questo avvenne effettiva-mente.Il 29 ottobre 1916 commemorò nella sua CremonaCesare Battisti, con un discorso estremamente po-lemico contro tutti gli avversari della guerra. Pole-mizzò duramente con i socialisti, che si eranoopposti a quella che per lui era una guerra di libe-razione europea. “Un partito rivoluzionario – disse– che odia ogni oppressione, deve distinguere laguerra dell’aggressore da quella dell’aggredito”.Ma, ancora più duramente, attaccò “coloro che innome della religione di Cristo maledicono allaguerra: non però alla guerra germanica e austriacache ha devastato mezza Europa, che ha bombardatocittà aperte e indifese, che ha mutilato i bambini,che ha affondato navi mercantili anche di genteneutrale (...). Maledicono alla guerra italiana per-ché nell’Austria avevano sempre benedetto il lorosgherro fedele e fanatico. Contro questi cattivi in-terpreti della religione di Cristo, contro gli obliquipoliticanti che la religione di Cristo adoperano peri loro interessi, tu hai elevato, o Battisti, il tuo Gol-gota!”.Questo duro attacco alla Chiesa cattolica derivavadal fatto che il Vaticano aveva protestato contro l’in-cameramento, da parte del Governo italiano, di Pa-lazzo Venezia (di proprietà dell’Austria e sededell’ambasciatore di quel Paese presso la SantaSede), deciso come ritorsione per il bombarda-mento di Venezia di alcuni giorni prima.Ma il discorso si concludeva con una richiesta po-litica importante: quella della dissoluzione dell’im-pero austro-ungarico, visto come “la negazione e lacompressione di tutte le nazionalità che non siano

MASSONI RIFORMISTI E MASSONI RIVOLUZIONARI

NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

di Gian Biagio Furiozzi

SAGGI 5

Leonida Bissolati

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la tedesca e la magiara”. Era il famoso appello al“Delenda Austria”, che veniva pronunciato per laprima volta in Italia e in Europa. Nel giugno del’17, quando Sonnino fece dichiarare il protettoratoitaliano sull’Albania, Bissolati si dimise. Tornò alMinistero, con il Presidente Orlando, solo dopoCaporetto.Nell’agosto successivo il periodico del suo partito,l”Azione socialista”, criticò con durezza la famosaNota di Benedetto XV alle Potenze belligeranti,contenente la fin troppo famosa frase dell’”inutilestrage”. La definì una “manifestazione di propa-ganda banale e criminosa contro la guerra, che nondifferiva in nulla dai volantini anonimi diffusi trale masse dai socialisti ufficiali”, e richiese “metodiforti” contro le vecchie e le nuove insidie4. Da partesua, Bissolati – d’accordo in questo con il liberaleSonnino – conduceva in seno al Governo una siste-matica azione contro ogni iniziativa del Vaticano5.Va detto, a questo riguardo, che la Nota papalevenne emanata dopo l’intervento in guerra degliStati Uniti, cosa che faceva presumere una prossimasconfitta della cattolica Austria.Nella primavera del 1918 Bissolati tenne un ap-plaudito intervento al Congresso di Roma dei po-poli soggetti all’Austria, condividendo pienamentei 14 punti esposti da Wilson. Dal massone Wilson.Il 4 luglio 1918 celebrò l’anniversario dell’indipen-denza americana all’Altare della Patria. Parlò diuna continuità tra la guerra italiana e quella dichia-razione d’indipendenza. “Tutti gli uomini – disse –hanno eguale diritto alla libertà – questo diritto èinalienabile e insopprimibile – i popoli hanno di-ritto a governarsi da sé”. E aggiunse: “La Società delle Nazioni ipotizzata nelmessaggio di Wilson non è utopia; la fratellanza diguerra dovrà prolungarsi nella pace. Il Presidenteamericano ci ha resi più consapevoli dei fini co-muni”.Il 29 ottobre tornò al fronte. Due giorni dopo entròa Vittorio Veneto, accolto festosamente dai soldati,che lo riconobbero. Aveva ancora molti sostenitori.Il più importante era il Presidente americano Wil-son, che espresse il desiderio di incontrarlo nelcorso della sua visita a Roma nei giorni 3 e 4 gen-naio 1919. Bissolati gli espose la sua idea, ovverol’attribuzione della Dalmazia alla Iugoslavia, ma-gari in cambio di Fiume. Wilson si disse d’accordocon lui.Il 10 gennaio venne aggredito verbalmente daMussolini, che gli affibbiò il famoso giudizio di “ri-nunciatario”. Il giorno dopo tenne un discorso allaScala di Milano, nel quale espose i principi cheanimavano la sua visione politica. Ma una gazzarra,

inscenata da un gruppo di futuristi e di nazionali-sti, capeggiati da Mussolini, gli impedì di portarea termine il discorso, il cui testo fu conosciuto perintero solo attraverso i giornali.Egli vi sosteneva che la vittoria dell’Intesa avevagettato le fondamenta per un nuovo ordine mon-diale, basato sulla S.d.N. In questo spirito di giu-stizia, occorreva risolvere le questioni territorialiriguardanti l’Italia. Egli non solo proponeva unconfine etnicamente giusto con la Iugoslavia, la-sciando ad essa la Dalmazia, tranne Zara, e riven-dicando invece all’Italia, in base al principio dinazionalità, la città di Fiume. Ma proponeva anchedi rinunciare al Tirolo meridionale e al Dodeca-neso.Bissolati delineava in sostanza, sulla scia di Maz-zini, una nuova Europa basata sul principio dellagiustizia internazionale e tutto il discorso era unasfida al nazionalismo imperialistico, ed era perciòdestinato a suscitare la reazione di quella che CarloMorandi ebbe a definire “una gioventù nuova edu-cata nell’atmosfera della guerra”, che “sentiva altririchiami: la conquista, il dominio, l’impero”, e allaquale l’impostazione bissolatiana appariva una de-bolezza o una profanazione. Erano le prime avvisa-glie della crisi che, da lì a poco, avrebbe travoltol’Italia.Va precisato, a dire il vero, che il vertice del GrandeOriente (come ha ben dimostrato Fulvio Conti) noncondivise l’impostazione di Bissolati. Esso si disseinfatti contrario ad ogni rinuncia a quelle che definìle “giuste rivendicazioni dell’Italia”, sia in AltoAdige che nel Litorale adriatico. Il deputato di Cre-mona fu sostenuto solo da una parte minoritariadella Massoneria, soprattutto di area lombarda.Neanche la grande stampa lo appoggiò. Né il “Cor-riere della sera”, né “Il Messaggero” e neppure “IlSecolo”. A sua difesa intervennero pubblicamentesoltanto Piero Gobetti e Gaetano Salvemini. Ma,perlomeno, questo discorso lo riappacificò con ivecchi compagni socialisti, con i quali aveva pole-mizzato duramente negli anni precedenti, arri-vando a minacciare loro delle “fucilate nellaschiena”. Lo apprezzarono Filippo Turati, ClaudioTreves e Anna Kuliscioff. Se della Massoneria fa-cevano parte esponenti dell’area social-riformista,(tra cui certamente gli onorevoli Agostino Bereninie Guido Podrecca, e molto verosimilmente IvanoeBonomi) ad essa apparteneva anche un gruppo,non piccolo, di esponenti dell’area socialista di si-nistra, e in particolare del movimento sindacalistarivoluzionario, che nel primo quindicennio del No-vecento organizzava e mobilitava centinaia di mi-gliaia di persone6.

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E questo viene a correggere la pur stimolante inter-pretazione fornita da Antonio Gramsci nel famosodiscorso parlamentare del 1925, ovvero che la Mas-soneria sarebbe stata “il partito della classe bor-ghese”, anche se il fondatore del PCI definiva laborghesia come una “forza progressiva” che rappre-sentava la maggioranza della popolazione.Il fondatore e maggiore teorico della corrente sin-dacalista rivoluzionaria fu Arturo Labriola, iniziatoin una Loggia di Roma nel febbraio 1914, che sa-rebbe stato Gran Maestro aggiunto nel 1930-31. Findal 14 settembre 1914, in una lettera al ministrodegli Esteri Di San Giuliano, egli si espresse a fa-vore dell’intervento. Il 4 dicembre successivo, in undiscorso alla Camera, caldeggiò il rovesciamentodelle alleanze e l’appoggio alle potenze dell’Intesa.Fece una dura polemica contro la Germania, accu-sando la sua politica imperialistica. Anche l’Inghil-terra e la Francia – disse – perseguivano i loro finidi potere a livello internazionale, ma non suscita-vano eccessivi allarmi, come quelli che suscitavanoi teorici della superiorità della razza germanicasulle altre razze, come Treitscke e Mommsen. “Ora,quando uomini come questi proclamano la supe-riorità del germanico su tutti gli altri popoli, io chesono un mediterraneo mi ribello fin che posso, epensando che dietro i pensieri ci sono gli obici da420, mi preparo alla resistenza”.Labriola non negava che il socialismo, di per sé,fosse pacifista, ma esso era pacifico solo nei limitiin cui si realizzava come società internazionale; cosache non esisteva, e quindi aveva poco senso un “pa-cifismo nazionale”. Al momento dell’entrata inguerra, nel 1915, egli si arruolò come volontario,anche se restò al fronte per poco tempo, in quantovenne votata una legge che impediva ai parlamen-tari di partecipare ad operazioni belliche.Nel saggio La conflagrazione europea e il socialismo(1915), osservò che la guerra aveva, in fondo, un“carattere rivoluzionario”, in quanto essa avrebbeimposto allo Stato quelle trasformazioni che finoallora erano proprie dei programmi socialisti. Leesigenze militari, infatti, avrebbero spinto lo Statoa sostituirsi all’impresa privata, ad assumersi essostesso la gestione della produzione, a diventare unente economico, e con ciò a “perdere il suo carattererepressivo di Stato”.Ma ben presto, in alcuni interventi alla Camera, La-briola dovette registrare che le cose stavano evol-vendo in modo assai diverso da quello da luisperato. L’8 dicembre 1915 denunciò il fatto chefosse mancata in Italia ogni preparazione finanzia-ria della guerra. Il 18 marzo 1916 lamentò che lapolitica del Governo riguardante la guerra fossesottratta al controllo del Parlamento, e il 15 aprile

successivo chiese che venisse almeno rispettata lacollegialità ministeriale nelle decisioni sulla poli-tica estera. Si dichiarò “un adepto deciso del si-stema americano” in tema di pubblicità edell’iniziativa parlamentare in materia di politicaestera, e disse che si sarebbe anche accontentato delsistema francese. Ma, osservò, negli Stati Uniti e inFrancia c’era la Repubblica, e questo spiegavamolte cose. Il regime italiano gli sembrava moltopiù vicino a quello dell’autocrazia russa, anziché aquello delle democrazie occidentali7.Tra i sindacalisti rivoluzionari interventisti si di-stinsero alcuni personaggi toscani: Alceste De Am-bris, Cesare Rossi e Umberto Pasella. Costoro, dopoqualche settimana di incertezza sulla scelta da com-piere, anzi con qualche propensione per la neutra-lità, cominciarono a manifestare interrogativi edubbi sui possibili esiti di un conflitto che apparvesubito diverso da quelli che lo avevano preceduto.Un conflitto nel quale erano in gioco le sorti di tuttal’Europa; che avrebbe potuto segnare la vittoria delmilitarismo e del pangermanesimo; che, infine,avrebbe potuto rafforzare il capitalismo più reazio-nario e bloccare il percorso di emancipazione delproletariato.Il 18 agosto De Ambris tenne una famosa confe-renza nella quale descrisse l’eventuale vittoria dellaGermania e dell’Austria come una catastrofe perl’avvenire politico, economico, sociale e culturaledell’Europa. E si chiese se si potesse rifiutare il no-stro intervento “per impedire il trionfo della rea-zione feudale, militarista, pan germanica”8. Il 14settembre successivo, nella riunione del Consigliogenerale dell’USI, la mozione presentata da lui e daCorridoni fu però respinta dalla maggioranza, cheapprovò quella di Armando Borghi. Essa ricevettesolo i voti delle Camere del Lavoro di Milano,Parma e Castrocaro. A seguito di ciò, De Ambris, Pasella e Cesare Rossiuscirono dal Comitato centrale dell’organizzazione.Essi, come i compagni di corrente di altre regioniitaliane, “troveranno – è stato osservato - la loro viarivoluzionaria non contro la guerra ma nella guerraintesa come mezzo per eliminare i baluardi dellareazione europea, indebolire la monarchia e crearele condizioni per un rivolgimento sociale. Il crollo dell’Internazionale socialista confermavaloro che il proletariato non poteva affermarsi lad-dove mancava una vera organizzazione sindacalistae dove invece dominava uno Stato forte che soffo-cava anche i partiti politici proletari più potenti”9.Anche se, va precisato, si rendevano ben conto che,per loro come per gli altri interventisti dell’area de-mocratica, un grosso problema era rappresentatodalla presenza, accanto alla Francia e all’Inghilterra,

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della Russia zarista. Ma essi coltivavano la spe-ranza di una prossima rivoluzione in quel Paese. I sindacalisti rivoluzionari favorevoli all’interventoentrarono a far parte del Fascio Rivoluzionariod’Azione Internazionalista, la cui creazione fu pro-posta da Angelo Oliviero Olivetti il 5 ottobre 1914con un manifesto programmatico nel quale si asse-riva l’utilità della guerra come “momento storicoindispensabile allo sviluppo di società più avan-zate”. Nel Comitato promotore, composto di tredici mem-bri, entrò anche Cesare Rossi. L’11 dicembre suc-cessivo questo organismo, su iniziativa di BenitoMussolini e di Alceste De Ambris, cambiò parzial-mente denominazione, trasformandosi in Fasciod’Azione Rivoluzionaria Interventista. Il 25 gen-naio 1915 esso tenne il suo primo congresso, e nelComitato centrale venne eletto anche Cesare Rossi. Il Fascio promosse, in diverse città italiane, la na-scita di periodici favorevoli all’intervento. A Piom-bino dette vita al quindicinale “La Libertà”, cheentrò subito in polemica con “Il Martello” e con“L’Operaio”, decisamente neutralisti, e si trovò in-vece in sintonia con il “Progresso maremmano”, or-gano dei siderurgici10. Quanto ad Alceste DeAmbris, non è qui il caso di dilungarsi sulla sua in-tensa attività nei mesi e negli anni successivi, ormaiampiamente studiata e conosciuta da tempo. Al-cuni interessanti approfondimenti sono però con-tenuti nella recente ottima biografia a lui dedicatada Enrico Serventi Longhi, il quale ne sottolineatre aspetti che meritano attenzione.In primo luogo, il “carattere segreto, attivo e vio-lento” tracciato nel programma d’azione del Fasciod’Azione Rivoluzionaria Interventista, in gran parteda lui ispirato, in quanto “la tattica dell’associa-zione segreta, affiancata da una struttura legale,sembrava fornire lo strumento migliore alla propa-ganda rivoluzionaria nel fronte interno e nell’eser-cito; il modello organizzativo prevedeva diconseguenza la costituzione di strutture clandestineflessibili e pronte ad adattarsi alle mutevoli situa-zioni oggettive che le contingenze avrebbero of-ferto. La stessa denominazione di ‘fascio’richiamava esplicitamente tradizioni rivoluzionarieottocentesche, antimonarchiche, patriottiche, risor-gimentali e cospirative”11. De Ambris, aggiunge Serventi Longhi, proposedunque campagne di propaganda finalizzate allacreazione di gruppi paramilitari, non solo alloscopo di prepararsi al momento dell’ingresso inguerra ma, in realtà, “anche per propositi eversivi”.Questo perché in lui (e questo è il secondo aspetto)vi era l’idea del “carattere transitorio della guerra”,in vista dello scopo finale “essenzialmente rivolu-

zionario”12. Anche se, va precisato, egli nonavrebbe probabilmente mai detto quanto affermòil 1° novembre a Parma Corridoni, ovvero: “Il pro-blema di Trento e Trieste è per noi secondario”13.Il terzo aspetto sottolineato da questo autore ri-guarda la notevole “influenza che le forze sociali epolitiche francesi ebbero nell’interventismo rivo-luzionario e democratico”14, in termini di sostegnonon solo politico, ma anche finanziario alla stampainterventista, soprattutto al “Popolo d’Italia”. E De Ambris fu certamente in prima linea nella tes-situra di questi rapporti con il Paese transalpino,d’intesa con esponenti socialisti riformisti comeLeonida Bissolati, e repubblicani come PietroNenni15 e Oliviero Zuccarini16 oltre che, ovvia-mente, con Benito Mussolini17. Ma fu in primalinea anche al fronte, essendosi arruolato come vo-lontario e assegnato, come caporale, nel 2° Reggi-mento di Artiglieria, Batteria Falconara, fino al suoruolo in quell’ appendice della Grande Guerra chefu l’impresa di Fiume, ultimo atto del suo impegnoin tutte le fasi del conflitto18.Come ben si sa, egli rivestì in quella circostanza ad-dirittura il ruolo di capo di Gabinetto di D’Annun-zio e redasse la Costituzione fiumana. Si sarebbepoi opposto al fascismo, sarebbe andato in esilio inFrancia e sarebbe morto nel corso di una riunionedella Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo19.Quanto all’atteggiamento di Cesare Rossi, richia-mato alle armi il 21 maggio 1915, e sul quale di-sponiamo dell’ottima biografia di Mauro Canali20,possiamo notare un’impostazione parzialmente di-versa rispetto ad altri compagni del movimento, inquanto egli sembrava auspicare l’intervento nellaguerra, più che per le prospettive rivoluzionarie cheessa apriva, come una difesa delle conquiste socialie politiche fino allora ottenute, e messe in pericolodalle forze reazionarie degli Imperi centrali. In un articolo del settembre 1914, dopo avere am-messo che vi era “un abisso enorme” tra la sceltainterventista e “la predicazione di qualche tempofa”, caratterizzata dall’antimilitarismo e dall’anti-statalismo, fece infatti presente che la realtà pre-sente mostrava “il pericolo di vedere un ventenniodi rivendicazioni nazionali, di lotte democratiche,di conquiste proletarie compromesse e distrutte”.Era dunque opportuno e consigliabile “interrom-pere per un momento” la “coerenza formale” e de-dicarsi “alla salvaguardia di quel tanto di regimeliberale che ci consentirà domani la ripresa”21.Nel corso della primavera dell’anno successivoRossi, secondo cui Firenze era “la più neutralistacittà italiana”22, scrisse diversi articoli sul “Popolod’Italia” assai violenti contro i pacifisti, sia contro igruppi dirigenti che, con ancora più collera e livore,

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contro le classi subalterne del Paese, e maggior-mente contro le masse che si mostravano ostili allacampagna interventista23, con un atteggiamento cheCanali ha definito di stampo elitistico, e nei qualiha visto, con qualche ragione, “la testimonianzadella crisi d’una generazione di rivoluzionari diestrazione piccolo borghese”24. Anche se lo stesso autore menziona poi un articolodi Rossi del maggio 1916 nel quale il sindacalistatoscano, dichiarandosi ancora convinto della vali-dità dell’intervento, affermava che esso era servitoa vanificare le congiure “della burocrazia, del par-lamentarismo, del papato, del socialismo di par-tito”, e che la vittoria sarebbe servita “per losviluppo e la salvaguardia della lotta operaia”, maanche “per la vittoria della rivoluzione”, e che ilsindacalismo rivoluzionario avrebbe ripreso la bat-taglia con rinnovato vigore25. L’abbandono definitivo della prospettiva rivoluzio-naria, in Rossi e in tanti altri ex dirigenti sindaca-listi rivoluzionari, avverrà, in sostanza, solo neglianni del dopoguerra, con la teorizzazione del “sin-dacalismo nazionale” fiancheggiatore del fascismo.Proprio Cesare Rossi ci ha fornito un ritratto, brevema acuto, di Umberto Pasella, anch’egli, come Al-ceste De Ambris, presente sia nella campagna in-terventista che, soprattutto, con un ruolo moltoattivo, nell’impresa di Fiume. In quella circostanzaegli promosse un’interessante iniziativa: il cosid-detto “esodo” dei bambini fiumani, colpiti dalladurezza del blocco navale della città, sistemandoliin diverse località italiane. In quella occasione egli utilizzò una sua precedenteesperienza, avendo organizzato esodi dei figli degliscioperanti nel corso delle lotte dell’Ilva di Piom-bino (della cui Camera del Lavoro era stato segre-tario), che – a sua volta – riprendeva l’ugualeiniziativa realizzata durante lo sciopero agricolo diParma del 190826.Quando, dopo la guerra, nazionalisti e fascisti at-taccarono la Massoneria sminuendone il ruolo eser-citato nel conflitto, Gino Bandini scrisse un saggioper respingere queste accuse, ricordando tra l’altroche nella guerra avevano lasciato la vita ben 2.000massoni27.

1 M. Mondini, La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare1914-18, Bologna, Il Mulino, 2014, p.7.2 Su di lui si veda l’ottima biografia di U. Alfassio Gri-maldi - G. Bozzetti, Bissolati, Prefazione di B. Craxi, Mi-lano, Rizzoli, 1983.3 Sul quale si veda D. Veneruso, La Grande guerra el’Unità nazionale. Il ministero Boselli giugno 1916-ottobre1917, Torino, S.E.I., 1996.

4 Cfr. l”Azione socialista” del 17 e del 28 agosto 1917.Si veda anche F. Manzotti, Il socialismo riformista in Italia,Firenze, Le Monnier, 1965, p.143.5 Cfr. O. Malagodi, Conversazioni della guerra, a cura di B.Vigezzi, I, Milano, 1960, p.165.6 Cfr. G.B. Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario italiano,Milano, Mursia, 1977.7 Cfr. D. Marucco, Arturo Labriola e il sindacalismo rivolu-zionario in Italia, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1970,pp.221-229.8 A. De Ambris, I Sindacalisti e la guerra, “L’Internazio-nale”, 22 agosto 1914.9 O. Lupo, I sindacalisti rivoluzionari nel 1914, “Rivista Sto-rica del Socialismo”, X, 1967, n. 32, p. 81.

Cfr. P. Favilli, Capitalismo e classe operaia a Piombino 1861-1918, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp.217-219.

E. Serventi Longhi, Alceste De Ambris. L’utopia concreta diun rivoluzionario sindacalista, Milano, F. Angeli, 2011, p.64. Tra le sue carte, non a caso, è conservato un Pro-gramma e catechismo carbonaro (ivi). Del resto è nota lasua appartenenza alla Massoneria (cfr. A.A. Mola, Storiadella Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica, Prefa-zione di P. Alatri, Milano, Bompiani, 1976, pp. 371-372e F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimentoal fascismo, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 257).

E. Serventi Longhi, Alceste De Ambris cit., p.65.

Cfr. E. Battisti, Con Cesare Battisti attraverso l’Italia (agosto1914, maggio 1915), Milano, Treves, 1945, p.216.

E. Serventi Longhi, Alceste De Ambris cit., p.78.

Cfr. G. TAMBURRANO, Pietro Nenni, Roma - Bari, La-terza, 1985, p.39.

Cfr. O. Zuccarini, Il Partito repubblicano e la Guerra d’Italia.Storia della vigilia, Roma, L’Iniziativa, 1916, pp.53-55.

Cfr. P. Milza, Mussolini, Roma, Carocci, 2000, pp.200-202.

Su questo si veda R. De Felice, Sindacalismo rivoluziona-rio e fiumanesimo nel carteggio De Ambris-D’Annunzio, Bre-scia, Morcelliana, 1966.

Cfr. G.B. Furiozzi, Alceste De Ambris e il sindacalismo rivo-luzionario, Milano, F. Angeli, 2002.

M. Canali, Cesare Rossi. Da rivoluzionario a eminenza grigiadel fascismo, Bologna, Il Mulino, 1991.

C. Rossi, Contro il militarismo, “L’Internazionale”, 19 set-tembre 1914.

ID., Personaggi di ieri e di oggi, Milano, Ceschina, 1960,p.402. 23 Nella terra dei martiri di Belfiore, “Il Popolo d’Italia”, 8marzo 1915; Vigilia di guerra in una provincia pacifondaia,,ivi, 16 marzo 1915.24 M. Canali, Cesare Rossi cit., p.113.25 C. Rossi, Dopo un anno di guerra, “Il Popolo d’Italia”,24 maggio 1916.26 ID., Personaggi di ieri e di oggi cit., pp.309-311.27 G. Bandini, La Massoneria per la guerra nazionale (1914-1915), Roma, Tip. Ferraguti, 1924.

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Parigi e Belgrado. Due città occupate fino al1944 dalle truppe tedesche. Due città le cuipopolazioni vivono in una sorta di anima-

zione sospesa, fuori dalla loro storia, governati daantichi nemici trasformatisi in moderni padroni.Sono le capitali di nazioni dal passato glorioso, in-nervate ovunque da un patriottismo talvolta per-fino eccessivo, ora ridotte al rango di zoned’occupazione. La Francia è stata divisa in tre aree,dopo il crollo del giugno 1940: l’una a nord e aovest, comprendente Parigi, sotto il diretto con-trollo tedesco; l’altra a sud, con un’effimera capi-tale a Vichy, guidata dal vecchio marescialloPhilippe Petàin e da un governo collaborazionistadi “rinnovamento nazionale” presieduto primadall’ammiraglio François Darlan e poi dall’ex pre-mier Pierre Laval; infine, un piccolo lembo di Pro-venza, con capoluogo Mentone, è in mano agliitaliani. Dal novembre 1942, anche la zona diVichy verrà controllata direttamente dall’Asse, ri-ducendo lo stato petainista a un fantoccio: anchel’ultimo, effimero e ipocrita tentativo di indipen-denza svanisce, mentre volonterosi collaboratori –appartenenti all’anima più reazionaria e a quellapiù rivoluzionaria della destra radicale francese –si metteranno al servizio convinto dei nazisti, Conun impegno entusiasta, tutto il collaborazionismofrancese si affianca ai nazisti per “risolvere” il lo-cale “problema ebraico”. L’altra Francia, quella li-bera, da tempo combatte nelle fila dellaResistenza e con le truppe del generale De Gaulle.In un clima del genere, è di nuovo la penuria ali-mentare, unita alle violenze e alle sopraffazioni, arendere la situazione insostenibile. Manca tutto, equel poco è confiscato dai tedeschi. Ma le risorse,quando servono, si trovano. È il 9 marzo 1943.Manca poco più di un anno alla liberazione di Pa-rigi, e al cinema degli Champs-Élysées, alla pre-senza dell’ambasciatore dell’ormai effimerogoverno di Vichy, Fernand de Brinon, viene pro-iettata la prima di un film intitolato “Forces Occul-tes”. Il lungometraggio è noto, ed è l’unicoesplicitamente antimassonico della storia del ci-nema. Ambientato negli ultimi anni della Terzarepubblica, narra la storia di un giovane deputatoconservatore, attirato dai biechi massoni (dainomi e dai volti insindacabilmente giudaici, ça va

sans dire) e iniziato alla Libera muratoria. Scopertigli intrighi “mondialisti” e la volontà guerrafon-daia (contro la Germania nazista) dei confratelli,il giovane si ravvede, denuncia tutti e rischia per-sino di essere ucciso da alcuni gangster al serviziodel Venerabile di loggia, mentre la Massoneriaesulta alla notizia della dichiarazione di guerra. Ilfilm inizia e termina con la rappresentazione delmondo sul quale si estende una tarantola con im-presso il simbolo di squadra e compasso. Il fattopiù sorprendente è la cura con la quale la produ-zione descrive la Libera Muratoria, dalle logge airituali d’iniziazione, assolutamente impeccabili erealizzati utilizzando paramenti originali. Per laprima volta, in un’era senza Internet e I-phone, ilpubblico può vedere cosa si cela dietro le porte diun tempio libero-muratorio. Forces Occultes è statorealizzato sotto gli auspici del dottor Otto Dietrich,capo ufficio stampa del ministero della propa-ganda nazista, che ha erogato a una sovvenzionedi un milione e duecentomila franchi. Il regista sichiama Marques-Rivére, pseudonimo di Jean-Marie Paul Riviére. In gioventù è stato uno scrit-

LA COMUNICAZIONE ANTIMASSONICA

NELL’ETÀ DEI TOTALITARISMI: I CASI DI FRANCIA E SERBIA

di Marco Cuzzi

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Poster antimassonico presente alla Grande esposizioneantimassonica nazista di Belgrado nell’ottobre 1941

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tore specializzato in tradizioni orientali. Iniziatonella Gran Loggia Nazionale di Francia, ne è po-lemicamente uscito nel 1931 per farsi assumerenella redazione di un giornale cattolico. È diven-tato un convinto antimassone, e ha pubblicatonumerosi saggi contro il complotto libero-mura-torio che a suo parere stava strangolando la Fran-cia. Nel 1940, ovviamente, ha aderito a Vichy:Petàin produrrà una cospicua legislazione anti-massonica e una notevole pubblicistica, ma ancheuna violenta repressione, e quasi ovunque com-parirà il nome di Marques-Riviére. Arruolatonell’Abwehr, il controspionaggio tedesco, e poi no-minato direttore aggiunto della “Polizia delle so-cietà segrete per la zona occupata”, una creazionedella Gestapo, diventa l’esperto di questioni mas-soniche, e insieme alle SS e ai collaborazionisticompie perquisizioni di archivi e di locali, indivi-duando i massoni e facendoli arrestare. Non è sol-tanto un intellettuale o uno zelante funzionario, èun militante, un combattente. Alla prima di ForcesOccultes, Marques-Riviére pronuncia frasi che pa-iono uscite da un comando di trincea: “Questo filmvuole essere un atto politico. Vuole essere anche un atto ri-voluzionario….Possa questo film, che è un film di combat-timento, riunire le energie ancora esistenti per le dure edecisive battaglie di domani!”. Tralasciamo la storia,affascinante e complessa, della lotta antifascistadella Massoneria francese e delle repressioni chele varie Obbedienze (Grand Orient, Grand Lodge eDroit Humain) hanno dovuto subire. Il dato, dinuovo, è lo sconcertante impegno nel reprimere laMassoneria da parte di tutto l’apparato collabora-zionista francese sino agli ultimi giorni. Oltre atorturare, deportare e distruggere, si produce unfilm, con vasti mezzi a disposizione; si stampanoopuscoli, libri; si organizzano convegni, si inau-gurano mostre. Le autorità di Vichy pubblicanodall’ottobre 1941 una rivista in edizione lussuosa,contenete fotografie e riproduzioni fotostatiche didocumenti massonici: si intitola Les Documentes ma-çonniques, sotto la direzione di un altro fanatico,François Fay, e con la continua collaborazione diMarques-Riviére. È una straordinaria raccolta dimateriale massonico, di nomi, biografie, contro-storie e atti d’accusa che lasciano stupefatti per imezzi messi a disposizione. E stupefacente è ancheil fatto che l’ultimo numero uscirà nel giugno1944, dopo lo sbarco in Normandia e a pochigiorni dal crollo di tutto. La crociata antimassonicasembra rinvigorirsi mentre tutto è perduto.E tutto appare perduto anche a Belgrado, sin daquell’aprile 1941 che ha visto la capitale balcanicaprima selvaggiamente bombardata e poi occupatadai tedeschi. Il Regno di Jugoslavia è stato dis-

solto, smembrato e spartito tra i vincitori del-l’Asse. In Serbia si insedia un governatorato mi-litare nazista. Come sempre, le nuove autoritàcercano collaboratori. Non è facile: alla macchia c’èun colonnello, Draža Mihailović, che sta organiz-zando con i resti del regio esercito jugoslavo unaforza di resistenza; il comunista Josip Broz Titofarà lo stesso, e tra i due scoppierà una sanguinosaguerra civile. Chi vuole combattere raggiunge icetnici del primo e i partigiani del secondo. Storiediverse, con sviluppi opposti, che qui non ci com-petono. A Belgrado, nel frattempo, si individual’ex ministro della guerra, il generale MilanNedić: un nazionalista conservatore che ha sempredisprezzato lo Stato unitario dei serbi, croati e slo-veni, a suo parere guidato da cricche massonicheal servizio della Francia, che hanno mortificato lagrande tradizione serba, basata sull’epopea degliantichi principi, sulla natura fortemente rurale delpaese e sull’immancabile supporto della Chiesacristiano-ortodossa. Attorno a lui si raggruppanopersonaggi di varia estrazione, che condividono ildisegno di un nuovo “Stato Serbo” inserito nel-l’ordine europeo di Hitler. Ma l’impresa è difficile.I serbi non amano i tedeschi, e meno che meno gliaustriaci: troppe ne hanno viste durante l’occupa-zione dell’altra guerra. Nel frattempo, l’economiaè in pezzi, i tedeschi depredano ogni cosa e sotto-pongono la popolazione a un trattamento ancorapiù atroce chevin Francia: Hitler, l’austriaco natu-ralizzato in Germania, odia la Serbia sin dal 1914e vuole letteralmente annientarla. Nedić riesce amettere insieme una truppa, una scalcinata miliziacolpita da continue diserzioni, e un’amministra-zione che fa quello che può, e cioè quasi nulla. Ilsistema entra in crisi sin da subito, e si ricerca di-speratamente una strategia propagandista chepossa salvare il salvabile. Si riscopre quindi l’an-tico nemico, che già negli anni del Regno era statooggetto di massicce campagne d’odio. Belgrado,via Ilija Garašanin, 22 ottobre 1941. Alla presenzadi Nedić e degli altri esponenti del governo e delgovernatorato tedesco viene inaugurata la“Grande Esposizione Antimassonica”. Organizzatadal “Raduno Popolare”, il violento movimento fa-scista e antisemita di Dimitrije Ljotić, finanziatadalle autorità tedesche, la mostra contiene unaquantità di materiale impressionante (documentidi loggia, paramenti, materiale a stampa, fotogra-fie e biografie) ed è supportata da una massicciapubblicità: 200 mila brochures, 100 mila volantini,60 mila copie di venti diversi manifesti, 176 do-cumentari di propaganda. L’ufficio postale perl’occasione emette una serie di quattro francobollidedicati all’esposizione: sono gli unici francobolli

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antimassonici nella storia della filatelia. I soggettisono intuibili: un vigoroso braccio (di un bravocontadino serbo, s’immagina) che schiaccia un vi-scido serpente sotto il quale traspaiono squadrae compasso sovrapposti a loro volta al mondo;una croce di Kosovo (il simbolo del nazionalismoserbo e dello Stato di Nedić) che abbaglia un in-cappucciato con impressa sulla clamide la stelladi Davide; un altro rurale serbo in abiti tradizio-nali che abbatte le colonne J e B; un’altra, grani-tica croce di Kosovo che schiaccia un Pentalfa. Lamostra, simile a quelle esibite a Parigi e a Ber-lino, ma molto più grande, si concentra per la ve-rità sul “complotto giudaico”, ma il temamassonico – considerato come altrove interscam-biabile – è onnipresente. I massoni sono descrittinei manifesti esposti come burattinai bardati contutta la simbologia possibile, dalla chiave di Sa-lomone alla cazzuola fino a collari e grembiuli,che guidano marionette rappresentanti Stalin,Churchill, Mihailović e i comunisti locali. Le fat-tezze dei manovratori, ovviamente, sono semiti-che. “Questo concetto di esposizione sarà unico non soloin Serbia o nei Balcani non solo nell’Europa sudorientalee nel resto del Continente, ma nel mondo”, così recitala brochure di presentazione. Chiusa il 19 gennaio1942, mentre le forze partigiane stanno rendendola vita dei collaborazionisti serbi impossibile e itedeschi si preparano a ridurre ulteriormente i giàlimitati poteri del loro piccolo Quisling balcanico,la mostra antimassonica di Belgrado è l’ennesimaconferma di un odio che non teme nulla, nem-meno la sconfitta immi-nente.In conclusione, ci si puòdomandare perché. PerchéMussolini, Hitler, i colla-boratori del nazifascismo,nel crepuscolo dei lorostessi sistemi totalitari, sisono concentrati così tantosul “Serpente verde”, sulla“Sinagoga di Satana”, insintesi sulla Massoneria?Cosa rappresentava perloro il sodalizio libero-mu-ratorio al punto da metterein secondo piano gli altrinemici storici? Come si faa destinare risorse, ultimisforzi, anche fisici, al “com-plotto” massonico? Forse,alla fine di ogni totalitari-smo, è apparso agli occhi

del dittatore di turno ciò che la Massoneria ha perlui rappresentato: la tolleranza, l’eguaglianza, lareligione laica della democrazia. Una democraziapluralista, liberale, sociale, che verso la fine dellaSeconda guerra mondiale stava dimostrando diessere l’unica, reale vincitrice dell’immane con-flitto del XX secolo: a riprova di ciò, anche il co-munismo, ulteriore rabbioso nemico della LiberaMuratoria, sarebbe entrato definitivamente incrisi. L’odio e la rabbia con la quale i dittatori, altermine del loro percorso politico e umano, sisono accaniti contro i nostri Fratelli, è la confermadella loro debolezza, ma anche di un’inconsape-vole certezza di stare per essere definitivamentesconfitti dal loro mortale avversario: la Libertà.

Bibliografia

André Combes, La Franc-Maçonnerie sous l’Occupation,Éditions du Rocher, Langres, 2012Henry Rousso, La Francia di Vichy, Il Mulino, Bologna,2010Johann Wüscht, Jugoslawien und das Dritte Reich. Eine do-kumentierte Geschichte der deutsch-jugoslawischen Beziehun-gen von 1933 bis 1945, Seewald. Stuttgart, 1969Stevan V. Nikoli�, Kraljevska Umetnost, Lux MundiPress, Boegrad, 2010Enzo Collotti, L’Europa nazista: il progetto di un nuovo or-dine europeo, 1939-1945, Giunti, Firenze, 2002Luigi Pruneti, La Sinagoga di Satana. Storia dell’Antimas-soneria 1725-2002, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari,2002

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locandina del Film “Foces Occultes”

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Il 22 aprile 1927, a conclusione di quello chela stampa, ormai totalmente fascistizzata, hainteso presentare all’opinione pubblica come

il “processo alla Massoneria”, Tito Zaniboni e LuigiCapello vengono condannati dal Tribunale spe-ciale per la difesa dello Stato a trent’anni di reclu-sione. Il giorno successivo alla conclusione delprocesso Zaniboni-Capello, Domizio Torrigiani èarrestato e tradotto davanti all’apposita commis-sione provinciale che, ravvisandolo “responsabile diagitazioni contro il Regime e lo Stato”, gli commina 5anni di confino da scontare a Lipari. Domizio Torrigiani, avvocato e Gran maestro delGrande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani,raggiunge il confino a Lipari il 30 aprile del 1927.A Lipari trascorre poco meno di due anni, sotto-posto a intensissima vigilanza in ragione delle ri-correnti voci su una sua possibile evasionedall’isola su progetto promosso dai massoni ita-liano in esilio. È uno dei personaggi più celebrigiunti a Lipari, sono tante le pagine della memo-rialistica a lui dedicate.

L’arrivo

L’arrivo di Torrigiani a Lipari, il 30 aprile, nonpassò inosservato. Richiamata dalla mobilitazionedell’apparato di vigilanza, una folla di curiosi si

radunò nelle strade e al porto per vedere com’erafatto quest’uomo che nelle prediche del clero erastato presentato come “il fratello gemello del demonio”.Al momento dello sbarco, Torrigiani apparve almassone Francesco Fausto Nitti, in una lucemaestosa: “… alto e robusto, sulla cinquantina, dal visoforte e aperto, ornato di una barbetta a punta, brizzolato.Si incamminava a passo svelto verso terra, subito seguitoe circondato da un folto gruppo di persone: due signori inborghese, che poi sapemmo essere funzionari superiori dipolizia, tre o quattro agenti e tre carabinieri”. Per l’irriverente Jaures Busoni invece il GranMaestro incedeva “con passo lento, grave, un poco pa-chidermico”. I liparoti, secondo Nitti, “correvano alle finestre, aibalconi, sulle porte, tutti si fermavano al suo passaggio,esaminando curiosamente questo deportato di importanza,questa “bestia nera”, questo misterioso mago di una ancorpiù misteriosa setta”. Ma donne e bambini dopo averaccuratamente esaminato quel signore passavanodall’iniziale timore a una espressione di sorpresae, infine, di delusione.

Bruna Pagani (figlia di un confinato, 12 anni): epoi mi sono trovata sull’isola quando è arrivato il granmaestro della massoneria, Domizio Torrigiani. È stata unacosa anche quella … sono cose che mi hanno molto im-pressionata. Quando è arrivato c’era un silenzio di mortequella mattina, tutti erano spaventati, la milizia era spa-ventata, avevano una paura folle di questa persona chearrivava. Invece era un tipo … con la barba, un tipo to-scano, molto simpatico … coltissimo. È arrivato da solo.Sulla nave c’era solo lui, senza nessun altro a bordo, noncome gli altri, che arrivavano in gruppo tutti incatenatiinsieme a una catena lunga, invece lui no.Arrivò così in mezzo a questo drappello di milizia e ungran silenzio, un gran silenzio e i confinati erano tutti …perché c’era una riga tracciata che partiva da uno spigolodi una casa e che attraversava la strada, la quale i confi-nati non potevano sorpassare, quando arrivava la nave.Sicché quel mattino lì erano tutti ammassati lì come dan-nati, anche perché penso che molti dei confinati eranomassoni. Credo perché allora la massoneria era molto se-greta. Ma in ogni modo penso che molti di questi lo eranoe quindi erano là in attesa di quest’uomo. Ad un certopunto io ero lì con papà, e mi dice: “Vai a salutarlo” e iomi sono buttata avanti. Siccome ero una bambina, pas-

DOMIZIO TORRIGIANI AL CONFINO

LA MEMORIALISTICA

di Giuseppe La Greca

SAGGI 13

Domizio Torrigiani

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savo, come con la tazzina di caffè, come ho spiegato in pre-cedenza, e riuscivo sempre a passare mentre gli altri nonpotevano. Allora io sono andata avanti, gli ho dato il ben-venuto, siamo stati amici per la pelle fino a quando sonorimasta, lui mi dava delle lezioni straordinarie, era unuomo coltissimo.

Giovanni Domaschi: Un giorno vidi arrivare Domi-zio Torrigiani gran maestro della Massoneria, uno deiprimi finanziatori del fascismo diventato antifascista e ca-duto in disgrazia per l’attentato di Zaniboni contro Mus-solini. Talvolta ebbi anche occasione di parlare insieme.Mi sembrò un uomo molto colto ma anche tanto ingenuoe rimasto al passato anima e corpo.

Vita quotidiana

A Lipari, Torrigiani soggiornò in una casa appar-tenente alla sorella del medico condotto FrancescoDe Mauro, (la baronessa Lofaso di Termini Ime-rese) Maestro venerabile della disciolta loggiamassonica dell’isola.

Hector France S. : (…) mi fornì l’occasione di cono-scerlo e di avviare con lui una certa amicizia un mio con-terraneo. Gli si era offerto per aiutarlo nelle faccendedomestiche, indicandogli il mio nome per le referenze. Eraun uomo argutissimo. Diventati amici, non gli nascosi cheverso di lui avevo poca simpatia politica, essendo l’espo-nente di un aggregato che nelle proprie logge aveva armatoi fascisti della prima ora. Egli non lo negava. Lo giustifi-cava con una teoria che poteva valere per lui, ma a menon persuadeva. Sostenendo che la massoneria è una isti-tuzione disposta ad assecondare qualunque partito pro-gressista. Infatti mi ricordava come aveva sempre aiutatoil socialismo riformista. Così il fascismo quando sorse conidee di progresso sociale e anticlericale, la massoneria loaiutò anche perché era molto legato coll’interventismo deisuoi capi più elevati. In sostanza secondo Torrigiani lamassoneria si affianca ai partiti progressisti, per infrenarele esagerazioni. Infatti quando il fascismo si rivelò quelloche era – precisava – gli voltò le spalle. Tanto è vero che lasua presenza al confino era la migliore dimostrazionedell’antifascismo massonico. A Torrigiani bisognava rico-noscere un certo coraggio, sebbene si trattasse di un anti-fascista borghese. Egli trovavasi a Parigi con gli altrifuoriusciti perché Mussolini lo voleva ritenere correspon-sabile dell’attentato di Zaniboni. Un gran maestro digrado superiore a Torrigiani gli disse: “Quale capo dellaMassoneria Italiana, il suo posto è in Italia e non al-l’estero. Accada quello che vuole accadere”. Torrigiani ob-bedì, tornò in Italia e fu arrestato. Dopo mesi di carcere fuinviato al confine.

Jaures Busoni: (…) nella occasione della sua parteci-

pazione alla “mensa repubblicana” l’avvocato DomizioTorrigiani fu salutato da un discorso pronunciato dal ro-magnolo Passardi nella forma semplice con la quale i po-polani sanno esprimere i più profondi sentimenti. ETorrigiani si commosse a quel saluto. Oltre la fama di po-tente personaggio e il suo aspetto vigoroso di cinquantennerobusto, dalla faccia ornata di una barba a pizzo brizzo-lata, e la sua autorevole facondia, Torrigiani era pur pienodi sentimento. Continuamente seguito da due agenti, con l’abitazione sor-vegliata da militi, carabinieri e poliziotti che annotavanoi nomi di quanti si recavano a fargli visita, che aveva oc-casione di conversare con lui poteva rendersi conto dellasua vasta cultura umanistica, che gli consentiva di parlaresempre, anche a lungo, in modo piacevole e interessante,con acutezza di giudizi, da conservatore di vecchio stampoche sapeva ravvivare il suo dire con motti di spirito e gu-stosi aneddoti. Non negava le responsabilità della masso-neria, e quindi le sue come Gran Maestro, nell’avvento delfascismo, ma da classico conservatore sosteneva che controil pericolo del bolscevismo non poteva esservi altra scelta,anche se poi il fascismo aveva tradito le speranze di un’or-dinata convivenza democratica.

Bruna Pagani: Alla mattina si alzava sempre moltopresto e scendeva verso il mare e quando io uscivo di casaal volo per andare a scuola come al solito da Vico Spar-viero, il luogo dove abitavo, (…), come io uscivo di casaper andare a scuola, lui mi intercettava e mi accompa-gnava su verso il Castello dove c’era la mia scuola e michiedeva: “che lezione hai oggi?” perché allora non si sa-peva, come adesso, che oggi ho matematica, là si andava acaso, e io dicevo: “Mah, io penso che ci sarà questo” e al-lora mi diceva: “devi fare in questo modo, fai cosi e cosi”.Era tanto carino … insomma siamo stati molto amici, conlui, ma la cosa che mi impressionò fu il gran silenzio, dipaura, quando lui arrivò sull’isola. Poi quando lui ha at-traversato questa famosa riga e allora tutti hanno comin-ciato a chiamarlo “maestro”, chi lo chiamava “trentatre”,adesso li capisco, ma allora no … appena attraverso quellariga, tutti si sono buttati fuori a salutarlo. È stata una cosaun po’ impressionante effettivamente.

Riccardo Bauer - Non tardò a concludersi la mia per-manenza a Lipari dove intanto avevo conosciuto DomizioTorrigiani che frequentava la mensa del nostro gruppettonella nostra casa. Singolarissima personalità quella del-l’ex gran maestro della massoneria di Palazzo Giustiniani.Uomo di cultura vasta e parlatore affascinante, era singo-larmente cauto nel parlare dei primi rapporti tra masso-neria e fascismo per quanti sforzi facessimo per portare ildiscorso su quel tema, e però facondo e geniale nel deli-neare i caratteri di un ordinamento democratico e costitu-zionale che lo Stato avrebbe dovuto assumere quando ilfascismo fosse crollato – del che non dubitava. Ordina-

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mento nel quale la massoneria avrebbe dovuto assumereun compito direttivo essenziale anche se riservato. Ripeto,del crollo del fascismo Torrigiani non dubitava, anche senon si sentisse in grado di prevedere come, ma pensandoad una grande crisi internazionale.

Emilio Lussu – egli stesso diceva che in coscienza, perespiazione, il confino se lo meritava. “chi di spada ferisce,di spada muore”, amava ripetere. Chè nelle principali cittàd’Italia, Milano compresa, la sua Massoneria aveva poli-ticamente e finanziariamente sostenuto Mussolini primadella “Marcia su Roma”. Gli sembrava pertanto troppogiusto che egli, pur essendosi opposto sempre al fascismo,pagasse per loro, rappresentandoli tutti, come Gran Mae-stro dell’Ordine. Per la statura atletica, emergeva su tutti.(…) Il Gran Maestro della Massoneria, che per incipientececità doveva leggere il meno possibile, era diventato il redella strada e il conversatore per antonomasia. Percor-rendo, avanti e indietro, la stessa strada di 500 metri,credo bene che non facesse meno di 30 chilometri al giorno.Attorno a lui era un rimescolio di gambe e una frenesiadi movimento, in su e in giù, avanti e indietro, in tutti isensi.

La “fuga” di Torrigiani

Sorveglianza ininterrotta, pedinamento a vista, ir-ruzione a sorpresa nei locali abitati dai confinatifurono misure adottate anzitutto nei confronti diDomizio Torrigiani che quale Gran Maestro dellaMassoneria, agli occhi del regime fu a lungo il pri-gioniero più rilevante, ben noto all’interno e al-l’estero e pertanto più “scottante” e “pericoloso”per lo scandalo che la sua condanna a confino di

polizia aveva suscitato e per le ripercussioni cheuna sua eventuale fuga avrebbe ottenuto nei paesianglosassoni e in Francia. Perciò nella sua sorve-glianza venne impegnato persino un mas e ad essafu destinato un nutrito e oneroso drappello diagenti della MVSN, dei RR.CC. e della polizia or-dinaria che si alternarono, in tempi successivi, avegliare su quel Torrigiani che dalla Provenza, ovegià si trovava e dove avrebbe potuto trovar age-vole riparo, era rientrato in Italia.La prima notizia circa un “tentativo di fuga” di Do-mizio Torrigiani si trova all’interno di un tele-gramma inviato dal capo della Polizia Bocchini alPrefetto di Messina, il 14 maggio 1927, con tele-gramma 17341: riferendosi che si progetterebbe tentativoevasione confinato Domizio Torrigiani da Lipari occorreintensificare di conseguenza misure vigilanza. Gli allarmi si ripeteranno il 18 giugno, il 22 luglio,il 2 agosto, il 10 settembre, il 10 maggio 1928, eproseguiranno anche dopo il trasferimento di Tor-rigiani fuori Lipari.

Addio Lipari

Torrigiani lascia Lipari il 18 ottobre del 1928 dopoaver richiesto di essere trasferito fuori dall’isolaper potersi curare.

Bibliografia

Giuseppe La Greca, Voci dal Confino, Antifascisti a Li-pari, 1927 il primo anno, prefazione di Sergio Rosso,Edizioni del Centro Studi Eoliano, Armenio Edi-tore, Brolo (ME), 2016.

SAGGI 15

Jacob Philipp Hackert, Vista di Lipari e Stromboli (1778), particolare

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La loggia Svetlost Balkana – “Luce dei Balcani”fu la prima officina massonica presente nelRegno di Serbia. Tale loggia fu eretta a Bel-

grado il 16 Ottobre 1876 e lavorò sotto gli auspicidel Grande Oriente d’Italia con il supporto delGran Maestro del GOI Giuseppe Garibaldi1. At-tiva fino al 1888, ebbe un ruolo di aiuto filantro-pico ed umanitario alla popolazione serba,dilaniata in quegli anni da sommosse e rivoltecontro l’Impero Ottomano. Diffondendo la culturae i valori massonici, la loggia “Luce dei Balcani”favorì in Serbia la creazione di nuove logge mas-soniche.

I Fucili di Nevesinje

La penisola balcanica, a partire dalla metà deglianni ’70 del XIX secolo, fu tragicamente scossa dauna serie di moti di rivolta popolare. Questi scon-volgimenti rappresentano l’antefatto necessariodel percorso in atto, che raggiunse il suo apicenella Grande Crisi balcanica. Evento topico delperiodo in analisi diviene la “sommossaНевесињска пушка” (dei Fucili di Nevesinje) del1875, che diede il via alla rivolta dell’Erzegovina.La Bosnia già da anni era sotto le mire degli im-peri Austro-Ungarico e Russo, grazie alla favore-vole posizione di finestra sull’Adriatico e allaricchezza di materie prime del territorio. Dopo lagrande crisi economica del 1873, che fortementeafflisse l’economia dell’Impero Ottomano, l’insof-ferenza della popolazione iniziò a crescere, moti-vata anche dalla pesante pressione delle tasse. Aseguito della carestia che profondamente tormentòi Balcani e l’Anatolia, causata da uno dei più ge-lidi inverni da decenni, nel 1873 i disordini di-vennero endemici. Schermaglie, dirette agliesattori della Sublime Porta, divennero semprepiù frequenti, fino alla totale resistenza al paga-mento delle tasse. Fino a quando nel tardo giugnodel 1875, un caravan di commercianti mussulmaniprovenienti da Mostar verso Nevesinje fu attaccatoda Pero Tunguz, un noto hajduk della zona, ilquale sparò ed uccise il Capitano Karminić, co-mandante di quella spedizione. Con l’uccisionedel comandante Karminić, iniziò la rivolta dei Fu-cili di Nevesinje.Le rivolte e i conflitti che opposero Montenegro eSerbia all’Impero Ottomano (1876-1878) e laguerra Russo-Turca (1877-78), svilupparono e ac-

centuarono la consapevolezza dei popoli balcanici,e in particolar modo degli slavi del sud, che le sin-gole nazionalità fossero artefici del proprio de-stino e dovessero lottare per affermarsi qualisoggetti politici nel contesto continentale2.L’importanza della rivolta di Nevesinje risiede nelfatto che fu differente dai molti altri atti di resi-stenza armata in Erzegovina e Bosnia, perché ri-chiamò a se non solo l’attenzione dei governiRusso ed Austro-Ungarico, ma anche quella dellaPrima Internazionale.Il supporto esterno ebbe un ruolo fondamentalein queste rivolte, infatti l’Austria-Ungheria e laRussia appoggiarono gli insorti. La Sinistra euro-pea e particolarmente gli ambienti socialisti simossero con prontezza e da Londra a Parigi, da Gi-nevra a Berlino, dall’Italia alla Russia dell’oppo-sizione clandestina, diedero vita a comitati per gliaiuti agli insorti balcanici, inviando armi e, so-prattutto, facendo affluire volontari3.

L’interventismo garibaldino

In Italia, al tempo, la Sinistra si trovava divisa traSinistra di governo, che aveva ereditato dalla De-stra Storica la condotta in politica estera miranteal mantenimento dello status quo, e Sinistra radi-cale, che vedeva nei mazziniani, garibaldini e in-ternazionalisti i più decisi interventisti. La solidarietà dei volontari italiani nei confrontidegli insorti della Bosnia-Erzegovina si fece an-cora più concreta quando Garibaldi accolse l’ap-pello a lui rivolto dai capi dell’insurrezione,

SVETLOST BALKANA – “LUCE DEI BALCANI”

di Antonio Spadaro

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Mihajlo Valtrović e Svetomir Nikolayevićfondatori della Loggia Luce dei Balcani

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nell’agosto del 1875. A tale richiesta d’aiuto, Ga-ribaldi rispose con il famoso proclama Ai fratellidell’Erzegovina e agli oppressi dell’Europa orientale. Ben presto, a seguito di questi appelli, tra garibal-dini e mazziniani sorsero comitati per l’invio di ri-fornimenti e volontari da tutta Italia: Roma,Venezia, Trieste, Milano, Torino, Bologna, Anconae altrove4. Gli italiani, già dagli inizi dell’agostodel 1875, accorsero nei Balcani alla richiesta diaiuto da parte degli Erzegovini; il capitano CelsoCerreti e il luogotenente Napoleone Corazzini fe-cero parte del primo gruppo che supportò i ri-belli5. Ad essi si aggiunsero altri volontari, moltidei quali garibaldini e massoni, tra i quali il ConteCarlo Faella, Luigi Castellazzo, Achille Bizzoni,Stefano Canzio, i fratelli livornesi Sgarallino eGiuseppe Barbanti Brodano.Furono proprio i volontari italiani, ma anche dialtre nazionalità, desiderosi di riunirsi per agireancora più incisivamente nell’azione di sostegnodella popolazione serba, che formarono una primaloggia militare, il futuro nucleo della prima loggiamassonica serba6.Maestro Venerabile di questa loggia era Icilliodella Bona. Come detto, volontari di diverse na-zionalità entrarono a far parte di questa loggia mi-litare, tra i quali vi erano un certo numero dipolacchi, francesi e belgi. La sede fu posta in unatenda di un campo a Senjaku. Con la fine della ri-volta e la partenza della maggior parte dei mem-bri, nel 1876, la loggia militare si sciolse.Tra i membri e fondatori della neonata loggia mi-litare vi era il voivoda Mico Ljubibratić, uno deileader delle rivolte in Erzegovina. Secondo il mas-sone Srete Stojkovića, Ljubibratić probabilmenteentrò per la prima volta in contatto con la masso-neria italiana a Zega, dove conobbe alcuni garibal-dini italiani, volontari durante la rivolta di LucaVukalović in Erzegovina del 1852-1862. Nel ten-tativo di allargare la rivolta in Bosnia, Ljubibratić,nel marzo 1876, fu arrestato e internato a Line, epoi a Graz, da dove il 15 marzo 1877, fece ritornoa Belgrado.In merito alla data di ingresso nella loggia “Lucedei Balcani” di Mico Ljubibratić, gli storici hannodibattuto a lungo, in quanto, come detto, la loggiafu innalzata il 20 ottobre 1876 e Ljubibratić risultaessere, per la storiografia serba, uno dei primimembri della loggia. Non vi è concordanza nelladata di ingresso alla loggia, perché nell’ottobre del’76 Ljubibratić era ancora in carcere. Pertanto, ladata d’ingresso di Ljubibratić rimane una que-stione aperta per la storia della Massoneria serba.

La loggia “Luce dei Balcani”

La loggia “Luce del Balcani” iniziò a lavorare il 20ottobre 1876, all’Obedienza del Grande Oriented’Italia, e tra i suoi fondatori vi erano molti ita-liani tra i quali Luigi Joannina, Console italianoa Belgrado e Icillio della Bona, volontario garibal-dino e già membro della loggia militare.Il primo Gran Maestro della loggia “Luce dei Bal-cani” fu il Dr. Marko Polak, medico di Belgrado.Ebreo di origini, fu molto attivo per la causa dellaliberazione della Serbia dall’impero ottomano.Restò in carica fino al 1879.Suo successore fu uno dei membri più anzianidella loggia il dr. Mihajlo Valtrović, professore diarcheologia presso l’Università di Belgrado e di-rettore del “Narodnog Museum” di Belgrado. Val-trović restò in carica fino al 20 dicembre 1882,data in cui la loggia “Luce dei Balcani” cessò i suoilavori. Tra i membri di questa loggia vi furonoesponenti di spicco di Belgrado, tra i quali profes-sori, politici, industriali, alti ufficiali, medici, com-positori, artigiani, mercanti, pittori ed altri; laeterogeneità e la multietnicità dei suoi membri,oltre a serbi vi erano italiani, francesi, ebrei egreci, rispecchiano il carattere multiculturale diBelgrado7.Membri della “luce dei Balcani”, dall’inizio allacessazione dei lavori furono:Aleksić Anta;Andelković Sreten, tipografo;Antonijević Maksa, orafo e gioielliere;Antula Jovan, mercante;Aren Sari, professore di francese;Banković Tasa, affittacamenre;Bader Viljem, ingegnere;Benedikt Albert, stampatore;Bogosavljević Andreja, economo;Bodi Božidar, direttore di banca;Cindrić Đura;Davičo Hajim, console;Della Bona Icilio, garibaldino e volontario;Draškoci Kornel, farmacista;Đaja Jovan, ministro;Joannini Luigi, console italiano a Belgrado;Josimović Emilijan, architetto, urbanista e professore;Karastojanović Petar;Klidis Manojlo, industriale e commerciante;Kovačević Antonije, decoratore;Lajhtag Natan, professore;Levenzoni Jakov, mercante;Levenzoni Samuilo, mercante;Ljubibratić Mića, leader della rivolta dell’Erzegovina;Majzner Josif, assistente bibliotecario alla Biblioteca Nazionale; Milovanović Đorde, pittore;

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Milićević Đorđe, proprietario d’Hotel;Milutinović Dragutin, architetto e professore;Mihajlović Mihajlo;Mihajlović Pavle, consigliere di stato;Nenadović Đorđe;Nikolajević Svetomir, scrittore, politico e professore;Ozerović Haim, mercante;Ogledić Emilijan;Polak Marko, medico;Popović Vasilije;Popović Stevan – Crni, professore;Reševski Mihailo;Valtrović Mihajlo, architetto, archeologo e professore;Vuger Jovan, locandiere;Ubavkić Petar, scultore;Velizarić Marko;Zega Jovan, chimico.Nel corso del 1879, un membro della loggia, Al-bert Benedikt, suggerì che, al di fuori della loggiaufficiale, venisse istituita una loggia femminile se-parata, al fine di utilizzare la cooperazione femmi-nile per i principi umanitari della Massoneria. Il numero dei membri della loggia “Luce dellaBalcani”, significativamente aumentato negli anniimmediatamente successivi la fine delle guerreSerbo-Turca, subì un radicale ridimensionamentonel 1881 a causa di una scissione della loggiastessa, dovuta alla creazione della nuova loggiaSrpska Zadruga, “Cooperazione serba”.La causa della nascita di questa nuova loggia e laseguente diaspora dei membri della Svetlost Bal-

kana è riscontrabile nei mutamenti della scena po-litica serba, che portò, il 20 dicembre 1882, allachiusura della loggia “Luce dei Balcani”.Le intenzioni dei fondatori della loggia “Luce deiBalcani” rispecchiavano a pieno lo spirito dellatradizione massonica. Essi aspiravano, attraversola massoneria, ad avviare un processo di svilupposocio-culturale della Serbia e porre il Regno acapo del movimento di liberazione dei Balcani. Ledivergenze che sono sorte tra i membri della log-gia su questioni politiche, nonostante l’obbligo dinon parlare di politica all’interno delle logge, haportato alla scissione dei membri e alla conse-guente chiusura della loggia. La loggia si è rico-stituita il 30 giugno 1991, con il nuovo nome diLight of the Balkans – Garibaldi, nell’Oriente di Bel-grado all’Obbedienza della Gran Loggia di Yugo-slavia.

1 Žugić V.B, Light on the Balkans, Cicero, Belgrado,2011, p.16.2 A. Becherelli, Serbia e crisi balcanica (1908-13), Edi-zioni Nuova Cultura, Roma, 2015, p.173 A. Tamborra, Garibaldi e l’Europa, Ufficio StoricoSME, Roma, 1983, p. 139.4 Ivi, p. 1415 Documenti Diplomatici Italiani, Seconda Serie, 1870-1896,vol. VII, doc. n. 365.6 Žugić V.B, op. cit., p.147 Žugić V.B, op. cit., p.16

MassonicaMente n.6 - Mag./Ago. 201618

Combattenti dell’Erzegovina del 1875

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Apartire dal 1530 per volere di Carlo VMalta si trova, caso unico nell’Europamoderna, ad essere dunque sottoposta

non già al governo diretto di una delle monarchiedel tempo, ma, piuttosto, ad essere retta, con pie-nezza di giurisdizione, da una struttura totalmenteatipica quale un Ordine cavalleresco che si è per-formato in istituzione rigorosamente transnazio-nale.In tal senso la nomina elettiva del Gran Maestrorappresenta un atto di autonomia sostanziale e ri-produce una sintesi di equilibri, politici e di indi-rizzo, elaborati tutti internamente all’Ordinestesso.Unico elemento unificante, sotto il profilo confes-sionale, è del resto la devozione al romano ponte-fice, essendo quello di Malta un Ordinecavalleresco cattolico.I meriti conquistati sul campo dall’Ordine lot-tando contro gli Ottomani fecero sì che, per lungotempo, da parte delle potenze del Vecchio Conti-

nente e persino da parte della stessa corte papale,si accettasse di limitare quanto più possibile ogniingerenza rispetto a quella sua plenitudo potestatissull’isola che Carlo V aveva sancito.Questa particolare condizione spiega da un lato,almeno in parte, il rapido sviluppo della liberamuratoria dell’isola, mentre, dall’altro, motival’orientamento che la libera muratoria maltese sitrovò, per così dire, costretta ad assumere rispettoall’alternanza delle egemonie delle varie potenzeeuropee.Ciò non toglie che a Malta come altrove i liberimuratori tentassero di identificare in chiave semimitica un remotissimo background originario ricer-cando circostanze, figure e personaggi capaci diinverare, all’interno della storia classica, medie-vale e poi moderna, l’esistenza di prove specifichedi una continuità del lavoro muratorio declinan-done una protostoria.In particolare intorno alla metà dell’800 a Maltamolti esponenti delle logge locali sottolinearono

MALTA

di Fabio Martelli

MASSONERIE NEL MONDO 19

Le tombe dei Gran Maestri dell'Ordine di Malta nella Concattedrale di San Giovanni, Malta

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l’esistenza, all’interno dell’antico Ordine Cavalle-resco degli Ospitalieri di San Giovanni, di un pre-ciso lineamento culturale “protomassonico”.Di questa identità, interna all’Ordine Cavallerescoe pur distinta da esso, si sarebbero fatti protettorii re inglesi, salvo poi delinarsi, durante il declinodella casata di York, una fase di disinteresse, ri-sarcita in seguito dalla nuova attenzione che iTudor, sin da Enrico VII, avrebbero manifestatoverso tale modello protomuratorio.Tale tematica fu comunque efficacemente smentitada numerosi storici di cultura muratoria maltesigià alla fine del XIX secolo, riconoscendo con ra-gione in tali leggende una forma di leggittima-zione del dominio britannico sull’isola.Del pari va respinta con decisione la tesi, sintroppo frequentemente circolante nell’odiernavulgata, che vede nell’Ordine dei Cavalieri diMalta una sorta di “contenitore” del lavoro mura-torio, già prima dell’istituzione formale della mas-soneria stessa.Fatta dunque questa necessaria premessa credoche si possa agevolmente articolare la storia dellamuratoria dell’isola di Malta secondo quattro pe-riodi fondamentali: il primo ha origini incerte dalmomento che la documentazione più antica rela-tiva alle logge maltesi è in gran parte scomparsa epossediamo infatti semplici attestati o documentirelativi a mere pratiche per la gestione delle logge.Di fatto è soprattutto la documentazione degli ar-chivi pontifici e in specie quelli dell’Inquisizioneche fornisce precise informazioni sull’identitàdegli affiliati o sulla collocazione e sul numerodelle logge ed anche in maniera assai meno atten-dibile, anche elementi atti a ricostruire le dignitàinterne alle logge stesse, così che si può affermaresin almeno dal 1730 la presenza muratoria sul-l’isola con la loggia di ascendenza marsigliese“Perfetta Armonia”.Le officine massoniche che si andranno a formare,pur confrontandosi in termini giurisdizionali conun potere terzo (quello sovrano dell’Ordine Ca-valleresco di Malta) saranno per ora legate in ter-mini di osservanza rituale alla Francia, alle suelogge e in particolare a quelle di Marsiglia.L’espansione della muratoria, all’interno delmondo dei Cavalieri, fu inopinatamente efficientee rapida anche se queste affiliazioni erano e reste-ranno di carattere individuale, senza costituire (eneppure a prefigurare) una sorta di “grande in-tesa” tra l’Ordine e l’insieme del mondo masso-nico.Ai tentativi dell’inquisizione di stroncare con laforza questo primo sviluppo locale della muratoriai Gran Maestri dell’Ordine risposero mettendo in

campo tutto il loro potere: al di là dell’obbligo diobbedienza al pontefice, pare del tutto evidenteche molti tra i più prestigiosi esponenti dell’Or-dine non condividevano le Bolle pontificie in ma-teria; molti Cavalieri vedevano infatti nellamuratoria una nuova evoluzione di quell’esoteri-smo cristiano che, negli Ordini nobiliari, avevatrovato alcuni dei propri centri. Ma premeva poiai Gran Maestri, in questa circostanza, vanificarel’azione degli inquisitori e ribadire la loro pie-nezza giurisdizionale sull’isola ritendosi inaccet-tabile che l’inquisizione sottoponessea processoalcuni tra i più prestigiosi tra i cavalieri.Tra il 1799 ed il 1800 l’invasione napoleonica edil suo fallimento sancirono l’egemonia britannica(che continuerà sino all’indipendenza dell’isola)determinando una forte incertezza identitarianell’ambito massonico.Il legame con le logge francesi risulta in gran partemesso in crisi proprio dall’invasione stessa e tut-tavia questo tipo di osservanza resta ancora pre-valente, tanto che i nuovi occupanti inglesi, purprovvedendo rapidamente a creare nuove logge,alternative più che non parallele, a quelle legatealla muratoria marsigliese, sino a quel momentoprevalente, devono accettare una sorta di crasi trale due “culture” muratorie.Le nuove logge cercheranno infatti in ampia mi-sura di assorbire quelle precedenti, ma anche dirompere i rapporti di queste ultime sia con laFrancia stessa sia successivamente (ma solo per unperiodo transitorio) con la stessa Italia con laquale esisteva invece già nel periodo prenapoleo-nico un intenso interscambio. Tuttavia non sipotrà cancellare d’un colpo una tradizione così ra-dicata: ad esempio si dovrà concedere che i docu-menti ufficiali e gran parte degli scritti prodottidalle varie officine muratorie siano, per lungotempo, ancora scritti in italiano o in francese. Se le logge di origine marsigliese il 6 ottobre del1819 ottenevano un warrant dalla Gran LoggiaUnita di Inghilterra già nel 1820 Sir Thomas Mai-tland come governatore dell’isola ne ordinava loscioglimente dal momento che le riteneva troppolegate a quelli che egli già definiva “carbonari”provenienti dalla penisola italica. Si coglie dun-que una sostanziale incertezza tra la funzione dellamuratoria come libera ed autonoma espressionedi sociabilità culturale e le esigenze del potere bri-tannico da poco istituito sull’isola.Questa fase confusa e per molti versi suscettibiledi fornire della libera muratoria una immaginetroppo dipendente dall’imperialismo di Londracomincia a declinare per poi finire per giungeread una sorprendente evoluzione attraverso l’opera

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di un grande personag-gio, Walther Wright.Egli percorse rapida-mente i gradi delle mas-sime dignità sia nelcontesto muratorio siaall’interno del governoinglese e dal 1814 co-minciò poi concreta-mente a occuparsi diMalta con la funzione dipresidente dell’AltaCorte di Appello emembro anziano del Su-premo Consiglio della“Giurisdizione suMalta”. Divenne in se-guito Gran Maestro pro-vinciale della provinciadi Malta e Gozo.Quando egli scomparvenel 1826, rimpianto siadagli affiliati della mas-soneria sia più in gene-rale dall’upper classdell’isola, egli era riu-scito a dare un assettoorganico e plausibileall’insieme delle logge: di nuove ne erano statecreate, ma soprattutto, nel 1815, egli si era fattopromotore di una richiesta al governatore ingleseper creare una loggia massonica a Malta.La richiesta di Wright era chiara: la loggia che egliintendeva formare sarebbe nata innanzi tutto conl’autorizzazione formale e piena, anche in terminigiuridici, da parte dell’autorità di governo inglesesull’isola (ad evitare la diffidenza se non addirit-tura l’ostilità del potere britannico rispetto allelogge già esistenti). Ancora più importante peròin termini muratori, fu il warrant che il Duca diSussex come Gran Maestro della Gran LoggiaUnita d’Inghilterra siglò il 27 novembre del 1815in favore della nuova loggia che significativa-mente prese il nome di “San Giovanni e SanPaolo”.Si assisteva così ad una costante crescita del nu-mero delle logge maltesi di cui da allora il go-verno britannico tutelò costantemente il lavorosoprattutto dalle lamentele e dalle proteste dei ve-scovi dell’isola.Esse si ripeterono (valga l’esempio del vescovoMattei) deprecando il ruolo sovversivo, rispettoalla chiesa Cattolica e, più in generale, rispetto alpensiero cristiano, dell’attività muratoria, ma lostesso Maitland, prima, ed i suoi successori re-

spinsero sempre con fermezza ogni richiesta pon-tificia. Il lavoro muratorio in questa fase si diver-sifica, con la creazione di logge irlandesi, posteanch’esse, tuttavia, sotto la supervisione dellaGran Loggia di Inghilterra, mentre le logge di Co-stituzione scozzese furono più tardive, meno nu-merose e naturalmente rimasero sotto lasupervisione della Gran Loggia di Edimburgo.Va sottolineato puntualmente come l’espansionedella muratoria nell’isola, imponente sotto il pro-filo del lavoro officinale, veda uno scarso coinvol-gimento dell’elemento indigeno in termini diaffiliazione (una percentuale pari al 20% di circa500 liberi muratori presenti a Malta).Questo dato oggettivo può essere in qualche modoricondotto, certo, all’azione contrastiva dei vescovilocali, dal Mattei sino al Caruana, ma più concre-tamente ciò va addebitato alla percezione del la-voro muratorio da parte dell’élite indigena. Essa avvertiva la condizione semicoloniale delproprio territorio e vedeva nelle logge non più,come un tempo, l’espressione di una dimensionepeculiare, ancorchè intensamente contrastata,dell’identità maltese espressa attraverso le com-plesse vicende dell’Ordine dei Cavalieri, quantopiuttosto un elemento culturale e sociale legatoormai al potere britannico.

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Assedio di Malta. Ignazio Danti (XVI secolo, Musei Vaticani)

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Ancora va rilevato il rapporto con la muratoria ita-liana e in particolare con quella napoletana e sici-liana.La ricchezza del lavoro officinale del Sud della pe-nisola entrò in virtuosa sintonia con le logge mal-tesi: da subito vi fu la possibilità per gli affiliatidelle une come delle altre logge (in ragione anchedelle difficoltà e delle persecuzioni politiche chela libera muratoria conosceva nella Penisola) diaderire, in forma privilegiata, ad una condivisionedel lavoro officinale.Di ciò è testimonianza anche l’uso costante di unasorta di imperfetto bilinguismo che vede rapida-mente l’italiano subentrare al francese, sostituirsi,poi, ed affiancarsi, almeno nella documentazionemeno rilevante e consuetudinaria, alla lingua in-glese.In particolare, dopo la creazione del GrandeOriente d’Italia, si può osservare un’attività con-giunta italo-maltese, in primo luogo nel promuo-vere l’espansione della muratoria aCostantinopoli, una promozione attenta e rigo-rosa, tanto che l’affiliazione di uno dei principaliammiragli della flotta turca (che ebbe poi come ri-sultanza la fondazione da parte di quest’ultimo diuna loggia irregolare nella stessa capitale) fu se-guita, segnalata e poi disconosciuta attraverso irapporti congiunti di liberi muratori italiani emaltesi.Peculiare sull’isola poi fu anche il rilievo costan-temente riservato alle logge militari (in particolaredurante la guerra di Crimea) per favorire l’affilia-zione o semplicemente nell’offrire lunga ospitalitàai grandi viaggiatori impegnati, attraverso laRoyal Geographic Society, a definire cartografica-mente, oltre che i lineamenti geografici, anchequelli geopolitici di un’Africa in cui Londra inten-deva espandersi.Questa condizione semicoloniale, la confusione ela fusione di prospettive ed interessi tra il lavoromuratorio e la potenza inglese in espansione tro-vano rispondenza, una volta di più, nella fred-dezza con cui l’elemento maltese sia rapportò allelogge.All’interno delle circa 490 affiliazioni che rappre-sentano la media della presenza muratoria sul-l’isola in età ottocentesca la percentuale“indigena” è molto bassa. Ancor più significativoil fatto che gli esponenti dell’élite maltese che ade-rirono alla libera muratoria non lo fecero nellaloro madre patria bensì nel corso di viaggi di for-mazione, studio o commercio in Europa, ritor-nando poi a Malta già affiliati alla massoneria.Questo periodo, intenso e contraddittorio, si pro-lunga fino alla conclusione della dominazione in-

glese nell’isola cioè a dire al 1964.Una presenza britannica, attraverso la grande basenavale, perdura ancora per circa tre lustri, ma so-prattutto appare estremamente lungo il tempo ne-cessario perché l’isola, ormai divenuto statoindipendente e nel corso dei decenni sempre piùvicina non solo culturalmente ma anche politica-mente ed economicamente all’Europa, possa riu-scire a dotarsi di una piena sovranità in terminimuratori.Ciò, di fatto, avverrà solo nel 2005, un anno dopoche l’isola aveva celebrato i quarant’anni dellapropria indipendenza e non senza imbarazzi e biz-zarri incidenti che testimoniano, una volta di più,la complessità dell’assunzione di un’autonomia li-bero-muratoria totale rispetto alla lunga tradi-zione di supervisione da parte della muratoriainglese.Non si può certo ricondurre tuttavia a queste pro-blematiche la dicotomia che si è venuta allora poia creare tra la Sovrana Gran Loggia di Malta, rico-nosciuta dalla muratoria universale, e la GranLoggia di Malta. Quest’ultima fu formata nel 2009 da un gruppo diaffiliati che fuoriuscirono dalla Sovrana Gran Log-gia di Malta, andando ad istituire autonomamenteun “Supremo consiglio” che non fu riconosciutoda nessuna delle gran logge europee ed extraeu-ropee.

Bibliografia

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Fonti Archivistiche

(periodo del governo autonomo dell’Ordine)AIM, Processo Lante 1776.AOM, 579, cc. 320 ss.AIM, 96.AOM, 6429, cc. 78 ss.“Arch. Mel.”, III, 2, pp. 63 ss.

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Nel cuore degli anni Trenta del Novecentoil deputato portoghese José Cabral pre-sentò all’Assemblea Nazionale un pro-

getto di legge che mirava allo scioglimento delle«società segrete». Sembrò – come era sembratol’analogo provvedimento voluto in Italia da Mus-solini nel 1925 – un attacco rivolto soprattutto (senon esclusivamente) alla Massoneria. In Italia, lalegge trovò un oppositore in Antonio Gramsci nontanto simpatizzante verso le associazioni segrete,né verso la Massoneria, quanto consapevole chequell’atto legislativo sarebbe stato uno dei primipassi verso la compressione prima, l’abolizionepoi delle libertà personali fondamentali. In Porto-gallo, a criticarla, vedendola, invece, come unchiaro attacco rivolto proprio all’istituzione libe-romuratoria, fu un intellettuale come FernandoPessoa. Da tempo, lo scrittore si era avvicinato astudi esoterico-simbolici, che lo portarono a or-meggiare testi di teosofia, studi sulla Cabbala, sul-l’ermetismo, sui templari, sulla pietra filosofale, eanche trattati di magia, di occultismo e di astrolo-gia. E arrivò a corteggiare con insolito interesseesotici territori rosacrociani: confessò, ad esempio,nella celebre lettera a Sá-Carneiro di essere rima-sto profondamente colpito dalla lettura del librodi Hargrave Jennings The Rosicrucians, their Rites andMysteries, e – alla critica più avvertita – sembra pro-babile ch’egli conobbe in gioventù anche Les

Grands Initiés di Edouard Schuré, del 1889. Una cu-riositas intellettuale che fu quête spirituale e lospinse – con animo inquieto – a intrattenere mi-steriose frequentazioni anche con l’occultista in-glese Aleister Crowley (1875-1947)1. In questipercorsi spirituali (di varia consistenza culturale)costeggiò con serietà e approccio severo regionidella tradizione massonica. Per sua stessa dichia-razione (del tutto veritiera?) non aderì a nessun«Ordine iniziatico», anche se nella famosa Nota au-tobiografica del 30 marzo 1935 affermava, quantoalla sua posizione iniziatica: «Iniziato, per comu-nicazione diretta da Maestro a Discepolo, nei tregradi minori dell’(apparentemente estinto) Or-dine Templare di Portogallo»2. In quel lontano 1935, lo scrittore portoghese, allaluce del progetto di legge, scrisse uno dei suoi ul-timi articoli, che inviò al «Diario de Lisboa». Ilcontributo uscì nel febbraio con il titolo: Le societàsegrete. Il documento merita attenzione e, vistal’importanza, un riferimento ampio. Pessoa ini-zialmente si preoccupava di illustrare al lettore lostatus questionis, e concentrava il focus del discorsosui termini, a suo dire, più pertinenti rispetto alproblema, analizzando innanzitutto il concetto disegretezza che velerebbe agli sguardi dei non ini-ziati la visione diretta della nuda realtà dei fatti diloggia: considerando che per “società” si intende ungruppo di individui legati da un obiettivo comune, e cheper “segreto” si intende ciò che, almeno in parte, si compielontano dagli occhi del pubblico, oppure che, una voltacompiuto, non si rende interamente di dominio pubblico,posso fin d’ora denunciare al signor José Cabral una so-cietà segreta: il Consiglio dei ministri. Del resto, tutto quelloche di serio o di importante viene fatto a questo mondoquando ci si riunisce, viene fatto in segreto. Se il Consigliodei ministri non si riunisce in pubblico, non lo fanno nem-meno le direzioni dei partiti politici, né le misteriose figureche dirigono i clubs sportivi, o i loschi comunisti che for-mano il Consiglio d’amministrazione delle compagniecommerciali e industriali3.

Lo scrittore attacca frontalmente Cabral sulla ma-teria in oggetto: «Non credo che il signor José Ca-bral frequenti d’abitudine i libri di Findel, diKiuss o di Gould, o che dedichi il tempo liberoalla lettura attenta della Ars Quattuor Coronatorum o

PORTOGALLO

di Stefano Scioli

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Targa del Museo Massonico a Lisbona

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delle pubblicazioni della Grande Loggia di Iowa.Dubito persino che il signor José Cabral conoscea fondo la letteratura antimassonica (Barruel, Ro-binsons, Eckert) che è assai apprezzabile, oltre-tutto, dal punto di vista umoristico. E forse nonsarà nemmeno venuto a conoscenza, anche soloper sentito dire, del celebre articolo di Padre Her-mann Gruber nella Catholic Encyclopœdia, articolocitato ed elogiato in libri d’ispirazione massonica,e in cui manca poco che il dotto gesuita non di-fenda la Massoneria»4. Di estremo interesse poi lavalutazione della sostanziale inefficacia di un si-mile, drastico provvedimento. A dimostrarlo ba-stava una visione comparativa delle diverse realtànazionali: Se il signor José Cabral pensa – lui o l’Assem-blea Nazionale o il Governo o chicchessia – di poter toglieredi mezzo il Grande Oriente Lusitano si disilluda fin d’ora.Gli Ordini Iniziatici sono difesi, ab origine symboli da con-dizioni e da forze assai speciali che li rendono indistrutti-bili dall’esterno. Non intendo spiegare in che cosaconsistano queste forze e condizioni: mi basta indicarnel’esistenza. Del resto i signori deputati ne hanno un ri-scontro pratico in quanto è successo negli altri paesi dovesi è cercato di sopprimere le Obbedienze massoniche. Tra-lascio il caso della Russia, perché non so che cosa è real-mente successo lì: so soltanto che i Soviet, come tutto ilcomunismo, sono violentemente antimassoni e hanno per-seguitato la massoneria; anche se c’era poco da persegui-tare, visto che in Russia la Massoneria non esisteva quasi.Prenderò in considerazione i casi dell’Italia, della Spagnae della Germania. Mussolini ha combattuto la Massone-ria, cioè il Grande Oriente d’Italia, più o meno nei terminipagani del progetto del signor José Cabral. Non so se abbiaperseguitato molta gente, ne mi interessa saperlo. Quelloche so con assoluta certezza è che il Grande Oriente d’Italiaè uno di quei morti che godono di ottima salute. Permane,si riunisce, si è depurato, e sta ad aspettare; se ci qualcosada aspettare è un’altra questione. Il piccone del Duce puòdistruggere l’edificio del comunismo italiano, ma non èabbastanza potente per abbattere colonne simboliche, fusein un metallo che proviene dall’Alchimia. Primo de Riveraha combattuto la Massoneria spagnola in modo piùblando, secondo la sua indole fidalga. Anche qui so percerto che risultato ottenne: il grande sviluppo, numerico epolitico, della Massoneria in Spagna. Non so se alcuni fe-nomeni secondari, come ad esempio la caduta della mo-narchia, abbiano avuto qualche relazione con questo fatto.Hitler, dopo essersi appoggiato alle tre Grandi Logge cri-stiane di Prussia, ha agito secondo il lodevole costumeariano di mordere la mano che gli aveva dato da man-giare. Ha lasciato in pace le altre Grandi Logge, quelle chenon lo avevano sostenuto e che non erano cristiane, e tra-mite un certo Göring ha intimato alle prime tre di scio-gliersi. Esse hanno detto di sì – ai Göring si dice sempre disì – e hanno continuato a esistere. Per una coincidenza è

stato dopo l’adozione di questa misura che sono cominciatia sorgere in seno al partito nazista contrasti e altre diffi-coltà. Nella storia, come il signor José Cabral saprà bene,ci sono molte coincidenze del genere5.

Proprio con la dittatura di Antonio de Oliveira Sa-lazar si arriva – di fatto – alla “messa al bando”.Ma bisogna precisare: «se formalmente la masso-neria non viene interdetta nel Portogallo di Sala-zar tante e tali sono le discriminazioni introdottenei confronti dei militari e degli impiegati civilidello stato sospettati di appartenere alla liberomu-ratorìa da rendere, a partire dal 1935, dato mera-mente formale la sopravvivenza del GrandeOriente Lusitano»6. Si rinnovava una storia assai travagliata per laMassoneria lusitana. Fin dagli albori. Appenagiunta in Portogallo, nel 1738, essa fu proibita aseguito della bolla di scomunica di Clemente XIIe, a eccezione di brevi intervalli, il divieto si pro-trasse fino al 1834. Fu allora che – nota – ebbe ini-zio una vera e propria vicenda caratterizzata datentativi di unificazione e scissioni continue. Glistudiosi hanno ripercorso un itinerario che vedela Massoneria lusitana, a contatto diretto su terri-torio portoghese con Inglesi e Francesi, seguire ledue traiettorie d’interpretazione della tradizioneliberomuratoria, addirittura – sembra – secondouna precisa linea geografica: nel Nord del paese,inglese, nel Sud, a rito francese7. Alla fine di que-sto periodo, la Massoneria portoghese nel 1869raggiunse «l’unità organizzativa in tutto il paese»,evento che ebbe come risultato la formazione di«un unico Oriente nazionale», il Grande OrienteLusitano Unito, risultato dall’unità di altri Orientipreesistenti. La sua precipua caratteristica è che sisviluppò con un «forte carattere nazionalista»:esso, infatti, si vide obbligato – «da fuori e da den-tro all’istituzione massonica» – a «manifestare» (e«codificare») la propria fede nazionalista unita eun sincero patriottismo. Ma si faccia attenzione:per il nazionalismo portoghese, Spagna e iberi-smo giocarono un ruolo importante (la Massone-ria lusitana accolse, non senza problemi, loggemassone spagnole nel proprio grembo). Solo apartire dal 1878 la Massoneria portoghese allentòla stretta sul problema nazionale e sulle nuove co-stituzioni e andò via via elaborando interessi nonspecificamente legati alla fede dell’amor di patriae alla difesa dell’indipendenza nazionale, apren-dosi alla causa del nazionalismo repubblicano8. Bisogna aspettare il 1974 con la rivoluzione deigarofani affinché la rinascita portasse al GrandeOriente Lusitano, «una comunione adogmatica, dirito scozzese, molto vicina al Grande Oriente di

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Francia e facente parte del SIMPA e del CLIP-SAS». Ad essa si affianca la «Gran Loggia legaledel Portogallo, di schema britannico che si avvaledel RSSAA e dell’Emulation»9. Il Grande OrienteLusitano Unito ha inaugurato nel 2006, nel cuoredel Bairro Alto, un importante museo, il Museodel Grémio Lusitano (Museu Maçónico Portu-guês) che raccoglie documenti, vessilli e oggetti divario tipo legati alla tradizione massonica porto-ghese.

1 Vd. F. ZAMBON, Fernando Pessoa e l’Oltre-Dio, in F. PES-SOA, Poesie esoteriche, a c. di F. ZAMBON, Parma, Guanda,2000, pp. 7-26: cit. a p. p. 14. 2 Ivi, p. 12.3 Si legge in: F. PESSOA, Pagine esoteriche, a c. di S. PE-LOSO, Milano, Adelphi, p. 132.

4 Ivi, pp. 133-4.5 Ivi, pp. 136-88.6 Vd. S. FEDELE, La Massoneria italiana nell’esilio e nellaclandestinità. 1927-1939, Milano, FrancoAngeli, 2005, p.167. 7 Cfr. A. H. OLIVEIRA MARQUES, A Maçonaria Portuguesa eo Estado Novo, Lisboa, Publicaçôes Quixote, 1995. 8 Vd. I. CHATO GONZALO, Massoneria e coscienza nazionalein Portogallo nel secondo Ottocento, in «Memoria e Ricerca»,4 (1999 [num. mon. su Massoneria e politica in Europa fraOttocento e Novecento (Italia, Spagna e Portogallo)]), pp.9-23: citt. alle pp. 15-22. 9 Vd. L. PRUNETI, Per una geografia della Massoneria in Eu-ropa, in La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee, a c. diZ. CIUFFOLETTI e S. MORAVIA, Milano, Mondadori, 2004,pp. 293-329: cit. a p. 310.

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José de Almada Negreiros, “Ritratto di Fernando Pessoa”, 1964. CAM/Fundação Calouste Gulbenkian

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L’appartenenza di Carlo Collodi, ovveroCarlo Lorenzini all’anagrafe, è stata a lungodibattuta ed ancor oggi assistendo ad alcuni

convegni non si fa alcun riferimento alla sua, pro-babilissima e ragionevole, affiliazione all’Istitu-zione Massonica, per questo motivo ho deciso discrivere, nella nostra prestigiosa rivista di studistorici, questa breve nota riguardo alle fonti stori-che che possano, se non estinguere ogni tipo dub-bio, almeno compendiare e mettere ordine suquesta dibattuta questione. Gettare un po’ di lucesu una figura di così primaria importanza per lanostra cultura nazionale è doveroso per chi si oc-cupa, come me, di far conoscere il peso della tra-dizione libero muratoria sullo sviluppo dellamigliore cultura occidentale. Collodi, attraverso lasua opera più nota, è stato di fatto per lungotempo la guida nella crescita infantile di nume-rose generazioni: il percorso educativo scolasticoitaliano partendo da Pinocchio, per poi passare aDe Amicis con il libro per ragazzi Cuore, a Man-zoni ed infine al capolavoro dantesco, istruiva igiovani e li conduceva a formare quella stabilebase valoriale utile a costruirsi un’esistenza so-lida, istruzione peraltro apprezzata in ogni angolodel globo.Quindi, sebbene il significato simbolico della fa-vola del burattino sia universalmente riconosciutoe più volte accostato proprio alla tradizione mas-sonica che sembra essere addirittura ricalcata nellevicende e nei personaggi della fiaba, ritengo fon-damentale almeno insinuare che tale risultato siastato ottenuto proprio in virtù della personaleesperienza massonica dell’autore che altrimenti,con molta probabilità, non avrebbe potuto tra-sporre, così fedelmente, nella sua opera il metodoiniziatico della tradizione liberomuratoria. Me-todo che tramite tappe successive di conoscenza,consapevolezza e comprensione di sé conduce a li-velli di perfezionamento via via crescenti. Propriocome accade al burattino che attraverso le nume-rose esperienze vissute (al pari dei viaggi iniziaticirituali) riesce a realizzare il suo sogno di divenireun bambino in carne ed ossa, quindi a passareidealmente ad una condizione superiore, quellaumana… Basti per questo citare l’episodio al

Gambero Rosso (cap.19, pag.79 dell’edizione del1883) quando Pinocchio: “si trovò svegliato al-l’improvviso da tre violentissimi colpi dati nellaporta di camera. Era l’oste che veniva a dirgli chela mezzanotte era sonata.”Venendo adesso alle fonti storiche che, a mio mo-desto parere, possono in qualche modo ragione-volmente far propendere verso un’affiliazionemassonica del Collodi, vorrei cominciare ripor-tando quanto affermato da Paolo Lorenzini, cono-sciuto come Collodi Nipote ed autore delnotissimo Sussi e Biribissi. Storia di un viaggio alcentro della terra, nel suo libro Collodi e Pinoc-chio (Firenze, Salani, 1954) che “riporta un dia-logo tra lo zio e la madre di lui, a cui era giuntanotizia che il figlio era massone e miscredente” eCollodi allora dichiarò alla madre di sentirsi sem-pre legato alla sua fede cristiana, pur ammettendo:«In quanto a religione, la penso un po’ a modomio, ma non sono un miscredente come forse miavrà giudicato qualcuno» (in Giovanni Gasparini,La corsa di Pinocchio, Vita e Pensiero, 1997,pag.104).

Necessaria poi la citazione dell’intervista del 2002

IL “FRATELLO” COLLODI:FRA INDIZI E PROVE CONTROVERSE DELLA SUA AFFILIAZIONE

di Gianmichele Galassi

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Carlo Collodi

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di Silvia Ronchey a Elémire Zolla intitolata «Il bu-rattino framassone». Zolla: la storia di un´inizia-zione ispirata a Apuleio, dove uno degliintellettuali italiani più esperti dei segreti di Pi-nocchio affermerà perentoriamente: «... Il che si-gnifica semplicemente che provengono dallacultura di base della cerchia massonica cui Collodiapparteneva. Vede, una loggia di Firenze, al tempodi Collodi, non era luogo di modesta cultura.Certe letture erano comuni, elementari addirittura.La massoneria ferveva di una rinascita del pitago-rismo antico, culminata poi in Arturo Reghini,grande scrittore e matematico in lite con Musso-lini e con Evola», e poi più avanti rispondendoalla domanda “Il che varrebbe a dire che la grandeletteratura italiana è essenzialmente massonica?”:«Varrebbe a dire che spesso noi italiani ci lamen-tiamo di non avere una letteratura all’altezza, adesempio, di quella inglese o tedesca. Ma il fatto èche la nostra migliore letteratura, quella laica, èsotterranea e segreta, perché a differenza degli in-glesi e dei tedeschi ha dovuto sottrarsi alla censuradell’ala meno illuminata e elitaria della culturacattolica».Dell’appartenenza liberomuratoria del Collodisono poi convinti sostenitori molti autori, quali ilsociologo Nicola Coco e lo specialista di dottrineermetiche Alfredo Zambrano che ricostruiscono irapporti fra Collodi e Ferdinando Martini, giorna-lista-editore fiorentino, al quale Carducci scrisseuna lettera da massone a fratello e che fu collabo-ratore del Gran Maestro Lemmi (Cesare Medail,Pinocchio? Un fratellino della loggia di Firenze),lo scrittore e saggista Fernando Tempesti, peraltroconsigliere del comitato scientifico della Fonda-zione nazionale Collodi, e studiosi accademiciquali Cecilia Gatto Trocchi, docente di antropolo-gia culturale presso le Università di Cagliari,Chieti, Perugia ed, infine, a La Sapienza e RomaTre.Abbiamo poi la pubblicazione di Pinocchio Oggi,ovverosia degli Atti del Convegno della Fonda-zione nazionale Collodi, tenutosi nel 1978, in cuila Maria Jole Minicucci, direttrice della BibliotecaRiccardiana di Firenze, pubblica e commenta unalettera del Nostro indirizzata al massone Piero Bar-béra, figlio del noto Gasparo, datata 4 Marzo 1884,con cui Collodi comunicò le sue condizioni alla ri-chiesta del primo di scrivere un libro di biografiedi carattere storico. In tale lettera -a mio avviso- cisono due parti importanti, non solo la chiusa chela Minicucci interpreta come “In ogni modo micreda sempre / il fratello Collodi” (Minicucci, inPinocchio oggi, pag.231) e quindi di cruciale im-portanza per definire la sua affiliazione, ma anche

la frase di Collodi “se ci troviamo d’accordo, tantomeglio: caso che no mi auguro che ci troveremod’accordo un’altra volta, rimanendo intanto buo-nissimi e leali amici, come siamo stati finora” (Mi-nicucci, in Pinocchio oggi, pag.230) che sta adindicare un rapporto tutt’altro che distaccato edesclusivamente lavorativo con l’iniziato Piero Bar-béra.Di parere diverso, la studiosa Marcheschi che af-ferma che lo scrittore concludeva la lettera auto-grafa, conservata alla Biblioteca nazionale diFirenze, affermando: “In ogni modo mi creda sem-pre il suo affo Collodi”. Le caratteristiche calligra-fiche della dicitura suoaffo (nella lettera originalei due termini sono attaccati) erano state lette comefratello anziché come una contrazione di affezio-nato e tanto era bastato per far nascere l’ipotesi diuna affiliazione a una delle tante logge toscane(fonte: Archivio Adnkronos AdnAgenzia1995/10/05). Due anni più tardi sempre Adnkro-nos (Archivio AdnAgenzia 1997/08/05) riporta:«… la Marcheschi, preparando una nuova biogra-fia di Collodi di prossima pubblicazione, ha vo-luto chiarire il motivo per il quale il fratello PaoloLorenzini decise di bruciare una gran quantitàdelle lettere private dello scrittore toscano, subitodopo la sua morte, avvenuta nel 1890.[…] I pa-renti erano “anche preoccupati -ha spiegato Da-niela Marcheschi- che trapellassero notizie sullavita intima dello scrittore, forse molto libertina,che aveva contatti con gli ambienti scapigliati fio-rentini e milanesi. Pensavano che potesse destarescandalo sapere che un autore di un celebre rac-conto per ragazzi avesse intrattenuto amori plu-rimi”.»La Mareschi –come da lei stessa dichiarato- conti-nuava infatti il lavoro della filologa Ornella Ca-stellani Pollidori sulla chiusa della lettera (Collodie la Massoneria, pag. 118): «Per concludere: che ilpadre di Pinocchio sia stato massone sarà anchevero (se, a quanto pare, indizi esterni non ne man-cano); e per parte mia non avrei difficoltà a cre-derlo. Purché però non si pretenda di dimostrarlouna volta per tutte con un “fratello” che non è maiesistito.»Se, infine, anche volessimo abbracciare la tesiMarcheschi-Pollidori e quindi rifiutare la validitàdella prova evidente contenuta nella lettera auto-grafa del 1884, rimarrebbe comunque una lungaserie di indizi che, facendo un parallelismo giuri-dico, potrebbero -essi stessi- essere sufficienti acostituire la prova della sua affiliazione, come pro-babilmente accadrebbe in un qualunque processoindiziario ove il fatto da provare si ricavi attra-verso una relazione costituita o da leggi scientifi-

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che o da una massima di esperienza che nel nostrocaso è indiscutibilmente rappresentata dall’affi-nità quasi totale della sua opera più conosciutacon l’iniziazione massonica. In più, considerandol’episodio del colloquio con la madre, potrebbebenissimo essersi affiliato alla Massoneria al-l’epoca della repubblica romana, per poi porsi insonno per non arrecare un dispiacere profondoalla genitrice: del resto, sebbene raramente, av-viene anche oggi che alcuni rinuncino a prose-guire nella loro appartenenza all’Istituzione perpressioni familiari, bisogna valutare che al tempodi Collodi la Chiesa romana provava un odio vi-scerale per la Libera Muratoria e le idee che essapropugnava. Concludo con questa citazione: “Ilcaso Lorenzini e il caso Mistral sono dunque per-fettamente analoghi. Poco c’importa di sapere se idue fossero formalmente affiliati alla «setta»: tantol’ambiente fiorentino di Collodi quanto la cerchiadei félibres annoverano una folta rappresentanzamassonica, com’era d’altronde prevedibile, vistoche siamo nel periodo flamboyant della libera mu-ratoria; e per loro parlano le opere.” (Lucia Lazze-rini dell’Università di Firenze in Due schede perPinocchio, pag.212)

Bibliografia

• Esoterismo e Risorgimento. In Avalon, Morrigan, 2016,pag.49 (link:https://books.google.it/books?id=Ojcw-DAAAQBAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=one-

page&q&f=false)• Nicola Coco e Alfredo Zambrano, Pinocchio e i simbolidella “Grande Opra”, Editore Atanor, 1984• Lucia Lazzerini, Due schede per Pinocchio, Quaderni Ve-neti 3/1-2/2014, Edizioni Ca’ Foscari, Università di Ve-nezia.• Cesare Medail, “Pinocchio? Un fratellino della loggia diFirenze” in “Disinformazione” - http://www.disinforma-zione.it/pinocchio.htm • Maria Jole Minicucci, Tra Fantasia e didattica. Oscillazionicollodiane, in Pinocchio oggi: atti del Convegno peda-gogico, Pescia-Collodi, 30 settembre-1 ottobre 1978,Fondazione Nazionale Collodi, 1980.• Ornella Castellani Pollidori, Collodi e la Massoneria, inStudi e problemi di critica testuale, vol.47, 1993• M. Poltronieri, E. Fazioli, Pinocchio in arte mago, Riola,Hermatena, 2003• S. Ronchey, Il burattino framassone. Zolla: la storia diun’iniziazione ispirata a Apuleio, «La Stampa», 27 febbraio2002• Cecilia Gatto Trocchi, Il Risorgimento esoterico. Storia eso-terica d’Italia da Mazzini ai giorni nostri, Collana Nuovi mi-steri, Mondadori, 1996• Rivista della Massoneria Italiana,1873• Emilio Servadio, Passi sulla via iniziatica, Ed. Mediter-ranee, II ed., 1988• Fernando Tempesti, Introduzione a Carlo Collodi. Pinoc-chio, E-text Editore, 2016

Concludo ringraziando il Presidente della Fondazione na-zionale Collodi, Pier Francesco Bernacchi, e la gentilissimadott.ssa Isabella Belcari per il materiale bibliografico ce-lermente fornitomi.

MassonicaMente n.6 - Mag./Ago. 201628

Una scena tratta dal trailer del filmPinocchio di Walt Disney, 1940

La copertina di una vecchia edizione

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Le avventure di Pinocchio visto da Enrico Mazzanti, Firenze, 1883

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