Massonicamente - Rivista del Grande Oriente d'Italia...La Roma delle osterie, del gioco del lotto e...

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mente M SSONICA Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia Rassegna quadrimestrale online ISSN 2384-9312 n.2 Gen.-Apr. 2015

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menteM SSONICALaboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia

Rassegna quadrimestrale online

ISSN 2384-9312

n.2 Gen.-Apr. 2015

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Giovanni Greco

RedazioneIdimo CorteMarco CuzziSanti Fedele

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Art DirectorGianmichele Galassi

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via San Pancrazio 8, 00152 Roma

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Grande Oriente d'Italia,via San Pancrazio 8, 00152 Roma

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Laboratorio di storiadel Grande Oriente d'Italia

n.2 Gen.-Apr. 2014

Sommario

SaggiLiberi Muratori sulla scena: artisti e attori tra mu-sica, teatro, cinema

Da Belli a Totò: artisti e poeti romani e napoletani.......3di Giovanni Greco

Frammenti di un discorso incompiuto...........................7di Marco Veglia

Ab omnibus unum. L’organo come strumento dellaloggia .............................................................................9di Andrea Macinanti

Frammenti di musica e massoneria.............................13di Paolo Calzoni

Aida, ovvero la rinascita attraverso la morte ..............16di Antonino Fogliani

Gino Cervi, attore nazional-popolare ..........................20di Maurizia Cotti

Ideali massonici in due figure simbolo dell’immaginariohollywoodiano: Buffalo Bill e John Wayne..................25di Pietro Piro

Signore e signori… Alighiero Noschese .......................29di Gabriele Duma

Arnoldo Foà: cavaliere del libero pensiero...................33di Lorenzo Bellei

Fotografi d’Italia: Aldo Fabrizi e Paolo Stoppa ...........35di Monica Campagnoli

Il riordino della memoria

12 gennaio 1930: il Grande Oriente d’Italia risorgein esilio ........................................................................38di Santi Fedele

Tra gli scaffali

Segnalazioni editoriali.................................................42a cura di Bernardino Fioravanti

La Massoneria Inglese e la Prima Guerra Mondiale.Una mostra a Londra ..................................................45

ISSN 2384-9312

menteM SSONICA

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Sei brevi profili di artisti e poeti ro-mani e napoletani. Il primo, rela-tivo a Giuseppe Gioacchino Belli

(1791-1863), appare profondamente ispi-rato da un pessimismo radicale circa le“magnifiche sorti” di una società che per-cepisce drammaticamente statica. Eglimanifesta comunque una straordinaria,commossa attenzione verso le esigenzepiù vere e i bisogni più urgenti di quegliumili spesso dimenticati e, a volte, calpe-stati, che conosce perfettamente. La mise-ria, la fame, la malattia e la morte sono itemi ricorrenti nei suoi sonetti, ove i po-veri vivono accumunati da una sorta didisperazione sommessa. Il quadro deli-neato ne La bbona famijja, per esempio,vibra di un’umanità che mai scade nelsentimentalismo lacrimoso. Dopo avermangiato “due fronne d’inzalata” e unafrittata “appena visto er fondo ar buca-letto, ‘na pisciatina, ‘na sarvereggina, e, inzanta pace, sce n’annamo a letto”. Fra gli

umili protagonisti di una società igno-rante e degradata come quella romana delsuo tempo, il Belli non trascura certo leprostitute, che anzi rappresentano lo stra-ordinario oggetto di tante sue analisi pio-neristiche e spregiudicate, che sisegnalano, fra l’altro, per la lucida pene-trazione psicologica. Ad un ipotetico in-terlocutore/cliente, La puttana sinceraribadisce “Senta, nun fò ppe dillo, ma untestone lei nu l’impiega male, nu l’im-piega, e ppò rringrazzià Cristo in ginoc-chioni”. Non manca il personaggio delruffiano ne La ppiù mejj’arte, che ha trovatocosì la sua piena realizzazione sociale,oltre ad una evidente gratificazione per-sonale. Un tempo ortolano e poi “lib-braro” senza poter tirare avanti bene, sidecide a fare il ruffiano e così “Io servomonzignori, io padr’abbati, io maritate, iovedove, io zitelle…e ll’ho tutti ognissem-pre contentati … l’ommini mii so ricchi eintitolati, e le mi’ donne pulitucce ebelle”. Nel suo “controcanzoniere” nonmanca la figura del popolano che dà vocea pensieri contro le nuove idee di libertàdi coscienza: “Chiameli allibberali offrammassoni, o ccarbonari, è sempre unapappina: è sempre canajjaccia ggiacub-bina da levàssela for de li cojjoni”. In re-altà qui prevale l’autoironia, lo sberleffoa se stessi, a ciò che si è voluti diventare,senza dimenticare perciò la vulgata popo-lare e i luoghi comuni. Nei suoi oltre duemila sonetti non mancadi mettere costantemente alla berlinal’ipocrisia tipica della società romana delsuo periodo, i suoi vizi, le sue ridicolag-gini in maniera che, ogni sia pur brevecomponimento poetico, traccia un piccoloaneddoto, un affresco della vita di ognigiorno, uno schizzo con un finale a volteumoristico o ironico o moralistico. Il dia-

DA BELLI A TOTÒ:ARTISTI E POETI ROMANI E NAPOLETANI

di Giovanni Greco

SAGGI

Totò

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letto romanesco è stato la chiave essenzialecon la quale ha affrontato le vicende dellavita anche se una raccolta pressoché com-pleta dei Sonetti romaneschi vide la luce oltrevent’anni dopo la sua morte e ci vollequasi un secolo – 1952 - per poter gustarel’edizione completa delle sue liriche. Avolte i suoi personaggi si manifestano concaratteristiche assai diverse rispetto allasua stessa concezione della vita in un mi-scuglio esasperato e coinvolgente di pro-stitute, preti e carogne d’ogni tipo.La Roma delle osterie, del gioco del lottoe dei piccoli fatti di cronaca è, parimenti,al centro della produzione poetica di Tri-lussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salu-stri (1871-1950), che la contemplaattraverso il filtro della sua bonaria, incon-fondibile ironia e del suo scetticismo ma-lizioso e conciliante. E’ una Roma che, aldi là delle forme dialettali, rispecchia iproblemi e le angustie dell’intera societàitaliana del tempo. Nei sonetti di ParlaMaria, la serva…, per esempio, la condi-zione della protagonista è rappresentataattraverso le lagnanze sulla tirchieria deipadroni: “Pe’ cento lire ar mese che medànno io je lavo, je stiro, je cucino, e scopo,e spiccio, e sporvero, e strufino chequanno ch’è la sera ciò l’affanno”. Ancheil tema della donna disonorata è caro alpoeta (La tradita) laddove notevole è lo stu-pore dell’io poetante che una sera ricono-sce in un relitto umano un’allegra,spensierata ragazza che, un tempo, facevala stiratrice: “Povera Rosa! Me pare jeriquanno faceva la stiratrice; rivedo semprequell’occhi neri framezzo ar bianco de lecamice, quanno cantava tutta contenta: fio-rin de lilla, fiorin de menta!”. Trilussa ini-ziato dalla massoneria a Roma, dedicòall’istituzione massonica almeno due poe-sie, Li frammassoni di ieri, tesa a ricordare imeriti latomistici ai fini dell’unità d’Italiae un’altra Li frammassoni di oggi, nell’incertae amara realtà vissuta nel periodo fascistadopo la chiusura forzata delle logge.Anche l’argomento della massoneria vienequindi trattato con la consueta levità in

modo che dell’antica società segreta esceun quadro simpatico e caricaturale: “Checredi tu? Ch’a le rivoluzioni fussero carbo-nari per davero, còr sacco su le spalle e ergrugno nero? Ma che! E’ lo stesso de liframmassoni. So’ muratori, sì, ma mica èvero che te vengheno a mette li mattoni!Loro so’ muratori d’opinioni, cianno lapozzolana ner pensiero: Tutta la manod’opera se basa ner demolì li preti, corprogetto de fabbricaje sopra un’antracasa”. Ma i tempi cambiano e quandoanche i massoni vengono presi di mira dalfascismo allora alcuni di coloro che fre-quentavano la loggia sembrano quasi nonriconoscersi più nei valori di fratellanzauniversale: “Perché la fratellanza univer-sale che ce riuniva tutti in una fede finì co’la chiusura der locale”. Assai diffuso nellapoetica di Trilussa la presenza degli ani-mali, cani, gatti, scimmie, leoni, topi, ma-iali attraverso i quali mette in berlina i vizie i difetti dell’umanità. Trilussa fece poiregistrare una splendida collaborazionecol noto attore e fantasista Ettore Petrolini,i cui rapporti si cementarono anche all’in-terno delle officine massoniche. Ad Ettore Petrolini (1884-1936) – nomed’arte Ettore Loris, figura di surreale, rivo-luzionaria e anarchica genialità a cui tantiprotagonisti dello spettacolo debbonomoltissimo - è legata la macchietta di Giggier bullo “Si nomini Giggetto, pe’ l’urione lagente ha da tremà. Ce n’ho mandati tantiall’ospedale. Ma tanti, che nun se sa”. At-traverso il registro dell’apparentementebecero e del non-senso, ironizza e infilzaogni tipo di regime descrivendo perso-naggi quali Fortunello, Sor Capanna, Mu-stafà. E’ un umorista raffinato, uno deigrandi campioni dell’avanspettacolo e delvarietà. Figlio di un fabbro, dopo piccolemalefatte, la famiglia lo manda in riforma-torio, uscito dal quale comincia a frequen-tare teatrini e caffé-concerto, creando cosìvia via i personaggi di maggior successo,Nerone, Pulcinella, Chicchignola. Poi al-l’estero e al cinema, grandi successi sinoal 1932 quando compone una delle can-

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zoni romane di maggior successo, ripresaanche da Gigi Proietti, da Gabriella Ferri eda Nino Manfredi, “Tanto pe’ canta’”. Im-pareggiabile il beffardo Gastone: “ho ledonne a profusione e ne faccio collezione.Sono sempre ricercato perché sono ben cal-zato, perché porto bene il fracche, con lariga al pantalone. Tante mi ripetono: seielegante. Bello, non ho niente nel cervello.Raro, io mi faccio pagar caro. Gastone, conun guanto a pendolone, vado sempre a pe-corone. Bice, solo io la fo felice. Gemma,ama solo la mia flemma. Rina, lei per me lacocaina…”. Le sue battute fanno sbellicaredal ridere il pubblico degli anni del fasci-smo: “bisogna prendere il denaro dai po-veri, ne hanno poco, ma sono in tanti”oppure ad uno spettatore che lo fischia: “ionun ce l’ho cò te, ma cò quelli che te stannovicino e nun t’hanno buttato de sotto”. Rac-coglie le sue “sciocchezzuole” in alcune rac-colte fra cui memorabile “Ti ha piaciato?”1921. All’interno dello scenario massonico fre-quenta soprattutto Trilussa che scrive perlui numerosi pezzi spassosi e beffardi. Sisostiene che, in punto di morte, vedendoentrare in camera sua un sacerdote conl’olio santo per l’estrema unzione, escla-masse: “Mò sì che sono fritto”. Il registrodel becero e del “basso” è la sua forza, è lasua chiave sarcastica e pungente per co-gliere gli aspetti più ipocriti della societàdel suo tempo. Raramente si assiste ad unacomicità meno immaginata a tavolino comequella di Petrolini, portato diretto delleistanze e degli umori della strada e dellavita di tutti i giorni: “Sono un uomo dei piùcretini, sò Petrolini”. Petrolini, per Ales-sandro Blasetti, è prepotente, geniale e po-polare, e l’arte sua è la satirapolitico-clericale, agguerrita e pungente,con una grande capacità di deformare la re-altà.Dopo i tre romani, tre napoletani e il primoè Ferdinando Russo (1866-1927) che rap-presenta un mondo complesso e violentotendente ad un realismo disingannato e ci-nico, ma assai convincente. Il suo è uno

scenario in cui non vi è nessuna speranzadi cambiamento o di riscatto. In Belli tiempeun malvivente e lenone raccontava il suopassato, allorquando in carcere “pe emmence penzava ‘a Surrentina: sempe ‘o ta-bacco, ‘a carne e ‘o ppane frisco!”. Nonmanca nel sonetto Pascale ‘e bello il bassocontinuo di rapporti fra malavitosi e alcunipolitici locali corrotti o corruttibili: “Equanno ha da saglì nu riputato, Pascale ‘ebello se sceta a matina, e va a fa ‘e pattencopp’ ‘o comitato”. Anche gli zingari sonooggetto della sua amara attenzione e si-nanco un benestante rovinato da un fiscoinesorabile che l’ha “fiscato sano sano”.Quando nasce Ferdinando Russo Napoliera una grande e bellissima città di circa600.000 abitanti, ricca di giardini, palazzi emarine magnifiche e ammalianti. Il clima eil paesaggio l’avevano resa meta, sin dai se-coli precedenti, di tanti viaggiatori d’Eu-ropa, che ne avevano via via costruito unautentico mito, fatto essenzialmente di co-lori forti e musiche dolci, di profumi soavie di sapori intensi, di un mare e di un soleincomparabili: il luogo d’elezione, in unaparola, di molte delle più desiderabili pas-sioni umane. Sappiamo bene che, peraltro,col passare del tempo e delle generazioni,siffatto topos splendido e seducente è statospesso indebitamente trasformato in rap-presentazioni oleografiche di vario genere,spesso tutt’altro che edificanti. Da Russo,da Viviani, da Totò veniva sempre auspi-cato un ritorno a un glorioso passato, vivi-ficato dalla pittura e dalla civiltà letterariadel Seicento, la musica e il teatro e, in ge-nerale, tutta la vita culturale e civile delSettecento: due secoli in cui Napoli s’eraapprestata a divenire una grande capitaleeuropea, assieme a Parigi, Vienna e Londra,sino al tragico epilogo della RepubblicaPartenopea.Autore di testi teatrali, poeta, attore e mac-chiettista, Raffaele Viviani (1888-1950) ri-prende in uno stile schiettamente realistico– efficace soprattutto quando dipinge situa-zioni e figure “estreme” tragiche e grotte-sche insieme – e in tono popolaresco alcune

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tematiche caratteristiche della grande poe-sia dialettale napoletana. Il cuore dolentedegli Emigranti, costretti a lasciare la patria,la casa e la mamma per cercare fortuna inAmerica, trova un barlume di consolazionenella speranza di un domani migliore, marimane il fatto che “io lasso ‘a casa mia,lasso ‘o paese”. Oltre all’immagine squal-lida ed inquietante degli zingari, ricorronofrequenti le descrizioni delle varie tipolo-gie di poveri: “Ce sta ‘o pezzente ru ‘vico,chillo ‘e chiazza, ‘o povero ‘e città, chillo ‘epaese; chi va cu bastunciello, chi cu ‘amazza. E’ n’arte comme a n’ata”.Al grande Petrolini deve molto anche An-tonio De Curtis (1898-1967), che è statoforse l’ultimo vero protagonista della com-media dell’arte, e il principe dei comici delsecondo dopoguerra, capace com’era di re-citare magistralmente anche senza smorfie“con la semplice penetrante forza della suaumanità”, come osserva con acutezza Anto-nio Ghirelli. Ma la figura di Totò travol-gente e complessa, merita attenzione ancheper la sua produzione poetica. Attentissimoai bisogni e al dolore della gente comune,egli mostra nei suoi versi una vena accoratae malinconica. In ‘A vita esprime una ful-minante sintesi della sua visione della vita:“’A vita è bella, è stato un dono, un donoche ti ha fatto la natura. Ma quanno po’ stavita è ‘na sciagura, vuie mm’ ‘o chiammatedono chisto ccà? E nun parlo pe’ me ca,stuorto o muorto, riesco a mm’abbuscà ‘namille lire. Tengo ‘a salute, e, non faccio perdire, sòngo uno ‘e chille ca se fire ‘e fa. Maquante n’aggio visto ‘e disgraziate: cecate,ciunche, scieme, sordomute. Gente can nunha visto e maie avuto ‘nu poco ‘e bbene ‘achesta umanità”. Le sue poesie sono ele-ganti e suadenti, misurate e profonde so-prattutto in relazione alle storie diemarginazione, talora tragiche e financhemacabre. Totò venne iniziato a Napoli nel 1944

presso la loggia Palingenesi. Successiva-mente diventò il Maestro Venerabile della“sua bella officina” la Fulgor et artis di Roma,all’obbedienza della federazione massonicauniversale del rito scozzese antico e accet-tato e poi n. 47 all’obbedienza di piazza delGesù. Arrivò al trentesimo grado del rito.Nel film “Letto a tre piazze” Totò fece chia-ramente capire la sua appartenza alla mas-soneria: Totò e Peppino stanno compiendouna scalata e De Filippo invitò Totò ad ag-grapparsi ad una mano e Totò rispose distare tranquillo che lì c’era un massone dicui ci si poteva fidare. Pubblicò poi ‘A li-vella, in latino bilancia, nel 1964, una dellepoesie massoniche più celebri, dove tuttigli elementi sono tipici del simbolismomassonico, la morte legata alla terra, vis-suta come rito di passaggio, e dove sonopresenti le due anime di Totò, il principe eil povero, il marchese signore di Rovigo edi Belluno e il povero “scopatore” napole-tano, Gennaro Esposito. In effetti Totò pro-prio grazie alla massoneria riuscì adaffrancarsi dal suo personaggio, coltivandoil sentimento della solidarietà: comico, buf-fone, marionetta disarticolata da un lato,gentiluomo generosissimo, libero muratoredall’altro. Un Totò ancora vivissimo nel-l’immaginario contemporaneo non solo unimpareggiabile burattino disarticolato e“meccanico”, ma anche un ingegno ora ar-guto, ora aggressivo, ora commovente, tal-volta galvanizzante e sempre sorprendentee coinvolgente.Questi sei straordinari personaggi, ognunoa modo suo, hanno magistralmente rappre-sentato vite spezzate, casi d’inopinata vio-lenza e miseria, in uno scenario spessotragico dove pullulano i bambini poveri edimenticati, le prostitute, le sfregiate, il po-polo dei vicoli, senza dimenticare l’indiffe-renza e l’incomunicabilità che regnanosovrani nei “quartieri nuovi” e non solo.

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Nello studio dei rapporti fra masso-neria e letteratura è agevole scivo-lare, da un lato, nella bulimia

commemorativa, che ascrive alla prima unoscrittore che abbia toccato o svolto temi de-clinati anche dall’esperienza latomistica, o,dall’altro, nel difetto opposto, che rifiutapersino di riconoscere temi, nell’arco del-l’operosità di uno scrittore, che abbianouna precisa e documentata pertinenza libe-romuratoria. Nell’uno e nell’altro caso, sicontano numerose occasioni perdute di farechiarezza sul profilo, sugli intendimenti,talvolta ancora sulle strategie letterarie diautori di primaria grandezza. Si pensi aquanto abbia pesato la versione di MariaPascoli sulla negazione della militanzamassonica del fratello Giovanni, poi clamo-rosamente smentita dal testamento acqui-sito dal GOI. Tra le opere di Carducci dellaseconda metà degli anni Sessanta difficil-mente si studia il libello che egli scrisse in-dirizzato ai Fratelli Liberi Muratori e chegli costò l’espulsione decretata dal GranMaestro Frapolli, prima di rientrare ai

tempi e con la guida di Adriano Lemmi,quasi vent’anni più tardi. Poiché un primo problema storiografico è

senz’altro da porre: quali e quanti scrittorifurono documentariamente massoni dalSettecento al Novecento; quali, pur senzacarte che ne accertino l’affiliazione, sonostati vicini a determinati ambienti e si sonoa tal punto riconosciuti in certe prospettiveideali che il Grande Oriente stesso s’è vo-luto riconoscere in loro (come, ad esempio,nel caso di De Amicis). E ancora possiamoe dobbiamo chiederci se vi siano generi let-terari prediletti da scrittori massoni e sequella predilezione sia il frutto di una sen-sibilità educata nel quadro valoriale lato-mistico o se sia l’esito invece di unasperimentazione letteraria da ricondurre inautonomia al profilo culturale dell’autore,senza altri reconditi significati. Di certo,poiché essa s’inquadra nel pronunciamentopubblico del GOI in tema di educazionepopolare, ha un particolare rilievo, in que-sta prospettiva, la letteratura per l’infanzia,che può annoverare “persone prime” comePascoli, Collodi, Vamba, senza dimenticare,pur con le cautele indicate, la morale laicadi De Amicis. Il problema storiografico do-vrebbe in questo caso estendersi a perso-naggi che si sono politicamente impegnatinel mondo della scuola, Francesco De San-ctis, Ferdinando Martini, Guido Baccelli,gli stessi Pascoli e Carducci nella loro vestedi professori, Augusto Murri.Se, per il Settecento, altro è il caso di Alfierie di Goldoni, che andrebbe rincalzato conaltri “minori” e con una produzione lette-raria non di rado esplicita nei propri inten-dimenti liberomuratori (si pensi al caso diTommaso Crudeli, di Aurelio Bertola, e, so-prattutto, aggiungerei, di Francesco SaverioSalfi, autore di un Hiramo e di un libello in-titolato Della utilità della Franca Massoneria

FRAMMENTI DI UN DISCORSO INCOMPIUTO

di Marco Veglia

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Giovanni Pascoli

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sotto il rapporto filantropico e morale), altro è ilcaso di scrittori come Cuoco e Pagano, chedel resto, specie il primo, ci aiutano, per af-finità e per contrasto – si ricordino le pa-gine di Giulio Bollati su L’Italiano – aentrare nel mondo milanese del “Concilia-tore”, dove, sia pur senza certezze, pos-siamo nondimeno ipotizzare che lavicinanza, se non la sovrapposizione, adora ad ora, con fermenti massonici fosseagevole e fosse come tale avvertita dal go-verno austriaco. Ma su tutto il Settecentomassonico nei suoi riflessi letterari è da ri-mandare agli studi di Francesca Fedi, chene è la massima esperta, e all’antologiaassai preziosa che ella curò, in collabora-zione con uno dei nostri principali studiosidel Sette-Ottocento, William Spaggiari: LeMuse in Loggia (2002). Diverso il caso del-l’Ottocento, dove il Risorgimento accrescein quantità e qualità l’esposizione degliscrittori massoni, anche su temi propria-mente liberomuratori (accade al Garibaldiscrittore, al Carducci tardo di Rime e Ritmicome pure a quello giovane che calzava lamaschera di Enotrio Romano, a cominciaredall’Inno a Satana che pur rivelava, all’in-terno della stessa massoneria, orientamentidiversi, se non divergenti, sul progressopolitico, come s’intuisce dalle Polemichesataniche che opposero fraternamente mafermamente il massone Carducci al mas-sone Quirico Filopanti). E lo stesso po-trebbe dirsi del mondo del giornalismoculturale e politico, vuoi di un FerdinandoMartini, vuoi di un Vamba. Per Pascoli –mentre per D’Annunzio occorre attendereil sincretismo utopistico del periodo fiu-mano – ci si può avventurare in particolarenegli studi danteschi, nel Fanciullino, nellaprefazione a Odi e Inni, negli incompiutiPoemi del Risorgimento, con l’apice rappresen-tato dall’epigrafe scritta per la morte del-l’amico e massone Andrea Costa.Emblematico, per evidenza di orientamentipolitici democratici fatti scaturire da unambiente di formazione fortemente masso-nico come quello ravennate, il caso diOlindo Guerrini.

Molto diversi, di contro, nel Novecento, icasi di Salvatore Quasimodo e PieroChiara, dove è molto difficile, se non altro,trovare rispecchiamenti letterari dell’espe-rienza massonica.Radicato nella Bologna carducciana, cre-sciuto nell’associazionismo della Corda fra-tres di Efisio Giglio Tos (il cui inno fu scrittoda Giovanni Pascoli), ricordiamo in chiu-sura il caso di Angelo Fortunato Formig-gini, che tragicamente si chiuse con le leggirazziali del 1938. Piace pensare, infine, aquesta figura, alla sua Filosofia del ridere, allasua impresa editoriale che sfociò, tra l’altro,nei Classici del ridere. Un intellettuale, unmassone, uno scrittore e editore persuasoche l’intelligenza ironica, la sua capacità dismascherare le incongruenze e le mistifica-zioni della realtà, sia una delle massimevirtù di un uomo libero, secondo quellache fu del resto la grande lezione del Sette-cento illuminista. Ridendo dicere verum.Dopo tutto, un buon promemoria.

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Giosué Carducci

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Pur non espressamente prevista dagliStatuti e dai Regolamenti della Mas-soneria, la musica ha rivestito ab an-

tiquo particolare importanza nella suaritualità. Vi compariva - oltre che nel con-testo di un repertorio originale dal quale ci-tiamo The Free Masons Songs with Chorus’s inthree & four Parts and a Bass for the Organ orVioloncello to which is added Some other Songsproper for Lodges, Edinburgh, Bremner, 1759ca. - con testi adattati a melodie di canzonicorporativistiche, militari o popolari, dellachiesa anglicana o protestante o apparte-nenti al Gregoriano. Gli esempi più su-blimi di tali derivazioni, sono quelli creatida Mozart: il corale luterano Ach Gott, vomHimmel sieh derein innestato nel canto deidue armigeri nel II Atto della ZauberflöteKv620 e il Cantus firmus in Tonus Peregrinusdell’In tenebrosis collocavit me che apparenella Maurerische Trauermusik Kv 477.

Il sostegno armonico dei canti era general-mente affidato alla Colonna d’armonia (Har-monie) - un ensembe di fiati di ispirazionemilitare composto da 2 clarinetti, 2 corni e2 fagotti - organico che esemplarmentecompare nella Marcia dei Sacerdoti che apre ilII Atto della Zauberflöte mozartiana, l’Armo-nia per un Tempio della notte di Antonio Sa-lieri e la Marcia in Si bemolle maggiore diLudwig van Beethoven.Nelle grandi Logge, specie in quelle fran-cesi e inglesi, operavano ampi complessiorchestrali. Tra essi, certamente il più cele-bre fu quello della Loge Olympique di Parigidenominato Concert de la Loge Olympique di-retto da Joseph-Boulogne, Chevalier de Saint-Georges; per tale compagine, nel 1786 FranzJoseph Haydn compose le sei Sinfonie de-nominate parigine.Se limitato era l’uso dell’organo come stru-mento di accompagnamento dei canti diLoggia in area francese a motivo della suaestrazione chiesastica, più diffusa fu la suapresenza nelle Officine inglesi dove, a par-tire dal XIX secolo, l’organista venne insi-gnito della carica di Ufficiale. La GranLoggia Unita d’Inghilterra inoltre, istituìquella di Grande Organista, presente tuttoraanche nell’ordinamento del GOI. NelleLogge più prestigiose inoltre, furono edifi-cati monumentali strumenti, come adesempio quello della Bath Lodge di Londrarisalente al 1818, mentre ampia diffusioneebbe anche l’harmonium dove mezzi eco-nomici o spazio non consentivano la pre-senza di un organo a canne.Stimato da Marin Mersenne (HarmonieUniverselle, 1636) come il più eccellente e il piùperfetto di tutti gli strumenti, l’organo siinnesta nella filosofia massonica comemetafora musicale del mondo e dellafratellanza poiché in esso si armonizzano -per usare le parole di Lucrezio (De rerum

AB OMNIBUS UNUML’ORGANO COME STRUMENTO DELLA LOGGIA

di Andrea Macinanti

SAGGI

Stampa di J. S. Bach seduto all’organo,1725, British Museum.

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natura) - ab omnibus unum, infinite partidiverse e lontane fra loro. L’organo è Rè, &dominatore - scriveva il bolognese AdrianoBanchieri; macchina in cui il pneuma deldivino organista spira nelle articolazioni delmondo rendendole musicalmente coese insintonia con gli aurei versi virgiliani:spiritus intus alit, totamque infusa per artus mensagitat molem et magno se corpore miscet (l’animadiffusa per le membra smuove tutta la mole es’unisce al grande corpo).Diamo di seguito un breve e non esaustivoelenco di musicisti e organisti che appar-tennero alla Massoneria:

ARNE Thomas (1710-1778), compositore eorganista, appartenente alla United GrandLodge of EnglandBACH Carl Philipp Emanuel (1714-1788),il maggiore dei figli di Johann SebastianBach. Compose canti accolti nella Vollstän-diges Liederbuch der Fraymaurer mit Melodien(1775). Ricordiamo che il sommo JohannSebastian, dal 1747 fece parte a Lipsia diun’importante Accademia chiamata Corre-spondierende Sozietät Musikalisches-Wissenschaf-ten (Società di corrispondenza per lescienze musicali) fondata nel 1738 da Gia-como de’ Lucchesini, Lorenz Christoph Mi-zler von Kolof e dal Cappelmaeister GeorgHeinrich Bümer al fine di sviluppare tradi-zioni cabalistiche e neo-platoniche (Kolofe Bümer ad esempio, vi parteciparano coinomi accademici di Pitagora e Archimede)e con l’intento di mostrare i legami tra lamatematica e la musica. Oltre a Bach, ap-partennero alla Correspondierende Sozietätgeni come Georg Philipp Telemann, GeorgFriedrich Händel e Leopold Mozart. È ve-rosimile che i suoi membri avessero con-tatti o addirittura che taluni appartenesseroalla potente Loggia massonica Minerva zudrei Palmen - voluta dall’imperatore Fede-rico II, a sua volta iniziato nel 1738 - fon-data a Lipsia nel 1743.BACH Johann Christian (1735-1782), figliodi Johann Sebastian Bach, membro dellaLodge of Nine Muses di LondraBEAUVARLET-CHARPENTIER Jacques-Marie

(1766-1834), organista della chiesa dellaMadeleine di Parigi e dal 1801 della LoggiaLe Point parfaitBLEWITT Jonathan (1782-1853), dal 1820organista a Dublino della Gran Loggia di Ir-landa BOYCE William (1711-1779), a Londra fuMaster of the King’s Musick nel 1755 e organi-sta della Chapel Royal dal 1758CHÉNIÉ Marie-Pierre (1773-1832), organi-sta della Chapelle di Luigi XVIII. Fu mem-bro delle Logge Saint-Téodore de la Sincérité(1776) e Caroline-Louise Reine de Naples(1777). Sotto l’impero, appartenne sia allaLoggia Isis che a Les Coeurs UnisCHERUBINI Luigi (1760-1842), importantecompositore e direttore del conservatorio diParigi, fu Maestro Venerabile della LoggiaSaint-Jeane de Palestine. Compose una Sonataper l’organo a cilindro situato nel Tempio dellaNotte nel giardino di Schönau presso Vienna(1805) di chiara ispirazione massonicaCLERAMBAULT Louis-Nicolaus (1676-1749),organista a Parigi della Maison Royale deSaint-Cyr, poi nella chiesa di Saint Sulpice edinfine nel Couvent des Jacobins de la rue Saint-Jacques. Fu iniziato nella Loggia Coustos-Vil-leroy il 23 marzo 1737. Nel 1743 composeuna Cantate à voix seule et Symphonie dal titoloLes Francs MaçonsCLICQUOT Claude-François (1762-1800),membro di un’illustre casata di organarifrancesi, fu affiliato alla Loggia La douceunion di ParigiCOSTA Sir Andreas-Agnus-Michele (1808-1884), Grande Organista della Gran Loggiad’InghilterraCORRETTE Michel (1709-1795), clavicem-balista e organista, trascrisse per clavicem-balo la Marche des Franc-Maçons (II Libro deLes Amusemens du Parnasse), originariamentecomposta per flauto da Jacques-CristopheNaudot CUMMING William Haymann (1831-1915),organista e membro della Loggia Orfeo diLondraDALLAM Robert (1602-1665), organarodella corte inglese, affiliato alla Loggia diSaint-Germain

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DUVERNOY Henry Louis Charles (1820-1906), organista a Parigi della chiesa deiBillettes, poi del Tempio del Partenone. Fumembro della Loggia Les Frères Unis Insépa-rablesGEMINIANI Francesco Saverio (1687-1762),violinista, uno dei massimi compositoriitaliani del XVIII secolo. Fu iniziato allaMassoneria nel 1725 e figura tra i fondatoridella Loggia londinese Philomusicae et archi-tecturae societas, ospitata in una taverna de-nominata Queen’s Head. Per il suo prestigio,gli fu conferito il titolo di perpetual dictatordella sua OfficinaHOMILIUS Gottfried August (1714-1785),organista e compositore allievo di JohannSebastian Bach, compose una raccolta disette Gesänge für MaurerHORSLEY Charles Edouard (1822-1876), al-lievo ed amico di Felix Mendelssohn, fuGrande Organista della Gran Loggia d’In-ghilterraKING Charles (1687-1748), organista dellabasilica di Saint Paul a Londra, nel 1740 fuMaestro Venerabile della Loggia King’sArmsLEFÉBURE-WELY François Isaac (1756-1831), organista della chiesa di Saint-Rocha Parigi, membro della Loggia Les Frères unisde la Saint-Henry dal 1787. In seguito, sottol’Impero, frequentò le Logge Le Centre desAmis (nel 1804) e Elèves de la Nature (nel1810)LE FROID DE MÉREAUX Jean Nicolas (1745-1797), organista della chiesa parigina diSaint-Sauveur e compositore, membrodella Loggia Saint-Charles des Amis Réunis epoi dell’Olympique de la Parfaite EstimeLISZT Franz (1811-1886), iniziato alla Log-gia Zur Einigkeit di Francoforte nel 1841, fumembro onorario di altre Logge europee.Vasta la sua produzione di musica per or-ganoMARRIGUES Jean Baptiste Nicolas (1757-1834), organista della chiesa di Saint-Ger-vaise a Parigi, dal 1788 membro dellaLoggia Le Patrotisme che aveva sede nellareggia di VersaillesMARTINI pseudonimo di Jean-Gilles

Schwarzendorf (1741-1816), organista dap-prima a Fribourg-en-Brisgau poi a Nancy.Dal 1782 appartenne alla Loggia Amis Réu-nisMIROIR Eloi-Nicolas-Marie (1746-1815),organista a Parigi in Saint-Germaine-des-Près. La sua frequenza è documentata invarie Logge parigine tra il 1783 e il 1812 trale quali Le Patriotisme avant (nel 1789) e DuPoint Parfait (dal 1809)MOZART Wolfgang Amadeus (1756-1791),iniziato il 14 dicembre 1784 nella LoggiaZur Woltätigkeit di ViennaMUSTELAlphonse (1873-1937), membro diun’illustre dinastia di organari. Appar-tenne alla Loggia parigina L’Expansion fran-çaiseNONOT Joseph-Waast (1751-1840), organi-sta membro della Loggia L’Hereuse Réuniondi ParigiPOTEAU Joseph (1739-1823), organista aSaint-Martin-des-Champs a Parigi, mem-bro della Loggia Saint Théodore de la Sincérité(1776) e della Loggia Caroline-Louise, reine deNaples (1777)RIGEL Henri-Jean (1770-1852), membro diuna dinastia di musicisti, fu compositore eorganista e tra i primi insegnanti di CésarFranck. Dal 1786 appartenne alla Loggiaparigina La Société OlympiqueSCHEIBE Johann Adolf (1708-1776), allievodi Johann Sebastian Bach e membro a Lip-sia della Loggia ZorobabelSIBELIUS Jan (1865-1957), dal 1923 mem-bro della Loggia finlandese Suomi, Officinain stretta relazione con la Grand Lodge of Freeand Accepted Masons of the State of New York.Tra il 1926 e il 1927, compose la HengellistäMusikka (Musica Massonica) op. 113, poirivisitata nel 1947. La silloge fu stampatadalla Gran Loggia di New York nel 1935con una ristampa nel 1950. Dieci dei dodicibrani che la compongono sono per voce conaccompagnamento di organo su testi diSchiller, Confucio, Goethe, Simelius, Ryd-berg, Sario, Korpela e Sola, mentre due (inn. 1 e 10) sono per organo solo: Introdu-zione e Marcia funebre destinata alla cerimo-nia di Iniziazione al Grado di Maestro.

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Quest’ultimo brano è caratterizzato da unritmo di 5/4 (che richiama la «batteria» delGrado di Compagno) e dall’innesto del co-rale luterano Herzlich tut’ mich verlangenSMART Georges (1776-1867), organistadella Royal Chapel di Londra e Grande Orga-nista della Gran Loggia di InghilterraSULLIVAN Arthur Semyour (1842-1900),membro della Loggia di Manchester eGrande Organista della Gran Loggia di In-ghilterra nel 1887 TASKINHenry-Joseph (1779-1852), costrut-tore di clavicembali, membro di varieLogge parigineWESLEY Samuel (1776-1837), organista ecompositore inglese iniziato alla Massone-

ria nel 1788

Al termine di questo parziale excursus, rile-viamo che quasi nulla è restato del reper-torio dedicato alla ritualità e annotiamo chela partitura di Sibelius è ad esclusivo ap-pannaggio della Gran Loggia di New York.Oltre all’accompagnamento dei canti, ilcompito affidato all’organo era general-mente quello di commentare ex tempore ivari momenti della Ritualità nell’affasci-nante e irripetibile gesto dell’improvvisa-zione. Questi suoni svaniti per sempre,consacrano ancor più l’organo a quella mu-sica reservata così emblematica del percorsoiniziatico.

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Symposium. Il gruppo del 1894 che ritrae, da sinistra a destra,Akseli Gallen-Kallela (l’artista), il compositore Oskar Merikanto, Robert Kajanus e Sibelius

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Brevi spunti di musica e massonerianon possono non partire dal silen-zio primordiale, quello assoluto e

pre-esistente alle forme di vita dall’uomoconosciute. Italo Calvino, in “Palomar”, sostiene chetutte le volte che la genesi del mondo è de-scritta con sufficiente precisione, un ele-mento acustico interviene nel momentodecisivo dell’azione. Nell’istante in cui undio manifesta la volontà di dare vita a sestesso o a un altro dio, di far apparire ilcielo e la terra oppure l’uomo, egli emetteun suono.Si pone così il dualismo rumore/silenzio,dualità che interessa l’intera storia del-l’Umanità; se il suono è vita, esso si opponecon forza al silenzio, ma è pur vero che que-st’ultimo rappresenta la base su cui esso sistratifica.Nel suo saggio dal titolo ”La grammaticadella musica”, Otto Kàrolyi afferma che inprincipio è lecito supporre era il silenzio.Era silenzio perché non c’era moto alcunoe di conseguenza nessuna vibrazione po-teva mettere l’aria in movimento, feno-

meno questo di importanza decisiva per laproduzione del suono.La creazione del mondo, in qualunquemodo sia avvenuta, deve essere stata ac-compagnata dal moto e pertanto dal suono.Forse è questa la ragione per cui la musica,presso i popoli primitivi, ha tale magicaimportanza da essere spesso connessa a si-gnificati di vita e di morte. Proprio la suastoria, in ogni varia forma, insegna che lamusica ha mantenuto il suo significato tra-scendentale.Le Parole di Kàrolyi, in principio era il si-lenzio, mi ripropongono le parole del pro-logo del Vangelo di Giovanni su cui siaprono i lavori di loggia. Introducendo iltermine Logos, che viene tradotto comeVerbo o Parola, è presentato un concettoancora più vasto; il termine Logos è tra-dotto sulla scorta della tradizione illumini-stica come Verbo o Parola, ma nei secoliprecedenti il ‘700 si intendeva più generi-camente come “suono”. Quindi parola esuono, ancora un dualismo. Così simili traloro, entrambi suoni in ultima analisi,molto spesso integrati tra loro, ma nellostesso tempo così diversi. Daranno infattiorigine a due modalità di espressione e dicomunicazione entrambe straordinarie, masolo la musica assumerà il carattere del lin-guaggio veramente universale, uno deipochi capaci di parlare ai cuori e alle mentidi tutti gli uomini in qualunque epoca ocontinente essi siano vissuti, a qualunquereligione, lingua o razza essi siano appar-tenuti. Penso che proprio questa universa-lità del linguaggio musicale, sia la vera eprofonda motivazione per spiegare l’im-portanza che da sempre la musica detienein massoneria. Non casualmente alcunigrandi direttori d’orchestra, sostenevanoche è molto più semplice suonare le note,mentre appare più difficile suonare le

FRAMMENTI DI MUSICA E MASSONERIA

di Paolo Calzoni

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Mozart

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pause; appunto i silenzi. E’ il silenzio ilvero collante dei suoni e dona ad essi illoro vero significato. Il silenzio è parte integrante del mondo deisuoni costituendo due facce della stessamedaglia. Non di rado alcuni compositorihanno cercato di dar voce al silenzio, comenel famoso caso del “Coro a bocca chiusa”della Madama Butterfly di Giacomo Puc-cini o alcuni pezzi di musica da camera diMozart. Non dimentichiamo, fra gli altri,“Cantare in silenzio” di Salvatore Sciarrinoe “ Le pause del silenzio” di Gian FrancescoMalipiero del 1917, e per giunger fino allacanzone di Simon & Garfunkel “il suonodel silenzio”, canzone scritta subito dopol’assassinio di John Kennedy, nel 1963.Inoltre Daniele Donini, artista e musico-logo, ama ricordare come, sinanco nella tra-sposizione cinematografica del FlautoMagico, la vigile partecipata silente atten-zione rappresenti una fase ben definita delpercorso massonico: “Forse anche con ilsenso profetico e utopistico che alle inqua-drature iniziali del Flauto magico diretto daIngmar Bergman, dove l’umanità/pubbliconella sua diversità di razze, lingue e reli-gioni, trova piena espressione simbolicanel viso di una bambina che durante la sin-fonia iniziale, muta come un apprendista,si prepara quasi come in un gabinetto di ri-flessione ad affrontare una esperienza ini-ziatica.”Il lavoro compiuto dall’uomo nel corso deisecoli, è, nel campo dei suoni, una sorta di“ordo ab chao”: ha cercato di svilupparestrumenti che gli permettessero di imitarei suoni che la natura gli offriva e di elabo-rare teorie dando ad esse valenze che varia-vano con le diverse culture che leesprimevano. Nel V secolo a.C. Pitagora,elaborando la sua teoria dell’armonia dellesfere, scoprì che in una scala musicale isuoni stavano tra loro in una precisa rela-zione matematica. I numeri definisconoquindi i canoni di proporzione e di armo-nia; il fine è quello di raggiungere la mi-gliore rappresentazione dell’armoniauniversale, intesa come unificazione ed

equilibrio di elementi opposti. Uno strettorapporto avvicina il suono con le sue geo-metrie, onde e vibrazioni, alla numerolo-gia: la musica diviene non solo strumentodi rappresentazioni simboliche, ma nellasua essenza assume una forte connotazionematematica. Col suo monocordo Pitagoradettò alcuni principi morfologici che di-vennero presto i principi di ogni arte. Inparticolare i rapporti armonici vennerousati per costruire gli edifici sacri in modoche i numeri definissero i canoni di propor-zione e di armonia.La Musica rappresenta il tramite per eccel-lenza tra la terra e il cielo, tra il materiale elo spirituale; con le sue misure, le sue me-triche, i ritmi, i simbolismi ci permette dipercepire, più che con altri mezzi, l’essenzastessa del Grande Architetto Dell’Universo.Fin dalle origini della odierna massoneria,la musica era tenuta in gran conto. Nel1725 a Londra venne fondata una societàmusicale “Philomusicae et architecturae so-cietas apollinis” da parte della loggiaQueen’s Head; l’unione di musica e archi-tettura era tra quelle che la Massoneria,nata dai costruttori di Cattedrali, indicavatra le più adatte alla sua ideologia. La Società si proponeva di diffondere lamusica da camera ed offriva i suoi concertiin abbonamento e fu questa la prima voltadi una scelta che avrà grande successo e cheancor oggi è di largo impiego. Direttore ar-tistico fu nominato Francesco Saverio Ge-miniani, violinista che fu pure il primoitaliano iniziato alla Massoneria londinese.Questi concerti ebbero il grande merito dieseguire musica laica in contrapposizionealla musica religiosa e a quella delle corti;fino ad allora, infatti, la musica era di esclu-siva pertinenza di chiese e di corti nobi-liari. Vale la pena a questo punto ricordare al-cuni dei grandi musicisti di appartenenzamassonica, che con le loro musiche, i sim-bolismi in essa contenuti, i richiami ritualie liturgici hanno nobilitato nei secoli l’Isti-tuzione di appartenenza. Geminiani, certo,ma anche Spontini e Cherubini, Salieri,

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Haydn, Mozart, Viotti, Mendelssohn, Sibe-lius, Satie le musiche dei quali accompa-gnano ancor oggi i momenti salienti deinostri incontri.Concludo con un pensiero deferente a Ri-chard Wagner e al suo interesse per la Mas-soneria principalmente teso ad acquisireinformazioni sui meccanismi ermetici perentrare in possesso delle conoscenze esote-riche massoniche, della sua gerarchia, dei

segni e dei simboli, delle allegorie e delleprove simboliche di cui la Massoneria è dasempre attenta custode. Nella sua ultimafatica, il Parsifal, rappresentata in Italia perla prima volta a Bologna il primo gennaiodi 1914, non si possono ignorare gli aspettisimbolici, esoterici, rituali, gerarchici, al-chemici che da essa promanano e che indu-cono alla riflessione e al silenzio questo, inultima analisi, il vero fine della musica.

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Wagner. Ritratto di Renoir, olio su tela, 1882.

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Tutti sappiamo dell’affiliazione diVerdi alla nostra Istituzione, e sap-piamo anche che i princìpi masso-

nici permeavano la cultura dell’Italiarisorgimentale in maniera fondamentale.Le prime opere del Maestro di Busseto vi-vono di un ardore patriottico che agli occhidei profani può essere visto come un motodi libertà da una tirannide, una voglia diritrovare la dignità oppressa dallo stranierousurpatore. È un livello di lettura assoluta-mente condivisibile, forse è anche giustoaffermare che la coscienza di Patria è statapiù rafforzata proprio dalla nostra produ-zione musicale che da quella letteraria. Erapiù immediato e comprensibile al volgoun’opera di Verdi o Donizetti piuttosto cheLe mie prigioni di Silvio Pellico. Le opere diVerdi sono sempre alimentate da una forzadi riscatto, da un voglia dello Spirito (nondella passione) ad elevarsi e sublimarsi.

Mentre la sterminata produzione di melo-drammi in Italia vedeva nelle passioni ilsuo principio ispiratore, la musica di Verdiemerge tra tutte per una più nuova conce-zione di questi princìpi. Aida è un opera diun Verdi maturo. La prima rappresenta-zione mondiale avvenne la sera 24 dicem-bre 1871 presso il Khedivial Opera Housedel Cairo. Verdi aveva 58 anni. Il kedivèd’Egitto, Ismail Pascià, in occasione del-l’apertura del Canale di Suez (1869), avevaofferto a Verdi 80.000 franchi per comporreun inno che celebrasse l’evento. Corto dicerimonie, Verdi rifiutò: non poteva usarela sua Arte per scrivere marcette occasio-nali. Ma la voglia di avere Verdi al Cairoera tanta per il kedivè d’Egitto, uomo coltoe con uno sguardo rivolto all’occidente.L’occasione si ripresenta con l’apertura delnuovo teatro. Verdi accetta la commissionedi una nuova opera che avesse per ambien-tazione l’antico Egitto, ma la guerra franco-prussiana impedisce che scene e costumiarrivino in tempo da Parigi. Si inaugureràsempre con un’opera di Verdi, Rigoletto.L’Aida vedrà il suo battesimo successiva-mente senza la presenza del compositorenella terra dei Faraoni (dirigerà GiovanniBottesini, direttore d’orchestra e virtuosodel contrabbasso). Verdi invece curerà per-sonalmente la prima italiana al Teatro allaScala di Milano l’8 febbraio 1872.Pur essendo nata come lavoro d’occasione,in questa partitura Verdi dà prova di quelloche un vero iniziato deve fare. Non accon-tentarsi mai dei risultati ottenuti ma speri-mentare continuamente, mettersi indiscussione, scavare senza mai pensare diavere ottenuto la perfezione. La pietragrezza per divenire pietra cubica ha biso-gno di essere lavorata. Verdi nell’arco dellasua vita, lavora sul suo stile musicale co-stantemente. Nessuna opera è uguale alla

AIDA, OVVERO LA RINASCITA ATTRAVERSO LA MORTE

di Antonino Fogliani

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Aida, libretto del 1890.

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precedente, ma tutte sembrano crescere ar-monicamente verso un cammino di perfe-zione. Dall’Oberto, conte di San Bonifacio(1839) al Falstaff (1893), Verdi compie uncammino in ascesa che cambia le regole delmelodramma italiano ed europeo. Aida ri-sulta veramente un’opera nuova. I pezzichiusi (le arie, i duetti, i concertati) ven-gono assorbiti in un discorso drammatur-gico più evoluto, più continuo. Verdi, conl’umiltà propria dei grandi uomini, ap-prende la lezione di Wagner per andareverso un teatro totale, un teatro che vedenella forza propulsiva della musica un na-turale connubio con il dramma rappresen-tato.

Dentro la partitura di Aida, ma non soloin questa, ci sono molti elementi che tor-nano costanti nella produzione musicale dicompositori massoni. Come ho dettoprima, il clima culturale dell’epoca era fa-vorevole ai princìpi della nostra Istitu-zione. Tutti noi sappiamo come in Mozartalcuni elementi di sintassi musicale aves-sero una chiara analogia con elementi sim-bolici del Rito. Ci sono infatti tonalitàdefinite massoniche e cioè mib maggiorecon la relativa do minore e la maggiore conla relativa fa # minore. La presenza all’ini-zio del rigo (detta armatura) di tre bemollio tre diesis è un chiaro rimando alla sacra-lità del numero 3. Cosi come la ripetizionedi uno stesso periodo musicale per tre volteè un altro gesto mutuato dalla nostra sim-bologia e ritualità. Aida vede la presenza diqueste sintassi musicali-massoniche, ma lestesse, a mio avviso, sono più un naturaleaderire a certe atmosfere simboliche cheuna consapevole ostentazione di simboli-smo esoterico. Certo che la scena della consacrazione diRadamès alla fine del primo atto inizia e fi-nisce in mibmaggiore con una preghiera ditre strofe cantata separatamente dalle sa-cerdotesse accompagnate dalle sole arpeprima e dai sacerdoti a cappella (cioè senzaaccompagnamento strumentale) dopo, perpoi fondersi insieme alla fine della DanzaSacra delle Sacerdotesse (anche questa in mib

e con la parte melodica principale affidataal timbro caldo di tre flauti nel registromedio-grave). Nel quarto atto, nella scenadel giudizio, Radamès è interrogato per trevolte dal capo dei sacerdoti Ramfis, chepronuncia tre volte il suo nome (“Rada-més, Radamés, Radamés…discolpati”) esceglierà proprio il Silenzio, strumentodell’apprendista, come risposta. Pur es-sendo spunti interessanti per il nostro La-voro che meriterebbero un serioapprofondimento, lascerei il discorso feno-menologico relativo alla grammatica e sin-tassi musicale-massonica per concentrare lamia riflessione verso un senso esoterico chequesta storia scelta da Verdi comunica a noiliberi muratori. Per me la storia iniziaticadi Radamès e Aida, principio maschile efemminile dell’iniziato, ha principio pro-prio dove l’opera finisce, nel quarto atto. Lastoria di questo amore contrastato, di per sèmeccanismo drammatico di tutto il reper-torio operistico, poco ci interessa. Ma nellatensione che si genera nei rapporti tra i per-sonaggi si legge chiaramente il percorsotortuoso che è proprio dell’iniziato. Sia Ra-damès che Aida vivono le loro passioni,amorose e politiche, con un atteggiamento“profano” che li porta a commettere gravierrori. Aida è lacerata tra l’amore verso Ra-damès e l’amore per la sua patria lontana,l’Etiopia. Uno sembra escludere l’altro.Come può lei, schiava in Egitto e princi-pessa in Etiopia, dare il suo cuore al gene-rale egiziano che ha combattuto col suopopolo, provocando lutti e distruzioni? Ecome può Radamès pretendere questo im-possibile amore dopo che il Re, in seguitoalla vittoria sulle truppe etiopi, ha già de-stinato a lui la mano della figlia Amneris?Nel terzo atto, il più intimo e inspirato ditutta la partitura, molti nodi vengono alpettine e preludono al tragico epilogo. Main cosa consiste l’errore di Aida e Rada-mès? Entrambi vivono la loro vita spintidalle loro passioni, come il profano vive lasua, giudato solo dal suo ego e dalla suapresunzione. Radamès pensa proprio diconciliare un amore impossibile tra una

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schiava e una principessa? Aida, istigatadal padre Amonasro, re degli Etiopi, pensaveramente che l’amore puro che prova peril suo Radamès possa essere usato per in-gannare il suo amato allo scopo di estorcerelui un segreto militare? Qual’è la soluzioneproposta da Aida a Radamès e da lui, anchese con difficoltà, accettata come una via discampo? Una soluzione che nel mondo pro-fano è tra le più usate: la fuga. Sì, proprioquesta “nobile” soluzione che nel mondoprofano ha un successo così diffuso. Fug-gire è la soluzione più vigliacca e indegnache un uomo può adottare. Troppi esempiverranno in mente a voi, carissimi Fratelli,fino alle recenti vicende di una nave da cro-ciera alla deriva, abbandonata dal suo ca-pitano prima che passeggeri ed equipaggiofossero messi in salvo. Alla fine del terzo atto, Radamès, cadutonel tranello teso da Aida, rivela ascoltato insegreto dal re etiope Amonasro la via la-sciata libera dall’esercito egiziano, le goledi Nàpata. A nulla serve la promessa diAida e del padre Amonasro ad assicurare alui una vita felice lontano dall’Egitto. Lacoscienza del profano Radamès si svegliaall’improvviso. Non è quella la soluzione!Scoperti da Amneris e dal sacerdote Ram-fis, Amonasro e Aida fuggono. Radamèsno. Affronta il giudizio dei sacerdoti (“Sa-cerdote, io resto a te.”). Comincia il suo percorso verso un cam-mino più vero. Un cammino che sa già es-sere indirizzato verso la morte. Mal’iniziato aspira alla morte della sua profa-nità proprio per poter vivere nella lucesacra dell’iniziazione, del risveglio dellacoscienza. Anche Aida, che sappiamo fug-gita col padre, capisce il suo errore e, conun coup de théâtre, torna sui suoi passi incerca della ricongiunzione col suo amatoRadamès. La ritroveremo nella tomba de-stinata come pena capitale all’amato gene-rale: seppelliti vivi. Ma andiamo conordine: accennavo prima alla maestosascena del giudizio. Dopo un bellissimoduetto con Amneris, dove quest’ultima ag-giorna Radamès sulla morte durante la fuga

di Amonasro e della sorte di Aida, che hafatto perdere le sue tracce, il prode guer-riero rinuncia alle offerte di intercessionedella principessa e si appresta ad affrontareil giudizio dei sacerdoti. Radamès, che altriplice atto d’accusa di Ramfis, muto si ap-presta a ricevere la condanna capitale peralto tradimento (“...egli tace…”), sarà se-polto vivo in un sepolcro. Qui da un addioalla vita, reso triste dal pensiero di nonpoter più rivedere la sua “celeste” Aida, maconfortato dal fatto di saperla ancora viva.Nella tomba però si è nascosta proprio lei,Aida, consepevolmente intenzionata a ri-mediare ai suoi errori profani affrontandola morte. Questo ritorno alla terra, questoabbandono della vita tornando alla terra,non può non essere da noi liberi muratorivisto come una metafora del primo viaggioche compiamo nel rito dell’iniziazione nelgabinetto di riflessione. Solo dalla profon-dità della terra potrà iniziare il viaggio allaricerca di noi stessi (VITRIOL). Ricordocon forte emozione quanto provato in occa-sione della mia iniziazione e la felicità cheil mio M∴V∴ di allora, l’amato Fr∴Gio-vanni Greco, mi ha donato dandomi la lucedell’iniziazione insieme ai Fratelli tutti.L’elemento maschile unito a quello femmi-nile, Radamès unito ad Aida, trova la suaintegrità e morendo sotto la terra germogliaa vita nuova.

A noi si schiude il ciel, e l’alme errantivolano al raggio dell’eterno dí.

Con questi endecasillabi, scritti dallostesso Verdi che decise di sostituire i versidel librettista Ghislanzoni, arrivati a suodire in ritardo, Aida e Radamès danno l’ad-dio alla loro vita terrena, alla loro vita pro-fana. Non c’è nella musica di Verdi alcundolore, ma tanto amore, amore puro. Soloquesta morte può farli rinascere versoquello che è definito il giorno eterno. Il no-stro Oriente. Quando dirigo Aida non posso fare a menodi pensare a questo percorso che tutti noiabbiamo fatto prima della nostra inizia-

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zione. Un percorso che continua nella no-stra vita massonica continuamente e cheapplico anche nella mia vita professionale.Ho la fortuna di fare un lavoro che mi portaa confrontarmi tutti i giorni con un mate-riale misterioso e affascinante come la Mu-sica, arte intangibile ma allo stesso tempocapace di comunicare emozioni e sugge-stioni intellettuali di grande fascino. LaMusica segreta in sè un messaggio di con-tinua ricerca e perfezione. I capolavori diGiuseppe Verdi, grande italiano prima chegrande musicista, hanno in sè il misterodelle grandi cattedrali costruite dai fratellimuratori nel Medioevo. Opere di grandesapienza per concezione e realizzazione che

permettono diversi livelli di fruizione. Ilmio Maestro mi diceva che una cattedralepuò essere il luogo che serve di riparo alviandante, il luogo di culto per l’uomo pio,il banco di prova per l’abile architetto…Anche i grandi capolavori musicali hannoquesta complessità di fruizione e lettura. InVerdi però, più che in altri, il genio va dipari passo con l’abilità artigiana del musi-cista-muratore. Anzi, direi che in lui, comenei più grandi compositori, convivano lequalità progettuali di un grande architettoe l’umiltà manuale e preziosa di un bravoartigiano. Tanto basta a renderci orgogliosidi un grande italiano e un grande massonecome Giuseppe Verdi.

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Verdi che dirige l’Aida a Parigi.Illustrazione di Adrien Marie del 1881 in La Musique populaire.

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Gino Cervi (1901-1974) muore il 3gennaio 1974, a Punta Ala. Cadequest’anno il quarantennale della

sua morte. Al suo funerale parteciparono oltre dieci-mila persone, forse primo esempio di fune-rale seguito da un’immensa folla1. VittorioDe Sica, attore e temperamento completa-mente diverso, pur malato da tempo, volleessere presente, nonostante la malattia chelo portò alla morte pochi mesi dopo. Al fu-nerale di Gino Cervi erano presenti anchele insegne della massoneria. Si parlò alloradi un tributo alla persona e all’attore. In re-altà Gino Cervi risultava iscritto alla loggiamassonica Galvani di Bologna, dopo esserestato iniziato nel 1946 nella loggia Palinge-nesi di Roma. Oggi le celebrazioni di questo grande at-tore, per molti versi riservatissimo, appar-tengono più all’affetto della gente che acerimonie istituzionali. Eppure per Francesco Guccini, Gino Cervifu il primo vero attore nazional - popolared’Italia; secondo Alessandro Bergonzoni,per la fama e l’affetto portatogli da tutti, gli

si dovrebbe dedicare un busto in ogni parted’Italia come per Garibaldi. Tutti ricordanola sua voce pastosa, la sua gestualità ampia,la sua capacità di dare toni contrapposti aipersonaggi, donando loro una ambiguitàsuperficialmente rassicurante, ma che ri-verberava oscurità intorno.

Gli esordi

Appassionatissimo di teatro fin dall’infan-zia, quando accompagnava il padre Anto-nio, critico teatrale, agli spettacoli darecensire per il Resto del Carlino, GinoCervi iniziò a sperimentare, per tutto il pe-riodo degli studi superiori, il suo talentoper la recitazione, nelle filodrammatichebolognesi del faentino Giuseppe Canta-galli, apprezzato scrittore di farse. Dopo unprimo debutto nel 1919, forse per attendereagli studi universitari, forse perché avevatrovato nel nascente movimento fascista unpungolo diverso, consono al suo caratterefocoso, al punto che si schierò in modo pla-teale partecipando alla marcia su Roma, sifermò con il teatro per alcuni anni.Solo dopo la morte di suo padre, poco se-dotto dalla sua intrapresa teatrale, ripresecon la recitazione e debuttò come attoregiovane nel ruolo dell’amoroso nel 1924,appena ventitreenne, come a dire che lapausa non gli aveva tolto nulla riguardo amotivazione ed energia. Nel 1925, infatti,diventò primo attore giovane nella compa-gnia del Teatro d’Arte di Roma, con MartaAbba, chiamato addirittura da Luigi Piran-dello. I Sei personaggi in cerca d’autore, in cuiinterpretava il ruolo del figlio, rappresen-tarono per lui un esordio di prestigio diret-tamente nei maggiori teatri d’Europa, aParigi, Londra, Basilea e Berlino.Con simili inizi, il suo percorso artistico sipresentava del tutto luminoso e in effetti lasua carriera si protrasse per quasi 50 anni

GINO CERVI, ATTORE NAZIONAL – POPOLARE

di Maurizia Cotti

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Gino Cervi. Maigret a Pigalle (1967).

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senza interruzioni, con una versatilità e unacapacità di trasformazione in grado di reg-gere ai colpi della Storia, dell’età e dellamaturità.

Gino Cervi e Alessandro Blasetti

Di fatto Gino Cervi ha attraversato tutto ilNovecento, sviluppandosi artisticamentecon le migliori esperienze dell’epoca. Nel1932 cominciò a lavorare con AlessandroBlasetti, sia nel teatro, sia nel cinema. Si può affermare che crebbe alla bottega diAlessandro Blasetti, di un solo anno piùvecchio di lui, uomo di grande capacità ar-tigianale nel mettere in scena testi e co-pioni teatrali e cinematografici, cuiapplicava una cura quasi maniacale, persfuggire alle strettoie della burocrazia fasci-sta, della censura e del conformismo. Nonera retorico Alessandro Blasetti nel suo la-voro. Infatti oggi Alessandro Blasetti vienerivalutato e considerato certamente il regi-sta più prolifico e innovativo del ventenniofascista, ma capace di influenzare anche ildopoguerra e oltre, in quanto inventore dinuovi formati2, sia in teatro sia nel cinema,precursore a volte del realismo, ma ancheantagonista del realismo stesso, intesocome filone cinematografico, un maestro ditecniche e di messa in scena per tutti quanticontribuì a formare e quanti vennero dopodi lui. Egli scelse Gino Cervi per interpre-tare il film Aldebaran (1935), volutamente,apparentemente, un dramma intimista,lontano da ogni connotazione politica e dipropaganda, che sviluppa o sembra svilup-pare, inizialmente, la storia di una giovanecoppia. Ma improvvisamente il film si tra-sforma in un film d’azione, con la tragediadi un affondamento di un sottomarino: ilcontrasto tra dramma intimistico e finaleepico, la struttura complessa, ma svolta inmodo asciutto e geometrico e l’interpreta-zione superba di Gino Cervi portarono ilfilm un clamoroso successo. Questo successo consentì a Gino Cervi dimettere il proprio nome in cartellone in-sieme a Tofano e Evi Maltagliati.In generale, che lavorasse o no per lui, co-

munque Gino Cervi restò sempre neipressi di Alessandro Blasetti a “giocare”con i testi, a rifinire la gestualità in scena,a cimentarsi con le invenzioni del regista.Una consuetudine e un atteggiamento checontribuirono alla sua anima e alla suaidentità di artista. La filmografia finale diGino Cervi consta di ben 119 titoli3.

Gli anni 30 e 40

Di Gino Cervi si può proprio affermare cheè stato un attore completo, perché in tuttala sua vita, ha saputo incarnare il meglioche l’età gli consentiva: il giovane amoroso(per lungo periodo anche divo), l’attor gio-vane in compagnie di grandissimo rilievo,l’attore di teatro comico e l’attore di teatroclassico. Recitò con Alda Borelli, Tofano eEvi Maltagliati, Maria Melato, AndreinaPagnani, Paolo Stoppa e Rina Morelli, Ferrie Valenti, Girotti. Nel suo ampio repertoriovi furono Sofocle, Shakespeare, Goldoni,Cechov e Dostoevskij...Come attore shakespeariano ebbe un note-vole successo: fu citata come memorabile lasua interpretazione dell’Otello. LaurenceOlivier lo volle come sua “voce”, nel dop-piaggio di tutti i suoi film, per la sua vocecalda e dalla dizione perfetta.Fu primo attore del teatro Eliseo di Romadal ‘35 al 42 ininterrottamente, il periodod’oro della sua vita, e a intervalli fino al1945. Durante la guerra e l’occupazione te-desca, fu sempre a rischio di deportazione,perché i tedeschi coltivavano il progetto diportare in Germania intere compagnie tea-trali e diversi attori italiani. Gli interroga-tori al comando tedesco, cui erano chiamatilui e Vittorio De Sica, erano sempre un’av-ventura pericolosa, non scevra di aneddotigustosi, soprattutto in merito al diversostile comunicativo di Gino Cervi e VittorioDe Sica nella negoziazione, più del genere“tengo famiglia e un sacco di parenti a ca-rico” del primo e più galante e sornionequello di Gino Cervi. In una di quelle oc-casioni Gino Cervi riuscì a leggere il nomedi Paolo Stoppa nella lista dei deportati.Paolo Stoppa, dietro soffiata di Gino Cervi,

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riuscì a nascondersi e a sfuggire alla cat-tura.Il periodo del teatro Eliseo, che perduròfino al 1945, con qualche interruzione, rap-presentò per Gino Cervi, un periodo deci-samente gioioso, in scena tutte le sere,applauditissimo dal pubblico, osannatodalla gente, amato da altri attori e registi,in grado di fare calembour sul palcosce-nico, giochi virtuosistici, scherzi e burle aicolleghi, che lo apprezzavano e si diverti-vano moltissimo nonstante le trappole e ledifficoltà. Fu una esperienza molto ricca, dicui si hanno molte narrazioni, condottacome una versione molto particolare di casae bottega: Gino Cervi infatti con la moglieAngela Rosa (Ninì) Gordini, sposata nel1928, abitava sopra al teatro stesso, recitavapure con la moglie in teatro e poi conclu-deva a cena con amici e compagnia.

Caratterista di lusso

La chiusura dell’esperienza al teatro Eliseo,con il suo rifiuto di continuare a recitare,pur di non subire Visconti, che vi si era in-sediato e sperimentava il proprio teatroestetizzante, portarono Gino Cervi ad unperiodo di fermo. Rifiuto o pausa di rifles-sione che fosse. Ma egli seppe vivere atti-vamente la transizione, capace, comeriportano tutti i commentatori, di ripla-smarsi, di adattarsi, trasformandosi daprimo attore e divo in un “caratterista dilusso”. La sua abilità di rifinire a tuttotondo i personaggi che gli venivano affi-dati, lavorando di cesello sui toni, sulleespressioni, regalando loro gesti non scon-tati, aggiungendo azioni di contorno checompletavano l’agire del personaggio inscena, lo rese molto richiesto per perso-naggi di spessore, non protagonisti, ma es-senziali alla struttura delle opere.Nel 1946 Gino Cervi vinse il nastro d’ar-gento come miglior attore non protagonistanel film di Mario Soldati “Le miserie d’-Monssù Travet” (1945), da un testo teatraledi Vittorio Bersezio, a sottolineare questopassaggio, questa capacità trasformazioneo, forse, capacità di incarnare abilmente un

destino. Un secondo nastro d’argento lo vinse nel1959 per tutta la sua carriera e per l’abilitànel costruire i personaggi. Quando Mario Landi propose a Gino Cervidi interpretare Maigret di Simenon, forseseguì proprio un’intuizione in merito allasua capacità attoriale di “costruire” i perso-naggi sul piano del “saper portare”, delporgere ogni personaggio al pubblico: in-fatti poiché il personaggio di Maigret eragià stato interpretato da diversi attori ancheal cinema, occorreva una caratterizzazionedistintiva. Ebbene Gino Cervi divenneMaigret. Il Maigret per antonomasia. Sotto la regia di Mario Landi fu realizzatauna delle prime grandi serie televisive se-guite appassionatamente dal grande pub-blico, 3 serie, per un totale di 17 film.

Peppone

Compagno delle elementari di Dozza,primo sindaco di Bologna del dopoguerra,Gino Cervi gli restò sempre amico pur es-sendo lui borghese e democristiano. Avevacostanza nelle amicizie. E anche nel matri-monio, anche quando si separò dalla mo-glie, dopo quaranta anni di vita insieme,mantenne il rapporto, restando a metàstrada tra l’antica e la nuova compagna. Nel1970 si presentò in Lazio per il partito li-berale. In generale si dichiarava democri-stiano, come se volesse pagare il dazio peril proprio estremismo giovanile, lucidoquindi nel valutare i settarismi, ma anche icompromessi trasversali, e i giochi di ruoloe di potere che aveva visto nel dopoguerra,anche attraverso il filtro della sua grandecompetenza attoriale. Interpretare Peppone, il personaggio diGuareschi, fu probabilmente catartico tantoper Gino Cervi, quanto per un’intera gene-razione di italiani, dopo un dopoguerra dif-ficile e una politica bloccata sul doppiofronte delle divisioni internazionali e delledivisioni nazionali, in particolare fra catto-lici e comunisti.La coppia Gino Cervi e Fernandel rappre-sentò anche quell’elemento di sintesi anti

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intellettuale che serviva al grande pub-blico: un compromesso storico ante litte-ram fra i due personaggi a rappresentare labarriera fra Grande Storia e quotidianità,dove gli italiani, separati dall’ideologia, siritrovavano, tra brava gente, magari bur-bera, a condividere sani principi.

La cifra stilistica di Gino Cervi

Più che seguire Gino Cervi in tutta la suacarriera dalle mille stupefacenti espressionie sfaccettature – non basterebbero diversilibri – cerchiamo di individuarne, invece,il filo di continuità.Del resto le due biografie recenti di GinoCervi sono piuttosto approfondite e ci aiu-tano a comprenderne la grandezza. Laprima del 2001, centenario della nascita diGino Cervi, di Derechi e Marco Biggio“Gino Cervi attore protagonista del “900” è unaschedatura completa, accompagnata da unaanalisi approfondita, di tutte le sue inter-pretazioni. La seconda del 2013 di GiuliaTellini Vita e Arte di Gino Cervi, ci restituiscela grandezza dell’attore durante una car-riera lunga mezzo secolo.In effetti Gino Cervi non si fermò quasimai, capace come era di passare dal teatroal cinema, dalla televisione al doppiaggio,dalla pubblicità alla registrazione di dischio programmi radiofonici.Solo davanti alla malattia di Fernandeldisse che non avrebbe proseguito, che neavrebbe aspettato il ritorno dopo la malat-tia. Alla morte di Fernandel, Gino Cervi siritirò in Toscana. La leggerezza con cui Gino Cervi recitavaha talvolta portato al fraintendimento dellasua capacità introspettiva, di approfondire,di dare spessore psicologico ai suoi perso-naggi. Questo giudizio invece dovrebbe es-sere rivisto. Gino Cervi interpretòpersonaggi che, quando erano benevoli,erano anche maliziosi, cinici, sornioni, equando erano torvi contenevano elementidi complessità divergente e contrastanteche completavano il personaggio anche tra-mite caratteri ambigui e polarizzati. Colsolo gesto Gino Cervi creava l’ossimoro, la

convivenza di opposti aspetti nel mede-simo personaggio. Maigret, Peppone, il Commendatore Bel-locchio, per esempio, sono personaggi co-struiti con una pazienza artigianale a tuttotondo, con una presenza molto fisica e sot-tolineata da gesti individuati come neces-sari a rendere fluido il personaggio:accendere la pipa e bere la birra in Maigret,il baciamano del Commendatore Belloc-chio, e così via. Ma questo è il grande ri-sultato di una persona, un attore che sa glieffetti che vuole determinare e sa come riu-scirci. Molti ne hanno sottolineato alcunecaratteristiche, attribuibili all’essere bolo-gnese ed emiliano di Gino Cervi, ma forsesi tratta di un corto circuito troppo sempli-cistico.Nella rappresentazione dei personaggiGino Cervi anche quando immette accentidi bonomia, introduce quel tanto di millan-teria, o di galanteria velata di insospetta-bile ipocrisia, nel rappresentare personaggidotati di coraggio a parole, ma con un di-chiarato cauto e dubbioso che si giustificadi ogni possibile deviazione, presentandoargomenti utili per un’autoassoluzione pre-ventiva.Molti critici vi hanno riconosciuto l’espe-rienza delle filodrammatiche, del gioco conle maschere, delle recite in costume. Inaltre parole Gino Cervi ha lavorato sullamodulazione della farsa, sulle sfumaturedella ripetizione e riproduzione, sulla fi-nezza delle sfumature, sulla variazionedella serialità. Tra l’interpretazione del Cardinal Lamber-tini, di Otello, di Ettore Fieramosca, di tuttifilm in costume e l’interpretazione nelle fi-lodrammatiche e poi da caratterista neifilm, si riconosce un tratto comune, lagrande abilità di Gino Cervi di recitare conuna naturalezza espressiva che era comeuna seconda pelle, essendo egli capace diricercare minuziosamente e definire anchele caratteristiche più implicite, subliminali,sottotraccia dei personaggi. Si riconosce in-somma la grande sapienza di un’arte prati-cata da grande artigiano/artista del

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palcoscenico.La famiglia Cervi in generale è stata ed èuna famiglia molto riservata, per quantotutta dedita al teatro e al cinema, il figlioTonino, regista cinematografico e la nipoteValentina Cervi, giovane attrice moderna eapprezzata nel cinema sia in Italia sia al-l’estero hanno mantenuto sempre questostile. Però sarebbero necessari una nuovaricerca, un rinnovato tributo a questogrande attore che, nella vita, se non raccon-tava, pure non taceva, capace, come era, displendide ellissi per non rispondere sutemi che considerava delicati. Quando glichiesero se era vero che aveva ricevutomolte lettere d’amore, ebbe modo di direche, se ne aveva ricevute continuava a cre-dere che rivestivano un interesse solo perlui. Ma l’intera vita di Gino Cervi attore è pa-trimonio dell’Italia e come tale dovrebbeessere rivisitata e rivalorizzata.

Note

1 M. Goldoni,Tutto con stile e simpatia, Il Resto delCarlino, 4 gennaio 1974 ; C. Laurenzi, Ebbe unaplatea di milioni di italiani, Il Corriere della Sera, 4gennaio 1974.2 Si dice che la carrellata in Notorius (1946) di Hi-chcock sia stata ispirata dalla carrellata di 300metri che Blasetti fece in Aldebaran. 3 Cfr. Andrea Derchi e Marco Biggio, Gino Cervi at-tore protagonista del ‘900, Genova, Erga edizioni,2001; Giulia Tellini, Vita e Arte d Gino Cervi, Roma,Edizioni di Storia e Letteratura, 2013.

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La statua di Peppone (Gino Cervi)di fronte al Municipio di Brescello.

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Prima che una storiografia più attentaai diritti negati degli indiani d’Ame-rica ribaltasse l’approccio tradizio-

nale ai temi della conquista del West,figure come quella di Buffalo Bill (pseudo-nimo di William Frederick Cody, 1846-1917) nutrirono per moltissimi annil’immaginario collettivo americano ed eu-ropeo incarnando ideali di coraggio, di av-ventura, di civiltà. La figura del soldato bianco e coraggiosoche lotta contro i “selvaggi”, ha costituitoun punto di riferimento essenziale per nar-razioni romanzesche, filmiche e fumettisti-che. Il mito del selvaggio West come luogo pri-vilegiato dell’eroismo, dell’affermazionedella volontà di potenza dell’uomo civiliz-zato, contrapposta alla “selvaggia arretra-tezza” dei “pellerossa” è stato costruitoanche grazie allo spettacolo circense ideatoe diretto da Cody il Buffalo Bill’s Wild West,American’s National Entertainment che - a ra-gione - può essere considerato un esempiodi spettacolo di massa moderno, per la ca-pacità di legare insieme forza delle imma-gini, narrazione socio-identitaria, grandemobilitazione di mezzi tecnici, messaggipubblicitari finalizzati a identificare il pro-

dotto con uno stile di vita (eroico). Il Wild West Show fu una vera e propria “in-dustria culturale”. Si pensi che per trasfe-rire lo spettacolo da una tappa all’altrafossero necessari diciotto vagoni di trenoper attori (molti indiani delle riserve fu-rono coinvolti direttamente), tecnici, ani-mali, attrezzature. Circa seicento persone sispostavano attraversando l’America (e inseguito anche in Europa) trasportando consé tutto il necessario per il proprio sosten-tamento. Buffalo Bill incarnò molte animecontemporaneamente. Cacciatore di bi-sonti, soldato, esploratore, impresario tea-trale, uomo di spettacolo e finecomunicatore. Tuttavia, quello che c’interessa più da vi-cino fu la sua appartenenza alla Massone-ria. I suoi primi contatti con la Massoneriarisalgono al 1869 quando si trovava al ser-vizio del generale Phil Sheridan con inca-richi di esploratore e procacciatore dibestiame per le truppe. A Fort McPhersondove le truppe risiedevano, il capitano W.B.Brown - di cui Cody fu grande amico – or-ganizzò nel suo alloggio la loggia N. 32Plalte Valley Lodge sotto la giurisdizione dellaGran Loggia del Nebrasca. È molto proba-bile che la sua prima richiesta d’affiliazionesia databile in quello stesso anno. Fu ini-ziato il 6 marzo del 1870 come Entered Ap-prentice. Durante quell’anno fuintensamente coinvolto nella vita militarecon funzione di esploratore, guida e giu-dice di pace (fu scelto per la sua grandedote di equità). Il dieci gennaio del 1871,Cody è elevato al rango di Master Mason. Haventicinque anni. Cody si distingue per ilcoraggio in battaglia, per l’affidabilità, il ri-spetto degli ordini impartiti, la lungimi-ranza nell’organizzazione personale. Nell’aprile del 1872 per il suo coraggio inbattaglia riceverà la medaglia d’onore del

IDEALI MASSONICI IN DUE FIGURE SIMBOLODELL’IMMAGINARIO HOLLYWOODIANO:BUFFALO BILL E JOHN WAYNE

di Pietro Piro

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John Wayne

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3° Cavalleria. Nel 1883 fonda il Wild WestShow e già nel 1887 è in Europa in occa-sione del Victoria’s Golden Jubilee. Col passare degli anni, la sua appartenenzaalla famiglia massonica si fa sempre più in-tensa. Infatti, anche se si trovava in Inghil-terra, sottoscrisse la petizione - grazie alservizio postale di cui fu uno dei grandipromotori - dell’Euphrates Chapter No. 15,Royal Arch Masons of North Platte, in Nebrasca.Avanza a livello di Mark Master, inseritonella Cattedra Orientale e il 14 Novembredel 1888 è riconosciuto come Most ExcellentMaster. Nell’Aprile del 1889 riceve l’ordi-nazione all’Ordine della Croce Rossa diMalta e l’Ordine di Malta, divenendo unCavaliere Templare. Cody divenne mem-bro del Rito Scozzese Antico e Accettatonella Northern Jurisdiction of New York Citynell’Aprile del 1894. La Northern Jurisdiction in segno di mas-simo rispetto e ammirazione giorno 4 aprile1894, onorò Buffalo Bill con i gradi di Lodgeof Perfection (4ø-14ø), Council of Princes(15ø16ø), Chapter of Rose Croix (17ø-18ø),Consistory (19ø-32ø). Alla sua morte (10 gennaio 1917) Cody ri-cevette un funerale massonico. Dopo la suamorte fu fondato il Buffalo Bill Historical Cen-ter che preserva tutt’oggi la memoria diCody e contiene numerosi reperti (fotogra-fie, abiti, lettere) in grado di testimoniarela sua appartenenza e la sua fede masso-nica. Cody in tenera età subì il trauma dellamorte del padre brutalmente pugnalato nel1957 dopo aver tenuto un discorso controlo schiavismo. Oggi sappiamo quanto leesperienze infantili e gli esempi dei geni-tori possano condizionare la vita adulta.Cody fu un uomo coraggioso ma non av-ventato, passionale ma non vittima dellepassioni, fedele ma non asservito. Nono-stante gran parte della sua vita sia trascorsanella guerra e nella lotta per la sopravvi-venza egli colse tutte le occasioni per eser-citare un’attività di mediazione e di pace. È evidente che oggi, con una mutata sensi-bilità sui temi legati agli indiani d’Ame-

rica, il suo Wild West Show ci appare comeun esempio di “imperialismo culturale”.Tuttavia, va ricordato che esso ha contri-buito enormemente a rinsaldare lo spiritonazionale americano e ha svolto una fun-zione pedagogica - che oggi appare supe-rata - che ha permesso a una nazioneframmentata e segnata dal conflitto di rico-noscersi in un ideale di virtù cavallerescoimprontato al coraggio e alla lealtà.Quando Cody morì, Marion Mitchell Mor-rison (il nome di battesimo di John Wayne)aveva appena otto anni. Non sappiamoquanto la figura di Buffalo Bill possa averinfluenzato i sogni del bambino Marion equanto quest’ideale di uomo sia penetratonell’intimo della sua coscienza. Sappiamo però, che sarà proprio JohnWayne (1907-1979) a raccogliere partedell’eredità ideale di Buffalo Bill nei suoinumerosissimi film western. Wayne cheraggiunse una fama planetaria, incarnaval’ideale di un eroismo schietto e diretto, unuomo coraggioso e incorruttibile dal carat-tere spesso spigoloso ma sempre pronto aun sacrificio generoso. Se Buffalo Bill però fu un vero combat-tente, Wayne al contrario, fu prevalente-mente un eroe di celluloide. La sua vera battaglia fu combattuta in am-bito culturale e comunicativo. Insieme al-l’amico Ward Bond - caratterista nei filmwestern del regista John Ford - con il qualecondivideva ideali conservatori e patriot-tici, fece parte della Motion Picture Alliance forthe Preservation of American Ideals (MPAPAI,anche MPA) un’associazione formata del1944 da membri dell’Hollywood film industryper difendere l’industria cinematografica ela nazione americana da infiltrazione co-muniste e fasciste. Lo scopo iniziale dell’associazione era digarantire la presenza di personaggi moltoconosciuti nel mondo dello spettacolo pertestimoniare davanti al Congresso in occa-sione di processi contro gli impiegati nel-l’industria cinematografica accusati didiffondere idee comuniste. Tuttavia, in se-guito, consapevoli di quanto il mondo dei

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media rappresentasse il più potente stru-mento di comunicazione di massa disponi-bile all’epoca, s’impegnarono a diffonderegli ideali di vita americani in tutte le pro-duzioni cinematografiche che riuscirono aindirizzare e controllare. Questi ideali da difendere e per cui valevala pena “guerreggiare” erano sintetizzatinello Statuto dell’associazione: la libertà diparlare, di pensare, di vivere, di culto, di lavorare,di governare sé stessi come individui, come uominiliberi; il diritto di avere successo o fallire come uo-mini liberi, secondo la misura della propria capa-cità e della propria forza. Durante tutta la suavita pubblica e privata, Wayne cercò d’in-carnare l’ideale di un’America conserva-trice, liberale, repubblicana eanticomunista. Il suo film del 1968 - uno dei pochi comeregista - Berretti verdi (The Green Berets) am-bientato nella guerra del Vietnam e palese-mente dalla parte dell’esercito americano -accusato, dall’ambiente di sinistra di essereguerrafondaio e reazionario - va letto e col-locato in un più ampio tentativo dell’at-tore-regista di utilizzare il cinema come“arma” nella battaglia culturale. Wayne a differenza di Buffalo Bill, si trovaad agire in un ambiente culturale più tec-nologicamente sviluppato e più consape-vole delle possibilità offerte dal mezzocinematografico. Se in Buffalo Bill il legame con il West eraancora profondo e vissuto, in Wayne e nellagenerazione degli attori del suo periodo,questo legame è molto indebolito e comun-que filtrato dall’ideologia. Nel West di Buffalo Bill c’è ancora qualcosadi selvaggio e naturale, in quello di Wayne,tutto appare già addomesticato e funzionalealla diffusione di una gerarchia di valori dadiffondere. Anche il padre di Wayne influì molto sullavita del proprio figlio. Egli aderì alla Mas-soneria e anche il figlio fu iniziato nel lu-glio del 1970 nella Loggia MarionMcDaniel, No. 56, a Tucson, in Arizona.Nel 1970 ricevette la Legion of Honor dall’Or-der of DeMolay (organizzazione giovanile il

cui nome deriva da Jacques de Molay, l’ul-timo Gran Mestro dell’Ordine dei Tem-plari, fondata a Kansas City, nel Missouri,nel 1919. La pedagogia dell’organizzazionesi fonda su sette Virtù Cardinali, che costi-tuiscono gli ideali di base e gli insegna-menti essenziali dell’organizzazione chesono: l’amore filiale, il rispetto per il sacro,la cortesia, la fraternità, la fedeltà, la puliziae il patriottismo). Nel dicembre del 1970 Wayne è iniziato al“York Rite” o “American Rite” in California ediviene uno “Shriner” nel Tempio: Al Ma-laikah Shrine Temple (ordine massonico diorigini americane che adotta segni Orien-tali come il Fez e gli abiti-gioiello, partico-larmente attivo nell’ambito della medicinae dell’assistenza dei bambini). Nella vita private Wayne si caratterizzavaper un forte legame con la propria famiglia.Fu padre di sette figli che spesso coinvol-geva come attori e come membri della pro-duzione dei propri film. Ammalatosi di cancro ai polmoni, fu unodei primi a dichiarare pubblicamente lapropria malattia, incurante delle conse-guenze sulla sua carriera di attore. Divenneun appassionato difensore della causa deicontrolli preventivi appoggiando pubblica-mente l’azione dell’American Cancer Society.Appassionato della natura e degli animali,amava trascorrere molto tempo in spaziaperti e silenziosi. L’amore profondo per la propria nazione fuanche testimoniato da un album con unapoesia che ricevette anche una “Grammynomination” dal titolo: America Why I LoveHer (Perché amo l’America). Opera caratte-rizzata dall’esaltazione delle bellezze natu-rali del paese: beneath God’s wide, wide sky(poste sotto il grande, grande cielo di Dio).Wayne morì all’età di 72 anni l’11 giugno1979. Oggi la John Wayne Cancer Foundation,il Team Duke e il John Wayne Cancer Instituteconducono ricerche per la lotta contro i tu-mori. Se compariamo questi due personaggi dalpunto di vista della loro aderenza agliideali massonici, possiamo osservare come

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abbiano cercato di applicare un mondod’ideali eterni e immutabili alle proprie cir-costanze storiche.Cody visse in un’epoca ancora caratteriz-zata da ideali cavallereschi, guerrieri, pa-triottici. Un’epoca in cui lo scontro fisicoera diretto e decisivo. Un’epoca di terre im-mense e incontaminate, una terra ancoraselvaggia e dominata dai ritmi della natura.Un’epoca in cui la virtù era vincolata allacapacità di sopravvivere in un ambientespesso ostile. Wayne visse in un’epoca di-versa, erede della precedente ma che inbrevissimo tempo avrebbe trasformato ra-dicalmente il volto dell’America e delmondo. Un tempo segnato dall’industrializzazionee dalla mobilitazione totale. La secondaGuerra Mondiale e successiva GuerraFredda segneranno totalmente lo stile divita americano e tutti quelli che si trova-rono a ricoprire incarichi di grandi respon-sabilità e visibilità pubblica dovetteronecessariamente intervenire e schierarsidalla parte della nazione, oppure, subire ilcarcere e l’esclusione sociale. Impegnarsi significava agire in ambito cul-turale e lottare per la conquista dell’egemo-nia americana sul resto del pianeta. In questa prospettiva, Wayne incarnò per-fettamente gli ideali dell’americano medioche si sentiva ben rappresentato e protettoda un uomo che nei suoi film lottava senzariserve contro “tutti i nemici” della nazione.Buffalo Bill e John Wayne furono due mas-soni impegnati nella difesa dei valori tra-dizionali della propria nazione. Valori chesono cambiati nel corso del tempo ma chehanno richiesto per essere sostenuti un im-pegno costante nella vita pubblica e pri-vata. Si può non essere d’accordo sui valori di-fesi da questi due miti americani ma, dicerto, se ne ricava una lezione profonda: ivalori non camminano da soli, hanno bisogno te-stimoni in grado di agire coerentemente con i pro-pri ideali.

Bibliografia di riferimento

Russel D., The Lives and Legends of Buffalo Bill, Nor-man, University of Oklahoma Press, 1960;Barnes J., The Great Plains Guide to Buffalo Bill,Stackpole Books, Mechanicsburg (US) 2014;Rydell R. W. – Kroes R., Buffalo Bill show: il west sel-vaggio, l’Europa e l’americanizzazione del mondo,Roma, Donzelli, 2006; Bussoni M., Buffalo Bill in Italia: l’epopea del WildWest Show, Fidenza, Mattioli 1885, 2011;Carter R. A., Buffalo Bill Cody: the man behind thelegend, New York, Wiley & Sons, 2000;Merati, L., Buffalo Bill, Bresso, Hobby & Work, 1999;Davis W. C., Gli uomini della frontiera: alla conquistadel West 1800-1899, Milano, IdeaLibri, 1993;Fees, P., Frontier America: art and treasures of theOld West from the Buffalo Bill Historical Center, NewYork, The Buffalo Bill Historical Center in associationwith H.N. Abrams, 1988;Blackstone S. J., Buckskins, bullets, and business: ahistory of Buffalo Bill’s Wild West, New York, Green-wood Press, 1986;Kazanjian H,-Enss C., The Young Duke: The EarlyLife of John Wayne, Guilford, Globe Pequot Press2009;Wills G., John Wayne: the politics of celebrity, Londra,Faber and Faber, 1999;Roberts R., John Wayne: American, New York, Freepress, 1995;Magrelli E., John Wayne: la vita, il mito, i film, Mi-lano, S. Berlusconi Editore, 1989; Zolotow M., Shooting star: a biography of JohnWayne,New York, Simon and Schuster, 1974;Ceplair, L., The inquisition in Hollywood: politics inthe film community, 1930-60, Urbana-Chicago, Uni-versity of Illinois Press, 2003.

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William Frederick Cody

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Cosa resta di un uomo, quando lasua vita si ferma, rendendolo unabitante del passato? Attraversata

la soglia del metà cammino me lo chiedo.E ancora di più mi chiedo cosa resta di unuomo famoso, che ha condiviso gran partedella sua identità con l’immagine, o le im-magini, che milioni di persone avevano dilui. Cosa resta di quelle immagini, dei sor-risi o delle lacrime, delle emozioni che hasuscitato? A parte i pochi scelti dalla Storia come im-mortali, quelli cui è dato lanciare il proprioriverbero sui millenni, di certo la fama puòpoco contro il tempo, che quando inghiottelo fa senza riguardi e lascia indietro, per chiresta, solo un piccolo sacchetto di ricordi. Un sacchetto insignificante finché non glisi dà attenzione. Non appena scosso, però,o guardato più da vicino, il sacchettomanda una polvere di memoria così pene-trante che è impossibile non starnutirefuori, dalla cantina dei ricordi, odori, voci,vibrazioni leggere, che riprendono corpointatte, come appena dietro una porta chesembrava di averla socchiusa il giornoprima.

In quel giorno, però, sei cresciuto più di unmetro, hai cambiato colore di capelli, se tisono rimasti, e la luce degli occhi ha presosfumature inaspettate. In un attimo attra-versi la soglia e sei lì, seduto sul divano, lafamiglia intorno variamente indaffarata egli occhi che ridono, presi al laccio dalloschermo di uno scatolone decorato da unpaio di vistose manopole e saldato dal suostesso peso a una mensola di vetro chequattro ventose succhiano e incollano a duepacifici tubolari di alluminio dorato, im-bullonati a dovere a un alto -per me alto-trespolo di legno bruno.È sabato, lo scatolone offre primi piani inbianco e nero... “Signore e Signori... Ali-ghiero Noschese!” Cosa farà stasera? La domanda rimbalza frail divano e la tavola già apparecchiata eprelude allo stupore dei commenti succes-sivi, agli “no... incredibile, vieni a vederesembra proprio lui... ma anche la voce!”Cosa farà stasera? La curiosità rimanda alla prima volta cheho imparato che esisteva l’imitatore. E l’imi-tatore è solo lui, unico, quella specie dimago capace di prendere sembianze e vocidi altri: di Alberto Sordi, Giulio Andreotti,Ugo Zatterin, Tito Stagno, Ruggero Or-lando... nomi che appartengono al mio im-maginario di bambino solo perchél’imitatore li imita. Io ho conosciuto quei personaggi perchéAlighiero Noschese li imitava e ricono-scevo Alighiero Noschese quasi esclusiva-mente nell’imitazione di quei personaggi.Vederlo senza trucco, alle prese con sestesso, dava l’idea che mancasse qualcosa,c’era quasi l’imbarazzo di non sapere chifosse quel signore delicato, forse fragile,che, maestro di ironia, diceva di sé: “per voile voci passano, a me entrano e restano, re-stano dentro... la mia voce... fra tante belle

SIGNORE E SIGNORI...ALIGHIERO NOSCHESE!

Gabriele Duma

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Alighiero Noschese

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voci che imito, la mia vera voce è questaschifezza che state ascoltando...”.Era così tanto se stesso nel momento in cuisi plasmava sulle molte identità che raccon-tava, che veniva chiamato: attore, ladro dianime, vampiro, camaleonte, clown... maanche... fragile, insicuro, ipocondriaco... etanti nomi ancora, che trascolorano e si fon-dono nell’unica sintesi: Noschese. È un nome che ancora oggi sentirlo mi spo-sta sul binario del tempo. Cosa resta di quell’uomo tanto gentile etrasparente da lasciarsi attraversare daimille volti e dalle mille voci con cui gio-cava e divertiva, di quell’uomo di plastilinache, cadendo, ci si sarebbe aspettati potesserimbalzare come un personaggio da car-toon?Resta una biografia, che vuol dire paginedi vita. Pagine. Leggendo certi racconti michiedo sempre quante pagine può durare lavita di un uomo o di una donna e vedo cheper quante possano essercene di chiare,semplici, da lettura veloce, ce n’è semprequalcuna piena di ombre, rugosa, spiegaz-zata, con i segni che sfumano e in parte siconfondono. Sono le pagine del mistero diogni esistenza, che fanno pensare, inse-gnano molto a chi vi indugia, non dannomai certezze, solo domande, e punisconomandando in confusione chi si illude dipossederne la chiave.

Pagine di vita.

Alighiero Noschese nacque a Napoli, nelquartiere Vomero, e vi trascorse l’infanzia.Aveva antenati polacchi ed una nonna te-desca, era figlio di un funzionario delle Do-gane del Tirreno e di una professoressa. Pervolontà paterna intraprese studi di giuri-sprudenza, che alternava però alla passioneper il teatro e la politica. Divenne segreta-rio della federazione giovanile comunistadi Napoli.Del periodo universitario resta un aned-doto goliardico, che racconta di due impe-gnativi esami superati conferendorispettivamente con la voce di AmedeoNazzari e con quella di Totò. Già da quel

momento, evidentemente, l’attore fu pro-mosso a pieni voti superando l’avvocato.Dopo un timido inizio da giornalista venneassunto come praticante nel giornale radiodella Rai, allora diretto da Vittorio Veltroni(padre di Walter). All’inizio degli anni cin-quanta fu scritturato nella Compagnia diProsa della RAI di Roma. Dal ’53, Garineie Giovannini gli affidarono la trasmissioneradiofonica Caccia al tesoro, mentre contem-poraneamente proseguiva l’attività teatralecon la compagnia Billi e Riva. Continuandoad alternare i successi teatrali a quelli ra-diofonici, nel ‘54, ottiene una parte nelprimo sceneggiato televisivo messo inonda: Il dottor Antonio. Dopo la partecipa-zione a vari programmi, a metà degli annisessanta, furono ancora Garinei e Giovan-nini a permettergli, come protagonista inteatro dei due spettacoli: Scanzonatissimo eLa voce dei padroni, di sperimentare per laprima volta l’imitazione di personaggi po-litici, i quali, a dispetto di ogni previsione,parvero compiacersi dell’effetto di maggiorvisibilità ottenuta. Nel 1969, con la partecipazione al varietàtelevisivo del sabato sera Doppia coppia, ar-riva la consacrazione a personaggio diprimo piano, con tanto di autorizzazione aimitare, questa volta in televisione, i per-sonaggi politici, cosa fino ad allora proi-bita. Determinante risulta il consensodell’ex docente presso la facoltà di Giuri-sprudenza dell’Università di Napoli, Gio-vanni Leone, futuro Presidente dellaRepubblica.Da quel momento, essere imitati da No-schese diventa sinonimo di celebrità, lu-singa da cui raramente si sono visti politiciimmuni.La brillante carriera prosegue con le dueedizioni di Canzonissima presentate da Cor-rado nel 1970 e nel 1971, e successiva-mente con Loretta Goggi in Formula due nel1973.Alighiero condivise sempre la creazionedelle sue mirabili caricature con il grandesceneggiatore napoletano, autore dei suoitesti, Dino Verde, e la truccatrice Ida Mon-

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tanari.Lo scatolone, in rigoroso bianco e nero,continua a offrire all’occhio della mia me-moria le memorabili interpretazioni del te-legiornalista Mario Pastore, costretto asmentire ogni notizia appena data con un:“Mi dicono che non è vero”; del giornalista RaiJader Jacobelli che giustificava la messa inonda delle tribune elettorali con il bisognodi “di...sputare” sui problemi del Paese;della sospirosa annunciatrice MariolinaCannuli; del toscanissimo Amintore Fan-fani; dei giornalisti Paolo Cavallina, Rug-gero Orlando, Tito Stagno, Ugo Zatterin;poi di Mike Bongiorno, Gianni Morandi,Alberto Sordi, Ugo La Malfa, GiovanniLeone, Marco Pannella... Finché lungo questa teoria di brillanti suc-cessi qualcosa si incrina... è il 1974 interfe-renze sul mio schermo annunciano lepagine sgualcite. I “si dice” prendono ilposto dei suoi giochi, delle sue imitazioni.Si dice che il divorzio dalla moglie sposatanel ‘63 e il conseguente allontanamento daisuoi due figli, sia per Noschese un bruttocolpo, che lo affonda sempre più nella de-pressione. Si dice sia un male forse covatoda sempre, come l’ombra della sua genialecapacità di rifugiarsi nelle maschere cherappresenta.Negli anni seguenti partecipò ad alcunetrasmissioni sulle neonate televisioni pri-vate, si dice che nulla fu più come prima. Anche la Storia d’Italia, che virava rapida-mente al cupo clima degli anni di piombo,contribuì a gelare il fuoco del suo entusia-smo. L’ultimo programma televisivo a cuipartecipò, Ma che sera condotto da RaffaellaCarrà nel 1978, e che avrebbe dovuto se-gnare il suo rientro dopo quattro anni di si-lenzio, andò in onda proprio durante igiorni del rapimento di Aldo Moro, inun’atmosfera che non disponeva certo alsorriso e alla satira politica. Ora il televisore tace. Il rumore grigio delletrasmissioni interrotte è l’unico suono cheaccompagna la notizia del 12 novembre1979: Alighiero Noschese decide di so-spendere le prove de L’inferno può attendere,

spettacolo teatrale che preparava con MariaRosaria Omaggio, e si fa ricoverare per cu-rare la sua malinconia.Ora il tenero sorriso dell’imitatore è pallidoe sfumato. Il lucente bianco e nero di tantivarietà s’è fuso in un grigio che deborda elo ingloba, trascinando la sua favola versoun tragico e assurdo epilogo. L’assurdo,quando irrompe in una storia è disarmante,perché si nutre di normalità, non permettealcuna plausibile spiegazione, eppure simanifesta in modo così significativo, darendere impossibile il tacere. Così glieventi divengono mistero. Mistero, parolacara all’iniziato... e torbida per il profano.

Il mistero di Noschese.

Un colpo di pistola alla tempia mentre eraricoverato a Villa Stuart, clinica privata ro-mana. Ma come mai era armato? Chi ha permessoa un ricoverato con esaurimento nervoso ecrisi depressive di tenere un’arma? Fu imperdonabile cialtroneria, negligenzao malafede?Qui il mistero sublima in italica confusionee mescola l’appartenenza alla Massoneriadel Cavaliere Kadosh del Rito Scozzese(iscritto dapprima alla fratellanza di Piazzadel Gesù, poi lasciata per entrare nelGrande Oriente d’Italia, prima di finirenella P2 di Gelli), con la patologia e con lapresenza nella stessa clinica, nello stessogiorno, di Giulio Andreotti, ricoverato peruna operazione alla cistifellea e di Mario-lina Cannuli, la tanto imitata annuncia-trice...1979, nel pieno degli anni di piombo, gliumori del piombo avvelenano ogni cosa.Un generale dichiara alla rivista l’Espressoche “per i depistaggi sulle stragi dellaprima metà degli anni ’70, si era fatto ri-corso anche a telefonate affidate ad un abileimitatore, abile anche nei dialetti...”La favola si ammala di deviazione, per uncontagio cui non resta immune la Storia dicui è parte, coi suoi servizi deviati, la sua mas-soneria deviata... La speranza è che ogni cel-

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lula ammalata sia già parte di un sistemaattivatosi a produrre i suoi anticorpi. Matutte le supposizioni, essendo solo suppo-sizioni, offendono la memoria di chi fu el’intelligenza di chi resta. Ciò che dolorosamente resta è che la mat-tina del 3 dicembre il revolver personaleferma, a soli 47 anni, la vita del FratelloAlighiero Noschese. Un colpo alla tempianella cappella del giardino della clinica ro-mana. La salma viene poi trasportata e tu-mulata, come da sua volontà, nel cimiterodi San Giorgio a Cremano, ove riposa tut-tora, nel luogo in cui, durante i difficili pe-riodi di depressione, amava ritirarsi inmeditazione presso un istituto religioso.“E se fosse davvero diventato un così abile

imitatore solo per colmare un vuoto inte-riore sconosciuto? Di fronte al mistero diun uomo che si toglie la vita bisognerebbetacere...”, dirà Enzo Biagi.Resto un poco in silenzio. Con un piccolosforzo una melodia semplice e vivace si av-vicina e rimbalza nell’orecchio interno conla voce di Noschese. Quella voce, tutt’altroche una schifezza, ora intona:“Ma che sera questa sera... ci vediamoun’altra sera. Questa sera, buona sera... Ali-ghiero vi saluta e se ne va”. La porta discretamente si richiude. Nel si-lenzio del Tempio Interiore ora lo vedo conchiarezza, ciò che resta di quell’uomo è unsemplice, candido e luminoso sorriso.

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Alighiero Noschese con Nino Manfredi

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Il 12 gennaio 2014, all’indomani dellascomparsa – all’età di 97 anni – di Ar-noldo Foà, il Gran Maestro del Grande

Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, Gu-stavo Raffi, ricordava con queste parole ilcelebre artista ferrarese: «Arnoldo Foàamava definirsi semplicemente un pensa-tore. Ma era molto di più. […] un intellet-tuale straordinario che con la sua passionecivile ha dato lustro al nostro paese».Pochi lemmi, ma carichi di significato, percommemorare una mente viva, distaccatadalla materialità del quotidiano e con unapropensione a quell’apertura del cuore cheforse solo coloro che sono stati iniziati allaLibera Muratorìa sono in grado di vivereconsapevolmente. E infatti, Arnoldo Foà, nato nel 1916 a Fer-rara da famiglia di religione ebraica, erastato iniziato nel 1947 nella RispettabileLoggia Alto Adige, numero 150 all’Orientedi Roma.È pressoché impossibile conoscere i motiviche indussero il celebre attore a entrarenell’Istituzione massonica del GrandeOriente d’Italia. Nella documentazione rela-tiva alla Loggia romana di appartenenza non

sono, infatti, presenti informazioni concer-nenti il fratello Foà; nondimeno è possibilesupporre che un carattere predisposto allaproiezione verso il proprio interno – equindi verso il proprio VITRIOL –, una cu-riosità intellettuale e un desiderio profondodi libertà fossero inclinazioni che avrebberopotuto trovare ampia corrispondenza nellaMassoneria, comunione nella quale indivi-dui intelligenti, liberi e di buoni costumi,come ricordano gli Antichi Doveri, potevanoincontrarsi e confrontarsi per costruire unavisione nuova dell’umanità e degli uomini,a due anni dalla conclusione della secondaguerra mondiale. Del resto, proprio nel periodo che precedetteil conflitto, Foà aveva vissuto in prima per-sona la drammaticità delle leggi razziali del1938, allorquando venne allontanato, inquanto ebreo, dal Centro Sperimentale diCinematografia di Roma e costretto a lavo-rare nel cinema solo sotto falso nome, in so-stituzione di attori malati. E però, la dipartita da Roma non arrestò laforza di volontà dell’uomo la cui voceavrebbe gettato luce nell’oscurità del se-condo conflitto mondiale: a Napoli, infatti,divenne annunciatore alla Radio AlleataPWB, comunicando – ironia della sorte –, lamattina dell’8 settembre 1943, la firmadell’armistizio.Terminata la guerra, Foà si «riappropriò»del suo nome, riuscendo a esprimere edestrinsecare la sua straordinaria versatilità,unendosi a numerose compagnie teatrali –su tutte la Ferrati-Cortese-Scelzo, la Cervi-Morelli-Stoppa sotto la guida di Visconti ela Compagnia del Teatro Nazionale direttada Guido Salvini – come attore, nonché la-vorando come autore, doppiatore, pittore,regista, romanziere e scultore. In scena e non solo, egli poté così affinare,come in un procedimento alchemico, la sua

ARNOLDO FOÀ:CAVALIERE DEL LIBERO PENSIERO

di Lorenzo Bellei Mussini

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Arnoldo Foà. Photo: Puccio Gamma (1950)

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«materia prima», ovvero la sua personalità, conle qualità che venivano potenziate e i difettiche venivano trasmutati. D’altra parte, la fi-nezza e la duttilità che lo caratterizzarono ri-chiamavano quei talenti che, in quantoespressione dell’anima e dell’intelletto, lo ren-devano un artista intento a realizzare la propriavisione interiore. Sicché, come divino artigianoche contemplando le Idee plasma la materiasul modello delle Idee stesse, Foà fondeva learti di cui era interprete nel tentativo di creare,forse, un’opera unitaria e distillata della pro-pria esperienza biografica. Solo con questepremesse è quindi possibile intravedere, nellavita di Arnoldo Foà, l’atto di fedeltà di un ar-tista, di un intellettuale e di un massone neiconfronti di una strenuitas, espressione di unaforza vitale in espansione.Su questo tratto si fonda, invero, tutta la suaproduzione artistica e letteraria: le sue nume-rose registrazioni in vinile di dizioni poetichene manifestano, soprattutto, la grande atten-zione e capacità nel trasferire e trasmettere latensione spirituale contenuta in un capolavoroquale la Commedia di Dante, l’aspirazione allalibertà tipica delle opere di Lucrezio, la ten-sione nei confronti della vita e della patrianelle poesie del fratello Giosuè Carducci e lasperanza di educazione del popolo nei lavoridi Leopardi. Inoltre, attraverso la lettura deisuoi romanzi – La costituzione di Prinz, Le pompedi Satana e, in particolare, l’Autobiografia di unartista burbero – è possibile evincere non solo lasensibilità dell’artista e il suo profondo desi-derio di autorealizzazione («amore per la vita,per l’uomo che avrei potuto diventare»), maanche la sua incisiva ironia – tra i principi dellaLibertà – e il suo pensiero laico, peculiarità chelo fecero portatore – nonché paladino e difen-sore – di quei valori assoluti che la Libera Mu-ratorìa da sempre promuove: Libertà,Uguaglianza e Fratellanza, ma anche tolle-ranza, coerenza e rettitudine che interagirononella formazione di Foà e nel suo impegno ar-tistico. D’altronde, l’impegno personale a mi-gliorare se stesso e la società avrebbe trovatoun adeguato completamento proprio nell’in-contro con la Massoneria, «realtà portatrice divalori costruttivi, mossa da una tolleranza at-

tiva, volta a costruire una società più giusta»(Gustavo Raffi).Sicché, alla stregua di un cavaliere, vigilante eperseverante, Arnoldo Foà – artista dell’esi-stenza – dovette molto lottare e molto sfidareper non soccombere mai alla banalità dellaquotidianità; mentre come costruttore del-l’umanità, riflettendo su se stesso, disse di averraggiunto il suo scopo: «[…] quello di farequalcosa per l’umanità che amo». Cavaliere e costruttore, quindi, due ruoli che iLiberi Muratori dovrebbero saper interpretare,giacché se il primo, come ha sottolineato recen-temente il Grande Oratore Claudio Bonvec-chio, aspira a diventare vero uomo, attraversola lotta contro la propria fragilità interiore, con-tro la banalità, cavalcando da solo verso la lucesenza guardare chi ha intorno, il secondo deveedificare il proprio Tempio interiore durante lapropria esistenza, senza mai perdere l’afflatoverso il Trascendente e industriandosi per ren-dere eterni simboli antichi. Armato di spada(Giustizia) - e forse anche di scudo (Sapienza)– come il personaggio di Capitan Fracassa daegli interpretato con successo nell’omonimosceneggiato televisivo del 1958, Arnoldo Foà,dopo numerose peripezie, raggiunse la consa-pevolezza e la responsabilità di aver lavoratonon solo per se stesso ma anche per il bene e ilprogresso dell’umanità. Il suo percorso po-trebbe condurre colui che lo rilegge alla sco-perta e alla realizzazione di Grandi Opere: soloin questa direzione il celebre artista ferraresepotrebbe presentarsi ai suoi ascoltatori, lettorie spettatori come un cavaliere del libero pen-siero, nel tentativo di diventare immortalenella lotta contro la morte interna. Se è vero che solo colui che si interroga è sem-pre attuale e moderno e se è vero che la predi-sposizione al dubbio deve essere uno deglielementi distintivi del Libero Muratore, alloraArnoldo Foà riuscì a essere una coscienza at-tiva per la Massoneria italiana del GrandeOriente d’Italia. Egli può essere, pertanto, con-siderato come un mattone della Tradizione, chea sua volta rappresenta l’ancoraggio per poterandare verso il futuro e la modernità, nel con-tinuo tentativo di tradurre la nostra ereditàsenza tradirne mai il messaggio eterno.

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Aldo Fabrizi (Roma 1905 - Roma1990) e Paolo Stoppa (Roma 1906- Roma 1988) nascono a Roma e

pur nella diversità dei ruoli interpretati,sono entrambi espressione di quella roma-nità sagace e capace di cogliere dettagli ri-velatori. Dettagli che una volta colti eisolati diventano l’elemento sul quale co-struire personaggi che compongono unagalleria fotografica di vezzi, vizi e virtù diuna società, quella italiana, fascista e con-tadina e poi repubblicana e industrializ-zata. Si tratta del dettaglio che tradisce leorigini sociali tenacemente nascoste o levere intenzioni al di là dei sorrisi e delle di-sponibilità dichiarate o, al contrario, cheracconta di buoni sentimenti celati per pu-dore. Sono i caratteri autentici dell’umanitàche affolla le strade della capitale e oltre,sino a ricomprendere caratteri generali cheappartengono agli uomini di ogni epoca edi ogni latitudine. Più che una lunga edesaustiva elencazione di titoli e di collabo-razioni, è questo l’aspetto al centro dellamia breve riflessione. Entrambi appartengono a quella ristrettaélite di attori che possiedono ben altri stru-

menti oltre la capacità di recitazione e tra-sformazione. Gli occhi sono macchine foto-grafiche pronte a cogliere quel particolareche una volta elaborato, seguendo lo stessoprocedimento della fotografia nella cameraoscura, rende nitida l’immagine che di-venta un nuovo personaggio dallo spessoreunico.Entrambi hanno in comune, ancora, lostesso tipo di allenamento, frequentano in-fatti la stessa palestra: la loggia massonica.Aderiscono alla Gran Loggia degli AntichiLiberi Accettati Muratori e sono legati allaLoggia Gustavo Modena come molto altricolleghi, altrettanto noti, del mondo dellospettacolo di quegli anni. NonostanteStoppa abbia sempre negato la sua affilia-zione, durante il fascismo il suo nome com-pariva negli elenchi dei potenzialisovversivi controllati dal regime in quantoiscritto alla massoneria.Sebbene storicamente la massoneria abbiasempre accolto in loggia artisti di ogni tipo,in Italia la persecuzione fascista prima el’influenza della gerarchia vaticana sul re-gime democristiano in seguito, hanno rap-presentato un forte disincentivo adichiarare la propria affiliazione. Nell’Italiacattolica e bacchettona del secondo dopo-guerra, il veto di un potente dell’establi-shment poteva rappresentare un ostacoloinsormontabile. Per non parlare della rea-zione che avrebbe potuto determinare nellasocietà e quindi tra il pubblico. Eppure,questa identità apparentemente celata sidisvela nella capacità di cogliere e rivelarel’umanità al pubblico che è fonte d’ispira-zione suo malgrado e che suo malgrado èmesso di fronte a una visione (teatrale e ci-nematografica) rivelatrice: la connessionetra comportamenti e caratteri. Il pubblicoride e si commuove di sé stesso, prova tur-bamento perché ognuno nel proprio intimo

FOTOGRAFI D’ITALIA:ALDO FABRIZI E PAOLO STOPPA

di Monica Campagnoli

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Paolo Stoppa

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- nel buio della sala cinematografica, delteatro o del proprio salotto - è per un attimocostretto a fare i conti con il vero sé stessogelosamente nascosto nelle pieghe del pro-prio animo e ad ammettere se c’è più del-l’eroico don Pietro interpretato da Fabrizinel film capolavoro di Rossellini, Roma cittàaperta (1945) o dell’ex fascista pusillaminea cui presta il volto Paolo Stoppa in un ce-lebre episodio della serie Peppone e don Ca-millo. Aldo Fabrizi nasce in un quartiere popolaree debutta in periferia1. A teatro. Stoppa ap-partiene a una Roma più agiata, quelladella borghesia. Dopo avere abbandonatogli studi giuridici entra nella scuola di re-citazione Eleonora Duse2. Non deve preoc-cuparsi del suo mantenimento né di quellodella famiglia e le condizioni economichedi cui gode, gli consentono di seguire lasua vocazione cimentandosi in ruoli bril-lanti e poi via via in personaggi più duri,ambigui, malinconici. Tanto grande nelruolo di uomini tanto piccoli che riescono,nonostante tutto, a strappare un sorriso nondisgiunto da pena e fors’anche da fastidio.Fabrizi è il primogenito di sei figli e deve,ancora bambino, abbandonare gli studi perlavorare e aiutare la famiglia svolgendo ilavori più disparati. La sua scuola di reci-tazione è la vita.Per entrambi il debutto avviene a teatro nelcorso degli anni Venti. Fabrizi esordisce inquelli di periferia, dove i sogni sono piùgrandi e il pubblico nazional-popolare. Unpubblico che Fabrizi conosce bene perchéanche lui è uno di loro. E’ un pubblico piùdifficile, che interrompe e rumoreggia e chesai tenere a bada o finisce per prendere iltuo posto.Esordio da macchiettista, seguendo unapassione che è vocazione, anche se a teatroha già prestato le sue parole come canzo-niere. A portare in scena le sue canzoni èBeatrice Rocchi in arte Reginella, con laquale gira tutti i teatri d’Italia, diventa suamoglie e lascia poi il palcoscenico per oc-cuparsi dei due figli. Seguono radio, cinema - come attore e re-

gista -, ancora teatro e televisione. La con-sacrazione c’è con il ruolo drammatico didon Pietro a fianco di Anna Magnani nel1945 in Roma città aperta. La stagione neo-realista vede Fabrizi tra i suoi protagonisti(diretto nel 1948 da De Sica in Ladri di bici-clette). Una carriera lunga e ricca di collabo-razioni, a teatro, nel cinema, in televisione,con Steno, Monicelli, Scola, Garinei e Gio-vannini, Fellini. La sua passione per la cucina è più di unhobby, è un’altra espressione della sua arte,è un omaggio alle sue origini popolari, di(ex) giovane affamato di cibo e di vita checelebra in versi la pastasciutta. Buongu-staio, palato allenato e lingua al vetriolostando al racconto del Fabrizi privato trac-ciato da uno dei figli3.Anche per Stoppa l’esordio avviene sulpalcoscenico del teatro e prosegue con il ci-nema e la televisione. Dalla fine degli anniVenti interpreta via via ruoli sempre più si-gnificativi. Negli anni Trenta entra a fareparte della compagnia stabile del TeatroEliseo e stabilmente fa coppia artistica e divita con l’attrice Rina Morelli e con leiforma la compagnia Stoppa-Morelli chesotto la direzione di Luchino Visconti di-viene una delle compagnie teatrali più im-portanti. L’esordio al cinema vedeprotagonista la sua voce, un po’ come peril Fabrizi cantante degli inizi con la sua Re-ginella, è infatti doppiatore di molti attorifamosi (Fred Astaire e Kirk Douglas adesempio) e tra i fondatori della CooperativaDoppiatori Cinematografici. Una carrierache lo porta a lavorare con i più grandimaestri del cinema: Monicelli, De Sica, Vi-sconti, Rossellini, Risi, Luigi Comencini,Dino Risi, Leone.Le interpretazioni di Fabrizi e Stoppa sem-brano un trattato sociologico più che unagalleria di personaggi. L’italiano che si ar-rangia confonde e sovrappone la grande ri-sorsa della creatività italica con l’imbroglio.Il tranviere, il pescivendolo, il bigliettaio ei tanti personaggi interpretati da Fabrizisono uomini ingenui, impiccioni, rompi-scatole, di buon cuore, egoisti, furbi. Sono

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uomini che appartengono a tutte le epoche.La guardia che rimbrotta severamente il la-druncolo Totò in Guardie e ladri (1951), nonviene meno al proprio dovere di tutoredella legge se in fondo prova comprensioneper la povertà e le difficoltà quotidiane delladro. Lo straordinario PaoloStoppa/Calogero Se-dara ne Il Gattopardo (1963) è un parvenusenza tempo. I caporali che Stoppa inter-preta in Siamo uomini o caporali (1955) sonoopportunisti e trasformisti come tantitroppo uomini di potere di ogni stagionepolitica; sono forti con i deboli e viceversacome tanti troppi uomini tout court. Ep-pure strappano un sorriso anche i perso-naggi più sgradevoli, come l’ex fascista alquale è ancora Stoppa a prestare il volto inuno dei film della serie Peppone e don Camillo(interpretati rispettivamente da Fernandele Cervi). Un vile che non ha semplicementeseguito il corso degli eventi. Il suo esserefascista è una sorta di travestimento per-fetto per celare e al tempo stesso manife-stare la sua natura di prevaricatore, si, masolo se spalleggiato dal gruppo degli squa-

dristi. A guerra finita, per tornare nel suopaese deve aspettare l’occasione fornita dalCarnevale, ricorrendo ancora a un travesti-mento. Il costume da indiano che dovrebbeproteggerne l’identità, svela la sua naturadi uomo vile e pieno di paura nel momentoin cui resta solo ad affrontare le conse-guenze delle sue azioni. Stoppa e Fabrizi portano in scena l’uomoin tutte le sue sfaccettature, con una incre-dibile capacità di cogliere la verità nel det-taglio e di rivelarla spietatamente, senzagiustificare, senza condannare. Il giudizioè lasciato al pubblico, e al singolo la possi-bilità di identificarsi e riflettere.

Note1 S. Sallusti, Fabrizi Aldo, in Dizionario biografico degliitaliani, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 43,Roma, 1993, ad vocem.2 N. Fano, Stoppa Paolo, in Enciclopedia del cinema Trec-cani, 2004 e U. Tani, Stoppa Paolo, in Enciclopedia dellospettacolo, IX vol., Roma, 1954, ad vocem.3 M. Fabrizi, Aldo Fabrizi, mio padre, Roma, Gremeseeditore, 2006.

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Totò e Fabrizi in “Guardie e ladri”

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Ricordo come fosse ieri. Era l’au-tunno del 2004. Mi trovavo nell’Ar-chivio del Grande Oriente d’Italia,

al Vascello. Avevo già consultato e ricon-sultato i 25 faldoni di cui si compongonoquelle che si è soliti definire Le carte dell’esi-lio, vale a dire la documentazione relativaalla storia della Massoneria italiana neglianni della persecuzione fascista. Ma queldocumento, il documento, era introvabile,forse disperso per sempre. Quand’ecco che,alla terza “ripassata”, in mezzo a carte e car-telle di maggiore dimensioni intravedodieci foglietti, di colore celestino, scritti amano, che il trascorrere del tempo e la mo-desta qualità della carta rendono appenaleggibili. E’ quello che cercavo e che ormaidisperavo di trovare: l’atto ricostituivo delGrande Oriente d’Italia in esilio, cioè a direil verbale dell’assemblea di delegati che sitiene a Parigi il 12 gennaio 1930 nella sa-

letta riservata di un ristorante del quartierelatino, la Taverna Gruber per l’esattezza. Ne feci ovvio riferimento nel mio lavorodel 2005 su La Massoneria italiana nell’esilio enella clandestinità 1927-1939 e lo inserii treanni dopo nella sezione documentaria delvolume Alessandro Tedeschi Gran Maestro del-l’esilio. Lo ripropongo ora all’attenzione deilettori di MassonicaMente, vuoi per l’eccezio-nale valore documentario del testo, vuoiper rendere omaggio alla memoria di queinostri Fratelli che, con grande tenacia e aprezzo di non pochi sacrifici, seppero te-nere viva in esilio la tradizione della Mas-soneria perseguitata in patria e cosìtestimoniare la fedeltà dei Liberi Muratoriitaliani a quel trinomio Libertà - Egua-glianza - Fratellanza di cui i regimi totali-tari del Novecento, e il fascismo italiano traessi, costituirono l’antitesi radicale.Ai fini della comprensione del documento,basti ricordare che sono essenzialmentedue i fattori che inducono i Fratelli giusti-nianei a rialzare, ad oltre quattro anni di di-stanza dallo scioglimento dell’Ordine inItalia imposto dal fascismo, le colonne delTempio in terra d’esilio. Il primo è che l’in-dubbio consolidamento del regime fascistaa seguito della stipula dei Patti lateranensie la caduta di ogni illusione residua circa lapossibilità di un rovesciamento in tempibrevi, per effetti di una crisi finanziaria, diun intervento risolutore del re o altro, delGoverno Mussolini, lascia presagire unalotta dai tempi lunghi, in previsione dellaquale non può non porsi l’esigenza di faresopravvivere, quantomeno in esilio e siapure a un livello poco più che simbolico-rappresentativo, la tradizione della LiberaMuratoria italiana. Il secondo è che il pro-trarsi di una condizione di incertezza e distallo non solo avrebbe privato di un puntodi riferimento, sia pure all’estero, i Fratelli

12 GENNAIO 1930:IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA RISORGE IN ESILIO

di Santi Fedele

IL RIORDINO DELLA MEMORIA 38

Copertina del libro “Alessandro TedeschiGran Maestro dell’esilio” di Santi Fedele.

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desiderosi di tenere in vita in Italia, contutti i rischi del caso, la consuetudine dellavoro massonico, ma avrebbe finito conl’innestare fenomeni disgregativi tra quelleLogge estere che, anche dopo la gravissimacrisi della metà degli anni Venti, non solosi erano mantenute all’obbedienza delGrande Oriente d’Italia ma, anche dopo ilsuo scioglimento in patria, avevano conti-nuato ad operare in piena autonomia, resi-stendo alle pressioni assimilatrici deiGrandi Orienti dei paesi in cui si trova-vano. Alle iniziali quattro Logge rappre-sentate nella Assemblea costitutiva del 12gennaio 1930 (la Giovanni Amendola di Pa-rigi, la Ettore Ferrari di Londra, la Labor etLux di Salonicco e, operante in clandesti-nità, la Rienzi di Roma) se ne aggiunge-ranno presto altre sette (la Mazzini eGaribaldi di Tunisi, le Logge argentine

Unione Italiana, I Figli d’Italia, Federico Cam-panella, I Sette Colli e Nadir, la Loggia clan-destina Italia di Milano) mentre alla guidadell’Ordine ad Eugenio Chiesa, decedutonel giugno del 1930, dopo l’intermezzodella breve Gran Maestranza di Arturo La-briola, subentra sul finire del 1931 Ales-sandro Tedeschi, che terrà il supremomaglietto sino al giorno della morte che locoglie il 19 agosto del 1940 poche oreprima di essere raggiunto dagli agenti dellaGestapo incaricati dell’arresto dell’antifa-scista ed ebreo Gran Maestro dell’Ordine.Pochi mesi prima si è spento a Parigi il 1°giugno 1939 in dignitosa povertà GiuseppeLeti, il promotore dell’Assemblea ricosti-tuiva dell’Ordine del 12 gennaio 1930 e,con Tedeschi, protagonista di una paginatra le più gloriose della bicentenaria storiadella Massoneria italiana.

Assemblea costitutiva del GrandeOriente d’Italia in esilio(12 gennaio 1930)

A∴G∴D∴G∴A∴D∴U∴Assemblea dei Delegati delle Logge aderenti alla ricostituzione del Grande Oriente d’Italia

(ex Palazzo Giustiniani)

L’anno 1930 nel mese di gennaio, giorno di do-menica dodici, in un locale riservato in Parigi15, Boulevard St. Denis si sono riuniti i Fratellidelegati delle Logge Italiane per la ricostitu-zione del Grande Oriente d’Italia, presenti iFratelli:1) Il Sovrano Gran Commendatore GiuseppeLeti 33°2) Il Grande Ispettore Generale Ettore Zannel-lini 33° per il Supremo Consiglio dei 33° pro-motore della Ricostituzione del Grande Oriented’Italia (ex Palazzo Giustiniani)3) Galasso Francesco 30° per la RispettabileLoggia Ettore Ferrari all’Oriente di Londra4) Galassini Antonio 18° per la RispettabileLoggia Ettore Ferrari all’Oriente di Londra5) Carasso Giacomo 33° Grande Ispettore Ge-nerale

6) Chiesa Eugenio 33° Grande Ispettore Gene-rale per la Rispettabile Loggia Labor et Luxall’Oriente di Salonicco7) Giannini Alberto 30° per la RispettabileLoggia Rienzi all’Oriente di Roma8) Cordovado Nino 18°9) Facchinetti Cipriano 33° per la RispettabileLoggia Amendola all’Oriente di Parigi10) Lazzari Cesare 3° della Rispettabile LoggiaAmendola di Parigi, visitatore10) Gargiulo 3° della Rispettabile LoggiaAmendola di Parigi, visitatore11) Peroni Umberto 3° della Rispettabile Log-gia Amendola di Parigi, visitatore12) Gustavo Di Pompeo 18°, visitatore13) Arturo Labriola 33° Rappresentante del Su-premo Gran Consiglio dei 33 °14) Mario Pistocchi 3° della Rispettabile Log-gia Amendola di Parigi, visitatoreIl Sovrano Gran Commendatore assume la pre-sidenza fungendo da Venerabile; coprono glialtri posti di ufficiali e dignitari:Fratello Galasso 1° Sorvegliante“ Cordovado 2° Sorvegliante“ Carasso Oratore“ Peroni Esperto“ Facchinetti Segretario (coll’aiuto delFratello Lazzari, visitatore, per la redazione del verbale)

IL RIORDINO DELLA MEMORIA 39

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“ Galassini Elemosiniere“ Giannini Alberto Copritore

Il Fratello Presidente, assicurata la sicurezzadella Tornata, apre i lavori in camera di Mae-stro colle invocazioni e batterie usuali.Lo stesso Fratello Presidente saluta i Fratellidelegati delle Logge ed in Loro i Fratelli tuttidelle medesime e della Comunione italiana; necelebra il Coraggio, la Fede, il Carattere, lo Spi-rito di sacrificio; li esorta a non eccedere nelproselitismo, constata che oggi si scrive una pa-gina importante nella storia della MassoneriaItaliana, e si augura che fra non molto pos-siamo trasferirci in Italia, a Roma, nel nostroPalazzo Giustiniani, ritornando così alle opereeducatrici e alle pratiche alla Gloria della Mas-soneria Italiana.Messi, poi, i Fratelli all’ordine, ricorda la per-dita dell’Ex Gran Maestro e Sovrano GranCommendatore Ettore Ferrari, il sacrificio, lamorte, la passione di tanti Fratelli fedeli nel co-mune nostro ideale e specialmente i FratelliAmendola, Capello e Torrigiani; e invita i Fra-telli a un minuto di muto raccoglimento vol-gendo il pensiero grato, devoto, a tutti i martirie vittime per la libertà, coll’augurio del trionfodi questa in tutti i Paesi del mondo.Tutta l’assemblea, commossa, resta per un mi-nuto silenziosa e all’ordine. Dopo di che il Fra-tello Presidente, fatti sedere i Fratelli, avverteche si va a procedere alla rifondazione delGrande Oriente d’Italia essendosi già fatta laverifica dei poteri dei delegati, tenendo pre-sente che le Rispettabili Logge Rienzi e Laboret Lux risultano dall’Annuario come vecchieLogge Regolari del Grande Oriente d’Italia, ele altre Ettore Ferrari e Giovanni Amendolasono di nuova formazione ma costituite in mas-sima parte di Fratelli già iniziati in Logge delpari risultanti dall’Annuario suddetto. Solo,dei delegati, il Fratello Giannini non ha potutoesibire un documento legale della sua Loggia,perché questa lavora clandestinamente, ma egline è Ufficiale e garantisce della sua spiritualepreventiva adesione.Non c’è dubbio, poi, intorno alla legalità del-l’assemblea, sebbene riunita e costituita osser-vando solo in parte le disposizioni delleCostituzioni Generali della Massoneria ita-liana, poiché non tutte si possono osservare,dato che le Logge sono lontane tra loro, e cheoccorre il segreto nella maniera più assoluta,

per non esporre Fratelli e parenti in patria adure rappresaglie.Né si può dubitare della opportunità della ri-costruzione del Grande Oriente d’Italia dopospecialmente le istruzioni dettate e le disposi-zioni emanate, poco prima della morte, il 30maggio 1929, da Ettore Ferrari, e che fa leg-gere1.Il Presidente avverte che solo i Fratelli delegatihanno facoltà di parola e di voto.Il Presidente fa dare lettura del suo Decretoodierno che assicura la indipendenza e la so-vranità del Grande Oriente d’Italia. Proponeche si eleggano 3 Grandi Maestri Onorari (admemoriam): i defunti Achille Ballori, ErnestoNathan, Ettore Ferrari; la proposta è accettataalla unanimità.Si propone, e i delegati accettano, che la sede,per opportune ragioni di territorialità, sia sta-bilita a Londra.Il Fratello Presidente Leti, appoggiato dal Fra-tello Facchinetti, propone, e i delegati accet-tano, che non si proceda alla nomina delfratello Gran Maestro, lasciando questa alta ca-rica scoperta, per ragioni evidenti di omaggioai Fratelli d’Italia tutti, e per lasciare loro la li-bertà e la facoltà dell’elezione quando ciò saràpossibile2.Il Fratello presidente propone che, in via prov-visoria, facciano parte del Grande Oriente3 ilGran Maestro Aggiunto, il Sovrano Gran Com-mendatore ed un rappresentante delegato diognuna delle Logge dell’Obbedienza o i lorodelegati d’oggi, un delegato del Supremo Con-siglio.In seguito, aumentato il numero delle Logge eattuati i loro abituali e regolari rapporti, si po-tranno più da vicino seguire ed attuare le di-sposizioni delle suddette nostre CostituzioniGenerali.Dice il Fratello Presidente che il GrandeOriente così costituito dopo avere discusso efissato tutti i punti del programma e dell’azioneda svolgere, ne demandi la esecuzione e la pro-pria rappresentanza a una Giunta di tre o cin-que Fratelli Membri, eletta nel proprio seno epresieduta dal Gran Maestro Aggiunto o da chiper esso, da cui emaneranno le disposizioni in-terne e gli atti esterni di rappresentanza e pro-paganda.Essendo state accettate le proposte del FratelloPresidente, si passa alla nomina della GrandeMaestranza che si fa per acclamazione per gli

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onorari; a scheda segreta per gli effettivi.Vengono acclamati:Gran Maestri Onorari (ad memoriam): Ballori,Nathan, Ferrari.Vengono eletti:Gran Maestro Aggiunto Eugenio Chiesa con 9voti su dieci votanti (un voto a Cipriano Fac-chinetti).Dopo di che il Presidente proclama che dunqueil Grande Oriente è, sia pure in via provvisoria,costituito così:

Grandi Maestri Onorari ad memoriam AchilleBallori 33°, Ernesto Nathan 33°, Ettore Ferrari33°

Gran Maestro effettivo (vacante)

Gran Maestro aggiunto effettivo: Eugenio Chiesa 33°

Membro di diritto:Giuseppe Leti 33° Sovrano Gran Commenda-tore

Membri effettivi:Zannellini Ettore 33° (Loggia Labor et Lux)Carasso Giacomo 33° (Loggia Labor et Lux)Facchinetti Cipriano 33° (Loggia GiovanniAmendola)Galasso Francesco 30° (Loggia Ettore Ferrari)Giannini Alberto 30° (Loggia Rienzi)Cordovado Nino 18° (Loggia Giovanni Amen-dola)Galassini Antonio 18° (Loggia Ettore Ferrari)Labriola Arturo 33° Supremo Consiglio

Il Sovrano Gran Commendatore fa prestaregiuramento a tutti gli eletti, che lo sottoscri-vono.Nella prima seduta del Grande Oriente, cheavrà luogo oggi nel pomeriggio, esso eleggeràla propria Giunta Esecutiva e le cariche interne.Il Fratello Presidente comunica poi un suo de-creto portante nella fausta ricorrenza taluni au-menti di salario nel Rito Scozzese; e invita tuttii Fratelli presenti, delegati e visitatori, a fareuna batteria di gioia per l’avvenimento oggi ce-lebratosi; per augurare a questa ripresa masso-nica ogni successo, e per onorare sia i Fratellieletti, specialmente il Fratello Chiesa, sia i Fra-telli promossi.Il Fratello Presidente raccomanda il più asso-

luto segreto con tutti, anche con i Fratelli nonpresenti, e specialmente sul nome dei presenti,degli eletti, dei promossi; e si accinge a chiu-dere i lavori colle forme usate.Dà la parola pel bene generale.Girano i sacchi; il tronco della vedova torna con80 mattoni ed il tronco delle proposte vuotoall’Oriente.

Il Sovrano Gran CommendatoreGiuseppe Leti 33°

Il Gran Maestro AggiuntoEugenio Chiesa 33°

Ettore ZannelliniCipriano FacchinettiArturo LabriolaGiacomo CarassoAlberto GianniniFrancesco GalassoNino CordovadoGustavo Di PompeoAntonio GalassiniMario PistocchiUmberto PeroniA. GargiuloCesare Lazzari

(verbale manoscritto redatto da Cesare Lazzari erevisionato da Giuseppe Leti)

Note1 Si fa riferimento al cosiddetto «testamento masso-nico» col quale nel maggio del 1929, poco prima dimorire, il Gran Maestro onorario del Goi, EttoreFerrari, nel trasmettere i propri poteri di Gran com-mendatore del Rito Scozzese per l’Italia al suo Luo-gotenente in esilio Giuseppe Leti, gli conferivaanche la prerogativa di «riordinare a suo tempo ilGrande Oriente». 2 In realtà ad essere lasciata scoperta non è solo lacarica di Gran Maestro per il rispetto dovuto al GranMaestro Domizio Torrigiani da tre anni al confino,ma anche quella di Primo Gran Maestro aggiuntoricoperta, al momento dello scioglimento delleLogge in Italia da Giuseppe Meoni che, liberato dalconfino, si trova sotto stretta sorveglianza poliziesca.Difatti, come meglio si specificherà in seguito, la de-nominazione esatta della carica cui viene eletto Eu-genio Chiesa è quella di Secondo Gran Maestroaggiunto.3 Detto anche Consiglio dell’Ordine.

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Cento anni fa la Grande Guerra. Laretorica fascista presenta l’interven-tismo e la Vittoria come il frutto

dell’azione nazionalista. In realtà la guerraprovoca una crisi di coscienza che dividetrasversalmente i ceti ed i movimenti poli-tici. Ancor prima che inizi la lotta politicain favore dell’intervento, nascono forme divolontariato nelle file dei repubblicani, deiradicali, dei socialisti riformisti, dei catto-lici di sinistra e perfino degli anarchici eche si alimenta e trova supporto e sostegnonelle case del popolo, nelle logge massoni-che ed anche in alcune parrocchie.Il partito repubblicano italiano mobilità giàdall’inizio della crisi in difesa della repub-blica francese minacciata dall’imperialismotedesco. Fedeli alla tradizione risorgimen-tale, mazziniana, massonica e garibaldina,sono favorevoli ad un intervento al fiancodelle nazioni democratiche “con gli op-pressi, non con gli oppositori”. Sono loroche si pronunciano per primi esplicita-mente per uscire dalla neutralità l’11 ago-sto 1914. Sono favorevoli alla Francia unapiccola frangia dei socialisti, i repubbli-cani, i radicali, gli anarchici, i sindacalisti

rivoluzionari, la Massoneria del GrandeOriente d’Italia - Palazzo Giustiniani.Il Gran Maestro del Grande Oriente d’ItaliaEttore Ferrari, convinto repubblicano,invia una circolare alle Logge in cui si di-chiara apertamente per l’intervento inguerra che considera come la prosecuzionedel percorso risorgimentale. La Massonerianon è nuova ad iniziative che promuovonola formazione di corpi di volontari per par-tecipare a spedizioni nei Balcani perl’emancipazione delle nazionalità oppressedal giogo della monarchia austro ungaricae dell’impero ottomano. Già il 29 agosto 1914, il repubblicano, emassone, Cesare Colizza “appartenente aduna famiglia marinese di agiati proprietariterrieri, di vecchia e provata fede patriot-tica, tenuta in ottima considerazione”, d’ac-cordo con il proprio fratello maggiore Ugo,anch’egli massone e con altri cinque amicidecide di formare un piccolo nucleo e sireca in Serbia per combattere contro gli au-striaci. I sette partecipano ai combattimentidi Babina Glava, dove cinque di essi ca-dono in combattimento diventando eroinazionali serbi.Le loro gesta insieme con quelle della le-gione garibaldina in Francia sono trattateall’interno del volume dello storico Anto-nino Zarcone: I precursori. Volontariato demo-cratico italiano nella guerra contro l’Austria:repubblicani, radicali, socialisti riformisti, anar-chici e massoni”, con prefazione di AnnitaGaribaldi Jallet (Annales editore).Il volume è corredato da numerose fotogra-fie e dalle biografie dei protagonisti di uninterventismo che unisce in una continuitàideale il volontariato risorgimentale conquello della Grande Guerra maturato al-l’interno del Grande Oriente d’Italia.

Antonino ZarconeI PRECURSORI. VOLONTARIATO DEMOCRATICO ITALIANO NELLAGUERRA CONTRO L'AUSTRIA: REPUBBLICANI, RADICALI, SOCIA-

LISTI RIFORMISTI, ANARCHICI E MASSONIcon prefazione di Annita Garibaldi Jallet.

Annales editore, Roma, 2014, pp. 328.

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Fino a oggi, solo lo studio di Mario Liz-zani, pubblicato nel 1943, aveva evi-denziato l’importanza della Carboneria

non solo negli anni dei moti carbonari attornoal 1820, ma anche nella oramai secolare storiadell’Italia unitaria. Finalmente arriva per laCollana dell’Accademia degli Incolti dell’edi-tore Gaffi, il significativo lavoro curato dalprofessor Gian Maria Cazzaniga e dal giovaneMarco Marinucci, una tappa fondamentaledell’affascinante e difficile lavoro di ricostru-zione del ruolo politico e sociale giocato dallaCarboneria alla fine del XIX secolo e nel XXsecolo.Gli autori inseriscono la storia della Carbone-ria in quel filone del repubblicanesimo cheaffonda le sue radici nel mondo illuministicoe nella rivoluzione francese. Il legame tra Car-boneria e Partito Repubblicano era evidentese leggiamo molte delle Costituzioni generali acui fanno riferimento le Vendite. Ma la Carbo-neria nella prima metà del Novecento fuanche qualcosa di più: il punto di incontro diavanguardie rivoluzionarie che, unite nelladiscriminante antimonarchica, inserirono

anche questioni sindacali e libertarie tra igruppi settari, interpretando le maggiori no-vità della modernizzazione italiana.I documenti pubblicati sono estremamentevari e interessanti, spaziando da rituali carbo-nari della seconda metà del secolo XIX (Ven-dita dei seguaci del gran Eroe d’Italia), aidocumenti inediti solo recentemente acquisitidalla Biblioteca del Grande Oriente D’Italia(dono di Francesco Siniscalchi). Accanto adaltre carte poco conosciute inerenti alla primaguerra mondiale, reperite nell’Archivio cen-trale dello stato grazie all’impegno di Mari-nucci, spiccano quelle del periodo delfascismo e dell’antifascismo già in possessodel nipote del sindacalista rivoluzionario Al-ceste De Ambris e ora donate all’Archiviocentrale dello stato e, in parte, ancora alla bi-blioteca del GOI. Infine, segnaliamo alcunidocumenti di estremo interesse sulla ricosti-tuzione di vendite nel secondo dopoguerra.Arricchito da una sezione iconografica di no-tevole interesse, l’opera rappresenta dunqueun vero e proprio giro di boa, che oltre a fareil punto su tutto il materiale reperito e i lavoripubblicati sino ad oggi, consacra l’esigenza diun nuovo sforzo culturale e scientifico ai finidi una ancora più matura e completa interpre-tazione della storia della Carboneria.Alla fine non possiamo che far nostro l’ap-pello degli autori, affinché altri studiosi siuniscano in questa avvincente ricerca alla sco-perta di nuovi materiali, sicuramente presentiin istituzioni pubbliche e archivi privati, nonsolo in Italia ma anche oltreoceano. Inoltrenon possiamo che sollecitare i lettori di questarecensione perché contribuiscano loro stessi,se in possesso di materiale di famiglia o dialtre fonti a sviluppare un filone di studi nonsolo storiograficamente rilevante, ma che per-mette di riconoscere alle esperienze carboni-che il giusto peso nella storia del nostropaese.

G. M. Cazzaniga, M. Marinucci (a cura di)PER UNA STORIA DELLA CARBONERIA

DOPO L’UNITÀ D’ITALIA

Gaffi Editore, Roma, 2014, 196, XVI pp

TRA GLI SCAFFALI 43

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L’edificazione del tempio, quale si sviluppaindividualmente nell’animo del singoloIniziato e collettivamente nel lavoro d’Of-ficina, è il tema conduttore di Costruire ilTempio, la raccolta ragionata dei lavori diLoggia che l’Associazione culturale ARIEL1252, emanazione dell’omonima Loggiadel Grande Oriente d’Italia all’Oriente diFrancavilla al Mare (CH), ha raccolto in unvolume recentemente edito.Frutto di un severo impegno di ricerca eso-terica supportato da rigorosa preparazioneculturale e di un appassionato impegno distudio mai disgiunto da vigile intendi-mento critico, le Tavole di cui si compone

il volume sono limpida testimonianza diun percorso iniziatico articolatosi nell’arcodi un decennio.Impossibile dare in poche righe anche soloun’idea della ricchezza di quest’opera. Cilimitiamo pertanto a ricordare le due prin-cipali sezioni in cui essa si articola. La prima, Landmarks, esplora un tema difondamentale importanza per la defini-zione dei caratteri distintivi della Massone-ria moderna, apportando contributi di tuttointeresse su problematiche di vasto respiroe ricche d’implicazioni anche sotto l’aspettostoriografico quali l’universalità dei Lan-dmarks e la loro immutabilità al variare deicontesti storici. Di grande interesse anche la seconda se-zione, Parola e Simbolo, con contributi che sinutrono di una conoscenza approfonditadella tradizione iniziatica e ci offrono fe-condi spunti di riflessione, come baste-rebbe a dimostrare la correlazione traparola e simbolo e la suggestiva dialetticatra il silenzio e l’ascolto di cui si sostan-ziano alcune Tavole di particolare impegnoteoretico.Non quindi uno zibaldone di Tavolesparse, come purtroppo troppo spesso av-viene in circostanze e pubblicazioni analo-ghe, ma, al contrario, l’articolazioneorganica di contributi tutti diversi ma inti-mamente correlati al filo conduttore di al-cune tematiche di fondo, a dimostrazionedi un percorso iniziatico in cui ciascuno ap-porta, con serietà e impegno di ricerca, unapietra cubica idonea a Costruire il Tempiodella Virtù e della Fratellanza.

COSTRUIRE IL TEMPIORACCOLTA RAGIONATA DEI LAVORI

2014- ANNO I

Edito da Associazione ARIEL 1252

TRA GLI SCAFFALI 44

La copertina del volume.

Costruire il Tempio

2014

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Nella ricorrenza del primo centenariodall’inizio del conflitto mondiale cheincendiò l’Europa e coinvolse il

mondo dal 1914 al 1918, noto anche come “LaGrande Guerra”, la Biblioteca e Museo dellaGran Loggia Unita d’Inghilterra ha organiz-zato, sotto la direzione di Diane Clements, lamostra di grande interesse “English Freema-sonry and the First World War”, ovvero “LaMassoneria Inglese e la Prima Guerra Mon-diale”, inaugurata il 15 settembre del correnteanno e di durata prevista sino al 6 marzo2015. Il titolo, che ovviamente è anche quellodel relativo catalogo, indica con chiarezza ilcontenuto della mostra che, per la sua rigo-rosa struttura espositiva, ha già suscitato unlargo apprezzamento, non solo tra il pubblicodi area. È un nuovo importante passo che laGran Loggia Unita d’Inghilterra effettuanell’opera di apertura al pubblico per tramitedel proprio organismo di Biblioteca e Museo,facendo seguito all’altra interessante (ancheper noi italiani) mostra su “Garibaldi a Lon-dra”, svoltasi dal 19 marzo al 29 agosto 2014.Per la Biblioteca londinese, la mostra sullaPrima Guerra Mondiale assume un signifi-cato particolare: come la stessa direttrice ri-corda nell’incipit del catalogo, la sede diGreat Queen Street è proprio il Memoriale“dedicato ai Fratelli Massoni che persero lavita nella guerra 1914-1918”. La sede ed ilmateriale testimoniale ivi conservato sonopertanto intimamente legati allo spirito del-l’iniziativa, tanto da permettere un’attenta in-tegrazione fra i contenuti percettivi, la mostra,e quelli testuali, il catalogo. Non a caso, in-fatti, quest’ultimo è stato predisposto nelgennaio 2014, con largo anticipo rispetto alladata d’inaugurazione, al fine di chiarire gliintenti espositivi, ovvero di “descrivere glieventi avvenuti nellaMassoneria Inglese” du-

rante il periodo bellico, tracciando la storia diun’Istituzione e dei suoi membri durante laguerra.La ricca e puntigliosa documentazione origi-nale permette, senza dover ricorrere all’inter-pretazione, la ricostruzione degli aspettiumani e persino di vita quotidiana conse-guenti ai contestuali sviluppi degli eventibellici. L’indice del catalogo è un’ottimaguida lungo il filo narrativo scelto per lo sno-darsi degli eventi. Il primo capitolo osserva,secondo un’ottica anglosassone, il mondomassonico nel 1914 (“The Masonic World in1914”), dando un quadro complessivo dellosviluppo internazionale della Massoneriasino alla vigilia della guerra, a metà del se-condo decennio del XX secolo. L’entusiasmosviluppatosi sin dall’Ottocento per il cre-scente numero di nuove Grandi Logge a li-vello internazionale, in particolare nei paesiemergenti e nelle aree coloniali sia britanni-che che europee, sembra attestare con concre-tezza l’universalità dei valori massonici. Dipaesi come Italia e Francia viene tratteggiatala frequente identificazione dei Fratelli Mas-soni con l’incarnazione di ideali legati allecause politiche più progressiste, per non direrivoluzionarie. sicuramente encomiabile iltono letterario scelto per questo capitolo ini-ziale in cui nulla lascia presagire l’imminentecatastrofe che sta per abbattersi sui popolid’Europa, se non alla fine del capitolo stessoquando, in pochi paragrafi, viene esplicitatoil grande dilemma che si presentò laddove, acausa delle alleanze geopolitiche, lo scoppiodella guerra pose su due fronti oppostiGrandi Logge prima affratellate. È qui cheviene riportata la celebre frase di Sir AlfredRobbins, detto il “Primo Ministro della Mas-soneria” Britannica, secondo cui l’agosto1914 “presentò problemi di una delicatezza

Mostra a LondraLA MASSONERIA INGLESE E

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

La mostra “English Freemasonry and the First World War” resterà aperta sino al 6 marzo 2015presso The Library and Museum of Freemasonry, 60 Great Queen Street, Londra WC2B 5AZ, UK.

email: [email protected]

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senza precedenti”. Nel secondo capitolo (“Unprecedented cir-cumstances: the Impact of War”) si osservacome i pesanti effetti non si rivelarono su-bito nella loro reale entità: i problemi ini-ziali sembrarono dover riguardare adesioniod esclusioni di alleati e nemici ma benpresto problemi pratici, come sedi da pre-stare per usi militari od ospedalieri, comin-ciarono a venire alla ribalta, unitamentealla difficoltà di far fronte alle quote di ade-sione per i membri impegnati nel conflitto,considerando che al termine delle ostilità,nel 1918, almeno un inglese su quattro erastato impegnato nello scenario bellico.Altre difficoltà, ad esempio, si riscontra-rono quando si rese necessario il raziona-mento alimentare per l’intera nazione: laGrande Loggia diramò una circolare invi-tando tutte le logge ad una stretta limita-zione dei consumi. Prima di affrontare igrandi temi assistenzialistici e mutualisticiche videro impegnata la Massoneria in-glese ed i suoi membri durante e dopo glieventi bellici (quarta e quinta sezione, ri-spettivamente “Prisoners of War” e“Aprons, Arms and Alms: Masonic Charityand the War”), nella sezione “A PermanentMemorial” viene sottolineata sia la crea-zione di un “Ruolo d’Onore” per ricercaree ricordare tutti i Fratelli caduti in guerrasia le tante iniziative locali per Memorialiche ne conservassero e tramandassero lamemoria, ivi inclusa quella successiva diGreat Queen Street. Sicuramente meno evi-dente ma sostanzialmente efficace fu peròil ruolo svolto nell’assistenza caritativa incui furono mobilitate quasi tutte le Istitu-zioni di fondazione massonica che offrironola loro opera attivamente e generosamente,intensificando il già stretto legame con laCroce Rossa. Prova ne fu, ad esempio, l’ini-ziativa dell’Ospedale Massonico di Guerrama anche l’attivo contributo delle MasonicCharities, quali la “Royal Masonic Benevo-lent Institution” (RMBI), la “Royal Maso-nic Institution for Girls” fondata nel 1788(RMIG) e la analoga “for Boys” (RMIB)fondata nel 1798. Trasversale inoltre come

presenza fra le sezioni, ma per questo dinotevole importanza per l’opera di infor-mazione svolta, fu l’azione della stampamassonica, in particolare delle testate Ma-sonica ed il settimanale The Freemason di cuiè riportata ricca documentazione. Fra tuttigli aspetti esaminati, spiccano infine quellidelle storie di prigionia, che testimonianodi un elevato spirito solidale e mutualisticofra fratelli massoni internati o imprigionatinonché fra loro e la Grande Loggia. Afronte di richieste per aiuti umanitari rela-tivi a generi di prima sussistenza, sempresoddisfatte laddove possibile, risultano nu-merose le richieste per la costituzione diLogge anche provvisorie in campi di pri-gionia non solo europei. Ciò è testimo-nianza del sentimento di continuità chel’attività di Officina poteva garantire allecomunità di quei membri che, riconosciu-tisi nei campi di prigionia od interna-mento, tendevano inevitabilmente aripristinare la continuità dei riti. In molticasi, le richieste alla Gran Loggia per lafondazione di nuove logge per Prigionieridi Guerra furono approvate, spesso limita-tamente a Logge d’Istruzione, come nelcaso della Loggia Cappadocia, fondata daErnest G. Dunn e di cui si conserva ancorala minuta degli atti. Mostra e relativo catalogo sono stati mira-bilmente curati dallo staff di Biblioteca eMuseo della Massoneria, sotto la direzione diDiane Clements che ha avuto modo di rin-graziare i collaboratori Martin Cherry,Mark Dennis e Susan Shell anche per icontributi al catalogo, nonché il Dr. AlanBorg ed il Dr. James Daniel per i commentialla pubblicazione quando ancora in bozza.La mostra sta riscuotendo notevole suc-cesso di pubblico e critica e, nel ringraziarequanti hanno contribuito al suo successocon il loro lavoro, la consigliamo viva-mente a tutti gli italiani che sono in pro-cinto di visitare Londra per turismo olavoro.

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