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MASSONERIA ITALIANA Giuseppe Ivan Lantos Grembiulini, cappucci, spade, simboli esoterici, segreti, poteri occulti, cospirazioni: nell'immaginario collettivo questo e altro confezionano l'immagine tenebrosa e inquietante della Massoneria; ad alimentarla contribuisce una pubblicistica talvolta poco o male informata e male informante, talaltra patentemente ostile e una letteratura avvincente e di successo, ma priva di valore storico. Ne sono validi esempi il falso documentale russo Protokoly Sionskich Mudrecov, in italiano I Protocolli dei Savi di Sion, nel quale si favoleggiava di un complotto universale giudaico massonico, pubblicato nel 1903 ma ancora oggi un best-seller negli ambienti dell'anti Massoneria strettamente collegati a quelli dell'antisemitismo e dell'antisionismo, e romanzi come i recenti Il simbolo perduto dell'americano Dan Brown e il provocatorio Il cimitero di Praga di Umberto Eco. Quest'articolo non intende avere come fine una captatio benevolentiae nei confronti della Massoneria le cui vicende hanno luci e ombre, bensì una loro restituzione alla storia, in particolare, a quella delle sue origini in Italia e a quella di alcuni personaggi che, nel bene e nel male, ne furono protagonisti. Per il nostro Paese, la Massoneria fu un "prodotto d'importazione". Era nata ufficialmente in Inghilterra il 24 giugno 1717 per iniziativa di quattro preesistenti Logge londinesi che, riunite nella birreria L'oca e la graticola, costituirono la Gran Loggia d'Inghilterra, prima struttura organizzata dell'istituzione che, per quanto in maniera autoreferenziale, rivendicava un'autorità internazionale. In precedenza, diverse Logge erano diffuse, in forma disorganica, non soltanto nel mondo anglosassone, ma anche in altre nazioni europee. Non, però, in Italia. Non c'è dubbio

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MASSONERIA ITALIANA Giuseppe Ivan Lantos

Grembiulini, cappucci, spade, simboli esoterici, segreti, poteri occulti,

cospirazioni: nell'immaginario collettivo questo e altro confezionano

l'immagine tenebrosa e inquietante della Massoneria; ad alimentarla

contribuisce una pubblicistica talvolta poco o male informata e male

informante, talaltra patentemente ostile e una letteratura avvincente e di

successo, ma priva di valore storico. Ne sono validi esempi il falso

documentale russo Protokoly Sionskich Mudrecov, in italiano I Protocolli

dei Savi di Sion, nel quale si favoleggiava di un complotto universale

giudaico massonico, pubblicato nel 1903 ma ancora oggi un best-seller

negli ambienti dell'anti Massoneria strettamente collegati a quelli

dell'antisemitismo e dell'antisionismo, e romanzi come i recenti Il

simbolo perduto dell'americano Dan Brown e il provocatorio Il cimitero di

Praga di Umberto Eco.

Quest'articolo non intende avere come fine una captatio benevolentiae

nei confronti della Massoneria le cui vicende hanno luci e ombre, bensì

una loro restituzione alla storia, in particolare, a quella delle sue origini

in Italia e a quella di alcuni personaggi che, nel bene e nel male, ne furono

protagonisti.

Per il nostro Paese, la Massoneria fu un "prodotto d'importazione". Era

nata ufficialmente in Inghilterra il 24 giugno 1717 per iniziativa di

quattro preesistenti Logge londinesi che, riunite nella birreria L'oca e la

graticola, costituirono la Gran Loggia d'Inghilterra, prima struttura

organizzata dell'istituzione che, per quanto in maniera autoreferenziale,

rivendicava un'autorità internazionale. In precedenza, diverse Logge

erano diffuse, in forma disorganica, non soltanto nel mondo anglosassone,

ma anche in altre nazioni europee. Non, però, in Italia. Non c'è dubbio

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che il contributo inglese fu fondamentale per la diffusione sopranazionale

della Libera Muratoria.

A metà del Settecento, le guerre europee avevano disegnato la mappa di

un'Italia "disunita" sotto il dominio di tre dinastie: i Savoia in Piemonte e

Sardegna, gli Asburgo a Milano e a Firenze, i Borbone a Parma e a Napoli;

a queste si aggiungeva, nel centro-nord della penisola il dominio papale.

Il denominatore comune, non ininfluente, come vedremo, per i destini

della Libera Muratoria, era l'osservanza delle Case regnanti nei confronti

della Chiesa cattolica.

Il terreno di cultura sul quale aveva attecchito e si era consolidata la

Massoneria era l'Illuminismo quel fenomeno evolutivo delle idee in fatto

di religione, scienza, filosofia, politica, diritto, economia e letteratura che

si era propagato in Europa dopo la conclusione delle guerre di religione

del XVII secolo, promuovendo un sostanziale rinnovamento della

weltanschauung. La diffusione dell'Illuminismo in Italia, come sarebbe

avvenuto per quella della Massoneria, fu condizionata dalla particolare

situazione del nostro Paese: dall'inesistenza dell'unità e di una politica

nazionale, dalla frammentazione socio-culturale e, non ultima,

dall'ipoteca cattolica. Di conseguenza, l'Illuminismo mise radici, con

caratteristiche peculiari, soltanto in alcuni grandi centri urbani, in primis

a Napoli, dove la Massoneria avrebbe avuto un ruolo rilevante e

importanti protagonisti.

Tuttavia della primogenitura di una Loggia massonica in Italia non poté

vantarsi il capoluogo partenopeo, essa viene, invece, rivendicata da due

città, Roma e Firenze, e per entrambe la paternità è inglese. C'è, infatti,

chi sostiene che, a Roma, una Loggia esistesse già dal 1724, fondata da

profughi giacobiti, i seguaci cattolici del pretendente al trono

d'Inghilterra Giacomo Stuart, esule nella città dei papi dal 1718.

Un'attribuzione contestata da uno dei più accreditati storici della

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Massoneria, Pericle Maruzzi, secondo il quale si non si trattava di una

Loggia massonica, ma del Most Ancient and Noble order of the Gormogons,

Antico e Nobile ordine dei Gormogoni, fondato dall'aristocratico nobile

inglese Philip Wharton in polemica con la Massoneria dalla quale era

stato radiato con disonore. Wharton s'era trasferito a Roma nel 1724.

Carlo Francovich nella sua Storia della Massoneria in Italia scrive: "Prima

del 1730 non si hanno notizie documentate di Logge esistenti nella

penisola. Ma non è escluso che nuclei latomistici sorgessero in varie città

italiane dall'iniziativa di singoli massoni stranieri capitati nel nostro

Paese per ragioni d'affari o con incarichi politici". E', dunque, verosimile

che questi visitatori avessero fondato delle Logge, frequentate però quasi

esclusivamente da forestieri, a Milano, Genova, Ferrara, Livorno, Venezia

e Napoli. Possibile, ma non documentato da fonti certe. Sicura, invece, è la

costituzione, nel 1735, di una Loggia giacobita, quindi d'ispirazione

cattolica, a Roma. E' opportuno ricordare che le Logge giacobite romane

avevano un carattere cospirativo legato al progetto di restituire la corona

inglese alla dinastia degli Stuart il che escludeva di fatto l'iniziazione di

italiani.

Diversa la situazione a Firenze dove la prima Loggia venne fondata tra il

1731 e il 1732 dall'inglese lord Henry Fox Holland. La Loggia tenne le sue

riunioni prima in una locanda di via Maggio, poi nell'albergo gestito da un

inglese, mister Collins. Racconta Carlo de Francovich che il trasferimento

non fu determinato da ragioni di sicurezza o da altre giustificate

preoccupazioni, ma perché la cucina del locandiere, un tale monsiù

Pasciò, non piaceva al Fratelli che, al termine delle tornate di lavori,

avevano l'abitudine di rifocillarsi con abbondanti cene conviviali

innaffiate da numerosi brindisi.

Contrariamente ai massoni britannici di Roma, quelli di Firenze non

perseguivano finalità politiche ma, d'ispirazione illuminista, elaboravano

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progetti di libertà intellettuale e di affrancamento dai pregiudizi e

dall'intolleranza religiosa.

L'interesse degli inglesi per la Toscana era di due ordini e focalizzato su

due poli: Livorno, con il suo porto, per i traffici commerciali e Firenze per

il suo patrimonio d'arte e cultura che aveva attirato nel capoluogo

fiorentino numerosi intellettuali britannici molti dei quali avevano

incarichi nella corte granducale come archeologi, architetti e ingegneri.

La colonia inglese di Firenze era la più numerosa, qualificata e inserita di

tutta la penisola.

A questo s'aggiungeva che la Toscana dell'epoca era terra di robuste

effervescenze politiche e culturali favorite dal granduca Gian Gastone de

Medici, ultimo esponente della dinastia fiorentina, succeduto, al padre

Cosimo III il 31 ottobre 1723. Il granduca, noto per la sua erudizione, per

le sue idee che, per l'epoca, si potrebbero definire liberali, per la sua

avversione ai gesuiti e per la sua esibita omosessualità che l'avrebbe

privato dall'avere eredi, aveva promosso Firenze al rango di una "nuova

Atene", sede universitaria d'eccellenza, centro d'avanguardia per uomini

di scienza, artisti e letterati. Il granduca morì il 9 luglio 1737. C’è chi

ipotizza che anche Gian Gastone fosse massone, perché il suo aiutante di

camera e favorito, Giuliano Dami, era massone o simpatizzante della

massoneria. Gli successe Francesco Stefano di Lorena, sovrano del

granducato di Toscana con il nome di Francesco III, rappresentato da un

Consiglio di reggenza, presieduto dal lorenese principe Marc de Craon,

entrambi in odore di massoneria.

Le forze conservatrici avevano i loro rappresentanti, oltre che negli

appartenenti alla Compagnia di Gesù, in padre Paolo Ambrogio Ambrogi

dei Minori conventuali, Grande Inquisitore e capo del Sant'Uffizio e nella

Curia, guidata dal cardinale Neri Corsini, nipote del papa.

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In questo clima fu quasi inevitabile che il meglio dell'intellighenzia e

dell'aristocrazia illuminata fiorentina, una sessantina di persone, fosse

attratta dagli ideali coltivati nella Loggia massonica. Il primo massone

fiorentino fu il dottor Antonio Cocchi, nato 3 agosto 1695 da una famiglia

dell'alta borghesia di Borgo San Lorenzo nel Mugello, cosmopolita,

letterato e medico della colonia inglese, poi professore universitario.

Come egli stesso annotò alla data 4 agosto 1732, in inglese, nelle

Effemeridi, il suo diario contenuto in centodieci quadernetti manoscritti:

"In the evening I was received among the Free-Masons and remained to

supper", (In serata fui accolto tra i Massoni e mi trattenni per la cena). Ed

è molto probabile che fosse stato Cocchi, nel 1733, il successore di

Sewallis Shirley come Maestro Venerabile della Loggia. La ragion d'essere

dell'appartenenza di Antonio Cocchi possono essere ricostruite

ripercorrendo la sua biografia e sfogliando le sue numerose pubblicazioni

sia scientifiche che di varia umanità. Era un galileiano che aveva allargato

i confini della sua conoscenza frequentando, durante il suo soggiorno

londinese, i membri più autorevoli di quella Royal Society che era la

matrice originaria della scienza moderna laicamente affrancata dai

plurisecolari laccioli del dogmatismo religioso.

Ma la circostanza nella quale ebbe modo di dare prova della sua adesione

ai principi della solidarietà massonica fu in occasione del processo

inquisitorio al quale fu sottoposto un membro della sua Loggia, Tommaso

Crudeli che si guadagnò l'attributo di "protomartire della Massoneria".

Le neonate Logge che, a mano a mano, sorgevano nelle diverse città del

nostro Paese dovettero subito fare i conti con i provvedimenti

sanzionatori della Chiesa cattolica. Il papa Clemente XII, al secolo

Lorenzo Corsini, fiorentino, asceso al soglio pontificio il 12 luglio 1730,

emanò, il 28 aprile 1738, la lettera In eminenti Apostolatus specula con la

quale si proibiva la Massoneria e si condannavano i massoni alla

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scomunica. La prima conseguenza della condanna pontificia si verificò,

forse non a caso, nella città natale di papa Clemente. Tra i personaggi più

in vista, la Loggia fiorentina annoverava anche il poeta Tommaso Crudeli.

Nato nel 1703 a Poppi, nel Casentino, in provincia d'Arezzo, aveva

studiato a Firenze e poi a Pisa, dove aveva conseguito il dottorato in

utroque iure, ma non esercitò mai la professione forense. Dopo un

periodo trascorso a Venezia, aveva fatto ritorno a Firenze. Nel capoluogo

toscano si guadagnava da vivere come insegnante d'italiano, soprattutto

ai membri della colonia inglese. Fu la loro frequentazione a suscitare

l'interesse di Crudeli per la Massoneria e a favorire il suo ingresso, nel

1735, nella Loggia della quale fu per un certo tempo segretario.

Dal suo conterraneo, il poeta Pietro Aretino, Tommaso aveva ereditato il

talento letterario e la pungente vis polemica che espresse, nei suoi

componimenti in poesia e in prosa, in termini di critica sarcastica nei

confronti dei pregiudizi e del comportamento del clero non immune da

vizi. Padre Paolo Ambrogio Ambrogi, Grande Inquisitore e capo del

Sant'Uffizio e il cardinale Neri Corsini, nipote del papa, trassero pretesto

dalla lettera pontificia per colpire la Massoneria toscana, sebbene i

massoni fiorentini avessero già deciso di sciogliere la Loggia E quale

bersaglio migliore di Tommaso Crudeli massone e sbeffeggiatore di Santa

Romana Chiesa?

Padre Ambrogi e il cardinale Corsini si dettero daffare, il primo per

costruire i capi d'accusa contro i massoni, il nipote del papa per

convincere il granduca a concedere il permesso di perseguire i pretesi

colpevoli. La "pistola fumante" venne estorta dal Grande Inquisitore al

medico Bernardino Pupiliani e al nobile Andrea d'Orazio Minerbetti i

quali, costretti con minacce, fornirono falsa testimonianza sugli atti

osceni compiuti durante le riunioni di Loggia e sulle espressioni blasfeme

pronunciate dai Fratelli liberi muratori nel corso dei loro riti. Il principale

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colpevole era Tommaso Crudeli contro il quale, ai primi d'aprile del 1739,

il padre inquisitore formulò le accuse di empietà e di sodomia contro il

poeta e altri Fratelli. Il 16 aprile il cardinale Corsini spedì al granduca,

una lettera con la quale lo sollecitò a prendere provvedimenti contro la

Massoneria, denunciata come pericolosa non soltanto per la Chiesa

cattolica ma anche per lo Stato. Nella notte del 9 maggio Tommaso

Crudeli fu arrestato, consegnato al tribunale dell'Inquisizione e,

nonostante le assicurazioni di un trattamento conforme alla carità

cristiana, il poeta, benché fosse tubercolotico e afflitto da una grave

forma di asma, venne rinchiuso in una cella angusta e malsana, in attesa

del processo. L'inumana carcerazione fu denunciata da una Relazione

redatta dallo stesso Crudeli e da Luca Antonio Corsi, suo amico e

confratello e pubblicata anonima da Francesco Becattini nel 1782. In

favore di Crudeli, forte del proprio prestigio come medico, intervenne

Antonio Cocchi il quale ottenne il trasferimento del prigioniero in una

cella appena più confortevole.

Soltanto dopo un mese di detenzione, il 10 agosto, Tommaso Crudeli fu

sottoposto al primo interrogatorio senza che fosse assistito da un

difensore. Gli fu ordinato di riferire tutto quello che sapeva sui liberi

muratori, la data di costituzione della loggia, il nome dei suoi fondatori,

quello dei capi e degli affiliati alla loggia, quello che avveniva durante le

riunioni. Crudeli non rivelò nulla. Fu nuovamente interrogato, il 10

settembre, sull'attività della loggia e sulle infamanti accuse del Minerbetti

e del Pupiliani. Crudeli sostenne che nelle loro riunioni i massoni non

commettevano nulla di illecito e respinse con sdegno le stoltezze riferite

dai due testimoni.

Gli atti processuali vennero trasmessi al Santo Uffizio di Roma, il quale

deliberò fossero presentate nuove prove a carico dell'imputato. In

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conseguenza di questa decisione la carcerazione del poeta venne

prorogata. Le sue condizioni di salute peggiorarono.

In sua difesa intervenne presso Emmanuel de Nay, conte di Richecourt,

che a Firenze ricopriva la carica di capo del governo ed era affiliato alla

massoneria, l'ambasciatore inglese Horace Mann anche lui massone. Il

risultato fu la concessione a Crudeli, il 28 marzo 1740, di un avvocato tra

quelli indicati dal Santo Uffizio. Nonostante la presenza del difensore, un

ulteriore interrogatorio aggravò la posizione dell'imputato.

Questa volta Emmanuel de Nay si rivolse direttamente a Francesco III, in

nome della comune appartenenza alla Libera Muratoria, ma il sovrano,

che non voleva mettersi in urto con le gerarchie cattoliche, si limitò a

chiedere che Crudeli, sempre più ammalato, fosse trasferito nella

prigione governativa della Fortezza da Basso. Nel luglio 1740 si verificò il

fatto che impresse una svolta, anche se non risolutiva, al processo: i due

principali testimoni a carico Bernardino Pupiliani e Andrea d'Orazio

Minerbetti ritrattarono le proprie dichiarazioni.

Ma non è tutto. Il 6 febbraio 1740 era morto il papa Clemente XII e gli era

succeduto, il 17 agosto, il cardinale Prospero Lambertini con il nome di

Benedetto XIV, conosciuto per la sua eccellente cultura e grande umanità.

La sua elezione alimentò la speranza di un'imminente conclusione del

processo di Tommaso Crudeli.

Ma nonostante le aspettative, la dolorosa odissea giudiziaria del poeta

casentinese non si concluse con l'assoluzione. La possibilità di processare

con Crudeli anche la Massoneria, come sarebbe stata intenzione dei suoi

accusatori fallì, ma il 20 agosto, il poeta fu condannato per la lettura di

libri proibiti e per essersi espresso con un linguaggio insolente su

materie religiose. Confinato a Poppi e poi a Pontedera, nell'aprile 1741

Crudeli tornò a essere un uomo libero e raggiunse Firenze dove trascorse

gli ultimi anni della sua vita. La sua salute era ormai irrimediabilmente

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compromessa dalla prigionia trascorsa in condizioni disumane e

dall'usura psicologica provocata dal processo. Il primo martire della

Massoneria morì a Poppi il 27 marzo 1745.

L'ascesa al soglio pontificio di Benedetto XIV aveva motivato i più

ottimisti tra i massoni a sperare in un atteggiamento del papa diverso da

quello intransigente del suo predecessore. Ma queste aspettative

andarono deluse quando, il 18 maggio 1751, fu emessa la seconda bolla

di condanna a carico della Massoneria, la Providas Romanorum

Pontificum che portava la firma di Benedetto XIV. Due furono i motivi che

lo indussero, a dispetto della fama, a riproporre la scomunica tredici anni

dopo la prima condanna: la diffusione, soprattutto nell'Italia meridionale,

di Logge massoniche e la smentita categorica delle voci ricorrenti di una

sua simpatia verso la Libera Muratoria.

Il primo destinatario della Providas Romanorum Pontificum fu il re di

Napoli, Carlo VII al quale venne consegnata dal gesuita Francesco Maria

Pepe, famoso predicatore dei Lazzeri, la banda dei popolani della città

partenopea, e fanatico antisemita. Il sovrano la fece propria e firmò un

editto antimassonico che fu pubblicato il 2 luglio 1752.

Contemporaneamente alla pubblicazione dell'editto, Napoli fu messa a

soqquadro dalla massa dei Lazzeri che, istigati da padre Pepe, si

scagliarono contro la Massoneria accusata tra l'altro di essere la causa del

mancato miracolo di San Gennaro nel 1751. Il capro espiatorio di questa

rivolta popolare fu il Gran Maestro della Massoneria napoletana, il

principe Raimondo di Sangro, accusato di essere un mago e un eretico

per le sue ricerche scientifiche e le sue stravaganti invenzioni; in realtà, in

lui si voleva colpire la Libera muratoria napoletana.

A Napoli, la prima Loggia, dal titolo distintivo "Perfetta Unione", si dice

fosse apparsa nel 1728, ma il fatto non è storicamente provato. Sicura,

invece, la fondazione, nel 1749, per iniziativa del commerciante di seta

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francese, Louis Larnage, di una Loggia alla quale aderirono diversi

ufficiali, numerosi aristocratici e poi esponenti della cultura e della

borghesia. Oltre all'iniziativa di massoni stranieri, il successo della Libera

muratoria a Napoli ebbe un contributo decisivo nel clima culturale e

politico promosso dall'Illuminismo peculiare del capoluogo campano.

In un manoscritto conservato nell’archivio della Società Napoletana di

Storia Patria, stilato nella prima metà del Settecento, si riferisce di logge

attive a Napoli fra il 1749 e il 1751. In un altro manoscritto redatto dal

Principe di Belmonte, figura eminente della massoneria siciliana, in

merito alle logge napoletane si legge: "I Liberi Muratori sin dal tempo di

Carlo III si erano introdotti a Napoli, ma vi si mantenevano in maniera

nascosta, e ristretti fra soli forestieri, che sotto un altro pretesto si

radunavano. Da principio vi furono ammessi un piemontese, di mestiere

acquavitaro, e un francese, mercante di drappi. Costoro, conosciuti a

fondo i principi della società, pensarono di erigere una loggia separata.

Infatti l’anno 1745 eseguirono un tale immaginato disegno".

Ma torniamo a Raimondo di Sangro. Era nato il 30 gennaio 1710 a

Torremaggiore, in provincia di Foggia, da Antonio di Sangro e da Cecilia

Gaetani d’Aragona, entrambi discendenti da famiglie d'

antica nobiltà. Morta la madre, il padre, prima di ritirarsi in convento, lo

aveva affidato al nonno che, dopo un periodo di studi nel collegio dei

Gesuiti a Roma, lo aveva avviato alla carriera militare nell'esercito

napoletano. Re Carlo III di Borbone del quale godeva la stima ne favorì

l'adesione alla confraternita esoterica dei Rosa+Croce, appartenenza che,

certamente, condizionò la sua formazione magico alchemica. Nel 1744,

con la mediazione dell'ufficiale d'artiglieria piacentino Felice Gazzola che

aveva conosciuto durante la campagna militare contro gli austriaci, che

avanzavano pretese sul trono di Napoli, il Principe fu iniziato massone.

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In quegli anni, nel regno di Napoli, la Massoneria era divisa in due

correnti: una era costituita da militari di grado elevato e da aristocratici

legati alla corte, l'altra accoglieva gran parte dei commercianti, inglesi e

francesi, che trattavano i propri affari nel regno, e da ufficiali di basso

rango. Alle logge "militari" apparteneva Felice Gazzola, a quelle

"borghesi" l'alfiere Francesco Zelaja. Entrambi pensarono che i tempi

fossero maturi per dare una struttura unitaria alla Libera muratoria

napoletana e, entrambi, individuarono in Raimondo di Sansevero la

persona più adatta a realizzare il progetto. Il Principe fu così elevato al

grado di "Gran Maestro delle Logge Napoletane".

Esse erano tre e prendevano nome dai loro Maestri Venerabili: la Di

Sangro, la Carafa e la Moncada alle quali aderivano trecento Fratelli.

L'attività massonica di Raimondo di Sansevero fu essenzialmente politica

e culturale. Convinto ammiratore dell'enciclopedista francese Pierre

Bayle, dei filosofi inglesi Anthony Ashley Cooper conte di Shaftesbury

(morto a Napoli), Anthony Collins e dell'irlandese John Toland, ne aveva

mutuati i principi di tolleranza religiosa e di libertà di pensiero. Il Gran

Maestro volle coinvolgere nel suo progetto di rinnovamento i magistrati

che i nobili consideravano antagonisti "negli affari del Regno", il

comportamento conservatore degli aristocratici procurava imbarazzo

alla Corona, malessere ai sudditi e offriva motivo di discredito per il

Regno di Napoli all’estero. Coerente con l'impegno massonico era anche

l'apertura di Raimondo verso la borghesia condotta che muoveva dal

principio di non considerare nobile chi fosse aristocratico per

discendenza o per blasone, ma chi desse prova di virtù, di onestà e

d'ingegno.

Riconducibili all'appartenenza alla Massoneria, seppure in un ambito

riservato, sono quelle pratiche scientifiche, alchemiche ed esoteriche che

si svolgevano nel segreto del suo laboratorio, che esposero Raimondo di

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Sangro ai sospetti e alle accuse delle gerarchie ecclesiastiche e che hanno

concorso a crearne la leggenda.

Il successo e il rapido diffondersi della Massoneria nel Regno di Napoli,

creò allarme negli ambienti religiosi, tanto che già nell’autunno del 1750,

a Napoli, debuttò una violenta campagna antimassonica predicata nelle

chiese e piazze dal gesuita padre Francesco Maria e dal popolare padre

Rocco del quale fa menzione l filosofo Benedetto Croce nella sua Vita

religiosa a Napoli del Settecento.

Il clima creato dalle reiterate invettive preoccupò il Principe che, nei

primi mesi del 1751, ebbe un colloquio con Carlo V per rassicurarlo che

nel corso dei lavori massonici non si tessevano oscure trame né contro la

monarchia, né contro la religione.

La bolla papale di Benedetto XIV fu il cacio sui maccheroni conditi di

antimassoneria del clero napoletano. Padre Francesco Maria Pepe

provvide personalmente a consegnare una copia della Providas

Romanorum Pontificum al sovrano napoletano come strumento di

pressione per indurlo a decretare misure repressive nei confronti della

Massoneria. Messo alle strette, il 10 luglio 1751, Carlo emanò un editto

che condannava la Massoneria e ne proibiva l'attività nel Regno di Napoli.

Per amore di verità occorre dire che il comportamento del re fu prudente

e non eccessivamente severo.

Raimondo di Sangro non mostrò soltanto di accettarne la decisione

rinunciando alla carica di Gran Maestro e sciogliendo di fatto le Logge ma,

il 3 agosto 1751, dopo essersi confessato presso il sacerdote Giovanni

Battista Alasia, inviò al papa Benedetto XIV una lettera con la quale, nel

precisare tempi e luoghi della sua iniziazione massonica, rassicurava il

pontefice che le

Logge massoniche non svolgevano alcuna azione eversiva contro la

Chiesa e contro l’ordine costituito. Questa mossa di grande sagacia

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diplomatica risparmiò a lui e ai massoni napoletani gravi guai giudiziari,

anche se non servì a placare il furore antimassonico del clero e valsero a

Raimondo l'ingiusta accusa di tradimento mossa da alcuni Fratelli.

Così si concluse l'avventura massonica pubblica del Principe di San

Severo. Ritiratosi in solitudine, proseguì i suoi studi, i suoi esperimenti e

le sue ricerche. Morì, dopo aver ricevuto i Sacramenti, il 22 marzo 1771.

Il più bell'epitaffio lo ha scritto la studiosa Clara Miccinelli: "Un uomo

rivolto al passato per proiettarsi nel futuro; un uomo superbo del proprio

ingegno e costantemente assetato di giustizia, di verità, di sapere: teso

con tutta l'anima e la forza di volontà verso l'ideale meta della perfezione

umana". E terminata la sua umana esistenza incominciò la sua leggenda.

Molto più drammatica, ma anch'essa destinata ad alimentare la fantasia

popolare fu la vicenda di un altro massone italiano: Cagliostro.

Giuseppe Balsamo sedicente conte di Cagliostro, nacque il 2 giugno 1743

in una modestissima famiglia palermitana del rione del mercato di

Ballarò. Girovago attraverso diversi Paesi europei, fu iniziato alla

Massoneria, il 12 aprile 1777, nella Loggia londinese di Rito Scozzese

L'Espérance, riunita nella taverna King's Head in Gerard Street nel

quartiere Soho. In un'unica tornata gli furono, irritualmente conferiti i tre

gradi di apprendista, compagno e maestro. Nella stessa occasione fu

iniziata anche la sua giovanissima moglie, la romana Lorenza Feliciani

detta Serafina.

Dopo aver frequentato, nelle sue peregrinazioni per l'Europa, numerose

Logge, nel novembre 1986, durante un breve soggiorno nella città di

Bordeaux, Cagliostro si ammalò di febbri intestinali che gli provocarono

un delirio durante il quale, come affermò, ebbe la visione celestiale di un

ente supremo che gli conferì il compito di ristrutturare dalle basi la

Massoneria e di istituire il cosiddetto Rito Egizio, del quale egli avrebbe

dovuto assumere la guida come Grande Cofto. Incarico che, guarito,

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accettò. Poi, come primo provvedimento nel suo ruolo, nominò la moglie

Grande Maestra dei Riti d'Adozione. Pubblicò una serie di scritti nei quali

faceva risalire l'origine della sua loggia ai profeti Elia ed Enoch.

Pronosticò l'avvento imminente di un "papa angelico", e cominciò a

insegnare tecniche di rigenerazione spirituale e fisica conseguibile dopo

ottanta giorni di attività iniziatiche. Parlò di un mysterium magnum

conosciuto soltanto da lui, del quale, però, non riuscì mai a chiarire la

natura.

Nel 1784, Cagliostro partì per Lione dove fece costruire la sede della

prima Loggia del suo Rito, che chiamò con il nome di Sagesse triomphante.

L'anno dopo si trasferì a Parigi per reclutare nuovi seguaci. Nella capitale

francese istituì due Logge, una per gli uomini e l'altra per le donne,

frequentate da agiati aristocratici. Cagliostro costruì il successo del Rito

Egizio grazie alla sua capacità di intuire le aspettative del prossimo, dote

che gli aveva consentito di diventare il più fortunato truffatore dei suoi

tempi. Iniziato alla Massoneria e avendo frequentato numerose Logge, sia

del Rito Inglese, sia del Rito Scozzese Antico e Accettato, aveva capito che

il loro orientamento prevalentemente filosofico, filantropico e sociale non

era in grado di soddisfare il desiderio di una più intensa spiritualità che si

poteva raggiungere attraverso la pratica di discipline ermetiche,

alchemiche, cabalistiche e gnostiche. Il riferimento all'Egitto era

aggiungeva fascino alla proposta.

E non è un caso che, poco dopo, venisse fondato, a Venezia, da tale

Filalete Abraham, il Rito di

Misraïm (parola che in ebraico significa Egitto) e, in Francia, l'Antico e

Primitivo Rito Orientale di Memphis nel quale venne iniziato anche

Giuseppe Garibaldi il quale, nel 1881, unificò i due Riti. Pur avendo alcune

caratteristiche in comune con il Rito Egizio, entrambi presero le distanze

dalla Massoneria di Cagliostro che continuò a prosperare finché non

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scoppiò lo "scandalo della collana", un gioiello del valore odierno di quasi

cento milioni di euro. Era una colossale truffa ordita dal Cardinale de

Rohan, Grande Elemosiniere di Francia, ai danni della regina Maria

Antonietta. Tra i complici veri o presunti del Cardinale furono individuati

anche Cagliostro e la moglie che, nell'agosto 1785, furono rinchiusi nel

carcere della Bastiglia. Liberati un anno dopo vennero espulsi dalla

Francia.

Riprese così la peregrinazione della coppia: Svizzera, Savoia, e Torino,

Genova, Rovereto, Trento. Dovunque, Cagliostro fondava Logge della sua

Obbedienza. Erano a Trento quando Lorenza, su pressione della famiglia,

gli chiese di rientrare a Roma. Cagliostro ne parlò con l'amico Giacomo

Casanova, massone e agente segreto della Repubblica di Venezia che gli

sconsigliò, inascoltato, il viaggio. Fu il vescovo di Trento Pietro Virgilio de

Thun, ad aiutare il Gran Cofto e la moglie a sbrigare le pratiche

burocratiche per il loro rientro a Roma.

Nella capitale del Regno Pontificio Cagliostro trovò ebbe un'accoglienza

glaciale da parte dei massoni mentre l'ambiente ecclesiastico, lo trattò da

volgare delinquente. Nel settembre 1789, il nostro tentò di recuperare

credibilità invitando a una riunione massoni e aristocratici. L'iniziativa si

risolse con un fiasco solenne: all'incontro si presentarono soltanto il

marchese Ugo Vivaldi e il superiore dei frati Cappuccini di Frascati, frate

Francesco di San Maurizio, personaggio che avrebbe avuto un ruolo

importante nel processo a Cagliostro.

Di più. La trovata attirò su Cagliostro, sospettato di essere un pericoloso

sobillatore massone, e la moglie l'attenzione del Santo Uffizio.

Era stato iniziato alla Massoneria il 12 aprile 1777 a Londra nella Loggia

L'Espérance, che si riuniva in una taverna di Soho.

Dopo aver attraversato in lungo e in largo l'Europa dei Lumi, lasciandosi

dietro una fama di mago, guaritore e truffatore internazionale, Cagliostro

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fu arrestato nel 1789 e processato dal Santo Uffizio con l'accusa di essere

un mago, eretico e libero muratore. Agli occhi della Chiesa il crimine più

grave era che Cagliostro avesse fondato un'Obbedienza denominata

Massoneria Egiziana di Alta Scienza, della quale si proclamava Gran

Maestro o Grande Cofto. Ma non solo. Cagliostro aveva tentato, tramite la

mediazione di Louis-René Edouard il mondano cardinale di Rohan e del

vescovo di Trento, Pietro Vigilio conte di Thun, di ottenere il

riconoscimento del suo rito da parte di Pio VI.

Questo tentativo, considerato un oltraggio, scatenò la reazione della

componente più antimassonica e conservatrice della Curia romana che

ordinò l'arresto di Cagliostro e chiese la condanna a morte per essere

stato il "ristoratore e propugnatore in una gran parte del mondo della

Massoneria egiziana, e che questa stessa aveva esercitato in Roma". Nel

corso del processo fu allestito un rogo purificatore dei libri e degli arredi

della Loggia di Cagliostro in piazza Santa Maria sopra Minerva non

distante da Campo de' Fiori, famosa per il rogo sul quale era stato

bruciato Giordano Bruno.

Tramutata la condanna a morte in carcere a vita, Giuseppe Balsamo fu

rinchiuso nella rocca di San Leo il 22 aprile 1791 e quattro anni dopo

morì per le torture e le vessazioni subite. Passò dalla storia alla leggenda

che lui stesso aveva contribuito a creare.

Il processo contro Cagliostro servì alla Chiesa cattolica per avvalorare la

tesi della pericolosità politica e sociale, sostenuta da Benedetto XIV, della

"nefanda setta massonica" che si riteneva coinvolta nei movimenti

rivoluzionari che stavano sconvolgendo la Francia.

Nel 1769 Cagliostro, in viaggio con la moglie, la quattordicenne, aveva

incontrato un altro dei personaggi italiani che erano stati iniziati alla

Massoneria e che era destinato a diventare famoso come incarnazione del

mito del seduttore: era il veneziano Giacomo Casanova. L'incontro

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avvenne in Francia, ad Aix-en-Provence, nell'albergo dove Giacomo

trascorreva la convalescenza dopo una pleurite che ne aveva messo a

repentaglio la vita. Si sarebbero incontrati di nuovo nove anni dopo, a

Venezia, dove Casanova esercitava l'incarico di agente segreto al servizio

dell'Inquisizione veneta. E, in nome della solidarietà massonica, Giacomo

che, data la sua carica, era informato della spada di Damocle sospesa sulla

testa di Cagliostro lo consigliò, inascoltato, di non recarsi a Roma come

pretendeva la moglie.

Giacomo Casanova era nato a Venezia nell'aprile 1725. Rimasto orfano

giovanissimo, varcò la soglia del seminario di San Cipriano, dal quale ben

presto fu espulso per "scandalosa condotta". Iniziò così le sue avventure

attraverso tutta l'Europa, nelle vesti di chierico, di soldato, di segretario

di un cardinale, di finanziere, di giocatore, di scrittore, di violinista e di

massone. Venne iniziato a Lione nel 1750 e da allora la Libera Muratoria

ebbe una parte influente nella sua vita.

I viaggi e le frequentazioni delle Logge di Parigi, Dresda, Praga e Vienna

gli offrirono l'occasione di conoscere personaggi come Wolfgang

Amadeus Mozart e Benjamin Franklin. Tornato a Venezia, fu arrestato e

rinchiuso nel carcere dei Piombi nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1755.

Secondo l'uso dell'epoca, al prigioniero non furono notificati né il capo

d'accusa, né la durata della detenzione alla quale era stato condannato. E'

verosimile che tra le imputazioni legate alla sua condotta di libertino vi

fosse anche quella di appartenente alla Libera Muratoria. Dopo la sua

rocambolesca fuga, avvenuta il 31 agosto 1756, fu proprio la solidarietà

massonica a darli una mano. Riprese il suo peregrinare per l'Europa

finché, nel 1764, Federico II di Prussia, figura di spicco della Massoneria

settecentesca, gli offrì un posto stabile a Corte, ma ben presto il suo

spirito inquieto lo portò a ripartire per nuove destinazioni. Soltanto nel

1774 ottenne di rientrare nella sua Venezia dove rimase fino al 1782. Qui

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strinse amicizia con Lorenzo Da Ponte e lo iniziò alla Libera Muratoria.

Da Ponte scrisse per Mozart, anch'egli massone, tre libretti d'opera:

quello di Le nozze di Figaro, quello di Don Giovanni ispirato, pare, alle

avventure galanti di Casanova, e quello di Così fan tutte. L’amicizia con

Casanova fu importante per Da Ponte che, nel 1781, fu ingaggiato

dall’imperatore austriaco Giuseppe II come “poeta dei teatri imperiali”

grazie all’appoggio del musicista Antonio Salieri, massone e amico di

Casanova. Gli ultimi anni della sua vita, dal 1785 al 1798, Casanova li

visse, nel castello di Dux in Boemia, quale bibliotecario del conte di

Waldstein, affiliato alla Massoneria.

Proprio di Giacomo Casanova è una delle descrizioni più significative del

segreto massonico: “Coloro che entrano nella Massoneria soltanto per

carpirne il segreto possono ritrovarsi delusi: può infatti accadere loro di

vivere per cinquant'anni come Maestri Massoni senza riuscirvi. Il mistero

della Massoneria è per sua natura inviolabile: il Massone lo conosce solo

per intuizione, non per averlo appreso. Lo scopre a forza di frequentare la

Loggia, di osservare, di ragionare e di dedurre. Quando lo ha conosciuto,

si guarda bene dal far parte della scoperta a chicchessia, sia pure il

miglior amico Massone, perché se costui non è stato capace di penetrare

il mistero, non sarà nemmeno capace di profittarne se lo apprenderà da

altri. Il mistero rimarrà sempre tale. Ciò che avviene nella Loggia deve

rimanere segreto, ma chi è così indiscreto e poco scrupoloso da rivelarlo

non rivela l'essenziale: come potrebbe, se non lo conosce?

Dopo la conquista napoleonica dell'Europa, il 16 marzo 1805 venne

fondato a Milano il Supremo Consiglio d'Italia del Rito scozzese antico ed

accettato[4], per opera del conte francese Alexandre François Auguste de

Grasse Tilly. Egli agì in virtù dei poteri conferitigli dal Supremo Consiglio

di Charleston (il primo Supremo Consiglio del Rito scozzese antico e

accettato); con lui vi erano altri confratelli francesi ed italiani. Nell'atto di

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costituzione del Supremo Consiglio d'Italia vi era espressamente

riportato: «Il Supremo Consiglio d'Italia crea e costituisce di sua sovrana

autorità una Gran loggia generale in Italia sotto la denominazione di

Grande Oriente del rito scozzese antico ed accettato». Era questa la

nascita dell'attuale Grande Oriente d'Italia, il quale venne istituito

ritualmente il 20 giugno 1805 per opera degli stessi fondatori del

Supremo Consiglio. In quell'occasione venne eletto come Sovrano gran

commendatore il viceré d'Italia Eugenio di Beauharnais e come Gran

cancelliere il principe Gioacchino Murat. Grande Esperto all'atto della

fondazione fu il giurista e filosofo Gian Domenico Romagnosi. Il 20 giugno

1805 è tutt'oggi la data considerata dal Grande Oriente d'Italia come il

momento in cui ebbe inizio la storia dell'Ordine.

Dopo la caduta del Regno d'Italia una serie di iniziative, assunte quasi

contemporaneamente dai governanti dei vari Stati italiani, inaugurò un

nuovo periodo di repressioni del fenomeno massonico. Nel Regno di

Sardegna, il 10 giugno 1814 Vittorio Emanuele I emanò un editto con il

quale ribadì "la proibizione delle congreghe ed adunanze segrete,

qualunque ne sia la denominazione loro, e massime quelle de' così detti

Liberi Muratori già proibita col regio editto del 20 maggio 1794". Analogo

decreto del 26 agosto 1814 emanato nel Lombardo Veneto vietò "gli

ordini segreti, le adunanze, corporazioni e fratellanze segrete, come

sarebbero le Logge de' così detti Franchi Muratori ed altre consimili

società", mentre papa Pio VII il 15 agosto 1814 emanava un editto che,

rifacendosi alle encicliche di papa Clemente XII e di papa Benedetto XIV,

proibiva le "aggregazioni delli suddetti Liberi Muratori, e altre consimili"

e a Napoli, Ferdinando IV di Borbone l'8 agosto 1816 vietava "le

associazioni segrete che costituiscono qualsivoglia specie di setta,

qualunque sia la loro denominazione l'oggetto ed il numero dei loro

componenti". Tuttavia, i massoni italiani resistettero ed anzi andarono

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sempre più a rafforzare ed organizzare la propria attività, fino a

riemergere in modo significativo nella seconda metà dell'Ottocento.

Ettore Ferrari

L'8 ottobre 1859, a Torino, sette confratelli costituirono una nuova loggia,

chiamata "Ausonia" dall'antico nome poetico dell'Italia. Da questo seme,

il 20 dicembre 1859, sempre a Torino, nacque un'organizzazione che

esplicitamente aspirava a diventare una Gran Loggia nazionale ed

assunse la denominazione di Grande Oriente Italiano. Costantino Nigra fu

nominato gran maestro del Grande Oriente torinese il 3 ottobre 1861.

Tale intento si concretizzò con la I assemblea costituente del Grande

Oriente Italiano, che si tenne a Torino dal 26 dicembre 1861 al 1º

gennaio 1862 sotto la presidenza di Felice Govean, facente funzioni di

gran maestro, e con la presenza dei rappresentanti di ventotto logge. In

quella occasione, Giuseppe Garibaldi fu salutato come "primo libero

muratore italiano", ricevendo il 33º grado del Rito scozzese:

successivamente (nel 1881) si aggiunse la suprema carica di Gran

Hyerophante del Rito di Memphis e Misraim ed il Grande Oriente di

Palermo gli conferì tutti i gradi scozzesi dal 4º al 33º; a condurre il rito fu

un altro massone - Francesco Crispi - accompagnato da altri cinque[8]. Ad

assumerne la carica di gran maestro, il 1º marzo 1862, venne chiamato

Filippo Cordova, eminente figura di giurista e di statista; la III assemblea

costituente, convocata a Firenze dal 21 al 24 maggio 1864, elesse gran

maestro Giuseppe Garibaldi; la sua carica durò pochissimo a seguito di

disaccordi con gli altri membri. Diede le dimissioni dalla carica, e rimase

gran maestro onorario a vita. A Garibaldi succedette nuovamente Filippo

Cordova e poi Lodovico Frapolli, durante il cui ministero di Gran Maestro,

nel 1870, la Gran Loggia spostò la propria sede da Firenze a Roma.

Giuseppe Garibaldi con sua lettera chiese al Mazzini di sostituirlo nella

carica di Gran Maestro onorario, ma quest'ultimo rifiutò, non avendo mai

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condiviso l'organizzazione massonica lungo tutto il suo impegno

risorgimentale. È infatti storicamente oramai accertato che Giuseppe

Mazzini, al contrario del suo discepolo Aurelio Saffi, mai aderì alla

Massoneria.

Nel 1884 fu pubblicata l'enciclica Humanum Genus di papa Leone XIII, che

segnò probabilmente il momento più alto di scontro tra la Chiesa

cattolica e la massoneria. Il documento pontificio, oltre ad addebitare alla

massoneria "atroci vendette [...] su chi sia creduto reo di aver tradito il

segreto e disubbidito al comando, e ciò con tanta audacia e destrezza, che

spesso il sicario sfugge alle ricerche ed ai colpi della giustizia", sosteneva

che l'obiettivo dei massoni era quello di "distruggere da cima a fondo

tutta la disciplina religiosa e sociale che è nata dalle istituzioni cristiane, e

sostituirla con una nuova, modellata sulle loro idee, e i cui princìpi

fondamentali e le leggi sono attinte dal naturalismo". In questo clima,

venne eletto gran maestro Adriano Lemmi il 17 gennaio 1885, il quale si

impegnò particolarmente nel chiamare a raccolta figure rappresentative

del mondo politico e culturale, tra cui Giovanni Bovio, Giosuè Carducci,

Agostino Bertani, Giuseppe Zanardelli.

Il 6 giugno 1889 in Campo de' Fiori a Roma avveniva l'inaugurazione del

monumento a Giordano Bruno, opera dello scultore e futuro gran

maestro Ettore Ferrari. L'oratore ufficiale fu il filosofo Giovanni Bovio;

nel 1895 divenne gran Maestro Ernesto Nathan, poi sindaco di Roma.

Adriano Lemmi, alla fine dell'Ottocento riteneva che la scomparsa de

potere temporale dei papi fosse il "più memorabile avvenimento della

storia del mondo".

Il 21 aprile 1901 il Grande Oriente inaugurò la sua nuova sede di Palazzo

Giustiniani, mentre iniziava un fermento scissionistico che portò, da

prima nel 1908 alla fuoriuscita del Supremo Consiglio del Rito Scozzese

Antico e Accettato, e poi nel 21 marzo 1910, alla fondazione di una Gran

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Loggia, che ebbe come gran maestro Saverio Fera, sotto la

denominazione di Serenissima Gran Loggia d'Italia, che dall'indirizzo

della sua sede divenne nota anche come Gran Loggia di Piazza del Gesù,

motivo principale della scissione fu la mozione Bissolati, o meglio le

indicazioni di voto date dall'allora Gran Maestro, e non accettate da parte

di tutti i parlamentari massoni .

La Gran Loggia D'Italia si formò nel 1910 da un nucleo del Supremo

Consiglio di Rito Scozzese Antico ed Accettato che il 24 giugno 1908

aveva lasciato il Grande Oriente d'Italia.

Alla guida del gruppo si mise l'allora Luogotenente Sovrano Gran

Commendatore Saverio Fera, pastore protestante di origine calabra ma

residente ed operante a Firenze. Fera mirava a salvaguardare alcuni dei

principi fondamentali della cultura iniziatica della Libera Muratoria, tra

cui quello della libera ricerca personale e religiosa.

All'origine della profonda divergenza, la mancata approvazione al

parlamento del Regno d'Italia di una regolamentazione della istruzione

religiosa nelle scuole elementari.

L'ordinamento giuridico italiano era oscuro e contorto: all'iniziale, e già

ambigua, legge Casati del 1859 che stabiliva l'obbligatorietà

dell'insegnamento, si erano aggiunte le circolari Correnti e Cantani, la

legge Coppino e sentenze contraddittorie del Consiglio di Stato.

Il 21 febbraio 1907, l'onorevole Bissolati presentò una mozione che

tendeva ad affermare il “carattere laico della scuola elementare”; l'allora

Gran Maestro Ferrari indicò voto favorevole, ma il progetto non fu

approvato proprio a causa del voto contrario di molti deputati massoni.

Questi, ispirandosi ai principi di tolleranza religiosa, stimarono che il

provvedimento fosse sia lesivo della libertà di scelta tra laicità e

confessioni religiose sia limitante alla loro stessa autonomia poiché non

accettavano che l'Istituzione desse direttive in materia di scelte politiche.

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La Gran Loggia d'Italia, che nel 1910 portava il titolo distintivo di

"Serenissima Gran Loggia d'Italia", contava nel 1915 già più di cinquemila

fratelli e fin dal 1912 la Conferenza Internazionale dei Supremi Consigli

di Rito Scozzese, riunita a Washington, la riconobbe come unica diretta

discendente del Grande Oriente fondato dal Supremo Consiglio del Rito

Scozzese Antico ed Accettato per l'Italia del 1805.

La SGLDI, come ogni altra obbedienza massonica, fu soppressa nel 1925 a

seguito della promulgazione della Legge sulle Associazioni del governo di

Mussolini.

L’Obbedienza rinacque il 4 dicembre del 1943 in casa di Salvatore Farina

in via Priscilla 56 a Roma, dove fu ricostituito un nuovo Supremo

Consiglio ed eletto Sovrano Gran Commendatore pro tempore l’avvocato

Carlo de Cantellis. Questi rimase in carica fino a quando la Capitale non fu

liberata; il 21 giugno 1944, infatti, rimise il mandato a Palermi

scrivendogli: "Con la liberazione odierna di Roma, tutte le cariche elette il

4/12/43 […] cessano dalle loro funzioni e quindi io, insieme agli altri

ufficiali e dignitari, rimetto nelle tue mani il mandato, perché tu, quale

Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro, possa riunire le sparse

forze del Nostro Ordine".

Seguirono i confusi anni del secondo dopoguerra, caratterizzati da

continue scissioni, riunificazioni e litigi. Gran Maestri e Sovrani Gran

Commendatori si succedettero in un breve lasso di tempo: fra gli altri

ricordiamo Pietro Di Giunta, Giulio Cesare Terzani, Ernesto Villa,

Domenico Franzoni, Ermando Gatto, Tito Ceccherini.

Domenico Franzoni ed Ernesto Villa, rispettivamente Sovrano gran

commendatore e Gran maestro, furono costretti alle dimissioni nel 1951,

sostituiti pro tempore dal Luogotenente sovrano gran commendatore

Ermanno Gatto e dal vicario Romano Battaglia. Sotto la guida di Ermanno

Gatto e Romano Battaglia, vengono introdotte numerose novità

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dell'ordinamento dell'obbedienza, come la nomina diretta da parte del

Sovrano gran commendatore di ispettori provinciali direttamente

dipendenti dal governo centrale dell'ordine e la costituzione di una

commissione politica. Ma l'atto più importante fu quello preso

nell'inverno del 1955, aprendo, su suggerimento del nuovo Gran maestro

Tito Ceccherini, l'obbedienza alle donne e dando alla Gran Loggia d'Italia

l'assetto odierno. L'ammissione delle donne è per alcuni in contrasto con

quanto stabilito dalle Costituzioni di Anderson del 1723. L'artefice

dell'iniziazione femminile nella massoneria italiana, Tito Ceccherini, fu

anche artefice della nuova stagione di rapporti internazionali della Gran

Loggia d'Italia con numerose potenze straniere.

Il 24 giugno del 1962 si riunì a Roma la Grande Assemblea Elettorale che

elesse Gran Maestro, con due soli voti contrari, Giovanni Ghinazzi; egli

rimase ininterrottamente alla guida dell’Obbedienza fino alla morte, che

lo colse il 14 novembre del 1986. Nei suoi ventiquattro anni di mandato

Ghinazzi vide fondare 237 Officine, regolarizzarne 14, riemergerne 20.

Inoltre, creò dal niente i rapporti fra la Gran Loggia d’Italia e numerose

Comunioni straniere.

Il 22 giugno del 1965 la Comunione assunse la denominazione di Gran

Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori. Nella stessa data fu

ufficialmente inaugurata le sede centrale di Roma, sita in Palazzo

Vitelleschi in Via San Nicola de’ Cesarini 3, Area Sacra di Torre Argentina.

Alla morte di Giovanni Ghinazzi, subentrò al vertice della Comunione il

Luogotenente Mario Bogliolo che la guidò fino al 7 marzo del 1987,

quando fu eletto Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Renzo

Canova, rieletto poi il 2 dicembre del 1989 e il 12 dicembre del 1992.

Durante i suoi mandati fu completato l’acquisto della sede centrale,

fondata la casa editrice EDIMAI e la rivista Officinae.

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Il 16 dicembre del 1995. la Grande Assemblea elettorale scelse, quale

nuovo Gran Maestro. Franco Franchi, confermato nell’incarico il 5

dicembre del 1998. Nel corso del suo Gran Magistero fu fondata

l’associazione internazionale Unione Massonica del Mediterraneo, nata

nel 2001 con la Conferenza di Castellammare di Stabia.

Il 1° dicembre del 2001 la Grande Assemblea elettorale pose ai vertici

della Comunione Luigi Danesin che si preoccupò, fra l’altro, del restauro

delle sede centrale (marzo 2003) e dell’organizzazione nel 2005 della

celebrazione dei duecento anni di fondazione del Supremo Consiglio

d’Italia. Alla scadenza del secondo mandato di Luigi Danesin, il 1°

dicembre 2007, fu chiamato a ricoprire la suprema carica Luigi Pruneti,

XV Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia, riconfermato per il triennio

2011-2013, a Luigi Pruneti è seguito Antonio Binni la Gran Maestranza

del quale scadrà il 17 dicembre di quest'anno.

Ad oggi la Gran Loggia d’Italia ha raggiunto diversi importanti obiettivi: è

proprietaria di una prestigiosa sede in Roma a Palazzo Vitelleschi e di

numerose sedi periferiche, contando Logge in tutta Italia, oltre che a

Beirut, Toronto, Londra e Bucarest; dispone di oltre 140 Templi in tutto il

territorio nazionale; ha instaurato intense relazioni con numerose

Obbedienze presenti in vari Continenti; è animatrice di Organismi

Internazionali come il C.L.I.P.S.A.S. (Centre de Liaison et d’Information

des Puissances Signataires de l’Appel de Strasbourg), che raccoglie oltre

60 Comunioni di tutto il Mondo; è fondatrice e coordinatrice permanente

dell’Unione Massonica del Mediterraneo; è proprietaria della Casa

Editrice Edimai che ha pubblicato numerose opere di Autori massoni;

pubblica la rivista Officinae, organo ufficiale della Comunione.

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ANTIMASSONERIA

Nel 1698, circa due decenni prima dell’istituzione della Gran Loggia

d'Ighilterra, fu distribuito un pamphlet che avvertiva i londinesi "[…]

delle malizie e delle cose cattive praticate agli occhi di Dio dai cosiddetti

Liberi Muratori […] Essi sono l’Anti Cristo".

Quarantuno anni dopo, nel 1730, l'inglese Samuel Pritchard, iniziato nella

Loggia La testa di Enrico VIII, pubblicò a Londra gli opuscoli Masonry

dissected con i quali accusava i liberi muratori di ateismo, deismo,

immoralità e di torbide iniziative politiche.

Nel 1738, papa Clemente XII emise la Bolla In Emminenti Apostolatus

Specula, con la quale scomunicava i cattolici appartenenti alla

Massoneria; tra i motivi della condanna: la promiscuità di fedi diverse, la

segretezza, le trame ordite contro la pace, eccetera.

Era incominciata così l'antimassoneria cattolica che coniugava

giustificazioni religiose con la "ragion di stato" del potere temporale della

Chiesa di Roma, manifestatasi quest'ultima, nel nostro Paese, soprattutto

nel periodo risorgimentale e culminata con la presa di Roma del 1870

realizzata, ci si accusava, su ispirazione della Massoneria.

L'asservimento alla Chiesa e alle sue direttive fu il pretesto con i quale

diversi Stati cattolici retti da regimi monarchici dispotici applicarono alla

Massoneria la "scomunica politica", condannando numerosi massoni a

morte, al carcere o all'esilio. Come scrive Aldo Alessandro Mola, quei

provvedimenti antimassonici sono "l'emblema della perenne

incompatibilità fra libertà di ricerca e aspirazione del potere a esercitare

occhiuta sorveglianza su ogni forma di libero pensiero".

Un contributo decisivo all’antimassoneria lo diede l'abate Augustin

Barruel, francese, appartenente all'Ordine dei Gesuiti, autore delle

Memoires pour servir a l'histoire du jacobinisme, opera in tre volumi dei

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quali i primi due furono pubblicati a Londra nel 1796. Scopo delle

Memoires era convincere contemporanei e posteri che la Rivoluzione

francese fosse ordita dai Figli della Vedova. In quelle pagine, che ebbero

un grande successo, si legge che le Logge erano state inquinate da gruppi

dediti a praticare le scienze occulte, incantesimi e altre simili

scelleratezze. L'obiettivo della Massoneria, secondo l'abate, era eliminare

dalla società cristiana il timor di Dio e il rispetto per l'autorità reale.

Barruel divenne un caposcuola che influenzò l’antimassoneria posteriore,

enunciando la teoria del complotto per la quale la Massoneria era

ideatrice di un progetto sovversivo, volto a realizzare un regno delle

tenebre che eliminasse i valori cristiani e civili.

Sui danni che l'histoire comportò per la massoneria è illuminante il

giudizio del cattolico Alec Mellor che in I nostri Fratelli separati. I Liberi

Muratori [Edizioni Bolla, Milano 1963] scrive "Barruel può essere

considerato il padre dell’antimassoneria moderna, quella che era esistita

prima di lui fu senza seguito. La sua, invece, fu un durevole seme di odio,

e di tutti coloro che scrissero contro la massoneria egli è quello che le

fece maggiormente male […] Barruel fece agli avversari un torto

immenso, dal quale la Massoneria, si può ben dire, non poté mai

rimettersi e che fu la sorgente dalla quale intere generazioni di

antimassoni attinsero".

Nel 1885 ebbe inizio una vicenda che, prese le mosse da un bieco

interesse economico coniugato con il condiscendente coinvolgimento

della Chiesa. Uno scrittore sensazionalista, Leo Taxil, ex massone,

pubblicò e vendette numerosi libri nei quali, assieme a notizie

assolutamente vere, diffondeva notizie false atte a dare un'immagine

negativa della Massoneria, creando sensazione e quindi interesse. Nella

trappola delle rivelazioni pubblicate da Leo Taxil, finirono invischiati il

papa Leone XII e il "dottore della Chiesa" santa Teresa di Lisieux. Essi

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appoggiarono la "sacra denuncia" di Taxil incoraggiando crociate contro

la Massoneria e, addirittura, la fondazione di gruppi antimassonici tra i

quali i cosiddetti Cavalieri di Colombo, laici dedicati al solo scopo di

combattere la Massoneria. Leo Taxil divenne famoso e ricco con la

pubblicazione dei suoi volumi che raccontavano al popolo le malefatte

dei Massoni, del Palladismo e della sua gran diaconessa Diana Vaughan,

delle opere pericolose di Albert Pike e del suo successore Adriano Lemmi

e del loro preteso satanismo. La vicenda è stata ripresa da Umberto Eco

nel romanzo Il cimitero di Praga.

Poi, durante una sensazionale conferenza stampa tenuta il 19 aprile 1912,

presso la sede della Società Geografica di Parigi, alla presenza di

giornalisti dei diversi paesi, e soprattutto di religiosi, tra i quali anche i

delegati del Nunzio Apostolico in Francia e dell'Arcivescovo di Parigi,

ammise che il castello costruito nei suoi libri sulle nefandezze del popolo

massonico erano frutto della sua fantasia.

Fu in una famosa conferenza stampa tenuta il 19 Aprile 1912, presso la

sede della Società Geografica di Parigi, che lo scrittore Leo Taxil, alla

presenza dei giornalisti dei diversi paesi, e soprattutto di religiosi anche

delegati del Nunzio Apostolico e dell’Arcivescovo di Parigi, confessò che

tutto quanto aveva scritto sulle nefandezze del popolo massonico erano

frutto della sua immaginazione.

Nel corso dell'Ottocento e del primo Novecento si affacciarono sulla

scena filosofico-politica dottrine destinate a dar vita ai totalitarismi che

hanno segnato d'una scia di terrore e sangue il secolo passato:

comunismo, fascismo e nazismo, legati dal comune denominatore

dell'antimassoneria.

Nel 1922, a Mosca il IV Congresso della III Internazionale aveva

individuato nella Massoneria il principale nemico del comunismo. Si

distinsero per il particolare accanimento i delegati italiani Giacinto

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Menotti Serrati e Antonio Graziadei. La prima conseguenza fu la

decapitazione della segreteria Partito Comunista Francese costituita dai

Fratelli Henry Torrès, Antoine Coen e Ludovic Oscar Frossard. Sei anni

dopo, nel 1928, Stalin ordinò di cancellare ogni traccia di massoneria in

tutta l'Unione Sovietica. Qualsiasi forma di attività e propaganda

massonica poteva essere punita con la condanna a morte. Nel 1948 nei

Paesi finiti nell'appartenenza al blocco sovietico, Ungheria, Romania,

Bulgaria, la Massoneria fu vietata per legge e i Fratelli più in vista furono

arrestati, sottoposti a processi farsa e condannati a pesanti pene

detentive, alla deportazione e, in alcuni casi, alla pena capitale.

Non da meno furono i regimi di destra. All'estero, tra il 1920 e il 1945, i

regimi fascisti di Ungheria, Romania, Spagna, Portogallo e il regime

nazista in Germania, promulgarono leggi antimassoniche che

dichiaravano bandita l'Istituzione e prevedevano l'eliminazione fisica dei

massoni.

Nel 1923, il Gran Consiglio del Fascismo sancì l’incompatibilità fra

fascismo e Massoneria. Una delle tragiche conseguenze del

provvedimento è passata alla storia come la "Notte dell’Apocalisse

fiorentina". Il 3 ottobre 1925, gli squadristi uccisero Napoleone

Bandinelli, Giovanni Becciolini, Gustavo Consolo, Gaetano Pilati. L’ordine

del giorno del direttorio del Fascio di Firenze riportò: "Da oggi in poi, né i

massoni, né la massoneria devono rimanere anche un solo attimo liberi

dalla persecuzione […] Si devono annientare senza misericordia, i

massoni, i loro beni, i loro interessi. Essi devono venire cacciati via dai

pubblici impieghi […] Nessuno deve restare escluso. I bravi cittadini

devono schivare ogni massone. Sotto il peso della nostra forza, essi

devono venire isolati, come lebbrosi". Poco più di un mese dopo, il 28

novembre 1925, veniva varata la legge Sulla disciplina di associazioni,

enti ed istituti e sull’appartenenza ai medesimi del personale dipendente

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dallo Stato, dalle amministrazioni. La Massoneria italiana doveva cessare

di esistere.

Nel 1938, veniva pubblicata la III edizione dei Protocolli dei Savi Anziani

di Sion, con introduzione di Julius Evola il quale scriveva: "Questo

documento venne nelle mie mani circa quattro anni fa [1901] insieme

con l'assoluta garanzia che è la traduzione verace di documenti [originali]

rubati da una donna a uno dei capi più potenti, e più iniziati della

Massoneria [Massoneria Orientale]. Il furto fu compiuto alla fine di

un'assemblea segreta degli 'iniziati' in Francia, paese che è il nido della

cospirazione massonico-ebraica".

Dal libro di Giovanni Preziosi, l'ideologo del razzismo fascista, Giudaismo,

bolscevismo, plutocrazia, massoneria [1941] riportiamo il seguente

brano: "Nella terza Italia sorta con un programma laico, massone

anticlericale, in opposizione al Papato, gli Ebrei trovano le condizioni

ideali per infiltrarsi in tutti rami del nuovo organismo, senza far rumore,

come i tarli, i quali finché mangiano non si scoprano. La massoneria fu la

scala usata dagli Ebrei per l’arrembaggio al nuovo stato. Essa divenne il

loro segno. Con essa fecero breccia ovunque".

Nel gennaio 1944, sei anni dopo la promulgazione delle famigerate leggi

raziali, e pochi mesi prima della liberazione di Firenze, Giovanni

Spadolini, destinato a diventare uno dei "padri nobili" della Repubblica

Italiana, accreditato come uno dei strenui difensori della democrazia, sul

settimanale fiorentino Italia e Civiltà aveva scritto un articolo che alla

luce di quello che sarebbe stato il suo atteggiamento verso la massoneria

nella vicenda P2, suonava profeticamente antimassonico. Il

diciannovenne Spadolini spiegava che la crisi del fascismo in Italia era

avvenuta dopo il 1936 perché "vi scivolarono dentro e vi presero piede in

sempre maggior numero i profittatori, gli ambiziosi, i retori […] proprio

mentre riaffioravano i rimasugli della massoneria, i rottami del

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liberalismo, i detriti del giudaismo" e la monarchia si svincolava dal

regime "appoggiata da una cappella di generali massonici".

Il 24 marzo 1944, tra i 355 martiri trucidati dai nazi-fascisti alle Fosse

Ardeatine, ci furono diciotto massoni appartenenti sia al Grande Oriente

d'Italia sia alla Gran Loggia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, tra

questi ultimi il Gran Maestro Placido Martini, gli altri erano: Teodato

Albanese, Carlo Avolio, Umberto Bucci, Silvio Campanile, Silvano Canalis,

Giuseppe Celani, Renato Fabbri, Fiorino Fiorini, Manlio Gelsomini,

Umberto Grani, Mario Magri, Attilio Paliani, Giovanni Rampulla, Umberto

Scattoni, Mario Tapparelli, Angelo Vivanti e Giulio Volpi. La vulgata

antifascista, di qualsivoglia colore, ha sempre omesso di menzionarli

come massoni, erano, come tali, vittime scomode e il loro ricordo forse

non avrebbe aiutato l'opinione pubblica nel suo continuo condannare

l'Istituzione. Colgo quest'occasione per riconsegnarli quantomeno alla

nostra deferente memoria.

Ho inteso fare cenno a questi elementi storici poiché sono stati il fertile

terreno di cultura sul quale è prosperata e prospera la "mentalità

antimassonica" oggi ampiamente diffusa. La disinformazione e la cattiva

informazione fornita dai mezzi di comunicazione di massa hanno un

ruolo di primo piano nella diffusione di tale mentalità.

Dal 1945, con il ritorno alla libertà e alla democrazia e con esse alla

legalità della Massoneria, la "mentalità antimassonica" è sopravvissuta

saldamente nel catalogo dei pregiudizi italiani.

La Chiesa, pur nel succedersi dei Pontefici, alcuni dei quali considerati, a

ragione o a torto, "progressisti" e nonostante il rinnovamento proposto

dal Concilio Vaticano II [1962-1965], secondo le deliberazioni della

Congregazione per la Dottrina della Fede e i pronunciamenti di diverse

Conferenze Episcopali, è rimasta tetragona nella perpetuazione del

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principio dell’inconciliabilità fra i principi della Massoneria e quelli della

fede cristiana.

Tra il 1947 e il 1948, nell'ambito dell’Università del Sacro Cuore di

Milano era stato varato il progetto di promuovere un referendum per

mettere fuori legge la massoneria. E, nel 1949, il cardinale Idelfonso

Schuster, arcivescovo di Milano, aveva messo sullo stesso piano la

Massoneria, lo spiritismo, il comunismo e il protestantesimo, additandoli

alla pubblica opinione come i più grandi pericoli per le coscienze. Per non

parlare delle più recenti correnti cattolico-integraliste che, facendo

proprie persino le menzogne diffamatorie dei Protocolli dei Savi Anziani

di Sion, associano nei loro vaneggiamenti mistificatori la Massoneria e

l'Ebraismo come i promotori di un complotto demoniaco teso a

impadronirsi dell'universo mondo e far trionfare l'Anticristo. Basta

scorrere gli innumerevoli siti pubblicati sull'argomento su Internet per

rendersene conto.

Nel dopoguerra e in quella che è passata agli archivi della storia come la

Prima Repubblica, i partiti più livorosamente antimassonici sono stati

istituzionalmente il Partito Comunista Italiano e il neofascista Movimento

Sociale; ambiguo il Partito Socialista Italiano, antimassonico nella sua

corrente di sinistra e con personalità antimassoniche come Bettino Craxi;

aperti, invece, il Partito Socialdemocratico, il Partito Repubblicano e il

Partito Liberale. Com'è ovvio, la Democrazia Cristiana si adeguava,

almeno formalmente, alle direttive della Chiesa.

Vero che la Prima Repubblica è stata segnata dalla vicenda P2, ma essa è

stata, di là della fattispecie, anche un formidabile strumento per

alimentare la "mentalità antimassonica" utilizzato dalla politica, dai

mezzi di comunicazione e persino da una parte della magistratura.

Nei propositi dell'allora Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di

Palazzo Giustiniani, la Loggia P2 voleva ricollegarsi alla Loggia

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Propaganda, la P1. Era stata istituita nel 1877 dal Gran Maestro Giuseppe

Mazzoni, ma era stato Adriano Lemmi, Gran Maestro dal 1885 al 1895, a

darle prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri del

Regno d'Italia che, in ragione dei loro incarichi, erano costretti a lasciare

le loro logge territoriali e stabilirsi a Roma; fra i suoi iscritti c'erano tra

gli altri Ernesto Nathan, Menotti Garibaldi [primogenito dell'Eroe dei due

Mondi e di Anita], Aurelio Saffi, Agostino Bertani, Francesco Crispi,

Giousuè Carducci, e Giovanni Bovio. Nella P2, Loggia "coperta", senza

connotazione territoriale, avrebbero dovuto confluire personaggi che,

per la loro posizione politica e sociale, non era opportuno figurassero

nelle Logge ordinarie. Come Maestro Venerabile della P2 era stato scelto,

nel 1977, Licio Gelli, iniziato nel 1965 nella Loggia Romagnosi di Roma.

Si trattava, nelle intenzioni del Fratello Salvini, di un provvedimento teso

a mettere al riparo della segretezza persone la cui affiliazione avrebbe

potuto alimentare le consuete accuse di complottismo e affarismo

proprie della vulgata antimassonica. Ma, come si dice, di buone intenzioni

è lastricata la strada per l'inferno le porte del quale si spalancarono

quando si venne a sapere che Licio Gelli aveva trasformato la Loggia in

uno strumento personale che di massonico aveva soltanto il nome

usurpato e che nulla aveva a che fare con il Grande Oriente d'Italia. La P2

e i suoi 932 associati [secondo gli elenchi sequestrati nella villa di Gelli a

Castiglion Fibochi], a volte neppure consapevoli né della loro iscrizione e

nemmeno del senso dell’organizzazione di Gelli, si trovarono invischiati

in una struttura più legata a interessi politici e a discutibili uomini d’affari

che non agli ideali massonici, usati come specchietto per le allodole. Licio

Gelli era riuscito ad allungare i tentacoli della sua organizzazione in

gangli vitali della società: dalle Forze Armate all'editoria, dalle banche e

dalla finanza agli stessi partiti. Sulla base delle varie accuse mosse alla P2,

dal golpe Borghese alla "Rosa dei venti", dall'affare Sindona al Banco

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Ambrosiano, dal traffico di armi a sospetti legami con i servizi segreti, a

connivenze con la mafia, nacque una grande inchiesta parlamentare che

condusse alla promulgazione di una legge sulle associazioni segrete in

attuazione dell’articolo 18 della Costituzione Italiana, a seguito della

quale venne sciolta la Loggia P2.

Nonostante che il Grande Oriente, il 31 ottobre 1981 avesse espulso Licio

Gelli e sconfessato la sua organizzazione, l'affare P2 divenne il pretesto

per un attacco indiscriminato e irrazionale nei confronti dell'intera

Massoneria. I lavori della Commissione parlamentare provocarono più

confusione che chiarezza, scatenando un'indiscriminata campagna

antimassonica, sostenuta da alcuni partiti e dai mezzi di comunicazione,

tale da provocare l'intervento della Federazione Internazionale dei Diritti

dell'Uomo che nel suo documento conclusivo dichiarò: "La Delegazione

ha, infine, ravvisato in tutta la vicenda speciosamente montata, oltre i

limiti tollerabili del buon gusto e del buon senso comune, qualcosa che va

di là del fatto specifico in questione. Per motivi occulti, ma facilmente

intuibili sia il gruppo di Gelli, sia la Massoneria italiana del Grande

Oriente d'Italia, sono stati usati e dati in pasto all'opinione pubblica per

galvanizzarla e sviarla da altri importanti problemi che da troppo tempo

assillano la società italiana".

A onore del vero dobbiamo ammettere che le Obbedienze massoniche

"regolari", forse per un eccesso di prudenza, non usarono la necessaria

energia per difendere l'onorabilità dell'Istituzione. Il "piduismo" diventò,

soprattutto per certi organi di stampa, per una parte della

radiotelevisione nazionale e per alcuni magistrati un'ossessione e un

marchio d'infamia indelebile. Il sonno della ragione genera mostri duri a

morire che a loro volta diffondono il virus della "mentalità

antimassonica", così ancora oggi a organizzazioni di vario malaffare si

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applicano le sigle di P3, P4 e seguenti con il chiaro intento di alludere a

una loro pretesa veste massonica.

Montature giornalistiche volte al sensazionalismo, ambizione e desiderio

di protagonismo di alcuni elementi della magistratura, astioso rancore

ideologico di alcuni ambienti fondamentalisti, hanno così, anche in tempi

recenti, continuato ad alimentare nella pubblica opinione una visione

negativa dell'Istituzione.

Dal 1975 al 2000, infatti, la Massoneria italiana ha subito le pesanti

persecuzioni mai sofferte prima.

E allora, come un tempo Hitler in Germania, dette la colpa della crisi

economica agli ebrei, ecco che i politici, i magistrati, i "massoni

democratici" in odore di potere e i mezzi di comunicazione di massa a

caccia di pettegolezzi, si inventarono la tesi golpista ordita dai massoni

della P2 e, via via, dall'intera Massoneria, visto che anche l'altra grande

Obbedienza italiana, la Gran Loggia d'Italia, subì inchieste e

controinchieste ignominiose.

Le conseguenze della campagna antimassonica costruita sulla P2 non

avevano ancora esaurito il loro devastante effetto quando, negli anni

Novanta del secolo scorso ne seguì un'altra. Pochi, infatti, sanno o

ricordano che in quegli anni un'inchiesta giudiziaria senza alcun

fondamento, si offrì all'opinione pubblica con i crismi di una nuova Santa

Inquisizione. Era guidata dall'allora magistrato di Palmi Agostino

Cordova, il quale scatenò una vera e propria crociata inquisitoria contro

cittadini onesti la sola colpa dei quali era l'appartenenza alla Massoneria.

Agostino Cordova, magistrato che, evidentemente, non sapeva nulla della

Massoneria e con nessuna voglia di informarsi alla fonte, ipotizzò un

"teorema" totalmente privo di fondamento: poiché in Calabria [regione

alla quale apparteneva la Procura di Palmi] c'è la 'ndrangheta e in Sicilia

la mafia che complottano contro la stabilità dello Stato, allora dietro a

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loro c'è la Massoneria che trama nel segreto. Cordova aveva stabilito a

priori che i massoni italiani erano tutti colpevoli e, dunque, da inquisire.

Fu così che si attivò per acquisire tutti gli elenchi dei massoni italiani,

alcuni dei quali finirono anche in pasto ai media, come se fossero una

lista di proscrizione, fatta di delinquenti abituali; tra le testate che

iniziarono la pubblicazione degli elenchi ricordiamo l'Unità, il Tirreno e il

periodico Cuore, a riprova del carattere politicamente "trasversale"

dell'antimassoneria.

Com'era inevitabile, la pubblicazione degli elenchi incrementò presso

gran parte della pubblica opinione la "mentalità antimassonica". Inutile

dire che le più colpite furono le due Obbedienze massoniche italiane con

il maggior numero d'iscritti: la Gran Loggia d'Italia degli Antichi Accettati

Liberi Muratori e il Grande Oriente d'Italia. E a poco, anche allora,

servirono gli interventi e le aperture dei Gran Maestri della Gran Loggia

d'Italia degli Antichi Accettati Liberi Muratori Renzo Canova e il suo

predecessore Giovanni Ghinazzi, che avevano deciso di aprire i Templi

massonici e di garantire la massima trasparenza.

Ma nessun reato era stato commesso e così la Suprema Corte di

Cassazione stabilì che Agostino Cordova aveva palesemente violato la

Costituzione della Repubblica Italiana negli articoli 13 e 14, che

stabiliscono che la libertà personale e il domicilio sono inviolabili e non

sono ammesse forme di detenzione, ispezione e perquisizione se non per

atto motivato. Inoltre il magistrato aveva violato gli articoli 247 e 253 del

codice di procedura penale.

Purtroppo, però, il danno morale ed economico per i cittadini Libero

muratori ingiustamente coinvolti era fatto.

A guadagnare, in termini di tirature e di credibilità, sulla "caccia alle

streghe" scatenata contro la Massoneria fu la stampa vicina agli ambienti

radical scic e di sinistra e quella che si definiva indipendente che piaceva

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alla piccola borghesia perbenista e i giornalisti che allora come oggi

intingono la penna nell'inchiostro nero del pregiudizio e della

disinformazione, a qualsiasi fazione politica appartenessero e

appartengono. A puro titolo d'esempio riportiamo questa citazione tratta

da La Stampa, il quotidiano della famiglia Agnelli, nel numero del 4

novembre 1992: "Asserragliati nei loro templi, intabarrati nei loro

grembiulini, i Fratelli, complottano, ordiscono trame, mettono a punto i

loro disegni inconfessabili. E cos’altro è, agli occhi dei suoi nemici, la

Massoneria se non un'inesauribile, centrale di complotti? O un'oscura

conventicola col pallino di voler governare segretamente il mondo?". Con

un'ipocrisia che sfiora il grottesco, il quotidiano torinese fingeva

d'ignorare l'appartenenza del suo editore, l'avvocato Gianni Agnelli, a

sodalizi come il Gruppo Bilderberg e la Trilateral accusate, a ragione o a

torto, di condizionare la politica e l'economia mondiale, in ogni modo,

certamente più potenti della Massoneria.

Ancora in tempi recenti si è tentato, da parte di alcune amministrazioni

pubbliche, di reintrodurre la legislazione fascista che imponeva ai

dipendenti statali di dichiarare la propria appartenenza ad associazioni

quali la Massoneria, ciò in palese violazione della Costituzione

nonostante che gli organismi internazionali e democratici abbiano

sempre bocciato tali legislazioni liberticide. A questo proposito, il 3

novembre 1993, il quotidiano L'Indipendente, annotava: "La caccia al

massone in Toscana è ormai diventata un safari che espone alle doppiette,

pidiessine non solo i dipendenti del pubblico impiego, ma anche quelli

delle aziende private. Ormai in Toscana essere massoni è un reato; o

comunque una colpa che ti confina nel ghetto di coloro che è

sconsigliabile frequentare".

Il 17 febbraio 1992, quasi per caso, l'arresto del socialista Mario Chiesa,

presidente del Pio Albergo Trivulzio, diede il via all'operazione Mani

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Pulite, giornalisticamente Tangentopoli, che provocò la sparizione dalla

scena politica di quasi tutti i partiti della Prima repubblica: la

Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il Partito Liberale e il

Partito Repubblicano; sopravvissero soltanto il Partito Democratico della

Sinistra e Rifondazione Comunista, entrambi eredi del Partito Comunista

e il Movimento Sociale. Intanto s'erano affacciati sulla scena politica due

nuovi partiti: la Lega nord e Forza Italia di Silvio Berlusconi.

Era nata la Seconda repubblica, i partiti della quale avevano ereditato i

vizi della Prima, compresa l'antimassoneria sbandierata soprattutto dalla

sinistra e dalla Lega. In tempi più recenti a loro s'è aggiunto il Movimento

5 Stelle di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. A titolo esemplificativo

cito quanto ebbe a dire l'onorevole Giuseppe Fioroni, ala cattolica del

Partito Democratico, in un'intervista il 3 giugno 2010: "Se il PD tollerasse

l'appartenenza di suoi membri alla Massoneria, verrebbe messa in crisi la

credibilità dello stesso PD in tante battaglie". L'antimassoneria è

diventata l'arma della quale i politici e i mezzi di comunicazione che li

sostengono si servono per demonizzare gli avversari. Mario Monti,

divenuto Presidente del Consiglio, fu "accusato" di essere massone da

Antonio Di Pietro e da Nichi Vendola.

L'antimassoneria e la sua capacità di condizionare la mentalità della

pubblica opinione non sono monopolio dei quotidiani e dei periodici. A

loro fanno da efficace controcanto romanzi di grande successo, veri e

propri best-seller, come Il Pendolo di Foucault di Umberto Eco, nel quale,

fra l’altro, si legge: " […] i massoni sono caricature borghesi della

cavalleria templare" o Il cimitero di Praga sempre di Eco che affida

all'immaginario collettivo come i peggiori complottisti liberamente

associati, gesuiti, massoni ed ebrei. Come non ricordare il romanzo Il

simbolo perduto dell'americano Dan Brown, il successo del quale ha dato

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la stura alla pubblicazione di una nutrita narrativa che s'ispira ai peggiori

luoghi comuni dell'antimassoneria.

Meno numerosa, perché editorialmente meno redditizia, ma anche più

pericolosa perché accreditata sul piano culturale, la saggistica nell'ambito

della quale spiccano i volumi di Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, di

Mario Guarino, Poteri segreti e criminalità, L'intreccio inconfessabile tra

'ndrangheta e massoneria, di Giacinto Butindaro, La Massoneria

smascherata e di Dino P. Arrigo, Nuovi Fratelli. Storia e segreti della

massoneria da Tangentopoli alle inchieste P3 e P4, Massoni. Società a

responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges di Gioele Magaldi e

Laura Maragnani e Dalla massoneria al terrorismo. Come alcune logge

massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono

controllare il mondo di Giovanni Francesco Carpeoro.

Neppure il cinema si sottratto al fascino dell'antimassoneria, tra gli

esempi di casa nostra ricordiamo Un borghese piccolo piccolo,

protagonista Alberto Sordi, nel quale il regista Mario Monicelli, offre

un'immagine parodistica, grottesca e ridicola, ma proprio per questo,

forse, più efficacemente deleteria della Massoneria e il recentissimo Sole

a catinelle di Checco Zalone.

Ma il vero "paradiso" dell'antimassoneria dei tempi nostri è Internet. I

siti "dedicati" sono davvero innumerevoli e alla portata di tutti con un

danno d'immagine difficile da quantificare.