MASSONERIA ITALIANA Giuseppe Ivan Lantos - pavia oriente ... nostro sito/testi x sito/Massoneria...
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MASSONERIA ITALIANA Giuseppe Ivan Lantos
Grembiulini, cappucci, spade, simboli esoterici, segreti, poteri occulti,
cospirazioni: nell'immaginario collettivo questo e altro confezionano
l'immagine tenebrosa e inquietante della Massoneria; ad alimentarla
contribuisce una pubblicistica talvolta poco o male informata e male
informante, talaltra patentemente ostile e una letteratura avvincente e di
successo, ma priva di valore storico. Ne sono validi esempi il falso
documentale russo Protokoly Sionskich Mudrecov, in italiano I Protocolli
dei Savi di Sion, nel quale si favoleggiava di un complotto universale
giudaico massonico, pubblicato nel 1903 ma ancora oggi un best-seller
negli ambienti dell'anti Massoneria strettamente collegati a quelli
dell'antisemitismo e dell'antisionismo, e romanzi come i recenti Il
simbolo perduto dell'americano Dan Brown e il provocatorio Il cimitero di
Praga di Umberto Eco.
Quest'articolo non intende avere come fine una captatio benevolentiae
nei confronti della Massoneria le cui vicende hanno luci e ombre, bensì
una loro restituzione alla storia, in particolare, a quella delle sue origini
in Italia e a quella di alcuni personaggi che, nel bene e nel male, ne furono
protagonisti.
Per il nostro Paese, la Massoneria fu un "prodotto d'importazione". Era
nata ufficialmente in Inghilterra il 24 giugno 1717 per iniziativa di
quattro preesistenti Logge londinesi che, riunite nella birreria L'oca e la
graticola, costituirono la Gran Loggia d'Inghilterra, prima struttura
organizzata dell'istituzione che, per quanto in maniera autoreferenziale,
rivendicava un'autorità internazionale. In precedenza, diverse Logge
erano diffuse, in forma disorganica, non soltanto nel mondo anglosassone,
ma anche in altre nazioni europee. Non, però, in Italia. Non c'è dubbio
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che il contributo inglese fu fondamentale per la diffusione sopranazionale
della Libera Muratoria.
A metà del Settecento, le guerre europee avevano disegnato la mappa di
un'Italia "disunita" sotto il dominio di tre dinastie: i Savoia in Piemonte e
Sardegna, gli Asburgo a Milano e a Firenze, i Borbone a Parma e a Napoli;
a queste si aggiungeva, nel centro-nord della penisola il dominio papale.
Il denominatore comune, non ininfluente, come vedremo, per i destini
della Libera Muratoria, era l'osservanza delle Case regnanti nei confronti
della Chiesa cattolica.
Il terreno di cultura sul quale aveva attecchito e si era consolidata la
Massoneria era l'Illuminismo quel fenomeno evolutivo delle idee in fatto
di religione, scienza, filosofia, politica, diritto, economia e letteratura che
si era propagato in Europa dopo la conclusione delle guerre di religione
del XVII secolo, promuovendo un sostanziale rinnovamento della
weltanschauung. La diffusione dell'Illuminismo in Italia, come sarebbe
avvenuto per quella della Massoneria, fu condizionata dalla particolare
situazione del nostro Paese: dall'inesistenza dell'unità e di una politica
nazionale, dalla frammentazione socio-culturale e, non ultima,
dall'ipoteca cattolica. Di conseguenza, l'Illuminismo mise radici, con
caratteristiche peculiari, soltanto in alcuni grandi centri urbani, in primis
a Napoli, dove la Massoneria avrebbe avuto un ruolo rilevante e
importanti protagonisti.
Tuttavia della primogenitura di una Loggia massonica in Italia non poté
vantarsi il capoluogo partenopeo, essa viene, invece, rivendicata da due
città, Roma e Firenze, e per entrambe la paternità è inglese. C'è, infatti,
chi sostiene che, a Roma, una Loggia esistesse già dal 1724, fondata da
profughi giacobiti, i seguaci cattolici del pretendente al trono
d'Inghilterra Giacomo Stuart, esule nella città dei papi dal 1718.
Un'attribuzione contestata da uno dei più accreditati storici della
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Massoneria, Pericle Maruzzi, secondo il quale si non si trattava di una
Loggia massonica, ma del Most Ancient and Noble order of the Gormogons,
Antico e Nobile ordine dei Gormogoni, fondato dall'aristocratico nobile
inglese Philip Wharton in polemica con la Massoneria dalla quale era
stato radiato con disonore. Wharton s'era trasferito a Roma nel 1724.
Carlo Francovich nella sua Storia della Massoneria in Italia scrive: "Prima
del 1730 non si hanno notizie documentate di Logge esistenti nella
penisola. Ma non è escluso che nuclei latomistici sorgessero in varie città
italiane dall'iniziativa di singoli massoni stranieri capitati nel nostro
Paese per ragioni d'affari o con incarichi politici". E', dunque, verosimile
che questi visitatori avessero fondato delle Logge, frequentate però quasi
esclusivamente da forestieri, a Milano, Genova, Ferrara, Livorno, Venezia
e Napoli. Possibile, ma non documentato da fonti certe. Sicura, invece, è la
costituzione, nel 1735, di una Loggia giacobita, quindi d'ispirazione
cattolica, a Roma. E' opportuno ricordare che le Logge giacobite romane
avevano un carattere cospirativo legato al progetto di restituire la corona
inglese alla dinastia degli Stuart il che escludeva di fatto l'iniziazione di
italiani.
Diversa la situazione a Firenze dove la prima Loggia venne fondata tra il
1731 e il 1732 dall'inglese lord Henry Fox Holland. La Loggia tenne le sue
riunioni prima in una locanda di via Maggio, poi nell'albergo gestito da un
inglese, mister Collins. Racconta Carlo de Francovich che il trasferimento
non fu determinato da ragioni di sicurezza o da altre giustificate
preoccupazioni, ma perché la cucina del locandiere, un tale monsiù
Pasciò, non piaceva al Fratelli che, al termine delle tornate di lavori,
avevano l'abitudine di rifocillarsi con abbondanti cene conviviali
innaffiate da numerosi brindisi.
Contrariamente ai massoni britannici di Roma, quelli di Firenze non
perseguivano finalità politiche ma, d'ispirazione illuminista, elaboravano
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progetti di libertà intellettuale e di affrancamento dai pregiudizi e
dall'intolleranza religiosa.
L'interesse degli inglesi per la Toscana era di due ordini e focalizzato su
due poli: Livorno, con il suo porto, per i traffici commerciali e Firenze per
il suo patrimonio d'arte e cultura che aveva attirato nel capoluogo
fiorentino numerosi intellettuali britannici molti dei quali avevano
incarichi nella corte granducale come archeologi, architetti e ingegneri.
La colonia inglese di Firenze era la più numerosa, qualificata e inserita di
tutta la penisola.
A questo s'aggiungeva che la Toscana dell'epoca era terra di robuste
effervescenze politiche e culturali favorite dal granduca Gian Gastone de
Medici, ultimo esponente della dinastia fiorentina, succeduto, al padre
Cosimo III il 31 ottobre 1723. Il granduca, noto per la sua erudizione, per
le sue idee che, per l'epoca, si potrebbero definire liberali, per la sua
avversione ai gesuiti e per la sua esibita omosessualità che l'avrebbe
privato dall'avere eredi, aveva promosso Firenze al rango di una "nuova
Atene", sede universitaria d'eccellenza, centro d'avanguardia per uomini
di scienza, artisti e letterati. Il granduca morì il 9 luglio 1737. C’è chi
ipotizza che anche Gian Gastone fosse massone, perché il suo aiutante di
camera e favorito, Giuliano Dami, era massone o simpatizzante della
massoneria. Gli successe Francesco Stefano di Lorena, sovrano del
granducato di Toscana con il nome di Francesco III, rappresentato da un
Consiglio di reggenza, presieduto dal lorenese principe Marc de Craon,
entrambi in odore di massoneria.
Le forze conservatrici avevano i loro rappresentanti, oltre che negli
appartenenti alla Compagnia di Gesù, in padre Paolo Ambrogio Ambrogi
dei Minori conventuali, Grande Inquisitore e capo del Sant'Uffizio e nella
Curia, guidata dal cardinale Neri Corsini, nipote del papa.
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In questo clima fu quasi inevitabile che il meglio dell'intellighenzia e
dell'aristocrazia illuminata fiorentina, una sessantina di persone, fosse
attratta dagli ideali coltivati nella Loggia massonica. Il primo massone
fiorentino fu il dottor Antonio Cocchi, nato 3 agosto 1695 da una famiglia
dell'alta borghesia di Borgo San Lorenzo nel Mugello, cosmopolita,
letterato e medico della colonia inglese, poi professore universitario.
Come egli stesso annotò alla data 4 agosto 1732, in inglese, nelle
Effemeridi, il suo diario contenuto in centodieci quadernetti manoscritti:
"In the evening I was received among the Free-Masons and remained to
supper", (In serata fui accolto tra i Massoni e mi trattenni per la cena). Ed
è molto probabile che fosse stato Cocchi, nel 1733, il successore di
Sewallis Shirley come Maestro Venerabile della Loggia. La ragion d'essere
dell'appartenenza di Antonio Cocchi possono essere ricostruite
ripercorrendo la sua biografia e sfogliando le sue numerose pubblicazioni
sia scientifiche che di varia umanità. Era un galileiano che aveva allargato
i confini della sua conoscenza frequentando, durante il suo soggiorno
londinese, i membri più autorevoli di quella Royal Society che era la
matrice originaria della scienza moderna laicamente affrancata dai
plurisecolari laccioli del dogmatismo religioso.
Ma la circostanza nella quale ebbe modo di dare prova della sua adesione
ai principi della solidarietà massonica fu in occasione del processo
inquisitorio al quale fu sottoposto un membro della sua Loggia, Tommaso
Crudeli che si guadagnò l'attributo di "protomartire della Massoneria".
Le neonate Logge che, a mano a mano, sorgevano nelle diverse città del
nostro Paese dovettero subito fare i conti con i provvedimenti
sanzionatori della Chiesa cattolica. Il papa Clemente XII, al secolo
Lorenzo Corsini, fiorentino, asceso al soglio pontificio il 12 luglio 1730,
emanò, il 28 aprile 1738, la lettera In eminenti Apostolatus specula con la
quale si proibiva la Massoneria e si condannavano i massoni alla
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scomunica. La prima conseguenza della condanna pontificia si verificò,
forse non a caso, nella città natale di papa Clemente. Tra i personaggi più
in vista, la Loggia fiorentina annoverava anche il poeta Tommaso Crudeli.
Nato nel 1703 a Poppi, nel Casentino, in provincia d'Arezzo, aveva
studiato a Firenze e poi a Pisa, dove aveva conseguito il dottorato in
utroque iure, ma non esercitò mai la professione forense. Dopo un
periodo trascorso a Venezia, aveva fatto ritorno a Firenze. Nel capoluogo
toscano si guadagnava da vivere come insegnante d'italiano, soprattutto
ai membri della colonia inglese. Fu la loro frequentazione a suscitare
l'interesse di Crudeli per la Massoneria e a favorire il suo ingresso, nel
1735, nella Loggia della quale fu per un certo tempo segretario.
Dal suo conterraneo, il poeta Pietro Aretino, Tommaso aveva ereditato il
talento letterario e la pungente vis polemica che espresse, nei suoi
componimenti in poesia e in prosa, in termini di critica sarcastica nei
confronti dei pregiudizi e del comportamento del clero non immune da
vizi. Padre Paolo Ambrogio Ambrogi, Grande Inquisitore e capo del
Sant'Uffizio e il cardinale Neri Corsini, nipote del papa, trassero pretesto
dalla lettera pontificia per colpire la Massoneria toscana, sebbene i
massoni fiorentini avessero già deciso di sciogliere la Loggia E quale
bersaglio migliore di Tommaso Crudeli massone e sbeffeggiatore di Santa
Romana Chiesa?
Padre Ambrogi e il cardinale Corsini si dettero daffare, il primo per
costruire i capi d'accusa contro i massoni, il nipote del papa per
convincere il granduca a concedere il permesso di perseguire i pretesi
colpevoli. La "pistola fumante" venne estorta dal Grande Inquisitore al
medico Bernardino Pupiliani e al nobile Andrea d'Orazio Minerbetti i
quali, costretti con minacce, fornirono falsa testimonianza sugli atti
osceni compiuti durante le riunioni di Loggia e sulle espressioni blasfeme
pronunciate dai Fratelli liberi muratori nel corso dei loro riti. Il principale
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colpevole era Tommaso Crudeli contro il quale, ai primi d'aprile del 1739,
il padre inquisitore formulò le accuse di empietà e di sodomia contro il
poeta e altri Fratelli. Il 16 aprile il cardinale Corsini spedì al granduca,
una lettera con la quale lo sollecitò a prendere provvedimenti contro la
Massoneria, denunciata come pericolosa non soltanto per la Chiesa
cattolica ma anche per lo Stato. Nella notte del 9 maggio Tommaso
Crudeli fu arrestato, consegnato al tribunale dell'Inquisizione e,
nonostante le assicurazioni di un trattamento conforme alla carità
cristiana, il poeta, benché fosse tubercolotico e afflitto da una grave
forma di asma, venne rinchiuso in una cella angusta e malsana, in attesa
del processo. L'inumana carcerazione fu denunciata da una Relazione
redatta dallo stesso Crudeli e da Luca Antonio Corsi, suo amico e
confratello e pubblicata anonima da Francesco Becattini nel 1782. In
favore di Crudeli, forte del proprio prestigio come medico, intervenne
Antonio Cocchi il quale ottenne il trasferimento del prigioniero in una
cella appena più confortevole.
Soltanto dopo un mese di detenzione, il 10 agosto, Tommaso Crudeli fu
sottoposto al primo interrogatorio senza che fosse assistito da un
difensore. Gli fu ordinato di riferire tutto quello che sapeva sui liberi
muratori, la data di costituzione della loggia, il nome dei suoi fondatori,
quello dei capi e degli affiliati alla loggia, quello che avveniva durante le
riunioni. Crudeli non rivelò nulla. Fu nuovamente interrogato, il 10
settembre, sull'attività della loggia e sulle infamanti accuse del Minerbetti
e del Pupiliani. Crudeli sostenne che nelle loro riunioni i massoni non
commettevano nulla di illecito e respinse con sdegno le stoltezze riferite
dai due testimoni.
Gli atti processuali vennero trasmessi al Santo Uffizio di Roma, il quale
deliberò fossero presentate nuove prove a carico dell'imputato. In
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conseguenza di questa decisione la carcerazione del poeta venne
prorogata. Le sue condizioni di salute peggiorarono.
In sua difesa intervenne presso Emmanuel de Nay, conte di Richecourt,
che a Firenze ricopriva la carica di capo del governo ed era affiliato alla
massoneria, l'ambasciatore inglese Horace Mann anche lui massone. Il
risultato fu la concessione a Crudeli, il 28 marzo 1740, di un avvocato tra
quelli indicati dal Santo Uffizio. Nonostante la presenza del difensore, un
ulteriore interrogatorio aggravò la posizione dell'imputato.
Questa volta Emmanuel de Nay si rivolse direttamente a Francesco III, in
nome della comune appartenenza alla Libera Muratoria, ma il sovrano,
che non voleva mettersi in urto con le gerarchie cattoliche, si limitò a
chiedere che Crudeli, sempre più ammalato, fosse trasferito nella
prigione governativa della Fortezza da Basso. Nel luglio 1740 si verificò il
fatto che impresse una svolta, anche se non risolutiva, al processo: i due
principali testimoni a carico Bernardino Pupiliani e Andrea d'Orazio
Minerbetti ritrattarono le proprie dichiarazioni.
Ma non è tutto. Il 6 febbraio 1740 era morto il papa Clemente XII e gli era
succeduto, il 17 agosto, il cardinale Prospero Lambertini con il nome di
Benedetto XIV, conosciuto per la sua eccellente cultura e grande umanità.
La sua elezione alimentò la speranza di un'imminente conclusione del
processo di Tommaso Crudeli.
Ma nonostante le aspettative, la dolorosa odissea giudiziaria del poeta
casentinese non si concluse con l'assoluzione. La possibilità di processare
con Crudeli anche la Massoneria, come sarebbe stata intenzione dei suoi
accusatori fallì, ma il 20 agosto, il poeta fu condannato per la lettura di
libri proibiti e per essersi espresso con un linguaggio insolente su
materie religiose. Confinato a Poppi e poi a Pontedera, nell'aprile 1741
Crudeli tornò a essere un uomo libero e raggiunse Firenze dove trascorse
gli ultimi anni della sua vita. La sua salute era ormai irrimediabilmente
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compromessa dalla prigionia trascorsa in condizioni disumane e
dall'usura psicologica provocata dal processo. Il primo martire della
Massoneria morì a Poppi il 27 marzo 1745.
L'ascesa al soglio pontificio di Benedetto XIV aveva motivato i più
ottimisti tra i massoni a sperare in un atteggiamento del papa diverso da
quello intransigente del suo predecessore. Ma queste aspettative
andarono deluse quando, il 18 maggio 1751, fu emessa la seconda bolla
di condanna a carico della Massoneria, la Providas Romanorum
Pontificum che portava la firma di Benedetto XIV. Due furono i motivi che
lo indussero, a dispetto della fama, a riproporre la scomunica tredici anni
dopo la prima condanna: la diffusione, soprattutto nell'Italia meridionale,
di Logge massoniche e la smentita categorica delle voci ricorrenti di una
sua simpatia verso la Libera Muratoria.
Il primo destinatario della Providas Romanorum Pontificum fu il re di
Napoli, Carlo VII al quale venne consegnata dal gesuita Francesco Maria
Pepe, famoso predicatore dei Lazzeri, la banda dei popolani della città
partenopea, e fanatico antisemita. Il sovrano la fece propria e firmò un
editto antimassonico che fu pubblicato il 2 luglio 1752.
Contemporaneamente alla pubblicazione dell'editto, Napoli fu messa a
soqquadro dalla massa dei Lazzeri che, istigati da padre Pepe, si
scagliarono contro la Massoneria accusata tra l'altro di essere la causa del
mancato miracolo di San Gennaro nel 1751. Il capro espiatorio di questa
rivolta popolare fu il Gran Maestro della Massoneria napoletana, il
principe Raimondo di Sangro, accusato di essere un mago e un eretico
per le sue ricerche scientifiche e le sue stravaganti invenzioni; in realtà, in
lui si voleva colpire la Libera muratoria napoletana.
A Napoli, la prima Loggia, dal titolo distintivo "Perfetta Unione", si dice
fosse apparsa nel 1728, ma il fatto non è storicamente provato. Sicura,
invece, la fondazione, nel 1749, per iniziativa del commerciante di seta
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francese, Louis Larnage, di una Loggia alla quale aderirono diversi
ufficiali, numerosi aristocratici e poi esponenti della cultura e della
borghesia. Oltre all'iniziativa di massoni stranieri, il successo della Libera
muratoria a Napoli ebbe un contributo decisivo nel clima culturale e
politico promosso dall'Illuminismo peculiare del capoluogo campano.
In un manoscritto conservato nell’archivio della Società Napoletana di
Storia Patria, stilato nella prima metà del Settecento, si riferisce di logge
attive a Napoli fra il 1749 e il 1751. In un altro manoscritto redatto dal
Principe di Belmonte, figura eminente della massoneria siciliana, in
merito alle logge napoletane si legge: "I Liberi Muratori sin dal tempo di
Carlo III si erano introdotti a Napoli, ma vi si mantenevano in maniera
nascosta, e ristretti fra soli forestieri, che sotto un altro pretesto si
radunavano. Da principio vi furono ammessi un piemontese, di mestiere
acquavitaro, e un francese, mercante di drappi. Costoro, conosciuti a
fondo i principi della società, pensarono di erigere una loggia separata.
Infatti l’anno 1745 eseguirono un tale immaginato disegno".
Ma torniamo a Raimondo di Sangro. Era nato il 30 gennaio 1710 a
Torremaggiore, in provincia di Foggia, da Antonio di Sangro e da Cecilia
Gaetani d’Aragona, entrambi discendenti da famiglie d'
antica nobiltà. Morta la madre, il padre, prima di ritirarsi in convento, lo
aveva affidato al nonno che, dopo un periodo di studi nel collegio dei
Gesuiti a Roma, lo aveva avviato alla carriera militare nell'esercito
napoletano. Re Carlo III di Borbone del quale godeva la stima ne favorì
l'adesione alla confraternita esoterica dei Rosa+Croce, appartenenza che,
certamente, condizionò la sua formazione magico alchemica. Nel 1744,
con la mediazione dell'ufficiale d'artiglieria piacentino Felice Gazzola che
aveva conosciuto durante la campagna militare contro gli austriaci, che
avanzavano pretese sul trono di Napoli, il Principe fu iniziato massone.
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In quegli anni, nel regno di Napoli, la Massoneria era divisa in due
correnti: una era costituita da militari di grado elevato e da aristocratici
legati alla corte, l'altra accoglieva gran parte dei commercianti, inglesi e
francesi, che trattavano i propri affari nel regno, e da ufficiali di basso
rango. Alle logge "militari" apparteneva Felice Gazzola, a quelle
"borghesi" l'alfiere Francesco Zelaja. Entrambi pensarono che i tempi
fossero maturi per dare una struttura unitaria alla Libera muratoria
napoletana e, entrambi, individuarono in Raimondo di Sansevero la
persona più adatta a realizzare il progetto. Il Principe fu così elevato al
grado di "Gran Maestro delle Logge Napoletane".
Esse erano tre e prendevano nome dai loro Maestri Venerabili: la Di
Sangro, la Carafa e la Moncada alle quali aderivano trecento Fratelli.
L'attività massonica di Raimondo di Sansevero fu essenzialmente politica
e culturale. Convinto ammiratore dell'enciclopedista francese Pierre
Bayle, dei filosofi inglesi Anthony Ashley Cooper conte di Shaftesbury
(morto a Napoli), Anthony Collins e dell'irlandese John Toland, ne aveva
mutuati i principi di tolleranza religiosa e di libertà di pensiero. Il Gran
Maestro volle coinvolgere nel suo progetto di rinnovamento i magistrati
che i nobili consideravano antagonisti "negli affari del Regno", il
comportamento conservatore degli aristocratici procurava imbarazzo
alla Corona, malessere ai sudditi e offriva motivo di discredito per il
Regno di Napoli all’estero. Coerente con l'impegno massonico era anche
l'apertura di Raimondo verso la borghesia condotta che muoveva dal
principio di non considerare nobile chi fosse aristocratico per
discendenza o per blasone, ma chi desse prova di virtù, di onestà e
d'ingegno.
Riconducibili all'appartenenza alla Massoneria, seppure in un ambito
riservato, sono quelle pratiche scientifiche, alchemiche ed esoteriche che
si svolgevano nel segreto del suo laboratorio, che esposero Raimondo di
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Sangro ai sospetti e alle accuse delle gerarchie ecclesiastiche e che hanno
concorso a crearne la leggenda.
Il successo e il rapido diffondersi della Massoneria nel Regno di Napoli,
creò allarme negli ambienti religiosi, tanto che già nell’autunno del 1750,
a Napoli, debuttò una violenta campagna antimassonica predicata nelle
chiese e piazze dal gesuita padre Francesco Maria e dal popolare padre
Rocco del quale fa menzione l filosofo Benedetto Croce nella sua Vita
religiosa a Napoli del Settecento.
Il clima creato dalle reiterate invettive preoccupò il Principe che, nei
primi mesi del 1751, ebbe un colloquio con Carlo V per rassicurarlo che
nel corso dei lavori massonici non si tessevano oscure trame né contro la
monarchia, né contro la religione.
La bolla papale di Benedetto XIV fu il cacio sui maccheroni conditi di
antimassoneria del clero napoletano. Padre Francesco Maria Pepe
provvide personalmente a consegnare una copia della Providas
Romanorum Pontificum al sovrano napoletano come strumento di
pressione per indurlo a decretare misure repressive nei confronti della
Massoneria. Messo alle strette, il 10 luglio 1751, Carlo emanò un editto
che condannava la Massoneria e ne proibiva l'attività nel Regno di Napoli.
Per amore di verità occorre dire che il comportamento del re fu prudente
e non eccessivamente severo.
Raimondo di Sangro non mostrò soltanto di accettarne la decisione
rinunciando alla carica di Gran Maestro e sciogliendo di fatto le Logge ma,
il 3 agosto 1751, dopo essersi confessato presso il sacerdote Giovanni
Battista Alasia, inviò al papa Benedetto XIV una lettera con la quale, nel
precisare tempi e luoghi della sua iniziazione massonica, rassicurava il
pontefice che le
Logge massoniche non svolgevano alcuna azione eversiva contro la
Chiesa e contro l’ordine costituito. Questa mossa di grande sagacia
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diplomatica risparmiò a lui e ai massoni napoletani gravi guai giudiziari,
anche se non servì a placare il furore antimassonico del clero e valsero a
Raimondo l'ingiusta accusa di tradimento mossa da alcuni Fratelli.
Così si concluse l'avventura massonica pubblica del Principe di San
Severo. Ritiratosi in solitudine, proseguì i suoi studi, i suoi esperimenti e
le sue ricerche. Morì, dopo aver ricevuto i Sacramenti, il 22 marzo 1771.
Il più bell'epitaffio lo ha scritto la studiosa Clara Miccinelli: "Un uomo
rivolto al passato per proiettarsi nel futuro; un uomo superbo del proprio
ingegno e costantemente assetato di giustizia, di verità, di sapere: teso
con tutta l'anima e la forza di volontà verso l'ideale meta della perfezione
umana". E terminata la sua umana esistenza incominciò la sua leggenda.
Molto più drammatica, ma anch'essa destinata ad alimentare la fantasia
popolare fu la vicenda di un altro massone italiano: Cagliostro.
Giuseppe Balsamo sedicente conte di Cagliostro, nacque il 2 giugno 1743
in una modestissima famiglia palermitana del rione del mercato di
Ballarò. Girovago attraverso diversi Paesi europei, fu iniziato alla
Massoneria, il 12 aprile 1777, nella Loggia londinese di Rito Scozzese
L'Espérance, riunita nella taverna King's Head in Gerard Street nel
quartiere Soho. In un'unica tornata gli furono, irritualmente conferiti i tre
gradi di apprendista, compagno e maestro. Nella stessa occasione fu
iniziata anche la sua giovanissima moglie, la romana Lorenza Feliciani
detta Serafina.
Dopo aver frequentato, nelle sue peregrinazioni per l'Europa, numerose
Logge, nel novembre 1986, durante un breve soggiorno nella città di
Bordeaux, Cagliostro si ammalò di febbri intestinali che gli provocarono
un delirio durante il quale, come affermò, ebbe la visione celestiale di un
ente supremo che gli conferì il compito di ristrutturare dalle basi la
Massoneria e di istituire il cosiddetto Rito Egizio, del quale egli avrebbe
dovuto assumere la guida come Grande Cofto. Incarico che, guarito,
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accettò. Poi, come primo provvedimento nel suo ruolo, nominò la moglie
Grande Maestra dei Riti d'Adozione. Pubblicò una serie di scritti nei quali
faceva risalire l'origine della sua loggia ai profeti Elia ed Enoch.
Pronosticò l'avvento imminente di un "papa angelico", e cominciò a
insegnare tecniche di rigenerazione spirituale e fisica conseguibile dopo
ottanta giorni di attività iniziatiche. Parlò di un mysterium magnum
conosciuto soltanto da lui, del quale, però, non riuscì mai a chiarire la
natura.
Nel 1784, Cagliostro partì per Lione dove fece costruire la sede della
prima Loggia del suo Rito, che chiamò con il nome di Sagesse triomphante.
L'anno dopo si trasferì a Parigi per reclutare nuovi seguaci. Nella capitale
francese istituì due Logge, una per gli uomini e l'altra per le donne,
frequentate da agiati aristocratici. Cagliostro costruì il successo del Rito
Egizio grazie alla sua capacità di intuire le aspettative del prossimo, dote
che gli aveva consentito di diventare il più fortunato truffatore dei suoi
tempi. Iniziato alla Massoneria e avendo frequentato numerose Logge, sia
del Rito Inglese, sia del Rito Scozzese Antico e Accettato, aveva capito che
il loro orientamento prevalentemente filosofico, filantropico e sociale non
era in grado di soddisfare il desiderio di una più intensa spiritualità che si
poteva raggiungere attraverso la pratica di discipline ermetiche,
alchemiche, cabalistiche e gnostiche. Il riferimento all'Egitto era
aggiungeva fascino alla proposta.
E non è un caso che, poco dopo, venisse fondato, a Venezia, da tale
Filalete Abraham, il Rito di
Misraïm (parola che in ebraico significa Egitto) e, in Francia, l'Antico e
Primitivo Rito Orientale di Memphis nel quale venne iniziato anche
Giuseppe Garibaldi il quale, nel 1881, unificò i due Riti. Pur avendo alcune
caratteristiche in comune con il Rito Egizio, entrambi presero le distanze
dalla Massoneria di Cagliostro che continuò a prosperare finché non
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scoppiò lo "scandalo della collana", un gioiello del valore odierno di quasi
cento milioni di euro. Era una colossale truffa ordita dal Cardinale de
Rohan, Grande Elemosiniere di Francia, ai danni della regina Maria
Antonietta. Tra i complici veri o presunti del Cardinale furono individuati
anche Cagliostro e la moglie che, nell'agosto 1785, furono rinchiusi nel
carcere della Bastiglia. Liberati un anno dopo vennero espulsi dalla
Francia.
Riprese così la peregrinazione della coppia: Svizzera, Savoia, e Torino,
Genova, Rovereto, Trento. Dovunque, Cagliostro fondava Logge della sua
Obbedienza. Erano a Trento quando Lorenza, su pressione della famiglia,
gli chiese di rientrare a Roma. Cagliostro ne parlò con l'amico Giacomo
Casanova, massone e agente segreto della Repubblica di Venezia che gli
sconsigliò, inascoltato, il viaggio. Fu il vescovo di Trento Pietro Virgilio de
Thun, ad aiutare il Gran Cofto e la moglie a sbrigare le pratiche
burocratiche per il loro rientro a Roma.
Nella capitale del Regno Pontificio Cagliostro trovò ebbe un'accoglienza
glaciale da parte dei massoni mentre l'ambiente ecclesiastico, lo trattò da
volgare delinquente. Nel settembre 1789, il nostro tentò di recuperare
credibilità invitando a una riunione massoni e aristocratici. L'iniziativa si
risolse con un fiasco solenne: all'incontro si presentarono soltanto il
marchese Ugo Vivaldi e il superiore dei frati Cappuccini di Frascati, frate
Francesco di San Maurizio, personaggio che avrebbe avuto un ruolo
importante nel processo a Cagliostro.
Di più. La trovata attirò su Cagliostro, sospettato di essere un pericoloso
sobillatore massone, e la moglie l'attenzione del Santo Uffizio.
Era stato iniziato alla Massoneria il 12 aprile 1777 a Londra nella Loggia
L'Espérance, che si riuniva in una taverna di Soho.
Dopo aver attraversato in lungo e in largo l'Europa dei Lumi, lasciandosi
dietro una fama di mago, guaritore e truffatore internazionale, Cagliostro
16
fu arrestato nel 1789 e processato dal Santo Uffizio con l'accusa di essere
un mago, eretico e libero muratore. Agli occhi della Chiesa il crimine più
grave era che Cagliostro avesse fondato un'Obbedienza denominata
Massoneria Egiziana di Alta Scienza, della quale si proclamava Gran
Maestro o Grande Cofto. Ma non solo. Cagliostro aveva tentato, tramite la
mediazione di Louis-René Edouard il mondano cardinale di Rohan e del
vescovo di Trento, Pietro Vigilio conte di Thun, di ottenere il
riconoscimento del suo rito da parte di Pio VI.
Questo tentativo, considerato un oltraggio, scatenò la reazione della
componente più antimassonica e conservatrice della Curia romana che
ordinò l'arresto di Cagliostro e chiese la condanna a morte per essere
stato il "ristoratore e propugnatore in una gran parte del mondo della
Massoneria egiziana, e che questa stessa aveva esercitato in Roma". Nel
corso del processo fu allestito un rogo purificatore dei libri e degli arredi
della Loggia di Cagliostro in piazza Santa Maria sopra Minerva non
distante da Campo de' Fiori, famosa per il rogo sul quale era stato
bruciato Giordano Bruno.
Tramutata la condanna a morte in carcere a vita, Giuseppe Balsamo fu
rinchiuso nella rocca di San Leo il 22 aprile 1791 e quattro anni dopo
morì per le torture e le vessazioni subite. Passò dalla storia alla leggenda
che lui stesso aveva contribuito a creare.
Il processo contro Cagliostro servì alla Chiesa cattolica per avvalorare la
tesi della pericolosità politica e sociale, sostenuta da Benedetto XIV, della
"nefanda setta massonica" che si riteneva coinvolta nei movimenti
rivoluzionari che stavano sconvolgendo la Francia.
Nel 1769 Cagliostro, in viaggio con la moglie, la quattordicenne, aveva
incontrato un altro dei personaggi italiani che erano stati iniziati alla
Massoneria e che era destinato a diventare famoso come incarnazione del
mito del seduttore: era il veneziano Giacomo Casanova. L'incontro
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avvenne in Francia, ad Aix-en-Provence, nell'albergo dove Giacomo
trascorreva la convalescenza dopo una pleurite che ne aveva messo a
repentaglio la vita. Si sarebbero incontrati di nuovo nove anni dopo, a
Venezia, dove Casanova esercitava l'incarico di agente segreto al servizio
dell'Inquisizione veneta. E, in nome della solidarietà massonica, Giacomo
che, data la sua carica, era informato della spada di Damocle sospesa sulla
testa di Cagliostro lo consigliò, inascoltato, di non recarsi a Roma come
pretendeva la moglie.
Giacomo Casanova era nato a Venezia nell'aprile 1725. Rimasto orfano
giovanissimo, varcò la soglia del seminario di San Cipriano, dal quale ben
presto fu espulso per "scandalosa condotta". Iniziò così le sue avventure
attraverso tutta l'Europa, nelle vesti di chierico, di soldato, di segretario
di un cardinale, di finanziere, di giocatore, di scrittore, di violinista e di
massone. Venne iniziato a Lione nel 1750 e da allora la Libera Muratoria
ebbe una parte influente nella sua vita.
I viaggi e le frequentazioni delle Logge di Parigi, Dresda, Praga e Vienna
gli offrirono l'occasione di conoscere personaggi come Wolfgang
Amadeus Mozart e Benjamin Franklin. Tornato a Venezia, fu arrestato e
rinchiuso nel carcere dei Piombi nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1755.
Secondo l'uso dell'epoca, al prigioniero non furono notificati né il capo
d'accusa, né la durata della detenzione alla quale era stato condannato. E'
verosimile che tra le imputazioni legate alla sua condotta di libertino vi
fosse anche quella di appartenente alla Libera Muratoria. Dopo la sua
rocambolesca fuga, avvenuta il 31 agosto 1756, fu proprio la solidarietà
massonica a darli una mano. Riprese il suo peregrinare per l'Europa
finché, nel 1764, Federico II di Prussia, figura di spicco della Massoneria
settecentesca, gli offrì un posto stabile a Corte, ma ben presto il suo
spirito inquieto lo portò a ripartire per nuove destinazioni. Soltanto nel
1774 ottenne di rientrare nella sua Venezia dove rimase fino al 1782. Qui
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strinse amicizia con Lorenzo Da Ponte e lo iniziò alla Libera Muratoria.
Da Ponte scrisse per Mozart, anch'egli massone, tre libretti d'opera:
quello di Le nozze di Figaro, quello di Don Giovanni ispirato, pare, alle
avventure galanti di Casanova, e quello di Così fan tutte. L’amicizia con
Casanova fu importante per Da Ponte che, nel 1781, fu ingaggiato
dall’imperatore austriaco Giuseppe II come “poeta dei teatri imperiali”
grazie all’appoggio del musicista Antonio Salieri, massone e amico di
Casanova. Gli ultimi anni della sua vita, dal 1785 al 1798, Casanova li
visse, nel castello di Dux in Boemia, quale bibliotecario del conte di
Waldstein, affiliato alla Massoneria.
Proprio di Giacomo Casanova è una delle descrizioni più significative del
segreto massonico: “Coloro che entrano nella Massoneria soltanto per
carpirne il segreto possono ritrovarsi delusi: può infatti accadere loro di
vivere per cinquant'anni come Maestri Massoni senza riuscirvi. Il mistero
della Massoneria è per sua natura inviolabile: il Massone lo conosce solo
per intuizione, non per averlo appreso. Lo scopre a forza di frequentare la
Loggia, di osservare, di ragionare e di dedurre. Quando lo ha conosciuto,
si guarda bene dal far parte della scoperta a chicchessia, sia pure il
miglior amico Massone, perché se costui non è stato capace di penetrare
il mistero, non sarà nemmeno capace di profittarne se lo apprenderà da
altri. Il mistero rimarrà sempre tale. Ciò che avviene nella Loggia deve
rimanere segreto, ma chi è così indiscreto e poco scrupoloso da rivelarlo
non rivela l'essenziale: come potrebbe, se non lo conosce?
Dopo la conquista napoleonica dell'Europa, il 16 marzo 1805 venne
fondato a Milano il Supremo Consiglio d'Italia del Rito scozzese antico ed
accettato[4], per opera del conte francese Alexandre François Auguste de
Grasse Tilly. Egli agì in virtù dei poteri conferitigli dal Supremo Consiglio
di Charleston (il primo Supremo Consiglio del Rito scozzese antico e
accettato); con lui vi erano altri confratelli francesi ed italiani. Nell'atto di
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costituzione del Supremo Consiglio d'Italia vi era espressamente
riportato: «Il Supremo Consiglio d'Italia crea e costituisce di sua sovrana
autorità una Gran loggia generale in Italia sotto la denominazione di
Grande Oriente del rito scozzese antico ed accettato». Era questa la
nascita dell'attuale Grande Oriente d'Italia, il quale venne istituito
ritualmente il 20 giugno 1805 per opera degli stessi fondatori del
Supremo Consiglio. In quell'occasione venne eletto come Sovrano gran
commendatore il viceré d'Italia Eugenio di Beauharnais e come Gran
cancelliere il principe Gioacchino Murat. Grande Esperto all'atto della
fondazione fu il giurista e filosofo Gian Domenico Romagnosi. Il 20 giugno
1805 è tutt'oggi la data considerata dal Grande Oriente d'Italia come il
momento in cui ebbe inizio la storia dell'Ordine.
Dopo la caduta del Regno d'Italia una serie di iniziative, assunte quasi
contemporaneamente dai governanti dei vari Stati italiani, inaugurò un
nuovo periodo di repressioni del fenomeno massonico. Nel Regno di
Sardegna, il 10 giugno 1814 Vittorio Emanuele I emanò un editto con il
quale ribadì "la proibizione delle congreghe ed adunanze segrete,
qualunque ne sia la denominazione loro, e massime quelle de' così detti
Liberi Muratori già proibita col regio editto del 20 maggio 1794". Analogo
decreto del 26 agosto 1814 emanato nel Lombardo Veneto vietò "gli
ordini segreti, le adunanze, corporazioni e fratellanze segrete, come
sarebbero le Logge de' così detti Franchi Muratori ed altre consimili
società", mentre papa Pio VII il 15 agosto 1814 emanava un editto che,
rifacendosi alle encicliche di papa Clemente XII e di papa Benedetto XIV,
proibiva le "aggregazioni delli suddetti Liberi Muratori, e altre consimili"
e a Napoli, Ferdinando IV di Borbone l'8 agosto 1816 vietava "le
associazioni segrete che costituiscono qualsivoglia specie di setta,
qualunque sia la loro denominazione l'oggetto ed il numero dei loro
componenti". Tuttavia, i massoni italiani resistettero ed anzi andarono
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sempre più a rafforzare ed organizzare la propria attività, fino a
riemergere in modo significativo nella seconda metà dell'Ottocento.
Ettore Ferrari
L'8 ottobre 1859, a Torino, sette confratelli costituirono una nuova loggia,
chiamata "Ausonia" dall'antico nome poetico dell'Italia. Da questo seme,
il 20 dicembre 1859, sempre a Torino, nacque un'organizzazione che
esplicitamente aspirava a diventare una Gran Loggia nazionale ed
assunse la denominazione di Grande Oriente Italiano. Costantino Nigra fu
nominato gran maestro del Grande Oriente torinese il 3 ottobre 1861.
Tale intento si concretizzò con la I assemblea costituente del Grande
Oriente Italiano, che si tenne a Torino dal 26 dicembre 1861 al 1º
gennaio 1862 sotto la presidenza di Felice Govean, facente funzioni di
gran maestro, e con la presenza dei rappresentanti di ventotto logge. In
quella occasione, Giuseppe Garibaldi fu salutato come "primo libero
muratore italiano", ricevendo il 33º grado del Rito scozzese:
successivamente (nel 1881) si aggiunse la suprema carica di Gran
Hyerophante del Rito di Memphis e Misraim ed il Grande Oriente di
Palermo gli conferì tutti i gradi scozzesi dal 4º al 33º; a condurre il rito fu
un altro massone - Francesco Crispi - accompagnato da altri cinque[8]. Ad
assumerne la carica di gran maestro, il 1º marzo 1862, venne chiamato
Filippo Cordova, eminente figura di giurista e di statista; la III assemblea
costituente, convocata a Firenze dal 21 al 24 maggio 1864, elesse gran
maestro Giuseppe Garibaldi; la sua carica durò pochissimo a seguito di
disaccordi con gli altri membri. Diede le dimissioni dalla carica, e rimase
gran maestro onorario a vita. A Garibaldi succedette nuovamente Filippo
Cordova e poi Lodovico Frapolli, durante il cui ministero di Gran Maestro,
nel 1870, la Gran Loggia spostò la propria sede da Firenze a Roma.
Giuseppe Garibaldi con sua lettera chiese al Mazzini di sostituirlo nella
carica di Gran Maestro onorario, ma quest'ultimo rifiutò, non avendo mai
21
condiviso l'organizzazione massonica lungo tutto il suo impegno
risorgimentale. È infatti storicamente oramai accertato che Giuseppe
Mazzini, al contrario del suo discepolo Aurelio Saffi, mai aderì alla
Massoneria.
Nel 1884 fu pubblicata l'enciclica Humanum Genus di papa Leone XIII, che
segnò probabilmente il momento più alto di scontro tra la Chiesa
cattolica e la massoneria. Il documento pontificio, oltre ad addebitare alla
massoneria "atroci vendette [...] su chi sia creduto reo di aver tradito il
segreto e disubbidito al comando, e ciò con tanta audacia e destrezza, che
spesso il sicario sfugge alle ricerche ed ai colpi della giustizia", sosteneva
che l'obiettivo dei massoni era quello di "distruggere da cima a fondo
tutta la disciplina religiosa e sociale che è nata dalle istituzioni cristiane, e
sostituirla con una nuova, modellata sulle loro idee, e i cui princìpi
fondamentali e le leggi sono attinte dal naturalismo". In questo clima,
venne eletto gran maestro Adriano Lemmi il 17 gennaio 1885, il quale si
impegnò particolarmente nel chiamare a raccolta figure rappresentative
del mondo politico e culturale, tra cui Giovanni Bovio, Giosuè Carducci,
Agostino Bertani, Giuseppe Zanardelli.
Il 6 giugno 1889 in Campo de' Fiori a Roma avveniva l'inaugurazione del
monumento a Giordano Bruno, opera dello scultore e futuro gran
maestro Ettore Ferrari. L'oratore ufficiale fu il filosofo Giovanni Bovio;
nel 1895 divenne gran Maestro Ernesto Nathan, poi sindaco di Roma.
Adriano Lemmi, alla fine dell'Ottocento riteneva che la scomparsa de
potere temporale dei papi fosse il "più memorabile avvenimento della
storia del mondo".
Il 21 aprile 1901 il Grande Oriente inaugurò la sua nuova sede di Palazzo
Giustiniani, mentre iniziava un fermento scissionistico che portò, da
prima nel 1908 alla fuoriuscita del Supremo Consiglio del Rito Scozzese
Antico e Accettato, e poi nel 21 marzo 1910, alla fondazione di una Gran
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Loggia, che ebbe come gran maestro Saverio Fera, sotto la
denominazione di Serenissima Gran Loggia d'Italia, che dall'indirizzo
della sua sede divenne nota anche come Gran Loggia di Piazza del Gesù,
motivo principale della scissione fu la mozione Bissolati, o meglio le
indicazioni di voto date dall'allora Gran Maestro, e non accettate da parte
di tutti i parlamentari massoni .
La Gran Loggia D'Italia si formò nel 1910 da un nucleo del Supremo
Consiglio di Rito Scozzese Antico ed Accettato che il 24 giugno 1908
aveva lasciato il Grande Oriente d'Italia.
Alla guida del gruppo si mise l'allora Luogotenente Sovrano Gran
Commendatore Saverio Fera, pastore protestante di origine calabra ma
residente ed operante a Firenze. Fera mirava a salvaguardare alcuni dei
principi fondamentali della cultura iniziatica della Libera Muratoria, tra
cui quello della libera ricerca personale e religiosa.
All'origine della profonda divergenza, la mancata approvazione al
parlamento del Regno d'Italia di una regolamentazione della istruzione
religiosa nelle scuole elementari.
L'ordinamento giuridico italiano era oscuro e contorto: all'iniziale, e già
ambigua, legge Casati del 1859 che stabiliva l'obbligatorietà
dell'insegnamento, si erano aggiunte le circolari Correnti e Cantani, la
legge Coppino e sentenze contraddittorie del Consiglio di Stato.
Il 21 febbraio 1907, l'onorevole Bissolati presentò una mozione che
tendeva ad affermare il “carattere laico della scuola elementare”; l'allora
Gran Maestro Ferrari indicò voto favorevole, ma il progetto non fu
approvato proprio a causa del voto contrario di molti deputati massoni.
Questi, ispirandosi ai principi di tolleranza religiosa, stimarono che il
provvedimento fosse sia lesivo della libertà di scelta tra laicità e
confessioni religiose sia limitante alla loro stessa autonomia poiché non
accettavano che l'Istituzione desse direttive in materia di scelte politiche.
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La Gran Loggia d'Italia, che nel 1910 portava il titolo distintivo di
"Serenissima Gran Loggia d'Italia", contava nel 1915 già più di cinquemila
fratelli e fin dal 1912 la Conferenza Internazionale dei Supremi Consigli
di Rito Scozzese, riunita a Washington, la riconobbe come unica diretta
discendente del Grande Oriente fondato dal Supremo Consiglio del Rito
Scozzese Antico ed Accettato per l'Italia del 1805.
La SGLDI, come ogni altra obbedienza massonica, fu soppressa nel 1925 a
seguito della promulgazione della Legge sulle Associazioni del governo di
Mussolini.
L’Obbedienza rinacque il 4 dicembre del 1943 in casa di Salvatore Farina
in via Priscilla 56 a Roma, dove fu ricostituito un nuovo Supremo
Consiglio ed eletto Sovrano Gran Commendatore pro tempore l’avvocato
Carlo de Cantellis. Questi rimase in carica fino a quando la Capitale non fu
liberata; il 21 giugno 1944, infatti, rimise il mandato a Palermi
scrivendogli: "Con la liberazione odierna di Roma, tutte le cariche elette il
4/12/43 […] cessano dalle loro funzioni e quindi io, insieme agli altri
ufficiali e dignitari, rimetto nelle tue mani il mandato, perché tu, quale
Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro, possa riunire le sparse
forze del Nostro Ordine".
Seguirono i confusi anni del secondo dopoguerra, caratterizzati da
continue scissioni, riunificazioni e litigi. Gran Maestri e Sovrani Gran
Commendatori si succedettero in un breve lasso di tempo: fra gli altri
ricordiamo Pietro Di Giunta, Giulio Cesare Terzani, Ernesto Villa,
Domenico Franzoni, Ermando Gatto, Tito Ceccherini.
Domenico Franzoni ed Ernesto Villa, rispettivamente Sovrano gran
commendatore e Gran maestro, furono costretti alle dimissioni nel 1951,
sostituiti pro tempore dal Luogotenente sovrano gran commendatore
Ermanno Gatto e dal vicario Romano Battaglia. Sotto la guida di Ermanno
Gatto e Romano Battaglia, vengono introdotte numerose novità
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dell'ordinamento dell'obbedienza, come la nomina diretta da parte del
Sovrano gran commendatore di ispettori provinciali direttamente
dipendenti dal governo centrale dell'ordine e la costituzione di una
commissione politica. Ma l'atto più importante fu quello preso
nell'inverno del 1955, aprendo, su suggerimento del nuovo Gran maestro
Tito Ceccherini, l'obbedienza alle donne e dando alla Gran Loggia d'Italia
l'assetto odierno. L'ammissione delle donne è per alcuni in contrasto con
quanto stabilito dalle Costituzioni di Anderson del 1723. L'artefice
dell'iniziazione femminile nella massoneria italiana, Tito Ceccherini, fu
anche artefice della nuova stagione di rapporti internazionali della Gran
Loggia d'Italia con numerose potenze straniere.
Il 24 giugno del 1962 si riunì a Roma la Grande Assemblea Elettorale che
elesse Gran Maestro, con due soli voti contrari, Giovanni Ghinazzi; egli
rimase ininterrottamente alla guida dell’Obbedienza fino alla morte, che
lo colse il 14 novembre del 1986. Nei suoi ventiquattro anni di mandato
Ghinazzi vide fondare 237 Officine, regolarizzarne 14, riemergerne 20.
Inoltre, creò dal niente i rapporti fra la Gran Loggia d’Italia e numerose
Comunioni straniere.
Il 22 giugno del 1965 la Comunione assunse la denominazione di Gran
Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori. Nella stessa data fu
ufficialmente inaugurata le sede centrale di Roma, sita in Palazzo
Vitelleschi in Via San Nicola de’ Cesarini 3, Area Sacra di Torre Argentina.
Alla morte di Giovanni Ghinazzi, subentrò al vertice della Comunione il
Luogotenente Mario Bogliolo che la guidò fino al 7 marzo del 1987,
quando fu eletto Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Renzo
Canova, rieletto poi il 2 dicembre del 1989 e il 12 dicembre del 1992.
Durante i suoi mandati fu completato l’acquisto della sede centrale,
fondata la casa editrice EDIMAI e la rivista Officinae.
25
Il 16 dicembre del 1995. la Grande Assemblea elettorale scelse, quale
nuovo Gran Maestro. Franco Franchi, confermato nell’incarico il 5
dicembre del 1998. Nel corso del suo Gran Magistero fu fondata
l’associazione internazionale Unione Massonica del Mediterraneo, nata
nel 2001 con la Conferenza di Castellammare di Stabia.
Il 1° dicembre del 2001 la Grande Assemblea elettorale pose ai vertici
della Comunione Luigi Danesin che si preoccupò, fra l’altro, del restauro
delle sede centrale (marzo 2003) e dell’organizzazione nel 2005 della
celebrazione dei duecento anni di fondazione del Supremo Consiglio
d’Italia. Alla scadenza del secondo mandato di Luigi Danesin, il 1°
dicembre 2007, fu chiamato a ricoprire la suprema carica Luigi Pruneti,
XV Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia, riconfermato per il triennio
2011-2013, a Luigi Pruneti è seguito Antonio Binni la Gran Maestranza
del quale scadrà il 17 dicembre di quest'anno.
Ad oggi la Gran Loggia d’Italia ha raggiunto diversi importanti obiettivi: è
proprietaria di una prestigiosa sede in Roma a Palazzo Vitelleschi e di
numerose sedi periferiche, contando Logge in tutta Italia, oltre che a
Beirut, Toronto, Londra e Bucarest; dispone di oltre 140 Templi in tutto il
territorio nazionale; ha instaurato intense relazioni con numerose
Obbedienze presenti in vari Continenti; è animatrice di Organismi
Internazionali come il C.L.I.P.S.A.S. (Centre de Liaison et d’Information
des Puissances Signataires de l’Appel de Strasbourg), che raccoglie oltre
60 Comunioni di tutto il Mondo; è fondatrice e coordinatrice permanente
dell’Unione Massonica del Mediterraneo; è proprietaria della Casa
Editrice Edimai che ha pubblicato numerose opere di Autori massoni;
pubblica la rivista Officinae, organo ufficiale della Comunione.
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ANTIMASSONERIA
Nel 1698, circa due decenni prima dell’istituzione della Gran Loggia
d'Ighilterra, fu distribuito un pamphlet che avvertiva i londinesi "[…]
delle malizie e delle cose cattive praticate agli occhi di Dio dai cosiddetti
Liberi Muratori […] Essi sono l’Anti Cristo".
Quarantuno anni dopo, nel 1730, l'inglese Samuel Pritchard, iniziato nella
Loggia La testa di Enrico VIII, pubblicò a Londra gli opuscoli Masonry
dissected con i quali accusava i liberi muratori di ateismo, deismo,
immoralità e di torbide iniziative politiche.
Nel 1738, papa Clemente XII emise la Bolla In Emminenti Apostolatus
Specula, con la quale scomunicava i cattolici appartenenti alla
Massoneria; tra i motivi della condanna: la promiscuità di fedi diverse, la
segretezza, le trame ordite contro la pace, eccetera.
Era incominciata così l'antimassoneria cattolica che coniugava
giustificazioni religiose con la "ragion di stato" del potere temporale della
Chiesa di Roma, manifestatasi quest'ultima, nel nostro Paese, soprattutto
nel periodo risorgimentale e culminata con la presa di Roma del 1870
realizzata, ci si accusava, su ispirazione della Massoneria.
L'asservimento alla Chiesa e alle sue direttive fu il pretesto con i quale
diversi Stati cattolici retti da regimi monarchici dispotici applicarono alla
Massoneria la "scomunica politica", condannando numerosi massoni a
morte, al carcere o all'esilio. Come scrive Aldo Alessandro Mola, quei
provvedimenti antimassonici sono "l'emblema della perenne
incompatibilità fra libertà di ricerca e aspirazione del potere a esercitare
occhiuta sorveglianza su ogni forma di libero pensiero".
Un contributo decisivo all’antimassoneria lo diede l'abate Augustin
Barruel, francese, appartenente all'Ordine dei Gesuiti, autore delle
Memoires pour servir a l'histoire du jacobinisme, opera in tre volumi dei
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quali i primi due furono pubblicati a Londra nel 1796. Scopo delle
Memoires era convincere contemporanei e posteri che la Rivoluzione
francese fosse ordita dai Figli della Vedova. In quelle pagine, che ebbero
un grande successo, si legge che le Logge erano state inquinate da gruppi
dediti a praticare le scienze occulte, incantesimi e altre simili
scelleratezze. L'obiettivo della Massoneria, secondo l'abate, era eliminare
dalla società cristiana il timor di Dio e il rispetto per l'autorità reale.
Barruel divenne un caposcuola che influenzò l’antimassoneria posteriore,
enunciando la teoria del complotto per la quale la Massoneria era
ideatrice di un progetto sovversivo, volto a realizzare un regno delle
tenebre che eliminasse i valori cristiani e civili.
Sui danni che l'histoire comportò per la massoneria è illuminante il
giudizio del cattolico Alec Mellor che in I nostri Fratelli separati. I Liberi
Muratori [Edizioni Bolla, Milano 1963] scrive "Barruel può essere
considerato il padre dell’antimassoneria moderna, quella che era esistita
prima di lui fu senza seguito. La sua, invece, fu un durevole seme di odio,
e di tutti coloro che scrissero contro la massoneria egli è quello che le
fece maggiormente male […] Barruel fece agli avversari un torto
immenso, dal quale la Massoneria, si può ben dire, non poté mai
rimettersi e che fu la sorgente dalla quale intere generazioni di
antimassoni attinsero".
Nel 1885 ebbe inizio una vicenda che, prese le mosse da un bieco
interesse economico coniugato con il condiscendente coinvolgimento
della Chiesa. Uno scrittore sensazionalista, Leo Taxil, ex massone,
pubblicò e vendette numerosi libri nei quali, assieme a notizie
assolutamente vere, diffondeva notizie false atte a dare un'immagine
negativa della Massoneria, creando sensazione e quindi interesse. Nella
trappola delle rivelazioni pubblicate da Leo Taxil, finirono invischiati il
papa Leone XII e il "dottore della Chiesa" santa Teresa di Lisieux. Essi
28
appoggiarono la "sacra denuncia" di Taxil incoraggiando crociate contro
la Massoneria e, addirittura, la fondazione di gruppi antimassonici tra i
quali i cosiddetti Cavalieri di Colombo, laici dedicati al solo scopo di
combattere la Massoneria. Leo Taxil divenne famoso e ricco con la
pubblicazione dei suoi volumi che raccontavano al popolo le malefatte
dei Massoni, del Palladismo e della sua gran diaconessa Diana Vaughan,
delle opere pericolose di Albert Pike e del suo successore Adriano Lemmi
e del loro preteso satanismo. La vicenda è stata ripresa da Umberto Eco
nel romanzo Il cimitero di Praga.
Poi, durante una sensazionale conferenza stampa tenuta il 19 aprile 1912,
presso la sede della Società Geografica di Parigi, alla presenza di
giornalisti dei diversi paesi, e soprattutto di religiosi, tra i quali anche i
delegati del Nunzio Apostolico in Francia e dell'Arcivescovo di Parigi,
ammise che il castello costruito nei suoi libri sulle nefandezze del popolo
massonico erano frutto della sua fantasia.
Fu in una famosa conferenza stampa tenuta il 19 Aprile 1912, presso la
sede della Società Geografica di Parigi, che lo scrittore Leo Taxil, alla
presenza dei giornalisti dei diversi paesi, e soprattutto di religiosi anche
delegati del Nunzio Apostolico e dell’Arcivescovo di Parigi, confessò che
tutto quanto aveva scritto sulle nefandezze del popolo massonico erano
frutto della sua immaginazione.
Nel corso dell'Ottocento e del primo Novecento si affacciarono sulla
scena filosofico-politica dottrine destinate a dar vita ai totalitarismi che
hanno segnato d'una scia di terrore e sangue il secolo passato:
comunismo, fascismo e nazismo, legati dal comune denominatore
dell'antimassoneria.
Nel 1922, a Mosca il IV Congresso della III Internazionale aveva
individuato nella Massoneria il principale nemico del comunismo. Si
distinsero per il particolare accanimento i delegati italiani Giacinto
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Menotti Serrati e Antonio Graziadei. La prima conseguenza fu la
decapitazione della segreteria Partito Comunista Francese costituita dai
Fratelli Henry Torrès, Antoine Coen e Ludovic Oscar Frossard. Sei anni
dopo, nel 1928, Stalin ordinò di cancellare ogni traccia di massoneria in
tutta l'Unione Sovietica. Qualsiasi forma di attività e propaganda
massonica poteva essere punita con la condanna a morte. Nel 1948 nei
Paesi finiti nell'appartenenza al blocco sovietico, Ungheria, Romania,
Bulgaria, la Massoneria fu vietata per legge e i Fratelli più in vista furono
arrestati, sottoposti a processi farsa e condannati a pesanti pene
detentive, alla deportazione e, in alcuni casi, alla pena capitale.
Non da meno furono i regimi di destra. All'estero, tra il 1920 e il 1945, i
regimi fascisti di Ungheria, Romania, Spagna, Portogallo e il regime
nazista in Germania, promulgarono leggi antimassoniche che
dichiaravano bandita l'Istituzione e prevedevano l'eliminazione fisica dei
massoni.
Nel 1923, il Gran Consiglio del Fascismo sancì l’incompatibilità fra
fascismo e Massoneria. Una delle tragiche conseguenze del
provvedimento è passata alla storia come la "Notte dell’Apocalisse
fiorentina". Il 3 ottobre 1925, gli squadristi uccisero Napoleone
Bandinelli, Giovanni Becciolini, Gustavo Consolo, Gaetano Pilati. L’ordine
del giorno del direttorio del Fascio di Firenze riportò: "Da oggi in poi, né i
massoni, né la massoneria devono rimanere anche un solo attimo liberi
dalla persecuzione […] Si devono annientare senza misericordia, i
massoni, i loro beni, i loro interessi. Essi devono venire cacciati via dai
pubblici impieghi […] Nessuno deve restare escluso. I bravi cittadini
devono schivare ogni massone. Sotto il peso della nostra forza, essi
devono venire isolati, come lebbrosi". Poco più di un mese dopo, il 28
novembre 1925, veniva varata la legge Sulla disciplina di associazioni,
enti ed istituti e sull’appartenenza ai medesimi del personale dipendente
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dallo Stato, dalle amministrazioni. La Massoneria italiana doveva cessare
di esistere.
Nel 1938, veniva pubblicata la III edizione dei Protocolli dei Savi Anziani
di Sion, con introduzione di Julius Evola il quale scriveva: "Questo
documento venne nelle mie mani circa quattro anni fa [1901] insieme
con l'assoluta garanzia che è la traduzione verace di documenti [originali]
rubati da una donna a uno dei capi più potenti, e più iniziati della
Massoneria [Massoneria Orientale]. Il furto fu compiuto alla fine di
un'assemblea segreta degli 'iniziati' in Francia, paese che è il nido della
cospirazione massonico-ebraica".
Dal libro di Giovanni Preziosi, l'ideologo del razzismo fascista, Giudaismo,
bolscevismo, plutocrazia, massoneria [1941] riportiamo il seguente
brano: "Nella terza Italia sorta con un programma laico, massone
anticlericale, in opposizione al Papato, gli Ebrei trovano le condizioni
ideali per infiltrarsi in tutti rami del nuovo organismo, senza far rumore,
come i tarli, i quali finché mangiano non si scoprano. La massoneria fu la
scala usata dagli Ebrei per l’arrembaggio al nuovo stato. Essa divenne il
loro segno. Con essa fecero breccia ovunque".
Nel gennaio 1944, sei anni dopo la promulgazione delle famigerate leggi
raziali, e pochi mesi prima della liberazione di Firenze, Giovanni
Spadolini, destinato a diventare uno dei "padri nobili" della Repubblica
Italiana, accreditato come uno dei strenui difensori della democrazia, sul
settimanale fiorentino Italia e Civiltà aveva scritto un articolo che alla
luce di quello che sarebbe stato il suo atteggiamento verso la massoneria
nella vicenda P2, suonava profeticamente antimassonico. Il
diciannovenne Spadolini spiegava che la crisi del fascismo in Italia era
avvenuta dopo il 1936 perché "vi scivolarono dentro e vi presero piede in
sempre maggior numero i profittatori, gli ambiziosi, i retori […] proprio
mentre riaffioravano i rimasugli della massoneria, i rottami del
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liberalismo, i detriti del giudaismo" e la monarchia si svincolava dal
regime "appoggiata da una cappella di generali massonici".
Il 24 marzo 1944, tra i 355 martiri trucidati dai nazi-fascisti alle Fosse
Ardeatine, ci furono diciotto massoni appartenenti sia al Grande Oriente
d'Italia sia alla Gran Loggia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, tra
questi ultimi il Gran Maestro Placido Martini, gli altri erano: Teodato
Albanese, Carlo Avolio, Umberto Bucci, Silvio Campanile, Silvano Canalis,
Giuseppe Celani, Renato Fabbri, Fiorino Fiorini, Manlio Gelsomini,
Umberto Grani, Mario Magri, Attilio Paliani, Giovanni Rampulla, Umberto
Scattoni, Mario Tapparelli, Angelo Vivanti e Giulio Volpi. La vulgata
antifascista, di qualsivoglia colore, ha sempre omesso di menzionarli
come massoni, erano, come tali, vittime scomode e il loro ricordo forse
non avrebbe aiutato l'opinione pubblica nel suo continuo condannare
l'Istituzione. Colgo quest'occasione per riconsegnarli quantomeno alla
nostra deferente memoria.
Ho inteso fare cenno a questi elementi storici poiché sono stati il fertile
terreno di cultura sul quale è prosperata e prospera la "mentalità
antimassonica" oggi ampiamente diffusa. La disinformazione e la cattiva
informazione fornita dai mezzi di comunicazione di massa hanno un
ruolo di primo piano nella diffusione di tale mentalità.
Dal 1945, con il ritorno alla libertà e alla democrazia e con esse alla
legalità della Massoneria, la "mentalità antimassonica" è sopravvissuta
saldamente nel catalogo dei pregiudizi italiani.
La Chiesa, pur nel succedersi dei Pontefici, alcuni dei quali considerati, a
ragione o a torto, "progressisti" e nonostante il rinnovamento proposto
dal Concilio Vaticano II [1962-1965], secondo le deliberazioni della
Congregazione per la Dottrina della Fede e i pronunciamenti di diverse
Conferenze Episcopali, è rimasta tetragona nella perpetuazione del
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principio dell’inconciliabilità fra i principi della Massoneria e quelli della
fede cristiana.
Tra il 1947 e il 1948, nell'ambito dell’Università del Sacro Cuore di
Milano era stato varato il progetto di promuovere un referendum per
mettere fuori legge la massoneria. E, nel 1949, il cardinale Idelfonso
Schuster, arcivescovo di Milano, aveva messo sullo stesso piano la
Massoneria, lo spiritismo, il comunismo e il protestantesimo, additandoli
alla pubblica opinione come i più grandi pericoli per le coscienze. Per non
parlare delle più recenti correnti cattolico-integraliste che, facendo
proprie persino le menzogne diffamatorie dei Protocolli dei Savi Anziani
di Sion, associano nei loro vaneggiamenti mistificatori la Massoneria e
l'Ebraismo come i promotori di un complotto demoniaco teso a
impadronirsi dell'universo mondo e far trionfare l'Anticristo. Basta
scorrere gli innumerevoli siti pubblicati sull'argomento su Internet per
rendersene conto.
Nel dopoguerra e in quella che è passata agli archivi della storia come la
Prima Repubblica, i partiti più livorosamente antimassonici sono stati
istituzionalmente il Partito Comunista Italiano e il neofascista Movimento
Sociale; ambiguo il Partito Socialista Italiano, antimassonico nella sua
corrente di sinistra e con personalità antimassoniche come Bettino Craxi;
aperti, invece, il Partito Socialdemocratico, il Partito Repubblicano e il
Partito Liberale. Com'è ovvio, la Democrazia Cristiana si adeguava,
almeno formalmente, alle direttive della Chiesa.
Vero che la Prima Repubblica è stata segnata dalla vicenda P2, ma essa è
stata, di là della fattispecie, anche un formidabile strumento per
alimentare la "mentalità antimassonica" utilizzato dalla politica, dai
mezzi di comunicazione e persino da una parte della magistratura.
Nei propositi dell'allora Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di
Palazzo Giustiniani, la Loggia P2 voleva ricollegarsi alla Loggia
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Propaganda, la P1. Era stata istituita nel 1877 dal Gran Maestro Giuseppe
Mazzoni, ma era stato Adriano Lemmi, Gran Maestro dal 1885 al 1895, a
darle prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri del
Regno d'Italia che, in ragione dei loro incarichi, erano costretti a lasciare
le loro logge territoriali e stabilirsi a Roma; fra i suoi iscritti c'erano tra
gli altri Ernesto Nathan, Menotti Garibaldi [primogenito dell'Eroe dei due
Mondi e di Anita], Aurelio Saffi, Agostino Bertani, Francesco Crispi,
Giousuè Carducci, e Giovanni Bovio. Nella P2, Loggia "coperta", senza
connotazione territoriale, avrebbero dovuto confluire personaggi che,
per la loro posizione politica e sociale, non era opportuno figurassero
nelle Logge ordinarie. Come Maestro Venerabile della P2 era stato scelto,
nel 1977, Licio Gelli, iniziato nel 1965 nella Loggia Romagnosi di Roma.
Si trattava, nelle intenzioni del Fratello Salvini, di un provvedimento teso
a mettere al riparo della segretezza persone la cui affiliazione avrebbe
potuto alimentare le consuete accuse di complottismo e affarismo
proprie della vulgata antimassonica. Ma, come si dice, di buone intenzioni
è lastricata la strada per l'inferno le porte del quale si spalancarono
quando si venne a sapere che Licio Gelli aveva trasformato la Loggia in
uno strumento personale che di massonico aveva soltanto il nome
usurpato e che nulla aveva a che fare con il Grande Oriente d'Italia. La P2
e i suoi 932 associati [secondo gli elenchi sequestrati nella villa di Gelli a
Castiglion Fibochi], a volte neppure consapevoli né della loro iscrizione e
nemmeno del senso dell’organizzazione di Gelli, si trovarono invischiati
in una struttura più legata a interessi politici e a discutibili uomini d’affari
che non agli ideali massonici, usati come specchietto per le allodole. Licio
Gelli era riuscito ad allungare i tentacoli della sua organizzazione in
gangli vitali della società: dalle Forze Armate all'editoria, dalle banche e
dalla finanza agli stessi partiti. Sulla base delle varie accuse mosse alla P2,
dal golpe Borghese alla "Rosa dei venti", dall'affare Sindona al Banco
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Ambrosiano, dal traffico di armi a sospetti legami con i servizi segreti, a
connivenze con la mafia, nacque una grande inchiesta parlamentare che
condusse alla promulgazione di una legge sulle associazioni segrete in
attuazione dell’articolo 18 della Costituzione Italiana, a seguito della
quale venne sciolta la Loggia P2.
Nonostante che il Grande Oriente, il 31 ottobre 1981 avesse espulso Licio
Gelli e sconfessato la sua organizzazione, l'affare P2 divenne il pretesto
per un attacco indiscriminato e irrazionale nei confronti dell'intera
Massoneria. I lavori della Commissione parlamentare provocarono più
confusione che chiarezza, scatenando un'indiscriminata campagna
antimassonica, sostenuta da alcuni partiti e dai mezzi di comunicazione,
tale da provocare l'intervento della Federazione Internazionale dei Diritti
dell'Uomo che nel suo documento conclusivo dichiarò: "La Delegazione
ha, infine, ravvisato in tutta la vicenda speciosamente montata, oltre i
limiti tollerabili del buon gusto e del buon senso comune, qualcosa che va
di là del fatto specifico in questione. Per motivi occulti, ma facilmente
intuibili sia il gruppo di Gelli, sia la Massoneria italiana del Grande
Oriente d'Italia, sono stati usati e dati in pasto all'opinione pubblica per
galvanizzarla e sviarla da altri importanti problemi che da troppo tempo
assillano la società italiana".
A onore del vero dobbiamo ammettere che le Obbedienze massoniche
"regolari", forse per un eccesso di prudenza, non usarono la necessaria
energia per difendere l'onorabilità dell'Istituzione. Il "piduismo" diventò,
soprattutto per certi organi di stampa, per una parte della
radiotelevisione nazionale e per alcuni magistrati un'ossessione e un
marchio d'infamia indelebile. Il sonno della ragione genera mostri duri a
morire che a loro volta diffondono il virus della "mentalità
antimassonica", così ancora oggi a organizzazioni di vario malaffare si
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applicano le sigle di P3, P4 e seguenti con il chiaro intento di alludere a
una loro pretesa veste massonica.
Montature giornalistiche volte al sensazionalismo, ambizione e desiderio
di protagonismo di alcuni elementi della magistratura, astioso rancore
ideologico di alcuni ambienti fondamentalisti, hanno così, anche in tempi
recenti, continuato ad alimentare nella pubblica opinione una visione
negativa dell'Istituzione.
Dal 1975 al 2000, infatti, la Massoneria italiana ha subito le pesanti
persecuzioni mai sofferte prima.
E allora, come un tempo Hitler in Germania, dette la colpa della crisi
economica agli ebrei, ecco che i politici, i magistrati, i "massoni
democratici" in odore di potere e i mezzi di comunicazione di massa a
caccia di pettegolezzi, si inventarono la tesi golpista ordita dai massoni
della P2 e, via via, dall'intera Massoneria, visto che anche l'altra grande
Obbedienza italiana, la Gran Loggia d'Italia, subì inchieste e
controinchieste ignominiose.
Le conseguenze della campagna antimassonica costruita sulla P2 non
avevano ancora esaurito il loro devastante effetto quando, negli anni
Novanta del secolo scorso ne seguì un'altra. Pochi, infatti, sanno o
ricordano che in quegli anni un'inchiesta giudiziaria senza alcun
fondamento, si offrì all'opinione pubblica con i crismi di una nuova Santa
Inquisizione. Era guidata dall'allora magistrato di Palmi Agostino
Cordova, il quale scatenò una vera e propria crociata inquisitoria contro
cittadini onesti la sola colpa dei quali era l'appartenenza alla Massoneria.
Agostino Cordova, magistrato che, evidentemente, non sapeva nulla della
Massoneria e con nessuna voglia di informarsi alla fonte, ipotizzò un
"teorema" totalmente privo di fondamento: poiché in Calabria [regione
alla quale apparteneva la Procura di Palmi] c'è la 'ndrangheta e in Sicilia
la mafia che complottano contro la stabilità dello Stato, allora dietro a
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loro c'è la Massoneria che trama nel segreto. Cordova aveva stabilito a
priori che i massoni italiani erano tutti colpevoli e, dunque, da inquisire.
Fu così che si attivò per acquisire tutti gli elenchi dei massoni italiani,
alcuni dei quali finirono anche in pasto ai media, come se fossero una
lista di proscrizione, fatta di delinquenti abituali; tra le testate che
iniziarono la pubblicazione degli elenchi ricordiamo l'Unità, il Tirreno e il
periodico Cuore, a riprova del carattere politicamente "trasversale"
dell'antimassoneria.
Com'era inevitabile, la pubblicazione degli elenchi incrementò presso
gran parte della pubblica opinione la "mentalità antimassonica". Inutile
dire che le più colpite furono le due Obbedienze massoniche italiane con
il maggior numero d'iscritti: la Gran Loggia d'Italia degli Antichi Accettati
Liberi Muratori e il Grande Oriente d'Italia. E a poco, anche allora,
servirono gli interventi e le aperture dei Gran Maestri della Gran Loggia
d'Italia degli Antichi Accettati Liberi Muratori Renzo Canova e il suo
predecessore Giovanni Ghinazzi, che avevano deciso di aprire i Templi
massonici e di garantire la massima trasparenza.
Ma nessun reato era stato commesso e così la Suprema Corte di
Cassazione stabilì che Agostino Cordova aveva palesemente violato la
Costituzione della Repubblica Italiana negli articoli 13 e 14, che
stabiliscono che la libertà personale e il domicilio sono inviolabili e non
sono ammesse forme di detenzione, ispezione e perquisizione se non per
atto motivato. Inoltre il magistrato aveva violato gli articoli 247 e 253 del
codice di procedura penale.
Purtroppo, però, il danno morale ed economico per i cittadini Libero
muratori ingiustamente coinvolti era fatto.
A guadagnare, in termini di tirature e di credibilità, sulla "caccia alle
streghe" scatenata contro la Massoneria fu la stampa vicina agli ambienti
radical scic e di sinistra e quella che si definiva indipendente che piaceva
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alla piccola borghesia perbenista e i giornalisti che allora come oggi
intingono la penna nell'inchiostro nero del pregiudizio e della
disinformazione, a qualsiasi fazione politica appartenessero e
appartengono. A puro titolo d'esempio riportiamo questa citazione tratta
da La Stampa, il quotidiano della famiglia Agnelli, nel numero del 4
novembre 1992: "Asserragliati nei loro templi, intabarrati nei loro
grembiulini, i Fratelli, complottano, ordiscono trame, mettono a punto i
loro disegni inconfessabili. E cos’altro è, agli occhi dei suoi nemici, la
Massoneria se non un'inesauribile, centrale di complotti? O un'oscura
conventicola col pallino di voler governare segretamente il mondo?". Con
un'ipocrisia che sfiora il grottesco, il quotidiano torinese fingeva
d'ignorare l'appartenenza del suo editore, l'avvocato Gianni Agnelli, a
sodalizi come il Gruppo Bilderberg e la Trilateral accusate, a ragione o a
torto, di condizionare la politica e l'economia mondiale, in ogni modo,
certamente più potenti della Massoneria.
Ancora in tempi recenti si è tentato, da parte di alcune amministrazioni
pubbliche, di reintrodurre la legislazione fascista che imponeva ai
dipendenti statali di dichiarare la propria appartenenza ad associazioni
quali la Massoneria, ciò in palese violazione della Costituzione
nonostante che gli organismi internazionali e democratici abbiano
sempre bocciato tali legislazioni liberticide. A questo proposito, il 3
novembre 1993, il quotidiano L'Indipendente, annotava: "La caccia al
massone in Toscana è ormai diventata un safari che espone alle doppiette,
pidiessine non solo i dipendenti del pubblico impiego, ma anche quelli
delle aziende private. Ormai in Toscana essere massoni è un reato; o
comunque una colpa che ti confina nel ghetto di coloro che è
sconsigliabile frequentare".
Il 17 febbraio 1992, quasi per caso, l'arresto del socialista Mario Chiesa,
presidente del Pio Albergo Trivulzio, diede il via all'operazione Mani
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Pulite, giornalisticamente Tangentopoli, che provocò la sparizione dalla
scena politica di quasi tutti i partiti della Prima repubblica: la
Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il Partito Liberale e il
Partito Repubblicano; sopravvissero soltanto il Partito Democratico della
Sinistra e Rifondazione Comunista, entrambi eredi del Partito Comunista
e il Movimento Sociale. Intanto s'erano affacciati sulla scena politica due
nuovi partiti: la Lega nord e Forza Italia di Silvio Berlusconi.
Era nata la Seconda repubblica, i partiti della quale avevano ereditato i
vizi della Prima, compresa l'antimassoneria sbandierata soprattutto dalla
sinistra e dalla Lega. In tempi più recenti a loro s'è aggiunto il Movimento
5 Stelle di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. A titolo esemplificativo
cito quanto ebbe a dire l'onorevole Giuseppe Fioroni, ala cattolica del
Partito Democratico, in un'intervista il 3 giugno 2010: "Se il PD tollerasse
l'appartenenza di suoi membri alla Massoneria, verrebbe messa in crisi la
credibilità dello stesso PD in tante battaglie". L'antimassoneria è
diventata l'arma della quale i politici e i mezzi di comunicazione che li
sostengono si servono per demonizzare gli avversari. Mario Monti,
divenuto Presidente del Consiglio, fu "accusato" di essere massone da
Antonio Di Pietro e da Nichi Vendola.
L'antimassoneria e la sua capacità di condizionare la mentalità della
pubblica opinione non sono monopolio dei quotidiani e dei periodici. A
loro fanno da efficace controcanto romanzi di grande successo, veri e
propri best-seller, come Il Pendolo di Foucault di Umberto Eco, nel quale,
fra l’altro, si legge: " […] i massoni sono caricature borghesi della
cavalleria templare" o Il cimitero di Praga sempre di Eco che affida
all'immaginario collettivo come i peggiori complottisti liberamente
associati, gesuiti, massoni ed ebrei. Come non ricordare il romanzo Il
simbolo perduto dell'americano Dan Brown, il successo del quale ha dato
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la stura alla pubblicazione di una nutrita narrativa che s'ispira ai peggiori
luoghi comuni dell'antimassoneria.
Meno numerosa, perché editorialmente meno redditizia, ma anche più
pericolosa perché accreditata sul piano culturale, la saggistica nell'ambito
della quale spiccano i volumi di Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, di
Mario Guarino, Poteri segreti e criminalità, L'intreccio inconfessabile tra
'ndrangheta e massoneria, di Giacinto Butindaro, La Massoneria
smascherata e di Dino P. Arrigo, Nuovi Fratelli. Storia e segreti della
massoneria da Tangentopoli alle inchieste P3 e P4, Massoni. Società a
responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges di Gioele Magaldi e
Laura Maragnani e Dalla massoneria al terrorismo. Come alcune logge
massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono
controllare il mondo di Giovanni Francesco Carpeoro.
Neppure il cinema si sottratto al fascino dell'antimassoneria, tra gli
esempi di casa nostra ricordiamo Un borghese piccolo piccolo,
protagonista Alberto Sordi, nel quale il regista Mario Monicelli, offre
un'immagine parodistica, grottesca e ridicola, ma proprio per questo,
forse, più efficacemente deleteria della Massoneria e il recentissimo Sole
a catinelle di Checco Zalone.
Ma il vero "paradiso" dell'antimassoneria dei tempi nostri è Internet. I
siti "dedicati" sono davvero innumerevoli e alla portata di tutti con un
danno d'immagine difficile da quantificare.