Massimo Mugnai - Introduzione alla logica modale

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Introduzione alla logica modale - a. a. 2008-09 Massimo Mugnai 3 novembre 2008 1 Cenni storici sulla genesi della logica modale. Durante l’antichit` a e il medioevo, e poi ancora fino all’Ottocento, la logica ` e sempre stata considerata, nella cultura occidentale, una disciplina riconducibile all’ambito della filosofia. Nella seconda met` a dellOttocento, le opere di George Boole (1815- 1864) (The Mathematical Analysis of Logic [1847]) e di Gottlob Frege (1848-1825) (Begriffsschrift [Ideografia : 1879]), avviarono un processo di profonda trasformazione della logica, in una prospettiva che era stata prefigurata da Leibniz circa due secoli prima. A partire da Boole e Frege, la logica non solo prese a svilupparsi ricorrendo a un linguaggio e a strumenti desunti dalla matematica ma, progressivamente, fin dai primi anni del Novecento, si propose essa stessa come strumento per l’indagine matematica. La ‘matematizzazione’ della logica indusse logici e filosofi a guardare ai rapporti tra logica e filosofia con rinnovato ottimismo: la ricerca filosofica poteva finalmente dotarsi di uno strumento rigoroso, dal quale era auspicabile attendersi la soluzione di antichi problemi. In anni recenti, lo straordinario sviluppo della logi- ca matematica e il conseguente, alto grado di specializzazione che ne ha investito tutti gli aspetti, hanno reso pi` u complesso il rapporto tra logica e filosofia. Molte delle originarie speranze hanno subito un ridimensionamento: nondimeno, una buo- na conoscenza di base della logica continua a esser considerata, dalla maggior parte dei filosofi contemporanei, un requisito essenziale per svolgere seriamente l’attivit` a filosofica. Conoscere la logica permette di dar forma rigorosa alle argomentazioni, consente di evitare fallacie e, in generale, mette a disposizione un potente strumento di analisi concettuale. La logica, tuttavia, non ha nei confronti della filosofia un rapporto, per cos` ı dire, puramente propedeutico. Un ampio settore della logica, ca- ratterizzato ormai col nome di logica filosofica, si applica all’indagine di tematiche 1

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Introduzione alla logica modale - a. a. 2008-09

Massimo Mugnai

3 novembre 2008

1 Cenni storici sulla genesi della logica modale.

Durante l’antichita e il medioevo, e poi ancora fino all’Ottocento, la logica e semprestata considerata, nella cultura occidentale, una disciplina riconducibile all’ambitodella filosofia. Nella seconda meta dellOttocento, le opere di George Boole (1815-1864) (The Mathematical Analysis of Logic [1847]) e di Gottlob Frege (1848-1825)(Begriffsschrift [Ideografia: 1879]), avviarono un processo di profonda trasformazionedella logica, in una prospettiva che era stata prefigurata da Leibniz circa due secoliprima. A partire da Boole e Frege, la logica non solo prese a svilupparsi ricorrendoa un linguaggio e a strumenti desunti dalla matematica ma, progressivamente, findai primi anni del Novecento, si propose essa stessa come strumento per l’indaginematematica. La ‘matematizzazione’ della logica indusse logici e filosofi a guardareai rapporti tra logica e filosofia con rinnovato ottimismo: la ricerca filosofica potevafinalmente dotarsi di uno strumento rigoroso, dal quale era auspicabile attendersi lasoluzione di antichi problemi. In anni recenti, lo straordinario sviluppo della logi-ca matematica e il conseguente, alto grado di specializzazione che ne ha investitotutti gli aspetti, hanno reso piu complesso il rapporto tra logica e filosofia. Moltedelle originarie speranze hanno subito un ridimensionamento: nondimeno, una buo-na conoscenza di base della logica continua a esser considerata, dalla maggior partedei filosofi contemporanei, un requisito essenziale per svolgere seriamente l’attivitafilosofica. Conoscere la logica permette di dar forma rigorosa alle argomentazioni,consente di evitare fallacie e, in generale, mette a disposizione un potente strumentodi analisi concettuale. La logica, tuttavia, non ha nei confronti della filosofia unrapporto, per cosı dire, puramente propedeutico. Un ampio settore della logica, ca-ratterizzato ormai col nome di logica filosofica, si applica all’indagine di tematiche

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filosofiche piu o meno tradizionali. Tra queste figurano: la ricerca concernente i varisignificati dei concetti di necessita e possibilita; il tentativo di caratterizzare logichedella conoscenza; la costruzione di logiche che trattino con concetti ‘imprecisi’; l’in-dagine volta a individuare logiche temporali, ecc. E bene tener presente, tuttavia,che il carattere ‘filosofico’ della logica filosofica non consiste nell’uso di strumentidiversi da quelli della logica matematica non filosofica.

Un forte legame con la tradizione logica, a partire almeno da Aristotele, lo hannole cosiddette logiche modali, delle quali verranno illustrati in quel che segue la genesie alcuni caratteri fondamentali.

1.1 Logica modale: significato dell’espressione. Guglielmodi Ockham e Aristotele.

Con buona approssimazione, possiamo caratterizzare la logica modale come quellabranca della logica che studia il comportamento di enunciati nei quali sono coinvoltele espressioni: possibile, impossibile, necessario, contingente e altre ad esse affini.La qualificazione espressa dal termine ‘modale’ deriva dalla tradizione della logicascolastica, secondo la quale le espressioni appena richiamate designano modi d’essereo di ‘presentarsi’ degli enunciati ai quali si riferiscono (oppure, come vedremo, modid’essere delle proprieta che vengono attribuite a un soggetto). I logici scolasticiriconoscevano che le modalita degli enunciati sono molteplici. ‘Sapere’, per esempio,riferito a un enunciato (‘sapere p’ - con ‘p’ enunciato qualsiasi) era pensato comeun ‘modo d’essere’ o una proprieta dell’enunciato in questione (‘esser saputo’, in talcaso). Un chiaro riconoscimento della pluralita dei modi delle proposizioni si trovanella Summa logicae di Guglielmo di Ockham:

Modale e quella proposizione nella quale viene posto il modo [...] E bisogna sa-pere che, sebbene tutti i filosofi siano pressoche concordi sul fatto che soltantoquattro modi - vale a dire ‘necessario’, ‘impossibile’, ‘contingente’ e ‘possibile’- rendono modale una proposizione [...] - parlando in senso piu generale, si puodire che i modi che rendono modali le proposizioni sono piu di questi quattro.[...][I]nfatti, come una proposizione e necessaria, un’altra impossibile, un’altrapossibile, un’altra ancora contingente, cosı una proposizione e vera, un’altrafalsa, un’altra conosciuta, un’altra ignota, un’altra proferita, un’altra scritta,un’altra ancora concepita, un’altra creduta, un’altra opinata, un’altra dubita-ta, e cosı via. Percio, come e detta modale la proposizione nella quale e posto ilmodo ‘possibile’ o ‘necessario’ oppure ‘contingente’ o ‘impossibile’, oppure unavverbio corrispondente a uno di questi modi, e altrettanto ragionevole che si

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possa dire modale una proposizione nella quale viene posto qualcuno dei modipredetti.1.

In questo brano l’ammissione dell’esistenza di molteplici modalita si accompagnaall’implicito riconoscimento del carattere esemplare delle quattro modalita costituiteda possibile, necessario, contingente e impossibile. In maniera analoga, nell’ambitodella logica contemporanea, sebbene venga riconosciuta l’esistenza di differenti ti-pologie di modalita, quelle definite da possibilita e necessita mantengono sulle altreuna sorta di posizione preminente: sono considerate, in certo senso, le modalita perantonomasia.

Tra i vari tipi di modalita si usano distinguere: modalita assertorie (le modalitadi enunciati che si limitano a descrivere o asserire un mero stato di cose); moda-lita aletiche (si tratta di quelle modalita che specificano il modo di esser vero di unenunciato, vale a dire se e necessariamente, possibilmente o contingentemente vero);modalita deontiche (relative a cio che e obbligatorio, vietato o permesso); modalitaepistemiche (sapere, conoscere, ecc.); modalita doxastiche (credere, ritenere, ecc.).Si parla anche di modalita temporali, in relazione a logiche che trattano di enunciatila cui verita e legata al tempo; e di logiche dinamiche, legate all’esecuzione di pro-grammi in ambito informatico. La preminenza delle modalita aletiche si spiega colfatto che la cosiddetta semantica a mondi possibili ha consentito - a partire all’incir-ca dagli anni cinquanta del secolo scorso - una trattazione di queste modalita che siapplica con successo anche al caso di altri tipi di modalita.

Sebbene la logica modale abbia avuto ampio sviluppo in epoca medievale e, so-prattutto, tardo-medievale, un interesse verso di essa e documentato gia nelle ope-re logiche di Aristotele. Negli Analitici primi, per esempio, vengono introdotte leinferenze sillogistiche con premesse che includono modalita:

Poiche sono differenti tra loro l’appartenere, l’appartenere di necessita e altroancora l’esser possibile appartenere (molte cose infatti appartengono, non perodi necessita, mentre altre ne appartengono di necessita [. . . ] ne appartengonoaffatto, ma e possibile che appartengano), e chiaro che diverso sara il sillogismoin ciascuno di questi casi [...]2

Aristotele dedica ampio spazio, sia negli Analitici primi sia nella Metafisica, all’a-nalisi delle nozioni modali. Nella Metafisica, dopo complesse riflessioni sul concetto

1Guillelmi de Ockham, Opera philosophica et theologica. Opera philosophica I, Summa logicae,New York, St. Bonaventure, 1974, pp. 242-43

2An Pr. I, 8, 29b 29

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di necessita, arriva a fissare una definizione di necessario come ‘impossibilita del con-trario’, alla quale riconosce una sorta di primato, in quanto ad essa si riconduconotutte le usuali nozioni di necessita:

Diciamo inoltre necessario che sia cosı com’e, quel che non puo essere altri-menti. E a questo senso di necessario si riconducono, in qualche modo, tuttele altre cose che sono dette necessarie.3

Negli Analitici primi, Aristotele sviluppera inoltre una trattazione sistematicadei sillogismi modali, elaborando una complessa teoria che, sotto molti aspetti, co-stituira uno dei punti di riferimento per le speculazioni modali in epoca scolastica eoltre.

Riguardo alla nozione di possibile, Aristotele stabilisce un principio che, in epocamedievale, verra sintetizzato in un efficace motto: ab esse ad posse valet consequentia[se qualcosa esiste, e legittimo inferire che e possibile]: “per esempio e possibile cam-minare, dal momento che qualcuno cammina e, in generale, diciamo che qualcosae possibile poiche e gia in atto cio che diciamo esser possibile”. Questa caratte-rizzazione del concetto di possibile appare del tutto naturale, e non c’e quindi dameravigliarsi se, in seguito, in ambito filosofico e diventata una sorta di luogo co-mune. Si sara notato, tuttavia, che gia nella definizione del necessario presente nellungo passo riportato sopra, e implicito un riferimento al possibile: necessario e cioper il quale non e possibile essere altrimenti. Aristotele torna su questo punto in altriluoghi della Metafisica, dai quali si ricava agevolmente lequivalenza tra necessario enon possibile non:

E necessario, dunque, che, se c’e qualcosa della quale e vero dire che e uomo,che essa sia animale bipede (questo era, infatti, cio che stabilimmo significasse‘uomo’); ma se cio e necessario, non e possibile che questa stessa cosa non siaanimale bipede (questo infatti significa l’essere necessario: l’essere impossibilenon essere)4.

Assumendo che necessario e possibile si applichino a enunciati, e indicando conp un enunciato qualsiasi, possiamo quindi asserire che, per Aristotele, vale l’equiva-lenza tra ‘necessario p’ e ‘non possibile non p’. Siffatta equivalenza e ribadita nelcapitolo 12 del De interpretatione, nel quale Aristotele elabora il seguente ‘quadratologico’, che riassume i rapporti sussistenti tra le espressioni ‘possibile’ e ‘necessario’per il tramite della negazione:

3Met. ∆, 5 1015a 20 - 1015b 154Met. Γ, 1006b 28-35

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Nec(α); ¬Poss(¬α) Nec¬(α);¬Poss(α)

¬Nec(¬α); Poss(α) ¬Nec(α); Poss(¬α)

Ciascuna coppia ai vertici del quadrato esprime un’equivalenza logica (“non enecessario α”, per esempio (con α enunciato qualsiasi) equivale a “e possibile nonα”). Le due coppie dei vertici superiori sono tra loro contrarie (non possono essereentrambe vere: se e vero ‘necessariamente α’, e falso ‘necessariamente non α’ e vi-ceversa; ma possono essere entrambe false). Le coppie disposte ai vertici opposti diciascuna delle due diagonali sono, invece, contraddittorie (non possono avere mai ilmedesimo valore di verita). Mentre le due coppie disposte ai vertici in basso possonoessere entrambe vere, ma non entrambe false. Dalle coppie dei vertici superiori epossibile inferire le coppie dei vertici inferiori, ma non viceversa: se, per esempio,qualcosa e necessario, sara anche possibile, ma non e detto che valga la relazioneinversa. Nel De interpretatione, lelaborazione di questi rapporti risulta piuttosto fa-ticosa, e Aristotele giunge a fissare lo schema che abbiamo riportato, dopo numeroseesitazioni.

Nel capitolo IX del De interpretatione, Aristotele affronta questioni relative allacontingenza o necessita di certi enunciati; e le analisi contenute in questo capitoloalimenteranno discussioni e controversie che saranno alla base delle dispute scolasti-che sui futuri contingenti. In termini piuttosto schematici, la problematica dei futuricontingenti puo esser presentata nel modo seguente. Dato che Dio, secondo la teolo-gia cristiana, e onnisciente, prevede gli eventi futuri del mondo che ha creato: Dio sa,per esempio, che Adamo mangera il frutto proibito. Sotto tale ipotesi, pero, com’epossibile affermare che il fatto di mangiare il frutto da parte di Adamo e contingente,se condizione per considerare contingente un evento e che, pur verificandosi, avrebbepotuto non verificarsi? Detto altrimenti: come si concilia la prescienza di Dio, il qua-le vede che Adamo agira in un certo modo, con l’affermazione che Adamo potrebbeagire nel modo contrario? Non e difficile rendersi conto che, sul piano teologico, si haa che fare con una problematica delicata, che investe non soltanto questioni relativealla concezione delle modalita, ma anche questioni riguardanti la liberta dell’agire.Le discussioni scolastiche su questo argomento, e su altri di natura analoga, determi-narono approfondite analisi delle modalita che, unendosi alle trattazioni della logicamodale contenute nei manuali o nelle ‘dispense’ destinate all’insegnamento della lo-gica, dettero corpo a un dottrina assai raffinata e complessa - tanto da giustificare ildetto “De modalibus non gustabit asinus (Un asino non potra accostarsi allo studio

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delle modalita)”. Il lungo brano che segue, tratto da un opuscolo attribuito a Tom-maso d’Aquino, ma risalente al secolo XIV, puo esser considerato esemplare per lacapacita di esprimere alcune acquisizioni centrali della logica modale medievale:

Poiche la proposizione modale e chiamata cosı dal modo, per sapere cosa siauna proposizione modale bisogna sapere innanzitutto cosa sia il modo. Ora,il modo e una determinazione che accompagna una cosa, e lo si ha quandoun nome aggettivo viene aggiunto a un sostantivo, cosı da determinarlo, co-me quando si dice: “uomo e bianco”; oppure come quando viene aggiunto unavverbio che determina il verbo, come quando si dice: “uomo corre bene”.Bisogna anche sapere che il modo e triplice: ora infatti determina il soggettodella proposizione, come in “uomo bianco corre”; ora determina il predicato,come in: “Socrate e uomo bianco”, oppure “Socrate corre velocemente”; oradetermina la composizione stessa del predicato col soggetto, come quando sidice: “che Socrate corra e impossibile”, ed e da questo solo modo che la pro-posizione e detta modale. Le altre proposizioni, invero, che non sono modali,sono dette de inesse. I modi che determinano la composizione sono sei, valea dire: vero, falso, necessario, impossibile, possibile, contingente. Tuttavia ilvero e il falso non aggiungono niente ai significati delle proposizioni de inesse.Infatti, viene significato lo stesso quando si dice: “Socrate non corre” e “So-crate corre e falso”; oppure: “Socrate corre” e “Socrate corre e vero”. Cio peronon accade con gli altri quattro modi, poiche non viene significato lo stesso,quando si dice “Socrate corre” e “Socrate corre e possibile”. Pertanto, lasciatida parte il vero e il falso, consideriamo gli altri quattro [modi]. Dal momentoche il predicato determina il soggetto e non viceversa, affinche una proposi-zione sia modale e necessario che i quattro modi predetti vengano predicati eche il verbo che implica la composizione sia posto in luogo di soggetto: la qualcosa si verifica se al posto del verbo indicativo della proposizione si pone l’in-finito e al posto del nominativo l’accusativo, e si chiama il tutto dictum dellaproposizione. Cosı il dictum di questa proposizione: “Socrates currit [Socratecorre]” e “Socratem currere [che Socrate corre]”. [...] Delle modali, alcunesono de dicto, altre de re. La modale de dicto e quella nella quale tutto il dic-tum funge da soggetto e il modo viene predicato, come in “Socratem currereest possibile [che Socrate corra e possibile]”. La modale de re e quella nellaquale il modo si interpone al dictum, come in “Socrate e possibile che corra”.[...] Bisogna anche sapere che una proposizione modale e detta affermativa onegativa, a seconda dell’affermazione o negazione del modo e non del dictum.Per cui, questa: “Socratem non currere est possibile [che Socrate non corra epossibile]” e affermativa. Mentre questa: “Socratem currere non est possibile[che Socrate corra non e possibile] e negativa. Bisogna anche notare il fat-to che il necessario ha somiglianza col segno universale affermativo [“Tutti”,

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“Ogni”], poiche cio che e necessario e sempre; l’impossibile ha somiglianza colsegno universale negativo [“Nessuno”], poiche cio che e impossibile non e mai.Il contingente, invero, e il possibile hanno somiglianza col segno particolare[“Qualche”], poiche cio che e contingente e possibile, talvolta e e talvolta none [...]5

In questo brano e messa in luce in primo luogo la differenza tra enunciati as-sertori (de inesse - che cioe concernono la semplice attribuzione di proprieta, senzal’espressione di modalita aggiuntive) ed enunciati modali; quindi, viene introdottala distinzione, canonica in epoca medievale, tra modalita de dicto e modalita de re.Secondo tale distinzione, un enunciato modale e de dicto se il modo che lo qualifi-ca si riferisce al dictum intero - vale a dire se ‘agisce’ su tutto l’enunciato al qualeviene riferito; e invece de re se specifica il modo nel quale il predicato inerisce al(o si predica del) soggetto. Cosı “Necessariamente (Socrate e saggio)” e de dicto,in quanto afferma che l’enunciato “Socrate e saggio” e necessario o necessariamentevero; mentre “Socrate e necessariamente saggio”, oppure “Socrate e saggio necessa-riamente” sono de re, in quanto asseriscono che una ‘cosa’ (res in latino: Socratenel nostro esempio) ha una certa proprieta in modo necessario (asseriscono, cioe,che l’esser saggio e una qualita necessaria di Socrate). Com’e evidente, la manierain cui e presentata la distinzione scolastica de dicto/de re presuppone che la strut-tura fondamentale di ogni enunciato sia nella forma soggetto-copula-predicato; e ladiscussione se il modo debba riferirsi alla copula o al predicato continuera a lungoin ambito scolastico e tardo-scolastico, fino a tutto il secolo XVII, in particolare trai logici di cultura tedesca. La distinzione de dicto/de re si e mantenuta nella logicamodale contemporanea con lo stesso significato, sebbene venga applicata in manieradiversa, a causa del fatto che la struttura di base dell’enunciato non e piu concepitanei termini di soggetto, copula e predicato.6

Un’altra importante precisazione che compare nel brano che stiamo considerando

5Tommaso, Reportationes, pp. 579-806Da Frege in poi, l’analisi logica dell’enunciato, ai fini della costruzione di un efficace linguaggio

artificiale, viene svolta sulla base della distinzione tra funzione e argomento, non piu nei terminidi soggetto, copula e predicato. Con un’inversione della concezione tradizionale, la copula viene,per cosı dire, assorbita entro il predicato. Mentre nella tradizione aristotelico-scolastica i verbivenivano scomposti in copula e participio (“Socrate corre” diventava: “Socrate e corrente”), conl’analisi fregeana e come se ciascun predicato fosse ricondotto a un verbo. Cosı, nel linguaggiologico artificiale post-fregeano, l’enunciato “Socrate e saggio” viene espresso, in forma simbolica,come ‘P(s)’ con P = esser saggio e s = Socrate (analogamente a f(x), con f designante unafunzione e x un suo argomento). La scomparsa della copula rende difficile un’immediata trascrizionedella distinzione scolastica de dicto/de re all’interno degli attuali linguaggi formalizzati. In terminicontemporanei, un criterio per stabilire se un enunciato modale e de dicto o de re, consiste nelvedere se l’operatore modale precede i quantificatori (nel qual caso e de dicto), oppure se invece li

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(ma che, come abbiamo visto, era gia presente nel De interpretatione aristotelico)concerne i rapporti tra negazione ed espressioni modali: l’autore osserva che, per ‘p’enunciato qualsiasi, la negazione di ‘possibile p’ e ‘non possibile p’ e non ‘possibilenon-p’. Lo stesso vale, ovviamente, per le altre modalita. Infine, si ha una precisa-zione assai significativa, soprattutto se la si considera tenendo presenti gli sviluppia noi piu vicini della logica modale: l’autore coglie una somiglianza [similitudo] tranecessario e il ‘segno’ di quantita universale ‘Tutti’ (‘Ogni’) da un lato, e il possibilee il segno di quantita particolare ‘Alcuni’ (‘Qualche’), dall’altro. La somiglianza sifonda sul fatto che, se un enunciato e necessario, allora e vero in tutte le circostanze;mentre se e possibile, allora e vero in qualche circostanza. Per l’esattezza, nel branoin questione, si dice che “il necessario e sempre”, mentre l’impossibile non e ‘mai’ eil possibile (col contingente) “talvolta e e talvolta non e”: il necessario sembra con-cernere in questo caso tutti i tempi (tutti gli istanti temporali), l’impossibile nessuntempo (nessun istante); il possibile e il contingente qualche tempo (qualche istanteo periodo di tempo), senza che venga fatto esplicito riferimento al concetto di ‘cir-costanza’. Cio non toglie che sia comunque notevole l’intuizione dellesistenza di unnesso che lega tra loro i quantificatori ‘Tutti’ (‘Ogni’) e ‘Alcuni’ (‘Qualche’) con leespressioni modali, rispettivamente, necessario e possibile.

Con la fine del medioevo e la reazione degli umanisti contro i logici ‘barbari’ dellascolastica, l’interesse per la logica modale, nei secoli XV e XVI si affievolisce. Sebbenela manualistica logica continui a conoscere un certo sviluppo, lo studio delle modalitadecade nettamente, rispetto agli standard raggiunti nei secoli precedenti. Nel secoloXVII si assiste a un certo fervore di studi intorno alla logica modale, soprattutto inGermania e nei paesi nei quali si e affermata la Riforma protestante. La cultura diosservanza cattolica - principalmente in Spagna e Portogallo - continua a produrreuna manualistica logica di buon livello, nella quale sovente sono affrontate questionidi logica modale. Nel secolo XVIII, con l’impoverirsi della trattatistica logica, siassiste a un pressoche definitivo accantonamento della logica modale. Tra le variecause che contribuiscono a questo risultato figurano anche gli espliciti inviti, rivoltidai gesuiti agli insegnanti, a non soffermarsi sulle modalita per evitare di turbare lecoscienze con i problemi della predestinazione e della prescienza divina.

La rinascita della logica e il sorgere della forma matematica di logica, a par-tire dalla seconda meta del secolo XIX, non furono accompagnate da una ripresadi interesse per la logica modale. Sebbene il logico e matematico Bernard Bolzano

segue (nel qual caso e de re. Rispetto alla tradizione scolastica, il rapporto tra espressione modaleda un lato e soggetto, copula e predicato dall’altro, ha cessato di essere rilevante. Cosı, formulecome ∀x�(Px), ∀x♦(Px), sono de re; mentre formule come �∀x(Px), ♦∀x�∃y(Qxy) sono de dicto.Su tutto ci, comunque, si veda pi oltre.

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(1781-1848) tratti esplicitamente questioni di logica modale nella sua monumentaleDottrina della scienza (Wissenschaftslehre: 1837), e soltanto con i contributi di HughMcColl (1837-1909) che le modalita ricompaiono in un ambito centrale della logica.McColl, pur muovendosi nell’ambito della tradizione dell’algebra della logica, solle-va il problema dell’interpretazione del condizionale ‘se ..., allora ...’. Per illustrarequesto punto e, soprattutto, per affrontare adeguatamente l’argomento dell’effettivaripresa della logica modale nel Novecento, sara opportuno fare una breve parentesi,tornando alle origini della speculazione logica occidentale.

1.2 Condizionale “filoniano” e condizionale “stretto”.

Nell’antichita, accanto alla scuola logica fondata da Aristotele si era affermato l’in-segnamento della cosiddetta scuola ‘megarico-stoica’. Mentre la logica aristotelicasi fondava prevalentemente sull’analisi dell’inferenza sillogistica e poneva percio alcentro dei propri interessi il rapporto tra termini (oggi diremmo: ‘classi’ o insiemidi oggetti), gli stoici erano interessati soprattutto ai nessi reciproci tra enunciati oproposizioni. In maniera un po’ sommaria, ma sostanzialmente fedele, si puo rappre-sentare il ragionamento sillogistico come un’inferenza che, date tre classi di oggettiA, B e C, sulla base della conoscenza dei rapporti che intercorrono, rispettivamente,tra A e C, B e C, cerca di determinare la natura dei rapporti che sussistono tra A eB. Questo schema generale risulta evidente nel sillogismo di prima figura: “Tutti gliuomini sono mortali; Tutti i Greci sono uomini; dunque, Tutti i Greci sono mortali”(si ponga ) ‘uomini’ = C, ‘Greci’ = A, ‘mortali’ = B).

I megarico-stoici, invece, in quanto hanno maggiore interesse per l’analisi dei rap-porti tra enunciati, rivolgono la propria attenzione al comportamento delle espressionilinguistiche che legano tra loro, o connettono, gli enunciati stessi. In conseguenzadi cio, definiranno le regole che governano gli usi logici di espressioni come (i corri-spondenti in greco delle espressioni italiane) ‘e’, ‘o’, “se ..., allora ...”, ecc. Un tipicoesempio di argomento (non sillogistico nel senso aristotelico) studiato dagli stoici e:“Se e giorno, c’e luce; e giorno; dunque c’e luce”, che corrisponde allo schema (perp e q enunciati qualsiasi): “Se p, allora q; p; dunque q”. Ora, e proprio riguardoall’interpretazione del ‘comportamento’ logico del connettivo “se..., allora ...” che,nell’ambito della scuola megarico-stoica, si ebbero divergenze che si fissarono in treposizioni distinte. Filone di Megara, secondo quanto riporta Sesto Empirico, avevaproposto le seguenti condizioni di verita per il condizionale:

Filone diceva che la connessione [il condizionale] e vera quando non accadeche cominci col vero e finisca col falso. Secondo lui ci sono percio tre modi

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per ottenere una connessione vera e uno solo per ottenerne una falsa. Evera, infatti, se comincia col vero e finisce col vero, come per esempio:“se e giorno, c’e luce”; se comincia col falso e finisce col falso, come, peresempio: “se la terra vola, la terra ha le ali”; analogamente per quella checomincia col falso e finisce col vero, come, per esempio, “se la terra vola,la terra esiste”. E falsa soltanto quando, cominciando col vero, finisce colfalso, come ad esempio: “se e giorno, allora e notte”.7

Alle posizioni di Filone si contrapposero quelle di Diodoro Crono e di Crisippo.Anche se la critica testuale non ha ancora raggiunto sufficiente chiarezza su questopunto, sembra che Diodoro legasse la verita del condizionale al tempo: probabilmenteriteneva vero un condizionale della forma ‘Se p, allora q’ se, per ogni istante temporalet, non si dava il caso che p fosse vero a t e q falso a t. Secondo Crisippo, invece,un condizionale e falso se sussiste un rapporto di incompatibilita tra antecedente econseguente. E ancora Sesto a illustrare la concezione di Crisippo:

E vera una connessione nella quale l’opposto del conseguente e incompa-tibile con l’antecedente, come ad esempio: “se e giorno, c’e luce”. Essa evera perche “non c’e luce”, opposto del conseguente, e incompatibile cone giorno”.8

Secondo l’impostazione filoniana, un condizionale della forma ‘Se p, allora q’ ri-sulta falso soltanto se l’antecedente (p, nel nostro esempio) e vero e il conseguente (q)falso. Perche un condizionale sia vero ci si limita a richiedere che questa situazionenon si verifichi. Diodoro e Crisippo, invece, chiedono che siano soddisfatte ulterioricondizioni: Diodoro in rapporto al tempo e Crisippo riguardo alla compatibilita traantecedente e conseguente. Quasi certamente, a sollevare l’ostilita nei confronti delcondizionale filoniano era il fatto che, per la sua verita, non si richiede altro rapportotra antecedente e conseguente, se non quello determinato dai valori di verita. Cosı,secondo Filone, un condizionale del tipo “Se e notte, allora 2 + 2 = 4” risulterebbevero anche se fosse giorno, dal momento che ha il conseguente vero.

Con ogni probabilita, Crisippo aveva cercato di dare condizioni di verita per ilcondizionale che rispecchiassero piu da vicino quelle dell’uso comune, che presupponequasi sempre un nesso di tipo semantico tra antecedente e conseguente. L’incom-patibilita tra antecedente e opposto del conseguente, della quale parla Crisippo, vaintesa nel senso che un condizionale e falso se e impossibile che l’antecedente sia vero

7Il testo e tratto da Bochenski 1972, vol. I, p. 159.8Ivi, p. 161.

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e il conseguente falso. Con la fine dell’antichita e l’affermarsi di uno stile ecletticoin filosofia, tendente a mescolare tra loro le varie posizioni filosofiche, diventa sem-pre meno chiaro il confine tra logica di impianto aristotelico e logica di ispirazionemegarico-stoica. Gia i manuali di logica del primo o del secondo secolo dopo Cristopresentano una dottrina ibrida: il piu delle volte innestano elementi stoici su una ba-se prevalentemente sillogistico-aristotelica. Nel passaggio dall’antichita al medioevo,si perde cosı il senso della distinzione tra i differenti tipi di condizionale.

Sara Boezio (470 - 525 d. C.), col De syllogismis hypotheticis, a tramandarenella cultura logica scolastica una quantita considerevole di concetti e spunti trattidall’ormai estinta tradizione megarico-stoica. Durante il medioevo, la logica conosceuna progressiva fioritura, che la portera a sviluppi straordinari, per certi versi affini aquelli che avra nel secolo XIX. Sembra pero che i logici medievali debbano riscoprireda soli gran parte della dottrina logica elaborata nell’antichita, della quale si eraperduta quasi ogni traccia. Nonostante si applichino allo studio dei connettivi logici(chiamati ‘sincategoremi [syncathegoremata]’), non giungono tuttavia a recuperarecon chiarezza e, soprattutto, consapevolezza, il significato della distinzione tra i varitipi di condizionale. Il condizionale di tipo crisippeo sembra prevalere negli usi enelle teorizzazioni dei principali autori scolastici. E difficile trovare istanze esplicitedi condizionale filoniano. Questa difficolta e aggravata dal fatto che, in esposizioniche non si avvalgono di un apparato simbolico rigoroso, il linguaggio ordinario sipresta ad ambiguita. Cosı, allorche un autore medievale scrive che un condizionalee vero quando “e impossibile che l’antecedente sia vero e il conseguente falso”, edifficile stabilire se la locuzione “e impossibile” debba intendersi come un semplice“se non si da (di fatto) il caso che...”, oppure se sia veramente l’espressione di unamodalita. Le stesse difficolta di determinare in maniera non equivoca la natura delcondizionale si incontrano presso la maggior parte dei logici che operano nel periodoche va, all’incirca, dalla fine del medioevo alla seconda meta del secolo XIX.

In molti autori il condizionale viene usato senza che ne venga specificato chiara-mente il significato e, in ogni caso, senza che si abbia la percezione delle differentiinterpretazioni messe a fuoco dagli stoici. Sotto questo riguardo, percio, e del tuttoeccezionale la consapevolezza storica di Charles Sanders Peirce (1839-1914), il qualeafferma:

Filone sosteneva che la proposizione “se lampeggia, allora tuonera” e verase non lampeggia o se tuonera, mentre e falsa se lampeggia e non tuona.Diodoro non era d’accordo: o gli storici dell’antichita non hanno compresoDiodoro o lui stesso si spiegava male. In realta, nessuno e stato in grado diformulare chiaramente la sua concezione, nonostante siano stati in molti aprovarci. La maggior parte dei logici migliori sono stati seguaci di Filone,

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mentre i piu scadenti hanno seguito Diodoro. Per quel che mi concerne,io sono un seguace di Filone, anche se penso che non sia mai stata resagiustizia a Diodoro. [. . . ][ E] completamente irrilevante quel che accadenel linguaggio ordinario. L’idea medesima di logica formale comportache siano costruite certe forme canoniche di espressione, i cui significativengono governati da regole inesorabili [. . . ] Tali forme canoniche devonoesser definite senza alcun riguardo all’uso [. . . ]9

Pur rendendosi conto che nell’antichita venivano attribuiti differenti significati alcondizionale, Peirce dichiara di non riuscire a comprendere il condizionale diodoreo,e si schiera a favore, nell’ambito della ‘logica formale’, del condizionale filoniano.Interessanti sono le motivazioni di questa scelta: lo studio scientifico della logica nondeve uniformarsi agli usi del linguaggio ordinario. Peirce ritiene che il condizionalefiloniano sia, per certi versi, quello che meglio si adatta alle esigenze dell’algebra dellalogica, come era stata pensata da Boole. Tuttavia, si deve proprio a un logico appar-tenente al filone algebrico la riscoperta e la valorizzazione, alla fine dell’Ottocento,di un condizionale non filoniano (analogo a quello di Crisippo). Nel 1880, Hugh Mc-Coll (1837-1909) presenta sulla rivista “Mind” un calcolo logico, nel quale definisceun condizionale facendo riferimento a nozioni modali; e nel Symbolic Logic del 1903introduce un condizionale che: 1) non puo esser definito mediante il semplice ricorsoai soli valori di verita; 2) equivale, da un punto di vista logico, a “e impossibile lacongiunzione dell’antecedente con la negazione del conseguente”.

E con Clarence Irving Lewis (1883-1964), comunque, che si ha l’effettiva ripre-sa della logica modale ai primi del Novecento. In un celebre articolo, comparso su“Mind” nel 1912, Lewis contesta la centralita del condizionale filoniano, o ‘materiale’(com’era - ed e ancora oggi - chiamato), e propone di elaborare un calcolo logico chesi fonda sull’implicazione stretta. Lewis chiama ‘implicazione stretta’ il condizionaleche e vero quando e impossibile che l’antecedente sia vero e il conseguente falso: sottoquesto riguardo, il condizionale filoniano, o materiale, non stabilisce un nesso strettotra antecedente e conseguente, dal momento che, per la sua verita si richiede sem-plicemente che di fatto non si dia il caso che l’antecedente sia vero e il conseguentefalso. Naturalmente, impossibile o non possibile sono espressioni modali; e dire diqualcosa che non e possibile (e impossibile) che non si verifichi, equivale a sostenereche si verifica necessariamente: il condizionale stretto equivale dunque ad asserire lanecessita del condizionale - cioe che il condizionale in questione e necessariamentevero.

Lewis non si limita a sostenere la superiorita del condizionale stretto rispetto a

9Peirce 1992, pp. 125 - 26.

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quello materiale, ma - in opere successive al saggio menzionato - costruisce ancheuna serie di calcoli modali, alcuni dei quali rimarranno in seguito ‘canonici’. Nelcapitolo VI del volume intitolato Symbolic Logic (1932), scritto in collaborazionecon Cooper H. Langford, Lewis assume come primitivo l’operatore di possibilita esviluppa due sistemi assiomatici che chiama, rispettivamente, ‘S1’ e ‘S2’; in appen-dice al volume accenna quindi ad altri sistemi: S3, S4, S5. I nomi di questi sistemirimarranno inalterati fino ad oggi nella letteratura sulla logica modale. I calcoli diLewis privilegiano una concezione non-filoniana del condizionale e vengono concepitidal loro autore in alternativa ai calcoli dei sistemi formali non modali come quellodei Principia Mathematica di Russell e Whitehead (1910-13, in 3 volumi).

Nel 1918, il logico polacco Jan Lukasiewicz (1878-1956), in un saggio che diverracelebre, in quanto getta le basi per la costruzione di logiche a infiniti valori, propo-ne di uscire dalle strettoie del determinismo (che ritiene affligga la logica di originearistotelica), introducendo, oltre ai due valori vero (= 1) e falso (= 0), anche un ter-zo valore di verita (= 1/2). Lukasiewicz caratterizza come ‘possibile’ tale valore diverita, ma poi, nel sistema logico corrispondente (che esprime appunto la possibilitamediante 1/2), considera valida l’inferenza da “possibile p e possibile q” a “possibile(p e q)”: un passaggio questo difficilmente accettabile secondo le piu comuni acce-zioni di possibile (da “e possibile che Socrate sia in piedi e e possibile che Socratesia seduto” non e legittimo inferire “e possibile che Socrate sia in piedi e che Socratesia seduto”, cioe che Socrate sia seduto e in piedi simultaneamente).

Nel 1930 un importante contributo allo sviluppo della logica modale in una pro-spettiva vicina a quella di Lewis viene dato dal lavoro di Oskar Becker (1889-1964):Zur Logik der Modalitaten [Sulla logica delle modalita] (in “Jahrbuch fur Philosophieund phanomenologische Forschung”, 11, pp. 496 - 58), seguito poi da altri saggi dellostesso autore nel 1951 e nel 1952.

In un breve saggio pubblicato nel 1933: Eine Interpretation des intuitionisti-schen Aussagenkalkuls [Una interpretazione del calcolo enunciativo intuizionistico],Kurt Godel (1906-1978) mostra come i sistemi di logica modale scoperti da Lewispossano essere generati estendendo con opportuni assiomi modali una base del calco-lo enunciativo standard (come quello presente nei Principia di Russell e Whitehead).

Nel 1951 Georg H. von Wright (1916-2003) pubblica An Essay on Modal Logic(ed. North Holland, Amsterdam) e un lavoro dedicato alla logica deontica (DeonticLogic, in “Mind”, 60, pp. 1-15), nei quali la logica modale e concepita come baseper indagare una pluralita di modi o atteggiamenti conoscitivi, quali il credere, ilconoscere, ma anche l’essere obbligato, l’assumere come norma, ecc.

I calcoli di Lewis, e poi gli altri che ad essi seguirono, ponevano pero il problemadi trovare una semantica che fosse in grado di render conto delle differenti concezioni

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modali che stavano alla loro base. In ciascun sistema modale, poste certe formule ini-ziali (assiomi) venivano dedotte mediante regole una serie di conseguenze o teoremicaratteristici di quel sistema: a fronte di tale sviluppo sintattico, quel che mancavaera un correlato semantico adeguato, un’interpretazione plausibile dei teoremi otte-nuti e delle differenze tra i vari sistemi.

1.3 Mondi possibili

La storia che porta all’elaborazione di una semantica per la logica modale risale al-l’incirca alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Una delle idee fondamentalisulle quali tale semantica si basa si spinge tuttavia piu indietro nel tempo, almenofino a Leibniz. Si tratta dell’idea di mondo possibile. Vediamo di richiamarne persommi capi l’evoluzione.

Che quello che chiamiamo ‘mondo attuale’, vale a dire il complesso insieme dioggetti e situazioni nel quale ci troviamo a vivere, avrebbe potuto essere diverso,e un’ovvia riflessione che gia i filosofi antichi avevano fatto. Tuttavia, e soltantocon l’affermarsi dell’idea di un Dio creatore che si fa strada la concezione di unapluralita di ‘mondi possibili’ tra i quali Dio sceglie quello da chiamare all’esistenza.I Padri della Chiesa, prima ancora dei pensatori medievali, paragonano Dio a unsaggio architetto che, per creare il mondo, esamina una serie di modelli ideali deipossibili candidati tra i quali far cadere la propria scelta. I mondi che non sarannocreati rimarranno possibili non attuati. I filosofi medievali affronteranno una serie disottili questioni riguardo ai mondi possibili: quale sia la loro natura ontologica - secioe esistano (in un qualche senso di esistere) nella mente divina; fino a che puntoammettano leggi di natura completamente diverse da quelle che regolano il nostromondo, ecc. Naturalmente, l’idea di ‘mondo possibile’ implicita in questa tradizionepresuppone che i mondi non attuati, dei quali si parla, siano variazioni del ‘macro-scopico ammasso di oggetti’ che ci circonda e del quale facciamo parte. Per tutto ilperiodo post-medievale e fino alla seconda meta del Seicento, il riferimento ai ‘mondipossibili’ continua a trovare la propria sede naturale nelle discussioni di teologia. Du-rante il secolo XVII, un rinnovato interesse per questo tema si registra nella culturateologico-filosofica spagnola; e con Leibniz, tuttavia, che viene affrontato in una lucenuova.

Leibniz ritiene che, se si vuol preservare la liberta divina in relazione alla scel-ta di creare il mondo attuale, e indispensabile riconoscere che Dio ha scelto sullabase non di un solo modello, ma di una molteplicita - addirittura un numero in-finito - di modelli di mondo. Ciascun modello di mondo, specificato nei minimi

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dettagli, e un ‘mondo possibile’. L’insieme dei mondi possibili da luogo a quello cheLeibniz chiama il paese dei possibili, vale a dire a uno spazio logico ‘situato’ nellamente di Dio. L’aspetto innovativo della concezione leibniziana consiste nel colle-gare esplicitamente la valutazione degli enunciati modali alla metafisica dei mondipossibili. Secondo una consolidata tradizione, risalirebbe a Leibniz la definizionedi enunciato necessariamente vero come quell’enunciato che e vero in tutti i mondipossibili. E stato osservato, tuttavia, che in nessuno scritto leibniziano si trovereb-be tale definizione, esattamente negli stessi termini. Questa osservazione e corretta,perlomeno se consideriamo i testi leibniziani finora editi. Bisogna riconoscere pero,da un lato, che l’accettazione di siffatta definizione segue facilmente dalle assunzioniteorico-dottrinali del pensiero di Leibniz; dall’altro, che almeno in uno scritto Leibnizasserisce che la classe delle verita eterne (necessarie) coincide con la classe degli enun-ciati che rimarrebbero veri anche se Dio avesse creato il mondo in maniera diversa.Il che sembra un modo alternativo di dire che le verita necessarie sono enunciati veridi ogni mondo possibile.10 Resta da sottolineare che Leibniz non riesce a fare un usocoerente delle proprie intuizioni riguardo alle modalita.

Per dare un’idea, necessariamente grossolana, ma sufficiente per i nostri scopi,delle concezioni leibniziane, converra riportare un passo tratto dalle pagine finalidella Teodicea, nelle quali Leibniz rielabora il tema centrale di un celebre dialogo diLorenzo Valla sul libero arbitrio:

Non ho che da parlare, e vedremo un mondo intero che mio padre avreb-be potuto produrre, nel quale si trovera rappresentato tutto quello chese ne puo domandare; e con questo mezzo si puo sapere anche quel checapitera, se dovesse esistere questa o quella possibilita. E quando le con-dizioni non saranno abbastanza determinate, di tali mondi differenti traloro, che risponderanno in maniera differente alla medesima domanda ein tante maniere quante sono possibili, ce ne saranno quante si vuole.Hai imparato la geometria quando eri ancora giovane [. . . ] Sai dunqueche quando le condizioni di un punto richiesto non sono sufficienti a de-terminarlo, e ce n’e un’infinita, essi cadono tutti in quello che i geometrichiamano un luogo, e che questo luogo almeno (che sovente e una linea)sara determinato. Cosı puoi figurarti una successione regolata di mondi,che conterranno tutti e soli i casi dei quali si tratta, e ne varieranno lecircostanze e le conseguenze. Ma se poni un caso che non differisce dalmondo attuale se non per una sola cosa definita e per la sue conseguenze,un certo mondo ben determinato vi risponder: tali mondi son tutti qui,

10Cfr. A VI, 4, p. 00

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vale a dire in idee.11

Le intuizioni di Leibniz vengono riprese nel 1947 da Rudolf Carnap (1891-1970) inMeaning and Necessity12. In questo stesso periodo, tali idee vengono arricchite dal-l’introduzione di una ‘relazione di accessibilita’ tra mondi che - gia prefigurata inalcuni lavori di Alfred Tarski (1902-1983) (composti in collaborazione, rispettiva-mente, con J. C. Mc Kinsey e B. Jonsson) - viene sviluppata da Arthur N. Prior(1914-1969) in rapporto alle logiche temporali e articolata infine, con diversi gradi dichiarezza, da Stig Kanger, Jaakko Hintikka e Saul Kripke. Di solito, si attribuisceproprio al filosofo e logico americano Saul Kripke il merito di aver dato compimentoalla ‘semantica a mondi possibili’ (o, appunto, ‘semantica kripkeana’) con l’elabora-zione esplicita della nozione di ‘relazione di accessibilita’ tra mondi.

1.4 Calcolo degli enunciati e calcolo dei predicati. Sintassie semantica.

Di solito si distinguono due momenti nella costruzione di un sistema formale: unmomento sintattico e un momento semantico. Il momento sintattico si incentra es-senzialmente nella specificazione di un apparato simbolico e di regole per manipolarei simboli, senza porre il problema della loro interpretazione. L’approccio assiomaticoallo studio di un certo tipo di sistema logico presuppone, in primo luogo, che vengaindividuato un alfabeto sul quale si costruisce un linguaggio, fornendo opportuneregole di formazione delle espressioni. Tali regole dicono quali successioni di simbolidebbano essere accettate come espressioni ben formate e quali no. Vengono quindispecificati:

• a) un insieme di formule del linguaggio che sono dette assiomi (talvolta datenella forma di schemi di assiomi);13

11Leibniz, Saggi di teodicea, cap. 41412In realta, Carnap parla di “descrizioni di stato” (state-descriptions) e afferma che “the state-

descriptions represent Leibniz’ possible worlds or Wittgenstein’s possible state of affairs” (Carnap1947, p. 9. Per la definizione di state-description, cfr. ibidem). La connessione tra mondi possibilie descrizioni di stato e resa esplicita nei termini seguenti (p. 10 della stessa edizione): “Since ourstate-descriptions represent the possible worlds, this means that a sentence is logically true if itholds in all state-descriptions”

13Uno schema di assiomi e un’espressione che rappresenta un numero infinito di assiomi (e unasorta di prescrizione che ingiunge di riconoscere come assiomi tutte le formule aventi una certaforma, in quanto esempi particolari di una formula data, lo ‘schema’, appunto); per esempio, la

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• b) un insieme di regole che consentono di operare trasformazioni sugli assiomie sulle espressioni ben formate ottenute dagli assiomi.

Gli assiomi stessi e le espressioni ben formate, che si ottengono dagli assiomi perapplicazione delle regole, sono detti teoremi. Nella considerazione sintattica, la no-zione di ‘esser teorema’ nel senso di ‘derivare dagli assiomi in base alle regole diinferenza’ svolge un ruolo predominante. Il momento semantico, invece, coinvolgeil significato dei simboli descrittivi (e quindi delle espressioni) del sistema formale ela nozione di verita: dato il linguaggio del sistema, si conferisce un significato alleespressioni ammesse, per cui diventa sensato stabilire se quel che viene affermato dasiffatte espressioni e vero o no. Oltre alla distinzione appena richiamata tra sintassie semantica, un’altra distinzione che si usa fare e quella tra calcolo enunciativo ecalcolo dei predicati.

Nel calcolo enunciativo viene affrontato lo studio dei rapporti di connessione logi-ca tra enunciati qualsiasi: vengono specificate regole per la costruzione di enunciaticomplessi a partire da enunciati semplici, e le lettere enunciative che denotano glienunciati semplici, o ‘atomici’, designano tali enunciati senza che sia possibile rico-struire le differenze anche strutturali che, per esempio, sussistono tra enunciati come“piove”, “Tutti gli uomini sono mortali”, “Socrate e un filosofo”, ecc. Il calcolo deipredicati, invece, si interessa, per cosı dire, della ‘grana fine’ degli enunciati. Mentre,infatti, nel calcolo enunciativo un’asserzione del tipo: “Se tutti gli uomini sono mor-tali e tutti i Greci sono uomini, allora tutti i Greci sono mortali” viene semplicementericondotta la forma: ‘((p∧q)→r)’, nel calcolo predicativo si cerca di rendere il carat-tere specifico delle singole asserzioni componenti e di dar conto della loro diversita,mettendo a punto un trattamento rigoroso della quantificazione. Di conseguenza, siail linguaggio sia l’armamentario logico del calcolo predicativo risulteranno piu ric-chi e complessi di quelli del calcolo degli enunciati. Momento sintattico e momentosemantico fanno parte tanto del calcolo enunciativo, quanto del calcolo predicativo.Nel caso del calcolo enunciativo, il momento semantico consiste nello specificare ilsignificato dei simboli che denotano i vari enunciati e, a questo riguardo, si assumeche l’unica informazione rilevante concerna il loro esser veri o falsi. Naturalmente“2+2 = 4” e “Tutti gli uomini sono mammiferi” sono due enunciati con differente‘contenuto semantico’; abbiamo visto, pero, che il calcolo enunciativo non si spingein profondita nell’analisi, e quindi nella differenziazione, degli enunciati. Quel checonta e il loro valore di verita. Cosı si assume, in certo senso, che allo stesso modoin cui Socrate e il significato del nome ‘Socrate’, il vero sia il significato di “2+2 =4” e di “Tutti gli uomini sono mortali”. Si ha a che fare, in tale circostanza, con

formula p → (q → p) uno schema di cui p e q sono istanze particolari.

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una semantica ‘povera’, ridotta ai minimi termini. Nel caso del calcolo predicativo, ilmomento semantico prevede una procedura piu complessa. Poiche, come si e detto,in esso si cerca di specificare com’e fatto ogni singolo enunciato, si ha un apparatosimbolico piu ricco di quello del calcolo enunciativo: si hanno simboli per designareindividui, simboli per predicati, per funtori e per esprimere la generalita (‘Per ogni’;‘Esiste’). L’attribuzione di un significato ai simboli descrittivi del linguaggio com-porta che ciascun simbolo descrittivo venga interpretato su un insieme non vuoto di‘oggetti’, che costituiscono le ‘cose’ intorno alle quali verte il discorso.

Sebbene il calcolo enunciativo abbia minor potere espressivo, rispetto al calcolodei predicati, questo ‘difetto’ e compensato dal fatto che ad esso e applicabile unmetodo effettivo per determinare se una qualsiasi formula e una formula valida o no(un teorema o no). Tale metodo consiste nel ricorso all’uso alle cosiddette tavole diverita.

1.5 Possibile, necessario e i connettivi vero funzionali. Larelazione di ‘accessibilita’.

Le tavole di verita forniscono un metodo per definire il significato dei connettivilogici (di espressioni cioe come ‘non’, ‘e’, ‘o’, ‘se. . . , allora. . . ’, ecc.). Le tavole diverita, infatti, descrivendo il comportamento dei connettivi, ci informano riguardo acome debbano essere intesi. Poiche, in questo modo, il significato dei connettivi edeterminato dall’uso logico che di essi viene fatto, si e soliti parlare di “significatocome uso”. Si consideri, per esempio, il connettivo ‘non’; se usiamo il simbolo ‘¬’per rappresentarlo, e indichiamo con p un enunciato qualsiasi, possiamo descriverneil comportamento mediante la seguente tavola:

p ¬p1 00 1

La tavola mostra che, se un dato enunciato p e vero, qualora gli venga prepostala particella ‘non’ diventa falso e che, viceversa, ‘non-p’ diventa vero se p e falso. Laverita o falsita dell’enunciato composto p dipende dalla verita o falsita dell’enunciatocomponente p. Il ‘non’ e un connettivo unario, in quanto si applica a un solo enun-ciato alla volta, ma lo stesso metodo puo essere applicato agli altri connettivi binari,corrispondenti a ‘e’, ‘o’, “se. . . , allora . . . ”, ecc. La tavola di verita della ‘e’ (resa colsimbolo ‘∧’), per esempio, e la seguente:

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p q p∧q1 1 11 0 00 1 00 0 0

Anche in questo caso, la verita dell’enunciato complesso dipende dalla verita ofalsita degli enunciati componenti. Lo stesso meccanismo si puo applicare ai restanticonnettivi. Vediamo ancora le tavole di verita, rispettivamente, della disgiunzio-ne, corrispondente alla ‘o’ non esclusiva dell’italiano (che rappresenteremo col segno‘∨’) e del condizionale ‘filoniano’ o ‘materiale’, corrispondente alla locuzione italiana‘Se. . . , allora. . . ’ (che rappresenteremo col segno ‘→’):

p q p∨q1 1 11 0 10 1 10 0 0

p q p →q1 1 11 0 00 1 10 0 1

Quando si valuta un condizionale, non vogliamo che nel passaggio dall’anteceden-te al conseguente si abbia una ‘diminuzione’ nel valore di verita; percio accettiamoi casi in cui si passa dal vero al vero o dal falso al vero o dal falso al falso, mentrerifiutiamo quello che ci fa inferire il falso dal vero.

I connettivi il cui comportamento puo essere determinato in questo modo, va-le a dire semplicemente tenendo conto delle condizioni di verita degli enunciati aiquali si applicano, vengono detti vero-funzionali. Non vero-funzionali sono invecegli operatori modali come necessario, possibile, impossibile, ecc.: per determinarne ilcomportamento, cioe, non e sufficiente considerare le condizioni di verita degli enun-ciati ai quali si applicano. Poniamo, infatti, che p designi un enunciato qualsiasi, eche ♦ e � significhino, rispettivamente, possibile e necessario; affrontiamo quindi ilproblema di come costruire una tavola di verita per ‘possibile p’ e ‘necessario p’.

• ‘Possibile p’:

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p ♦p1 10 ?

• ‘Necessario p’:p Nec(p)1 ?0 0

Se p e vero, allora e certamente possibile (e possibile che sia vero: si rammentiil detto degli scolastici “ab esse ad posse valet consequentia (e valido il passaggiodall’essere (vero) al possibile”). Se invece p e falso, cosa inferire riguardo al suo esserepossibilmente vero? Dal fatto che e falso che vi sia oggi un unico vaccino efficacecontro ogni forma di tumore non segue (allo stato delle nostre conoscenze attuali)che tale vaccino sia impossibile. Se quindi p e falso, da cio non possiamo concludereche anche ♦p lo sia. Possiamo concludere allora che ♦p e vero? Anche in questocaso l’informazione circa la falsita di p non ci e di aiuto: se un enunciato p risultafalso del nostro mondo, non e detto che, sotto certe condizioni, non sia possibile chesia vero; ma non e neppur detto che non sia impossibile (nell’esempio precedente,l’esistenza di un vaccino per ogni tipo di tumore potrebbe essere impossibile). Undiscorso analogo ma, per cosı dire, inverso rispetto a quanto accade col possibile,vale col necessario. Se p e falso, certamente non puo essere un enunciato necessario,dal momento che un enunciato necessariamente vero e vero in ogni circostanza; mase p e vero, non e detto lo sia necessariamente (dal fatto che adesso il mio gattomuove la coda non e legittimo inferire che l’enunciato “il mio gatto muove la coda”sia necessariamente vero). Certamente, se sappiamo che un determinato enunciato enecessario, allora sappiamo anche che e vero, ma il viceversa non vale.

Le tavole di verita dunque non bastano, da sole, a valutare gli enunciati modali:occorre ricorrere a un metodo piu complesso. Con buona approssimazione, possiamopensare siffatto metodo come ottenuto sfruttando tre elementi:

1. l’analogia tra operatori modali (necessario e possibile) e quantificatori (‘perogni x’ e ‘esiste almeno un x’)

2. il riferimento a un insieme di ‘oggetti’ detti mondi possibili ;

3. la relazione di accessibilita tra mondi.

Abbiamo visto sopra che gia i logici scolastici si erano accorti dell’esistenza diun’affinita tra operatori modali e quelli che all’epoca erano chiamati “segni di quan-tita” (in italiano: ‘Tutti/Ogni’, ‘Alcuni/Qualche’). Lo Pseudo-Tommaso, come si

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ricordera, aveva assimilato il possibile al ‘vero in qualche istante’ e il necessario al‘vero in ogni istante’. Leibniz, in seguito, si avvicinera alla considerazione del ne-cessario come cio che e ‘vero in ogni mondo possibile’. In certo senso, possiamopensare al ricorso ai mondi possibili come a una strategia che consente di ricondurreil trattamento di concetti sfuggenti come quelli di necessario e possibile, all’ambitopiu familiare della logica quantificata. Cosı, ‘e possibile p’ e ‘e necessario p’ vengonointerpretati, rispettivamente, come: “esiste un mondo w tale che in esso p e vero” e“per ogni mondo w, in esso p e vero”.A grandi linee, quando viene fissata una semantica per il calcolo predicativo alprim’ordine, e quindi per gli enunciati quantificati di tale calcolo, si e soliti pro-cedere come segue.

Dato un linguaggio L, questo viene interpretato su un insieme non vuoto M(l’universo di oggetti dei quali si intende parlare), in modo che:

• a ciascuna costante individuale di L corrisponda un individuo di M

• a ciascuna costante funtoriale corrisponda un’operazione su individui di M convalori in M

• a ciascuna costante predicativa a n posti corrisponda una relazione n-ria traindividui di M

• alle variabili individuali di L venga attribuito come campo di variazione l’interodominio degli individui di M

Non appena a ciascuna variabile individuale viene assegnato un significato, e possibiledeterminare se una formula atomica come, per esempio, P (x) [“x ha la proprieta P”]e soddisfatta o meno da quella data interpretazione. Se, infatti, l’individuo di Mche l’interpretazione assegna a x come suo significato gode della relazione unaria(a un solo posto) P , allora la formula in questione sara soddisfatta per quella dataassegnazione, non soddisfatta altrimenti. Cosı, un enunciato esistenziale del tipo∃xP (x) [“esiste un x tale che ha P”] risultera vero se nel dominio costituito dagliindividui di M ce n’e almeno uno che soddisfa P (x); mentre un enunciato universalecome ∀xP (x) [“per ogni x, x ha P”] risultera vero se, per ogni individuo di M chevenga assegnato come valore della x, la formula P (x) risultera soddisfatta. Comeabbiamo visto, nel caso degli enunciati modali, asserti del tipo:

• “e possibilmente vero p”

• “e necessariamente vero p”

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sono parafrasabili, rispettivamente, come:

• “esiste un mondo w tale che p e vero a w”

• “per ogni mondo w, p e vero a w”

La parafrasi in questione assume, dunque, come riferimento un universo (o insieme)di mondi W, sui quali varia la variabile w, e puo esser resa, in simboli, nella manieraseguente:

1. ∃w(p e vero a w)

2. ∀w(p e vero a w)

Se esprimiamo il fatto che p e vero a w mediante il predicato a un posto P(che corrisponde a p), e come se assumessimo, in certo senso, che gli enunciati sonoproprieta dei mondi; cosı (1) e (2) diventano:

1. ∃w(Pw)

2. ∀w(Pw)

Per costruire una semantica per la logica modale enunciativa, sara necessario per-cio disporre, in primo luogo, di un insieme non vuoto W = w1, w2, w3 . . . di oggettichiamati mondi possibili ; di un insieme, anch’esso non vuoto, P = P1, P2,P3, . . . dilettere enunciative; e di una funzione v che faccia corrispondere un valore di verita(vero = 1; falso = 0) a ciascuna coppia costituita da un elemento wj di W e da unelemento Pi di P .

La relazione di accessibilita ci permette, infine, di determinare le condizioni sottole quali da un dato mondo si possono avere informazioni riguardo a quel che si veri-fica in un altro. Il fatto rilevante e che, mediante la relazione di accessibilita, si e ingrado di specificare opportuni assetti tra mondi che forniscono differenti modelli peri vari sistemi modali.

Per avere un’idea di cosa si intenda con tale relazione, si pensi, per esempio, checiascuno di noi puo immaginare un individuo del tutto identico a se stesso che vivein una situazione (in un mondo) differente da quella nella quale egli attualmente sitrova. E plausibile ritenere che questo alter ego non abbia alcuna consapevolezzadella situazione nella quale si trova colui che fa l’atto di immaginare. Si tratta diun caso in cui la relazione di accessibilita da un mondo all’altro e asimmetrica: noiconcepiamo il mondo col nostro alter ego, ma il nostro alter ego non ha idea delmondo nel quale noi ci troviamo. Oppure si pensi a una innovazione tecnologica che

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non puo realizzarsi nel nostro mondo, in quanto mancano in esso certe risorse mate-riali (poniamo una struttura della materia completamente diversa dalla nostra). Dalnostro mondo w1, nel quale quell’innovazione non e realizzabile, possiamo pensarea un mondo w2 con struttura della materia differente dal nostro: da quel mondosarebbe senzaltro concepibile un mondo w3, nel quale l’innovazione viene realizzata.Cosı, dal nostro mondo w1 abbiamo accesso al mondo w3, nel quale viene realizzatal’innovazione, ‘passando’ attraverso il mondo w2: abbiamo a che fare, in tal caso,con una relazione di accessibilita transitiva.

Al fine di dare un correlato intuitivo alla relazione di accessibilita, si e soliti chia-mare in causa l’atto di vedere: un mondo ha accesso a un altro se dal primo si ‘vede’quel che si verifica nel secondo. Quindi se, per esempio, da un mondo wi si ‘vede’quel che accade in un mondo wk e se da wk si vede wi, tra i due mondi sussiste unarelazione di accessibilita simmetrica. Sia la nozione di ‘esser concepibile’ sia quelladi ‘vedere’ sono tuttavia nozioni ausiliarie, da impiegare per dare un’idea di comefunziona la relazione binaria (che vale cioe tra due mondi) di accessibilita. Il puntoimportante e che tale relazione gode di proprieta quali, per esempio, quelle appenamenzionate della simmetria e della transitivita, che possono essere specificate in mo-do matematicamente rigoroso.

1.6 La semantica formale: un rapido cenno.

Riassumendo, gli strumenti di cui disponiamo, da un punto di vista strettamentelogico, per analizzare gli enunciati modali sono i seguenti:

• un opportuno linguaggio formale L, nel quale siano stati definiti in modo rigo-roso: un alfabeto di riferimento; cos’e una formula ben formata; quali sono iconnettivi logici impiegati; quali sono le regole ammesse per passare da una opiu formule a un’altra, ecc.

• un insieme non vuoto W i cui membri vengono chiamati mondi possibili

• una relazione binaria R su W

• una funzione ν, chiamata valutazione su < W , R >, che associa a ciascunacoppia costituita da un enunciato pi di L e da un elemento wi di W , un elementonell’insieme {0, 1} (0 e 1 e naturale pensarli come equivalenti, rispettivamente,al falso e al vero). Detto altrimenti: la funzione ν determina se un datoenunciato pi di L e vero o falso al mondo wi.

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1.6.1 Modelli e frames. Alcuni esempi notevoli.

La tripla ordinata < W , R, ν> costituisce il modello M; la coppia <W , R > vienechiamata frame, termine traducibile in italiano con ‘telaio’; di M si dice che “e ba-sato” sul frame <W , R>.

Gli strumenti sommariamente richiamati permettono di definire, per qualsiasienunciato pi di L, la relazione di vero rispetto al mondo wi nel modello M. Questarelazione viene utilizzata, a sua volta, per determinare in modo naturale cosa significache un enunciato pi e necessariamente vero: pi risulta necessariamente vero rispettoa un mondo wi in un modello M, basato sul frame <W ,R>, se e soltanto se pi e veroin ogni mondo wk che appartiene a M e tale che sta con wi nella relazione R. Senzaentrare in ulteriori dettagli tecnici, che affronteremo in seguito, converra metterein rilievo alcuni aspetti filosoficamente rilevanti della trattazione fin qui svolta. Inprimo luogo, emerge l’idea di una sorta di relativizzazione del concetto di necessario(di possibile: gia Aristotele, come abbiamo visto, si era reso conto che necessario epossibile sono inter-definibili). Sebbene l’intuizione fondamentale rimanga quella diconsiderare necessariamente vero un enunciato che e vero in tutti i mondi possibili, ilconcetto di “vero in tutti i mondi possibili” viene limitato dalla relazione di accessi-bilita: un dato enunciato p e necessario se e vero in tutti i mondi possibili accessibilia un dato mondo (il mondo dal quale p risulta appunto necessariamente vero).

Per dare un’idea di come funzioni il meccanismo della necessita condizionata dal-la relazione di accessibilita, vediamo alcuni esempi. A tale scopo adotteremo unmodo di argomentazione ‘semi-formale’, ricorrendo ai simboli introdotti sopra: ‘�’per necessario e ‘♦’ per possibile. In primo luogo, bisogna tener presente che, se sivuol preservare un senso alla logica modale, tra i teoremi dei vari sistemi modali nondeve figurare il seguente enunciato:

(*) p→�p, ossia: “se p e vero, allora p e necessariamente vero”.

L’accettazione di questo principio porterebbe infatti a equiparare vero e neces-sariamente vero, dando luogo a quello che viene chiamato “collasso delle modalita”.Bisogna stare attenti, percio, a non confondere (*) con il seguente enunciato, cheinvece e un teorema caratteristico del sistema modale solitamente contraddistintocon la lettera T:

(1) �p→p: “se p e necessario, allora p e vero”.

(1) e un teorema e quindi risulta valido, vale a dire sempre vero, in ogni modelloM basato su un frame <W , R>, in cui R e una relazione riflessiva, tale cioe che per

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qualsiasi mondo wi appartenente aM vale: wi R wi. Una maniera per rendersi contodi cio e la seguente. (1) ha la forma di un condizionale; ora, condizione sufficienteperche un condizionale sia vero e che valga uno dei due casi:

• a) l’antecedente e falso

• b) il conseguente e vero

Supponiamo che �p sia falso a un qualunque mondo wi nel modelloM: dal momentoche cio verifica il caso (a), e ovvio che (1) risultera vero a wi. Supponiamo invece che�p sia vero al mondo wi nel modello M: per definizione di enunciato necessario, ciosignifica che p e vero in tutti i mondi accessibili a wi; ma poiche R e una relazioneriflessiva (wi e accessibile a se stesso), cio implica che p e vero a wi, dunque (1)e vero a wi. In ogni caso segue che (1) e sempre vero in qualunque mondo wi delmodello.

Possiamo aumentare le proprieta della relazione di accessibilita e considerare, ol-tre alla proprieta riflessiva, anche la proprieta transitiva: dati tre mondi wi, wk, wj,se wiRwk e wkRwj, allora wiRwj. In questa situazione, un enunciato che risultavalido e

(2) �p→��p: “se un enunciato p e necessario, allora e necessario che sia neces-sario”.

Supponiamo di avere, al solito, un modello M basato su un frame < W , R >, incui R e riflessiva e transitiva. Facciamo lipotesi che (2) sia falso: in tal caso (per latavola di verita del condizionale), l’antecedente �p deve esser vero e il conseguente��p falso. Poniamo che �p sia vero a un mondo qualsiasi wi e che ��p sia falsoa wi: da questa supposizione segue che in W deve esistere un mondo wk, che sirelaziona a wi secondo R, in cui �p e falso. Se pero �p e falso a wk, cio significache deve esistere un mondo wj accessibile a wk nel quale p e falso (per la definizionedi enunciato necessario: dal momento che un enunciato necessario e vero in tutti imondi accessibili a un dato mondo, se e falso a un dato mondo che un enunciato enecessario, tale enunciato deve essere falso a un mondo accessibile a quel mondo).Dunque �p e vero a wi, mentre p e falso a wj: la relazione di accessibilita tra wi,wk e wj e pero transitiva e cio significa che wj e accessibile da wi, il che a sua voltasignifica che si ottiene una contraddizione (perche sia vero a wi che p e necessario,bisogna che p sia vero in tutti i mondi accessibili da wi; ma wj e uno di tali mondie in esso p e falso: cio contraddice l’assunzione che �p sia vero a wi). Siccome latransitivita e un requisito necessario perche sia vero (2), e evidente che in modelli

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basati su frames, nei quali la transitivita non vale, viene meno anche (2). Il sistemalogico modale di cui (2) e l’assioma caratteristico e solitamente chiamato ‘S4’.

Oltre alle proprieta riflessiva e transitiva, dotiamo adesso la relazione di accessi-bilita anche della simmetria: otteniamo un modello M fondato su un frame <W ,R>, in cui R si comporta cosı:

• a) per qualunque wi appartenente a W , vale wiRwi;

• b) per wi e wk qualsiasi, appartenenti a W , se wiRwk allora wkRwi;

• c) per wi,wk e wj qualsiasi, appartenenti a W , se wiRwk e wkRwj, allorawiRwj.

Nel modello basato su questo frame, risulta valido il principio:

(3) ♦p → �♦p.

Non e difficile argomentare a favore della validita di (3) lungo le linee dei ragio-namenti che si sono svolti finora per i principi (1) e (2). Affinche ♦p risulti vero a undato mondo wi, bisogna che p sia vero a un mondo wk accessibile a wi; e siccome wk

vede se stesso (proprieta riflessiva di R), anche a wk e vero ♦p; inoltre, wi medesimovede che ♦p e vero a wi (sempre per la riflessivita). D’altra parte, un qualunquealtro mondo wj correlato a wk vede che p e vero a wk (per la simmetria): dunque♦p e vero anche a wj. Per la proprieta transitiva di cui gode R, pero, wi vede quelche accade a wj e qui ♦p e vero. Dunque, poiche in tutti i mondi accessibili da wi

♦p e vero, vale (per definizione di enunciato necessario) che a wi �♦p.14 Di solito(3) viene indicato come caratteristico del sistema logico modale ‘S5’.

Quelli menzionati finora sono soltanto alcuni tra i sistemi modali piu noti e stu-diati nellambito della logica modale enunciativa. Naturalmente e possibile sviluppareanche la dimensione predicativa della logica modale, introducendo nel linguaggio diriferimento variabili individuali (x, y, z . . .) e quantificatori (i simboli ∃ (esiste) e ∀(per ogni)). La moderna teoria della quantificazione richiede tuttavia che venga fissa-to un dominio di oggetti su cui variano, appunto, le variabili: per dare un significatoa espressioni del tipo “esiste un x tale che gode della proprieta P” oppure “tuttigli y hanno la proprieta Q”, e opportuno sapere qual e l’insieme di oggetti x o dioggetti y di cui si sta parlando. Nel caso di una semantica a mondi possibili sembra

14Si noti che a wj p potrebbe essere falso: in tal caso, per la riflessivita, cio porterebbe adaffermare che a wj e vero sia ♦p sia ♦¬p. Questa situazione sarebbe tuttavia del tutto compatibilecon la conclusione per cui vale �♦p: come si e osservato sopra, infatti, non bisogna confondere ♦¬pcon ¬♦p. A essere in conflitto con �♦p e ¬♦p, non ♦¬p.

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naturale che il passaggio alla teoria della quantificazione (alla logica predicativa) av-venga associando a ciascun mondo un certo dominio di oggetti. Tale associazione,tuttavia, solleva alcuni problemi filosofici. Si puo pensare, per esempio, che i nostriragionamenti sul possibile coinvolgano comunque gli individui appartenenti al nostromondo (che in altri mondi avranno proprieta differenti da quelle di cui godono nelnostro) senza pero tirare in ballo individui possibili, in aggiunta, per cosı dire, aquelli del nostro mondo. Oppure si puo assumere che esistano individui possibili, checostituiscono di volta in volta il dominio di oggetti che caratterizza un determinatomondo. Non tutti pero sono disposti ad accettare un siffatto dominio di individuipossibili. Un problema che, infatti, si pone immediatamente, se si accetta un’ontolo-gia di individui possibili, e come identificarli, e quindi distinguerli gli uni dagli altri.

La logica modale quantificata da luogo a numerosi problemi filosofici, che coin-volgono questioni di ontologia (cos’e propriamente un individuo e come lo si iden-tifica; cosa significa che un medesimo individuo e in due mondi diversi; come “efatto” un mondo possibile, ecc.) e di “metafisica” nel senso della tradizione analiticaanglo-sassone. Si tratta perlopiu di problemi che, all’interno di un apparato tecnicocompletamente nuovo rispetto a quello della tradizione (che si basava essenzialmentesulla logica aristotelico-scolastica), si ricollegano ad argomenti classici della filosofiaoccidentale.

BIBLIOGRAFIA.

a) Testi citati:

• J. M. Bochenski, 1972 = I. M. Bochenski, La logica formale, vol. I, Daipresocratici a Leibniz, Einaudi

• R. Carnap, 1947 = R. Carnap, Meaning and Necessity. A Study in Semanticsand Modal Logic, University of Chicago Press, Chicago and London

• Ockham, Logica = Guillelmi de Ockham, Opera philosophica et theologica.Opera philosophica I, Summa logicae, New York, St. Bonaventure, 1974

• Peirce, 1992 = C. S. Peirce, Reasoning and the Logic of Things, HarvardUniversity Press, Harvard

• Tommaso, Reportationes = Thomae Aquinatis, Reportationes, in Sancti Tho-mae Aquinatis Opera Omnia, (Indicis Thomistici Supplementum), frommann-holzboog, Stuttgart, 1980

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b) Testi consigliati:

• M. J. Cresswell, Modal Logic, in L. Globe (editor), The Blackwell Guide toPhilosophical Logic, Oxford, Blackwell, 2001, pp. 135-158. [Si tratta di un testointroduttivo breve e molto chiaro, corredato da una ricca scheda bibliografica]

• R. Girle, Modal Logics and Philosophy, Teddington, Acumen Publish., 2000. [Eun’opera piuttosto breve, a carattere introduttivo, fatta con criteri didattici effi-caci: introduce ai vari tipi di logica modale: deontica, temporale, multimodale,ecc.]

• G. E. Hughes and M. J. Cresswell, Introduzione alla logica modale (a cura diC. Pizzi), Milano, il Saggiatore, 1973 [Si tratta di un lavoro classico ormai, delquale Pizzi ha curato la prima traduzione in italiano. E un po’ vecchio per ilmodo in cui presenta i sistemi modali, ma ricchissimo di informazioni: da usaresoprattutto come opera di consultazione (fornisce, per esempio, una essenzialepresentazione dei vari sistemi di C. I. Lewis)

• G. E. Hughes and M. J. Cresswell, A New Introduction to Modal Logic, London-New York, Routledge, 1996. [E una riedizione dell’originale in inglese del lavoroprecedente. In sostanza e piu che altro un rifacimento. Per certi aspetti piuaggiornato e meno datato del precedente, soprattutto nella presentazione deisistemi formali, piu carente sul piano dell’informazione storica].

c) Bibliografia generale.

• R. C. Barcan-Marcus, A Functional Calculus of First Order Based on StrictImplication, in “Journal of Symbolic Logic”, 11, 1946, pp. 1-16

• R. A. Bull K. Segerberg, Basic Modal Logic, in D. M. Gabbay-F. Guenthner,Handbook of Philosophical Logic, Dordrecht, Reidel, 1984, pp. 1-88

• B. F. Chellas, Modal Logic: An Introduction, Cambridge, Cambridge UniversityPress, 1980

• R. Carnap, Modalities and Quantification, in “Journal of Symbolic Logic”, 11,1946, pp. 33-64

• K. Fine, Model Theory for Modal Logic, in “Journal of Philosophical Logic”, 7,1978, I, pp. 125-156; II, pp. 277-306

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• M. Fitting R. L. Mendelsohn, First Order Modal Logic, Dordrecht, KluwerAcademic Publishers, 1998

• J. Hintikka, Modality and Quantification, in “Theoria”, 27, 1961, pp. 110-128

• B. Jonsson-A. Tarski, Boolean Algebras with Operations, in “American Journalof Mathematics”, 73, 1951, pp. 891-939

• S. Kripke, A Completeness Theorem in Modal Logic, in “Journal of SymbolicLogic”, 24, 1959, pp. 1-14

• ——, Semantical Analysis of Modal Logic I: Normal Propositional Calculi, in“Zeitschrift fur Mathematische Logik und Grundlagen der Mathematik”, 9,1963, pp. 67-96

• ——, Semantical Considerations on Modal Logics, in “Acta Philosophica Fen-nica”, 16, 1963, pp. 83-94

• A. N. Prior, Time and Modality, Oxford, Oxford University Press, 1957.

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