Martedì 15 febbraio 1955 LA MALDCONIA DI D'ANINL...

1
CORRIERE"DELLA SERA / Martedì 15 febbraio 1955 LA MALDCONIA DI D'ANINL NZIO /5 - Ritrovo dopo molti anni, tra le mie carte, un pacchetto di lettere del capitano Gabriele d'Annunzio al tenente T. Galla- rati Scotti, spesso senza data — però tutte del 1917, prima di Caporetto. Si riferiscono in gran parte a lunghe conversazioni che le intercalavano. Troppe lettere di D'Annunzio sono state pub- blicate in questi ultimi anni per- chè esibisca le mie. Ma nell'in- cartamento scopro anche un fo- glietto sibillino, con due righe autografe che mi hanno tormen- tato nei ricordi per rimetterle a posto, nel tempo: *Sarei felice se voleste salire. Sono pieno di malinconia. Gabrie ». •Evidente- mente il brevissimo invito ap- partiene a tutt'altro periodo. E a confermarlo trovo una lettera, non diretta a me, e rimastami come autografo — datata: L'E- pifania 1903 --- « Mia cara don- na Camilla, il desiderio di pas- sare con voi qualche ora — do- po tanta lontananza — mi fece accettare con precipitazione il vostro gentilissimo invito di ieri. Ma ora vedo che la mia serata non è libera, ahimè!, e non sarà molto leggera... Perdonatemi e compiangetemi. Di voi e di Don- na Laura devoto sempre Ga- briele d'Annunzio ›. La lettera. non d'amore, è un piccolo capo- lavoro di menzogna galante, del poeta che voleva liberarsi da un pranzo, a cui le due sorelle Gro- palio — care, vecchie amiche. appartenenti al miglior mondo tra aristocratico e intellettuale, fine ottocento -- avevano invita- to un piccolo gruppo di « ammi- ratori del Poeta. Il pranzo ebbe però luogo an- che senza di lui, e proprio allo stesso Miei Cavour dove il D'Annunzio abitava in quei gior- ni, invisibile... L'albergo, ora scomparso, sorgeva tra piazza Cavour e via Palestro; di gusto umbertino: gran tappeti e pe- santi tendaggi, e specchiere in cornici dorate e decorazioni a colori pompeiani; ma quanto vi era di raffinato nella società eu- ropea di quel tempo, passando per Milano, faceva capo lì. E coi caratteri di epigoni di un mondo che stava morendo, anche le due sorelle Gropallo, che avevano la loro dimora con- sueta nell'avita villa di Nervi: Donna Laura l'«intellettuale», la a scrittrice », che di successi sul palcoscenico o nel romanzo non era riuscita a ottenerne uno so- lo: e Donna Camilla, di più mo- deste ambizioni, piena di inge- nua fede nelle fortune della so- rella maggiore, e che si conso- lava delle disillusioni letterarie in un ambiente caldo di amicizie di elegante mondanità. Al loro pranzo rivedo, nel ri- cordo, la contessa Marichia A- rese, splendida ancora nella sua declinante bellezza — ricca di grazie, di spirito, di fine morda- cità e di cultura — che Platone Io gustava, in greco, e che della sua giovinezza partenopea por- tava nelle nebbie lombarde un luminoso senso ellenico della vi- ta. E Guido Cagnola, una delle piu simpatiche e complesse figu- re di gentiluomo della sua epo- ca; non un creatore ma un indagatore d'ogni cosa intelligen- te e un contemplatore esperto dell'arte, per cui raccolse una delle migliori collezioni di qua- dri e ceramiche nella sua splen- dida villa della Gazzada; più che un dilettante, e con un tormento di idee e una inquieta curiosità religiosa, che furono la nota pa- tetica della sua vita e che lo con- dussero dal buddismo e dalla fi- losofia di Martinetti, alla pacifi- cazione degli ultimi anni nella fede cristiana. Ben inteso a pranzo si parlò di D'Annunzio. Qualcuno ac- cennò alla sua sincerità... La contessa Arese raccontò allora, quasi distrattamente, una espe- rienza sua di pochi giorni pri- ma. Per Capo d'anno aveva ri- cevuto dal Poeta un telegramma bellissimo e originale: « Eterna giovinezza al vostro sorriso n. Senza commenti, continuò: «Non nego che un simile augurio una donna lo riceva volentieri...». Ma l'indomani si incontra per stra- da con un'amica, con qualche segno, anch'essa, che cosa uma- na e mortale non dura. « Sa- pessi che meraviglioso telegram- ma di D'Annunzio ho ricevuto!». Ma era lo stesso identico al suo... Le due donne si erano guardate l'un l'altra, disincanta- te... Ah! la vita! ah! i poeti!... Ed erano poi sicure che un ter- zo e forse un quarto messaggio eguale non fosse stato spedito lo stesso giorno con le stesse parole?... Forse fu questo racconto che suscitò nell'animo di Donna Ca- milla il dubbio che anche la lettera di rifiuto fosse una bu- gia... Fatto è che dopo il pran- zo, inquieta, fece le sue indagi- ni e scoprì che il poeta era tran- quillamente in camera sua. Al- lora col suo ardimento di don- na non bella, mandò al D'An- nunzio un biglietto agro, a cui egli si sentì obbligato di rispon- dere con le due righe con cui ci invitava a salire. Ci accolse con perfetta corte- sia. Per me, giovanissimo, ebbi l'impressione di entrar nell'an- tro di un mago, mentre non era che una camera d'albergo. Ma egli l'aveva adattata al lavoro per un soggiorno a Milano, che non fu breve, perchè lavorava alla correzione delle bozze delle Laudi, di cui il primo volume Main doveva apparire nel mag- gio, e il secondo contenente E- lettra e Alcyone nel dicembre. La camera era in penombra. Pesanti tendaggi di velluto ros- so cupo chiudevano i vani del- le finestre e delle porte, tap- peti persiani erano stati stesi per terra. Due tavoli di noce dietro a due divani erano cari- chi di libri, e tra i volumi, vasi di cristallo pieni di magnifiche rose... Lo scrittoio, di fianco a una finestra, cosparso di bozze di fogli manoscritti, illumina- to da una lampada con para- lume di vetro verde... E pas- sandovi accanto il mio sguardo avido e indiscreto — confesso — scorse una pagina con molte correzioni, alcuni versi soppres- si da una decisa linea di rifiu- to; qualche novenario tormen- tato; e puntini dove l'onda mu- sicale interiore, penso, aveva avuto momenti di declino o di arresto. Solo all'apparire del se- condo volume delle Laudi mi sa- rei persuaso che i miei occhi si erano posati furtivamente quel- la sera « su la favola bella», su Ermione palpitante e viva men- tre si liberava dalla sua scorza... Ma di quello straordinario in- contro ricordo anche lo sconcer- tante contrasto tra il D'Annun- zio maggiore, ch'era con la sua potenza creatrice in quelle boz- ze di stampa, e l'uomo di mon- do, dal dandismo provinciale. che offriva alle sue ospiti un ba- cino d'argento colmo di foglie di rose perché vi immergessero il viso, e che mi pareva impos- sibile fosse capace di una pro- fonda tristezza vera. c§= 1 Molti anni dopo con la Duse in piazza San Marco a Venezia. Mancavano pochi mesi alla sua partenza per l'America... Mai aveva parlato con me di D'An- nunzio. Né io avevo osato pro- nunciare il suo nome con lei. E però, non so come, quel giorno le sfuggì dalle labbra, forse ri- cordandolo in un episodio non di vita ma di arte. Mi disse: «in certe ore ho sentito la sua malinconia, e furono le ore in cui l'ho compreso di più... ». Osai domandare, esitando: « Dunque vi era in lui una tristezza vera? ». Rispose indirettamente: e Di fronte alla sua opera di poesia diventava umile e since- ro... Nessuno immagina quanto potesse essere desolato di fronte a se stesso... Si giudicava;.., sen- tiva i suoi limiti e gli veniva meno la speranza di raggiungere certe altezze di cui aveva pur coscienza ». Poi sviò il discorso. camminava come la cieca nel- la città morta. Ma la confessio- ne breve di chi era stata la col- laboratrice del poeta negli anni più fervidi mi rimane come un prezioso elemento di giudizio per interpretare -- sia pure a modo mio -- certi lati oscuri della sua vita, nella sera del no- stro primo incontro. Poiché egli era in quel lon- tano 1903 nella sua ora solare. Aveva quarant'anni. Alle sue spalle vi era il decennio in cui aveva affermato in modo defi- nitivo la sua posizione nella let- teratura italiana e nel mondo. Con le Laudi, tra poco, avrebbe rivelato la pienezza della sua personalità poetica. E in quella stessa estate, sulla spiaggia di Nettuno, in un solo mese, con l'impeto ancora giovanile di una creazione di getto, con la fanta- sia fresca di chi si sente risalir per le vene, dalle radici, spiriti n sangue della sua terra, avreb- d be scritto il suo capolavoro 1 drammatico: La figlia di !mio. s. Eppure un'ombra di tristezza era 9 su questo Figlio! Prodigo di tut- P te le fortune, nella sua ora più a luminosa, proprio per la co- C scienza déi limiti raggiunti. Nei presentimenti tragici del proprio destino, egli doveva intuire in si quei giorni di aver raggiunto il t< culmine dell'ascesa e che la ma- a; teria incandescente della propria R creazione si sarebbe venuta raf- A freddando, consolidandosi in r « maniera n; che la sua arte ori- t ginale avrebbe finito per riflet- a tersi in se stessa, come una figu- e ra ormai prigicniera in un la- I birinto di specchi. Il suo demo- ne interiore lo pungeva, lo umi- liava, perché gli suggeriva i con- d fronti con la grandezza vera e C con gli « altissimi » poeti che vi- 7 q sono nei millenni per una com- t plessità di valori che trascendo- no l'estetica. Ma ciò che non comprende- o va, nella sua malinconia, è che i l'impedimento verso la grandez- za sublime — il limite — gli era posto non dalla misura del suo genio, bensì dalla deficienza in lui di umanità. L'animo e il cuore erano poveri. Troppo ego- centrica nell'avidità della bellez- za e del piacere la vita, per cui non gli fu oossibile mai di uscir da se stesso e di vedere e di penetrare l'universo spirituale scoprendolo; né di perdere la propria anima per amare e per soffrire davvero. Tanto che que- sto gran seduttcre di donne — della sua arte della seduzione sono documenti alcune recenti Pubblicazioni di lettere — non fu capace di creare mai una sola donna veramente umana e per- ciò immortale nella poesia; e se Francesca vivrà della vita stessa delle passioni d'amore di secolo in secolo, lo dovrà alle poche terzine, dense di pietà e di pec- cato, del V Canto dell'Inferno, non all'intera tragedia « di san- gue e di lussuria n del D'An- nunzio. 11 suo castigo fu di non vi- vere Che di musica e di sensi e di non poter trarre dal di den- tro la sua ispirazione. « La sua poesia è tutto fiore... », disse un giorno Pascoli a me. «manca la radice che affonda nella terra...». Forse, voleva dire, manca al poeta un certo pudore che è senso di grandezza più intima: il nascondimento di qualcosa di sublime e di nascosto. del «di- vino n che tralrce nella forma non si esaurisce in essa, e per cui torniamo a certi capolavori con sempre nuova ansia di pe- netrarne il senso più profondo. Al mago dei versi mancava la vita segreta. Tommaso Gallarati Scotti Valeria Valeri citata da Walter Chiari in Tribunale Roma 14 febbraio, notte. Una vertenza giudiziaria è sorta fra l'attore Walter Chia- ri e l'attrice Valeria Valeri. La società «Grandi spettacoli Wal- ter Chiari » ha infatti citato l'attrice, allegando una sua ina- dempienza ad un contratto con cui la Valeri era stata scrittu- rata come prima attrice per l'esecuzione di una rivista La Valeri afferma che il contratto rimase ineseguito a causa di gravi disturbi gastrici che la costrinsero ad allontanarsi dalle scene; ma il Chiari eccepisce che I disturbi che l'attrice lamen- tava non le impedirono di ac- cettare altre offerte; pertanto chiede che il Tribunale, accer- tata la colpa della Valeri nel- l'inadempienza contrattuale, la condanni al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separa- ta sede, e, intanto, chiede una provvisionale di cinque milioni.d Un'altra vertenza giudiziaria riguarda Alberto Sordi, il quale ha citato una società produttri- ce di vini per abuso di imma- gine. a a

Transcript of Martedì 15 febbraio 1955 LA MALDCONIA DI D'ANINL...

CORRIERE"DELLA SERA

/ Martedì 15 febbraio 1955

LA MALDCONIA DI D'ANINL NZIO

/5-

Ritrovo dopo molti anni, tra le mie carte, un pacchetto di lettere del capitano Gabriele d'Annunzio al tenente T. Galla-rati Scotti, spesso senza data — però tutte del 1917, prima di Caporetto. Si riferiscono in gran parte a lunghe conversazioni che le intercalavano. Troppe lettere di D'Annunzio sono state pub-blicate in questi ultimi anni per-chè esibisca le mie. Ma nell'in-cartamento scopro anche un fo-glietto sibillino, con due righe autografe che mi hanno tormen-tato nei ricordi per rimetterle a posto, nel tempo: *Sarei felice se voleste salire. Sono pieno di malinconia. Gabrie ». •Evidente-mente il brevissimo invito ap-partiene a tutt'altro periodo. E a confermarlo trovo una lettera, non diretta a me, e rimastami come autografo — datata: L'E-pifania 1903 --- « Mia cara don-na Camilla, il desiderio di pas-sare con voi qualche ora — do-po tanta lontananza — mi fece accettare con precipitazione il vostro gentilissimo invito di ieri. Ma ora vedo che la mia serata non è libera, ahimè!, e non sarà molto leggera... Perdonatemi e compiangetemi. Di voi e di Don-na Laura devoto sempre Ga-briele d'Annunzio ›. La lettera. non d'amore, è un piccolo capo-lavoro di menzogna galante, del poeta che voleva liberarsi da un pranzo, a cui le due sorelle Gro-palio — care, vecchie amiche. appartenenti al miglior mondo tra aristocratico e intellettuale, fine ottocento -- avevano invita-to un piccolo gruppo di « ammi-ratori del Poeta.

Il pranzo ebbe però luogo an-che senza di lui, e proprio allo stesso Miei Cavour dove il D'Annunzio abitava in quei gior-ni, invisibile... L'albergo, ora scomparso, sorgeva tra piazza Cavour e via Palestro; di gusto umbertino: gran tappeti e pe-santi tendaggi, e specchiere in cornici dorate e decorazioni a colori pompeiani; ma quanto vi era di raffinato nella società eu-ropea di quel tempo, passando per Milano, faceva capo lì.

E coi caratteri di epigoni di un mondo che stava morendo, anche le due sorelle Gropallo, che avevano la loro dimora con-sueta nell'avita villa di Nervi: Donna Laura l'«intellettuale», la a scrittrice », che di successi sul palcoscenico o nel romanzo non era riuscita a ottenerne uno so-lo: e Donna Camilla, di più mo-deste ambizioni, piena di inge-nua fede nelle fortune della so-rella maggiore, e che si conso-lava delle disillusioni letterarie in un ambiente caldo di amicizie

di elegante mondanità. Al loro pranzo rivedo, nel ri-

cordo, la contessa Marichia A-rese, splendida ancora nella sua declinante bellezza — ricca di grazie, di spirito, di fine morda-cità e di cultura — che Platone Io gustava, in greco, e che della sua giovinezza partenopea por-tava nelle nebbie lombarde un luminoso senso ellenico della vi-ta. E Guido Cagnola, una delle piu simpatiche e complesse figu-re di gentiluomo della sua epo-ca; non un creatore ma un indagatore d'ogni cosa intelligen-te e un contemplatore esperto dell'arte, per cui raccolse una delle migliori collezioni di qua-dri e ceramiche nella sua splen-dida villa della Gazzada; più che un dilettante, e con un tormento di idee e una inquieta curiosità religiosa, che furono la nota pa-tetica della sua vita e che lo con-dussero dal buddismo e dalla fi-losofia di Martinetti, alla pacifi-cazione degli ultimi anni nella fede cristiana.

Ben inteso a pranzo si parlò di D'Annunzio. Qualcuno ac-cennò alla sua sincerità... La contessa Arese raccontò allora, quasi distrattamente, una espe-rienza sua di pochi giorni pri-ma. Per Capo d'anno aveva ri-cevuto dal Poeta un telegramma bellissimo e originale: « Eterna giovinezza al vostro sorriso n. Senza commenti, continuò: «Non nego che un simile augurio una donna lo riceva volentieri...». Ma l'indomani si incontra per stra-da con un'amica, con qualche segno, anch'essa, che cosa uma-na e mortale non dura. « Sa-pessi che meraviglioso telegram-ma di D'Annunzio ho ricevuto!». Ma era lo stesso identico al suo... Le due donne si erano guardate l'un l'altra, disincanta-te... Ah! la vita! ah! i poeti!... Ed erano poi sicure che un ter-zo e forse un quarto messaggio eguale non fosse stato spedito lo stesso giorno con le stesse parole?...

Forse fu questo racconto che suscitò nell'animo di Donna Ca-milla il dubbio che anche la lettera di rifiuto fosse una bu-gia... Fatto è che dopo il pran-zo, inquieta, fece le sue indagi-ni e scoprì che il poeta era tran-quillamente in camera sua. Al-lora col suo ardimento di don-na non bella, mandò al D'An-nunzio un biglietto agro, a cui egli si sentì obbligato di rispon-dere con le due righe con cui ci invitava a salire.

Ci accolse con perfetta corte-sia. Per me, giovanissimo, ebbi l'impressione di entrar nell'an-tro di un mago, mentre non era che una camera d'albergo. Ma egli l'aveva adattata al lavoro per un soggiorno a Milano, che non fu breve, perchè lavorava alla correzione delle bozze delle Laudi, di cui il primo volume Main doveva apparire nel mag-gio, e il secondo contenente E-lettra e Alcyone nel dicembre.

La camera era in penombra. Pesanti tendaggi di velluto ros-so cupo chiudevano i vani del-le finestre e delle porte, tap-peti persiani erano stati stesi per terra. Due tavoli di noce dietro a due divani erano cari-chi di libri, e tra i volumi, vasi di cristallo pieni di magnifiche rose... Lo scrittoio, di fianco a una finestra, cosparso di bozze

di fogli manoscritti, illumina-to da una lampada con para-lume di vetro verde... E pas-sandovi accanto il mio sguardo avido e indiscreto — confesso — scorse una pagina con molte correzioni, alcuni versi soppres-si da una decisa linea di rifiu-to; qualche novenario tormen-tato; e puntini dove l'onda mu-sicale interiore, penso, aveva avuto momenti di declino o di arresto. Solo all'apparire del se-

condo volume delle Laudi mi sa-rei persuaso che i miei occhi si erano posati furtivamente quel-la sera « su la favola bella», su Ermione palpitante e viva men-tre si liberava dalla sua scorza... Ma di quello straordinario in- contro ricordo anche lo sconcer-tante contrasto tra il D'Annun-zio maggiore, ch'era con la sua potenza creatrice in quelle boz- ze di stampa, e l'uomo di mon- do, dal dandismo provinciale. che offriva alle sue ospiti un ba-cino d'argento colmo di foglie di rose perché vi immergessero il viso, e che mi pareva impos-sibile fosse capace di una pro-fonda tristezza vera.

c§=1 Molti anni dopo con la Duse

in piazza San Marco a Venezia. Mancavano pochi mesi alla sua partenza per l'America... Mai aveva parlato con me di D'An-nunzio. Né io avevo osato pro-nunciare il suo nome con lei. E però, non so come, quel giorno le sfuggì dalle labbra, forse ri-cordandolo in un episodio non di vita ma di arte. Mi disse: «in certe ore ho sentito la sua malinconia, e furono le ore in cui l'ho compreso di più... ». Osai domandare, esitando: « Dunque vi era in lui una tristezza vera? ». Rispose indirettamente: e Di fronte alla sua opera di poesia diventava umile e since-ro... Nessuno immagina quanto potesse essere desolato di fronte a se stesso... Si giudicava;.., sen-tiva i suoi limiti e gli veniva meno la speranza di raggiungere certe altezze di cui aveva pur coscienza ». Poi sviò il discorso.

camminava come la cieca nel-la città morta. Ma la confessio-ne breve di chi era stata la col-laboratrice del poeta negli anni più fervidi mi rimane come un prezioso elemento di giudizio per interpretare -- sia pure a modo mio -- certi lati oscuri della sua vita, nella sera del no-stro primo incontro.

Poiché egli era in quel lon- tano 1903 nella sua ora solare. Aveva quarant'anni. Alle sue spalle vi era il decennio in cui aveva affermato in modo defi-nitivo la sua posizione nella let-teratura italiana e nel mondo. Con le Laudi, tra poco, avrebbe rivelato la pienezza della sua personalità poetica. E in quella stessa estate, sulla spiaggia di Nettuno, in un solo mese, con l'impeto ancora giovanile di una creazione di getto, con la fanta-sia fresca di chi si sente risalir per le vene, dalle radici, spiriti n

sangue della sua terra, avreb- d be scritto il suo capolavoro 1 drammatico: La figlia di !mio. s. Eppure un'ombra di tristezza era 9 su questo Figlio! Prodigo di tut- P te le fortune, nella sua ora più a luminosa, proprio per la co- C scienza déi limiti raggiunti. Nei presentimenti tragici del proprio destino, egli doveva intuire in si quei giorni di aver raggiunto il t< culmine dell'ascesa e che la ma- a; teria incandescente della propria R creazione si sarebbe venuta raf- A freddando, consolidandosi in r « maniera n; che la sua arte ori- t ginale avrebbe finito per riflet- a tersi in se stessa, come una figu- e ra ormai prigicniera in un la- I birinto di specchi. Il suo demo-ne interiore lo pungeva, lo umi-liava, perché gli suggeriva i con- d fronti con la grandezza vera e C

con gli « altissimi » poeti che vi- 7q sono nei millenni per una com- t plessità di valori che trascendo-no l'estetica.

Ma ciò che non comprende- o va, nella sua malinconia, è che i l'impedimento verso la grandez-za sublime — il limite — gli era posto non dalla misura del suo genio, bensì dalla deficienza in lui di umanità. L'animo e il cuore erano poveri. Troppo ego-centrica nell'avidità della bellez-za e del piacere la vita, per cui non gli fu oossibile mai di uscir da se stesso e di vedere e di penetrare l'universo spirituale scoprendolo; né di perdere la propria anima per amare e per soffrire davvero. Tanto che que-sto gran seduttcre di donne —

della sua arte della seduzione sono documenti alcune recenti Pubblicazioni di lettere — non fu capace di creare mai una sola donna veramente umana e per-ciò immortale nella poesia; e se Francesca vivrà della vita stessa delle passioni d'amore di secolo in secolo, lo dovrà alle poche terzine, dense di pietà e di pec-cato, del V Canto dell'Inferno, non all'intera tragedia « di san-gue e di lussuria n del D'An-nunzio.

11 suo castigo fu di non vi- vere Che di musica e di sensi e di non poter trarre dal di den-tro la sua ispirazione. « La sua poesia è tutto fiore... », disse un giorno Pascoli a me. «manca la radice che affonda nella terra...». Forse, voleva dire, manca al poeta un certo pudore che è senso di grandezza più intima: il nascondimento di qualcosa di sublime e di nascosto. del «di-vino n che tralrce nella forma

non si esaurisce in essa, e per cui torniamo a certi capolavori con sempre nuova ansia di pe-netrarne il senso più profondo. Al mago dei versi mancava la vita segreta.

Tommaso Gallarati Scotti

Valeria Valeri citata da Walter Chiari in Tribunale

Roma 14 febbraio, notte. Una vertenza giudiziaria è

sorta fra l'attore Walter Chia-ri e l'attrice Valeria Valeri. La società «Grandi spettacoli Wal-ter Chiari » ha infatti citato l'attrice, allegando una sua ina-dempienza ad un contratto con cui la Valeri era stata scrittu-rata come prima attrice per l'esecuzione di una rivista La Valeri afferma che il contratto rimase ineseguito a causa di gravi disturbi gastrici che la costrinsero ad allontanarsi dalle scene; ma il Chiari eccepisce che I disturbi che l'attrice lamen-tava non le impedirono di ac-cettare altre offerte; pertanto chiede che il Tribunale, accer-tata la colpa della Valeri nel-l'inadempienza contrattuale, la condanni al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separa-ta sede, e, intanto, chiede una provvisionale di cinque milioni.d

Un'altra vertenza giudiziaria riguarda Alberto Sordi, il quale ha citato una società produttri-ce di vini per abuso di imma- gine. a

a