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1. Un’introduzione un po’ letteraria ma efficace

Questa breve monografia tratta della Distribuzione, articolazione del Marketing Mix alla quale vi ho introdotto nel manuale Marketing e pianificazione pubblicitaria (da p.96 a p. 103).Dobbiamo, ora, approfondire un po’ questo argomento perché il cosiddetto “punto vendita” (da qui in poi PDV), è il luogo in cui vengono messe alla prova non solo le teorie ma anche – e soprattutto – le fatiche di uomini di marketing, pubblicitari, e designer grafici come voi nel tentativo (non uso questo termine a caso) di catturare l’attenzione del pubblico che lo frequenta.Analizzare il comportamento d’acquisto dei clienti nelle superfici dei PDV è da un lato fondamentale, perché se non si conosce come si compra non si può proporre un’offerta adeguata anche in termini di comunicazione visiva, dall’altro è materia affascinante perché ci offre un aspetto del comportamento umano davvero singolare.Per questo voglio proporvi un approccio allo studio del PDV, direi, alternativo utilizzando alcune pittoresche descrizioni di due grandi scrittori, Luciano Bianciardi e Italo Calvino, riguardo i primi supermercati aperti in Italia al tempo del boom economico (anni ’50-’60 del secolo scorso).Il primo, Luciano Bianciardi, descrive in alcune pagine del suo capolavoro, La vita agra (pubblicato nel 1962) le reazioni di un professore d’inglese della provincia toscana, trapiantato a Milano, nei confronti della più vistosa manifestazione del nascente consumismo: il supermercato. Calvino, invece, usa un tono di voce da fiaba contemporanea nell’episodio “Marcovaldo al supermercato” (In Marcovaldo ovvero le stagioni in città, edito nel 1963) nel quale lo stralunato protagonista, un manovale non qualificato originario della campagna piemontese, si fa coinvolgere un po’ troppo dall’ambiente di un supermarket molto ben fornito.Cominciamo con Bianciardi.

Il bottegone è una stanza enorme senza finestre, con le luci giallastre sempre accese a illuminare le cataste di scatole colorate. Dal soffitto cola una musica calcolata per l’effetto ipnotico, appesi al muro ci sono specchi tondi ad angolazione variabile e uno specialista, chiuso chissà dove, controlla che la gente si muova, compri e non rubi.

Entrando, ti danno un carrettino di fil di ferro, che devi riempire di merce, di prodotti. Vendono e comprano ogni cosa; gli emitori hanno la pupilla dilatata, per via dei colori, della luce, della musica calcolata, non battono più le palpebre, non ti vedono, a tratti ti sbattono il carrettino sui lombi, e con gesti da macumbati raccattano scatole dalle cataste e le lasciano cadere nell’apposito scomparto. Nessuno dice una parola, tanto il discorso sarebbe coperto dalla musica e dal continuo scaracchiare delle calcolatrici.

Il bancone giù in fondo è quello delle carni. Dietro c’è una

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squadra di macellai e macellaie che spartono terga di bove, le affettano, le piazzano sul vassoino di cartone, le involgono nel cellofan e poi richiudono con un saldatore elettrico. Davanti al bancone sostano le donnette, ognuna ha in mano un vassoino di carne e lo guarda senza vederlo, lo tasta, lo rimette al suo posto, ne piglia un altro. La donnetta accanto a lei prende a sua volta il vassoino scartato, lo guarda, lo tasta, lo rimette al posto suo, e avanti. Nelle ore di punta il vassoino non fa nemmeno più in tempo a ritornare sul bancone: appena visto e tastato, passa in mano a un’altra donna, percorre tutta la fila delle donnette chine come tanti polli a beccare in un pollaio modello. Poi ritorna indietro.

Sarebbe una grossa perdita di tempo, e di guadagno, ma ci sono degli specialisti in borghese che, alle spalle delle donnette ipnotizzate, provvedono di soppiatto a colmare fino al dovuto il carretto in attesa, oppure a spostarlo, in modo che i più solerti, sbagliandosi, stivino di merce anche il veicolo dei più tardivi, e tutti, alla fine, abbiano comprato pressappoco la stessa roba, e nella stessa quantità.

Continua la musica ipnotica e quando la gente è arrivata alla cassa, ormai paga automaticamente tutto quel che si ritrova a trascinare nel carretto. Gli emitori con automobile spesso prendono due carretti a testa e non se ne vanno finché non li abbiano visti ben pieni.

La fila delle cassiere è sempre attiva ai calcolatori, e le dita saltabeccano di continuo sui tasti, come cavallette impazzite. In testa hanno un berrettino azzurro col nome del bottegone, non battono palpebra, fissano i numerini con le pupille dilatate, e ogni giorno hanno il visino più smunto, le occhiaie più bluastre, il colorito più terreo, il collo più vizzo, come tante tartarughette

Ci sono anche giovinastri neri e meridionali, con scatole e appositi portacarichi, i quali trascinano fino alle auto la caterva degli acquisti, dodici bottiglie di acqua gazzosa, dieci pacchetti di gallettine, olive verdi col nocciolo e senza, gli assorbenti igienici per la signora, perché tanto anche ‘sto mese ci sono stati attenti, un osso di plastica per il barboncino, venti barattoli di pomodori (anzi di pomidoro, dicono), un pelapatate americano brevettato, che si adopera anche con la sinistra, i grissini, gli sfìlatini, i salatini, gli stecchini, i moscardini e i tovagliolini di carta con le figure a fantasia, tanto spiritosi, tanto divertenti.

Io lo dico sempre, metteteci una catasta di libri, e accecati come sono comprerebbero anche quelli. Ho letto su un giornale specializzato che questo è l’agorà, il forum, la piazza dei nostri

tempi, e forse è vero. Però non mi scordo che alla Svolta del Francese c’era già tutto questo, e anche di più.

Mi ricordo che il vecchio Lenzerini, al suo bottegone di Scarlino Scalo, teneva tutta questa roba e altra ancora, anche i cappelli teneva, i vasi da notte, il baccalà a mollo e i lumi a carburo. Ti preparava anche un cantuccio di pane col salame, il Lenzerini. Bastava chiederglielo, e intanto ti raccontava di quando suo nonno accompagnò Garibaldi a casa Guelfi, e lo vide riposarsi sotto il quercione, in vista di Cala Martina. Era con lui un bel giovane, che si faceva chiamare il capitano Leggèro, ma di certo doveva essere un nome finto.

“Professore, lasci stare, pagherà quest’altr’anno.”

La descrizione, per quanto grottesca, è molto efficace e rende veramente il senso della frenesia provocata dall’esposizione di tutto quel ben di Dio. D’altro canto il confronto con il vecchio bottegone di provincia (che comunque “teneva tutta questa roba”) dà ancora più risalto all’atmosfera anonima e spersonalizzante del supermercato.Avete notato quante volte Bianciardi fa riferimento all’ipnosi? Credo che, al di là dell’intento satirico, fosse influenzato dalla lettura di un libro molto famoso, al punto da avere designato una vera e propria categoria professionale. Mi riferisco a I persuasori occulti, di Vance Packard (The Hidden Persuaders è il titolo originale), un’inchiesta molto ben documentata e resa drammatica da un’indignazione di fondo, di marca protestante, che ebbe in Italia una diffusione notevole.In questo saggio, pubblicato nel 1957, l’autore intende denunciare la micidiale alleanza tra scienze sociali (psicologia e psicanalisi prima di tutte) e marketing, una congiura destinata a condizionare il comportamento d’acquisto di consumatori indifesi in nome del profitto. Per quanto assai datato (molte delle previsioni non si sono realizzate e l’allarme dato da Packard è risultato ingiustificato alla luce dell’evoluzione del comportamento del consumatore contemporaneo, maturo, selettivo e, soprattutto, imprevedibile), questo libro è molto interessante e mette conto leggerlo oggi, a mezzo secolo di distanza, perché descrive in modo magistrale i tentativi di sfruttare la psicologia del profondo in chiave consumistica.Riporto alcuni brani sui quali anche il nostro Bianciardi avrà meditato. Sono tratti dal capitolo X, “Alice nel paese del consumo”.

Per alcuni anni la società DuPont ha tenuto in esame il comportamento delle massaie americane nella nuova giungla che si chiama supermarket. I risultati, per quanto riguarda le nuove prospettive che dischiudono alla pubblicità sono stati cosi sensazionali che centinaia di società di prodotti alimentari e di agenzie pubblicitarie hanno richiesto copia della relazione. I mariti che si disperano per quel che costa mantenere la famiglia giudicherebbero la relazione, più che sensazionale, terrificante

Pubblicata nel 1954, essa si apre con una entusiastica

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affermazione in caratteri maiuscoli: “La moderna cliente del supermarket è sempre più condizionata da una nuova legge fondamentale del mercato: se il vostro prodotto riesce in qualche modo ad attrarre il mio sguardo – e se per qualche ragione ha un aspetto particolarmente’mv1tante - LO VOGLIO”. La relazione si basava sull’esame del comportamento di 5338 clienti in 250 supermarket.

Gli investigatori della DuPont hanno appurato che, quando va a far compere, la donna americana moderna non si dà la pena di preparare una lista, o per lo meno la lista completa, di ciò che le occorre. Solo una su cinque, in media entra nel supermarket con la lista; e tuttavia tutte le massaie trovano modo di riempire fino all’orlo il loro carrello; all’uscita, a quanto riferisce la DuPont, esclamano per lo più: “Non mi sognavo neppure di comprare tutta questa roba! “ Perché la massaia non ha più bisogno della lista? La relazione non esita a rispondere: “Perché oggi, sette acquisti su dieci vengono decisi nell’emporio stesso, dove le clienti comprano spinte da un impulso momentaneo!”

Il volume degli «acquisti impulsivi» di generi di drogheria è andato aumentando ogni anno da circa vent’anni a questa parte, e la DuPont rileva che questo incremento degli “acquisti impulsivi” ha coinciso col diffondersi degli empori in cui ci si serve da sé. Se la cliente deve affrontare un commesso è costretta a stabilire prima ciò che le occorre (…).

A questo punto Packard, cita il lavoro di un importante specialista di analisi motivazionale, James Vicary, che effettuò una ricerca nei supermercati filmando di nascosto le persone che facevano la spesa per verificare il loro stato di lucidità tramite il battito – pensate un po’! – il movimento delle palpebre.

Vicary installò dunque le sue macchine da presa e cominciò a seguire le signore dal momento in cui mettevano piede nel supermarket. I risultati sbalordirono perfino lui. Il ritmo dei battiti, invece di aumentare a indizio di una crescente tensione, continuava a scendere, fino a raggiungere la media, assolutamente subnormale, di quattordici per minuto. Le signore precipitavano in quella che Vicary definisce una trance ipnoide, una leggera forma di trance che, egli spiega, è la prima fase dell’ipnosi. A suo parere, la causa di questo fenomeno è da ricercarsi nel fatto che il su-permarket è gremito di prodotti accessibili, fino ad alcuni anni fa, soltanto alla borsa di re e regine, mentre qui, in questo paese delle meraviglie, essi sono alla portata di tutti. “Chiunque - egli fa osservare - è in grado, oggi, di essere re o regina, di passare in rassegna centinaia di prodotti che dicono comprami, comprami”.

Si poté constatare che molte donne erano a tal punto ipnotizzate da incrociare conoscenti o vecchie amiche senza riconoscerle o salutarle. Alcune procedevano con occhi sbarrati. Altre si aggiravano tra i banchi come automi, pescando a caso dagli scaffali, inciampando negli ostacoli senza vederli, del tutto ignare della macchina da presa sebbene, in alcuni casi, si trovassero col volto a mezzo metro dall’obbiettivo. Riempito il carrello, le donne si avviavano verso la cassa, e solo allora il ritmo

dei battiti cominciava a salire verso la media, ancora leggermente subnormale, di venticinque al minuto. Poi, sentendo trillare il campanello del registratore e la voce del commesso che chiedeva i soldi, la media balzava di colpo al di sopra del livello normale, fino a quarantacinque battiti al minuto. In molti casi risultò che le donne non avevano sufficiente denaro per pagare tutte le belle cose che avevano messo sul carrello.

In questo fertilissimo campo degli acquisti impulsivi gli psicologi si sono alleati con i maghi della pubblicità per in-durre la massaia a comprare prodotti di cui non ha particolarmente bisogno o addirittura desiderio, finché non se li vede presentare in forma invitante. I 60 milioni di donne americane che affollano ogni settimana i supermarket vengono “aiutate” nei loro acquisti da psicologi e psichiatri assoldati dagli uffici vendite delle ditte di prodotti alimentari.

Sì, è molto probabile che Bianciardi si sia ispirato ai Persuasori occulti per smascherare la manipolazione delle coscienze all’interno del supermercato. Certo, le inquietanti descrizioni del comportamento dei clienti ci fanno domandare, con un po’ di apprensione, se anche noi, oggi, possiamo essere condizionati dall’intervento coordinato della pubblicità e dall’abile sistemazione delle merci nel PDV, tuttavia vi posso già rassicurare: il cliente contemporaneo è così educato al consumo, è così attento al valore intrinseco dell’offerta, è così mutevole nelle sue scelte da sfuggire a qualsiasi tentativo di reale condizionamento. È, però, influenzabile, questo sì, in relazione ai contesti di appartenenza e di riferimento, per esempio, secondo una visione più ampia del comportamento di consumo, una visione, cioè, che tenga conto non solo dell’individuo in quanto tale e del suo inconscio, ma anche della sua caratteristica di animale sociale, per dirla con Aristotele.Marcovaldo, nel racconto che segue, lo è, così come i suoi familiari, ed ognuno vive il supermercato come un luogo favoloso traboccante di roba buona nel quale è, in fondo, obbligato a partecipare, anche se per gioco, alla festa degli acquisti come gli altri, come le signore impellicciate che possono permettersi una spesa milionaria (in lire). È il fenomeno del “gruppo di riferimento” (già spiegato nel testo di Marketing, a p.38), al quale nemmeno il nostro manovale può sottrarsi.

Alle sei di sera la città cadeva in mano dei consumatori. Per tutta la giornata il gran daffare della popolazione produttiva era il produrre: producevano beni di consumo. A una cert’ora, come per lo scatto d’un interruttore, smettevano la produzione e, via!, si buttavano tutti a consumare. Ogni giorno una fioritura impetuosa faceva appena in tempo a sbocciare dietro le vetrine illuminate, i rossi salami a penzolare, le torri di piatti di porcellana a innalzarsi fino al soffitto, i rotoli di tessuto a dispiegare drappeggi come code di pavone, ed ecco già irrompeva la folla consumatrice a smantellare a rodere a palpare a far man bassa. Una fila ininterrotta serpeggiava per tutti i marciapiedi e i portici, s’allungava attraverso le porte a vetri nei magazzini intorno a tutti i banchi, mossa dalle gomitate di ognuno nelle costole di ognuno

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come da continui colpi di stantuffo. Consumate! e toccavano le merci e le rimettevano giù e le riprendevano e se le strappavano di mano; consumate! e obbligavano le pallide commesse a sciorinare sul bancone biancheria e biancheria; consumate! e i gomitoli di spago colorato giravano come trottole, i fogli di carta a fiori levavano ali starnazzanti, avvolgendo gli acquisti in pacchettini e i pacchettini in pacchetti e i pacchetti in pacchi, legati ognuno col suo nodo a fiocco. E via pacchi pacchetti pacchettini borse borsette vorticavano attorno alla cassa in un ingorgo, mani che frugavano nelle borsette cercando i borsellini e dita che frugavano nei borsellini cercando gli spiccioli, e giù in fondo in mezzo a una foresta di gambe sconosciute e falde di soprabiti i bambini non più tenuti per mano si smarrivano e piangevano.

Una di queste sere Marcovaldo stava portando a spasso la famiglia. Essendo senza soldi, il loro spasso era guardare gli altri fare spese; inquantoché il denaro, più ne circola, più chi ne è senza spera: “Prima o poi finirà per passarne anche un po’ per le mie tasche”. Invece, a Marcovaldo, il suo stipendio, tra che era poco e che di famiglia erano in molti, e che c’erano da pagare rate e debiti, scorreva via appena percepito. Comunque, era pur sempre un bel guardare, specie facendo un giro al supermarket.

Il supermarket funzionava col self-service. C’erano quei carrelli, come dei cestini di ferro con le ruote, e ogni cliente spingeva il suo carrello e lo riempiva di ogni bendidio. Anche Marcovaldo nell’entrare prese un carrello lui, uno sua moglie e uno ciascuno i suoi quattro bambini. E così andavano in processione coi carrelli davanti a sé, tra banchi stipati da montagne di cose mangerecce, indicandosi i salami e i formaggi e nominandoli, come riconoscessero nella folla visi di amici, o almeno conoscenti.

- Papà, lo possiamo prendere questo? - chiedevano i bambini ogni minuto.

- No, non si tocca, è proibito, - diceva Marcovaldo ricordandosi che alla fine di quel giro li attendeva la cassiera per la somma.

- E perché quella signora lì li prende? - insistevano, vedendo tutte queste buone donne che, entrate per comprare solo due carote e un sedano, non sapevano resistere di fronte a una piramide di barattoli e tum! tum! tum! con un gesto tra distratto e rassegnato lasciavano cadere lattine di pomodori pelati, pesche sciroppate, alici sott’ olio a tambureggiare nel carrello.

Insomma, se il tuo carrello è vuoto e gli altri pieni, si può reggere fino a un certo punto: poi ti prende un’invidia, un crepacuore, e non resisti più. Allora Marcovaldo, dopo aver raccomandato alla moglie e ai figlioli di non toccare niente, girò veloce a una traversa tra i banchi, si sottrasse alla vista della famiglia e, presa da un ripiano una scatola di datteri, la depose nel carrello.

Voleva soltanto provare il piacere di portarla in giro per dieci minuti, sfoggiare anche lui i suoi acquisti come gli altri, e poi rimetterla dove l’aveva presa. Questa scatola, e anche una rossa bottiglia di salsa piccante, e un sacchetto di caffè, e un azzurro pacco di spaghetti. Marcovaldo era sicuro che, facendo con delicatezza, poteva per almeno un quarto d’ora gustare la gioia di chi sa scegliere il prodotto, senza dover pagare neanche un soldo. Ma guai se i bambini lo vedevano! Subito si sarebbero messi a imitarlo e chissà che confusione ne sarebbe nata!

Marcovaldo cercava di far perdere le sue tracce, percorrendo un cammino a zig zag per i reparti, seguendo ora indaffarate servette ora signore impellicciate. E come l’una o l’altra avanzava la mano per prendere una zucca gialla e odorosa o una scatola di triangolari formaggini, lui l’imitava. Gli altoparlanti diffondevano musichette allegre: i consumatori si muovevano o sostavano seguendone il ritmo, e al momento giusto protendevano il braccio e prendevano un oggetto e lo posavano nel loro cestino, tutto a suon di musica.

Il carrello di Marcovaldo adesso era gremito di mercanzia; i suoi passi lo portavano ad addentrarsi in reparti meno frequentati; i prodotti dai nomi sempre meno decifrabili erano chiusi in scatole con figure da cui non risultava chiaro se si trattava di concime per la lattuga O di seme di lattuga o di lattuga vera e propria o di veleno per i bruchi della lattuga o di becchime per attirare gli uccelli che mangiano quei bruchi oppure condimento per l’insalata o per gli uccelli arrosto. Comunque Marcovaldo ne prendeva due o tre scatole.

Così andava tra due siepi alte di banchi. Tutt’a un tratto la corsia finiva e c’era un lungo spazio vuoto e deserto con le luci al neon che facevano brillare le piastrelle. Marcovaldo era lì, solo col suo carro di roba, e in fondo a quello spazio vuoto c’era l’uscita con la cassa.

Il primo istinto fu di buttarsi a correre a testa bassa spingendo il carrello davanti a sé come un carro armato e scappare via dal supermarket col bottino prima che la cassiera potesse dare l’allarme. Ma in quel momento da un’ altra corsia lì vicino s’affacciò un carrello carico ancor più del suo, e chi lo spingeva era sua moglie Domitilla. E da un’ altra parte se un altro e Filippetto lo stava spingendo con tutte le sue forze. Era quello un punto in cui le corsie di molti reparti convergevano, e da ogni sbocco veniva fuori un bambino di Marcovaldo, tutti spingendo trespoli carichi come bastimenti mercantili. Ognuno aveva avuto la stessa idea, e adesso ritrovandosi s’accorgevano d’aver messo insieme le disponibilità del supermarket..

- Papà, allora siamo ricchi? - chiese Michelino. - Ce ne avremo da mangiare per un anno?

- Indietro! Presto! Lontani dalla cassa! - esclamò Marcovaldo facendo dietrofront e nascondendosi, lui e le sue derrate, dietro ai banchi; e spiccò la corsa piegato in due come sotto il tiro nemico, tornando a perdersi nei reparti. Un rombo risuonava alle sue spalle; si voltò e vide tutta la famiglia che, spingendo i suoi vagoni come un treno, gli galoppava alle calcagna.

- Qui ci chiedono un conto da un milione! Il supermarket era grande e intricato come un labirinto: ci

si poteva girare ore ed ore. Con tante provviste a disposizione, Marcovaldo e familiari avrebbero potuto passarci l’intero inverno senza uscire. Ma gli altoparlanti già avevano interrotto la loro musichetta, e dicevano: - Attenzione! Tra un quarto d’ora il supermarket chiude! Siete pregati d’affrettarvi alla cassa!

Era tempo di disfarsi del carico: ora o mai più. Al richiamo dell’ altoparlante la folla dei clienti era presa da una furia frenetica, come se si trattasse degli ultimi minuti dell’ultimo supermarket in tutto il mondo, una furia non si capiva se di prendere tutto quel

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che c’era o di lasciarlo lì, insomma uno spingi spingi attorno ai banchi, e Marcovaldo con Domitilla e i figli ne approfittavano per rimettere la mercanzia sui banchi o per farla scivolare nei carrelli d’altre persone. Le restituzioni avvenivano un po’ a casaccio: la carta moschicida sul banco del prosciutto, un cavolo cappuccio tra le torte. Una signora, non s’accorsero che invece del carrello spingeva una carrozzella con un neonato: ci rincalzarono un fiasco di barbera.

Questa di privarsi delle cose senz’averle nemmeno assaporate era una sofferenza che strappava le lacrime. E così, nello stesso momento che lasciavano un tubetto di maionese, capitava loro sottomano un grappolo di banane, e lo prendevano; o un pollo arrosto invece d’uno spazzolone di nylon; con questo sistema i loro carrelli più si vuotavano più tornavano a riempirsi.

La famiglia con le sue provviste saliva e scendeva per le scale rotanti e ad ogni piano da ogni parte si trovava di fronte a passaggi obbligati dove una cassiera di sentinella puntava una macchina calcolatrice crepitante come una mitragliatrice contro tutti quelli che accennavano a uscire. Il girare di Marcovaldo e famiglia somigliava sempre più a quello di bestie in gabbia o di carcerati in una luminosa prigione dai muri a pannelli colorati.

In un punto, i pannelli d’una parete erano smontati, c’era una scala a pioli posata lì, martelli, attrezzi da carpentiere e muratore. Un’impresa stava costruendo un ampliamento del supermarket. Finito l’orario di lavoro, gli operai se n’erano andati lasciando tutto com’ era. Marcovaldo, provviste innanzi, passò per il buco del muro. Di là c’era buio; lui avanzò. E la famiglia, coi carrelli, gli andò dietro.

Le ruote gommate dei carrelli sobbalzavano su un suolo come disselciato, a tratti sabbioso, poi su un piancito d’assi sconnesse. Marcovaldo procedeva in equilibrio su di un asse; gli altri lo seguivano. A un tratto videro davanti e dietro e sopra e sotto tante luci se- minate lontano, e intorno il vuoto.

Erano sul castello d’assi d’un’impalcatura, all’ altezza delle case di sette piani. La città s’apriva sotto di loro in uno sfavillare luminoso di finestre e insegne e sprazzi elettrici dalle antenne dei tram; più in su era il cielo stellato d’astri e lampadine rosse d’antenne di stazioni radio. L’impalcatura tremava sotto il peso di tutta quella merce lassù in bilico. Michelino disse: - Ho paura!

Dal buio avanzò un’ombra. Era una bocca enorme, senza denti, che s’apriva protendendosi su un lungo collo metallico: una gru. Calava su di loro, si fermava al- la loro altezza, la ganascia inferiore contro il bordo del- l’impalcatura. Marcovaldo inclinò il carrello, rovesciò la merce nelle fauci di ferro, passò avanti. Domitilla fece lo stesso. I bambini imitarono i genitori. La gru richiuse le fauci con dentro tutto il bottino del super- market e con un gracchiante carrucolare tirò indietro il collo, allontanandosi. Sotto s’accendevano e ruotavano le scritte luminose multicolori che invitavano a com-prare i prodotti in vendita nel grande supermarket.

Avrete certamente notato che anche Italo Calvino descrive il comportamento del pubblico nel supermercato come simile a quello di un formicaio strapieno,

percorso in lungo e in largo con un movimento continuo e frenetico. Come sosteneva Packard, mai nella storia dell’uomo si erano viste tante merci, tante cose a disposizione di tutti sì da ingenerare un’attitudine agli acquisti ingorda e sfrenata. Dopo secoli di penuria, finalmente tutti, o quasi, potevano partecipare alla festa dell’abbondanza. E come Bianciardi anche lui descrive le povere commesse come quasi sofferenti, pallide e smunte…In ogni caso la lettura di questi brani ci permette di riassumere così il fenomeno che vi è descritto:

Il supermercato permette un 1. contatto diretto con le merci senza la mediazione di un venditore (a parte i casi di vendita assistita, per esempio nei banchi dedicati alla gastronomia).L’esposizione pianificata ed ordinata dei beni fa sì che i frequentatori 2. del PDV possano visionare un’offerta molto ampia, oltre le aspettative di ogni singolo potenziale acquirente, favorendo l’acquisto di prodotti non previsti nella lista della spesa.L’assenza di un venditore costringe l’industria a creare 3. confezioni e marche. Prima del libero servizio c’era solo la vendita assistita, grazie alla quale i clienti potevano scegliere ed acquistare quantità libere di prodotti sfusi (dalla pasta al caffè, dallo zucchero ai detersivi) distinti solo per prezzo e qualità. Ora i prodotti devono avere un “nome” ed una veste molto attraenti.I gestori di questi PDV possono influenzare il comportamento 4. d’acquisto mediante delle tecniche raffinate (tecniche di merchandising )riguardanti: a) la scelta dei prodotti e delle marche da proporre ai clienti; b) le decisioni circa l’articolazione del PDV e le sue attrezzature; c) l’esposizione delle marche sugli scaffali; d) la comunicazione mediante una serie di iniziative rientranti nel concetto di POPA (Point of Purchase Advertising).

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2. Uno sguardo sul presente:il coinvolgimento del consumatore

I brani citati implicitamente accennano a qualcosa che, oggi, ci è molto chiaro: il concetto del PDV contemporaneo come luogo da frequentare e da vivere, nonché la sua attitudine a presentare le merci facendoci assistere a qualcosa di simile ad uno spettacolo. Cinquant’anni fa il consumatore pensava al PDV come ad un luogo dove trovare dei prodotti ed il suo tempo era finalizzato a questo, badava poco allo scenario, era attratto dall’abbondanza dell’offerta.Il visitatore del PDV, oggi, non è più uno spettatore passivo, bensì un fruitore attivo consapevole di investire del tempo – prezioso – nell’attività di ricerca e di scelta di una determinata categoria di beni. Per questo pretende un’ambientazione accurata e accoglie con piacere tutte quelle innovazioni che lo coinvolgono portandolo a vivere un‘esperienza. Altro che ipnosi: egli è attivo e cosciente più che mai, pronto a ricevere sollecitazioni sensoriali positive ed a profittare del comfort di un ambiente piacevole.Prendiamo un PDV come la libreria: una volta era vissuta come un tempio della cultura dall’atmosfera sobria e austera; oggi è un luogo d’intrattenimento dove sfogliare un libro, provare un DVD, assistere a una presentazione o a un evento musicale, prendere un aperitivo o rimanere a pranzo.La libreria Feltrinelli di Mestre, per esempio, (v. immagini) vi accoglie proponendovi un layout espositivo accurato e sempre in ordine, un servizio di ricerca e di prenotazione, la possibilità di visionare libri e DVD, un bistrot curato e di un certo stile.

Si tratta, ovviamente, di un PDV particolare, dedicato alla diffusione di beni culturali e d’intrattenimento, che tuttavia ripercorre la via già segnata dalle avanguardie della distribuzione contemporanea, attive in Francia e nell’Europa del Nord. Le insegne attive in quei Paesi da tempo hanno progettato supermercati a misura dei grandi mall americani, spazi enormi dove si trascorre una giornata intera e dove lo shopping è più un pretesto che l’obiettivo reale del visitatore.Ma torniamo al consumatore italiano.

3. Il comportamento di consumo nel PDV

Pensiamo un momento ai brani che vi ho proposto e mettiamoci nei panni di quei primi consumatori: allora si sentivano ancora gli effetti di una guerra devastante, si era abituati al risparmio, all’utilizzo attento dei beni, anche di consumo. Le principali derrate alimentari

si acquistavano sfuse, mentre la marca riguardava beni voluttuari o di alta gamma. Molti prodotti durevoli d’uso comune si sostituivano soltanto quando non era più possibile ripararli.Con il nuovo sviluppo capitalistico e con la ripresa massiccia della produzione industriale si assistette al fenomeno di un’offerta massiva e indiscriminata che determinava una forte concorrenza tra i produttori, i quali avevano bisogno di differenziarsi gli uni dagli altri identificando con la marca ogni nuova proposta di beni, durevoli e di consumo. La prima diffusione dei supermercati di prossimità intensificò il lavoro di ricerca per quanto riguardava le confezioni e la creazione di marche nuove, attrattive e motivanti. In tal modo dovette cambiare la pubblicità che passò dalla vecchia réclame estetizzante al nuovo advertising praticato dalle multinazionali della comunicazione, basato sulla psicologia del consumo e sulla gestione scientifica dei media.Il risultato di tutto ciò? L’esposizione ragionata di un profluvio di merci caratterizzate da una vera e propria personalità per via della marca e di un packaging studiati sin nei minimi dettagli, un’offerta mai vista e, per i consumatori, la sensazione di poter soddisfare i propri bisogni senza problemi. Teniamo conto, poi, del fatto che un’esposizione tanto vasta permetteva al pubblico di conoscere prodotti e marche del tutto nuovi, specie per quel che riguardava i cosiddetti prodotti-servizio come i surgelati o i cibi precotti, pensati per chi non poteva o non aveva il tempo di stare in cucina per via del lavoro o, perché no?, perché non ne aveva tanta voglia.Si frequentava il supermercato, così come noi, d’altronde, entriamo in molti PDV contemporanei, per assistere allo spettacolo del consumo, per conoscere cose nuove, per informarci su stili di vita e di acquisto diversi.Il PDV è dunque, ripetiamo, un posto da vivere, dove è possibile venire a conoscenza di prodotti nuovi e, anche, se si ha il tempo di osservare i suoi frequentatori, di capire qualcosa del loro stile di vita e di acquisto.La comunicazione sul PDV è, pertanto, fondamentale per orientare il visitatore in un contesto sempre più ricco e, per quanto accogliente, a volte frastornante per l’abbondanza del’offerta e per le continue sollecitazioni polisensoriali. In altri termini, c’è molto da fare per il designer grafico, per un progettista di comunicazione visiva cui sia richiesto di intervenire, soprattutto da parte della marca (la GD ha i suoi specialisti interni), per stimolare un flusso di comunicazione ordinato ed efficace nei confronti del responsabile acquisti, la figura-chiave del consumo (in Italia, i responsabili acquisti di età compresa tra i 15 e i 74 anni, frequentatori di PDV, sono circa 20,5 milioni di donne e 4,2 milioni di uomini).Sappiamo che quest’ultimo può entrare in un PDV semplicemente per dare un’occhiata, per prendere informazioni in caso di un acquisto impegnativo o per starsene un po’ al fresco durante i mesi più caldi.

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4 Gli stili d’acquisto

L’Eurisko ha individuato e definito degli stili d’acquisto, vale a dire dei modi di agire e di comprare degli Italiani nei PDV. Distinguendo, prima di tutto, degli stili bassi, medi ed alti ed articolandoli come segue:

Stili bassi: Marginali, AspirazionaliA) Stili medi: Oculati,DistaccatiB) Stili alti: Esibitivi, Razionali, TradizionaliC)

MarginaliGruppo povero, tradizionale e conservatore nelle scelte di acquisto.È costituito dalle persone più distanti dal mondo de consumi e da quello della GDO.La figura tipica del gruppo è la persona anziana che acquista nel piccolo negozio sotto casa. (Pochi prodotti, tutti delle stesse marche)Residenti al sud e nei piccoli centri, hanno un’età avanzata, sono soprattutto pensionati, di status ed istruzione fra i più bassi.Superiore alla media la presenza di uomini.Il loro nucleo familiare è piccolo (una, due persone al massimo).Ricorso prevalente al negozio tradizionale, di prossimità.Grande abitudinarietà delle scelte e attenzione al prezzo (per necessità).Bassa attenzione alle promozioni.Lo stesso 3 x 2 fornisce quantità di prodotto eccessive per i bisogni ristretti di questi individui.

AspirazionaliÈ un gruppo che sente la necessità di apparire per confermare la propria appartenenza a stili di vita che non sono i suoi.Il che genera conflitto fra bisogni ed esigenze imposte dal magro bilancio.In grande maggioranza residenti al sud hanno un’età prevalentemente medio - giovane, reddito ed istruzione decisamente bassi.Sono soprattutto casalinghe.Il capofamiglia è spesso un operaio con famiglie numerose (di frequente oltre i 4 componenti).Il gruppo ha la GDO come punto di riferimento, seppure la fruizione sia limitata.La situazione tipica è un uso sia del mercato che dei minimarket.La scelta dei prodotti più economici è obbligata.La famiglia non sembra tuttavia rassegnata nella sua povertà: aspira a condividere consumi di livello superiore.Attua strategie di rincorsa, sfrutta appena può le opportunità offerte delle promozioni.La spesa, il giro per i negozi e fra l’altro una delle poche attività ricreative che si concede il gruppo.

Quando entra in un PDV con l’intenzione di comprare qualcosa, secondo una delle tante ricerche effettuate in proposito, non sa ancora con quanti beni ne uscirà, anche se ha una bella lista della spesa. Può, per esempio, uscire da un supermercato con il carrello composto dal 42,6% di acquisti programmati, e dal 57,4% di acquisti non programmati. Attenti: non si tratta solo di acquisti cosiddetti d’impulso, secondo la ricerca, il 4,6% sono spese effettuate per sostituire articoli non disponibili (cercavo l’acqua minerale di una determinata marca, non la trovo, la sostituisco con un’altra). Il 13,4 % entra nel PDV sapendo che deve comprare un determinato bene senza aver deciso prima di quale marca. Gli acquisti effettivamente d’impulso ammontano al 39,4%.In ogni caso avete capito che il PDV è un luogo in cui si fanno molte scelte e si può decidere se acquistare o no un determinato bene. E capite quanto sia importante orientare i sensi, prima di tutto e poi l’attenzione del visitatore verso una certa offerta – quella del nostro cliente – al fine di promuoverne l’acquisto.Per questo le tecniche di merchandising sono importanti anche i per i produttori, non solo per i distributori.Secondo l’Académie française des sciences commerciales, il merchandising è:

“una parte del marketing che riguarda tutte le tecniche commerciali atte a presentare, nelle migliori condizioni possibili, il prodotto o ilo servizio offerto ai potenziali acquirenti.Il merchandising tende a sostituire a una presentazione passiva del prodotto, una sua presentazione attiva che si serve di tutto quanto lo può rendere attraente, dalla confezione alla disposizione sui banchi di vendita”. x

Prima di passare all’esame delle tecniche di merchandising è opportuno avere una visione chiara tanto degli stili di acquisto dei potenziali clienti, quanto dei diversi tipi di PDV.In questo caso il cosiddetto uomo-consumatore diventa responsabile acquisti e vedrete che in questa veste non è meno frammentato e sfaccettato. D’altronde, se non conosciamo il suo comportamento all’interno del PDV non abbiamo le informazioni necessarie per una progettazione mirata ed efficace delle confezioni e del materiale POP:

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Gruppo prevalentemente settentrionale e residente nei centri di provincia.Tendenzialmente giovane (30-40 anni), di buon livello economico.Il nucleo familiare tipico è la coppia giovane (con o senza figli).Gli acquisti sono guidati da due criteri.

A. L’esplorazione. L’impulso, la curiosità di provare nuovi prodotti, di cambiare spesso la marca acquistata. B. L’esibizione. I consumi devono dire molto dello stile di vita della famiglia.

Il che comporta:una bassa attenzione al prezzo;- un’elevata attenzione all’immagine (espressa sia nella scelta del - punto vendita che delle marche).

Il gruppo usa prevalentemente la GDO per la spesa ma i prodotti più espressivi vengono acquistati presso i canali specializzati, scegliendo tra i punti vendita di un certo livello.

RazionaliIl gruppo esprime una precisa intelligenza nell’acquisto (il suo motto potrebbe essere proprio: value for money).L’approccio è dunque fortemente razionale e valutativo di tutti gli aspetti del prodotto o del punto vendita, con un occhio alla sua effettiva convenienza.Residente soprattutto nelle grandi aree urbane.Gruppo di età media abbastanza giovane (30-40 anni), elevato livello di istruzione (è il gruppo con la maggior percentuale di laureati).Reddito familiare medio-alto.Fortissima è la presenza di impiegati e studenti.I nuclei familiari sono composti spesso da 4 persone.Ricorre intensamente alla GDO per gli acquisti anche se non disdegna l’uso dei canali tradizionali in precise occasioni.È un consumatore molto attento alla qualità effettiva dei prodotti acquistati.In questa logica attenta c’è attenzione ai negozi migliori e a una certa esploratività ragionata (attenzione alle novità).Elevata è anche l’attenzione verso le promozioni, ma solo su prodotti di effettivo interesse).

TradizionaliÈ un gruppo benestante e maturo che bada soprattutto alla qualità, nei prodotti e nei punti vendita, sulla base di criteri ormai consolidati nel tempo.Residenti nei centri medi e grandi del Nord e del Centro Italia, i suoi componenti sono di età matura.Hanno reddito elevato e livello di istruzione medio-basso.Spesso sono pensionati.

OculatiÈ uno stile caratterizzato da oculatezza e da una certa professionalità di chi ha fatto dei ruoli di responsabile acquisti e casalinga la propria attività principale.È il ritratto della casalinga tradizionale che sa valutare le performance delle marche, che sceglie il punto vendita “migliore” rispetto a ciascuna merceologia.Particolarmente concentrato nel Nord Ovest, il gruppo è costituito quasi prevalentemente da donne.Ha un’età medio-matura, un basso livello di istruzione ed un reddito medio.Prevalgono ampiamente le casalinghe.Il nucleo familiare è composto spesso da genitori con figli grandi.Utilizza sia punti vedita moderni che della distribuzione tradizionale.Mostra una rilevante attenzione alla convenienza dei prezzi e alle promozioni.Ha un approccio conservatore agli acquisti (scarsa attenzione alle novità) e molto portato al confronto tra prodotti e marche diverse.

DistaccatiScarso è l’interesse per la spesa.Gli interessi del gruppo stanno altrove.Sembra prevalere un acquisto più sulla base della comodità che su altri criteri.È ipotizzabile che il gruppo deleghi alla propria insegna della GDO molte scelte: una volta che sia stata identificata l’insegna in termini di proposta complessiva, le scelte specifiche hanno una rilevanza minore.Residenti al Nord (soprattutto Nord Ovest), il gruppo è di età tendente al giovane (circa 35 anni), di istruzione media e reddito lievemente superiore alla media.Relativamente alta la componente maschile.Svolgono prevalentemente attività professionale.Non c’è particolare investimento emotivo nella spesa, nella qualità, nella scelta dei negozi e delle marche.Disinvoltamente cambia marca, non per gusto dell’esplorazione ma per scarso interesse.Il suo riferimento è la GDO, in particolare le grandi superfici.L’attenzione verso le promozioni è di poco superiore alla media.Non sono infrequenti gli acquisti per corrispondenza (sempre nella logica della comodità).

EsibitiviStile esplorativo e benestante poco portato al controllo razionale sui propri acquisti.Spesso più attento all’esibizione e all’immagine che alla qualità di contenuto.

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vendita che per almeno 2.500 mq., sia disposta su un unico piano, un vasto assortimento di prodotti alimentari e non alimentari.L’esercizio è ubicato generalmente in zone periferiche o extra-urbane e deve disporre di adeguate aree di parcheggio.Impresa a succursali (o con catene di negozi): Impresa da cui dipendono, sotto il triplice profilo giuridico, funzionale e organizzativo, sei o più unità locali operative (esercizi) che attuano la vendita al dettaglio o la somministrazione al pubblico. (p.e. COIN, Auchan Carrefour, Pam, Esselunga).Centro commerciale al dettaglio: Complesso di punti di vendita al dettaglio e di altri servizi, promosso, concepito e realizzato con criteri unitari, che dispone di parcheggio, infrastrutture e altri servizi comuni ed i cui operatori partecipano congiuntamente alla gestione del Centro e all’adozione di comuni politiche promozionali. Vi è sempre presente un ipermercato che, per la sua funzione attrattiva è definito “magnete”.Centro commerciale all’ingrosso: Complesso di esercizi, di attrezzature e di servizi, concepito e realizzato con criteri unitari per lo svolgimento dell’attività all’ingrosso e dotato di adeguate infrastrutture per la raccolta, il deposito e lo smistamento delle merci.Cash and Carry: Esercizi all’ingrosso organizzati a self-service, con superficie di vendita superiore a 400 mq .. , ‘nei quali i clienti provvedono al pagamento in contanti, contro emissione immediata di fattura, e al trasporto diretto della merce. (P.e. Metro, Docks etc.)Gruppo d’Acquisto: Associazione fra soli grossisti o fra dettaglianti e/o pubblici esercenti (appartenenti ad uno o più settori merceologici determinati), ciascuno dei quali conserva la propria autonomia giuridica e patrimoniale, promossa principalmente al fine di realizzare acquisti e servizi anche di vendita in comune. (P.e. Despar, CRAI, Super M etc.)Unione volontaria: Forma di integrazione verticale, regolata da uno statuto ed evidenziata da un marchio comune, fra uno o più grossisti e commercianti al dettaglio e/o pubblici esercenti i quali, pur conservando singolarmente la propria autonomia giuridica e patrimoniale, si accordano dal punto di vista operativo al fine di organizzare in comune gli acquisti ed alcuni servizi per lo sviluppo delle vendite ed il miglioramento della produttività delle singole imprese aderenti. (P.e. Unvo, Vegé etc.)

Le Cooperative di consumo (Coop) e di dettaglianti (Conad) si distinguono per la finalità mutualistica volta a offrire occasioni di risparmio ai propri soci.

I Discount e gli Hard discount (Lidl, Aldi) sono tipologie di commercio fisso caratterizzate dall’obiettivo di offrire prodotti a prezzi molto più contenuti rispetto alle superfici tradizionali mediante il contenimento dei costi espositivi e delle attrezzature nonché accordi con l’industria al fine di proporre prodotti esclusivi, secondo specifiche determinate.

A queste tipologie vanno aggiunte le grandi insegne specializzate come Unieuro, Media World, Brico, Le Roi Merlin e così via, le quali offrono un panorama ampio e quasi esaustivo dell’offerta nell’ambito del loro settore di competenza (elettronica di consumo, elettrodomestici, bricolage,

Relativamente elevata anche la quota di responsabili acquisti di sesso maschile.I nuclei sono spesso costituiti da single maturi o coppie senza figli.Manifestano alta attenzione alla qualità, ai negozi migliori, alle marche note, ai prodotti fidati.Elevata anche la fedeltà.Scarsa esploratività e attenzione alle promozioni.Tende a preferire il negozio tradizionale.

Questa ricerca ci dà una visione ampia dei frequentatori di PDV tradizionali e della GD, in modo da fornirci importanti informazioni, utili per orientare strategie, tattiche e persino i toni di voce nella progettazione di materiali per i PDV, nel gergo si parla di POP, e, ancor prima, per definire la politica di marca e l’articolazione del packaging system.In genere ogni PDV ha un suo bacino d’utenza composto da responsabili acquisti attuali o potenziali, attratti dalle tecniche di merchandising messe in opera dalle diverse insegne. Ogni PDV può essere più o meno attrattivo per via dell’ampiezza dell’assortimento o per la sua convenienza. Così, dobbiamo avere molte informazioni relative al mondo della distribuzione per progettare bene. Iniziamo con i format, cioè con i diversi tipi di superfici, per proseguire poi con il basic delle tecniche di merchandising.

5. Format, formati, superfici

Il commercio si divide in attività fisse e ambulanti (i mercati settimanali). Il commercio fisso è un’attività svolta dalle seguenti tipologie di PDV:

Grande magazzino: Esercizio al dettaglio operante nel campo non alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq. e di almeno 5 distinti reparti (oltre l’eventuale annesso reparto alimentare) ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici diversi ed in massima parte di largo consumo. Nel caso di un PDV di questo tipo ma inferiore, per superficie, a 400 mq., si parla di Minimarket.Supermercato: Esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare (autonomo o reparto di grande magazzino) organizzato prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq. e di un vasto assortimento di prodotti di largo consumo ed in massima parte preconfezionati nonché, eventualmente, di alcuni articoli non alimentari di uso domestico corrente. Nel caso di un PDV di questo tipo ma inferiore, per superficie, a 400 mq., si parla di Superette.Ipermercato: Esercizio di vendita al dettaglio, organizzato prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita. L’esercizio, concepito e realizzato in una struttura edilizia destinata esclusivamente ad uso commerciale, offre, su una superficie di

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Questo è un classico supermercato “a griglia”, un format tedesco molto efficace quando si tratta di convogliare i visitatori nei diversi corridoi. Gli scaffali (detti “gondole”) sono alti e impediscono una visione ampia della superficie. Per questo il format è criticato anche se è molto conveniente nella gestione. Più avanti parleremo di come si possono impiegare gli spazi per avere dei risultati soddisfacenti in termini di vendite (o di “scontrino medio”). Per ora basterà sapere che il modello alternativo, a isole o free flow è considerato migliore perché permettendo un’ampia visuale dell’offerta mette in condizione il consumatore di orientarsi e scegliere a suoi agio.Il format a griglia è molto costrittivo e porta i visitatori ad evitare i corridoi centrali per distribuirsi lungo le aree perimetrali.

giardinaggio etc.). A queste si contrappongono le grandi superfici despecializzate come gli ipermercati.In genere parliamo di Grande Distribuzione (GD) quando vogliamo indicare le grandi imprese a succursali, le insegne come Pam, Carrefour, La Rinascente, Oviesse, Upim, Unieuro, Trony etc.. Con il termine Distribuzione Organizzata individuiamo le Unioni Volontarie e i Gruppi d’acquisto. Se ricordate, usiamo spesso il termine generico trade per riferirci a tutte queste realtà.Spesso le grandi superfici si trovano fuori del centro cittadino, in periferia o vicino a grandi vie di comunicazione. Quando si trovano in un contesto urbano, a contatto con la vita quotidiana, parliamo di negozi di prossimità.Avrete senz’altro notato l’importanza della superficie nella definizione della tipologia: la superficie è, infatti, la risorsa scarsa da ottimizzare in funzione di un giro d’affari consistente non solo nel fatturato ma anche nel costante flusso di cassa generato quotidianamente dalle vendite.Pensate che negli Ipermercati possono essere presentate oltre 40.000 referenze. In un supermercato medio sono circa 6.500. In un discount-tipo, circa 700. Obiettivo del PDV è fare in modo che il visitatore possa visionare la maggior parte delle merci esposte, in modo tale da intensificare gli acquisti, le tecniche di merchandising rispondono a questo scopo.Prima di illustrarle, sarà opportuno occuparci dei due format più importanti: il supermercato e l’ipermercato.

5.1. Il supermercato

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pari a 8,4 milioni di mq (media: 930 mq per supermercato).

5.2. L’ipermercato

L’ipermercato, di origine francese, è il grande format despecializzato. Piuttosto diffuso anche in Italia, non è però apprezzato dai consumatori italiani quanto il supermercato, che resta il format preferito.Ideale per Paesi caratterizzati da grandi pianure e con vie di comunicazione grandi e comode, permette di concentrare in una solo visita una spesa familiare vasta per quanto riguarda sia i beni di consumo e deperibili che i beni durevoli.Notate, a destra, la zona bazar nella quale potete trovare realmente di tutto, dagli elettrodomestici alla telefonia, dagli accessori per automobile alle biciclette, poi la zona del tessile (abbigliamento). A sinistra c’è il classico assortimento grocery, con prodotti alimentari e per l’igiene personale e della casa, le bevande e le isole a vendita assistita (gastronomia, macelleria, pescheria)La superficie è gestita in modo diverso da quella del supermercato in funzione della diversa esposizione delle merci.In Italia sono attivi 415 ipermercati. (superficie complessiva, 11,1 milioni di mq; media, 6.577 mq).

L’immagine dà conto di una ricerca effettuata nei supermercati a format tedesco: si nota quanto sia inferiore la percentuale di visitatori nei corridoi centrali. Con un minor numero di esposizioni alle merci, cala ovviamente il giro d’affari del PDV.

Per risolvere il problema, si ricorre al sistema detto dei “punti focali”.

Si tratta di disporre sulle gondole, in posizioni intermedie, delle referenze particolarmente attrattive per il visitatore che, in definitiva, è portato ad inserirsi nel corridoio ed a percorrerlo sino alla cosiddetta “testa di gondola” (il punto più pregiato dello scaffale) per passare poi al corridoio contiguo. 7

In Italia sono presenti 9.025 supermercati per una superficie complessiva

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6. Le tecniche di merchandising

Per quel che riguarda in questa sede la gestione dell’esposizione dei beni, il merchandising si articola in:

assortimentoa) layoutb) displayc)

6.1. Assortimento

Per assortimento intendiamo l’offerta merceologica del PDV. Grazie alla nostra esperienza, quasi quotidiana, di acquirenti di beni di consumo e durevoli sappiamo che i PDV, riguardanti la stessa merceologia, per esempio l’abbigliamento, possono presentare offerte diverse per qualità, prezzo, marche o per un concept particolare (abbigliamento di tendenza, giovanile, etc.). Se osserviamo con attenzione e un po’ di pazienza le vetrine dei negozi di una stessa città, ma ubicate in quartieri diversi per lo stile di vita e le possibilità economiche dei residenti, notiamo forti diversità.In effetti, la scelta dei prodotti e delle marche da inserire in un PDV dipende da diverse variabili, prima fra tutte l’analisi del cosiddetto Bacino di utenza del negozio in questione, poi dalla gestione dei fornitori e dalla stessa localizzazione della superficie.L’assortimento si compone mettendo assieme prodotti di una stessa merceologia o che hanno la medesima destinazione d’uso. (p.e. aspirapolvere e sacchetti per aspirapolvere; prodotti per la prima colazione, biscotti, tè, caffè etc.).Definiamo ampiezza dell’assortimento il numero di famiglie di prodotti gestite dal PDV (nel settore del bricolage troviamo utensileria, attrezzeria, materiale elettrico, articoli per auto etc.)La profondità esprime, invece, il numero di referenze (termine che identifica un prodotto preciso) presenti in ogni sottofamiglia (p.e. nel reparto del materiale elettrico troviamo pile a stilo di tipo AA, di tipo AAA, pile a mezza torcia e così via, raggruppate magari per marca).Capite già che diverse possono essere le caratteristiche del PDV secondo le diverse combinazioni tra ampiezza e profondità.Prima di tutto ricordate che la scelta del tipo del tipo di PDV, anche di una stessa merceologia, si fa in genere bilanciando l’interesse tra la prossimità, il fatto che il negozio sia vicino e raggiungibile senza difficoltà, e l’attrattività, ovverosia la particolare composizione dell’assortimento, tale da attrarre gli acquirenti anche in PDV situati in aree lontane. Vediamo ora le diverse possibilità di combinazione.

a) Assortimento ampio e gamma poco profonda In questo caso, la scelta è di rispondere al maggior numero possibile di esigenze di acquisto, però a scapito della possibilità di scelta. Prendiamo come esempio il reparto cucina: vi si troveranno diversi tipi di pentole, ma soltanto un paio per ogni tipo. Un’offerta di questo genere è tipica di alcuni ipermercati e supermercati; che grazie al numero ridotto di referenze per ogni categoria di prodotto riescono a ottenere rotazioni molto elevate. L’archetipo di questa formula è rappresentato dal punto di vendita tipo convenience store, cioè dal negozio di prossimità, “di comodità”, o “di pronto soccorso”, che per via di questo servizio reso alla clientela difficilmente pratica una politica di prezzi scontati.

b) Assortimento ampio e gamma profonda In questo caso, la scelta è di rispondere a gran parte delle esigenze di acquisto della clientela-obiettivo, offrendo nel contempo un’ampia scelta di prodotti nell’ambito di ogni categoria merceologica (e quindi numerose taglie, tinte, marche, qualità). Riprendendo come esempio le pentole, vi si troveranno tutte le marche più importanti e poi le pentole in alluminio leggero o più spesso, quelle in smalto, quelle decorate, quelle rivestite in teflon, eccetera. Questa offerta è tipica del grande magazzino a reparti. Soddisfa sicuramente tutte le esigenze di acquisto. Ma la sua gestione è estremamente pesante.

c) Assortimento ristretto e gamma poco profonda Siamo in presenza di un’offerta merceologica specializzata, ma con un’ampiezza di scelta assai limitata. Si tratta di casi un po’ particolari: il concessionario di auto che tratta una sola marca con pochi modelli, o il venditore ambulante che vende alcuni tipi soltanto di frutta, oppure il venditore di pentole collocato tra due grandi magazzini e che vende sempre gli stessi tre modelli. È un tipo di offerta che va sparendo. Il commercio, infatti, punta sempre più sulla despecializzazione (o piuttosto sulla multispecializzazione), oppure su una specializzazione molto spinta (tutti i tipi di rivestimenti per pavimento, tutti i tipi di formaggi pregiati, la viennoiserie, il giardinaggio, etc.).

d) Assortimento ristretto e gamma profondaQuesta offerta merceologica è tipica dei punti di vendita specializzati. Riesce a soddisfare una varietà limitata di esigenze, ma con un arco di scelte molto ampio. Riprendiamo ancora una volta l’esempio dei casalinghi per la cucina. In questo caso, avremo un negozio specializzato in questa merceologia, che offrirà una scelta altrettanto vasta di quella di un grande magazzino a reparti, e talvolta superiore.

In funzione delle diverse scelte, differenti saranno le strategie di comunicazione sul PDV, compresa la progettazione del materiale espositivo e il vero e proprio POP.

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6.2. Il Layout

I paragrafi dedicati al super e all’ipermercato vi hanno già mostrato degli esempi di layout. L’ambito di questo concetto comprende, quindi:

a) la definizione della superficie espositiva;b) l’assegnazione dello spazio di vendita ai differenti reparti;c) la disposizione dei reparti,d) la disposizione delle strutture e delle vie d’accesso.

In breve, si stratta di decidere quanta superficie assegnare alle diverse merceologie, come, disporre le attrezzature espositive e le varie merceologie. Anche in questo caso, tali decisioni incidono sulle scelte relative alla comunicazione sul PDV da parte sia della marca selezionata che della stessa insegna.Layout delle attrezzature e layout merceologico dovrebbero, perciò:

Orientare e disciplinare il flusso della clientela in modo da esporre a) ogni visitatore all’intero assortimento del PDV;Facilitare il processo d’acquisto, eliminando nella clientela gli b) elementi di resistenza,Affermare l’immagine e sottolineare il posizionamento del PDV;c) Razionalizzare l’attività logistica e di rifornimento.d)

Si tratta, in breve, di decidere come sistemare le gondole e i banchi per i prodotti freschi e congelati e, poi, di assegnare gli spazi alle varie merceologie. Come vedremo per il display, non ci sono regole che valgano per tutte le superfici. Si tratta di applicare quel che l’osservazione empirica e le ricerche ci suggeriscono secondo il comportamento dei visitatori in quel determinato PDV. Capite , quindi, che molto dipende dalla tipologia di superficie (negozio specializzato o supermercato, per esempio), dal bacino di utenza, dalle variazioni del comportamento d’acquisto nel tempo.Il gestore di un grosso supermercato, giusto per rimanere nella tipologia di PDV più comune e frequentata (e più gradita dai consumatori italiani) deve, perciò, valendosi dei dati forniti dal sistema informativo centrale grazie all’impiego della codifica con il codice a barre, oggi, con il sistema RFID, nel futuro prossimo venturo, può decidere come assegnare quali porzioni di superficie a quali merceologie, puntando ad ottimizzare il giro d’affari del PDV espresso dal cosiddetto “scontrino medio”.Ci sono, comunque, delle regole d’esperienza che possono essere applicate per conseguire tale obiettivo.Poco sopra, nel paragrafo 3.1., abbiamo accennato alla tecnica detta dei “punti focali o dei poli d’attrazione”, impiegata per portare il visitatore del PDV a visionare la gran parte dei prodotti offerti attirando la sua attenzione mediante la disposizione di alcune categorie di essi in determinati punti del fronte espositivo.

Le linee di prodotto di maggior richiamo per i consumatori sono:gran parte dei prodotti deperibili;a) i prodotti ad acquisto pianificato;b) le offerte speciali;c) i d) loss leader, cioè prodotti che contribuiscono all’immagine di convenienza del PDV.

Vediamo ora un insieme di regole empiriche da adattare alle diverse realtà espositive, per articolare un layout merceologico ottimale.

l’area in prossimità dell’entrata• è destinata solitamente a reparti che sottolineano il posiziona-mento del punto di vendita (ad esempio, per enfatizzare l’immagine di convenienza, nei discount i reparti con prodotti loss-leader vengono posti all’inizio del percorso della clientela nel negozio);le famiglie di prodotti a • elevata frequenza d’acquisto e rotazione sono collocate in prossimità dell’entrata (si ritiene che convenga far sì che il cliente inizi ad acquistare appena entrato nel negozio, così da eliminare eventuali resistenze all’acquisto);vengono • distanziati e non posti in sequenza i reparti con una elevata capacità di attrazione per evitare aree congestionate (la stessa soluzione vale per i reparti a scarsa affluenza, onde evitare aree scarsamente frequentate);sono • sfruttate le relazioni di complementarietà nell’organizzare la sequenza dei reparti (in un’ottica di servizio e di stimolo all’acquisto);sono proposti percorsi alternativi• (l’organizzazione di un unico flusso ha delle implicazioni negative sulla clientela);

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i prodotti ad acquisto d’impulso sono disposti in prossimità •delle linee a forte richiamo e nelle aree dove è maggiore la concentrazione del flusso di traffico;viene assegnata un’• area pregiata ai reparti a carattere stagionale e ai reparti che stanno registrando consistenti tassi di espansione del fatturato ed una redditività superiore alla media;sono • isolati dal flusso principale della clientela i repartiche offrono prodotti il cui processo d’acquisto è articolato e richiederiflessione;la diversa produttività delle aree di vendita è coordinata con la • diversa redditività dei prodotti al fine di evitare che prodotti ad elevato interesse (per il punto di vendita o per il consumatore) si concentrino nelle aree di maggiore produttività o, viceversa, che prodotti marginali si trovino in aree di scarsa produttività;l’attenzione agli aspetti logistici ed ai costi di rifornimento porta • ad ubicare i prodotti deperibili, i prodotti pesanti e di grossa dimensione (come ad esempio i detersivi) il più vicino possibile all’area in cui sono immagazzinati.

Il PDV deve essere in ogni caso agevolare la decisione di acquisto del visitatore fornendogli le giuste informazioni ( sul prezzo, sulla qualità, ecc.). Come già è stato posto in evidenza, la logica di base del layout merceologico consiste nel costruire delle aggregazioni merceologiche finalizzate alla soddisfazione di specifici bisognidella domanda. Le regole espositive sono alquanto semplici, mentre la difficoltà consiste nella scelta del criterio più adatto alle diverse caratteristiche merceologiche dell’ offerta, alle specificità del bacino di utenza, cioè della domanda, e al contesto competitivo. L’assortimento viene disposto lungo gli scaffali seguendo una connessione logica tra reparto/settori/famiglie/prodotti. Il legame tra le diverse componenti dell’assortimento può essere di affinitàmerceologica, di occasione d’uso, di tipo persuasivo, ecc.Il primo consiste nel disporre i prodotti in modo da seguire un ordine dato da un’affinitàdiorigine,natura,omododiconservazione. Tale criterio agevola l’individuazione del prodotto, pertanto si rileva particolarmente adatto all’esposizione di prodotti ad acquisto programmato. Il criterio del momento d’uso (o occasione d’uso) propone una logica di aggregazione basata su un eventuale utilizzo comune dei vari prodotti. Infatti, il consumatore sarà aiutato nella scelta e apprezzerà le soluzioni in cui tutti gli articoli, legati da una «parentela» di utilizzazione, sono raggruppati in sezioni omogenee. La clientela in generale apprezza che la disposizione rispecchi un ordine logico, funzionale alle sue esigenze. La presentazione può conferire uno stimolo ulteriore all’acquisto: risulta così particolarmente efficace nel caso dei prodotti complementari (p.e. Latte – zucchero – biscotti)

Il criterio della movimentazione suggerisce di rendere dinamica l’esposizione, introducendo elementi di rottura allo scopo di evitare che il cliente risulti annoiato da un’esposizione piatta e uniforme. La soluzione non è semplice, in quanto in definitiva si tratta di equilibrare due esigenze contrapposte: quella di facilitare la ricerca del prodotto con un’esposizione semplice, lineare, chiara e quello di rompere la monotonia, creando degli stimoli che rinnovino l’interesse del consumatore.Se avete fatto la spesa in supermercati di diverse insegne, avrete notato che si possono seguire criteri diversi a seconda delle superfici, delle diverse ubicazioni dei PDV e anche secondo le vocazioni più o meno orientate al cliente. Si ritiene, per esempio, che l’utilizzo del layout a griglia nei supermercati sia troppo costrittivo e impedisca una visione ampia e immediata dell’offerta del PDV.Per questo le insegne più sensibili alle esigenze del cliente combinano le classiche gondole del sistema tedesco con esposizioni a isola (v. figura nella p. seguente), come è il caso di un nuovo PDV Coop del quale vi parlerò più avanti.

Per finire, vediamo come si può verificare l’efficacia di un determinato layout.A parte le verifiche di carattere economico-finanziario e le comparazioni degli scontrini-medi, la tecnica di ricerca comunemente impiegata analizza il flusso del traffico nei diversi reparti e tra le gondole mediante il conteggio dei passaggi, degli acquisti e delle operazioni intermedie per ottenere i seguenti indici di valutazione.1 L’indice di passaggio: numero di persone che passano di fronte ad un reparto o una famiglia di prodotti/numero di persone entrate nel punto di vendita x 100 2 L’indice di interesse: numero di “arresti”/numero di passaggi x 100 3 L’indice di manipolazione: numero di “prese in mano”/numero di arresti x 100 4 L’indice d’acquisto: numero di acquisti/numero di “prese in mano” x 100 5 L’indice di attrazione: l’indice di acquisto/l’indice di passaggio x 100In tal modo è agevole confrontare l’andamento degli acquisti stimolato da un certo layout, confrontandolo con i risultati ottenuti con un altro tipo di sistemazione merceologica, mantenendo, ovviamente, i presupposti di base (p.e. comparare flussi di traffico nelle stesse fasce orarie di giorni critici come il sabato o il venerdì).

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6.3. Il display

Penso che ognuno di voi abbia riscontrato, in occasione di acquisti in un supermercato, quanto mutevole sia la disposizione delle referenze negli scaffali. In alcune insegne, notiamo quanto siano immediatamente visibili i prodotti con il marchio dell’insegna stessa (Coop) o con un marchio di fantasia che non fa parte delle grandi marche (perché in realtà appartiene all’insegna, p.e. “i tesori dell’arca” del gruppo PAM- Panorama). In altre notiamo subito i prodotti di marca. In altre ancora si tende a dare particolare evidenza a prodotti piuttosto convenienti (i cosiddetti “primi prezzi”).La stessa considerazione vale per la sistemazione relativa al lineare, vale a dire al centro o agli estremi dello scaffale.Ledecisionisull’allocazionedellereferenzesulloscaffale,secondole direttrici verticale (“altezza occhi”, “altezzamani”, “altezzasuolo”) sono critiche tanto quanto quelle relative al layout. Anche in questo caso, la combinazione dell’osservazione empirica, delle ricerche sul comportamento d’acquisto, dell’esperienza del gestore del PDV e di raffinati calcoli economico finanziari sui margini di profitto ottenibili dai diversi modi di esposizione portano a scelte che possono essere diverse non solo tra insegna e insegna ma anche tra i PDV di ognuna di esse.Non dimentichiamo, poi, le politiche di collaborazione con le marche industriali o la volontà di privilegiare le proprie marche (le private label o marche private).In genere, per quanto riguarda l’altezza suolo, si preferisce esporvi articoli di forte attrazione o quelli più necessitati (sempre buoni per ravvivare gli “angoli morti” come olio, zucchero, sale. detersivi etc.), tra l’altro portano il visitatore ad abbassare gli occhi ed a percorrere con lo sguardo lo spazio espositivo ; prodotti voluminosi e confezioni giganti; confezioni a leggibilità verticale.

La velocità media di percorrenza del visitatore è di circa 2 km all’ora.

La “signora Maria” percorre, quindi, circa due metri ogni secondo durante la fase di osservazione dell’offerta: un ottavo di secondo per prodotto, circa. Occorre attirare subito la sua attenzione perché possa visionare al meglio l’offerta del PDV. Ovviamente le referenze disposte ad “altezza occhi” sono quelle più evidenti, per cui lì saranno esposte le marche privilegiate dalla politica dell’insegna o del PDV, quei prodotti che possono portare a un acquisto non pianificato, che non abbisogna di ponderazione o addirittura d’impulso. Tutto dipende dalla posizione dello scaffale secondo le decisioni inerenti al layout.Fondamentale, quindi, se non indispensabile, una politica di comunicazione sul PDV orientata all’impiego di materiale POP per dare enfasi a determinate referenze o famiglie di beni, secondo gli obiettivi promozionali dell’insegna o della marca industriale.Un semplice cartellino posto ortogonalmente rispetto allo scaffale (il cosiddetto stopper), è in grado di attrarre l’attenzione del visitatore. Se contiene un’indicazione o un’offerta allettante (un taglio prezzo, per esempio) può diventare tanto interessante da portare all’acquisto. Pensiamo allora ad altro materiale studiato in modo da sollecitare l’attenzione dei visitatori secondo le note leggi della percezione e ci rendiamo conto dell’importanza della progettazione di un buon designer grafico nel tentativo di rendere più attrattivo un PDV e la sua offerta.Prima di passare all’analisi delle iniziative che possono essere promosse dalla marca industriale per vivacizzare le vendite dei suoi prodotti, diamo un‘occhiata ad un eccellente esempio di merchandising della Coop, la più importante insegna, per giro d’affari – e non solo – nel panorama della grande distribuzione italiana.

› Il concept store “Tutto Coop solo food”.Per concept store intendiamo un PDV allestito per la completa e coerente declinazione dell’immagine di una marca mediante l’esposizione dei suoi soli prodotti in un contesto ispirato ai suoi valori fondamentali (p.e. vedete i concept store di Diesel e di Timberland). Il coinvolgimento del visitatore è perciò ovvio e certamente maggiore rispetto a quello stimolato da un normale PDV.Coop Consumatori Nordest ha realizzato Tutto Coop Solo Food, nuovo concept store incentrato sui prodotti a marchio Coop, che coprono il 100% dell’offerta. Luogo d’esordio è Parma, all’interno del centro commerciale Euro Torri, struttura fino a ieri con un profilo d’offerta esclusivamente non food.Sui 200 mq di superficie di vendita del nuovo PDV, collocati appena dopo l’ingresso principale, sono esposte circa 1.000 referenze, rappresentative di tutte le famiglie merceologiche coperte dall’offerta a marchio Coop.

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L’assortimento si concentra sui prodotti alto vendenti, fornendo un’elevata visibilità tanto al prodotto quanto ai relativi accessori. Particolare attenzione è stata posta agli articoli per l’infanzia e per celiaci, oltre che a quelli tipici e del territorio, come dimostra l’offerta di birre artigianali e di etichette di pregio. Disponibile anche una buona scelta di piatti pronti freschi preparatinel laboratorio del vicino Ipercoop.

Con un layout semplice e informale e un’atmosfera quasi “casalinga”, Tutto Coop Solo Food vuole offrire ai suoi frequentatori un’atmosfera più intima e votata all’eccellenza, nella quale rapidità nel fare la spesa, qualità dei prodotti e occhio al risparmio non sono concetti antitetici. Per maggiore chiarezza, il display del negozio non utilizza la consueta suddivisione per famiglia merceologica, bensì le diverse linee che segmentano l’offerta di prodotti a marchio Coop: Viviverde, Fior fiore, Solidal etc.,vengono singolarmente valorizzate, nei diversi scaffali, per dare maggior risalto ai contenuti valoriali di ogni singolo sottobrand.

7 Il merchandising della marca industriale

Ricordo di aver notato, mentre stavo facendo le spese in un supermercato, un paio di signori che disponevano con cura un grosso espositore di cartone colorato con diversi prodotti a base di cioccolato in un’area prossima alle casse. Si trattava di due merchandiser della Ferreo che stavano allestendo un floor stand decorato con i marchi esposti (da Duplo a Kinder Bueno, da Pocket Coffee ad altre declinazioni delle famose merendine della marca di Cuneo). Questa tipologia di display (in questo caso usiamo il termine come generico indicatore di tutte le soluzioni cartotecniche idonee a contenere ed esporre diverse referenze di uno o più marchi) consiste in un grosso cartone che, una volta, aperto di trasforma da contenitore, ottimo per la conservazione e il trasporto, a espositore. La collocazione fuori degli scaffali permette una forte visibilità ed una notevole capacità di attrarre l’attenzione del consumatore, facilmente coinvolgibile in acquisto d’impulso.I due funzionari commerciali lavoravano ovviamente in base ad un accordo tra Ferrero e Coop ed erano tanto attenti quanto esigenti nel sistemare il display nel luogo stabilito e sicuramente saranno tornati diverse volte, durante il periodo concordato, per verificarne il buono stato nonché la sostituzione delle referenze acquistate, in modo da presentarlo sempre pieno.Avete capito che la presentazione attiva dei prodotti riguarda, a maggior ragione, anche l’industria di marca, che negozia costantemente con la distribuzione per ottenere un vantaggio espositivo a favore della propria offerta.I merchandiser di Ferrero, molto precisi e agguerriti, pretendono dall’insegna il rispetto puntuale degli accordi perché sono consapevoli dell’importanza della comunicazione sul punto di vendita per incrementare gli acquisti dei consumatori.Se torniamo ai brani citati nelle prime pagine, notiamo che negli anni ’60 bastava esporre i prodotti sugli scaffali per ottenere una reazione positiva da parte del visitatore. Allora si veniva da periodi di penuria di beni, per cui ci si contentava facilmente di quel che si trovava in quei luoghi dove la merce faceva parte di un nuovo spettacolo.Oggi il consumatore/cliente è molto più esperto e selettivo, avendo maturato la propria esperienza di acquisto in un periodo di saturazione del mercato segnato da una forte competizione tra le marche, comprese le private label, così la sua attenzione deve essere catturata, il suo interesse stimolato, il suo comportamento disciplinato grazie alle tecniche espositive curate dalle insegne, esaminate nel capitolo precedente, ma anche grazie ad iniziative delle marche industriali, le cosiddette strategie push, cioè di spinta.

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Con la pubblicità, una marca come la Ferrero attua una strategia di attrazione verso la marca, detta strategia pull, motivando il consumatore all’acquisto. Ma, una volta nel PDV, questi trova altre marche concorrenti, Mulino Bianco tra tutte, e può decidere un acquisto a loro vantaggio. Occorre perciò un insieme di iniziative che “spingano” la marca Ferrero verso il potenziale acquirente, completando l’opera di persuasione iniziata con la pubblicità che, come sappiamo, lavora sugli atteggiamenti sedimentando un’immagine favorevole della marca nel vissuto dei consumatori. La combinazione di strategie push e pull è la soluzione ottimale per ottenere buoni risultati sui PDV.Passiamo, ora, ad alcuni esempi di POP di marche molto note.

Ecco un esempio di floor stand, espositore appoggiato al pavimento per i “Baiocchi” di Mulino Bianco. Notate la forma dell’espositore (tenete conto che nel gergo, qualsiasi tipo di espositore viene anche detto display) che ricorda quello dell’incarto. Spesso questo tipo di iniziativa è in funzione del lancio del prodotto, proposto magari con una promozione di prezzo. La posizione preferita è in prossimità delle casse, oppure in un angolo bene in evidenza nello spazio del layout dedicato alla categoria.

Questo espositore di Negroni non mostra dei prodotti, ma un regalo ottenibile con una collezione o raccolta punti.

Gli “Sgranocchi” di Mulino Bianco, promossi sul PDV con una locandina, folder da distribuire e uno stopper (in basso), cartellino da sistemare sullo scaffale in prossimità del prodotto per catturare l’attenzione del visitatore e, “stopparlo” affinché valuti l’offerta.

Ecco un esempio di crowner, da sistemare sopra lo scaffale, ovviamente nella categoria “prima colazione”. Ha il compito di attirare l’attenzione del visitatore quando si trovi in prossimità della categoria.

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Un esempio di “strutture fredde”, frigoriferi da esposizione decorati con il marchio Motta.

Una in store promotion di Buitoni che presenta diverse applicazioni di POP.

Molto interessante questa in store promotion multimarca di Nestlé, tutta dedicata alla category “prima colazione”.

8. Per finire... dove andremo a finire?

Durante il IV Consumer & Retail Summit (Milano, 12 ottobre 2010), sono stati evidenziati alcuni trend di consumo nel mondo e in Italia.Dieci i cambiamenti che si rifletteranno maggiormente nel nostro Paese:

meno importanza del 1. mainstream, cioè delle tendenze medie, verso una polarizzazione dell’offerta tra convenienza e lusso (trading down – trading up)più attenzione al benessere;2. crescente ruolo decisionale delle donne;3. invecchiamento della popolazione;4. crescita dei prodotti verdi e biologici;5. più importanza del (poco) tempo libero;6. connettività e social network;7. richiesta di prodotti personalizzati;8. aumento dell’immigrazione;9. un miliardo di consumatori in più nel mondo, che, piaccia o 10. meno, ci sottrarranno risorse.

Per quanto riguarda la distribuzione, assisteremo senz’altro a una valorizzazione dei negozi di prossimità, alla specializzazione di piccole superfici, all’incremento dell’offerta di tipo etnico.

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› La riscoperta dei negozi di prossimitàDonne che lavorano, invecchiamento della popolazione, crescita dei single, aumento della benzina e conseguente riduzione dell’uso delle auto: tutti fattori che spingono con sempre maggior vigore l’affermazione di formule di vendita con un forte contenuto di servizio. È il nuovo volto della prossimità nel contesto europeo, sempre più “ispirata” al modello inglese di convenience, che, soprattutto le insegne francesi -Carrefour e Monoprix in testa, cui si aggiungono firme come Billa e Delhaizengroup e Louis Delhaize- stanno traducendo in nuove segmentazioni, differenziate per location, prezzi, porzioni di assortimento e servizi. L’assortimento – tipo punta su confezionati refrigerati e pronti da cuocere e da mangiare, oltre a frutta e verdura venduta a 1 euro al chilo.

› Un caso italiano di negozio di prossimitàResistono nel tempo quei negozi della tradizione che hanno saputo evolvere in parallelo con gli stili di vita. Dino Abbascià e i suoi fratelli hanno creato il Frutteto, in Corso di Porta Nuova 48, che già a fine anni ‘80 proponeva verdure prelavate e tagliate, macedonie, mini frutti esotici e che ha continuato ad affiancare i clienti con innovativi servizi, giunti fino all’organizzazione di vegetable party e catering originali.

La sua evoluzione oggi include anche la spesa on line, resa possibile dall’implementazione di tecnologie sofisticate, che consentono, tra l’altro, l’acquisto by web tramite lo shop valet, un software che permette al cliente di “vedere” e scegliere da casa propria il prodotto (precisamente quello): una sorta di shopping in videoconferenza.Oltre a ciò, il cliente può avvantaggiarsi dell’ampliamento dell’assortimento virtuale di 1.500 referenze (a prezzi competitivi, poiché “agganciati” a un centro di distribuzione locale), che include la consegna gratuita a domicilio.Avete visto? Un negozio tradizionale si adegua al cambiamento e compete con le grandi insegne. Grazie ad una intelligente applicazione delle tecniche di marketing.