Marianne Enckell - La Federazione Del Giura

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Anarchism

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Edizioni La Baronata

Già pubblicati

M. Bakunin GLI ORSI DI BERNA E L’ORSO DI PIETROBURGO con prefazione di James Guillaume Dall’analisi della più vecchia democrazia borghese - La Svizzera - un’acuta e attua­le critica dello ST ATO e del POTERE, pagg. 80 frs. 4.50

F. Ferrer LA SCUOLA MODERNA (e scritti sin­dacalisti) e di J. Wintsch La Scuola Ferrei di Losanna (1910-1919) con introduzione di Mario Lodi Prime pratiche anti-autoritarie e liberta­rie nell’insegnamento patrocinate dal sin­dacalismo rivoluzionario in Spagna e in Svizzera.pagg. 303, frs. 15.-

Di prossima pubblicazione:

L. Bertoni SCRITTI SCELTI

AA.VV. L’ANTIMILITARISMO ANARCHICO IN SVIZZERA

AA.VV. IL SINDACALISMO RIVOLUZIONA­RIO IN SVIZZERA

Ottenibili dietro pagamento anticipato presso:Edizioni La BaronataCasella Postale 226906 LUGANO 6 " (Svizzera)Conto chèque postale 69-9379 Lugano.

Marianne Enckell

(Lajederaziotie del Giura

introduzione di Pier Carlo Masini

Edizioni La Baronata

Titolo originale: LA FÉDÉRATION JURASSIENNE, Losanna 1971.Traduzione dal francese di Gianpiero

La versione definitiva è stata curata dal gruppo La Baronata

Edizioni La Baronata Casella postale 22 6906 Lugano 6 (Svizzera)

Le Edizioni La Baronata si propongono la pubblicazione di li­bri anarchici e libertari riguardanti ricerche sul Movimento Anarchico, particolarmente quello svizzero, traduzioni e reprint di opere di anarchici, problemi di attualità.

Con le nostre pubblicazioni non ci proponiamo nessun profit­to e invitiamo a collaborare tutti coloro che non vogliono identi­ficarsi né con la borghesia e la religione né tantomeno con la tec­no-burocrazia e il dilagante conformismo marxista.

Finito di stampare nel mese di aprile 1981 per conto delle Edizioni La Baronata presso La Cooperativa Tipolitografica Via S. Piero 13/a - Carrara

INDICE

Introduzione di Pier Carlo M asini....................Note dell’autrice all’edizione italiana............... 11«La Jurassienne», canzone ............................... 13

CAPITOLO PRIMO1. L’Associazione intemazionale dei lavoratori 172. La situazione economica della Svizzera ---- 213. La situazione politica e socialedella Svizzera........................................................... 25

CAPITOLO SECONDO1. I primi ann i......................................................... 292. I conflitti nella federazione rom anda........... 393. La ricerca di una identità............................. 554. I ribelli: la Federazione del G iura................ 645. La consacrazione della rottura .................... 80

CAPITOLO TERZO1. Il patto di Saint-Imier................................... 892. La rivoluzione dalla statistica ...................... 973. Unioni e disunioni........................................ 1044. L’organizzazione.......................................... 1105. Bakunin, gli ultimi a n n i ............................... 1266. Propaganda e agitazione............................... 1347. La fine dell’A IL ............................................ 146

CAPITOLO QUARTOLa costituzione di una ideologia............................. 154

Elementi bibliografici— ........................................ 160

INTRODUZIONE

Il Giura - imperativo del verbo «giurare» - giungeva ai primi internazionalisti italiani come un nome carico di fascino e di mistero: terra alta d’Europa, fredda, boscosa, romantica (anzi si dice che la parola «romantico» nel si­gnificato moderno sia stata usata per la prima volta da Rousseau proprio nelle sue «Promenades d’un penseur solitaire» all’lle de Saint-Pierre) ma soprattutto terra ospitale. Lo sapevano i repubblicani italiani che ricorda­vano l’esilio di Mazzini a Grenchen, dopo la sfortunata spedizione di Savoia (1834), in quell’ambiente che un al­tro italiano, Giovanni Ruffini, rievocherà nel romanzo «Un tranquillo angolo del Giura» (1867).

Questa ed altre ragioni propiziarono le relazioni di amicizia e di solidarietà che nella stagione della Prima In­ternazionale si stabilirono fra italiani e giurassiani. Una storia di questi rapporti è ancora da scrivere ma basta sfo­gliare la raccolta del «Bulletin de la Fédération Jurassien- ne» o i volumi de «L’Internationale» di James Guillaume (di cui ora Marc Vuilleumier ha felicemente e amorosa- mente curato la ristampa anastatica) per misurare lo spes­sore delle reciproche influenze ideali. Del resto la stessa polizia italiana nelle sue inchieste e nei suoi rapporti in­dividua e riconosce abbastanza presto il ruolo del Giura

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come centro di irradiazione e di propaganda internazio­nalista, ai suoi occhi assai più pericoloso del lontano Consiglio Generale di Londra.

In effetti, come si sa, questa potente e temibile centrale cospirativa del Giura si riduceva al lavoro prodigioso di James Guillaume e di pochi altri collaboratori, impernia­to sulla tipografia di Neuchâtel. Questo fatto tecnico - la disponibilità di un impianto tipografico - fu probabil­mente una delle ragioni principali degli stretti rapporti di cooperazione che vennero ad istaurarsi fra giurassiani e italiani (fu in quella tipografia che si stampò il numero unico in lingua italiana «La rivoluzione sociale» nel set­tembre 1872 con i deliberati del congresso di Saint- Imier).

Successivamente Guillaume esercitò una sua influenza personale di promozione e di orientamento sulla federa­zione italiana dell’Internazionale nel senso di un richia­mo ad un programma d’impegno sociale nella prospettiva del federalismo libertario. Su questo piano va posta la buona accoglienza che ebbe in Italia il suo saggio «Idee sull’organizzazione sociale» pubblicato a Bologna nel 1877. L’influenza di Guillaume in Italia non si limita al periodo degli anni settanta, ma, dopo un salto di trentan­ni, riemerge nel Novecento con la sua collaborazione alla rivista «Il Pensiero» e al giornale «L’Intemazionale», fino alla sua pur discutibile simpatia con i sindacalisti rivolu­zionari fautori dell’intervento. Questo secondo Guillau­me ripropone in termini sindacalisti le istanze che erano uscite dal focolare giurassiano ai tempi di Bakunin e col­lega l’esperienza delle correnti anti-autoritarie che nella Prima Intemazionale erano insorte contro la dittatura del Consiglio Generale con quella dei movimenti autonomi­sti e d’azione diretta che ora si oppongono all’egemonia della Seconda Intemazionale sul movimento operaio. Se

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questa egemonia venne scossa e comunque limitata anche in Italia, lo si deve all’azione che Guillaume, insieme a Monatte e altri, svolse in quegli anni conferendo ancora una volta come nel 1871-1872 una dimensione interna­zionale all’iniziativa degli anarchici e dei sindacalisti ri­voluzionari italiani.

Marianne Enckell con il libro che qui presentiamo ri­sponde a due esigenze, molto sentite anche dal pubblico e dagli studiosi italiani: quella di avere a disposizione un agevole compendio dell’esperienza giurassiana, collegata alle vicende di tutta l’Internazionale anti-autoritaria e quella di approfondire la ricerca sulle idee e il program­ma dei giurassiani, il loro originale apporto al pensiero libertario.

Giova molto alla lettura di questo lavoro il tono piano, espositivo, quasi didattico che porterà oltre la ristretta cerchia degli specialisti questa storia meravigliosa di bat­taglie ideali e degli uomini in esse impegnati. Per la storia delle idee invece mi sembra che tre punti siano da porre in evidenza: la rivalutazione del sociale in rapporto al po­litico, soprattutto in contrasto con le correnti della demo­crazia radicale svizzera; il costante riferimento al movi­mento dei lavoratori e alla condizione operaia quali basi naturali dell’anarchismo; il principio di autonomia inteso nel senso dell’indipendenza del movimento operaio orga­nizzato dai partiti, dai parlamenti e dai governi, con tutte le sue potenzialità creative e la capacità di auto-educa­zione che gli viene dalla lotta di classe. Sono idee, come ho già detto, che faranno strada ma che prendono l’avvio in questo clima e in questo ambiente.

I guastafeste svizzeri del Giura svegliarono molto coscienze ma soprattutto non fecero dormire sonni tran­

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quilli ai grandi capi, come Marx ad esempio, che nel suo epistolario ha lasciato ricorrenti segni della sua inquietu­dine e della sua irritazione. Il fuoco acceso sui monti da questo piccolo nucleo di militanti illuminò a lungo la sce­na, ben oltre i confini del loro piccolo paese, dimostrando ancora una volta quale forza possano avere loro spirito d’iniziativa.

Palazzago, febbraio 1981Pier Carlo Masini *

* Pier Carlo Masini, nato ne! 1923, si occupa da anni dei movimenti so­ciali e politici dell'Italia contemporanea, con particolare riguardo alle correnti democratiche, socialiste e libertarie. Collabora alla rivista «Cri­tica sociale» ed è autore della Storia degli anarchici italiani (1969), della biografia di Carlo Cafiero (1974), di Poeti della rivolta (1978) e de / lea- ders del movimento anarchico ( 1980).

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NOTE DELL'AUTRICE ALL'EDIZIONE ITALIANA

Questo libro è stato scritto dieci anni fa. Da allora ho continuato a studiare e ad occuparmi della Prima Inter­nazionale, di Bakunin, dei Giurassiani. Ma pure di altre cose: in particolare dell’importanza nel mondo attuale di queste tematiche e strategie vecchie di cento anni, della loro possibilità di applicazione, della loro necessaria riva- lutazione.

Ma il libro è terminato: non ho l’intenzione di riscri­verlo. Sicuramente è incompleto - alcuni archivi sono ri­masti inesplorati, nuove ricerche sono state pubblicate - e a volte è troppo rapido, particolarmente l’ultimo capito­lo. Mi auguro comunque che abbia aperto e che apra nuove strade, che possa mostrare la nascita del movimen­to anarchico nella società in via di industrializzazione del XIX secolo, nelle sue lotte operaie e nella famiglia (non senza conflitti) delle teorie socialiste.

Dopo la pubblicazione in lingua francese di questo li­bro, alcuni anniversari hanno dato l’avvio a convegni, e di conseguenza a pubblicazioni che completano o appro­fondiscono altri aspetti di questo periodo. 11 centenario della Conferenza di Rimini (4-6 agosto 1872), che segnò la nascita della sezione italiana delPIntemazionale, è sta­to celebrato dapprima dal movimento anarchico, 0) in se­guito dal comune di Rimini. <2) I due volumi inerenti, con i contributi di Cerrito, Masini, Valiani, Lehning, Rose e la pubblicazione di documenti-chiave dell’epoca, sono utilmente complementari.

Il 1976, centenario della morte di Bakunin, è pure l’an­no in cui venne promosso il primo convegno intemazio­nale organizzato dal Centro Studi Libertari Pinelli e dalla

(0 La Rivolta Antiautoritaria, numero speciale di Volontà, settembre-ottobre 1972, pagg. 208.

(2) Anarchismo e socialismo in Italia (1872-1892), Editori Riuniti.Roma 1973, pagg. 321.

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Fondazione A. Carocari, <3> con il titolo Bakunin, cen­t'anni dopo. Il volume degli atti (4> contiene testi e discus­sioni (non esenti da polemiche) di una serie di professio­nisti e di militanti, anarchici e non.

L’anno seguente l’Istituto di Studi Slavi dell’Università di Parigi invitava a sua volta specialisti e interessati attor­no al tema Bakounine, combats et dèbats. <5) Se vi si tro­vano i nomi di Lehning, Guérin, Vuilleumier o il mio, al­tri autori e altre ricerche meno conosciuti negli ambienti anarchici apportano nuovi elementi di conoscenza o di analisi, centrati comunque sulla persona di Bakunin, più che sul suo tempo.

Vorrei infine segnalare, particolarmente negli articoli di Nico Berti (*) e i dibattiti che hanno suscitato, lo svi­luppo di una storia e di una storiografia anarchica che spinge alla riflessione del nostro tempo e della nostra me­moria, del nostro presente e delle nostre fonti di ricerca. Per troppo tempo ci siamo trincerati nella storia agiogra­fica e polemica, contribuendo ad edificare un puro Pan­theon, dove regnava un’idea dell’anarchia cristallizzata in eterno. Nel campo opposto, la storia borghese e la storia stalinista usavano tranquillamente la gomma e il belletto. Per fortuna, attualmente, la situazione si sta evolvendo: le divergenze essenziali sussistono, come sussiste la lotta di classe, come continuano le guerre, ma le storie che ci ven­gono raccontate iniziano a rassomigliare un poco più alla realtà. Ovviamente con le sue contraddizioni, le sue im­perfezioni, le sue premonizioni, i suoi temporali e i suoi arcobaleni.

Marianne EnckellGinevra, dicembre 1980

(3) I temi degli altri convegni sono i seguenti: I nuovi Padroni (1978).Autogestione: utopia riformista o strategia rivoluzionaria (1979).Consenso, dissenso, repressione (1980), Utopia, sogno d'anarchia(1981).Edizioni Antistato, Milano 1977, pagg. 469.

(3) Institut d'études slaves, Parigi 1979, pagg. 256.in particolare «L’anarchismo: nella Storia ma contro la Storia», In-terrogations No 2, 1975.

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LE CHANT DES OUVRIERS (LA JURASSIENNE) (paroles de Charles Relier, musique de James Guillaume)

Ouvrier la faim te tord les entrailles Et te fait le regard creux,Toi qui sans repos jii trêve travaille Pour le ventre des heureux.Ta femme s’épuise et tes enfants maigres Sont des vieillards à dix ans;Ton sort est plus dur que celui du nègre Sous le fouet abrutissant!Nègre de l’usine, forçat de la mine,Ilote du champ, ouvrier debout!

RefrainOuvrier prends la machine,Prends la terre paysan!Ouvrier prends la machine,Prends la terre paysan!

Qu’on donne la terre à qui la cultive,Le navire au matelot,Au mécanicien la locomotive,Au fondeur le cubilot.Et chacun aura ses franches coudées,Son droit et sa liberté,Son lot de savoir, sa part aux idées,Sa complète humanité!

(au refrain)

LA FEDERAZIONE DEL GIURA

CAPITOLO PRIMO

1. L'ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI

Non giudichiamo ciò che succederà nel nostro paese né dal successo,. né dall'im­portanza dell’impresa. Non esiste certa­mente paese in Europa dove essa ha meno probabilità di successo. Più preci­samente non ci sarebbe nessuna que­stione sociale in Svizzera, se non ne fos­sero coinvolti i paesi che la circondano.

(James Guillaume)

L’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL) è la prima organizzazione che dichiara esplicitamente che «l'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi», corrispondente al desiderio di Marx di dieci anni prima: Proletari di tutto il mondo, unitevi! Queste due componenti, il carattere di classe e il desiderio di univer­salità, non furono mai assunti precedentemente da nessu­na organizzazione. Fondata nel 1864, l’AIL sviluppa du­rante dieci anni una rete di sezioni nei paesi dell’Europa occidentale; decine di migliaia di operai vi fanno riferi-

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mento. Nella forma originale essa permetteva tutte le in­venzioni, tutti gli ardori; attraverso i meandri dell’azione operaia, con errori e scoperte, essa condurrà la classe ope­raia alla coscienza della propria esistenza, alla conoscen­za della propria forza.

Ciò che è successo in Svizzera è molto piccolo. Nel Giura, più precisamente nella Valle di St. Imier e nelle borgate neocastellane, ci furono per alcuni anni gruppi anarchici, attivi propagandisti, con un uditorio che supe­rava certamente le montagne del Chasseral e del Chau- mont. Costoro si denominarono Federazione del Giura; contribuirono alla formazione del movimento anarchico, in quanto furono tra i primi gruppi mai esistiti, con una base autenticamente operaia. Come si sono costituiti, in quale ambiente si sono inseriti, quale parte hanno avuto nella vita dell’AIL, come si sono differenziati dalle altre tendenze del socialismo, ecco ciò che questo libro cerca di spiegare, con la grande ambizione di raccontare una sto­ria vera.

La storia dell’anarchismo si sbarazza difficilmente delle malevolenze e delle incomprensioni degli avversari, delle mitologie e delle favole dei suoi zelatori. Il movimento trarrà maggior profitto se si mostrano i suoi tentennamen­ti, i suoi errori, i suoi desideri confrontati con la realtà, la lunga ricerca della sua identità.

Non è questo il luogo per scrivere la storia dell’AIL; si tratta semplicemente di presentarne i principi e l’organiz­zazione, per poi esaminare le sezioni svizzere che deside­ravano seguire una via autonoma e la corrente collettivi­sta che si sprigiona a poco a poco dall’esperienza della lotta operaia e dai confronti ideologici.

Nel settembre 1864, a Londra, si costituisce l’Associa­zione intemazionale dei lavoratori; alcune settimane più tardi l’organo esecutivo, il Consiglio generale, adotta l’In­dirizzo inaugurale, gli Statuti e i regolamenti redatti da

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Marx. Il Consiglio generale è composto da operai di di­verse nazionalità e funge contemporaneamente da ufficio di corrispondenza e da comitato centrale dell’Associazio­ne. In Inghilterra, in Francia, in Svizzera, in Danimarca, in Belgio, nei Paesi Bassi, in America, in Spagna, più tar­di in Italia, si creano sezioni dell’AIL - sezioni centrali o locali e sezioni di mestiere - che si riuniscono in federa­zioni regionali e nazionali. Il Consiglio generale riceve l’informazione, la ridistribuisce, organizza i congressi an­nuali, organi supremi dell’Associazione; può anche consi­gliare le sezioni nei casi di rivendicazioni, di azioni, di scioperi.

L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavorato­ri stessi; per realizzare questo principio occorre una soli­darietà attiva tra gli operai delle diverse professioni e del­le diverse regioni. Il movimento spontaneo che nasce nei paesi industrializzati mostra chiaramente che è arrivato infine il momento storico per gettare le basi di una orga­nizzazione operaia specifica: organizzazione di classe e organizzazione internazionale. Ma riconosce pure «come base della sua condotta nei confronti di tutti gli uomini: la Verità, la Giustizia, la Morale, senza distinzioni di colore, di credenza, di nazionalità» (Statuti).

Per coloro che aderiscono all’AIL nei primi anni, il tipo d’organizzazione è d’importanza secondaria: può es­sere molto diversa a seconda delle situazioni, delle profes­sioni, delle regioni. Le diversità dello sviluppo economico e politico esigono, sembra, un federalismo molto flessibi­le, relazioni libere tra le sezioni e i paesi. Il Consiglio ge­nerale non è mai percepito, salvo che da se stesso, come un ufficio politico con il compito di dettare una linea ai gruppi di base.

Questo certamente non rientrava nei desideri di Marx: dopo aver sviluppato per venti anni un’analisi, un pensie­ro e una pratica politiche, era normale che volesse farvi aderire le organizzazioni operaie; d’altronde erano stati

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proprio degli operai a recarsi a Londra per chiedergli di partecipare alla loro associazione e di redigerne i testi fondamentali. Comunque il Consiglio generale non ha nessun potere nell’organizzazione delle sezioni e delle loro attività; lo riconosce in uno dei suoi rapporti annua­li: «Non è l'Internazionale che ha gettato gli operai nello sciopero, ma lo sciopero che li ha gettati nell’Internazio­nale» (Rapporto al Congresso di Basilea, 1869).

Il semplice fatto di raggrupparsi rappresenta un rischio per gli operai: la borghesia si è impaurita già dei primi tentativi, delle prime rivendicazioni, e in quasi tutti i pae­si gli internazionalisti dovranno subire restrizioni alla li­bertà di associazione, censure, condanne; gli avvenimenti storici, guerre, crisi, aggiungeranno altri ostacoli; sovente moribonde, le sezioni non rinunciano alla loro esistenza precaria, né temono la clandestinità. In Inghilterra la li­bertà è grande, ma i principi deil’AIL hanno riscontrato poca eco; unicamente la Svizzera sfoggia la sua democra­zia e tollera ampiamente la formazione di sezioni e i con­gressi intemazionali; in minore misura il Belgio e i Paesi Bassi.

Il tentativo di fare dell’Associazione il partito della classe operaia doveva fallire: l’AIL non ha raggiunto il suo grande scopo, cioè l’unificazione del proletariato or­ganizzato nella lotta contro il capitalismo e la borghesia. E tuttavia questo compito storico, i mezzi per compierlo, saranno scoperti dagli operai proprio nell’AIL. Preceden­temente erano esistite associazioni di mutuo soccorso, embrioni di sindacati; ma esse rimangono nel quadro del sistema capitalista, sotto la tutela del padrone o dello Sta­to. L’esperienza della propria organizzazione, degli scio­peri e del sostegno internazionale, della Comune di Parigi dove per la prima volta il popolo seppe prendere il pote­re, farà in modo che la vittoria del proletariato non sem­bri più irrealizzabile.

Ma non ci si sarebbe arrivati senza deviazioni, né di

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primo acchito. Dal giorno che l’AIL fu denominata Pri­ma Internazionale, la via era aperta per una enumerazio­ne alPinfinito. Solamente oggi alcuni anarchici - per no­stalgia, per questo genere di ristagno storico che a volte li caratterizza - conservano il bel nome di Associazione in­ternazionale dei lavoratori.

Per parlare della Federazione del Giura, abbiamo riu­nito gli elementi storici conosciuti, senza fare scoperte es­senziali. La storia ulteriore del socialismo e i movimenti di pensiero e di rivolta attuali hanno pure aiutato a com­prenderla e a darle le sue vere dimensioni. Con ciò non desideriamo tracciare paralleli, scoprire le analogie tanto ghiotte agli storici anedottici: ma cento anni di storia del movimento operaio e l’esperienza delle discussioni e dei gruppi di estrema sinistra attuali, che coscientemente vo­gliono riappropriarsi di questa storia, ce la fanno percepi­re diversamente da altri narratori, di altra epoca o di altra tendenza politica.

2. LA SITUAZIONE ECONOMICA

Conosciamo a grandi linee la situazione economica della Svizzera negli anni 1860-1880; ma mancano studi approfonditi, tanto monografici, quanto comparativi.

Nella regione dove si costituirà una corrente anarchica, nelle montagne neocastellane e nella valle di St. Imier, l’intera popolazione delle borgate lavora nell’industria orologiera. Verso il 1860, La Chaux-de-Fonds conta 5.500 operai orologiai su 18.000 abitanti; Le Lode 3.000 operai orologiai su 8.500 abitanti; il solo distretto di Courtelary (Valle di St. Imier) più di 6.000 operai.

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Ma questa unica industria non significa l’esistenza di una concentrazione. Le officine sono rare, il lavoro viene in gran parte eseguito a domicilio. D’altronde non biso­gna immaginarsi degli artigiani creatori, che fanno nasce­re amorosamente un orologio da qualche pezzo di metal­lo prezioso: i compiti sono estremamente parcellizzati, l’orologio è composto da un centinaio di pezzi e ogni ope­raio è altamente specializzato.

Questa industria è stata introdotta nel Giura alla fine del XVIII secolo, sostituendo a poco a poco la manufattu- ra tradizionale di tela indiana e di pizzi già in concorren­za con le fabbriche tessili e la meccanizzazione di questa industria. Paese povero, dal clima arido, il Giura è stato per molto tempo - e resta encora nelle Franches Monta- gnes - una regione adatta all’allevamento, poco popolata, con le fattorie isolate, dalle pesanti case di pietra e dalle strette finestre. L’aumento della densità della popolazio­ne, la povertà della terra, il clima poco clemente, la man­canza di fonti energetiche, esigono lo sviluppo di attività industriali accanto all’agricoltura e aH’allevamento. L’in­dustria orologiera è proprio un’attività che richiede poca materia prima, il cui prodotto ad alto valore specifico si trasporta facilmente, e può essere eseguita in famiglia gra­zie alla diversità delle operazioni.

Verso la metà del XIX secolo, la fisionomia del Giura orologiero si precisa: nelle valli, lungo la strada principa­le, s’allineano case alte, dai muri spessi, con la finestra del laboratorio più ampia delle altre. In quest’epoca, i tre quarti degli operai lavorano a domicilio o in piccoli labo­ratori quasi familiari. L’industria conosce allora una grande espansione, e nel contempo le prime crisi: come le industrie di lusso e come alcune industrie nuove, essa è estremamente sensibile alla congiuntura e quando il gusto del pubblico cambia o quando uno sbocco si chiude, na­sce la disoccupazione. Perciò, alcune cause storiche ester­ne (guerre, rivoluzioni, sviluppo delle comunicazioni.

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movimenti della popolazione, regimi politici e economi­ci) influenzano questa industria strettamente locale. Que­ste crisi sono generalmente passeggere, sia perché si tro­vano altri sbocchi, sia perché il ritorno ad attività rurali e la limitazione degli apprendisti vengono utilizzati come valvole di sicurezza. Ma l’industria orologiera sarà più sensibile alle crisi profonde, strutturali: particolarmente a quelle causate dalla concorrenza americana dove l’instal­lazione delle macchine è stata precoce e dove l’orologio è prodotto industrialmente. L’industria orologiera svizzera deve modernizzarsi, innovare, per sopravvivere.

Nel 1866, un orologiaio di La Chaux-de-Fonds produ­ce un orologio semplice e robusto, dalla cassa non lavora­ta: è un mercato nuovo, popolare, che si apre per l’orolo­gio Roskopf. Nello stesso anno si stabilisce nel Giura la prima fabbrica che produce l’orologio intero con procedi­menti meccanici moderni, la ditta Longines di St. Imier. Dopo il 1870, il numero delle fabbriche e il numero degli operai cresceranno rapidamente.

Alla specializzazione tecnica si è aggiunta la specializ­zazione commerciale: gli operai lavorano per dei fabbri­canti che a loro volta consegnano i loro prodotti ai collo­catori; costoro fanno a volte il montaggio o la rifinitura dell’orologio, ma più generalmente si limitano a vender­lo, a esportarlo, ordinano inoltre i lavori e consegnano le materie prime. L’operaio fornisce non solo la sua forza la­voro e il suo laboratorio, ma anche gli utensili e le spese di illuminazione, di assicurazione, ecc. Siccome il merca­to del lavoro è abbondante e il capitale fisso da rinumera­re è minimo (il costo delle materie prime sono dal 10 al 20% del valore del prodotto finito), la situazione del pa­dronato è tanto invidiabile apparentemente, quanto quel­la degli operai è precaria. Perciò si moltiplica il numero dei piccoli padroni, fattore non indifferente alle crisi suc­cessive dell’industria nell’ultimo terzo del XIX seccolo.

In quest’epoca di slancio dell’industria orologiera, i sa­

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lari sono elevati e attirano la mano d’opera dai campi alle officine. Lo sviluppo della fabbricazione degli orologi è allora folgorante, e non ci si cura di diversificare la pro­duzione; è l’orologio ordinario che viene prodotto di fre­quente, e a centinaia di migliaia: nel 1873 i 5.700 operai del distretto di Courtelary fabbricano 580.000 orologi, e nel Giura bernese 1.290.000; la media annua del canton Neuchâtel in quegli anni è di 800.000 orologi, venduti da 3.50 a 40 franchi.

All’inizio di questo periodo, un buon operaio poteva guadagnare da 12 a 15 franchi il giorno, e il più semplice lavoro era pagato da 5 a 6 franchi, secondo le stime dell’e­poca; dieci anni più tardi, verso il 1867, il salario è dimi­nuito della metà, mentre quello degli operai agricoli rad­doppia. Bisogna servirsi prudentemente di tali valutazio­ni: appena sorgono difficoltà, si tende ad abbellire il pas­sato. Ma esse mostrano un processo, purtroppo irreversi­bile: una volta che un’industria si inserisce in una regio­ne, i lavoratori agricoli sono attirati dai salari e dagli orari regolari; ritornano raramente alla terra, anche se si insidia la disoccupazione. Questo movimento di proletarizzazio­ne è generale in tutta l’Europa del XIX secolo, in mo­menti diversi a seconda dei paesi.

L’industria orologiera è presente in tutto il Giura sviz­zero, da Ginevra a Sciaffusa. A Ginevra, la fabbricazione è più specializzata che nelle «Montagne»: si costruiscono orologi di lusso, oreficeria, e gli operai della «fabbrica» (così si chiama l’industria degli orologi) sono relativa­mente ben pagati. Formano una specie di aristocrazia operaia, se si paragonano soprattutto ai lavoratori edili del Cantone, meno qualificati, meno pagati, con meno di­ritti poiché sovente stranieri.

In questo periodo risiedono in Svizzera un gran nume­ro di immigrati, ma non sono gli stessi di oggi: nel 1860 su 114.000 operai stranieri 48.000 sono Germanici; nel

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Y1880 su 211.000, 95.000 sono Germanici!1). Gli Italiani immigreranno numerosi in Svizzera solo alla fine del se­colo.

3. LA SITUAZIONE POLITICA E SOCIALE

La descrizione della situazione economica del Giura orologiero non è sufficiente per spiegare l’inserimento delle sezioni dell’Associazione intemazionale dei lavora­tori nelle città e nei villaggi tra Le Lode, sulla cresta del Giura neocastellano, e Sonceboz, situato in fondo alla valle di St. Imier. Pure l’ambiente deve essere favorevole.

Effettivamente l’ambiente è preparato ad accogliere idee nuove, a creare nuove organizzazioni. A La Chaux- de-Fonds l’azione infaticabile del medico Coullery, «me­dico dei poveri» e pubblicista, favorisce la penetrazione di idee nuove e della politica tra gli operai; i suoi giornali, La Voix de /'Avenir e La Montagne sono strumenti di educazione e nel contempo organi politici; e l’alleanza nel 1868 di Coullery con i conservatori riflette le contrad­dizioni della coscienza operaia, che desidera sia l’emanci­pazione, sia l’uguaglianza con la borghesia.

Nel Valloni2) esiste pure una vita sociale d’una certa importanza. Si parla sovente dell’isolamento, del letargo, della mancanza di distrazioni delle borgate racchiuse tra le scure colline del Giura; ma questo paese francofono, protestante nel Vallon e cattolico in Ajoie e nelle Fran- ches Montagnes, ha una storia, una tradizione, di conflitti con Berna, sua capitale cantonale, risentita come un so­vrano. Se Pinserimento dell’industria nel Giura è precoce,

(!) Popolazione residente in Svizzera nel 1880: 2.830.787; Popolazione attiva in Svizzera nel 1880: 1.316.766 (nota degli editori).

(2) Vallon (vailetta): Valle di St. Imier (nota degli editori).

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le infrastrutture collettive sono tardive: il telegrafo è in­stallato nel 1856, i lavori per la ferrovia iniziano nel 1859 nel vecchio cantone, ma ritardano indefinitivamente nel Vallon; tanto che il giornale degli interessi di St. Imier, nel 1866, si chiama La Locomotive. I particolarismi locali sono chiaramente risentiti quanto la necessità per gli abi­tanti della regione di prendere in mano i loro interessi. In questi anni si costruiscono anche numerose scuole, solide costruzioni sovrastate dal tradizionale campanile. Infine, l’esportazione degli orologi in tutto il mondo (nel 1859 il Giura invia quotidianamente 700 orologi negli Stati Uni­ti) può essere un fattore di apertura di idee. Un altro fat­tore è la stessa attività orologiera, dove l’iniziativa perso­nale viene ricompensata, dove le relazioni con i fabbri­canti di altre regioni favoriscono l’innovazione.

Come di frequente in Svizzera, le società abbondano: non solo società di tiro, patriottiche, di ginnastica o di canto, che esistono nei nostri più piccoli villaggi, ma an­che società di mutuo soccorso, di emulazione o di educa­zione operaia. A Le Lode e a La Chaux-de-Fonds, gli operai assistono numerosi alle conferenze sul protestante­simo liberale, in parte organizzate dalla sezione locale dell’AIL nel 1869, mentre a Neuchâtel, «dans le Bas», re­gna ancora lo spirito d’ortodossia. Nella valle di St. Imier i redattori de La Locomotive non si occupano unicamente della ferrovia, ma invitano conferenzieri, organizzano di­battiti ai quali assiste un pubblico interessato; sicuramen­te non esistevano molte altre occasioni di distrarsi. I ro­manzi a puntate sui giornali, la diffusione di biblioteche circolanti, mostrano pure un desiderio di imparare. Nelle officine, non è raro che si richieda ad un apprendista, ap­pena uscito dalla scuola, di prendere un giornale o una di queste opere di divulgazione e di leggere ad alta voce du­rante le ore di lavoro: favorisce la concentrazione, scaccia la noia, evita le chiacchere.

Si sono sempre attribuite agli abitanti del Giura un’in­

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telligenza e un’indipendenza di spirito particolari, diffi­cilmente spiegabili: la loro professione, le condizioni geo­grafiche sarebbero favorevoli allo sviluppo di queste fa­coltà. All’epoca dell’Internazionale, non era raro che al­cuni viaggiatori, partigiani o avversari degli «anarchici», o neutri, lodassero il buon senso, l’indipendenza di idee e d’espressione, la chiarezza di giudizio dei Giurassiani. Non si tratta di attribuire a queste qualità un’importanza decisiva, né di farne l’origine dell’anarchismo giurassiano; le spiegazioni geo-politiche sono pericolose. Ma un’opi­nione così ampiamente diffusa ha senza dubbio una base reale. Il modo di produzione da una parte (industria uni­ca, lavoro a domicilio parcellizzato, moltiplicazione dei piccoli padroni, fabbricanti e collocatori), l’importanza della vita civica e dei fattori propriamente storici dall’al­tra (la rivoluzione neocastellana del 1848, il ricongiungi­mento del Giura al canton Berna, la liberalizzazione del protestantesimo) possono essere elementi utili alla com­prensione del periodo dell’Internazionale e delle ragioni del suo inserimento.

All’origine il lavoro a domicilio permette l’indipenden­za economica e tecnica di ogni orologiaio nella rifinitura dei suoi prodotti. La professione è altamente stimata: è una vera decadenza per il figlio di orologiaio diventare ar­tigiano in un altro ramo. Quando alla specializzazione tecnica, che appare già nella prima metà del secolo, si ag­giunge la specializzazione commerciale, il ricordo di que­sta indipendenza perduta e la diminuzione del prestigio del mestiere stimolano la nascita della rivolta. Operai spossessati dei loro mezzi di produzione e dei loro pro­dotti possono desiderare di riprenderne possesso, di di­ventare a loro volta padroni. Per i militanti dell’AIL, gli «internazionalisti», occorre sostituire il padrone, la pro­prietà individuale, con una proprietà collettiva, con un’u­tilizzazione collettiva degli strumenti e delle officine, infi­ne con una distribuzione cooperativa che permetta rap­

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porti sociali nuovi e egualitari; ma solo una minoranza degli operai aderisce a questo pensiero. Il loro compito sarà di diffondere le idee, di fare prendere coscienza ai loro compagni, di aprir loro gli occhi sul carattere dete­stabile del sistema di sfruttamento e sull’inevitabile lotta tra la classe operaia e la borghesia.

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CAPITOLO SECONDO

t. I PRIMI ANNI

Le prime sezioni dell’Associazione internazionale dei lavoratori si costituiscono molto presto nella Svizzera ro- manda: nell’autunno 1864 a Ginevra, l’anno seguente nel Giura. Ma il loro programma non è sempre rivoluziona­rio; sono poi stati letti i testi fondamentali dell’AIL?

Gli Statuti, probabilmente; ma questi hanno l’aria mol­to innocente: «Art. I. Un’associazione è costituita per procurare un punto centrale di comunicazione e di coope­razione tra gli operai di diversi paesi aspiranti al medesi­mo scopo, cioè: il mutuo soccorso, il progresso e la com­pleta liberazione della classe operaia (...); Art. 6. Poiché il successo del movimento operaio può essere assicurato unicamente in ogni paese dalla forza risultante dall’unio­ne e dall'associazione; poiché d'altra parte, l’utilità del Consiglio generale dipende dai suoi rapporti con le socie­tà operaie, sia nazionali che locali, i membri dell'Associa­zione internazionale dei lavoratori dovranno fare tutti gli sforzi, ognuno nel proprio paese, per riunire in una asso­ciazione nazionale le diverse società esistenti.».

Dell’Indirizzo inaugurale non si è mantenuto che l’ulti­

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ma frase: Proletari di tutto il mondo, unitevi! Quanto al Preambolo agli Statuti, è almeno stato compreso: «Che l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavo­ratori stessi; che la lotta per l ’emancipazione della classe operaia non è una lotta per dei privilegi e per dei mono- poli di classe; (...) che, di conseguenza, l’emancipazione economica della classe operaia è il grande scopo al quale ogni movimento politico deve essere subordinato come mezzo (...)»!

Le prime sezioni del Giura negano di essere comuniste. I 104 operai riuniti a St. Imier nell’aprile 1866 «non vo­gliono fare la guerra né ai padroni né ai ricchi», ma cer­cano di migliorare la condizione operaia con mezzi mora­li e legali, allo scopo di «riunire gli operai di tutte le classi in un fascio di amici». La sezione di Sonvilier riprende i termini degli Statuti e richiede che si riconoscano a cia­scuno i diritti di uomo e di cittadino «conformemente alle leggi del paese»-, il suo primo compito è costituire una scuola serale, poiché «per moralizzare le masse, occorre educarle». A La Chaux-de-Fonds, il programma del buon dottore Coullery è «democratico e umanitario»; a Le Lo­de, il vecchio Constant Meuron, proscritto della rivolu­zione neocastellana del 1831, e il giovane James Guillau­me - che diventerà il personaggio di rilievo della Federa­zione del Giura - fondano una sezione prossima al partito radicale.

Tre anni più tardi, nel febbraio 1869, le conferenze di Bakunin a Le Lode sono accolte con entusiasmo; Le Pro­grès, giornale redatto da Guillaume nella stessa città, pubblica i suoi articoli, adotta e reinventa le sue tesi; i co­mizi locali diffondono risoluzioni dalle sonorità rivolu­zionarie, ci si stacca da Coullery e dalla politica elettora­le. Cosa è successo?

Non bisogna attribuire l’evoluzione delle sezioni giu- rassiane alla sola influenza di Bakunin: il rivoluzionario russo ha avuto un ruolo di catalizzatore. I Giurassiani

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hanno partecipato ai congressi dell’AIL a Ginevra nel 1866, a Losanna nel 1867, a Bruxelles nel 1868; in questo ultimo congresso, la risoluzione in favore della proprietà collettiva è divenuta un passo decisivo, provocando la rottura con Coullery, opposto violentemente al «comuni­smo». Alleanze infelici con partiti borghesi hanno fatto comprendere l’inutilità del parlamentarismo operaio; la repressione degli scioperi ha mostrato la forza dell’unità operaia nell’azione.

Nel 1866, senza esperienzà di associazione, senza aver mai tentato azioni collettive, senza essersi identificati in una classe, gli operai del Giura non potevano costruire un programma rivoluzionario nell’astratto. La costituzione delle sezioni dell’AIL, la lettura dei giornali operai, l’ap­prendistato della lotta quotidiana, forgiano la loro espe­rienza, li rendono recettivi ai discorsi di Bakunin, per­mettono loro di intravvedere un avvenire socialista e col­lettivista.

Le conversazioni di Bakunin sono un avvenimento nel­la vita delle sezioni operaie del Giura. L’uomo porta con sé la sua leggenda, il suo esotismo, la sua reputazione di rivoluzionario; ma è pure il compagno caloroso, il propa­gandista fervido, l’internazionalista ardente. Ciò che ap­porta agli orologiai delle Montagne è soprattutto la rive­lazione della propria storia, la coscienza della loro identi­tà di classe e dell’esistenza della borghesia, come classe separata. Delusi dal socialismo alla Coullery, si sentivano confusamente abbindolati, come lo erano dalle buone pa­role dei «preti». Bakunin, con linguaggio chiaro e diretto, che testimonia un’ottima conoscenza della situazione del­le Montagne neocastellane, denuncia il socialismo bor­ghese in ogni sua forma, spiega il ruolo dello Stato e la sua necessità di appoggiarsi su una classe: «Occorre asso­lutamente per l'incolumità dello Stato che vi sia una clas­se privilegiata, interessata alla sua esistenza. L'interesse

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solidale di questa classe privilegiata si chiama precisa- mente patriottismo.»

La Rivoluzione francese del 1793 poteva essere unica­mente borghese, e questo era certamente un progresso; ma essa segna anche la nascita dello Stato moderno e co­loro che conquistarono il potere «cominciarono a com­prendere che tra gli interessi borghesi e gli interessi delle masse popolari non esisteva più niente di comune, che esisteva al contrario una radicale opposizione, e che la potenza e la prosperità esclusive della classe dei possiden­ti si fondavano sulla miseria e sulla dipendenza politica e sociale del proletariato. Da allora, i rapporti della borghe­sia e del popolo si trasformarono radicalmente e prima che i lavoratori avessero compreso che i borghesi erano i loro nemici naturali, ancora più per necessità che per cat­tiva volontà, i borghesi erano già arrivati alla coscienza di questo antagonismo finale.»

Tra i borghesi alcuni hanno cattiva coscienza e perciò cercano di migliorare le relazioni della loro classe con il popolo; ma non possono superare la carità, il pacifismo. La Lega della Pace, il «socialismo» dei padroni, la pretesa riconciliazione delle classi con sforzi di comprensione re­ciproca, il paternalismo, sono esempi evidenti di questa cattiva coscienza.La medesima cosa per l’istruzione: quel­la dello Stato non può servire che a riprodurre i rapporti di classe, fare i borghesi con i figli di borghesi e gli operai con i figli di operai; a questi ultimi non può dare i mezzi per la propria emancipazione, poiché significherebbe au­todistruggersi, di conseguenza non può che insegnare «/ pregiudizi religiosi, storici, politici, giuridici e economici che garantiscono [la sua] esistenza contro [il popolo] (...) I socialisti borghesi dicono: Istruiamo prima il popolo, poi emancipiamolo. Noi dichiariamo al contrario: il popolo prima deve emanciparsi, in seguito si istruirà da sé».

Unicamente agendo autonomamente, e uniti, i lavora­tori possono spuntarla sullo Stato e sullo sfruttamento

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della borghesia. Al contrario delle organizzazioni pseudo­socialiste dei borghesi, l’Associazione internazionale dei lavoratori offre loro questa possibilità di autonomia, di identità. «// socialismo, mettendo al posto della giustizia politica, giuridica e divina, la giustizia umana, sostituen­do la solidarietà universale degli uomini, e la concorrenza economica con l ’organizzazione internazionale di una società fondata sul lavoro, potrà porre fine a queste mani­festazioni brutali dell’animalità umana, alla guerra»: guerra tra classi o guerra tra Stati.

Ecco in poche parole i discorsi di Bakunin durante le sue conferenze del febbraio 1869, o scritte nelle settimane seguenti ne Le Progrès di Le Locle o L'Egalité di Gine­vra, di cui era allora il redattore. Nel frattempo non si era limitato ad apportare idee ai Giurassiani, ma aveva cerca­to di inserire una di quelle società segrete che amava tan­to fondare.

Bakunin si era formato in filosofia in Germania e come rivoluzionario sulle barricate del 1848; lunghi anni di pri­gionia non gli avevano comunque insegnato la misura. La clandestinità, necessaria in periodo rivoluzionario, signi­fica per lui organizzazioni segrete, battezzate «fraternità» o «alleanze», dotate di rituali e di iniziazioni, di linguaggi codificati e di gerarchie oscure. Fin quando queste forme furono utilizzate e rispettate? Più tardi spiegheremo i mo­tivi per non ritenerle troppo importanti; comunque oc­corre parlare àt\VAlleanza, poiché essa fu, apparente­mente, la fonte dei conflitti neH’Intemazionale.

Nel 1868, nuovo membro dell’AIL, Bakunin fonda con amici di Ginevra e d’altrove, l’Alleanza intemazionale della democrazia socialista, la quale domanda l’adesione all’AIL; ma questa non può ammettere organizzazioni in­ternazionali con programmi concorrenti; di conseguenza l’Alleanza si trasforma in sezione ginevrina. Comunque non si identifica con le altre sezioni del luogo: ha risoluta- mente lo scopo di radicalizzarle, di farvi penetrare le sue

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idee e ii suo programma ateo, rivoluzionario, antistatale, di agire come propagandista, di guidare infine l’AIL gine­vrina. Sedotti inizialmente, numerosi membri lasceranno in seguito l’Alleanza non senza fracasso, poiché ne diven­teranno a partire dal 1870 i suoi denigratori. Bakunin, a più riprese, farà prova di grande leggerezza nella scelta degli «intimi».

L’attività dell’Alleanza non si limita a Ginevra: se l’or­ganizzazione internazionale è dissolta formalmente, una Alleanza gemella è fondata in Spagna, con contatti rego­lari con Bakunin e il comitato ginevrino. Alcuni Italiani faranno parte del numero degli intimi. Bakunin, entusia­sta dei Giurassiani dopo la prima visita, aveva voluto che assumessero i suoi punti di vista sulla questione dell’orga­nizzazione; in effetti, solo alcuni aderirono all’Alleanza. Guillaume si rifiuta, vedendovi una manovra pericolosa e prevedendo la critica degli altri membri dell’AIL; ma am­mette l’utilità delle «intimità» e raggruppa attorno a lui, inizialmente a Le Lode, alcuni sicuri rivoluzionari che formeranno il motore dell’Internazionale del Giura. Ac­cetta pure, dietro pressioni di Bakunin, di esplorare il ter­reno a Basilea, poco prima del congresso del settembre 1869. La sua fedeltà alla parola data non ci permette di conoscere nei dettagli le attività dei gruppi segreti.

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James Guillaume ( 1844-1916) è senza dubbio il princi­pale attore della storia della Federazione del Giura. Figlio di un consigliere di Stato, è stato dimesso dalle sue fun­zioni di professore a Le Lode proprio nell’estate 1869, a causa delle sue attività locali nelI’AIL e per le sue opinio­ni religiose poco ortodosse; si stabilisce a Neuchâtel dove resterà fino al 1878, lavorando dapprima nella tipografia familiare, in seguito vivendo di traduzioni e di lezioni.

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Per nove anni redigerà i giornali dell’Internazionale nel Giura, Le Progrès a Le Lode, La Solidaritè nel 1870 e, dopo il 1872, il celebre Bulletin de la Fédération juras- sienne, settimanale di tiratura modesta, ma una delle principali fonti di informazioni sia per l’azione, sia per la storia dell’Associazione internazionale dei lavoratori nei suoi ultimi anni.

Benché sia uno dei rari intellettuali della Federazione del Giura si identifica con i suoi compagni di lotta e co­storo gli accorderanno sempre la loro fiducia; la sua fede nella rivoluzione implica un ascetismo nella vita quoti­diana, una morale molto puritana; radicato nella realtà del suo paese e del suo tempo, è cosciente che le sue pro­poste non hanno valore universale, che la rivoluzione non ha molte possibilità in Svizzera e che comunque è proprio in questo paese che deve lottare. Con i suoi com­pagni avrà sempre una posizione di mediatore e di mode­ratore, rifiutando fino in fondo la qualifica di anarchico, che trova estremista e offensiva, alla quale preferisce quella più esplicita di collettivista; è prima di tutto un so­cialista e un membro dell’Internazionale: non occorre creare una nuova setta.

D’altro canto è senza pietà per i più pericolosi avversa­ri, Marx e i suoi partigiani nel Consiglio generale e nel Partito social-democratico tedesco. Per quanto sia mode­rato e conciliante con i suoi, è acerbo e polemico con gli altri. Per quanto sappia ben regolare le sensibilità tacendo degli avvenimenti che possono offendere personalmente alcuni amici (o che, occorre dirlo, rischiano di dare una immagine non conforme di se stesso), altrettanto non teme di andare fino alla perfidia negli attacchi contro i le­galisti e i politici del socialismo; sarà più prudente nella lotta contro i borghesi.

Nonostante la sua freddezza e la sua esigenza, è apprez­zato e amato; non solo redige il giornale e lo stampa quasi interamente - sottoponendo democraticamente gli artico-

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li al Comitato federale - ma è pure delegato a quasi tutti i congressi internazionali e portavoce privilegiato della Fe­derazione del Giura.

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Il congresso generale dell’AIL a Basilea, nel settembre 1869, è il primo al quale assiste Bakunin, con sei altri de­legati provenienti da Ginevra e sei dal Giura, tra i quali Guillaume e Adhémar Schwitzguébel, incisore a Sonvi- lier. Congresso importante poiché vi partecipano quasi 80 delegati di società operaie d’Europa ed è pure il penulti­mo della giovane Associazione internazionale unita. Sof­fermiamoci un momento sul suo svolgimento.

La sezione di Basilea non è la più radicale dell’Interna­zionale: il suo segretario, Bruhin, è procuratore della Re­pubblica e le prime parole del suo discorso d’apertura esprimono il suo dispiacere di non potersi riunire in una ... chiesa. Dopo la verifica dei mandati, momento impor­tante e fastidioso di tutti i congressi, viene letto il rappor­to del Consiglio generale sulla situazione del movimento operaio; questo approfondisce «principalmente le batta­glie tra capitale e lavoro, cioè gli scioperi, che l'anno scor­so hanno agitato l'Europa». Gli anni 1868-1869 non sono stati effettivamente molto tranquilli: l’organizzazio­ne della classe operaia si sviluppa nei paesi industrializ­zati, e la resistenza alle pressioni padronali si rafforza. Sciopero dei nastrai e tintori a Basilea, nell’inverno 1868; sciopero dei tipografi e degli edili a Ginevra, nel marzo 1869; sciopero degli affinatori e minatori del Borinage; sciopero dei tessitori a Rouen, degli operai della seta a Lione. Nella maggior parte dei casi, padroni e governi si accordano nell’accusare l’Intemazionale di finanziare gli scioperi, e gli agitatori stranieri di sollevare gli operai; in Francia particolarmente, nonostante il ripristino del dirit­to di riunione nel 1868, le sezioni sono continuamente molestate, arbitrariamente dissolte.

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Nel giugno 1869 succedono più gravi avvenimenti: du­rante lo sciopero a Saint-Etienne e a la Ricamane, viene mobilitata la truppa, che spara sugli operai, ne uccide quindici e ne ferisce molti. Anche in Inghilterra il gover­no massacra operai, condanna i ribelli, si congratula con i soldati... Questa condizione non impedisce lo sviluppo deH’Internazionale che si diffonde in nuove regioni: in Austria, in Italia, in Spagna, in Olanda; il congresso di Ei- senach vede la costituzione del partito social-democratico tedesco. La repressione aumenta, ieri come oggi, la forza dell’opposizione.

Dopo il rapporto del Consiglio generale si passa alla di­scussione delle questioni all’ordine del giorno, preparate nelle commissioni. Sulla proprietà fondiaria il congresso del 1868 era stato diviso: se la maggioranza era favorevole alla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, non ci si era accordati né sulla proprietà dei prodotti, né soprattut­to sulla proprietà agricola. Il dibattito, a Basilea, sisposta: la maggioranza dei tre quarti ammette «che esiste la ne­cessità di introdurre il suolo nella proprietà collettiva», ma si divide sulla questione: a chi spetteranno la rendita e i prodotti? Il belga César De Paepe, sostenuto dai delegati del Consiglio generale, risponde: «allo Stato»; Bakunin e gli internazionalisti del Giura svizzero: «alle comuni, alle libere associazioni di liberi produttori».

Non si vota su questo punto, ma la divisione si delinea tra i comunisti, partigiani di uno Stato centralizzato e i collettivisti, più tardi chiamati anarchici; questi ultimi raggruppano i Giurassiani, gli Spagnoli, la maggioranza dei Belgi, alcuni Francesi allontanatisi dal proudhoni- smo, e naturalmente Bakunin. Devono fronteggiare i de­legati del Consiglio generale (Marx è assente dal congres­so), i Ginevrini legalitari, gli Svizzeri tedeschi con Greuli- ch e i Germanici.

Questa divisione si ritrova più chiaramente al momen­to del voto sulla questione del diritto di eredità. Bakunin

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ha proposto di decidere il principio della sua abolizione, «una delle condizioni indispensabili per la liberazione del lavoro». Il Consiglio generale non è d’accordo; un’analisi di Marx, letta da un delegato, dimostra che il diritto di eredità è una conseguenza dell’organizzazione economica attuale della società; bisogna discutere la causa, non l’ef­fetto. Bakunin, improvvisando una risposta brillante, ri­conosce che, nella storia, il fatto ha sempre preceduto il diritto; ma il diritto diventa causa d’effetti a sua volta, ed è questo che occorre combattere. Al voto, né la risoluzio­ne della commissione, tutta al completo accanto a Baku­nin, né quella presentata dal Consiglio generale, ottengo­no la maggioranza assoluta; vi si potrebbe trovare una delle ragioni della scissione irreparabile dell’Internazio­nale: ma la questione del diritto di eredità non verrà più ripresa né da Marx, né da Bakunin, e la discussione sem­bra sepolta.

Più incoraggiante è l’unanimità sulla questione delle «casse di resistenza» (soccorso in caso di sciopero): essa raccomanda la costituzione delle casse nelle diverse asso­ciazioni professionali, già esistenti localmente (sezioni dell’Internazionale), inaugurando la forma delle federa­zioni di mestiere o di industria che sono una delle basi dei sindacati attuali; ma è evidente che le casse di resistenza sono una misura provvisoria, «nell'attesa che il salariato sia sostituito dalla federazione dei produttori liberi». Questa piccola frase, adottata all’unanimità, risulta im­portante: è la terminologia utilizzata proprio da Bakunin, per il quale la società futura deve prendere la forma di una «libera associazione di liberi produttori».

Il congresso si chiude con il discorso del delegato ame­ricano, che reca il saluto di «centinaia di migliaia di com­pagni» d’oltremare. Gli anni seguenti, la guerra franco­tedesca e la repressione contro la Comune di Parigi impe­diranno le riunioni internazionali, e il congresso dell’Aia del 1872 segnerà la scissione definitiva tra i «marxisti» e

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gli «anarchici», come verranno chiamati in seguito. E’ per questo motivo che il Congresso di Basilea è tanto impor­tante. Ritornati a Londra, i membri del Consiglio genera­le affermeranno nel loro rapporto che «il numero dei de­legati era elevato, ed erano molto rappresentativi. La rap­presentanza era migliore che d ’abitudine»; e non menzio­narono nemmeno le divergenze. A leggere i verbali dei di­versi congressi, si può constatare che nel Congresso il tono della discussione è elevato, che le questioni sono af­frontate direttamente e con competenza, infine che l’ete- rogeneità politica - dai «sansimonisti» ai collettivisti anti­autoritari, passando dai «proudhonisti» e dai «marxisti» - può essere superata nelle questioni fondamentali. Co­munque la preparazione e gli strascichi del Congresso non furono senza conflitti e macchinazioni; vi ritornere­mo.

La fine del 1869 è segnata da un progresso teorico e uno sviluppo delle sezioni in Svizzera romanda: nel no­vembre sono 47, di cui 26 a Ginevra, 11 nel cantón Vaud, 10 nel Giura. Ma i conflitti locali si sviluppano pure a Ginevra, dove Bakunin e amici dimissionano dalla reda­zione de L ’Egalité, e nelle Montagne neocastellane, dove Le Progrès critica il parlamentarismo a proposito delle elezioni al Consiglio nazionale, che avrà il compito im­portante di riesaminare la Costituzione federale della Svizzera.

2 .1 CONFLITTI NELLA FEDERAZIONE ROMANDA

La storia dell’Internazionale non è quella dei suoi con­gressi. Comunque, nonostante i suoi formalismi, nono­stante gli scontri verbali e di personalità, essi hanno un ruolo importante, fissano date di riferimento.

Le sezioni della Svizzera romanda dell’AlL si erano

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riunite in federazione all’inizio del 1869; avevano conser­vato la propria autonomia, benché legate da un patto di solidarietà e di mutua fiducia; avevano creato il giornale L'Egalité e la redazione era controllata dall’Alleanza. Nascono presto dei conflitti, tra coloro che vogliono tutto e subito e coloro che vogliono venire a patti con la politi­ca tradizionale e i cosiddetti alleati della borghesia; so­cialmente parlando i primi ricevono l’adesione degli ope­rai edili, poco qualificati, sovente stranieri, che conosco­no una disoccupazione stagionale; i secondi reclutano nella «fabbrica», tra gli orologiai più qualificati, più sta­bili, più integrati nella società ginevrina. Le discussioni di Basilea permettono a ciascuno di precisare le posizioni, di riconoscere i propri partigiani e gli avversari. Alla fine dell’anno, Bakunin partito per il Ticino, gli amici espulsi dalla redazione de L ’Egalité, la crisi sopraggiunge pure all’interno dell’Alleanza.

La scissione tra le due frazioni si compie al congresso della Federazione romanda a La Chaux-de-Fonds, il 4 aprile 1870. Frazioni difficili da qualificare: se gli uni non sono ancora anarchici, la maggioranza degli altri non sono affatto marxisti. E ciò nonostante saranno collegati simbolicamente e materialmente, gli uni a Bakunin, gli altri a Marx.

Questi ultimi, ancora più che a Basilea, avevano cerca­to di preparare il terreno e di istruire le loro truppe. Il Consiglio generale, e Marx in particolare, da qualche tempo si inquietavano della situazione di Ginevra; erano coscienti che, dalle decisioni di La Chaux-de-Fonds, sa­rebbe dipesa l’unità dell’Intemazionale. Marx, all’inizio del 1870, redige due circolari a diffusione limitata per ri­spondere alle critiche dei giornali svizzero-romandi e de­nunciare le manovre frazioniste degli «alleanzisti»; la Circolare privata è indirizzata, a nome del Consiglio ge­nerale, al comitato federale romando di Ginevra; la Co­municazione confidenziale, agli amici tedeschi. La critica

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di Marx a Bakunin si basa tanto sulla teoria («uno degli esseri più ignoranti nel campo della teoria sociale»), quanto sulla pratica: Bakunin è pericoloso poiché vuole «trasformare l ’Internazionale in uno strumento che gli appartenga in proprio», con un programma assurdo e set­tario, in uno spirito dittatoriale e distruttore.

Che Marx sia severo con Bakunin, che denunci i suoi intrighi e le attività occulte, che critichi l’ideologia, pa­zienza. Ma il suo testo è cosparso da lapsus calami (nei ti­toli dei giornali, i luoghi dei congressi), di inesattezze vo­lontarie (nei riassunti del programma dell’Alleanza), di apprezzamenti strategici malevoli. Questo errore tattico di Marx e la reazione appassionata di alcuni Giurassiani doveva costare la vita all’AIL unitaria, mentre conferma­va Marx nel suo ruolo dominante sulla social-democrazia tedesca.

Bakunin, d’altro canto, ha lasciato Ginevra e risiede a Locamo, dove si occupa principalmente della situazione russa. Necaev, questo giovane e misterioso rivoluziona­rio, è in Svizzera; tra lui e Bakunin la seduzione è reci­proca. Ma Necaev, che esercita un fascino non comune, ha delle esigenze, vuole una totale devozione per la sua causa, un segreto assoluto, la più grande diffidenza tra gli stessi membri di una società segreta. Inoltre la sua sinceri­tà è più che dubbiosa: si diceva rappresentante dell’AIL in Russia, a Ginevra si pretende delegato di numerosi gruppi russi. Bakunin in quel momento è odcupato nella traduzione russa de II Capitale di Marx, per il quale ha già ricevuto un acconto dall’editore. Necaev lo convince a interrompere il lavoro, affinché possa dedicare tutto il suo tempo alla propaganda; inoltre, senza avvertirlo, si assume l’incarico di informare l’editore pietroburghese del cambiamento di intenzioni, minacciandolo delle peg­giori rappresaglie se cerca di riavere l’acconto. Bakunin l’adora, in seguito lo tratterà da fanatico, da naif, pronto a qualsiasi infamia; comunque scrive un opuscolo per

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prendere la difesa del suo amico e, soprattutto, per criti­care l’atteggiamento della Svizzera nei riguardi degli stra­nieri rifugiati sul suo suolo; quest’opera è Gli Orsi di Ber­na e l'Orso di Pietroburgo, lamento di uno Svizzero umi­liato e disperatori). In luglio Bakunin romperà definitiva­mente le relazioni con Necaev, il quale con nuove irrego­larità comprometteva il rivoluzionario anarchico.

Ma all’inizio del 1870 Bakunin è ancora impegnato to­talmente per la causa russa e trascorrerà alcune settimane a Ginevra proprio per incontrare i suoi amici russi; parte­cipa irregolarmente alle riunioni dell’Alleanza e si inte­ressa alla preparazione del congresso di La Chaux-de- Fonds, come risulta dalla lettera trasmessa il 1° aprile al­l’amico Albert Richard di Lione:

«Oltre all’importanza locale, la battaglia a La Chaux- de-Fonds avrà un immenso interesse universale. Essa precede e anticipa quello che dovremmo condurre al pros­simo congresso generale dell’Internazionale.

Vogliamo la grande politica del socialismo universale o la piccola politica dei borghesi radicali, rivista e corretta dal punto di vista degli operai borghesi?

Vogliamo l'emancipazione completa dei lavoratori o unicamente il miglioramento della loro sorte? Vogliamo creare un mondo nuovo o rintonacare il vecchio?

Queste sono le questioni che dobbiamo approfondire e preparare per il prossimo congresso. Voi, come sezioni di Lione, proponetele a Londra. Dalla nostra parte vi saran­no gli Spagnoli, i Belgi, gli Italiani, le sezioni delle Mon­tagne della Svizzera e, spero, la grande maggioranza dei Francesi. E dovremo affrontare, non certo gli istinti ope­rai, ma le coalizioni e le società dei capi di partito della democrazia sociale e - sotto l ’influenza di questi capi te­deschi, in gran parte ebrei, cioè sfruttatori e borghesi - la

(ri Pubblicato dalle Edizioni La Baronata, Lugano, 1978. (nota degli editori).

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scuola di Marx, oltre ai delegati inglesi e americani. Ser­riamo le nostre file e prepariamoci alla lotta. Poiché è in forse il trionfo dell’Internazionale e della Rivoluzione.»Vi

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L’atmosfera al congresso romando di La Chaux-de- Fonds non tende certamente alla conciliazione. Il conflit­to scoppia all’inizio della riunione, a proposito dell’am­missione di nuove sezioni.

A Ginevra l’opposizione si è cristalizzata tra gli operai orologiai svizzeri della «fabbrica» e l’Alleanza internazio­nale della democrazia socialista, dove si raggruppano i partigiani di Bakunin. Il nuovo comitato federale roman­do, come pure la redazione de L'Egalité sono formati da uomini della fabbrica; le 19 sezioni hanno inviato 13 de­legati a La Chaux-de-Fonds. La sezione dell’Alleanza, ac­cettata infine dal Consiglio generale di Londra, non è an­cora ammessa alla Federazione romanda. Nel Giura tre sezioni di La Chaux-de-Fonds sono «coullerystes» e han­no fatto proprio il programma liberale umanitario e anti­collettivista del vecchio pioniere, mentre la nuova Sezio­ne di propaganda, dal programma d’agitazione rivoluzio­nario, domanda la sua ammissione. Dodici sezioni di al­tre località (Giura bernese e neocastellano, Vevey) sono rappresentate da Guillaume, Schwitzguébel, Spichiger - i tre uomini che avranno i ruoli più importanti e saranno le anime della Federazione del Giura - e da loro amici.

Nessuno ostacola l’ammissione della prima nuova se­zione, quella degli incisori e intagliatori di orologi del di­stretto di Courtelary. Ma i Ginevrini si oppongono vio­lentemente all’Alleanza, pigliandosela, per suo tramite, con la personalità di Bakunin; i più intransigenti sono d’altronde suoi disertori. Siccome la maggioranza dei de-

(2) Citato da Max Nettlau, Michael Bakunin. Voi. II, p. 379.

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legati (Giura e Vevey) vota per Pammissione, la minoran­za (Ginevra e La Chaux-de-Fonds) esce rumorosamente dalla sala. L’animosità è al colmo: se alcuni avevano vo­luto temporeggiare discutendo dapprima le questioni di fondo prima delle ammissioni, tutti ne prevedevano la rottura, presto o tardi.

Nè gli uni, né gli altri si ritengono vinti: i più numerosi hanno l’intenzione di continuare la seduta, ma la mino­ranza ha dalla sua parte il presidente del Circolo operaio dove si tiene la riunione, il quale espelle subito gli scoc­ciatori, i «collettivisti». I due gruppi riprendono allora la riunione in sale separate, entrambi definendosi congresso romando, entrambi affermandosi come maggioranza - gli uni perché riunivano effettivamente un maggior numero di delegati, gli altri perché rappresentavano più sezioni - entrambi chiamando alla riscossa gli amici.

Non ci soffermeremo sui dettagli contabili delle sezio­ni, che occupano alcune ore di discussione e colonne dei giornali. I delegati di «minoranza» rappresentavano, sem­bra, circa 1.400 membri dell’Intemazionale, mentre i Giurassiani al massimo 600, ai quali si possono aggiunge­re i membri delle sezioni appena ammesse. Il problema non è sicuramente quello di sapere chi erano i più rappre­sentativi, quali sezioni erano le più attive, se i delegati erano stati manipolati; esaminiamo piuttosto le discussio­ni che seguirono sia al Caffè Vonkaenel, rue du Stand, sia al Circolo operaio.

Considerando che i due congressi conservano il medesi­mo ordine del giorno, si possono comparare le risoluzioni votate. Le più caratteristiche posizioni dei due gruppi sono quelle sulla cooperazione e l’azione politica. La for­ma delle risoluzioni è assai fastidiosa, ma è simile a quella di tutti i congressi dell’Intemazionale che non sanno sba­razzarsi da una stesura pesante e ufficiale. Ma questi testi resteranno negli spiriti, saranno citati nelle pubblicazioni

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ulteriori, le frazioni vi si riferiranno per molto tempo, con un certo formalismo.

La cooperazione è l’oggetto delle critiche da una parte e dall’altra, poiché non è ritenuta uno strumento suffi­ciente per l’emancipazione del proletariato. La coopera­zione di produzione rischia di far diventare gli operai dei nuovi borghesi, deboli concorrenti dei grandi padroni; so­lamente l’espropriazione darà i mezzi di produzione al­l’insieme della classe operaia. La cooperazione di consu­mo può servire temporaneamente a uscire dalla miseria, ma non può generalizzarsi poiché i salari si ridurrebbero; essa rischia pure di creare gruppi privilegiati. «La conse­guenza logica di questa situazione - scrivono gli interna­zionalisti ginevrini - esige che le istituzioni che vogliamo costituire non possano creare e favorire nuove piccole for­tune, niente che possa servire la vecchia e ingiusta idea della produttività del capitale a spese del lavoro» (L'fga- lité, No 22, 28 maggio 1870). A loro volta le sezioni giu- rassiane e i partigiani di Bakunin, durante il loro congres­so, dichiarano: «che la cooperazione è la forma sociale che il lavoro adotterà dopo l ’emancipazione dei lavorato­ri; ma la cooperazione non potrà diventare il mezzo di operare la liberazione completa del proletariato, la quale potrà avvenire unicamente per mezzo della rivoluzione sociale internazionale» (La Solidarité, 11 aprile 1870).

Momentamente può essere utile raggruppare degli ope­rai in una cooperativa, è uno strumento per organizzarli, per trasmettere delle idee, per mostrare un modello di so­cietà diversa. In questo senso nella valle di St. Imier a vol­te si acquista un vagone di patate o una forma di formag­gio da ridistribuire; a Le Lode si crea un’officina coope­rativa di incisori e di intagliatori di orologi; a Ginevra l’Intemazionale dà il suo appoggio o partecipa attivamen­te a diverse società di consumo. Unicamente per i sociali­sti borghesi la cooperazione è un fine a sé; per i Giuras- siani primeggia l’emancipazione economica per mezzo

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della costituzione di società di mestiere e di resistenza; mentre per gli aderenti ai principi posti da Marx nell’/«- dirizzo inaugurale dell’AIL, la cooperazione è niente sen­za la conquista del potere politico.

La questione politica diventa effettivamente l’oggetto di due risoluzioni, radicalmente differenti; le citiamo con­frontandole Luna con l’altra, quella delle sezioni del Giu­ra a sinistra, quella delle sezioni di Ginevra e La Chaux- de-Fonds a destra.

Atteggiamento deM’Internazionalenei confronti

Considerando che l'emancipa­zione definitiva del lavoro non può aver luogo senza trasformare la società politica, fondata sul pri­vilegio e l’autorità, in società eco­nomica fondata sull’uguaglianza e la libertà;

Che qualsiasi governo o Stato politico non è altro che l’organiz­zazione dello sfruttamento bor­ghese, sfruttamento la cui formula si chiama diritto giuridico;

Che qualsiasi partecipazione della classe operaia alia politica borghese governativa non può avere altri risultati che il consoli­damento dello statu quo, ciò che paralizzerebbe l’azione rivoluzio­naria socialista del proletariato;

Il Congresso romando racco­manda a tutte le Sezioni dell’As­sociazione intemazionale dei la-

dei governi

Noi combattiamo l'astensione politica essendo funesta, per le sue conseguenze, alla nostra causa co­mune.

Quando noi professiamo l'inter­vento politico e le candidature operaie, ben inteso noi non credia­mo affatto che si possa arrivare alla nostra emancipazione per la via della rappresentanza operaia nei Consigli legislativi e esecutivi. Sappiamo benissimo che i regimi attuali devono necessariamente essere soppressi; vogliamo sola­mente servirei di questa rappre­sentanza come mezzo di agitazio­ne che non deve essere trascurato dalla tattica che noi dobbiamo se­guire in questa lotta; (...) E ' evi­dente che il nostro grande scopo tende alla trasformazione integra­le dei rapporti sociali e che. per noi. qualsiasi agitazione politica senza rapporti diretti con le que­stioni sociali, sarebbe nulla e steri­le (...).

Ammesso ciò. è chiaro che l'In­ternazionale deve perseguire ener-

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Ricamente la propria organizza­zione, che è la forma preparatoria dell'avvenire (...).

E ’ in questo senso che aderiamo completamente all'idea della Rap­presentanza de! lavoro (...) Non crediamo, visto la situazione del­l'Internazionale. che essa debba intervenire come corporazione nella politica attuale (...) ma cre­diamo che individualmente ogni membro deve intervenire, nel limi­te del possibile, nella politica, con­formandosi ai principi che abbia­mo esposto.

(L'Egalité. 16 aprile 1870)

La questione politica è al centro dei dibattiti tra le fra­zioni delPInternazionale. Il terzo considerando degli sta­tuti era stato redatto nel 1864 nel modo seguente: «The economicaI emancipalion ofthe working class is therefore thè great end to which every politicai movement ought lo he subordinate as a means» (per questa ragione l’emanci­pazione economica dei lavoratori è il grande scopo al quale qualsiasi movimento politico deve essere subordi­nato come mezzo).

Le parole «come mezzo» erano state omesse nella pri­ma traduzione francese; ciò non alterava aiTatto il senso, ma i Giurassiani, e Guillaume in particolare, ne approfit­tarono per dedurre che essi avevano aderito all’AIL se­condo gli statuti che non menzionavano affatto questo mezzo; essi subordinavano talmente l’azione politica al­l’azione economica che, dicevano, non facevano più poli­tica del tutto. Il testo dell’Indirizzo inaugurale era cono­sciuto dai delegati che, al congresso di Ginevra del 1866, adottarono gli statuti definitivi? Se lo conoscevano, non l’avevano necessariamente considerato come parte inte­grante degli statuti.

voratori di rinunciare a qualsiasi azione che ha lo scopo di operare la trasformazione sociale per mez­zo di riforme politiche nazionali e di concentrare tutta la loro attività nella costituzione federativa delle associazioni di mestiere, unico mezzo di assicurare il successo della rivoluzione sociale. Questa federazione è il vero Rappresen­tante del lavoro, che deve situarsi assolutamente al di fuori dei go­verni politici.

(La Solidarité. 11 aprile 1870)

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E’ per questo motivo che gli internazionalisti delle Montagne poterono affermare di rinunciare a qualsiasi mezzo politico tradizionale, pur trovandosi d’accordo con gli statuti della loro organizzazione. La mancanza di chiarezza dell’articolo contestato doveva d’altronde esse­re riconosciuta, poiché i delegati alla conferenza di Lon­dra del 1871, praticamente tutti avversari di Bakunin, giudicarono necessario richiamare che la «costituzione del proletariato in partito politico è indispensabile per as­sicurare il trionfo della rivoluzione sociale e de! suo scopo supremo: l'abolizione delle classi» e che «nello stato mili­tante della classe operaia, il suo movimento economico e la sua azione politica sono uniti indissolubilmente».

Le parole «azione politica» avrebbero dovuto essere approfondite in quel momento; l’opportunità era ormai passata. Questo punto è fondamentale per tutta la storia del movimento operaio, dai dibattiti della Seconda Inter­nazionale, i conflitti tra sindacalisti rivoluzionari e i par­titi socialdemocratici, dalla costituzione del leninismo e i dibattiti con l’ultrasinistra olandese e tedesca, fino ad oggi, nelle stesse file della sinistra extra-parlamentare (i gauchistes).

I Giurassiani, con i loro porta-parola Guillaume e Ba­kunin, si opponevano alla politica elettorale, al parla­mentarismo, che a loro avviso sarà sempre costretto a fare il gioco della borghesia al potere. Partecipare ai parla­menti significa ridar loro vita, accettare le forme che prende il potere, garantire lo Stato di classe; se si vuole la rivoluzione non bisogna forse abolire lo Stato, distruggere il sistema politico? Un operaio potrà unicamente pro­muovere leggi sempre destinate al doppio profitto del pa­drone e dello Stato; se non è possibile avere buone leggi, a cosa serve partecipare ai governi?

Agli anarchici che pretendono di non fare politica aste­nendosi dal voto, alcuni marxisti hanno contrapposto il parlamentarismo come unico mezzo politico. Ma la poii-

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tica non è confinata nelle arene del parlamento. E’ evi­dente che la critica delle leggi e dei governi significa una presa di posizione politica; che anche lo sciopero lo è, se non è puramente rivendicativo; che la costituzione di so­cietà di resistenza considerate come il nucleo della società futura (la federazione delle libere associazioni di liberi produttori) è un atto eminentemente politico.

Gli avversari degli anarchici lo riconoscono: Marx non affermava forse che la Comune di Parigi, che aveva di­strutto tutte le istituzioni governative per creare organi assolutamente nuovi, era «la forma politica finalmente trovata che permetteva di realizzare l’emancipazione eco­nomica del lavoro», cioè l’inizio del deperimento dello Stato?

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Dopo l’agitato congresso di La Chaux-de-Fonds esiste­ranno, per un anno e mezzo, due Federazioni romande, che fingono di ignorarsi; le relazioni tra le sezioni e con il Consiglio generale non saranno facilitate: quest’ultimo, incapace di decidere, lascerà sussistere lo statu quo. ma tiene relazioni ufficiali solo con il comitato di Ginevra.

Questa pagina di storia deM’Intemazionale è poco glo­riosa; bisogna comunque parlarne. Più flessibilità nelle relazioni, meno formalismo e falsi principi avrebbero at­tenuato le divergenze? Avrebbero almeno permesso di approfondire i problemi cruciali, di impegnarsi nel vero dibattito, di progredire nella teoria del movimento opera­io meno caoticamente.

Dopo il congresso, i due comitati federali cercano di raccogliere il più gran numero di sezioni senza d’altronde dar loro sufficienti informazioni per poi prendere posizio­ne con conoscenza di causa. Il 14 aprile, il segretario del comitato del Giura, Fritz Robert, invia una prima circo­lare che annuncia la costituzione di un nuovo comitato

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tèderale romando e l’aumento delle quote. Continua nel modo seguente:

«Compagni, ci restano ancora alcune righe penose da scrivere. La disunione è entrata tra i lavoratori della Sviz­zera romando. I tentativi di conciliazione non sono serviti a niente. La grande massa delle sezioni di Ginevra, la se­zione centrale di La Chaux-de-Fonds e forse altre ancora, non vogliono più restare con noi. Si costituiranno a parte se non l ’hanno già fatto.

Questo modo di agire è forse conforme ai nostri princi­pi e all’abnegazione che si deve fare della propria indivi­dualità aderendo all'Internazionale? Che ogni sezione amica o nemica ci risponda. E' in nome dell’avvenire del­l ’Associazione che vi invitiamo a rispondere.

Solamente allora potremo contarci e continuare la no­stra opera.»^)

Il numero degli abbonati al nuovo giornale. La Solida­rité, permette di valutare la forza della Federazione ro- manda delle Montagne: nel maggio 1870 conta 586 abbo­nati, di cui 477 in Svizzera. Tra questi vi sono 134 nel Giura bernese, 264 nel Canton Neuchâtel, 39 nel Canton Vaud, 30 a Ginevra e 9 nel resto della Svizzera. Nel giu­gno si creano nuove sezioni a Bienne, nella Val-de-Ruz, a Cortébert, a Saint-Blaise (in questo piccolo villaggio esiste una sezione di ben 30 membri), a Tramelan, ai Ponts, a Colombier. Alcune sezioni avranno un’esistenza effime­ra. La tiratura de La Solidarité non aumenta durante i suoi mesi di esistenza; in nessun caso l’ottimismo del Co­mitato federale era giustificato, poiché in una circolare del luglio-agosto aveva dichiarato: «Siamo più o meno duemila, ma per il lavoro e la propaganda possiamo af­fermare che tra qualche mese saremo quattromila.» Le condizioni create dalla guerra franco-tedesca l’avrebbero rapidamente smentito. 3

(3) Archivi della Federazione del Giura (Amsterdam USO).

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L’altra Federazione romanda, fedele al Consiglio gene­rale, aumenta leggermente. Al congresso i delegati delle 19 sezioni si erano riuniti, rappresentando 220 membri a La Chaux-de-Fonds e 1.334 a Ginevra. Saranno quasi 2.000 in estate. I Giurassiani naturalmente li accusano di presentare cifre nominali, contando numerosi contri­buenti e pochi militanti.

E’ evidente che il numero degli aderenti può cambiare di significato a seconda che la sezione sia una federazione di mestiere, di tipo sindacale, che abbia per principale at­tività una cassa di resistenza, o che sia una sezione con at­tività più «rivoluzionaria». Nel Giura si constaterà una diminuzione del numero degli aderenti quando le esigen­ze - propaganda antiparlamentare, accettazione delle ri­soluzioni congressuali - aumenteranno: questo non signi­fica che precedentemente, quando erano 600, erano tutti ugualmente persuasi della necessità della rivoluzione. Occorre tener conto che alla loro fondazione la sezione di La Chaux-de-Fonds contava 150 membri, quella di St. 1- mier un centinaio ed erano semplici associazioni di emu­lazione e di mutuo soccorso operaie, che rifiutavano l’ap­pellativo di comunisti.

Le sezioni delle Montagne hanno in quest’epoca ancora una vita completamente familiare e si preparano alla lot­ta finale nel buon umore e con le passeggiate: è testimone questo verbale anonimo, debcomizio di Corgémont, ap­parso nel numero dell’ 11 giugno 1870 ne La Solidarité.

«Domenica, alle ore 10.00, alcuni membri della sezioni del distretto di Courtelary, abitanti di Sonvilier, s'incam­minano, accompagnati da due delegati di La Chaux-de- Fonds e di Neuchâtel. Si recavano in fondo alla valle di St. Imier per assistere ad un comizio a Corgémont; e la piccola truppa, aveva il compito di trascinare sul suo pas­saggio gli internazionalisti di tutti i villaggi del Vallon. In effetti, a St. Imier, a Villerei, gruppi di amici vi si affian­cano. Si attraversò Courtelary, il capo-luogo ufficiale del

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distretto, piccolo villaggio popolato da contadini e da av­vocati dove l ’Internazionale non ha ancora potuto inserir­si. A Cortéhert, la sezione appena costituita, aspettava gli internazionalisti nel suo locale; e la piccola colonna so­cialista, rafforzata dagli amici di Cortéberg, arrivò alle 14.00 a Corgémont, dove si trovavano alcuni delegati del­le sezioni di Bienne, di Granges, di Moutier.

Il comizio ebbe luogo nella grande sala dell’Hólel de la Croix Fédérale, dove una folla compatta, di cui una parte non aveva potuto trovare posto sui banchi preparati per il pubblico, dovette restare in piedi presso la porta e nell’a­trio; si può valutare a 200 o 300 il numero delle persone presenti al comizio; si osservarono nella folla numerose donne, che sembravano alquante interessate alle delibera­zioni.

L'assemblea formò il suo ufficio: Léon Schwitzguébel, di Sonvilier, presidente; Gagnebin, di Bienne, vice- presidente; Granier, di Cortéhert e Haemmerli di St. I- mier, segretari. Gli oratori esposero in seguito i principi dell’Internazionale: Heng, di La Chaux-de-Fonds, Adhé- mar Schwitzguébel di Sonvilier, Guillaume di Neuchâtel si succedono alla tribuna. Non possiamo riprodurvi i di­scorsi degli oratori: poiché se dovessimo dopo ogni comi­zio riassumere le parole di coloro che hanno esposto i principi generali del socialismo, ripeteremmo cose già note ai lettori; in effetti nelle località dove l ’Internazionale è ancora sconosciuta, ci si trova naturalmente obbligati a spiegare un sacco di cose elementari che sono storia più che conosciuta dai membri delle nostre sezioni. Diremo solamente che i tre discorsi in questione furono ascoltati in un profondo silenzio e con la più grande attenzione, e che furono calorosamente applauditi. Kaiser, di Bienne, un socialista tedesco che ha dovuto lasciare ultimamente Erfurt e rifugiarsi in Svizzera per sfuggire alle persecuzio­ni della polizia di Bismarck, si espresse più volte in tede­sco, su richiesta di una parte dell’auditorio, composta da

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un certo numero di operai di lingua tedesca. In un discor­so segnalò il comportamento di due o tre borghesi che, dopo aver ascoltato alcuni oratori, erano partili sghignaz­zando e dietro la porta si facevano grasse risate del comi­zio. I nostri contradditori agirebbero più degnamente, dice Kaiser, presentandosi alla tribuna per fronteggiarci. Perciò li invitiamo e ascolteremo gli argomenti che vor­ranno proporci.

E ’ ovvio che nessun borghese rispose all'invito. Questi Signori fingono di disdegnare la discussione con noi, come se le nostre opinioni non valgano neppure la pena di essere contraddette; ma in realtà tacciono perché sanno bene che in una discussione politica verrebbero schiaccia­ti.

Eugène Robert, di St.Imier, con un discorso energico, espose le lagnanze degli operai del Vallon, e dipinse nei dettagli la loro situazione, la miseria della loro esistenza, il terrore esercitato in alcune fabbriche. Ma nonostante tutti i mezzi disponibili ai nostri avversari, gli operai non mancheranno di aderire all'Internazionale, la quale è l ’u­nica a poter dare l ’appoggio necessario per far valere i loro diritti.

Gagnebin, di Bienne, trattò il problema degli scioperi dimostrando che l ’operaio ha il diritto di rifiutare di lavo­rare a condizioni non convenienti. Ma quando gli operai vogliono esercitare questo diritto così legittimo, i governi, anche i governi repubblicani della Svizzera, ricorrono al­l’esercito per intimidire gli scioperanti. Abbiamo visto in Francia e in Belgio il macello di questi cosiddetti tutori dell’ordine; e in Svizzera abbiamo dovuto subire scene si­mili a Basilea, Losanna e Ginevra. Occorrerebbe far com­prendere una volta per sempre ai nostri governi che non vogliamo l ’intervento dell'esercito svizzero contro i lavo­ratori; l ’esercito siamo noi, lavoratori, che lo componia­mo; ebbene, nel caso che ci chiamassero a marciare con­tro i nostri fratelli, rifiuteremmo energicamente. Chiedo

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alle sezioni dell’Internazionale, di volersi impegnare se­riamente a organizzare il rifiuto del servizio militare in caso di sciopero: abbiamo sufficientemente parlato, è ar­rivato il momento di agire (applausi entusiasti).

Nessuno richiese la parola e di conseguenza il presi­dente rivolge all’assemblea la seguente domanda: «Il co­mizio adotta i principi dell’Internazionale? Chi è d ’accor­do con questi principi è pregato di alzare la mano».

Tutte le mani si alzano. Alla contro prova non vi sono oppositori.

Il presidente propone che, per testimoniare la simpatia del comizio nei confronti della federazione ginevrina, ven­ga effettuata una colletta in favore degli operai attual­mente in sciopero a Ginevra. Questa proposta è adottata all’unanimità.

Il presidente annuncia inoltre che gli operai di Corgé- mont presenti al comizio costituiranno un comitato prov­visorio, con il compito di organizzare la sezione dell’In­ternazionale di Corgémont. La seduta è terminata. L'or­dine pili perfetto non ha cessato di regnare e l'accoglienza agli oratori dell’Internazionale aveva superato le speran­ze dei promotori del comizio. Abbiamo visto una donna che all’uscita diceva: «Ah, se fossi un uomo, mi affilierei subito all'Internazionale!» Ma, le risponderemo, non è necessario essere un uomo per partecipare all’Internazio­nale: le operaie soffrono ugualmente l’oppressione del ca­pitale e di conseguenza hanno anche loro il dirito a rag­giungere la grande Associazione dei lavoratori.

Una serata familiare concluse la giornata: e dobbiamo ringraziare particolarmente la Società di canto tedesca di Corgémont per la sua partecipazione a questa piccola fe­sta. Speriamo che eccellenti elementi che si trovano riuniti in questa bella assemblea, saranno capaci di costituire una buona e vigorosa sezione dell’Internazionale.»

Comizi simili hanno luogo in numerose valli del Giura, animati generalmente dalla sezione di propaganda; termi­

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nano raramente senza la formazione di una nuova sezio­ne.

3. LA RICERCA 01 UN'IDENTITÀ'

Nell’estate 1870 a Ginevra scoppiano di nuovo scioperi importanti, promossi dai tegolai ed in seguito dai gessato- ri. 1 padroni rispondono con una serrata, minacciando di espellere gli stranieri accusati di sobillazione: il loro al- lontamento dovrebbe permettere di tergiversare, di frena­re il movimento; è una vecchia tattica che utilizzano tutte le polizie del mondo. La solidarietà non è una parola vana: una manifestazione di protesta di 5.000 operai sviz­zeri fa riflettere il governo, e le minacce non potranno di­ventare esecutive.

Agli occhi dei Giurassiani, questa vittoria parziale - poiché la serrata continua - avrebbe dovuto far compren­dere agli internazionalisti la superiorità di ciò che più tar­di si chiamerà «azione diretta» rispetto alla commedia elettorale. La borghesia non ha armi sufficienti contro gli operai organizzati e solidali, mentre è sempre la più forte in Parlamento. Gli operai di Ginevra hanno voluto pre­sentare uno dei loro, Grosselin, alle elezioni del Consiglio di Stato: se «fosse stato eletto membro del governo, nella sua posizione ufficiale avrebbe forse potuto dare di più per la causa dei lavoratori di quello che avrebbe dato nel­l'assemblea popolare?» (Solidarité. 18 giugno 1870).

Lo sciopero finirà male: i due terzi dei gessatori lascia­no Ginevra, gli altri sono reintegrati alle condizioni pre­cedenti. La partenza di militanti, la mancanza di soldi, lo sconforto dell’insuccesso, la guerra infine hanno indeboli­to le sezioni internazionaliste di Ginevra e obbligano L'Egalité a ridurre il formato e la frequenza.

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A loro volta i Giurassiani lottano soprattutto verbal­mente, allargando il cerchio degli amici con contatti in Francia e in Spagna. Particolarmente con la Francia la solidarietà prende forme concrete poiché la repressione impedisce all’Internazionale di agire liberamente e di far­si conoscere con pubblicazioni. Guillaume si impegna a stampare in giugno due numeri di un nuovo giornale Le Socialiste, organe de la Fédération parisienne de l'AIT, paraissant le samedi, che viene confiscato quasi total­mente alla frontiera.

11 12 luglio 1870 scoppia la guerra tra la Francia e la Germania. La Svizzera, come d’abitudine, dopo il primo colpo di cannone chiama alla mobilitazione e gli operai giurassiani si ritrovano alle frontiere, nell’eventualità che la patria, alla quale non hanno risparmiato critiche, deb­ba subire un’aggressione dai cattivi vicini, da sempre chiamati fratelli...

«La borghesia si frega le mani, pensando che tutto que­sto trambusto possa diventare un diversivo e relegare la questione sociale all'ultimo posto» profetizza La Solidari- té nel suo numero del 16 luglio. In effetti le sezioni giu- rassiane, come l’insieme dell’Internazionale, vegetano e si sgretolano, durante lunghi mesi, dalla dichiarazione della guerra alla Comune di Parigi. Per tre ragioni: la mobilita­zione di numerosi operai; le difficoltà economiche con la diminuzione della produzione e delle esportazioni e con la conseguente disoccupazione; infine la rottura delle re­lazioni con l’estero, in particolare con il movimento fran­cese, di cui si rimarrà senza notizie dirette fino al febbraio 1871, quando Guillaume riceverà una lettera di Varlin.

La tensione è grande nei primi rrtesi della guerra; ovun­que notizie di rivoluzioni, di insurrezioni abortite, a Mar­siglia in luglio, a Parigi in agosto. Alla caduta dell’Impero e alla proclamazione della Repubblica come non poter credere che si è prodotto questo sconvolgimento tanto at­teso, che la rivoluzione scoppia, che i sogni si realizzano?

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In Francia, nelle sezioni dell’Internazionale; in Germania tra la social-democrazia; nel Giura; perfino a Londra, al Consiglio generale dell’AIL, tutti vedono nella caduta deH’Impero il rovesciamento di un ordine aborrito e l’al­ba di un nuovo mondo. «Dopo i vecchi anni vergognosi del Secondo Impero, il popolo francese ha preso nelle pro­prie mani la sua storia» scrive il comitato del partito so­cial-democratico tedesco il 5 settembre*4).

Alcuni comunque temono l’impazienza rivoluzionaria. Quando James Guillaume e un compagno di Lione pub­blicano a Neuchâtel un manifesto incendiario, gli avver­sari - la Federazione romanda a Ginevra e a La Chaux- de-Fonds - rompono la solidarietà, impauriti. Effettiva­mente il manifesto non viene a proposito. Esso chiede agli internazionalisti tedeschi di deporre le armi, a quelli svizzeri di formare corpi franchi per andare a lottare con i «rivoluzionari» francesi:

«La causa della Repubblica universale è quella della Rivoluzione europea, ed è venuto il momento di dare il nostro sangue per la liberazione dei lavoratori e dell’inte­ra umanità. (...)

Internazionalisti di tutto il mondo!Questa è l ’aurora del nuovo giorno, del giorno della

giustizia che si leva sull’umanità!Evviva la Repubblica sociale universale/»(5>La sera stessa del 5 settembre si svolgono le diverse riu­

nioni nel Giura, vengono organizzate collette, raccolte delle armi, ma nessuno, a parte alcuni repubblicani zuri­ghesi, partirà. Una ventina di membri della Federazione delle Montagne si recano a La Chaux-de-Fonds per tenta­re di rappacificarsi con gli avversari «coullerystes» e pro­porre un’azionç comune, senza successo. Bisogna imme­diatamente ricredersi: dapprima quando la polizia neoca­

*4) Citato in Minutes o f thè General Councìl. tomo IV. pag. 64.(^) Supplemento a La Solidarité. 5 settembre 1870.

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stellana si presenta alla tipografia Guillaume per seque­strare gli ultimi esemplari del manifesto e proibire la pub­blicazione de La Solidaritè; in seguito soprattutto quando si verrà a conoscenza del genere di Repubblica che si è stabilita, quale governo la dirige e quale politica questo governo ha intenzione di condurre nei riguardi dell’Inter­nazionale.

L’appello di Guillaume di sostegno alla Repubblica trova eco unicamente tra i membri più attivi dell’AIL del Giura, per poco tempo. La chiusura della tipografia e la soppressione de La Solidaritè fanno rinascere la sfiducia. L’unico a sostenere veramente Guillaume in questa situa­zione, e che potrebbe avere influenza, è Bakunin. Lui stesso vuole agire, ora che l’Impero è caduto, che la vitto­ria operaia è vicina, che i lavoratori finalmente potranno prendere in mano la loro storia. Si recherà a Lione, chia­mato dall’amico Albert Richard per incoraggiare gli in­ternazionalisti e i moderati a costituirvi la Comune. Alla vigilia scrive al Comitato federale giurassiano una lettera che sicuramente non è mai stata diffusa, poiché sembra sia rimasta inedita fino al 1926:

«Ginevra, 13 settembre 1870, Cari amici (...) ho final­mente letto il famoso proclama o manifesto de La Solida- rité alla sezione dell'Internazionale.

Se mi aveste consultato al momento della pubblicazio­ne, probabilmente vi avrei detto: Aspettate ancora un po ’, l ’ora non è ancora venuta. Ma dal momento che è stato pubblicato dai nostri fratelli, alleati e amici, vi aderisco completamente, con tutto il mio corpo e il mio essere. Sparlarne o anche solamente astenersi nel momento dove il nostro amico è abbandonato alla persecuzione di lutti i borghesi e dei falsi operai, di tutti gli operai borghesi di La Chaux-de-Fonds e di Ginevra, è forse agire da reazio­nario o da vigliacco. (...)

[Guillaume] ha avuto torto sicuramente se ha agito sen­za consultarvi. Se non lo ha fatto ha commesso un grave

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delitto contro questa solidarietà che mi ammazzo a predi­care e che predico, purtroppo, sovente nel deserto. Am­messo e constatato ciò, occorre riconoscere, e voi non po­tete non riconoscerlo senza dimenticate i vostri doveri e la vostra dignità, che egli ha preso unicamente l ’iniziativa di una parola che doveva essere necessariamente pronuncia­ta e di un atto che doveva assolutamente essere compiuto da una sezione, da tutte le sezioni dell’Internazionale. (...)»((>)

Il congresso giurassiano, riunitosi poco dopo, non cite­rà la lettera. Nel frattempo altri fatti erano avvenuti.

11 disprezzo per Guillaume dimostra a qual punto l’in­formazione passava difficilmente e poteva deformarsi. Durante l’inverno 1870-1871 le comunicazioni con Pari­gi sono interrotte, quelle con il resto della Francia riman­gono incerte. La proibizione de La Solidarité e la mobili­tazione disorganizzano le sezioni del Giura; la carenza di derrate alimentari e la mancanza di lavoro non permette­vano più agli operai di sottoscrivere le casse di resistenza.

Comunque questa squallida stagione è molto importan­te; in quest’epoca la Federazione del Giura prende forma, acquista un’esistenza autonoma, anche se per la fondazio­ne ufficiale bisognerà aspettare il novembre 1871. Ancora una volta gli avvenimenti e i personaggi esterni al Giura hanno un ruolo decisivo nello sviluppo delle idee e del­l’organizzazione delle sezioni internazionaliste. All’inizio c’erano Bakunin e i primi congressi dell’AlL. Adesso ci sono la Repubblica francese e le Comuni, fino all’espe­rienza esemplare della Comune di Parigi. Più tardi vi sa­ranno le prime manifestazioni di propaganda del fatto in Italia, in Russia.

La prima città che desta attenzione è Lione. Non ci di­lungheremo su questa sfortunata avventura, sebbene sia stata seguita da vicino dagli internazionalisti in Svizzera; 6

(6) Le Ré ve il anarchiste. Ginevra. 2 1 agosto 1926.

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l’anno precedente, Schwitzguébel e Guillaume si erano recati a Lione, senza riuscire ad accordarsi con i «bakuni- nisti» del luogo, Gaspard Blanc e Albert Richard. Baku­nin arriva a Lione il 14 settembre 1870, chiamato dal Co- mitè de Salut de la Frante che riunisce internazionalisti e radicali; il 28 viene proclamata la Comune ai Palazzo municipale, sul quale sventola la bandiera rossa. La Co­mune ha la durata di un proclama: appena le guardie na­zionali (borghesi a Lione, a differenza di Parigi) penetra­no nel Municipio vi è un vergognoso fuggi fuggi. Comune senza movimento di massa, senza organizzazione di base, senza legami tra quelli che alla tribuna dichiarano abolito lo Stato e il popolo: il tentativo di Lione è da considerarsi una smargiassata.

Non si fa la rivoluzione con le parole. E questa avven­tura dimostra pure che un clima di repressione antiopera- ia non è sufficiente a creare nel proletariato una cosciènza autonoma, o facoltà organizzative sufficienti. I cuori sono sicuramente per la Comune, come le canzoni; l’idea è nell’aria dalla presa della Bastiglia, ma rinnovata dall’In- ternazionale e in particolare dall’inizio del declino del Se­condo Impero. La realizzazione dell’Internazionale si concretizzerà nelle federazioni di comuni, libere entità senza governo e senza delegazioni di potere. La Comune può andare dal piccolo villaggio fino ad una città come Parigi, ma resta sempre un luogo di comunicazioni, che vive in una certa autarchia, senza separare l’uomo dal suo lavoro, gli uomini gli uni dagli altri, gli uomini dalla loro storia. La Comune è il luogo della vita e della morte, cel­lula originale, luogo più propizio per la realizzazione del progetto umano.

In breve, la Comune è la negazione dello Stato, dello sfruttamento, del potere dei possidenti.

11 tentativo abortito di Lione ha comunque valore sim­bolico poiché è il primo di una serie di movimenti rivolu­zionari comunalisti in numerose città francesi, Marsiglia,

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Brest, Rouen, Le Creusot. Nel marzo 1871 infine, Parigi proclama la Comune.

Le comunicazioni tra Parigi e la Svizzera erano state ri­stabilite dall’inizio dell’anno e Guillaume aveva ricevuto in febbraio una lunga lettera di Varlin, che lo informava della situazione. Dal 19 marzo viene inviato a Varlin un emissario per meglio conoscere la situazione, l’estensione di questa «rivoluzione», la partecipazione effettiva degli internazionalisti. La risposta di Varlin, le dichiarazioni e i documenti della Comune che perverranno nei giorni se­guenti sono chiari; è un avvenimento locale, limitato, ma profondamente ispirato - nel suo federalismo, nella nuo­va forma di governo, nei riferimenti e nei mezzi utilizzati - dallo spirito dell’Intemazionale e soprattutto dai princi­pi cari ai Giurassiani.

Di conseguenza, quando nelle settimane seguenti esco­no i primi numeri della nuova Solidarité, i Giurassiani si entusiasmano per la Comune di Parigi. Dopo nove mesi di guerra e d’oscurità l’orizzonte rivoluzionario si è illu­minato da una pazza speranza; i Parigini hanno inventato una nuova società, nuovi rapporti umani.

I governi di Europa si spaventano e perseguitano con maggior accanimento gli internazionalisti, accusati di es­sere gli istigatori della Comune di Parigi e di conseguenza di tutte le potenziali rivoluzioni. Ma gli internazionalisti hanno avuto un ruolo minimo nella Comune: questa era il prodotto di forme storiche, e la volontà di un gruppo di individui - come nei tentativi comunalisti di Lione o di Marsiglia - non può anticipare la storia. Ora se i redattori de La Solidarité riconoscono il ruolo secondario dei loro compagni parigini, analizzano l’avvenimento con le loro teorie precedenti. Per essi la Comune di Parigi corrispon­de all’immagine che si sono forgiati della società futura, e sarebbe positivo che le prossime rivoluzioni prendessero le medesime forme. Ma i motivi di questo fenomeno, le forze presenti, come la rivoluzione può estendersi, gli er­

L

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rori, non vengono approfonditi. La Rivoluzione è quasi un atto magico, che si produce in periodo di crisi senza che si possa sapere il perché.

Il ruolo di analista l’avrà Marx, e L'Indirizzo del Con­siglio generale sulla Comune sarebbe stato rivelatore per i Giurassiani, se non fosse apparso in un periodo di gravi conflitti tra loro e il Consiglio generale di Londra, ren­dendo sordi gli uni agli altri.

Bakunin, da parte sua, recandosi a Sonvilier alla fine del mese di aprile, limita il suo entusiasmo: «Finché non si produrrà nessun serio movimento in provincia - scrive a un amico russo a Ginevra - non vedo speranza per Pa­rigi. Certamente Parigi è forte e risoluta, grazie agli dei. Siamo finalmente usciti dal periodo della parola per en­trare in quello dell’azione. Qualunque sia l ’esito, stanno creando un fatto storico immenso». Come può crearsi un movimento in provincia? «I sollevamenti popolari di Lio­ne. di Marsiglia e delle altre città di Francia, sono falliti a causa della mancanza di organizzazione. Posso parlarne con conoscenza di causa, poiché vi ho partecipato e ne ho sofferto. La Comune di Parigi continua valorosamente poiché durante l’assedio, gli operai si sono organizzati se­riamente. Non è senza ragione che i giornali borghesi ac­cusano l ’Internazionale di aver prodotto questa magnifica rivolta di Parigi». Durante il suo soggiorno nel Vallon parla in tal senso agli operai, tratteggiando un panorama della loro storia. La Comune, se avesse avuto esito positi­vo, sarebbe stata il risultato di una lotta di liberazione e di emancipazione della classe operaia, di fronte ai prìncipi, poi di fronte ai borghesi e ai capitalisti. Occorre conosce­re le loro armi, conoscere i meccanismi della loro econo­mia per distruggerla, grazie all’organizzazione operaia, al collettivismo, al federalismo. Lo sviluppo della lotta ope­raia darà il suo vero senso alla Comune.

L’enfasi di Bakunin era condivisa dagli amici: a più ri­prese si complotta un’insurrezione a Lione, ma general­

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mente i compagni svizzeri non hanno il tempo di prende­re il treno per prestar man forte che il movimento è già annientato. Un’organizzazione che non ha base popolare non è niente.

Ciò nonostante, dopo la sfortunata avventura del 4 set­tembre, l’idea di una partecipazione all’insurrezione dalla Svizzera li ha abbandonati. Li allontanerà ancora di più - pur restando un fine teorico - quando, il 27 maggio, si co­nosce la disfatta della Comune. Gli sforzi si concentrano allora sull’accoglienza ai rifugiati, sul sostegno materiale ai prigionieri e agli ergastolani, e a livello teorico, sulla critica dei governi.

L’arrivo a Ginevra e nel Giura di coloro che in seguito verranno chiamati Comunardi - una cinquantina di pro­scritti, tra cui numerosi internazionalisti, la maggioranza dei quali aveva assunto cariche di rilievo negli organi del­la Comune - sarà importante per l’avvenire dell’Interna­zionale in Svizzera. La loro attività è rivolta inizialmente verso la Francia e dal momento che prende soprattutto la forma di propaganda scritta, raggiunge pure i Giurassiani, dando loro nuovi slanci. Anch’essi possono rendersi utili, facendo passare giornali e passaporti in Francia.

L’atmosfera delle sezioni delle Montagne piaceva ai Comunardi; stabilitisi generalmente a Ginevra, erano tut- t’altro che entusiasti dell’apparente inattività dell’Inter­nazionale in questa città, preferendo le discussioni delle Montagne, i circoli di studi sociali, le serate di conferen­ze, la propaganda nelle borgate. Comunque il primo gruppo formatosi a Ginevra, la Sezione di propaganda e d’azione rivoluzionaria socialista, evitò di parteggiare per l’una o l’altra frazione dell’AlL. Pure nel Giura i Francesi sono poco numerosi. 11 più attivo è Louis Pindy che lavo­ra all’officina cooperativa degli incisori di Le Lode e che farà parte a più riprese del Comitato federale giurassiano. A Neuchâtel risiede il vecchio Charles Beslay, amico di Proudhon; a La Chaux-de-Fonds due blanquisti, H. Ferré

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e P. Jeallot; a Saint-Blaise il panieraio Gaffiot, proscritto della Comune di Le Creusot.

Le autorità svizzere, in quest’epoca, possiedono ancora una concezione generosa del diritto di asilo; i proscritti possono non solo stabilirsi in Svizzera e trovarvi lavoro, ma pure esercitare un’attività politica. Negli anni 1880 la severità aumenta quando gli anarchici cominciano a di­scorrere di propaganda del fatto e metterla, a volte, in pratica. Il tema degli «agitatori stranieri» venuti a semi­nare il disordine in Svizzera, di un «complotto interna­zionale» per far crollare gli Stati è iniziato proprio in que­gli anni; non è ancora morto oggi. Agli inizi del nostro se­colo, è sufficiente che una bomba scoppi in Italia perché centinaia di anarchici italiani in Svizzera vengano espul­si.

Nel 1871, la situazione è più favorevole e le rive del lago Lemano accolgono rifugiati politici di ogni sorta. Così i Comunardi parteciperanno alla vita dell’Intema­zionale e del movimento operaio svizzero; alcuni conti­nueranno il loro viaggio più lontano, la maggioranza rientrerà in Francia dopo l’amnistia del 1880, altri infine resteranno in Svizzera e si accaseranno.

4 .1 RIBELLI; LA FEDERAZIONE DEL GIURA

Le difficoltà create dalla guerra del 1870 e la repressio­ne degli internazionalisti in tutta Europa dopo la Comu­ne di Parigi, paradossalmente non impedirono all’AIL uno sviluppo. Ma la repressione non fu questa volta un fattore di unità: i conflitti e le divisioni s’aggravarono e l’estate 1871 doveva anche segnare l’inizio del declino dell’Intemazionale.

Il congresso annuale del 1870 era stato fissato a Mainz,

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in settembre; ma in luglio vi era la guerra, e durante l’in­verno le sezioni rimasero rintanate, senza mezzi di comu­nicazione. Dopo la caduta della Comune, il Consiglio ge­nerale riconosce la necessità di fare il punto, di contare i propri membri, di richiamare i principi dell’AlL. Nel frattempo il conflitto svizzero romando non è liquidato e le due parti - come pure Marx - desiderano puntualizzare la situazione.

Si è ribadito troppo sovente che i conflitti nell’Interna­zionale, che dovevano poi arrivare alla scissione nel 1872, erano causati dall’animosità personale e dalla con­correnza che regnavano tra Marx e Bakunin. Ma alcune questioni personali non sono sufficienti a spiegare perché le sezioni seguirono una o l’altra linea. Sicuramente Marx e Bakunin godevano entrambi di una grande popolarità in alcune frazioni del movimento operaio: il primo in Ger­mania, a Ginevra, un poco in Francia e in Inghilterra; il secondo nel Giura, in Italia, in Spagna, un poco in Belgio. Ciascuno aveva sviluppato un pensiero originale, letto e più o meno ben conosciuto dagli internazionalisti. Ma le loro concenzioni politiche, come i loro metodi d’azione differivano profondamente.

L’Internazionale, alla sua fondazione era un corpo as­sai eterogeneo, al quale poteva applicarsi il vago qualifi­cativo di «socialista». I suoi Statuti non rappresentavano per tutte le sezioni un programma politico obbligatorio, e men che meno preciso. E’ certo che quando furono redat­ti, Marx vedeva più a lungo termine, con la volontà di realizzare il suo programma, d’altronde già esposto prece­dentemente con Engels nel Manifesto e precisato ne La guerra civile in Francia. Bakunin, a sua volta, quando il suo programma socialista e anarchico era stato rifiutato dalla Lega della pace e della libertà al suo congresso di Berna del 1868, con i suoi amici aveva aderito all’Inter­nazionale, cercando di farle adottare i principi libertari.

Il parallelo sarebbe troppo facile, e fallace, anche se si

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possono confrontare le ingiurie scambiate - secondo la migliore tradizione della lotta politica - o alcune mano­vre per guadagnare voti o mandati nei congressi. Se com­battono entrambi per l’avvento del socialismo in una so­cietà senza classi, la visione di questa nuova società e so­prattutto i mezzi per arrivarci, differiscono profondamen­te. Una tragedia della vita dell’AlL è proprio l’incom­prensione reciproca tra Bakunin e Marx.

11 primo ammirava la scienza di Marx, le sue analisi economiche e confessava la sua incapacità di fare altret­tanto. Comunque aveva scoperto ben presto le tendenze centralizzatrici, autoritarie e burocratiche del suo avver­sario e i pericoli del «comunismo di Stato». Ma non sem­pre le spiegazioni che dava del pensiero e della condotta di Marx erano soddisfacenti: « Tedesco e Ebreo, è un au­toritario dalla testa ai piedi» dichiarava, e cercava di di­mostrarlo in vari modi. Non cessava di essere persuaso che Marx era il capo di una società segreta all’interno del­l’Intemazionale, proiettando il proprio gusto delle cospi­razioni e dei criptogrammi. Il vero progetto teorico e stra­tegico di Marx non è sempre studiato sistematicamente nelle pagine di Bakunin.

Marx, a sua volta, non risparmiava le accuse nei con­fronti di Bakunin, rimproverandogli di non comprendere nulla di economia e di politica, accanendosi pure su pre­giudizi: «Appena un Russo si infiltra, il diavolo si scale­na». Ma le sue critiche e accuse contro l’azione di Baku­nin nell’AIL sono tutt’altro che in buona fede: condanna la costituzione di società segrete, ma senza informarsene seriamente; si prende gioco dell’abolizione dell’eredità, pur essendo cosciente che per Bakunin è una questione secondaria, poiché non fu più ripresentata dopo il con­gresso di Basilea; attacca più seriamente «l’astensioni­smo» e il rifiuto della «politica», dando però a queste pa­role un significato diverso. Infine non approfondisce la nozione dello Stato e non confronta mai seriamente la

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questione della sua distruzione immediata, voluta dagli anarchici, con la fase «transitoria» della dittatura del pro­letariato, che considera più realista. L’ultimo paragrafo di un libello apparso nel marzo 1872 (dunque quando l’Al­leanza era dissolta già da tempo). Le pretese scissioni nel­l'Internazionale, testimonia l’ambiguità della critica di Marx: «L 'anarchia, ecco il grande cavallo di battaglia del loro padrone Bakunin, che dai sistemi socialisti ha preso solo l ’etichetta. Ogni socialista intende per anarchia: rag­giunto lo scopo del movimento proletario, cioè l'abolizio­ne delle classi, il potere dello Stalo - che serve a mantene­re la grande maggioranza produttrice sotto il giogo di una minoranza sfruttatrice poco numerosa - sparisce, e te sue funzioni governative si trasformano in semplici funzioni amministrative. L'Alleanza prende la cosa alla rovescia. Proclama l’anarchia nelle file proletarie, come il mezzo infallibile per rompere la potente concentrazione di forze sociali e politiche nelle mani degli sfruttatori. E con que­sto pretesto chiede all'Internazionale, proprio nel mo­mento che il vecchio mondo cerca di schiacciarla, di sosti­tuire la sua organizzazione con l'anarchia. La polizia non domanda di meglio per poter elernizzare la repubbli­ca di Thiers coprendola con il manto imperiale.»

La conferenza di Londra, tenuta nel settembre 1871, avrebbe poi dato luogo a un regolamento dei conti tra il Consiglio generale e il fantasma di BakuninO

Invece di convocare un regolare congresso generale, nell’Europa ancora scossa del 1871, il Consiglio generale decise di riunire una conferenza, come sei anni grinta quando il primo congresso non si era ancora tenuto. La Conferenza, non menzionata negli Statuti e nei rdgola- menti dell’AIL, non ha dunque competenze e rappresen­tanza definite; così si delibererà sul diritto di voto dei membri del Consiglio generale e dei segretari-0 ) A questo proposito vedi Miklos Molnar, Le déclin de la Premiare In­

ternationale. Ginevra 1963.

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corrispondenti dei paesi non rappresentati. Vi saranno in­fine 22 partecipanti alla Conferenza, tra cui 13 membri del Consiglio generale (!).

L’ordine del giorno previsto comportava soprattutto punti amministrativi (statistica operaia, organizzazione del Consiglio generale, delle sezioni e delegazioni, quote, formazione di sezioni femminili e agricole, ecc.). Ma le discussioni più importanti, quelle che avevano pratica- mente provocato la Conferenza, riguardavano l’Alleanza e Bakunin, con lo scopo di «liquidarli» politicamente e ideologicamente.

1 partecipanti alla Conferenza sono tutti, salvo due o tre eccezioni, avversari di Bakunin e parteggiano per la Federazione romanda di Ginevra. Ma sanno veramente dove la Conferenza vuole arrivare, hanno compreso l’im­portanza di quella piccola frase scivolata in una risoluzio­ne, conoscono il piano di Marx? Questi senza dubbio vuole finirla con le frazioni, sia con i proudhoniani fran­cesi e i tradeunionisti inglesi, sia con i «bakuninisti»; il momento è arrivato di fare deH’Intemazionale il grande partito della classe operaia. In quest'ottica, la condanna dell’Alleanza e della scissione svizzera prende un signifi­cato che supera il conflitto personale Marx-Bakunin; e se la maggioranza delle risoluzioni si accentrano sull’anar­chico senza nominarlo - proibizione di sette e di sezioni particolari, condanna delle manovre dell’Alleanza e dei Giurassiani, prese di posizione sull’affare Necaev, esigen­za dell’azione politica - è proprio quest’ultima la più im­portante per l’intera Internazionale, e cioè: «il proletaria­to non può agire come classe che costituendosi lui stesso in parlilo politico distinto, opposto a tutti i vecchi partiti formati dalle classi possidenti».

Era veramente chiaro per tutti? Al contrario. Il conflit­to svizzero e le posizioni dei Giurassiani non avevano an­cora provocato grandi discussioni nelle sezioni o negli or­gani dell’Internazionale; prese alla lettera, alcune risolu­

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zioni della Conferenza sembrano avere una portata gene­rale, e unicamente le persone prese di mira erano coscien­ti delTimportanza. La minoranza, alla Conferenza, si op­pone a questa o quella risoluzione generalmente per ra­gioni procedurali, contestando il potere decisionale pro­prio della Conferenza, ma non attacca il problema di base. Solo più tardi essa ritornerà sulle proprie posizioni e rifiuterà precisamente questo obbligo dell’azione politi­ca, come pure la facoltà del Consiglio generale di fare la politica dell’Internazionale.

Marx aveva veramente ben colpito, aveva saputo finirla con i deviazionisti e assicurare l’unità dell’Internaziona­le? No: la risposta sarà una dichiarazione di guerra.

*

* *

La rottura del Giura con il Consiglio generale avrebbe potuto prodursi già nel 1870, quando il numero degli ade­renti era più elevato. Ma la forza politica, la forza quali­tativa non è sempre legata necessariamente al numero; era meglio rompere in un momento dove vi era la sicu­rezza da una parte di poter condurre una vita autonoma, dall’altra di allacciare contatti internazionali fruttuosi.

La costituzione di una Federazione del Giura era già stata proposta dalle sezioni di Neuchâtel nell’estate 1870, poi dalla Conferenza di Londra: ed è proprio per sfida, più che per comodità, che i dissidenti adottarono questo nome: come gli anarchici hanno ripreso, a testa alta, un nome inizialmente insultante.

11 congresso si apre il 12 novembre 1871, all’Hòtel de la Balance a Sonvilier, non nel periodo più glorioso o flori­do dell’Intemazionale nel Giura. Schwitzguébel, che leg­ge il rapporto del comitato federale, non nasconde il re­gresso di numerose sezioni (su 20, 8 solo sono rappresen­

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tate), benché proietti su di esse la speranza che egli con­serva dello sviluppo dell'AlL.

«Compagni, saremmo felici di potervi presentare un rapporto completamente soddisfacente sullo stato della nostra federazione romando, ma saremo veritieri nell’e­sposizione dei fatti riguardanti la nostra vita federativa e che si sono prodotti dopo essere stati chiamati a prendere in mano la direzione dei nostri affari federali.

La nostra funzione, come comitato federale romando, è iniziata al di fuori delie prescrizioni del regolamento fede­rale; è stata il risultato di una situazione completamente eccezionale, causata dagli avvenimenti europei degli ulti­mi 15 mesi. Era naturale che lo scatenamento delle pas­sioni guerriere, come si manifestarono dopo l'inizio della guerra franco-tedesca, producesse una reazione contro lo sviluppo del socialismo internazionale. Lo spirilo si rivol­geva avidamente verso i campi di battaglia; i pensieri espressi nei comizi socialisti, nelle riunioni pubbliche, erano ormai dimenticati e si discuteva appassionatamen­te delle battaglie che dovevano uccidere migliaia di figli de! popolo.

Solamente alcuni gruppi operai restavano fedeli alle loro convinzioni umanitarie, protestavano contro la guer­ra e preparavano con un serio lavoro l'avvento di un’era di pace fondata sulla liberazione del lavoro, la pratica del­la libertà e il regno dell’uguaglianza! (...)

E ’ da notare che la fase d ’esistenza dell'Internazionale precedente alla guerra franco-tedesca si distingue soprat­tutto per il grande entusiasmo popolare; è il mondo ope­raio che arriva alta vita intellettuale e morale, che scopre il faro che deve guidarlo al porto; ci si rallegra, ci si entu­siasma; poi inizia la lolla gigantesca che il proletariato è chiamato a condurre contro la borghesia, e di conseguen­za la riflessione è imposta dai fatti secondo i tempera- menti, il grado di educazione socialista, la tempra dei ca­ratteri, gli uni allontanandosi per nascondere la loro de­

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bolezza, mentre gli altri si legano ancora più decisamente al principio rinnovatore che rappresenta l ’Internazionale. Questo è il fatto predominante della storia interiore at­tuale dell'Internazionale in generale e delia nostra fede­razione romando in particolare.

Per molti questa situazione è un segno di decrepitezza; non ci si deve ingannare! Al contrario è il risultato di una situazione propria a trasformare completamente l'Inter­nazionale e a darle tutto il valore che essa deve acquisire affinché possa compiere la propria missione. Alle grandi assemblee, più o meno artificiali, succedono l ’organizza­zione seria, i gruppi di affinità, lo studio arido ma che produce le forti convinzioni.

Durante questo lavoro lento, calmo e profondo, le no­stre sezioni della valle di St. Imier sono state chiamate a scegliere tra di loro il Comitato federate romando (...). I nostri sforzi di questi mesi non hanno ancora raggiunto risultali importanti, ma oggi siamo a conoscenza dello stato reale della posizione delle nostre sezioni; lo sotto­porremo al Congresso che avrà da allora una base positi­va per la riorganizzazione della federazione».

Numerose sezioni centrali sono in declino: a Moutier, a Catébat, a Corgémont poiché gli intrighi padronali e la propaganda ingannatrice hanno allontanato gli operai dall’Internazionale; a Le Lode, a Saint-Blaise, a Granges, a Bienne, la partenza dei migliori militanti ha indebolito l’azione socialista; il coraggio non manca, ma il recluta­mento è difficile. Nella valle di St. Imier si sviluppano le sezioni di mestiere (incisori, intagliatori, montatori di casse di orologi per esempio) e le società di resistenza, casse di soccorso per gli scioperi, che a volte riescono ad imporre al padronato le loro condizioni. Ma queste orga­nizzazioni non contribuiscono necessariamente alla co­struzione del socialismo. Considerando che raggruppano soprattutto operai di professioni qualificate, meglio paga­te, possono ridursi a difendere interessi corporativi, senza

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cercare di abolire la proprietà, volere il miglioramento della sorte dei lavoratori, e non la loro emancipazione to­tale. Per questo motivo sono sorti a St. Imier e a Sonvilier dei Circoli di studi sociali, dove vengono discusse le que­stioni di ordine più generale, che servono da luogo di ri­flessione e di informazione, dove le idee collettiviste e fe­deraliste hanno la possibilità di diffondersi. Questi circoli conoscono una sorte più felice delle sezioni di propagan­da, che tanto a La Chaux-dc-Fonds quanto a Ginevra tro­vano delle resistenze.

E’ sufficiente che un compagno porti notizie di una lo­calità che la speranza rinasce: tutto sembra contro di noi, la malevolenza dei borghesi e l’inerzia degli operai? Eb­bene, fra poco avremo formato un nucleo socialista attivo e valoroso, condurremo una lotta ostinata; e se dovessimo nuovamente abbassare la testa, avremo lasciato almeno «dei germi che un giorno il sole della giustizia sociale fe­conderà».

Per rinvigorire l’organizzazione, Schwitzguébel propo­ne la costituzione, nelle località, di società di mestiere fe­derate localmente o per distretto; ciò per combattere l’e­goismo corporativo. Propone pure la costituzione di cir­coli di studi sociali, che sembrano riuscire nel loro com­pito di formazione dei compagni e di sviluppo della pro­paganda. Infine espone le relazioni del Comitato federale del Giura con il Consiglio generale di Londra, e stigma­tizza gli abusi di potere e l’autoritarismo dimostrati dalla Conferenza di Londra.

«Compagni, in presenza di simili pretese, che possono essere la rovina dei principi innovatori della nostra Asso­ciazione, era nostro dovere chiamarvi per deliberare e per prendere decisioni confórmi agli interessi dell’Internazio­nale. Siete chiamati a prendere delle disposizioni dalle quali dipenderà forse l'avvenire della classe operaia. As­sumiamoci questa immensa responsabilità. Manteniamo alto e deciso lo stendardo dell’autonomia della libera Fe­

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derazione dei gruppi contro ogni autorità, ogni dittatura, ma evitiamo nell’interesse della causa del proletariato di offrire alla borghesia europea lo spettacolo del laceramen­to del patto internazionale, nel nome del quale abbiamo cominciato l'azione della liberazione integrale del prole­tariato.

Evviva l ’Associazione internazionale dei lavoratori/»(g>La relazione letta da Adhémar Schwitzguébel testimo­

nia l’onestà del suo autore. Non è facile, attraverso le pubblicazioni della Federazione del Giura farsi un’idea della vita quotidiana e della fisionomia dei suoi militanti. Sembra comunque che Schwitzguébel (1844-1895) sia una figura caratteristica dell’operaio giurassiano, di cui raccoglie tutte le qualità e i difetti. E’ l’uomo totalmente devoto alla causa e fedele a un’idea, a un ideale. Operaio qualificato - è incisore orologiaio - si forma nell’azione sindacale, dove vi resterà nonostante la sua adesione ai programmi rivoluzionari di Bakunin e dell’Internaziona- le; si formerà pure con la penna sui giornali e pubblican­do a volte opuscoli di studi economici o bozzetti didattici. Organizzatore infaticabile, propagandista senza riposo, lavora nel suo ambiente, tra i suoi. E seriamente assolve i compiti intrapresi: entrato nell’esercito a 20 anni, arrive­rà al grado di tenente: ciò non gli impedirà di condannare energicamente la repressione dell’esercito contro gli scio­peranti. E’ nel contempo profondamente svizzero, giuras­siano e fervente internazionalista.

La sua generosità è unicamente limitata dalla sua rigo­rosa morale: come Guillaume critica l’alcool, il tabacco, il gioco e la distrazione; la vita di militante deve essere senza macchia, completamente dedicata alla causa; anche lui preferisce chiamarsi socialista piuttosto che anarchico, preferisce parlare di ordine nuovo piuttosto che di neces­saria distruzione. Comunque si avvicinerà a Brousse e

(8) La Revolution sociale. 23 novembre 1871.

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Kropotkin nel 1877 e sarà per un certo periodo partigia­no della propaganda del fatto; ma quando il movimento anarchico si spegnerà, all’inizio del 1880, si integrerà nel movimento sindacale riformista, diventandone un funzio­nario.

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11 verbale del congresso può lasciare stupefatti: accordo unanime, entusiasmo generale, congratulazioni e buone risoluzioni. La sua importanza storica non è dovuta alla costituzione della nuova Federazione del Giura - atto praticamente formale - quanto alla presa di posizione nei confronti delle decisioni della Conferenza di Londra del­l’estate precedente, che riguardava la struttura dell’AIL e la partecipazione alla politica. Questa presa di posizione, dovuta a James Guillaume, è redatta sottoforma di Circo­lare a tutte le Federazioni dell’AIL, invitandole ad una rapida convocazione in un congresso generale. Si tratta di una delle prime analisi teoriche sull’autorità nell’AIL ela­borata dai Giurassiani; secondo la loro parola d’ordine «Guerra alle cose, pace agli uomini!» non attaccono a li­vello personale, ma incriminano il principio di autorità:

«E' un fatto incontestabile, mille volte confermalo dal­l ’esperienza, l'effetto corruttore che produce l ’autorità su coloro che ne sono in possesso. E'assolutamente impossi­bile che un uomo che ha il potere sui suoi simili rimanga un uomo morale.

Il Consiglio generale non poteva sfuggire a questa legge fatale. Composto per cinque anni di seguito dalle medesi­me persone, sempre rielette, e rivestito dalle risoluzioni di Basilea di un potere assai grande sulle sezioni, ha finito per credersi il capo legittimo dell’Internazionale. Il man­dato di membro del Consiglio generale è diventato, tra le mani di alcuni individui, una proprietà personale (...). A

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poco a poco, questi uomini, che sono solo i nostri manda­tari (e che in verità non sono neppure nostri mandatari regolari, poiché non sono stati eletti da un congresso) sono stati condotti, dalla corrente naturale delle cose e dalla forza stessa di questa situazione, a voler far predo­minare nell'Internazionale il loro programma speciale, la loro dottrina personale. Essendo diventati, ai propri occhi, una specie di governo, era naturale che le loro particolari idee apparissero a se stessi come la teoria ufficiale ... del­l'Associazione. mentre le idee divergenti emesse da altri gruppi sono apparse, non più la legittima manifestazione di un'opinione di diritto uguale alla loro, ma una vera eresia.

(...) Non incriminiamo le intenzioni del Consiglio gene­rale. . Le personalità che lo compongono si sono trovate vittime d'una necessità fatale: hanno voluto, in buonafede e per il trionfo delta loro particolare dottrina, introdurre nell'Internazionale il principio di autorità; le circostanze sembrano aver favorito questa tendenza e ci sembra al­quanto naturale che questa scuola, dove l’ideale è la con­quista del potere politico per mezzo della classe operaia abbia creduto che l ’Internazionale, in seguito agli ultimi avvenimenti dovesse cambiare la sua organizzazione pri­mitiva e trasformarsi in una organizzazione gerarchica, diretta e governata da un comitato. (...)»&)

Occorre comunque combattere questa autorità, nel nome dell’autonomia delle sezioni e della loro libera fe­derazione. «La società futura non deve essere nient'altro che l’universalizzazione dell'organizzazione che l'Inter­nazionale si darà»: eliminiamo dunque l’autorità, le ge­rarchie; da cui non può nascere l’uguaglianza. Sono le fe­derazioni che devono decidere il loro avvenire, riunendo­si in un congresso generale convocato urgentemente.

(^) Circulairc à toutes les fédérations... La Revolution sociale. 14 dccem-brc 1871.

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La Circolare di Sonvilier metteva in risalto la crisi che covava nell’Internazionale. Se le discussioni e le risolu­zioni della Conferenza di Londra erano restate parzial­mente conosciute e raramente comprese nella loro vera importanza, attualmente le federazioni erano costrette a prendere posizione e definirsi.

Per alcuni mesi ancora, la situazione non sarà chiara: gli uni credono che occorre scegliere lo stendardo del Consiglio di Londra o quello concorrente del Consiglio giurassiano, altri pubblicano informazioni non verificate o, innocentemente, le opinioni dei loro avversari. La maggioranza è divisa tra il desiderio intenso dell'unità della classe operaia, dell’unicità della sua organizzazione, e la necessità di staccarsi da una tendenza che non accet­tano. La teoria dell’autonomia unita al federalismo aveva potuto essere adottata da tutti fin dalla fondazione del- l’AIL, come legame indispensabile tra i gruppi eterogenei - sul piano politico, economico, sociale - che la costitui­vano. Oggi che alcuni vogliono imporre la propria orga­nizzazione e il proprio programma, bisogna forse salva­guardare questo fragile legame all’interno dell’Intemazio­nale o al contrario uscire e creare una nuova organizza­zione? La discussione durerà fin dopo il Congresso del­l’Aia, nel seguente autunno. Al momento, tutte le rispo­ste delle federazioni nazionali o regionali sono affermati­ve: sì, occorre convocare un congresso generale o almeno insistere che quello del 1872 non venga rinviato come il precedente.

L’eco del congresso, la costituzione della Federazione del Giura, l’autonomia dei contatti internazionali furono pure di grande importanza nel paese. Dallo stimolo di questi avvenimenti nacque un ritorno di attività, e nelle settimane che seguirono il congresso, alcune sezioni si ri­costituiranno; altre aderiranno alla nuova Federazione. Gli effettivi comunque non raggiungeranno mai quelli del 1870, anno dove le sezioni delle Montagne comprendeva­

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no 726 membri: nel 1873, nell’epoca più fiorente, la Fe­derazione del Giura avrà appena 400 membri.

Non si possono comunque comparare semplicemente le cifre, poiché a seconda delle situazioni possono assu­mere significati diversi. Alla fine degli anni sessanta i pri­mi scioperi e le prime vittorie avevano raccolto un gran numero di operai che vedevano neH’Intemazionale un mezzo di lotta per ottenere vantaggi materiali. 11 Congres­so di Basilea aveva segnato la prima rottura tra i partigia­ni di Coullery e quelli di Bakunin, il quale aveva cono­sciuto gli operai delle Montagne neocastellane alcuni mesi prima. Il programma cominciava a precisarsi: aboli­zione della proprietà fondaria, collettivizzazione degli strumenti di produzione, opposizione allo Stato. L’attivi­tà dell’Alleanza a Ginevra e quella degli «intimi» di Ba­kunin nel Giura doveva ancora radicalizzarsi, chiamando alla lotta contro tutte le forme di autorità.

Gli operai orologiai della valle di St. Imier e di Neu­châtel avevano compreso la necessità di organizzarsi, in questo periodo di concentrazione industriale, di crisi di sbocchi, di nascita del socialismo. Volevano vivere me­glio, ricuperare delle libertà e un benessere, dei quali era­no stati spogliati; non erano dunque necessariamente ri­voluzionari. Quando un’organizzazione passa da una for­ma sindacale ad un attivismo, a una maggior coscienza, a esigenze estremiste, cambia funzione e contemporanea­mente cambiano i suoi membri effettivi e potenziali. La Federazione del Giura manterrà sempre un doppio carat­tere: organizzazione della classe operaia - federazioni di mestiere e cassa di resistenza - e di nucleo rivoluzionario - sezioni di propaganda, giornali, teorici -.

Di conseguenza la sua influenza non può essere misu­rata in cifre. Il Bulletin de la Fédération jurassiene, nuo­vo organo fondato nel febbraio 1872, non supererà mai una tiratura di 600 esemplari, ma è diffuso in una decina di paesi; gli aderenti sono circa 300, raggruppati in una

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quindicina di sezioni, di cui alcune non si manifestano af­fatto, mentre altre ospitano frequentemente il comitato federale giurassiano e, dopo il 1872, perfino l’Ufficio fe­derale internazionale. Attorno alla Federazione esistono altre organizzazioni che possono mobilitare alcune centi­naia di persone, in particolare le federazioni di mestiere ed i circoli di studi.

Questo dualismo dell’organizzazione non è mai stato, a nostra conoscenza, discusso all’epoca; solo più tardi, dopo la Seconda Internazionale e per tutta la storia dell’a­narchismo e del sindacalismo, sarà sentito come un pro­blema importante. Cosa scegliere; il numero o la qualità dei militanti? Guillaume scriverà, nel 1875, che preferi­sce per la sua causa i militanti più attivi piuttosto che ve­der aderire in blocco delle società operaie all’Intemazio­nale. Per altri, al contrario, l’Associazione deve abbrac­ciare tutti gli operai, anche se poco organizzati. L’orga­nizzazione dell’Internazionale è dunque una preoccupa­zione costante: l’abbiamo visto e lo vedremo a proposito del dibattito sulla cooperazione nel 1870, all’epoca della Comune, nei testi di Bakunin, nei problemi della solida­rietà intemazionale, al momento delle prime esperienze della propaganda del fatto. L’idea, in particolare, dell’In­temazionale come immagine della società futura dà luogo a numerose controversie, perfino nei congressi interna­zionali.

** *

L’inverno 1871-1872 permette ai Giurassiani di ripren­dere fiato e d’assicurare la loro posizione. Il miglioramen­to della situazione economica (periodo favorevole per l’industria orologiera, la disoccupazione non è più un ti­more costante) è propizio allo sviluppo e all’inserimento delle sezioni, senza che la loro attività sia molto combat­tiva, a prescindere dai discorsi. Le federazioni di mestiere

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si organizzano, particolarmente quelle degli incisori e in­tagliatori che riescono a riunire Ginevrini e Giurassiani, riformisti,, autoritari, collettivisti, comunisti. Il loro con­gresso tenuto in marzo a Ginevra si limita a formulare re­gole generali della professione e non prende in considera­zione la questione deH’ammissione nell’Internazionale; ma due settimane più tardi scoppia uno sciopero a La Chaux-de-Fonds, e trecento incisori e intagliatori vengo­no sostenuti dai due organi concorrenti dell’Internaziona­le in Svizzera, L'Egalité di Utin e il Bullelin di Guillau­me.

La costituzione definitiva della Federazione del Giura dà l’occasione ai suoi partigiani più attivi di dibattere su alcuni grandi temi politici e economici e di precisare il loro pensiero. Un periodo di calma relativa sui posti di lavoro permette di impegnarsi in tali discussioni, e di ap­profondire le analisi presentate; per esempio a proposito della revisione della Costituzione federale svizzera (che nel maggio 1872 il popolo svizzero respinge a debole maggioranza) lo pseudo federalismo elvetico viene criti­cato duramente, oppure a proposito della situazione eco­nomica del Giura, di cui se ne occupa il Congresso giuras- siano di Le Lode, il 19 maggio; gli operai orologiai sono privilegiati in rapporto agli altri proletari, di conseguenza si organizzano meglio, ed è loro compito lottare maggior­mente per l’emancipazione della classe operaia, di dimo­strarsi più solidali. Ma l’egoismo corporativista e i pregiu­dizi piccolo-borghesi non sono facili da eliminare: si trat­ta allora di trovare modi di azione e di rivendicazione che non favoriscano la costituzione di una aristocrazia opera­ia.

All’ostilità e all’indifferenza degli uni, risponde l’entu­siasmo e la devozione durevole di altri. Non sono nume­rosi quelli che partecipano regolarmente ai congressi, ai comizi di propaganda, alla redazione del giornale. Come in tutte le associazioni operaie i migliori oratori sono i

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più dotti; altri sicuramente lavorano nell’ombra, ma la loro adesione è raramente di lunga durata. La presenza dei proscritti della Comune è un incoraggiamento; costo­ro hanno il prestigio del loro passato, ma sono pure mili­tanti fedeli e costanti.

Altri contatti si allacciano con la Svizzera tedesca, no­nostante le divergenze profonde con Greulich, Biirkly e amici, che vogliono costituire un partito socialista e svi­luppare la legislazione operaia. Sono essi comunque che propongono agli internazionalisti della Svizzera romanda la costituzione di una Federazione regionale svizzera. 1 Giurassiani, scottati dalle esperienze recenti, rifiuteranno; preferiranno rispondere con argomenti di particolarismi e di differenze geografiche, per conservare la loro organiz­zazione guadagnata duramente, e incoraggeranno la costi­tuzione di una Federazione svizzero tedesca.

5. LA CONSACRAZIONE DELLA ROTTURA

Le relazioni personali e militanti non si arrestano alla Svizzera. La Circolare di Sonvilier è stata inviata a tutte le Federazioni dell’Intemazionale e richiede una risposta: questa sarà unanimemente favorevole.

In Spagna le prime sezioni sono state fondate da Fanel­li, un Italiano, emissario di Bakunin, che vi aveva trascor­so parte del 1868; alcuni militanti spagnoli, Sentinon, Al- barracin, hanno soggiornato nel Giura, conoscendo nu­merosi compagni. La crisi che sembrava raggiungere la Federazione madrilena - il Consiglio generale aveva in-' viato Lafargue, genero di Marx, per contrastare ciò che chiamava le manovre dei bakuninisti - è unicamente una crisi di «governo» e resta limitata alle alte sfere; la massa degli aderenti - e se esiste un paese dove l’Intemazionale può vantarsi di essere un’organizzazione di massa, questo

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è proprio la Spagna - resta fedele ai primi programmi, al­l’autonomia e alla decentralizzazione.

In Italia non esiste ancora una federazione prima del­l’agosto 1872, ma alcune sezioni hanno cominciato a co­stituirsi e si staccano dalle influenze di Mazzini, dopo la violenta risposta che Bakunin gli ha indirizzato per le sue critiche contro la Comune di Parigi. I Giurassiani hanno pure degli amici sicuri in Cafiero, Costa, Pezza, anche se il loro ardore giovanile li lascia un poco perplessi.

Nel Belgio e in Olanda, dove sono stati condotti sciope­ri durissimi e lotte di lunga durata, la situazione è meno chiara. César De Paepe, l’amico fedele, si dichiara infine dalla parte del Consiglio generale; ma i suoi rifiuteranno comunque le decisioni della Conferenza di Londra e ri­chiederanno un Congresso che possa rivedere gli statuti e la politica dell’AIL.

In Francia infine, esistono unicamente sezioni clande­stine, di cui è difficile stimare il numero e la forza. Quelle in relazione con i Comunardi in Svizzera accettano la Circolare, mentre la grande sezione Ferré di Parigi e quel­la di Bordeaux sono per il Consiglio generale, di cui fanno parte numerosi blanquisti esiliati a Londra.

Questa la situazione per i paesi dove l’Intemazionale si inserisce effettivamente. Per quanto riguarda la Germania dove è proibita e perseguitata, è l’unico paese dove si for­ma un partito operaio nel senso che gli dà Marx.

Così, alcuni mesi dopo la Conferenza di Londra, quan­do si era ingenuamente creduto di aver stroncato gli auto­nomisti e le «pretese scissioni», la maggioranza delle Fe­derazioni si oppone alle tendenze centralizzatrici del Consiglio generale. Non tanto per provocare una scissio­ne, nè per cambiare la struttura dell’AIL; viene richiesto semplicemente che gli statuti originali siano rispettati, che un congresso generale venga convocato, che una di­scussione aperta e democratica s’instauri.

Marx e Engels non dovevano trovare troppo solida la

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maggioranza che li aveva seguiti alla Conferenza di Lon­dra, poiché utilizzeranno tutto l’inverno 1871-1872 per poter sviluppare la critica del bakuninismo e la denuncia delle pretese manovre deH’«Alleanza». Come prima tap­pa cercheranno di scoprire macchinazioni degli aderenti alla società segreta in Spagna, volontariamente confusa con le altre Alleanze pubbliche, sue sorelle gemelle, biso­gna dirlo. In seguito, con la redazione di una nuova com- municazione, Le pretese scissioni nell’Internazionale, li­bello della stessa pasta dei precedenti. Infine nella prepa­razione del Congresso generale del 1872, scegliendo un luogo lontano dalla Svizzera - l’Aia.

Possiamo chiederci perchè Marx e Engels accordassero tanta importanza all’Alleanza. Abbiamo già rilevato la reciproca incomprensione tra Marx e Bakunin, l’incapa­cità di trovare le circostanze adeguate per poter discutere seriamente i loro programmi e strategie. Senza dubbio Bakunin si compiaceva di organizzare società segrete - dal momento che scorgeva complotti nel minimo movi­mento degli avversari - e di reclutare militanti per i circo­li degli intimi e per le fraternità che seminava al suo pas­saggio. Ma è molto improbabile che abbia voluto dirigere l’Intemazionale, diventarne il padrone incontestabile; come ogni teorico, ogni ideologo, ovviamente desiderava che l’AIL accettasse il suo programma socialista anarchi­co.

Subito dopo i suoi «addii solenni e pubblici» alla bor­ghesia, dimissionando dalla Lega per la pace e la libertà, nel 1868 aderì all’AIL, fondandovi una sezione un poco particolare, l’Alleanza internazionale della democrazia socialista. Di internazionale l’Alleanza aveva unicamente alcuni aderenti di diversi paesi e un progetto universale; esisteva soprattutto nella sezione di Ginevra, nel 1868-1869, composta da un centinaio di membri, di cui numerosi operai del luogo e alcuni «lavoratori della men­te». La lettura dei verbali delle sedute dell’Alleanza dan-

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no un’immagine innocente: come mai il Consiglio gene­rale poteva immaginarsi che essa avesse potuto mettere a ferro e fuoco l’Europa, sviare gli operai dal loro primo compito - la conquista del potere politico - di far deviare infine l’AIL dai propri scopi? Anche se l’avesse voluto, non ne avrebbe avuto comunque le possibilità.

All’«innocenza» dei verbali, rispondono comunque le testimonianze dei transfuga (come Becker per esempio, al quale il programma «ateo e immorale» dell’Alleanza fa paura) che l’accusano di seminare la discordia tra i lavo­ratori invece di operare per la loro unità e per la loro emancipazione.

Ma quando Marx, Engels, Lafargue e Utin riprendono queste accuse, non potevano certamente ignorare che si trattasse di dettagli e che non raggiungevano l’essenza de­gli argomenti di Bakunin. 11 problema politico è senza dubbio più importante: per i marxisti il primo dovere del proletariato è formare un partito, partecipare agli organi politici - i Parlamenti - della società borghese per criti­carli, trasformarli ed infine prendere il potere. Bakunin non ignora l’importanza della politica, ma le dà un senso radicalmente diverso:

«Gli operai (...) dapprima entrano nell’Internazionale e si organizzano per scopo eminentemente politico, quello della rivendicazione solidale della completezza dei loro diritti economici contro lo sfruttamento oppressivo della borghesia di tutti i paesi. Occorre considerare che per quest'ultimo fatto - incosciente, se volete, all’inizio - il proletariato si situa già sotto un doppio aspetto, in una si­tuazione molto decisamente, ma pure molto negativa- mente, politica. Distrugge da una parte le frontiere politi­che e tutta la politica internazionale degli Stati, in quanto fondata sulle simpatie, sulla cooperazione volontaria e sul fanatismo patriottico delle masse asservite; e, dall'altra, scava l ’abisso tra la borghesia e il proletariato, mettendo quest’ultimo al di fuori dell’azione e del gioco politico di

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tutti i partiti dello Stato; ma se esso è al di fuori di ogni politica borghese, è necessariamente contro la borghesia.

(...) Vediamo dunque che queste due parole coscienza politica dalla loro origine e attraverso tutto lo sviluppo della storia, hanno due significati assolutamente diversi, opposti a seconda dei due punti di vista ugualmente op­posti, dai quali li si esamina. Dal punto di vista delle clas­si privilegiate, significano conquista, soggiogamento, e organizzazione dello Stato allo scopo di sfruttare le masse soggiogate e conquistate. Dal punto di vista delle masse, al contrario, significano rivolta contro lo Stato e, in ulti­ma conseguenza, distruzione dello Stato. Due cose, come abbiamo visto, talmente diverse che sono diametralmente opposte.»0°)

Queste analisi sono veramente inammissibili per coloro che vogliono vedere la classe operaia organizzarsi in un unico modo, sotto una direzione incaricata di esprimere la sua coscienza, ancora confusa, seguire un programma stabilito - poiché storicamente determinato - per poi arri­vare al potere. Bakunin, anche se lui stesso lo nega, è un concorrente e, come tale, insopportabile. A prima vista sembra facile da attaccare, con le sue teorie indimostrabi­li, il suo accecante entusiasmo, le debolezze del suo ragio­namento; inoltre l’Alleanza con le sue diverse forme può essere considerata una manovra frazionista e, dunque, in disaccordo con i principi dell’AIL. Marx e Engels cercano di puntualizzare i fatti, denunciare le frazioni, ma la cer­chia dei partigiani di Bakunin non cessa di estendersi e di mettere in causa la linea che il Consiglio generale vuol dare aH’lntemazionale.

Bisogna dunque colpire più forte e, volenti o nolenti, utilizzare proprio i mezzi rimproverati ai bakuninisti: gli amici fedeli inviati come emissari, l’interpretazione estre­mista degli Statuti, le spiegazioni fallaci, perfino la calun-

(10) Bakounine, Oeuvres. T. IV, Paris 1910.

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nia. A Basilea, Bakunin aveva preparato il terreno, cerca­to di raccogliere il più gran numero di mandati al con­gresso; Marx e Engels faranno lo stesso, tre anni più tardi. In effetti fissano dapprima il luogo del congresso all’Aia, città dove Bakunin non può recarsi, dal momento che gli è proibito di attraversare la Francia e la Germania. Ri­chiamano i loro amici, i delegati del Consiglio generale, i socialdemocratici tedeschi e i Francesi obbedienti, che fabbricheranno per l’occasione mandati di sezioni inesi­stenti. Saranno in possesso di mandati in bianco, suffi­cienti per assicurarsi una confortevole maggioranza. Infi­ne hanno fissato all’ordine del giorno dapprima la que­stione politica - rendendo obbligatoria la partecipazione alla politica parlamentare -, poi l’esclusione degli «al- leanzisti».

L’annuncio del congresso provoca un grido di indigna­zione nei Giurassiani. Essi non desiderano staccarsi dal Consiglio generale, vogliono cercare ancora una volta di salvaguardare l’unità dell’Internazionale. In giugno, han­no inviato le loro quote regolari a Londra, che sono state accettate. Ma i loro sforzi per cambiare il luogo del con­gresso e l’ordine del giorno restano vani.

La reazione degli Italiani, appena costituitisi in federa­zione regionale, è più viva: dichiarano di voler rompere ogni legame con il Consiglio generale, boicottare il Con­gresso dell’Aia e recarsi a Neuchâtel per la stessa data per riunirsi con le federazioni «anti-autoritarie» e costituire un programma comune. Nonostante l’accordo tra Baku­nin e i compagni italiani, i Giurassiani si oppongono a questo piano: solo se l’intesa sarà impossibile all’Aia, si potrà valutare la possibilità di una simile riunione; ma dapprima bisogna imporsi al Congresso, domandare la re­visione degli statuti e la riduzione dei poteri del Consiglio generale. E’ soprattutto Guillaume che si assume il com­pito di conciliatore. Sempre preoccupato dell’unità, cer­cando un campo di azione sempre più vasto, rifiutando

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(in pubblico) le etichette, non vuole brusche rotture ed in particolard'non vuole essere accusato di essere causa della rottura.

Alla fine si troveranno riuniti all’Aia quaranta delegati che formeranno la maggioranza, di cui sedici membri del Consiglio generale, e venticinque che formano la mino­ranza autonomista, di cui cinque membri del Consiglio generale. Gli Spagnoli e i Giurassiani, che contestano il modo di rappresentanza, decidono di partecipare alla di­scussione ma di astenersi sistematicamente dai voti. Guil­laume, che ridicolizza nel suo resoconto i mandati e i mandanti dei delegati della maggioranza, assicura che sa­rebbe stato facile di procurarsi alcuni mandati falsi e di capovolgere i voti. «Ma noi disprezzammo l ’impiego di simili mezzi; non era certamente con l ’ingrossare di alcu­ne unità il numero dei propri voti che si poteva provare la legittimità delle rivendicazioni della minoranza. Questa «minoranza» rappresentava le Federazioni regolarmente costituite, le Federazioni viventi, la vera Internazionale; e il Congresso dell’Aia, preparato per soffocare Ut manife­stazione dell’opinione di queste Federazioni, non poteva essere e, in effetti non fu, che un attentato contro l'Inter­nazionale. »

Si discute in un’atmosfera equivoca, nella semi-co­scienza di una sventura, o della prossima fine. Dopo tre lunghe giornate per verificare i mandati, viene affrontato il primo punto dell’ordine del giorno che tratta dei poteri del Consiglio generale; il risultato paradossale della di­scussione è la decisione di allargare i suoi poteri nei ri­guardi delle federazioni e nel contempo di trasferire la sede a ... New York! Cioè togliergli praticamente ogni po­tere. La minoranza non nasconde il suo piacere nel vede­re gli avversari litigare tra loro, blanquisti da una parte, partigiani di Marx dall’altra.

Il secondo punto dell’ordine del giorno tende a intro­durre negli statuti la famosa risoluzione della Conferenza

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di Londra, che rende obbligatoria l’azione politica. Ma questa volta gli «astensionisti» giurassiani patrocinano la loro causa; Guillaume espone brevemente le idee colletti- viste e federaliste, poi la distinzione tra la politica positi­va preconizzata dalla Conferenza di Londra e la politica negativa, distruttrice del potere politico da parte degli au­tonomisti. Il discorso appena abbozzato e un poco aggro­vigliato, almeno da come lo si può constatare dai verbali conosciuti, non convince affatto gli avversari e aumenta la tensione.

Dall’inizio del congresso si era messa in discussione l'Alleanza e le sue azioni e veniva costituita una commis­sione incaricata di effettuare un’inchiesta. Il rapporto del­la commissione è conosciuto unicamente sotto una forma redatta più tardi, e da altri; le conclusioni emesse all’Aia affermano che l’Alleanza è esistita, esitano nel dichiarare che esiste ancora o se essa ha avuto un’azione nociva per' l’AIL, e propongono di escludere i presunti sobillatori: Bakunin, Guillaume, Schwitzguébel e alcune comparse. Al voto, ovviamente formale, solo Bakunin e Guillaume trovano sufficienti avversari per essere solennemente espulsi dall’AIL. Ma si sapeva che i dadi erano truccati; i delegati della minoranza, riunitisi nei giorni precedenti a più riprese, prima della votazione dichiarano di comune accordo che non desiderano affatto la scissione e che con­tinueranno le loro relazioni amministrative con il Consi-, glio generale; ma che le relazioni tra le federazioni do­vranno essere dirette e continue, e la solidarietà effettiva secondo i principi dell’autonomia federalista. Una simile dichiarazione non poteva che affrettare la fine: l’esclusio­ne di Bakunin e di Guillaume sarà seguita, l’anno dopo, dalla sospensione della Federazione del Giura, poi di tut­te le federazioni che solidarizzano con essa, sospensioni pronunciate dal Consiglio generale fantasma di New York.

Solo Adhémar Schwitzguébel aveva trovato tolleranza

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nei delegati del congresso; di fatto avrebbero dovuto rim­proverargli le stesse manovre clandestine e frazioniste di Bakunin e Guillaume; anzi, contrariamente a quest’ulti­mo, era stato membro del’Alleanza della democrazia so­cialista dal 1869. Ma egli è un operaio, attivo nella sua professione e nel suo villaggio di Sonvilier; si è impegnato meno nelle polemiche o nei libelli degli amici; è dunque difficile espellerlo. Tagliate le teste, le comparse potevano sopravvivere.

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C A P IT O L O T E R Z O

1. IL PATTO DI SAINT-IMIER

La minoranza del Congresso dell’Aia non si riteneva vinta, cosciente di rappresentare un gran numero di Fede­razioni deH’lnternazionale. Di conseguenza decise di te­nere, poco dopo, il congresso anti-autoritario richiesto dagli Italiani e di riunirsi a St. Imier il 15 settembre 1872.

Benché si potesse contare sui Giurassiani, bisognava comunque preparare il congresso con alcuni elementi si­curi; perciò Bakunin e i suoi intimi si riuniscono segreta- mente a Zurigo alcuni giorni precedenti il congresso. La sezione slava di Zurigo era completamente pronta per ri­fondare un’organizzazione segreta; gli Italiani, pure pre­senti, volevano fondare una nuova Internazionale, pretta­mente anarchica e rivoluzionaria. Infine a questa riunio­ne parteciparono pure, di ritorno dall’Aia, i delegati spa­gnoli, Cafiero - che aveva assistito al congresso senza es­sere delegato - e Schwitzguébel da tempo membri di una o dell’altra delle società segrete di Bakunin.

Quanto a Guillaume, col pretesto di impegni professio­nali, era rientrato direttamente a Neuchâtel. Benché fon­damentalmente d’accordo con Bakunin, non gli piaceva­no affatto i complotti nè soprattutto il formalismo - statu-

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ti, riti, codici - di cui erano avvolte le riunioni dei suoi amici. Credeva alla possibilità di una vasta organizzazio­ne del movimento operaio; un programma troppo rivolu­zionario, una rottura troppo radicale con la vecchia Inter­nazionale avrebbe modificato il carattere stesso dell’Asso­ciazione e le avrebbe alienato, pensava, un gran numero di lavoratori. Bisognava invece isolare la «cricca marxi­sta» e non i partigiani dei principi federalisti e autonomi­sti, gli unici capaci di far rivivere 1’Internazionale.

Con questo spirito cercò di influenzare il congresso giu- rassiano che si riunì a St. Imier alcune ore prima del con­gresso intemazionale. 11 mandato che delegava Guillau­me e Schwitzguébel a quest’ultimo congresso si sintetiz­zava in due punti: il primo respingeva le risoluzioni del­l’Aia e i poteri autoritari del Consiglio generale e afferma­va di voler lavorare per la costituzione di un patto federa­tivo e libero tra tutte le federazioni desiderose di contri­buirvi; il secondo riconosceva in particolare ai «compa­gni Bakunin e Guillaume la loro qualità di membri del­l’Internazionale, aderenti alla Federazione del Giura».

Il Congresso internazionale di St. Imier apre la serie dei congressi di quella che sarà chiamata «L’Internazionale anti-autoritaria». La storia non ha affatto custodito que­sto ricordo, e conosce l’AIL solo fino al 1872. Ora, se il Congresso era stato il preludio a una lunga agonia del- l’«Intemazionale marxista», un’altra organizzazione, più modesta, meno estesa, ma che visse quasi quanto la pre­cedente, stava nascendo, tessendo stretti legami tra gli operai di numerosi paesi europei e del Nuovo Mondo.

A St. Imier si riunirono delegati spagnoli, italiani, fran­cesi, giurassiani; il comunardo Lefrangais aveva ricevuto un mandato dalle sezioni americane. Tutto era già stato predisposto, sia per quelli che costituivano la «minoran­za» all’Aia, sia per la riunione segreta di Zurigo. All’Aia Guillaume era riuscito a far ammettere l’idea della libera scelta e dell’autonomia senza che si parlasse di anarchi­

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smo; a Neuchâtel aveva convinto Bakunin, dimostrando­gli l’impossibilità di fondare una specie di «Internaziona­le anarchica»: gli Spagnoli non potevano prendere deci­sioni senza un preciso mandato in merito, neppure il mandato del congresso giurassiano lo permetteva, gli In­glesi e i Belgi erano assenti ma sarebbero stati sicuramen­te contrari. Unicamente gli Italiani, e forse i giovani Russi di Zurigo, desideravano un’altra tattica; ma essi parteci­pavano all’organizzazione segreta appena costituita ed, infine, accettarono, in quanto delegati, l’opinione degli altri gruppi del Congresso. Il Congresso italiano del mar­zo 1873 non andrà d’altronde più lontano, e bisognerà aspettare alcuni anni affinchè il programma anarchico di Costa, Cafiero, Malatesta e compagni sia più largamente accettato tra le sezioni italiane.

Il Congresso di St. Imier si attenne dunque generalmen­te alla dichiarazione della minoranza, che era stata rap­presentata all’Aia dai delegati della Spagna, del Belgio, del Giura, da due Olandesi e da un Americano - gli Ingle­si erano già rientrati a Londra e gli Italiani non erano rap­presentati, come abbiamo visto. Le quattro risoluzioni votate il 15 settembre sono importanti; saranno sempre i riferimenti costanti per gli anarchici e per alcuni sindaca­listi rivoluzionari.

Se la prima risoluzione respinge le decisioni del Con­gresso dell’Aia, con gli stessi argomenti precedenti, se la quarta afferma ancora una volta la necessità della statisti­ca del lavoro e dell’organizzazione universale della resi­stenza, proponendo di nominare una commissione di stu­dio per queste questioni, la seconda risoluzione pone già le basi di un patto di solidarietà tra i presenti:

«Considerando che la grande unità dell’Internazionale è fondata non sull’organizzazione artificiale e sempre no­civa di ogni potere centralizzatore, bensì da una parte sull'identità reale degli interessi e delle aspirazioni del proletariato di tutti i paesi e dall’altra sulla federazione

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spontanea e assolutamente libera delle federazioni e delle sezioni libere di tutti i paesi;

Considerando che nell’Internazionale esiste una ten­denza manifestatasi apertamente al Congresso dell'Aia con il partito autoritario che è quello del comunismo tede­sco, che vuole sostituire al libero sviluppo e a questa orga­nizzazione spontanea e libera del proletariato la sua do­minazione e il potere dei suoi capi;

Considerando che la maggioranza del Congresso del­l ’Aia ha cinicamente sacrificato, a causa dell’ambizione di questo partito e dei suoi capi, tutti i principi dell’Inter­nazionale, e che il nuovo Consiglio generale nominato da essa, investito di poteri ancora più grandi di quelli che aveva voluto arrogarsi per mezzo della Conferenza di Londra, minaccia di distruggere questa unità dell’Inter­nazionale con i suoi attentati contro la sua libertà;

I delegati delle Federazioni e Sezioni spagnole, italia­ne, giurassiane, francesi e americane riuniti in questo congresso, hanno concluso - in nome di queste Federa­zioni e Sezioni, e salvo l ’accettazione e conferma definiti­ve - il patto di amicizia, di solidarietà e di mutua difesa seguente:

1. Le Federazioni e Sezioni (...) avranno fra toro comu­nicazioni e corrispondenza regolari e dirette, compieta- mente indipendenti da ogni controllo «governativo».

2. Quando una di queste Federazioni o Sezioni si tro­verà minacciala nella sua libertà, sia dalla maggioranza di un Congresso generale, sia dal governo o Consiglio ge­nerale creato da questa maggioranza, tutte le altre Fede­razioni e Sezioni si proclameranno assolutamente solida­li con essa.

Essi proclamano altamente che la conclusione di que­sto patto ha per scopo principale l'incolumità di questa grande unità dell’Internazionale, minacciata dall’ambi­zione del partito autoritario.»(>)(1) Bulletin de la Federation jurassienne. 15 settembre 1872.

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Il controllo governativo accennato è evidentemente quello del «governo» dell’Internazionale, il Consiglio ge­nerale; l’ossessione dei redattori ha forse fatto dimenticare le possibilità di censura e di repressione dei loro governi nazionali?

La terza risoluzione pone brevemente i principi fonda- mentali sui quali si sono innestati i conflitti nell’Intema­zionale: la natura dell’azione politica del proletariato. La citeremo pure per esteso proprio per i suoi contenuti e per il parallelo che traccia tra l’autorità nell’Intemaziona­le e il potere politico:

«Considerando:Che voler imporre al proletariato una linea di condotta

o un programma politico uniforme come l’unica via che possa condurlo alla sua emancipazione sociale, è una pretesa tanto assurda quanto reazionaria;

Che nessuno ha il diritto di privare le Federazioni e le Sezioni autonome del diritto incontestabile di determina­re autonomamente e di seguire la linea di condotta politi­ca che crederanno migliore, e che ogni tentativo del gene­re ci condurrebbe al più ributtante dogmatismo;

Che le aspirazioni del proletariato non possono avere altro oggetto che la costituzione di un ’organizzazione e di una federazione economiche assolutamente libere, fonda­te sul lavoro e sull’uguaglianza di tutti e assolutamente indipendenti da ogni governo politico, e che detta orga­nizzazione e federazione possono essere unicamente il ri­sultato dell’azione spontanea del proletariato medesimo, delle associazioni di mestiere e delle comuni autonome;

ConsiderandoChe ogni organizzazione politica non può essere altro

che l ’organizzazione della dominazione a vantaggio di una classe e a scapito delle masse, e che il proletariato se mirasse ad appropriarsi del potere, diventerebbe a sua volta una classe dominante e sfruttatrice;

Il Congresso riunito a St. Imier dichiara:

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1. Che la distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato;

2. Che ogni organizzazione di un potere politico per quanto proclamantesi provvisorio e rivoluzionario per pervenire a questa distruzione, non può essere che un in­ganno ulteriore, e per il proletariato sarebbe pericoloso quanto tutti i governi oggi esistenti;

3. Che, respingendo ogni compromesso per giungere all'attuazione della Rivoluzione sociale, i proletari di tutti i paesi devono stabilire, indipendentemente da ogni poli­tica borghese, la solidarietà dell’azione rivoluzionaria.»

Sono soprattutto questi ultimi paragrafi che resteranno nella memoria degli anarchici.

Ma rinternazionale anti-autoritaria non ne avrebbe fatto un principio obbligatorio. La posizione di Guillau­me prevalse: è il patto di solidarietà e le relazioni autono­me tra le Federazioni che assumono importanza, qualun­que sia il loro atteggiamento nei confronti del potere poli­tico. Al Consiglio federale inglese, il quale scrisse loro che gli internazionalisti inglesi credono nell’utilità dell’azione politica e che con questo strumento hanno ottenuto i mi­gliori risultati, aggiungendo pure che i compagni giuras- siani sarebbero arrivati alla medesima opinione se vives­sero nello stesso ambiente, il comitato federale del Giura risponde, nel novembre 1871, che non ha affatto l’inten­zione di biasimare quelli che seguono una tattica diversa, richiesta dalle condizioni del paese: «Se voi viveste nella repubblica svizzera, sotto le nostre istituzioni democrati­che nella forma, istituzioni grazie alle quali il popolo che si crede libero, non s ’accorge della sua servitù economica e si lascia docilmente inquadrare dai ciarlatani politici che lo utilizzano per scalare il potere; se voi viveste in un luogo simile, provereste senza dubbio come noi il bisogno di protestare contro l'immorale commedia del suffragio universale e di ripetere agli operai del nostro paese che la prima cosa da ffare, per raggiungere l'emancipazione, è di

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sbarazzarsi degli intriganti politici che cercano di far spa­rire rapidissimamente le questioni sociali e, per potersene sbarazzare, il mezzo più semplice è di rifiutargli il voto.»

Come il federalismo svizzero è una caricatura, al servi­zio dello Stato, del vero federalismo fondato sulle comu­ni, così pure la democrazia diretta svizzera non dà che un potere illusorio all’operaio, poiché lo Stato è nelle mani delle potenze economiche, del padronato, le leggi sono fatte per il loro profitto, e partecipare alle sue istituzioni è fare il gioco della borghesia. Spossessato dal prodotto del proprio lavoro, da ogni potere sul lavoro, l’operaio lo è pure dagli affari pubblici; i suoi interessi non potrebbero essere rappresentati nè dai padroni, nè dallo Stato; l’unico mezzo di emancipazione è l’organizzazione e l’educazio­ne del proletariato, indipendentemente dalle istituzioni della società borghese, fino alla rivoluzione.

Ma esistono operai che hanno ancora l’illusione del parlamentarismo, che credono dover lottare per il suffra­gio universale e la rappresentanza operaia nei parlamenti. Che i proletari della Germania e dell’Inghilterra ne fac­ciano l’esperienza; una volta acquisiti questi pretesi van­taggi, si accorgeranno che non servono a niente, e che bi­sogna lottare su un altro terreno. Così anche la Svizzera viene demistificata, anche se aveva servito così a lungo come modello alle democrazie degli altri paesi europei: la democrazia borghese non è l’emancipazione dei lavorato­ri. *

* *Le risoluzioni del Congresso di St. Imier e la costituzio­

ne di un legame federativo tra le Federazioni dell’Interna­zionale - e i gruppi nuovi che le raggiungeranno - segna­no la rottura definitiva con il Consiglio generale. Questi d’altronde è unicamente un fantasma da quando risiede a New York, perchè nessuna organizzazione reale gli ha fatto giuramento di fedeltà, perchè è manipolato da Lon­dra, poi abbandonato da Marx e Engels, perchè l’AIL nel­

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la sua forma ortodossa cessa di esistere nel 1876, benché moribonda dal 1872. Non ci sembra dunque necessario approfondire gli ultimi sussulti d’autorità di Sorge, il nuo­vo segretario - che sospende, poi esclude la Federazione del Giura e le federazioni alleate - o gli ultimi conflitti con Utin a Ginevra, Lafargue in Spagna, o infine l’ultimo libello della serie anti-bakuninista, L'Alleanza della de­mocrazia sociale e l'AIL.

Anche in Svizzera i conflitti sussistono, tra la Federa­zione del Giura da una parte e gli Zurighesi e lo Schwei­zerischer Arbeiterhund, come vedremo più tardi, dall’al­tra; e si esprimeranno su questioni di fondo, perfino sulla strategia dell’azione operaia. Le relazioni internazionali dei Giurassiani, in compenso, sono meno appesantite di conflitti e i contatti si sviluppano numerosi e intensi con le federazioni di altri paesi. In effetti i delegati italiani e spagnoli a St. Imier faranno ratificare dalle loro federa­zioni, durante l’autunno, il patto di solidarietà. 1 Belgi, poco dopo aver ricevuto il testo delle risoluzioni, final­mente l’approvano; numerose sezioni francesi, personal­mente in relazione con i proscritti della Comune in Sviz­zera e nonostante le difficoltà imposte dalla clandestinità, aderiscono direttamente alla Federazione del Giura; gli Olandesi comunicano il loro sostegno fraterno all’annun­cio della sospensione da parte del Consiglio generale; infi­ne gli Inglesi che, pur separandosi dagli altri sulla que­stione politica, aderiscono pure al patto di solidarietà.

Per cinque anni queste federazioni costituiranno una forza reale, anche se differiscono tra di loro: gli Italiani e gli Spagnoli si dichiarano apertamente anarchici, suscita­no e sostengono le insurrezioni popolari spontanee che si producono nei loro paesi dopo il 1873, rappresentano inoltre veramente la classe operaia in formazione accanto ai minuti gruppi socialisti o «marxisti». Nel Belgio e in Olanda le federazioni di mestiere si sviluppano e presto i partiti operai e socialisti nazionali assumeranno più im­

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portanza dell’Internazionale. In Inghilterra, le sezioni dell’AIL si spengono dopo il 1873, non tanto a causa del­le divergenze fra centralisti e federalisti, quanto per la na­tura stessa del movimento operaio inglese.

Occorre evitare d’altronde che venga ripetuto l’equivo­co che aveva fatto credere agli internazionalisti italiani, nella primavera 1872, che si trattasse di scegliere tra il Consiglio di Londra e quello di Sonvillier. L’Ufficio fede­rale intemazionale, organo delle relazioni rinnovato ogni anno, sarà scelto a più riprese nelle Montagne, ma non sarà mai permanente nè composto dalle stesse persone. La Federazione del Giura assumerà una grande reputa­zione e un’udienza all’interno dell’Internazionale, occu­pando un posto di primaria importanza, indipendente­mente dal numero dei suoi membri: effettivamente è la più piccola federazione, con circa 300 membri, mentre per esempio gli Spagnoli raggiungono i 50.000. Benché la sua importanza sia dovuta al valore di alcuni militanti, non significa necessariamente che essi abbiano una posi­zione di leaders, di concorrenti del primo Consiglio gene­rale: semplicemente, come ogni gruppo politico, cercava­no di far avallare le loro idee al più gran numero possibile di organizzazioni.

2. LA RIVOLUZIONE DALLA STATISTICA

Il congresso annuale della Federazione del Giura ha luogo a Neuchâtel il 27 aprile 1873. E’ il primo dopo quelli intemazionali dell’Aia e di St. Imier, il primo dopo che la Federazione del Giura non è più vittima dell’ostra­cismo; al contrario essa ha saputo catalizzare il movimen­to di una parte importante della classe operaia europea.

Non si è rafforzata, nè minaccia ulteriormente l’ordine stabilito in Svizzera. La sua propaganda viene effettuata verbalmente: i giornali, le conferenze, sono le armi prin­cipali di questi dolci rivoluzionari. Si producono agitazio-

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ni sopratutto per questioni di politica generale, o contro le elezioni; ma i movimenti operai di rivendicazione sono praticamente inesistenti. Di conseguenza non bisogna considerare le sezioni del Giura come l’apice della lotta anticapitalista, il terrore dei padroni orologiaia del luogo. L’immagine dell’anarchico «senza moderazione nè pietà» del Journal de Genève non corrisponde affatto alla realtà. Al radicalismo, alla violenza, all’estremismo del linguag­gio, corrisponde una politica saggia, tranquilla, organiz­zatrice, a volte gioiosa. I comizi di propaganda iniziano sovente con picnic e passeggiate, terminando con canti. Effettivamente le distrazioni non sono frequenti nelle borgate delle Montagne, la natura è bella... La rivoluzio­ne non sarà forse una festa, non trasformerà forse le rela­zioni personali? Infine bisogna proporre agli operai di­strazioni più sane delle osterie, dove ci si rovina bevendo l’assenzio e giocando al biliardo, o delle società patriotti­che che sfilano al suono del tamburo.

In realtà, le riunioni delle sezioni della Federazioni o dei circoli di studi sociali, si fanno piuttosto notare per la loro serietà. Il rivoluzionario modello, per Schwitzguébel, passa il suo tempo libero nei comizi e assemblee, rispar­mia i soldi dell’osteria per le casse di resistenza, le serate libere per la lettura del Bulletin. Questa specie di purita­nismo e d’ascetismo si ritrovano sovente nei movimenti rivoluzionari: è per i più sfortunati che vogliamo cambia­re il mondo, di conseguenza dobbiamo condividerne la sorte ed applicare una rigida morale rivoluzionaria.

L’importanza della Federazione del Giura si basa più sulla critica sociale e politica, interessandosi di tutto ciò che riguarda il movimento operaio, che sulla lotta aperta contro il capitale. Proprio in questo risiede, praticamente, tutto il peso storico della Prima Internazionale: nell’in­contro di Marx e Bakunin con il movimento operaio, per­mettendo loro di verificare le proprie ipotesi, di far pro­gredire le loro teorie; nello scambio di informazioni inter­

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nazionali che stimolano le riflessioni ed i paragoni; nell'e­sperienza di forme di organizzazione, effimere a volte, ma che suscitano la discussione ed i confronti, la formazione di tendenze fin'allora mai espresse.

11 rapporto di Guillaume al Congresso giurassiano è, in questo senso, caratteristico. Dopo il 1866 l'AIL ha dato una grande importanza alla statistica del lavoro. Nel feb­braio 1867 la sezione di Sonvilier pubblicava i primi ri­sultati di un'«Inchiesta operaia», dove apparivano i salari degli operai orologiai e il costo della vita, insistendo sulla necessità dell’organizzazione dei «fabbricanti, padroni e operai» affinchè si potesse fronteggiare la crisi e evitare la diminuzione dei salari a causa dell’afflusso di mano d’o­pera. I congressi dell’Internazionale avevano a più riprese incaricato il Consiglio generale di un inchiesta statistica generale, strumento per conoscere la situazione degli ope­rai nei minimi dettagli e fondare in seguito scientifica­mente la società ugualitaria e l’organizzazione del lavoro da parte dei lavoratori stessi. Ma l’ambizione smisurata di questa inchiesta, la mancanza di mezzi per il censimento, la reticenza di alcuni e, forse, la semplice pigrizia delle se­zioni a rispondere, avrebbe lasciato questa idea allo stato di progetto.

La statistica è considerata in quell’epoca come la scien­za sociale per eccellenza. Se essa deve rispondere oggetti­vamente ai problemi economici e sociali, è ovvio che le questioni poste riflettono le concezioni sociali di quelli che le elaborano e che l’utilizzazione dei risultati varia pure a seconda dei rapporti sociali che si vogliono costi­tuire. Marx ne è cosciente quando sceglie e analizza i fat­ti. Guillaume e Bakunin sono segnati dallo spirito positi­vista dell’epoca e dalla scienza sociale nascente: una stati­stica giusta e completa, irrefutabile, sarà la risposta ai problemi del mercato del lavoro, della determinazione del valore di scambio. «Sarà la statistica - dice Guillau­me nel suo rapporto - la base della scienza sociale; sa-

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ranno le cifre inesorabili e non tale o tal'altra teoria ela­borata da pensatori di laboratorio, che sostituiranno nel­l ’avvenire le carte politiche e i catechismi religiosi; essa sarà infine il Jilo d ’Arianna con il quale l'uomo potrà camminare con passo sicuro nel gigantesco dedalo del­l ’organizzazione del lavoro emancipato.» Nella società capitalista, i detentori del sapere sono poco numerosi, e formano la classe del potere. Ma non appena l’operaio sarà in possesso del sapere, il potere sarà di tutti, lo sfrut­tamento non sarà più possibile: ... come se, individuata la diagnosi, la guarigione fosse unicamente un problema di perseveranza.

11 rapporto di Guillaume viene applaudito; il tema del­l’inchiesta statistica sarà ripreso in autunno nei due con­gressi di Ginevra, quello degli anti-autoritari e quello dei centralisti. Non si conosce il rapporto dei primi, ma il progetto d'inchiesta elaborato dal nuovo Consiglio gene­rale di New York, che non dispone di mezzi per realizzar­lo convenientemente, compete in precisione e dettagli con i progetti anteriori. Nessuna inchiesta conoscerà un inizio di realizzazione. Come se fosse sufficiente esprime­re desideri! Il discorso, una volta espresso, prende un’esi­stenza autonoma, astratta, e nessuno si sente implicato nella realizzazione. Le speranze di Guillaume non furono nemmeno messe alla prova: non si conosce nessuna rispo­sta alle inchieste proposte, ancora meno delle sintesi. E’ un fatto da deplorare, quando si conosce la povertà delle informazioni statistiche e economiche dell’epoca. Le sta­tistiche ufficiali, i censimenti, che cominciarono con la legge sulle fabbriche del 1877, esprimono effettivamente cose diverse da quelle che gli operai avrebbero potuto esprimere sulla loro condizione, con le loro categorie e classificazioni.

E’ stato detto che la statistica - le inchieste abortite e la fede che si poneva in essa - fu un «atto mancato» del- l’AIL (2). Tuttavia abbiamo constatato che una grande

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parte della vita della Federazione del Giura può riassu­mersi nelle discussioni, in progetti non realizzati, in uto­pie: non si può comunque assimilarli ad atti mancati. Lo sfasamento apparente tra la pratica teorica quotidiana o, se si vuole, sindacale, e la pratica teorica dipende dall’in- sieme delle condizioni storiche che determinano, negli anni 1870, la situazione degli operai giurassiani, dalla struttura della loro società, dalla loro mentalità. In qual­siasi movimento, in ogni processo rivoluzionario è neces­sario ad ogni tappa la fase della riflessione. Non deve es­sere considerata come un vano cavillo, né come una com­pensazione alla rivoluzione troppo lontana; essa diventa necessaria proprio per poter precisare i concetti, per ap­profondire la critica, per verificare i giudizi anteriori. Le parole diventano «pericolose^ unicamente se ci si lascia prendere dalla loro pura sonorità.

E* proprio tipico degli anarchici essere ferventi propa­gandisti. Gli aiuti esterni in questa attività saranno molto preziosi: Bakunin innanzitutto, poi i primi esiliati delle Comuni di Parigi e di provincie, infine altri Francesi che si integreranno veramente nella Federazione del Giura, come Brousse o Reclus.

Paul Brousse (1844-1912) aveva partecipato da giovane studente alla vita dell’AlL a Montpellier e si era rifugiato a Barcellona nel 1872. Stabilitosi in Svizzera nel 1873, non tardò a affiliarsi alla Federazione del Giura ed in se­guito fondò alcune sezioni a Berna. Per l’entusiasmo, la prontezza nell'azione, la facilità della sua penna, diventa ben presto un collaboratore efficace e influente del Bulle- tin e nei comizi. La sua professione di chimico e l’espe­rienza di comunardo in Francia e in Spagna non lo spin­gono verso l’azione operaia e sindacale, ma piuttosto ver­so le sezioni di propaganda e l’azione diretta: non si tratta solo di fare la rivoluzione con i produttori, organizzando(2) Mysyrowicz, «Karl Marx, la Première Internationale et la statisti-

que». Le Mouvemetit social. No 69. 1969.

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le federazioni di mestiere, ma pure con i consumatori con la creazione delle comuni. Le sezioni bernesi si creano dunque per quartieri e per lingue, più che per associazio­ni di mestiere; sono indirizzate più verso la propaganda e l’agitazione che nella resistenza e l’azione sindacale: Ber­na non è una città di grande industria e VArbeiterbund riunisce dal 1873 un gran numero di operai moderati. Aiutato dalla sua compagna e da alcuni giovani Germani­ci, Brousse pubblicherà' per un anno il primo giornale anarchico di lingua tedesca, VArbeiterzeitung; benché di diffusione limitata, influenzerà profondamente gli uomini che saranno all’origine del movimento anarchico tedesco. Dopo questa esperienza, Brousse rilancerà la propaganda in Francia, con la collaborazione di Louis Pindy, pubbli­cando dal 1877 un organo clandestino, L Axanl-Garde.

Elisée Reclus (1830-1905) risiede in Svizzera dal 1872. Scienziato e geografo, era stato imprigionato al momento della Comune di Parigi e la sua liberazione era dovuta alle proteste degli ambienti scientifici europei. Dopo un soggiorno di due anni in Ticino, dove ha rivisto Bakunin - era stato membro di una fraternità segreta all’epoca del­la Lega per la pace e la libertà, che avevano abbandonato insieme - si stabilisce sulle rive del Leniano, nella regione di Vevey. Continua i suoi lavori scientifici, contribuisce a ravvivare l’Internazionale vodese; membro centrale della Federazione (non è affiliato a nessuna sezione particolare) vi apporta soprattutto un contributo teorico e di confe­renziere, un concetto della rivoluzione «graduale», evolu­zionista. Di formazione protestante, ha una morale perso­nale molto severa, quanto i Giurassiani; ma non esiterà a sostenere, per solidarietà e per convinzione, i propagandi­sti del fatto, i terroristi, i partigiani dell’appropriazione individuale.

Tra i proscritti della Comune, numerosi partecipano alla vita della Federazione del Giura e del suo giornale, anche se non ne condividono completamente le idee. Il

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vecchio Charles Beslay, che non si considera affatto anar­chico, tiene numerose conferenze ai Neocastellani; Gustave Lefrangais si reca a volte a Ginevra per parteci­pare ai comizi. Louis Pindy (1840-1917) si integra com­pletamente nella vita delle sezioni giurassiane; vecchio comandante del Palazzo municipale durante la Comune di Parigi, è divenuto un modesto operaio nell’officina cooperativa degli incisori e intagliatori di Le Lode; «fri­volo e leggero, forse troppo, non riuscendo a prendere niente tragicamente» (così si descrive in una lettera a Guillaume del 1908), non ha affatto il carattere degli ope­rai del luogo; resterà comunque fino alla morte nel Giura, dove sarà uno dei fondatori del Libero Pensiero.

Pure a Ginevra esistono diversi gruppi; uno di essi, composto da numerosi proscritti, pubblica nel 1874 una rivista effimera, La Commune, Revue socialiste (dal se­condo numero, solo il sottotitolo è rimasto: perfino il tito­lo, cancellato da una grossa riga nera, è stato giudicato se­dizioso dalle autorità ginevrine e censurato). La sezione di propaganda e d’azione rivoluzionaria socialista, fonda­ta nell’estate 1871, è affiancata dai circoli di studi o grup­pi di propaganda socialisti. Le relazioni dei loro membri con la Federazione del Giura sono elastiche; benché non sempre vi partecipino, si tengono al corrente delle sue at­tività e sostengono le sue azioni e le sue prese di posizio­ne. Alcuni di questi comunardi hanno trovato lavoro a Losanna, nel 1872, e vi hanno fondato una sezione di bre­ve durata, nonostante l’arrivo di nuovi membri (Auguste Reinsdorf, Rodolphe Kahn) che saranno attivissimi. Pure la sezione di Vevey, scomparsa dal 1872, rinasce nel 1874 ma solo per alcuni mesi, nonostante il promettente nome di Rénovation des bords du Léman. A Zurigo, luogo di at­tività del veterano Greulich, l’AlL non vi si stabilirà più; una sola sezione composta da studenti slavi è esistita nel 1872-1873, una sezione francese si formerà nel 1875.

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3. UNIONI E DISUNIONILa scissione, ormai definitiva nell’Internazionale, era

considerata dagli uni necessaria e irrevocabile, dagli altri deplorevole e superabile. Per realizzare il grande movi­mento della classe operaia, occorreva evidentemente uni­re i lavoratori, superare le opposizioni minori o congiun­turali; ma sovente i partigiani dell’unità la vedevano come un’agglomerazione attorno alla loro propria orga­nizzazione e non costruita su un comune accordo.

Ciò doveva poi dimostrarsi al congresso di Olten del primo giugno 1873, convocato da un comitato di maggio­ranza di lingua tedesca, tra cui si possono citare Johann Philip Becker (di Ginevra) e Hermann Greulich (di Zuri­go) tra gli attori principali.

Il progetto del comitato era quello di riunire tutte le so­cietà operaie della Svizzera in un’organizzazione centra­le, che sarà in effetti creata a Olten, denominata Schwei- zerischer Arbeiterbund (Unione operaia svizzera), la qua­le contribuerà a formare l’attuale Unione sindacale sviz­zera. I delegati sono quasi tutti di lingua tedesca, affiliati alla Società del Gridìi, al gruppo della Tagwacht di Zuri­go, alle sezioni di lingua tedesca di Ginevra. Il dibattito giungerà alla neutralità politica, e con i Giurassiani, ai problemi del centralismo e del federalismo. La Federazio­ne del Giura in effetti ha inviato cinque delegati a Olten, senza grandi speranze; le tendenze centralistc sono troppo rappresentate. Ma occorre approfittare di questo congres­so per esporre le idee collettiviste e federaliste; di conse­guenza Guillaume, Pindy, Léon Schwitzguébel, Wenkere Gameter si recano a Olten.

Il dialogo non è praticamente possibile: ciascuno resta sulle proprie posizione e, inoltre, perfino i traduttori de­formano i discorsi. Con disappunto dei delegati giurassia­ni la nozione di federalismo non è compresa; il loro ri­chiamo alla storia provoca divergenze supplementari nei concetti. Comunque Guillaume e compagni espongono il

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più chiaramente possibile il loro schema di organizzazio­ne: una rete di federazioni di mestiere, coordinate sul pia­no locale dall’unione operaia locale, nella regione dalla federazione regionale. La Federazione del Giura è un esempio di questa organizzazione, con le sezioni locali e le sezioni di mestiere, federate tra loro. In nessun caso possono accettare comitati direttori, autorità centrali: se la classe operaia deve emanciparsi autonomamente, ha forse bisogno di capi?

Per gli Svizzeri tedeschi, un’organizzazione decentra­lizzata. senza autorità, di certo non è un’organizzazione, è il caos. Inoltre la maggioranza dei delegati sono riformi­sti, vogliono sistemare la condizione operaia nello stato delle cose esistenti; il modello giurassiano, che dalla fede­razione dei comuni e dei mestieri passa all’abolizione del­lo Stato, non li concerne, anzi non sono nemmeno in gra­do di comprenderlo. La neutralità politica che essi pon­gono come principio significa, concretamente, fiducia ne­gli organi della Confederazione elvetica.

E’ la prima volta che si svolge una riunione del genere, se si eccettuano i congressi delle federazioni di mestiere, che riuniscono pure gli avversari. Le opposizioni ideolo­giche possono impedire un’organizzazione unitaria, però esse non devono dividere la classe operaia. Perciò i Giu- rassiani, ritirandosi dal congresso, presentano la dichiara­zione seguente: «... Noi siamo pronti a partecipare con le altre società operaie della Svizzera allo scopo di formare federazioni locali e federazioni corporative regionali; ma non possiamo accettare l’idea di una Associazione opera­ia svizzera diretta da un Comitato centrale. Noi manter­remo la nostra organizzazione federativa attuale, pur as­sicurando alle società operaie della Svizzera la nostra partecipazione più devota nella lotta contro la borghesia e la nostra solidarietà morale e materiale sul terreno econo­mico.» (3>(3) J. Guillaume, L ’Internationale, t. IH, Paris 1909.

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La solidarietà, il sostegno agli scioperi non implicano dunque l’adesione totale: l'avevamo già notato nel 1870, quando le sezioni delle Montagne avevano aiutato finan­ziariamente i gessatori ginevrini in sciopero, pur critican­do la loro tattica e le loro rivendicazioni. E’ un principio fondamentale della solidarietà anarchica di mantenere la facoltà critica all’interno del movimento, tra compagni (anche di vedute diverse), pur mostrando un fronte unico al comune nemico: la borghesia, la religione, lo Stato.

Più tardi alcuni anarchici si mostreranno, davanti ai tribunali, all’opinione pubblica, solidali con i terroristi, con i bombaroli, anche se all’interno del movimento con­danneranno radicalmente questo strumento. Ciò non im­plica comunque una tattica di alleanze ovunque e sem­pre: bisogna che i vantaggi siano più importanti dei com­promessi.

L’Unione operaia fondata al congresso di Olten si svi­luppò dapprima tra gli operai di lingua tedesca; essa non invadeva il territorio della Federazione del Giura. Alcuni delegati giurassiani assistettero sovente ai congressi del­l’Unione, e la discussione sarebbe cessata solo con la scomparsa delle due organizzazioni.

Altre discussioni si svolgono all’interno dell’Intemazio- nale. Negli statuti dell’AIL figura la convocazione di un congresso generale annuale. Dal momento che il Consi­glio generale di New York non sembra preoccuparsene, la Federazione del Giura decide, al proprio congresso di pri­mavera, di proporre «a tutte le federazioni dell’Interna­zionale di indire il congresso generale, lunedì 1° settembre 1873, in una città svizzera» e di tenere simultaneamente un nuovo congresso anti-autoritario che dovrebbe rinno­vare il patto di solidarietà firmato l’anno precedente e as­sicurare «il trionfo del principio federativo nel congresso generale».

Appena le federazioni amiche danno il loro accordo e incaricano i Giurassiani di organizzare la riunione, il

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Consiglio generale di New York si sveglia, convocando a sua volta un congresso, nell'unica città svizzera che gli sembra possibile, Ginevra: gli internazionalisti fedeli al Consiglio generale hanno dalle loro «la massa degli ope­rai» e un locale, scrive Sorge, «e se questi signori dell'Al­leanza si presentano, li metteremo semplicemente alla porta». La partecipazione prevista è debole, numerose Federazioni regionali sono ancora sospese per non aver accettato le decisioni deU’ultimo congresso, o non hanno inviato notizie, o non hanno denaro sufficiente per invia­re un delegato. 11 Comitato federale giurassiano decide al­lora di riunire il congresso prima dei «centralisti», ma nella stessa città. Perciò il 1° settembre 1873 si trovano riuniti a Ginevra 24 delegati di 7 federazioni: Inglesi, Bel­gi, Spagnoli, Francesi, Olandesi, Italiani, Giurassiani e una sezione autonoma ginevrina; dagli Stati Uniti è per­venuta una lettera di adesione. All’ordine del giorno fi­gurano tre punti: rinnovo del patto di solidarietà e revi­sione degli Statuti generali; sciopero generale; organizza­zione della resistenza e statistica.

Dopo la Comune di Parigi, la repressione si è accanita in Europa; la debolezza delle sezioni non è causata unica­mente dai conflitti interni dell’Associazione. Solamente in Spagna vi è un reale sviluppo, poiché questa sezione diventa veramente un’organizzazione di classe. Negli altri paesi, l’organizzazione sussiste, ma senza notevoli attivi­tà. A volte perchè si trova in un periodo di transizione, come in Olanda, Belgio e Inghilterra, dove le sezioni si oppongono alla linea autoritaria ma non si sono ancora determinate per un altro genere di organizzazione; gli In­glesi sono partigiani dell’azione politica tradizionale; il delegato olandese ha il mandato di assistere ad entrambi i congressi ginevrini con spirito conciliatore; i Belgi infine, dopo essere stati molto vicini a Bakunin, stanno evolven­do verso una concezione dello Stato-operaio, simile alla social-democrazia. A volte, l’organizzazione si è modifi­

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cata; in Italia, dove l’AIL è stata costituita dopo la Comu­ne di Parigi e il raggiungimento dell’unità nazionale, i leaders sono anarchici rivoluzionari, che rifiutano il lavo­ro poco glorioso dell’organizzazione sindacale. A loro pa­rere, «gli operai si curano poco delle teorie; ciò che desi­derano è la lotta». Ma questa non è ancora radicale.

Nonostante le differenze, i delegati desiderano rinnova­re il patto e tener ben alto lo stendardo dell’Intemaziona- le di fronte agli avversari. Lo si comprende dal tono mol­to franco delle discussioni: le opposizioni si stagliano vio­lentemente - come per l’ammissione dei lavoratori intel­lettuali - e i conflitti di opinione sembrano a volte irridu­cibili; comunque l’unità sussiste, i voti si fanno a larga maggioranza.

Il personaggio di James Guillaume, in questa situazio­ne, appare sotto una nuova luce. Lui che era stato il favo­rito di Bakunin, l’ideologo della Federazione del Giura, aveva sempre assunto una posizione di conciliazione, di moderatore; da stratega intelligente aveva cercato i campi di battaglia più adeguati e i punti deboli degli avversari del Consiglio generale; erano i soli con i quali era inesora­bile. Attualmente che quella battaglia è vinta, può esigere maggiormente, essere più duro con i suoi, intervenire in qualsiasi momento: non possono certamente accusarlo di essere un autoritario, lui che è stato uno degli artefici del­l’idea federalista!

Dagli Italiani che avevano il mandato di «difendere ad oltranza le idee dell’anarchia e del collettivismo», all’in­glese Hales, vecchio membro del Consiglio generale, per il quale l’anarchica è sinonimo di dissoluzione, ai Belgi che censurano la parola «rivoluzionario», il ricordo della scissione e il desiderio d’organizzare l’intera classe opera­ia, sono comunque sufficienti perchè votino insieme la soppressione del Consiglio generale, una nuova versione degli statuti, infine una dichiarazione di solidarietà «con tutti i lavoratori del mondo, qualunque sia l'organizza­

c i

zinne scelta». Per quanto concerne lo sciopero generale, questo ha il significato di rivoluzione, sospensione del la­voro e riappropriazione da parte dei produttori dei mezzi di produzione. Ma questo è possibile unicamente se Por- ganizzazione è molto solida, in particolare se l’organizza­zione delle associazioni di mestiere è molto sviluppata af­finché si possa evitare che lo sciopero resti unicamente parziale. Bisogna dunque, seguendo l’esempio degli Spa­gnoli e in una certa misura dei Giurassiani, sviluppare le federazioni di mestiere locali, poi quelle regionali, infine quelle intemazionali, stimolarle con un’intensa propa­ganda socialista affinché lo sciopero possa superare la semplice rivendicazione.

I partecipanti al congresso di Ginevra rappresentano incontestabilmente una forza operaia organizzata, d’im­portanza variabile a seconda dei paesi. La Federazione del Giura non è certo la più forte come effettivi, ma essa è stata la prima a ribellarsi, a proporre la riunione degli an­tiautoritari; il suo prestigio storico si è ingigantito. Ma essa non deve diventare un leader: PUfficio federale per l’anno seguente e l’organizzazione del congresso del 1874 saranno di conseguenza affidati alla Federazione belga. Il prestigio teorico della Federazione del Giura rimane co­munque vasto; ma per evitare che il congresso finisca in una discussione tra teste pensanti, cioè che venga accusa­to di dare preminenza ai lavoratori intellettuali su quelli manuali, che l’unità di conseguenza diventi impossibile, si decide di non votare sulle questioni di principio.

Comunque è proprio in questo congresso che si apre il dibattito sull’anarchia: tra i suoi partigiani entusiasti e i «legalisti», numerosi delegati accettano i principi dell’a­narchia, ma ne respingono il termine: è il caso di Guillau­me e del delegato olandese Van den Abeele (che parteci­perà in seguito al congresso «centralista», secondo il suo mandato che gli richiedeva il possibile per salvaguardare l’unità dell’Internazionale).

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Il congresso degli anti-autoritari non aveva certamente avuto lo strepito di quello del 1866, tenuto nella stessa città di Ginevra. Ma il secondo congresso del 1873, quel­lo dei partigiani del Consiglio generale, fece ancora una più magra figura, poiché erano presenti unicamente alcu­ni Svizzeri e Germanici, senza nemmeno un delegato del Consiglio generale.

La maggior parte delle discussioni del congresso degli «autoritari» concerne lo sviluppo dei partiti nazionali nei paesi di lingua tedesca e la necessità di estendersi; i dele­gati confermano il Consiglio generale nei suoi poteri e gli anti-autoritari nel loro ostracismo. Si accorgono che pure fra loro non esiste reale armonia, senza parlare dei nuovi venuti che intervengono senza tener conto dell’ordine del giorno; numerosi Ginevrini, vecchi militanti come Perret o Duval, si staccano da Becker e chiedono perfino la sop­pressione del Consiglio generale, il quale a loro parere ag­grava unicamente le scissioni introdotte dagli intellettuali nei ranghi dell’Associazione. Si manifestano timidamen­te, con un opuscolo poco diffuso, con circolari individua­li; ma questo è veramente la fine della Federazione ro- manda: il comitato ginevrino ha tante poche sezioni quanto le federazioni del Consiglio generale!

Il Journal de Genève, organo della borghesia illumina­ta, non sbaglia affatto quando vede gli internazionalisti «autoritari» come borghesi e conservatori (per il giornale ovviamente sono complimenti), mentre gli «anti­autoritari» come dei «rivoluzionari che vogliono la rovina per la rovina», dei «fanatici dello sconvolgimento sociale» e degli «anarchici... senza moderazione né pietà» (Jour­nal de Genève, 19 settembre 1873).

4. L'ORGANIZZAZIONE

Il Congresso federalista di Ginevra aveva raccomandato agli internazionalisti di organizzarsi in associazioni di

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mestiere. Esistevano in Svizzera romanda numerose orga­nizzazioni del genere, in particolare la Federazione degli incisori e intagliatori di orologi e quella dei «monteurs de boites-or» (orologiai montatori di casse in oro - N.d.T.) costituita nel 1869. Queste federazioni permettono di riu­nire gli operai su una base più vasta delle sezioni dell'In­ternazionale, di evitare inoltre i conflitti del «vertice». Certamente perdono in radicalismo, quanto guadagnano in affiliati: generalmente sono confinate in azioni di tipo corporativo (controllo dell'impiego, limite del numero degli apprendisti, casse di resistenza c di mutuo- soccorso), lo sciopero viene utilizzato per scopi puramen­te rivendicativi (aumento dei salari, diminuzione delle ore di lavoro) e la trasformazione della società viene rara­mente prospettata. Comunque rimane un luogo di discus­sione, dove l’esposizione dei principi deH’lnternazionale possono far colpo, dove le tecniche di azione possono es­sere sperimentate dopo l’elaborazione nei circoli di studi sociali o nelle sezioni di propaganda. E’ infine una realiz­zazione propriamente federalista, e di conseguenza un collaudo.

Sovente il comitato della federazione viene superato dalle sezioni, che proclamano uno sciopero avvertendolo appena, senza passare per la procedura di consultazione delle altre sezioni. Ma a volte si rinuncia pure ad uno sciopero poiché viene valutata più urgente un’azione in un’altra località o in un’altra professione. Per esempio il rapporto del comitato degli incisori e intagliatori, nel 1874, rileva quanto è successo nei due anni precedenti: la sezione di Boudry proclama uno sciopero per ottenere le 10 ore, senza attendere l’approvazione delle altre sezioni. Appena ottengono soddisfazione, gli incisori di St. Imier esigono un aumento di salario. La loro azione non avrà seguito, poiché nel contempo gli incisori di Ginevra ri­chiedono le 9 ore; a sua volta questo sciopero viene rin­viato a causa dello sciopero dei gioiellieri di Ginevra

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«uno dei più terribili e dei più lunghi che abbiamo visto», che esaurisce le risorse finanziarie ginevrine.

E il comitato federale, da una dichiarazione del suo se­gretario Louis Jeanrenaud di La Chaux-de-Fonds, pro­porrà ai compagni le considerazioni seguenti: «Quando un movimento si prepara in una località, se è ben soste­nuto dai membri diventa irresistibile; una specie di febbre di impazienza si impadronisce di lutti e gli avvenimenti precipitano. Se riesce, tanto meglio, gli errori sono cancel­lati dal successo; ma net caso contrario, gli errori assumo­no una grande importanza, e i pensieri di rimprovero na­scono negli animi.» <4>

Nel Giura la fine de! 1873 sarà essenzialmente consa­crata all’organizzazione di federazioni di società operaie in ogni località. Il modello federalista può essere applica­to verticalmente o orizzontalmente: in un medesimo me­stiere con la riunione dei gruppi delle diverse città, o in una medesima località riunendo le diverse società di me­stiere. Si tratta pure di stimolare l’adesione delle società locali aH’lnternazionale, poiché è nuovamente un epoca di crisi, dopo il promettente inizio d’anno. La crisi viene dagli Stati Uniti, crisi di liquidità provocata dal boom dei lavori ferroviari, e sappiamo che un'industria come l’oro­logio, quasi interamente destinata all’esportazione, è strettamente dipendente dalla situazione economica in­temazionale, estremamente sensibile ai movimenti con­giunturali. In periodo di crisi la produzione diminuisce, gli operai orologiai lavorano solamente alcuni giorni la settimana e il loro guadagno naturalmente ne risente. La reazione nei riguardi deH’Internazionale può essere di due sorta: o ci si rende conto della necessità di una resi­stenza organizzata, di un’unione dei lavoratori, e alcuni nuovi gruppi aderiscono, almeno temporaneamente, alla(4) Fédération des ouvriers graveurs et guillocheurs, Renctu compie du

5e congrès.... St. lmier 1874.

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Federazione del Giura; o la mancanza di soldi e lo scorag­giamento spingono al distacco.

I due fenomeni si producono in quest’epoca nel Giura, dove la Federazione raggiunge comunque effettivi mai conosciuti. Le adesioni di crisi sono a volte di corta dura­ta, e le società di mestiere create nelFinverno 1873 o che entrano nella Federazione non dureranno a lungo. Le adesioni più numerose provengono dagli operai più qua­lificati e favoriti (incisori, intagliatori, montatori); d’altra parte non esiste nessuna sezione di mestiere al di fuori dell’industria orologiera: un James Guillaume pubblici­sta, un Gustave Jeanneret pittore, un Fritz Robert archi­tetto, sono eccezioni e partecipano unicamente alle sezio­ni centrali o alle sezioni di propaganda, così come nume­rosi Comunardi a Ginevra o sulle rive del Lemano.

Nel dicembre 1873, i montatori orologiai di La Chaux- de-Fonds scioperano per opporsi alla diminuzione dei sa­lari. II Bullelin rileva allora che in tempo di crisi uno sciopero rischia di fallire, mentre che se ci fosse un’orga­nizzazione internazionale di solidarietà potrebbe aver successo. Gli orologiai del Giura dovrebbero quindi al­learsi con gii operai americani, considerando che la crisi proviene dagli Stati Uniti.

Lo studio delle crisi e delle loro cause, oggetto in questo periodo di un opuscolo di Schwitzguébel, avrà risultati concreti? Al congresso di La Chaux-de-Fonds dell’aprile 1874, Pindy, in nome del comitato federale, dichiara: «Da un anno la nostra federazione non ha cessato di pro­sperare (...). L ’idea veramente rivoluzionaria socialista progredisce seriamente e rapidamente tra gli operai dei due continenti», ma rileva pure che la necessità di una ri­voluzione economica in Svizzera è compresa solamente da un numero ristretto di lavoratori. Di conseguenza le azioni internazionali coordinate resteranno allo stato di progetto; solamente negli anni 1890 la lotta per la giorna­ta delle 8 ore prenderà - con scioperi e manifestazione del

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1° maggio - un carattere internazionale reale.Ma tra il 1873 e il 1875 si sviluppa nel Giura un’azione

di tipo sindacale: scioperi, comizi, fondazioni di società di resistenza. La solidarietà si sviluppa con parole e fatti. «Noi l ’abbiamo detto sovente - scrive Guillaume (Bulle- tin del 20.12.1874) - l ’utilità dello sciopero non sono i piccoli vantaggi materiali ottenuti oggi e persi domani, ma in primo luogo l ’agitazione che si crea, che facilita ure l ’unione degli operai, risvegliando i sentimenti di solida­rietà; infine la nascita della coscienza, presso operai ri­masti* nell indifferenza, dell’opposizione dei loro interessi con quelli del padrone.» E, anche se è una minoranza che prende coscienza e agisce, questa minoranza ha comun­que un ruolo di detonatore, può far scattare un movimen­to generale, a condizione ovviamente che non voglia as­sumersi un ruolo elitario, che non cerchi di prendere il potere e di esercitare una qualsiasi dominazione sulla massa dei lavoratori.

In questo senso, tutte le esperienze e tutti i problemi del mondo operaio sono interessanti, e rivestono una grande importanza nelle colonne del Bulletin de la Fédé- ration jurassienne; una qualità che conferiscono a que­st'organo, e di conseguenza alla Federazione, una tale udienza intemazionale. La polemica con gli «autoritari» che da due anni aveva assunto un ruolo importante, cede il passo ad una informazione più generosa, con una criti­ca mai assente; ma è aumentata la tolleranza nei riguardi dei Belgi, degli Inglesi e soprattutto dei Germanici, il cui parlamentarismo non provoca più i fulmini dei collettivi­sti. L’essenziale è diffidare delle soluzioni legali, della col­laborazione con le istituzioni dello Stato, della legge e della giustizia, dove i borghesi saranno sempre vincenti e li utilizzeranno sempre in modo repressivo. Ma la situa­zione della classe operaia nei riguardi della politica può variare da un paese all’altro: i Belgi elaborano una conce­zione dello Stato popolare, ma non si pongono nemmeno

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la questione del voto, poiché nel loro paese non esiste il suffragio universale; né d’altronde cercano di acquistarlo. 1 Germanici inviano i loro delegati nei parlamenti, ma per denunciare pubblicamente la loro futilità e contraddi­re incessantemente i deputati borghesi: i rappresentanti operai si fanno frequentemente imprigionare e la loro pseudo-immunità parlamentare è un argomento supple­mentare per i socialisti.

In Spagna le lotte sono più autentiche, gli internaziona­listi sono i più numerosi (decine di migliaia), la repressio­ne più violenta e la clandestinità meglio osservata: la proibizione dell’Internazionale ha rafforzato la solidarie­tà, suscitato reti parallele di resistenza e d’informazione, e i congressi si svolgono senza sosta. In Italia reazione con­traria: al congresso di Ginevra le posizioni «oltranziste» avevano preso il sopravvento; con la repressione che au­menta, i giovani Italiani, Cafiero, Costa, Malatesta, Pez­za, non pensano che a insurrezioni popolari, alle Comuni e alle barricate. Sfortunatamente, rileva Bakunin sulla si­tuazione italiana, avevamo dimenticato di tener conto delle masse, che non hanno voluto ribellarsi ... E queste attività terminano invariabilmente con l’arresto e l’esilio dei migliori.

Più che ogni altro giornale internazionale dell’epoca, il Bulletin de la Fédération jurassienne informa, traduce, commenta; verosimilmente la sua popolarità proviene proprio per questa attività. E’ peccato che non conoscia­mo nulla della distribuzione, poiché gli archivi ammini­strativi non esistono più; ma sappiamo che diffondeva circa 600 esemplari; 300/400 per i membri della Federa­zione; possiamo stimare perciò che circa la metà erano diffusi all’estero. Ricordiamo che La Solidarité diffonde­va pure 600 esemplari nel 1870, di cui 477 in Svizzera. Nel 1875 il Bulletin amplierà il suo formato, mentre la crisi si avvicina; fino all’ultimo momento osserverà una periodicità e un numero di pagine regolari (pubblicando

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inoltre estratti di opere, scritti della Rivoluzione francese e della Comune, romanzi a puntate), per fermarsi all’im- provviso quando, nel marzo 1878, Guillaume si ritira.

Quando gli avvenimenti internazionali sono importanti per i Giurassiani, gli Spagnoli, i Francesi, i Belgi attendo­no i commenti e i giudizi del Bulletin. Se la Federazione del Giura non esistesse, la fragile unità dell’Internaziona- le «anti-autoritaria» sarebbe probabilmente condannata; tra coloro che si lamentano del parlamentarismo e coloro che sognano barricate e insurrezioni, la Federazione è ef­fettivamente l’unica che fa comprendere la voce di una ragione anarchica, di una moderazione rivoluzionaria, e più l’unità è minacciata, più richiama alla tolleranza e al rispetto del pluralismo. Marx e compari «eliminati», non esistono più nemici mortali all’interno della classe opera­ia, perfino i social-democratici tedeschi vengono giudicati non troppo severamente.

In Svizzera, al contrario, continua la polemica, in par­ticolare con l’Arbeiterbund svizzero-tedesco, sostenuto dalle vecchie sezioni tedesche dell’AIL, e il suo organo, la Tagwacht. Poiché costoro si sono lasciati prendere dalla peggiore trappola, quella della pseudo-democrazia elveti­ca. Quando si tratta di rivedere la Costituzione svizzera, di limitare la giornata di lavoro o di regolamentare il la­voro nelle fabbriche, i socialisti de l’Arbeiterbund preco­nizzano sempre la soluzione della legislazione, del re­sponso delle urne. Le beffe e le umiliazioni che i governi cantonali o federali fanno subire - fiaschi elettorali, rifiu­to di prestare la sala del Gran Consiglio, cattiva applica­zione delle leggi sociali - non scalfiscono la loro fede nel­la democrazia «alla svizzera», valore per loro più elevato perfino del socialismo. Per gli internazionalisti, i membri àz\YArbeiterbund sono definitivamente compromessi con la borghesia; per i sindacalisti, la Federazione sbaglia e vive nell’utopia. La situazione si evolve comunque, gra­zie al passaggio di tutta una frazione del Griitli al so'ciali-

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smo, e pure al saluto fraterno inviato sempre più frequen­temente agli internazionalisti. I Giurassiani non li respin­gono, poiché, in un raggio geografico limitato, attirano nelle loro file società di resistenza e numerose federazioni operaie, che occorre indirizzare verso le idee collettiviste e federaliste, all’anarchia.

L’equivoco tra la teoria di un’organizzazione rivoluzio­naria destinata unicamente a distruggere lo Stato e stabili­re i grandi principi del collettivismo e del federalismo da una parte, e tra un’organizzazione che forma già il quadro e il motore della società futura dall’altra, non sarà mai ri­solto. Gli internazionalisti belgi, nel 1869, scrivevano che persisteva la tentazione di vedere «le istituzioni attuali dell’Internazionale dal punto di vista del futuro»: «L’In­ternazionale offre già il tipo della società futura, e (...) le sue diverse istituzioni, con le modifiche volute, formeran­no l ’ordine sociale futuro (...). Che in ogni comune si fondi una sezione dell’Internazionale e la nuova società sorge­rà, mentre la vecchia cadrà con un soffio». E comunque, in modo contradditorio, si ribadisce che quando lo Stato sarà abolito, tutto ricomincerà da capo, nessuna istituzio­ne del passato dovrà mantenere un’autorità qualsiasi.

Vedere nell’organizzazione dell’AIL - sezioni, federa­zioni locali, regionali o di mestiere - lo schema della so­cietà futura, significa dimenticare innanzitutto che essa è nata come organo di lotta e di autodifesa, come strumento della classe operaia in un momento della propria evolu­zione, senza pretendere una vocazione universale e per­manente. Ma gli organi inventati hanno aspetti seducenti ed è attraente, soprattutto nella propaganda, presentarli come l’embrione della società futura. Il sindacalismo ri­voluzionario non farà diversamente, negli anni 1896-1910, quando presenterà il sindacato come la cellu­la base della società dopo la rivoluzione.

In altre occasioni, interrogati sulla società future, gli anarchici rispondono: sarà ciò che voi ne farete, in tutti i

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modi che vorrete; abolita l’autorità, i rapporti tra gli uo­mini saranno semplici e limpidi, il prodotto del lavoro ri­tornerà al produttore che ne disporrà a modo suo; voi in­venterete nuove forme di vita in comune. Gli interlocuto­ri non sono affatto soddisfatti delle due risposte: se la so­pravvivenza di istituzioni del vecchio mondo fanno teme­re la burocrazia e la sclerosi, lasciare tutto all’immagina­zione e alla spontaneità sembra voler eludere la questione dell’organizzazione futura. Un'altra soluzione consiste nell’ideare un’utopia, che rappresenterebbe una delle molteplici possibilità di una società liberata: negli Alma- nachs du peuple di St. Imier, appaiono dal 1870 al 1873 numerosi articoli del genere. Infine resta la soluzione di compromesso, quella che pone alcuni tratti generali ai quali occorrerà attenersi, ma riconosce che non si può prevedere tutto: è ciò che farà Guillaume nelle Idèes sur l ’organisation sociale, opuscolo scritto su richiesta dei compagni italiani nel 1874 e pubblicato nel Giura nel 1876.

Per i più ortodossi, ogni previsione dell’avvenire, ogni qualifica dell’anarchia ferisce il principio anti-autoritario; nessuno potrà accusarli di dogmatismo perché rifiutano di veder evolvere dei principi fondamentali posti una vol­ta per sempre. Verso il 1876 nasce un nuovo concetto, il comunismo anarchico: rifiutando il collettivismo (al pro­duttore il prodotto integrale del suo lavoro), troppo im­preciso e materialmente inapplicabile, i comunisti anar­chici dichiarano la necessità della comunione del prodot­to del lavoro e degli strumenti di produzione: «a ciascuno secondo i suoi bisogni». Quelli rimasti fedeli al collettivi­smo li rimproverano di aggiungere precisazioni superflue e soprattutto premature: occorre una lunga educazione, una lunga esperienza della collettività, affinché diventi possibile la comunione dei prodotti del lavoro; vi è ri­schio che senza preparazione rinasca il gusto del profitto e dell’accumulazione. L’idea collettivista è più semplice,

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poiché saranno i lavoratori dopo la rivoluzione a decider­ne l’applicazione a seconda della situazione; i collettivisti non si preoccupano della ripartizione: «Appena il lavora­tore sarà in possesso dello strumento del lavoro, il rima­nente diventa secondario; i mezzi pratici per un equa ri- partizione saranno lasciali all’apprezzamento di ogni gruppo».

Per i collettivisti il «comuniSmo anarchico» è un’ag­giunta inutile e diventa avversario di altre soluzioni: con­durrà per esempio ad azioni individuali della presa dal mucchio, fino al terrorismo, considerato come una giusta guerra. Queste tendenze appaiono dapprima in Italia, dove i tentativi di insurrezioni, gli incendi degli archivi dei villaggi dovevano permettere l’immediata ripartizione dei beni, e in Spagna dove comunque sussiste una tolle­ranza tra le due tendenze, le quali provocheranno però il declino deH’Intemazionale.

Questa doppia tentazione - la costruzione a priori della società futura e il rifiuto di prevedere l’indomani della ri­voluzione - sarà espressa al congresso internationale di Bruxelles, nel settembre 1874, al momento della discus­sione del primo punto dell’ordine del giorno: «Come e da chi saranno costituiti i servizi pubblici nella nuova orga­nizzazione sociale?». Il delegato belga César De Paepe, che è stato vicino per un certo periodo a Bakunin, ma che a partire dal congresso di Basilea sostiene come i «marxi­sti» che la proprietà collettiva dev’essere statalizzata, pre­senta un lungo rapporto circostanziato nel quale, dopo aver enumerato i diversi servizi pubblici attuali, espone a quali organismi questi servizi dovranno essere affidati nella società futura: Comune o Stato; cerca di dimostrare i vantaggi della centralizzazione, ammettendo la necessità di un periodo transitorio della dittatura per forzare le as­sociazioni di mestiere a organizzarsi e a confederarsi; ma se la proprietà individuale è abolita, nel sistema proposto da De Paepe, il salario resta individuale.

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Lo Stato dunque sussiste, certamente investito di nuovi compiti e perdendone altri - l'esercito, i culti e, soprattut­to, la dominazione capitalista - ma conservando il suo ca­rattere di autorità, di coordinazione dei comuni federati. Per i collettivisti anarchici - che a Bruxelles sono i dele­gati francese, spagnolo, giurassiano - questa proposta è inaccettabile perdue motivi: da una parte perché il nome dello Stato non può sopravvivere, dall’altra e soprattutto perché la questione medesima dei servizi pubblici è mal posta.

Si tratta di un semplice gioco di parole? Ciò che De Paepe attribuisce allo Stato, i Giurassiani l’attribuiscono volentieri alla federazione dei comuni. Ma il termine Sta­to ricopre tutto quello che gli anarchici aborriscono: l’au­torità, la dominazione di una classe, lo sfruttamento delle masse, l’organizzazione politica. Così, scrive Guillaume, se nella nuova società la filosofia razionalista non potrà portare il nome di religione, non si può certo ricostruire lo Stato dopo averlo abolito. Sulla differenza esistente tra l’ordine futuro e l’ordine attuale, Schwitzguébel così ri- spode a De Paepe: «Saranno semplicemente gli operai che saranno al potere e non più i borghesi. Si sarà fatto come la borghesia quando ha sconfitto la nobiltà». Ora, dopo aver stabilito la proprietà collettiva, occorre che le relazioni fra gli uomini siano determinate dai liberi con­tratti e non da un’autorità centrale; ciò che il rapporto belga chiama Stato, anche se all’origine non sembra dete­nere questa autorità, se ne approprierà e l’imporrà ai sud­diti.

L’obiezione fondamentale di alcuni anarchici risiede proprio nel rifiuto della questione. Come poter determi­nare a priori ciò che sarà e ciò che non sarà servizio pub­blico, e in quale maniera saranno organizzati? Per Faust, uno dei delegati germanici dell’Allgemeiner Arbeiterve­rein, non esiste differenza tra un calzolaio e un terrazzie­re, poiché entrambi forniscono un servizio alla comunità.

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Per Schwiizguébel i due principi della proprietà collettiva degli strumenti di produzione e dell’autonomia degli indi­vidui e dei gruppi sono necessari e sufficienti, non occorre affatto preoccuparsi maggiormente dell’organizzazione di alcuni aspetti della vita futura.

*»* *

Dopo il tentativo rivoluzionario del 1873, in Spagna la repressione contro gli Internazionalisti si è aggravata. Ugualmente in Italia dopo i tentativi mancati di Bologna e delle Puglie, nell’agosto 1874. A tal punto che le federa­zioni dei due paesi domandano all’AIL di non tenere con­gressi nel 1875. Questa proposta è accettata favorevol­mente dalle altre federazioni, che non possono certamen­te parlare di crescita dell’AlL e di sviluppo delle idee anarchiche nel mondo. Il congresso di Bruxelles aveva d’altronde riunito appena 16 delegati, di cui 10 belgi, e nonostante l’intenso desiderio che sussisteva, dal congre­so del 1873, di salvaguardare l’unità di una parte impor­tante del movimento operaio, le discussioni avevano co­minciato a mostrare profonde divergenze nella teoria e nell’azione.

L’Intemazionale è sempre proibita in Francia, e le rare sezioni clandestine che sono in relazione con la Svizzera - in particolare con Paul Brousse e Louis Pindy - non sono rappresentative del movimento operaio francese. Praticamente disorganizzato, occorrerà attendere l’amni­stia per vedere ricostituire delle associazioni che raggrup­pano un certo numero di membri. In Belgio il movimento si rafforza, ma esistono tendenze divergenti (che non crea­no conflitti gravi): César De Paepe si avvicina ad un so­cialismo alla tedesca, con uno Stato provvidente che con­trolla i lavoratori organizzati; parteggiano per lui la mag­gioranza dei Fiamminghi, mentre la potente Fédération de la Vadée de la Vesdre difende le tesi anarchiche.

In Germania regna pure un desiderio di riavvicinamen­

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to. I due partiti socialisti, quello lassalliano e quello eise- nachiano che si uniranno al congresso di Gotha nel 1875, fanno entrambi delle trattative con gli operai organizzati di Europa. Faust e Frohme, due lassalliani, avevano par­tecipato al congresso di Bruxelles dell’AIL nel 1874; le manifestazioni e i congressi importanti ricevono general­mente i saluti amichevoli dai Germanici i quali ammette­ranno perfino che si possa avere una concezione dell’a­zione politica diversa dalla loro. Infine il programma di Bebel e di Liebknecht, dopo la loro elezione al Rcichstag nel 1874 con il proposito di criticare il parlamentarismo e la legalità borghesi proprio nel loro santuario, sono ap­plauditi dai Giurassiani e amici.

Il congresso generale del 1875, progettato a Barcellona, ma al quale bisogna rinunciare, verrà rinviato al 1876, e l’Ufficio federale internazionale rimane nel Giura, dopo una consultazione delle federazioni affiliate. I Giurassiani hanno d'altronde altre preoccupazioni, proprio nell’estate 1875. Dopo 25 anni, la rete ferroviaria svizzera si è estesa e si allarga sempre più; ma vi sono le Alpi e il traforo del Gottardo sarà la prima grande galleria della Svizzera. E’ un’impresa ginevrina, diretta dall’imprenditore Louis Fa- vre, che è incaricata dei lavori; i lavoratori stranieri in Svizzera sono 150.000, cifra elevata, composta soprattut­to da germanici, austriaci, francesi; gli Italiani verranno in massa dopo il 1888, e verranno occupati nelle profes­sioni edili e nei lavori pubblici.

Le condizioni di lavoro al Gottardo, come in ogni can­tiere d’alta montagna, sono penose: lavoro continuo in sciolte in una galleria dove la polvere e i gas asfissiano, vita in baracche ultrastipate, alto costo della vita, man­canza di installazioni igieniche, del tempo libero e della vita sociale, isolamento. E gli operai che hanno accettato questo lavoro hanno ovviamente l’intenzione .di rispar­miare il più possibile per poi inviare il loro guadagno alle famiglie. I salari sono decenti per l’epoca, c il tempo di la­

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voro - 8 ore - meno lungo di altrove. Ma le condizioni sono penose, la ventilazione della galleria particolarmen­te insufficiente e le misure di precauzione vengono rara­mente osservate. Di conseguenza gli operai di Goesche- nen scioperano il 27 luglio per domandare che le sciolte lavorino 6 ore al posto di 8. Un’impresa di lavori pubblici del genere non sopporta affatto l’interruzione; nell’agita­zione del 27, probabilmente impaurito, l’ingegnere Favre domanda al governo urano di inviare l’esercito per rista­bilire l’ordine; secondo le usanze paga le spese. Il canton Uri non ha milizie in servizio, non ha un esercito nume­roso, né un corpo di polizia sufficiente; una trentina di volontari, ai quali si forniscono abiti e armi, vengono in­viati sul luogo dello sciopero; sono inesperti, ma hanno i fucili che vengono impugnati contro gli operai raggrup­pati all’entrata della galleria. Gli operai rispondono con una sassaiola, i soldati aprono il fuoco - deliberatamente? sbadatamente? - e l’agitazione è terminata. Su questo tri­ste campo d’onore verranno raccolti quattro morti e dieci feriti e la polizia imprigionerà tredici persone. Gli operai, che non sono organizzati e non ricevono nessun aiuto esterno, abbandonano la lotta, alcuni lasciano il paese.<5)(51 lì Risveglio anarchici), quindicinale bilingue ginevrino, il I* maggio

1927 così scriveva: «28 luglio 1875.Chi più rammenta questa tragica data? I minatori che lavoravano

al traloro deI Goliardo in condizioni terribili, decimati da una malat­tia misteriosa che avvelenava loro il sangue, /'ancchlosloma. si erano messi in isciopero per le seguenti rivendicazioni:1. Diminuzione della giornata di lavoro o migliore ventilazione in luoghi asfissianti. Il fitmo che segue lo scoppio delle mine, sostituisce l'aria e soffoca il minatore. Maggiore è l'avanzamento, minore è l'e­vacuazione del,turno mefitico.2. Alla giornata di otto ore. con l'avanzamento del traforo, venendo ad aggiungersi un ‘ora per recarsi al lavoro ed un 'altra per ritornarse­ne. è chiesta un 'indennità di 50 centesimi.3. Soppressione dei pagamenti in buoni che vengono accettati sol­tanto dagli spacci dell'impresa, i quali vendono più caro dei nego­zianti merci più scadenti.

Si noti che la legge stessa doveva poi consacrare tutte e tre queste rivendicazioni, ma in quel giorno fatale - 28 luglio 1875 - i militi del Canton d ’Vri sparavano sugli scioperanti e l ’eccidio ristabiliva l ’or-

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Triste bilancio: è (a prima volta, in Svizzera, che l’eser­cito spara sugli scioperanti. Precedentemente era stato

dine della schiavitù operaia. L'ingegnere appaltatore Favre doveva poi cadere, lui pure, vittima della febbre della speculazione ancor più di quella del lavoro.

I libri di scuola han consacrato la gloria dell’ingegnere fucilatore per tacere delle vittime oscure, alle quali però il grande artista Vin­cenzo Vela doveva dedicare la sua maggiore opera.

Fra vecchie carte abbiamo ritrovato la minuta di una lettera scritta da James Guillaume a Cañero concernente le vittime del 28 luglio 1875. Eccola:IL GOMITA TO FEDERALE GIURASSI ASOdell'Associazione Internazionale dei Lavoratori al compagno CarloCafiero. a Roma.

Compagno,Noi veniamo a chiedervi se siete disposto ad accettare la missione

di formare un Comitato, composto di socialisti italiani noti per la loro devozione ed onestà, allo scopo di procedere il più prontamente possibile alla distribuzione dei fondi sottoscritti dalla Federazione giurassiana dell'Internazionale in favore delle vittime di Goeschenen.

Le sottoscrizioni ammontano afr. 629.45. Il totale di questa som­ma è nelle nostre mani; ma non sappiamo ancora se sarà integral­mente distribuita alle famiglie delle vittime, essendo stata fatta la proposta di consacrarne una parte ai prigionieri socialisti di Bolo­gna.

Comunque siasi, voi potete cominciare immediatamente le prati­che necessarie per trovare le famiglie delle quattro vittime, ed infor­marvi della situazione e del maggiore o minore gran bisogno di soc­corsi eh esse hanno.

Per guidarvi in queste ricerche, non possiamo darvi che una sola informazione; i nomi esatti delle quattro vittime, con l ’indicazione del loro luogo d'origine, come ce li ha forniti l'ambasciata Italiana a Berna:Gotta Giovanni, di Locano, provincia di Torino:Doselli Costantino di Antonio, di Calestano. provincia di Parma; Merlo Giovanni di Carlo, di Ceres. provincia di Torino;Villa Salvatore, di Strambino, provincia di Torino.

Quest’ultimo aveva con lui. a Goeschenen. moglie e figli, di cui ignoriamo l'indirizzo attuale.

Crediamo che il miglior mezzo di ottenere le informazioni neces­sarie sulle famiglie di questi quattro morti, sarà di scrivere in primo luogo al sindaco del loro Comune. Vogliate comunicarci ricevuta del­la presente, annunciandoci se accettate la missione di cui vi incari­chiamo; indicateci nello stesso tempo il miglior modo per farvi avere il denaro.

Ricevete, compagno, il nostro saluto fraterno.Neuchâtel, 18 marzo ’76» (nota degli editori).

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chiamato, ma senza sparare. La borghesia è entusiasta; le società operaie in generale assumono una posizione non aggressiva e se criticano gli eccessi, non vengono sfiorati dall’idea di un’eventuale tattica antimilitarista. Comun­que, nel 1869, quando il Consiglio di Stato vodese aveva chiamato l’esercito per impedire lo sciopero degli edili a Losanna, Samuel Rossier è compagni della sezione inter­nazionale di Vevey avevano deciso di rifiutare il servizio in casi del genere: preferivano, dicevano allora, subire al­cuni giorni di prigione a Chillón piuttosto di portare un fucile in un esercito che ha lo scopo di mantenere lo sfrut­tamento borghese. Avevano richiesto all’Internazionale di organizzare questo rifiuto in tutte le sezioni svizzere, ma questo progetto non verrà più presentato fino al 1875.

Dopo gli avvenimenti di Goeschenen, il comitato della Federazione degli incisori e intagliatori cerca di organiz­zare la lotta antimilitarista, opponendosi all’esercito in quanto custode dell’ordine interno: «Contadini e operai, formate ¡’immensa maggioranza dell'esercito svizzero, ma rappresentate pure il lavoro del popolo. Quando, nelle nostre città, nelle nostre valli, gli operai richiederanno un aumento salariate, una riduzione delle ore di lavoro, un qualsiasi miglioramento delle condizioni della loro esi­stenza, se lo sciopero presenta qualche carattere di agita­zione, l ’autorità chiamerà il lavoratore per sparare del piombo nel ventre del suo fratello di sofferenze. (...) Se la Repubblica non è unicamente una parola, il popolo si or­ganizzerà per opporsi alla trasformazione delle nostre milizie in mercenari del capitale. Compagni delle diverse organizzazioni operaie! Vi proponiamo un ’intesa formale sul comportamento generale da prendere in caso di inter­vento militare in uno sciopero.»

Il comitato veniva però immediatamente sconfessato dalle sezioni degli incisori e intagliatori e dovette perfino dimettersi. In tal modo l’esercito poteva impunemente(6) Butteiin de la Fèdération jurassienne, 31 otlobre 1875.

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continuare a assassinare gli scioperanti. Unicamente la voce del Bulletin si elevava sovente per denunciare il mi­litarismo e la falsa gloria dell’esercito.

5. BAKUNIN, GLI ULTIMI ANNIBakunin aveva partecipato al congresso di St. Imier nel

settembre 1872 come delegato della Federazione italiana: è l’ultima volta che partecipa pubblicamente ad una riu­nione delI’AlL. Nel passato aveva sperato, con i compa­gni italiani, che il congresso di St. Imier avrebbe costitui­to una nuova Internazionale veramente anarchica, con un programma rigorosamente collettivista; questo progetto era proprio stato discusso alla riunione segreta di Zurigo, alcuni giorni prima del 15 settembre. Ma di ritorno a Neuchâtel aveva ritrovato Guillaume, il quale era riusci­to a fargli modificare i progetti: occorreva confermare l’u­nione tra le federazioni opposte ai poteri e agli abusi del Consiglio generale, a prescindere dalle divergenze, e ritro­vare lo spirito che aveva presieduto alla fondazione del­l’Associazione intemazionale dei lavoratori. Bakunin di­fenderà questa tesi al primo congresso degli anti­autoritari, che riuscì a riunire tutte le più importanti fe­derazioni dell’Intemazionale.

In Svizzera non ci si aspettava certamente un movi­mento rivoluzionario; comunque i Giurassiani avrebbero difeso i principi collettivisti e denunciato le deviazioni politiche o centraliste del movimento operaio. Ma Baku­nin non poteva stabilirsi altrove: gli occorreva un punto fisso per le visite e per tenersi al corrente degli avveni­menti importanti nel Giura, in Italia e in Russia. Perciò il 22 ottobre 1872 rientra a Locamo, dove passerà quasi in­teramente gli ultimi anni della sua vita.

Appena arrivato viene informato dell’estradizione di Necaev, arrestato a Zurigo dalla polizia svizzera. Triste fine di una trista storia: la Svizzera consegna dunque rifu­giati politici? Questa storia avrà conseguenze per i sociali­

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sti russi in esilio. La sezione slava di Zurigo è eterogenea, ma alcuni membri - Ross, Oelsnitz, Holstein, Ralli - in quel periodo sono amici di Bakunin. Per cercare di unifi­care l’opposizione russa, entrano in contatto con Pierre Lavrov, redattore a Parigi di un giornale radicale. Lavrov e Bakunin nel passato erano avversari; ma è forse possibi­le un’intesa e, durante un passaggio in Svizzera, Lavrov incontra i giovani internazionalisti di Zurigo. Bakunin prevedeva l’incontro con occhio critico e il fallimento confermerà le sue previsioni. Ma questo lo incoraggerà a rimettersi al lavoro e a approfondire la situazione della Russia e del movimento rivoluzionario. Sono d’altronde i suoi amici a richiederlo; hanno acquistato materiale di ti­pografia e si mettono a pubblicare opuscoli e opere con sforzi smisurati, poiché nessuno è tipografo. Nonostante le difficoltà, Bakunin vi potrà pubblicare l’unica opera completa della sua vita: Stato e anarchia, apparso a Gine­vra e a Zurigo nel 1873, in russo. Esamina la storia recen­te della Germania e della Russia, critica i politici dei di­versi paesi europei e i tentativi di organizzazione o d’in­surrezione operaie, infine traccia le grandi linee di ciò che dovrà diventare la Russia e dell’azione rivoluzionaria de­gli Slavi.

Nel frattempo il gruppo di Zurigo conosce difficoltà in­terne, sia materiali (problemi per la stampa e il progetto di costituire una biblioteca rivoluzionaria), sia ideologi­che; Ross, uno dei più intimi amici di Bakunin e proprie­tario della tipografia, si reca a Locamo per consultare Ba­kunin. Questi incontra gli altri amici a Berna, con i quali tronca i rapporti definitivamente. E’ la fine della sua atti­vità visibile per la causa slava; rivedrà Ross, riceverà la visita di rivoluzionari russi negli anni seguenti, avrà fino all’ultimo momento i suoi confidenti russi - Alexandra Weber, Marie Reichel - ma non pubblicherà più niente.

Da un anno si era occupato unicamente della Russia: la residenza a Locamo gli serviva, tra l’altro, per essere in

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stretta relazione con gli internazionalisti italiani. Dopo la sua evasione in Siberia, nel 1862, e le sue avventure pica­resche al servizio della causa polacca, si era stabilito in Italia dal 1864 al 1868, dove aveva collaborato all’edifi­cazione di una dottrina socialista rivoluzionaria italiana. L’ammirazione di Garibaldi, le sue critiche chiaroveggen­ti a Mazzini, avevano cominciato a dargli un’udienza. Nel 1871, quando l’Internazionale si struttura infine in Italia e Mazzini critica aspramente la Comune di Parigi, Bakunin compone un libello clamoroso, riedito più volte: La teologia politica di Mazzini e l'Internazionale. Riusci­rà a trascinare la maggioranza degli internazionalisti ita­liani, che non cesseranno di stare in contatto con lui, di chiedere consigli, di assicurarsi la collaborazione, la sua presenza, nelle loro lotte per il trionfo dell'anarchia e del collettivismo.

Uno di loro, Fanelli, un vecchio compagno membro della prima Fraternità, aveva diffuso le idee dell’Interna­zionale e dell’Alleanza in Spagna con notevole successo. Altri sono da tempo sulla breccia: Gambuzzi, Pezza ... Ma i più ardenti, i più entusiasti, i più fedeli all’avvenire sono dei nuovi venuti, a volte giovanissimi: come Andrea Costa, Carlo Cafiero, Errico Malatesta. I tre giovani sono gli artefici del rinnovamento dell’Internazionale in Italia e i portavoce delle tendenze più rivoluzionarie. Al con­trario dei Giurassiani, non esitano a dichiararsi anarchici. Sono loro che si sono pronunciati più violentemente con­tro ogni ricostituzione di un’Intemazionale burocratica, che hanno cercato di imporre a St. Imier la loro proposta che solo le federazioni risolutamente anti-autoritarie pos­sano firmare il patto di solidarietà; in particolare Cafiero, che era stato il contatto privilegiato di Engels in Italia fino alla Conferenza di Londra, era divenuto uno degli «intimi» di Bakunin e dedica tutto se stesso alla causa della Rivoluzione.

Ma in Italia non è più il momento dell’organizzazione

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sindacale o dei comizi di propaganda. La repressione è durissima e i congressi sono clandestini. Rimane l’insur­rezione, come a Parigi. Occorrono uomini sicuri, segreti ben custoditi. Sorprende sicuramente tutti gli intimi, per­fino Guillaume, quando nel settembre 1873 Bakunin tra­smette una lettera sconcertante al borghese Journal de Genève - ultima ironia! - annunciando il suo ritiro dall’a­rena politica. D’altronde non aveva partecipato né al congresso del 1873, il primo congresso degli anti­autoritari, né ai suoi preparativi. La pubblicazione in giu­gno di un opuscolo redatto da Engels, Lafargue e Utin, L ’Alleanza della democrazia socialista e l ’AIL, era stata l’ultima afccusa degli amici di Marx, l'ultima raccolta di calunnie e di false informazioni, col pretesto di redigere il rapporto dell’Alleanza richiesto dal congresso dell’Aia; e Bakunin, che desiderava farla finita con la «cricca marxi­sta», ne aveva sofferto. « Ve lo confesso?-scrive al giorna­le ginevrino - tutto questo mi ha profondamente disgusta­to. Ne ho abbastanza, e dopo aver passato tutta la mia vita nella lotta sono stanco. Ho più di sessanl’anni 0) e una mialattia al cuore, che peggiora con l’età, mi rende l ’esistenza sempre più difficile. Altri più giovani dovranno mettersi all’opera; per quanto mi riguarda non ho più la forza, né la fiducia necessaria per spingere ancora il ma­cigno di Sisifo contro la reazione ovunque trionfante. Mi ritiro dalla lizza e domando ai miei contemporanei uni­camente una cosa, la dimenticanza. Ormai non turberò più il sonno di nessuno; di conseguenza lasciatemi tran­quillo.»

La stampa borghese non aveva l’esclusiva di questa pretesa confessione: alcuni giorni dopo, Bakunin scrisse una lettera formale di dimissioni al Comitato federale giurassiano, pubblicata nel Bulletin del 12 ottobre 1873.

«Per la mia origine e per la mia posizione personale, ma non certamente per le mie simpatie e tendenze, sono(7) Bakunin si sbaglia sovente sulla sua età: è nato nel 1814.

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un borghese e, come tale, non saprei far altro che propa­ganda. Ebbene, ho la convinzione che il tempo dei grandi discorsi teorici, scritti o verbali, è passato. Negli ultimi nove anni si sono sviluppate all'interno dell’Internaziona­le molte più idee di quelle che occorrerebbero per salvare il mondo, se le idee sole potessero salvarlo. E sfido chiun­que a inventarne una nuova.

Non è più tempo di idee, ma di fatti e di azioni. Attual­mente è essenziale l ’organizzazione delle forze del prole­tariato. Ma questa organizzazione deve essere opera del proletariato stesso. Se fossi giovane, mi recherei in un ambiente operaio partecipando alla vita laboriosa dei miei fratelli, e al grande lavoro di questa necessaria orga­nizzazione. Ma né l'età, né la salute mi permettono que­sta attività. Al contrario, esse mi costringono alla solitudi­ne e al riposo.»

Queste ultime frasi sarebbero state in seguito smentite. Ma non tutta la lettera è fittizia: Bakunin è sicuro - ben­ché si contraddica sovente e abbia dei periodi di ipocon­dria in cui è difficile riconoscere il suo vero pensiero - che è il momento «di fatti e di azioni»; rimane profonda­mente diviso tra il desiderio di avere infine una casa pro­pria e di coltivare il suo giardino, e quello di prendere parte attiva agli avvenimenti italiani, alle insurrezioni che non potrebbero succedere senza di lui. La casa offer­tagli da Cafiero deve servire tanto da porto, quanto da ri­fugio clandestino agli attivisti: perciò da una parte farà ri­costruire la stalla e sistemare l’orto, dall’altra farà instal­lare un’uscita segreta sul Lago Maggiore, per facilitare il passaggio in Italia. I visitatori sono numerosi, Russi, Ita­liani, amici di passaggio e le visite troppo frequenti pro­vocano spese smisurate. Cafiero, che con l’eredità del pa­dre ha potuto finanziare l’acquisto de La Baronata e i la­vori di sistemazione, vede sparire il suo capitale; pure Ba­kunin, tra progetti stravaganti, teme di lasciarsi invadere dai parassiti.

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Nell’autunno 1873, l’officina cooperativa degli incisori e intagliatori di Le Lode, in cui lavorano tra gli altri in­ternazionalisti - Auguste Spichiger e Louis Pindy - aveva deciso di ampliarsi e di traslocare a La Chaux-de-Fonds, dove la possibilità di lavoro e di commercio erano miglio­ri. Occorreva edificare, e la fortuna era personificata in Cafiero, che per aiutarli nell'acquisto del terreno aveva donato un baule di argenteria e di gioielli di famiglia. Ma i fondi rimanevano insufficienti e i compagni volevano chiedere un aiuto supplementare al donatore. Per questo scopo, nel mese di dicembre, Pindy si reca alla villa di Locamo, La Baronata. Vi trascorre alcuni giorni con gli ospiti della casa, felice di riallacciare amicizia con Baku- nin, il quale è sedotto dal suo «talento distruttore» - non era stato forse Pindy, nella Comune di Parigi, a prendere l’iniziativa di incendiare il Palazzo municipale? Ma poco dopo la sua partenza Cafiero rinuncia alla somma pro­messa; e Guillaume e Pindy, cercando poco dopo di re­carsi nuovamente alla Baronata, vengono fermati a Lo­camo da un amico di casa, il quale comunica loro che troveranno la porta chiusa, e consiglia di ritornare a casa senza insistere. La loro delusione è grande poiché non sono al corrente dei problemi della villa e della situazione italiana.

La delusione era grande anche per Cafiero, che vedeva la sua eredità dilapidarsi senza che nessuna azione impor­tante fosse intrapresa. Agli incisori giurassiani scrive che ha rifiutato di aiutarli per non contribuire a «creare nuovi borghesi». Certamente il movimento in Italia non si arre­sta, al contrario: vengono create nuove sezioni e giornali; la Commissione di corrispondenza, che era il portavoce della Federazione, non è più in grando di svolgere un’atti­vità pubblica ed è costretta a essere sostituita da un orga­no clandestino, il Comitato italiano per la rivoluzione so­ciale che comincia a pubblicare dal gennaio 1874 miglia­ia e migliaia di manifesti per «preparare psicologicamen-

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te» alle insurrezioni previste. I preparativi, la raccolta delle armi e esplosivi richiedono fondi e Cafiero desidera consacrarvi il suo patrimonio. La Baronata deve servire da nascondiglio per le armi e eventualmente per gli uomi­ni. Nel giugno 1874, Bakunin e compagni festeggiano alla villa il ritorno dalla Russia di Antonia Bakunin, accom­pagnata dal vecchio padre e dai tre figli. Ma Bakunin è inquieto: corre voce che la casa costerebbe troppo, che i fondi vengono sperperati. Cafiero non tarderà a confer­marlo nelle sue inquietudini: non è più in grado di finan­ziare il suo grande progetto. Bakunin allora desidera farla finita; e perché sia almeno una bella fine, decide con rac­cordo dei compagni italiani di partecipare all’insurrezio­ne prevista per l’inizio di luglio a Bologna, dove spera di morire da eroe.

Il seguito è ancora più triste: obbligato a superare nu­merose difficoltà per poter entrare clandestinamente in Italia, il vecchio rivoluzionario, durante una tappa forza­ta, scrive una lettera alla sua compagna, una «Memoria giustificativa», in cui si scopre meglio che in altri simili scritti; arrivato travestito a Bologna, attende in una came­ra d’albergo che i compagni l’avvertano; ma il colpo falli­sce, alcuni amici armati sono arrestati, altri fuggono; e quando vengono a cercare Bakunin, tutto è già finito; non gli resta che rientrare in Svizzera.

Per l’ultima volta si riprende; dallo Spliigen dove si è fermato, scrive agli amici di Locamo per fare il punto alla situazione e per trovare una soluzione. Solo agli inizi di settembre rivedrà Cafiero a Sierre, con il quale - dice - tronca definitivamente le relazioni. Cafiero consulta an­cora una volta Guillaume, Spichiger e Schwitzguébel e spiega infine le discrezioni ed i raggiri apparenti degli ul­timi mesi; essi convocano solennemente una riunione a Neuchâtel dove saranno esposte lagnanze nei confronti della vita privata di Bakunin (e non sulla sua inattività ri­voluzionaria); decidono che quest’ultimo non deve avere

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più nulla a che fare con l’Internazionale.Ma non si può lasciare il vecchio senza un soldo in ta­

sca, perciò gli si propone una pensione mensile di trecen­to franchi. Bakunin, come al solito, rifiuta l’elemosina, e domanda un ultimo prestito a Cafiero affinché gli per­metta di rimettersi e di assicurare la sopravvivenza alla famiglia. Ha sempre la speranza di ricevere una grossa somma dai suoi familiari in Russia; infine, infaticabile, progetta di scrivere le sue memorie e di poter sopravvive­re con l’orticoltura.

Ma non diventano neppure veri progetti. Con i soldi di Cafiero acquista una nuova casa, <8> che lo rovina subito; la somma proveniente dalla Russia è infima, comparata ai debiti accumulati; e gli ultimi mesi della sua vita sono offuscati dalla malattia che ostacola le sue imprese buco­liche e frena i suoi pensieri. Nell’estate 1875 riceve nu­merose visite, Malatesta e Cafiero riconciliati, poi un ri­voluzionario proveniente direttamente dalla Russia, Kraftchinsky, con il fedele Ross; si tiene al corrente quin­di dei movimenti rivoluzionari e della repressione che di­venta sempre più dura. Nell’inverno 1875-1876 si circon­da di nuovi uditori, operai italiani in maggioranza, che avevano sempre sognato di avvicinarlo e attualmente lo ascoltano con attenzione e ammirazione, e la loro devo­zione è smisurata.

Nel giugno 1876 i creditori disturbano talmente che Bakunin progetta di fuggire dal Ticino e stabilirsi nuova­mente a Napoli; vi invia la famiglia, mentre lui ne appro­fitta per consultare un’ultima volta il suo amico, il medi­co Adolph Vogt a Berna. E’ la sua ultima tappa: muore il primo luglio 1876, mentre i suoi amici sono informati ap­pena del suo viaggio.

(8) A Lugano, zona di Moncucco, (nota degli editori).

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6. PROPAGANDA E AGITAZIONE

I funerali di Bakunin sono modesti; ma riuniscono a Berna un piccolo gruppo di socialisti che rappresentano tendenze molto diverse. Amici prossimi come Schwi- tzguébel, Joukovsky, Guillaume, Reclus o lontani come Salvioni, (9) Betsien, Brousse pronunciano discorsi fune­bri; pure presenti alcuni amici russi. Dopo la breve ceri­monia di che cosa potevano parlare se non dell’Intema- zionale? L’occasione per incontri pacifici è poco frequen­te; sulla tomba di colui che tutti considerano un autentico rivoluzionario, un ribelle infaticabile, i dissensi devono sparire. La risoluzione votata non è provocata unicamen­te dall’emozione e ritrova i principi comuni al di là dei conflitti: «I lavoratori riuniti a Berna nell’occasione della morte di Michele Bakunin. appartenenti a cinque nazioni diverse, gli uni partigiani dello Stato operaio, gli altri par­tigiani della libera federazione dei gruppi produttori, pen­sano che una riconciliazione sia non solo indispensabile e molto desiderabile, ma soprattutto sia molto facile, sul terreno dei principi dell’Internazionale...».

II desiderio di unità è permanente tra la maggioranza dei socialisti, particolarmente dopo i due congressi di Gi­nevra del 1873. Quindi tutti gli incontri comuni vengono sostenuti, anche se in seguito ci si accorgerà che viene raf­forzata unicamente una tendenza. Il congresso giurassia- no dell’agosto 1876 trasmette un messaggio fraterno ai so­cialisti tedeschi riuniti a Gotha e riceve una risposta cor­diale da Liebknecht; ormai il Bulletin fara lo scambio con il Volksstaat di Lipsia, con il quale fino allora aveva avu­to rapporti ostili. E’ calorosamente accettata la proposta della frazione fiamminga della Federazione belga di con-(9) Per il ticinese Carlo Salvioni di Bellinzona; vedi Romano Broggini in

DUE ANNIVERSARI, Carlo Salvioni (1858-1920) ccc., Bellinzona 1971. e in UN GRUPPO INTERNAZIONALISTA DISSIDENTE: LA SEZIONE DEL C'ERESIO pubblicato in Anarchismo e sociali­smo in Italia (1872-1892). Roma 1973 (nota degli editori).

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vocare un congresso generale di tutti i socialisti per il 1877; vedremo in seguito che gli anarchici non avevano affatto il motivo di rallegrarsene. Rappresentanti di diver­se associazioni operaie assistono infine al congresso del­l’Intemazionale del 1876.

Nel 1875-1876 sono fondate nuove sezioni della Fede­razione del Giura; le sezioni di mestiere aumentano, a de­trimento delle sezioni centrali; uno iato si crea forse tra l’azione sindacale e il lavoro di critica politica e teorica, che rappresenta sempre una parte importante del Bulle­tin. Ma la tiratura del giornale si mantiene; regna di con­seguenza un interesse, tra le sezioni della Federazione, per l’informazione operaia regionale e internazionale e anche per la riflessione politica.

Dopo il voto sulla revisione della Costituzione federale svizzera, nell’ottobre 1875 hanno luogo le elezioni al Consiglio nazionale. L’Arbeiterbund legalista sostiene candidati favorevoli alla legislazione del lavoro e fa asse­gnamento sulle nuove Camere per elaborare una «buona» legge sulle fabbriche. Una volta di più il Bulletin - in un articolo di Guillaume - ha l’occasione di motivare la sua astensione dalla politica elettorale e di esporre il suo pro­gramma: «Noi non ci aspettiamo nulla dalle pretese rifor­me che un’assemblea legislativa borghese ci concedereb­be; noi aspettiamo tutto dal movimento rivoluzionario che. in un avvenire più o meno prossimo, solleverà l ’Euro­pa e distruggerà le vecchie istituzioni. Non pensiamo af­fatto, come ce lo fanno dire coloro che hanno opinioni di­verse dalle nostre, che le rivoluzioni si improvvisano; sia­mo coscienti che occorre prepararle e che il popolo deve essere disposto a comprenderle e accettarle. Ma è proprio perchè noi vogliamo preparare la rivoluzione che, da que­sto momento, noi cerchiamo di illuminare il popolo sul vuoto e sulla ciarlataneria delle istituzioni parlamentari; perciò diciamo agli operai: Riunitevi per diventare una forza. Non formate associazioni destinate alla politica

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elettorale poiché esse non possono servire che a dare il potere a qualche ambizioso. Formate delle società di me­stiere, società di resistenza, associate i vostri interessi di lavoratori, organizzandovi in tal modo per la lotta econo­mica, creerete l'esercito della futura rivoluzione.» (Bulle­tin, 3 ottobre 1875).

Infaticabile il Bulletin non teme le ripetizioni; non è sufficiente dire una volta agli operai di organizzarsi per­ché lo facciano. Sono previsti altri strumenti: per esempio un progetto di risoluzione di Schwitzguébel e Brousse sul­la questione «Dell’agitazione socialista nella regione giu- rassiana durante il periodo 1875-1876». 0°) Il testo rico­nosce dapprima che «nel periodo di reazioni che noi su­biamo, il mantenimento delle sezioni (è) già un progres­so», si tratta di perseverare con comizi, con la diffusione degli opuscoli e con il giornale. Viene pure proposto che, per costituire nuove sezioni in nuove località, alcuni compagni dovrebbero recarsi a cercarvi lavoro e costitui­re un primo nucleo, sostenuto personalmente e finanzia­riamente dalle sezioni vicine. Infine si richiama alla soli­darietà intemazionale, «la propaganda dei principi deve essere basata sui fatti».

Anche se questo programma non sembra più pericolo­so dei precedenti, è evidente che per i nuovi internaziona­listi - Paul Brousse e Kachelhofer a Berna, Kahn e Rein­sdorf a Losanna - i mezzi pacifici e esemplari utilizzati fino allora nelle Montagne non godono di un totale entu­siasmo, mentre l’agitazione ha un diverso significato. I Giurassiani hanno sempre agito con riguardo nei con­fronti dei loro avversari; al contrario i nuovi dichiarano nel 1876, che bisogna interrompere le assemblee e bran­dire la bandiera rossa, dare libero corso agli impulsi. Gli scioperi dovrebbero essere decisi democraticamente dagli operai; ma - propongono - possiamo inviare loro agitato­ri dall’esterno, disturbarli nelle loro officine, denunciare i(16) Amsterdam, Istituto Intemazionale di storia sociale.

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padroni. La propaganda in favore dell’Internazionale era stata generalmente legale; i nuovi venuti inaugurano «l’affissione militante» notturna sui muri delle case di Friborgo, incollando manifesti che invitano ad aderire al- l'AIL.

Si tratta del passaggio dalla propaganda all’agitazione, due mezzi che più tardi gli anarchici hanno sempre di­stinto. La propaganda è conforme alle idee della società futura: essa informa, spinge alla critica, propone schemi di azione - a corto o a lungo termine - o modelli per l’av­venire, tanto nel comportamento personale e nei rapporti umani, quanto nei rapporti economici. L’agitazione è for­zatamente denunciatrice, cerca di svelare - con atti legali o meno - le ingiustizie e i crimini della società attuale. E’ un genere di azione rapida, convincente, provocatrice; è diretta a persone che dovrebbero velocemente sensibiliz­zarsi, che rispondano amplificandola e assumendola come propria. La propaganda sono i giornali, le conferen­ze, le cooperative; l’agitazione sono le manifestazioni, i volantini, i comizi improvvisi, l’interruzione nelle riunio­ni avversarie. Questa verrà denominata la «propaganda del fatto» e questo termine sarà utilizzato di frequente da­gli anarchici quando condurranno azioni più dure, quan­do useranno in particolare la violenza contro oggetti, isti­tuzioni o uomini. Vi ritorneremo.

Da questo periodo la vita delle sezioni è cosparsa di in­cidenti. Prima gli scontri con la polizia erano molto rari: il 15 settembre 1870, La Solidariié era stata sequestrata poiché richiamava al sostegno attivo dell’insurrezione in Francia; alcuni comunardi avevano rischiato l’espulsio­ne; a volte agitatori di scioperi avevano dovuto risponde­re della loro condotta davanti a un ufficiale di polizia; ma nessun internazionalista in Svizzera aveva conosciuto la prigione. Possiamo stupirci e lodare certamente la libertà di espressione di cui godevano generalmente gli stranieri, anche se erano rifugiati politici. Rileveremo soprattutto

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la rettitudine, l’ascetismo fino al puritanismo che regna­vano tra i Giurassiani, per i quali una vita senza eccessi e un’onestà senza macchia erano le condizioni indispensa­bili dell’autenticità del loro messaggio rivoluzionario. Se non vogliamo leggi, occorre ignorarle e fame a meno; se le scherniamo e le violiamo, subiremo la loro dura realtà.

L’atteggiamento cambia dunque negli ultimi anni del- l’AlL. Ovviamente non diventano tutti «malfattori», di­namitardi, senza scrupoli; ma a volte è utile opporsi ad una legge e sopportarne le conseguenze. I processi e la prigione degli Internazionalisti in Italia non hanno forse provocato il sostegno delle masse, una popolarità perfino nelle canzoni? 1 tribunali e le prigioni sono pure ottimi fori, dove le idee possono essere presentate. Con lo stesso entusiasmo con cui avevano salutato la Comune di Parigi e quelle meno esemplari della provincia, i tentativi insur­rezionali in Italia e i comizi illegali e repressi in Russia o in Spagna vengono lodati, gli autori elogiati, e ben presto imitati.

Nello stesso periodo il movimento operaio si dirige, spinto da profonde forze storiche, verso gli stessi tipi di organizzazione che gli anarchici aborriscono; sindacati le­galitari, partiti social-democratici. L’organizzazione uni­taria e blanda tentata dall’AlL è fallita; l’esempio della Germania dimostra che i socialisti possono entrare nei parlamenti, quello dell'Inghilterra che i sindacati possono diventare interlocutori riconosciuti. Queste tendenze ap­paiono non unicamente tra i «marxisti», ma attualmente anche nei ranghi dell’Internazionale anti-autoritaria; le opposizioni scoppieranno al congresso del 1876.

Ricordiamo che nel 1875 il congresso generale non aveva avuto luogo a causa della repressione in Italia e in Spagna. L’anno seguente, con la polizia meno accorta o la clandestinità meglio appresa, i due paesi inviano alcuni delegati al congresso che si apre in ottobre a Berna. Sono pure rappresentate le federazioni belga e olandese (César

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De Paepe), francese (Brousse, Gross e Pindy), giurassiana (una quindicina di delegati) e i gruppi di Ginevra decisi all’isolamento. Per la prima volta il congresso è aperto ai non iscritti all’AIL: un socialista di Ginevra, Gutsmann, un deputato al Reichstag tedesco, Vahlteich, due membri deWArbeiterbund, Franz e Greulich. E’ unicamente con quest’ultimo che le dispute scoppieranno, poiché dichia­rerà che «L’Internazionale è morta». Gli altri, anche se partigiani dell’azione politica, sono favorevoli all’unità dei socialisti; esiste dunque un’intesa possibile. Anche al­l’interno delle federazioni anti-autoritarie l’unanimità non è più vasta: De Paepe riprende le posizioni espresse a Bruxelles due anni prima, accettando di abbandonare la parola disprezzata, Lo Stato, per quella di amministrazio­ne pubblica; ma è pure il delegato della federazione olan­dese, la quale si orienta verso una forma partitica e parla­mentarista. La discussione, che riprende sulle forme tran­sitorie della società dopo la rivoluzione, dimostra esplici­tamente le posizioni divergenti. Gli italiani, che nel 1874 avevano rifiutato di inviare delegati a Bruxelles dichia­rando che «il tempo non è più dei congressi, ma dell’azio­ne» partecipano questa volta numerosi: devono sia difen­dere le azioni condotte in Italia sia sostenere le posiziona anarchiche contro le tendenze centraliste dell’Internazio­nale. Il dibattito in effetti si pone tra Stato e anarchia. Malatesta, dopo aver rifiutato il qualificativo di «bakuni- nisti», definisce chiaramente la loro posizione: «Per noi, lo Stato è l ’organizzazione dell’autorità, è un potere che, qualunque sia la sua origine, esiste al di fuori del popolo e, di conseguenza, necessariamente contro il popolo. ... Per noi lo Stato non dipende dall’estensione geografica di un dato organismo sociale, ma dalla sua essenza; noi cre­diamo che possa esistere uno Stato pure in una Comune o in un’associazione.» Qualsiasi idea di un governo de­mocratico, eletto dal basso verso l’alto e revocabile, di uno stadio di transizione che conservi le vecchie istituzio-

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ni, viene rifiutata: «Le forme tendono a perpetuarsi; il do­vere del rivoluzionario è di fare tutti gli sforzi affinché queste forme si trasformino continuamente e si manten­gano a! livello dei progressi morali e intellettuali dell’u­manità. Dichiarare la guerra continua alle istituzioni, ecco ciò che noi chiamiamo rivoluzione permanente. Se esistono altri che provano il bisogno di ostacolare e ral­lentare il movimento sociale, il cammino dell'umanità non ci apparirà più seminato di pericoli di quanto non lo sia il corso degli astri.» OD

Come funzionerà la società non possiamo né lo voglia­mo sapere; si tratta, nel momento attuale, di distruggere ciò che esiste, di liberare gli uomini affinché possano or­ganizzarsi in modo autonomo. Di conseguenza, per molti, l’Internazionale è il corpo unico in cui dovrebbero ritro­varsi i socialisti; i Belgi hanno proposto la convocazione, per l’anno seguente, di un congresso socialista universale che esprimerebbe la solidarietà delle diverse organizza­zioni; è forse necessario, ci si domanda, di creare qualche cosa di nuovo? 1 socialisti devono unicamente entrare neH’lntemazionale dove gli statuti sono chiari e offrono un terreno vasto; se gli uni o gli altri sono impediti dalle leggi del loro paese, che costituiscano delle sezioni clan­destine. Ma, si risponde, i sindacati inglesi o il partito so­cial-democratico non possono né vogliono aderire all'In­ternazionale: alcuni l’hanno abbandonata da diversi anni; invece di conoscerci male e di polemizzare nei nostri giornali, incontriamoci tutti una volta, vedremo se un ac­cordo - un «patto di solidarietà» - è possibile. Solo gli Italiani e gli Spagnoli rifiuteranno questo progetto.

Queste due federazioni hanno altri progetti e non cre­dono affatto ai congressi. Il tempo dell’azione è giunto e, poiché la pazienza e la dolcezza non sono state ricono­sciute, occorre utilizzare mezzi duri e, se necessario, per­fino le stesse armi violente della borghesia. Ma le azioni 0 D Compie rendu officieldu VW'congrès. Berne 1876.

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isolate non sono paganti, si rischia di considerare gli auto­ri come «malfattori» e non come rivoluzionari, se non sono riconosciuti da un’organizzazione internazionale. L’Internazionale è pronta a sostenerli? Essa non lo può fare apertamente senza esporsi, con il rischio perfino di sparire; quindi la risoluzione votata finalmente all’unani­mità a Berna, risulta velata: «Il Congresso dichiara che gli operai di ogni paese sono i migliori giudici dei mezzi più adeguati da utilizzare per dijfondere il socialismo. L ’In­ternazionale simpatizza con questi operai in ogni caso, purché non abbiano legami con qualsiasi partito borghe­se.»

Queste risoluzioni mitigate, sono necessarie per l’Inter­nazionale, affinché possa corrispondere alla reputazione che si è creata. Nel 1876 i suoi effettivi sono assai nume­rosi, ma certamente gonfiati: le sezioni spagnole cambia­no da un anno all’altro, quelle italiane pure, quelle di Francia sono fantomatiche e incessantamente perseguita­te; in Belgio, salvo la Valle della Vesdre fedele all’anar­chismo, la maggioranza della federazione opta per i mezzi politici legali, come in Olanda; in Svizzera infine, le se­zioni sono destinate ad un avvenire effimero. Ciò non im­pedisce l’ottavo congresso a Berna di una associazione che, da dieci anni, ha i suoi giornali, le sue sezioni, le sue riunioni; un’associazione che dal primo giorno ha saluta­to e sostenuto la gloriosa Comune di Parigi e di cui fanno parte ancora numerosi protagonisti; una associazione che è sopravvissuta nonostante i conflitti interni e la repres­sione degli Stati e i cui membri non temono né la prigio­ne né la diffamazione. E’ questa associazione che i socia­listi dai quattro angoli della terra salutano: lettere e tele­grammi pervengono da Parigi, da Londra e dall’Inghilter­ra, dalla Danimarca, dal Portogallo, dalla Grecia, dall’U­ruguay. In questo modo è riconosciuta l’importanza stori­ca di una simile riunione, che a causa della cattiva volon­tà degli albergatori e della polizia è costretta a ritirarsi al

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Schwellen-Màlteli, sulla riva destra dell’Aar che si attra­versa con un traghetto. Comunque la bandiera rossa sven­tola coraggiosamente sull’albergo.

Ma inalberare la bandiera rossa nelle vie di Berna può essere pericoloso. Il 18 marzo 1876 gli anarchici che ave­vano voluto commemorare l’anniversario della Comune di Parigi, erano stati attaccati da provocatori a colpi di bastone e la loro bella bandiera rossa - confezionata per l’occasione con l’acquisto di 20 metri di calicò a 55 cente­simi il metro da un fornitore della città - lacerata. Nello stesso momento una cerimonia riunisce dei proscritti del­la Comune e un gran numero di operai a Losanna; il co­mizio previsto è stato proibito dal sindaco, ma viene co­munque improvvisato in ragione del folto pubblico. Le autorità proibiscono simili riunioni tranquille, mentre tollerano i misfatti degli uomini pagati dalla borghesia? L’Internazionale deve rispondere vigorosamente.

Di conseguenza il 18 marzo dell’anno seguente, tutti i membri della Federazione del Giura sono stati chiamati per recarsi a Berna. Questa volta non si sentono molto pacifisti; l’officina cooperativa degli incisori ha trascurato un poco il suo lavoro abituale per fabbricare tirapugni; i bastoni sono solidi e il cuore saldo. Un gruppo di giovani si trova il 18 marzo 1877, una domenica, a Berna; la sfila­ta è autorizzata dal prefetto, e tutto sembra tranquillo; è Schwitzguébel che ha l’onore di portare la bandiera rossa. AH’arrivo di un gruppo di Zurighesi che inalberano un­’altra bandiera, l’entusiasmo è al colmo; il corteo si mette in moto. Ma appena arrivato sulla piazza della stazione è ostacolato da una barricata della polizia e due gendarmi s’impadroniscono della bandiera di Schwitzguébel; la zuf­fa è breve e sanguinosa, i gendarmi con la sciabola, gli. operai con i bastoni.

Un aneddoto, forse, un incidente minore; ma è la prima volta nella storia dell’Intemazionale in Svizzera che ci si scontra con la polizia; il tafferuglio sarà considerato come

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una delle prime manifestazioni della propaganda del fat­to, i suoi protagonisti saranno degli eroi.

La tattica della lotta è stata creata spontaneamente, senza esperienze precedenti; solo i Comunardi avevano conosciuto le vere barricate. Dopo la zuffa, il corteo si dissolve e ci si ritrova, per vie diverse, in un vicino alber­go. Brousse e amici che sono riusciti a salvare la loro ban­diera, la impugnano sul loro cammino senza essere di­sturbati. Cercano di liberare due compagni imprigionati, poi il comizio continua normalmente. Salvo i socialisti di Berna che sono stati riconosciuti dalla polizia, nessun straniero sarà segnalato: la presenza di Kropotkin, di Pin- dy, di Plekhanoff, ecc. sarà ignorata dalla polizia, che avrà comunque trenta compagni da giudicare; essi do­vranno subire pene da dieci a sessanta giorni di prigione e versare un’indennità a un gendarme ferito.

Il processo avrà luogo solo in settembre, con la parteci­pazione di un folto pubblico. Il pretorio è un luogo ma­gnifico di propaganda: è quasi una tradizione per gli anar­chici, nel corso della loro storia, diventare da accusati ac­cusatori, di rivolgersi al pubblico e non tanto ai giudici. Certamente i delitti sono riconosciuti - gli internazionali­sti implicati nella zuffa si sono d’altronde denunciati vo­lontariamente quando alcuni compagni furono accusati - e le condanne accettate, anche se pesanti. Ma è il tribuna­le che diventa riprorevole, la polizia ha agito illegalmen­te; il delitto di diritto comune non è che il pretesto per una condanna politica e gli accusati vogliono forzare i giudici a riconoscerlo. La prova che le loro critiche allo Stato liberticida sono esatte, è che questi permette ad al­cuni quello che proibisce ad altri; ci si vanta dei tre Sviz­zeri del praticello del Griitli opposti alla dominazione de­gli Asburgo, ma non si ammette che si possa contestare la dominazione attuale. L’aggressione dei gendarmi è stata causata dai manifestanti, criminali perché socialisti e anarchici. Ma questi ultimi non hanno voluto l’avvocato:

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sanno benissimo difendersi da soli, poiché si tratta di esporre le idee dell’anarchia e di criticare lo Stato; non è importante la condanna se il pubblico è sensibile alle loro idee!

«Non crediate - dice Guillaume - che con questo pro­cesso possiate riuscire a intimidirci o a screditarci; benché desiderate rifiutare di occuparvi della parte politica della questione, vi intestardite a perseguirci unicamente per rissa accompagnata da percosse e ferite: l'opinione pub­blica non si lascia ingannare, sa che si tratta di un pro­cesso politico e che gli uomini che sono su questi banchi non sono imputati comuni, ma sono i rappresentanti di un grande partito che, anche in Svizzera, è diventato ab­bastanza forte per meritare di attirarsi la repressione dei governi (...) In tutti i paesi, tutti i partiti sono passati a loro volta sui banchi della polizia correzionale (...) e se voi ci condannate, se la vostra coscienza vi permette di affer­mare che la polizia e il governo hanno avuto ragione di noi, potete essere certi che la vostra sentenza servirà uni­camente alla nostra propaganda.»

I Giurassiani saranno imprigionati a Courtelary, in au­tunno, in gruppi successivi per non affollare le celle; essi stessi si costituiscono prigionieri e non sembra che il regi­me sia troppo duro poiché portano con sé da intagliare, libri, ecc., e quindi le giornate trascorrono attivamente. Ciò nonostante, la mancanza di guadagno durante queste settimane e la condizione di un soggiorno in prigione sono sentite negativamente dai condannati.

Non erano i soli; non avevano inventato, senza riferi­menti, il loro comportamento di fronte al tribunale. In Francia, in Spagna, in Italia, la repressione aveva già col­pito e si conoscevano esempi d’ammirevole coraggio da­vanti ai giudici e nelle galere.

Appena un mese dopo la rissa di Berna, un gruppo di internazionalisti italiani mette infine in esecuzione un piano da tempo concertato: un movimento insurrezionale

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nei villaggi del Benevento, regione montagnosa all’est di Napoli. Una piccola banda armata guidata tra gli altri da Cafiero e Malatesta, arriva improvvisamente in un villag­gio, annunciando che il mondo cambierà, che occorre abolire lo Stato e la proprietà nel comune. Accolti favore­volmente dalla popolazione, con il curato in testa, gli in­ternazionalisti occupano il Municipio, incendiano sulla piazza gli archivi e i titoli di proprietà, distruggono infine l’imposta sul grano del mulino comunale. Dopo alcuni discorsi continuano la loro strada e i villaggi riservano loro sempre un’accoglienza favorevole - anche se senza eccessivo entusiasmo - sempre con il curato in prima fila.

Ma l’esercito - avvertito da una soffiata - ha seguito le mosse e dopo aver arrestato alcuni rivoluzionari prima della partenza, non tarda ad inseguirli sulle montagne. Nevica, in questo mese di aprile, la montagna non è fami­liare, l’equipaggiamento è pesante e la polvere dei fucili bagnata. Rifugiata in una stalla, la banda, sfinita e intiriz­zita, viene catturata. L’epopea non è comunque termina­ta, poiché il processo avrà luogo dieci mesi più tardi: in prigione gli internazionalisti riuniti ricostituiscono una sezione, La Banda del Matese (dal nome delle montagne dove hanno operato), e Costa la rappresenterà al congres­so del 1877.

Gli Italiani in effetti sono comparsi numerose volte da­vanti ai tribunali e ogni volta hanno difeso, senza timore per la pena (che generalmente non è comparabile a quella inflitta dal tribunale bernese), le teorie dell’Internazionale e l’insurrezione come mezzo di azione. Il terrorismo con­tro le istituzioni, che devierà più tardi in terrorismo con­tro gli uomini, sembra meglio accolto dalla popolazione italiana che in Francia o in Svizzera: non tanto in virtù di un «carattere nazionale» indefinibile, quanto perché si inscrive in una tradizione politica scolpita nelle memorie. I risultati dei compagni italiani impressionano diversi in­ternazionalisti in Svizzera, Brousse, Kropotkin, alcuni

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giovani Giurassiani, Kachelhofer, Reinsdorf, Werner... Ma quelli della vecchia guardia, e particolarmente James Guillaume, non si fidano: non tanto per la moralità dei mezzi, quanto per il loro impatto sulla popolazione ope­raia svizzera. Qui ritroviamo l’argomento frequentemente invocato: da noi non è come da voi. E’ vero che dopo il 1876 lo scoraggiamento raggiunge diverse sezioni, che non arrivano nonostante i loro sforzi a diffondersi ulte­riormente tra gli operai; certamente nella valle di St. Imier e nelle Montagne neocastellane il movimento rima­ne, ma altrove, le sezioni appena costituite sono già mori­bonde. Unicamente alcuni individui determinati e devoti non possono costituire una sezione; certamente possono avere un’attività importante, creare un’agitazione o un dibattito permanente, ma restano comunque marginali. Non si può applicare dall’esterno un’identità e una co­scienza alla popolazione operaia; ingannata dai falsi pro­feti, crede ancora che i suoi interessi convergano con quelli borghesi. Quindi il valore del lavoro di organizza­zione e di formazione, come quello praticato dai Giuras­siani da dieci anni, non è messo in causa dai suoi falli­menti. In un periodo di crescita, la manifestazione di Ber­na avrebbe provocato probabilmente un effetto positivo per l’Internazionale; ma in un periodo di regresso, di divi­sione della classe operaia, le misure repressive della bor-, ghesia - poiché oltre ad essere cosciente che occorre tener conto dell’agitazione socialista, essa ha ben presto com­preso come reprimerla - influenzano l’opinione pubblica e aumentano la sfiducia degli operai per l’Internazionale o almeno la loro reticenza a aderirvi.

7. LA FINE DELL'AILL’estate e l’autunno 1877 vedranno una rinascita delle

attività in Svizzera e un rinnovamento delle discussioni. Già in gennaio un uomo aveva raggiunto il circolo degli intimi: Pietro Kropotkjn.

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Kropotkin (1842-1921), come Bakunin, proveniva da una nobile famiglia russa; aveva frequentato la scuola dei paggi, poi entrato nell'esercito; in seguito si era consacra­to alla geografìa, frequentando nel contempo i circoli ri­voluzionari moscoviti. In un primo viaggio nell’Europa occidentale nel 1872 aveva conosciuto gli internazionali­sti, a Ginevra e nel Giura. Quando aveva confidato a Guillaume il suo desiderio di restare in Svizzera e di lot­tare per la diffusione delle idee collettiviste, questi gli ri­sponde che sarebbe stato più utile in Russia; era dunque rientrato, ma alcuni anni dopo era stato arrestato dalla polizia zarista e imprigionato. Con un’evasione temeraria riprese la libertà nel 1876; stabilitosi a Londra aveva ri­preso i suoi lavori di geografia, nell’attesa di poter tornare nel Giura. Alla fine dell’anno aveva infine potuto realiz­zare il suo sogno; incaricato di un lavoro per un diziona­rio geografico, si stabilisce a La Chaux-de-Fonds dove partecipa alla vita della sezione, con Spichiger, Pindy e i numerosi rifugiati della Comune residenti nella regione.

Ben presto diventa uno dei più attivi; con le sue corri­spondenze nel Bulletin, partecipando ai comizi e alle ma­nifestazioni, come quella del 18 marzo a Berna. In estate, quando Guillaume si concede un mese di vacanza, lui e Brousse riprendono la redazione del Bulletin, dandogli un nuovo volto: è da allora che appare il primo articolo che sostiene la «propaganda del fatto». (12> «l socialisti rivolu­zionari cercano, con sommosse di cui prevedono perfetta­mente la soluzione, di rimuovere la coscienza popolare (...) I socialisti opportunisti biasimano le sommosse, le chiamano putsch: le deridono, le ridicolizzano, con gran­de letizia della borghesia che le teme, proprio nel momen­to in cui coloro che vi hanno partecipato partono per la Siberia o passano davanti ai tribunali per essere condan­ni a volte all'ergastolo. (...) Domandiamoci il senso che bi-

(12) Bulletin, 5 agosto 1877.

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sogna attribuire a questi fatti: Kazan, <13> Benevento, Ber­na. Gli uomini che vi hanno partecipato speravano di fare la rivoluzione? Avevano sufficienti illusioni per credere alla buona riuscita? No. evidentemente. Dire che ciò era il loro pensiero significa non conoscerli affatto o, se li si co­nosce, significa calunniarli. I fatti di Kazan, di Benevento, di Berna sono atti di propaganda, semplicemente.»

Kropotkin desidera sempre essere in prima fila nella lotta; quando domanda nuovamente consiglio a Guillau­me, dicendogli di voler partire per la Spagna dove la rivo­luzione sembra prossima, Guillaume ancora una volta gli risponde negativamente: «In Spagna non sareste utile che per battervi e i nostri compagni spagnoli non hanno biso­gno di un fucile in più!». (|4) L’entusiasmo che aveva con­vinto Kropotkin a raggiungere la Svizzera declina paralle­lamente al declino della vita delle sezioni giurassiane; quando sarà delegato al congresso del 1877 dovrà abban­donare immediatamente il Belgio per timore di essere ri­conosciuto con il suo pseudonimo, ritornerà in Inghilter­ra, senza nostalgia. Poco dopo ritornerà a Ginevra, dove fonderà un nuovo giornale, Le Révolté, nel febbraio 1879. (15)

L’ultimo congresso dell’Internazionale si svolge a Ver- viers nel settembre 1877. Nessun delegato ci pensa, nep­pure i Giurassiani. Essi avevano tenuto il loro congresso annuale in agosto a St. Imier, e era stato un bel successo: 21 sezioni rappresentate su 29, la musica municipale per animare il corteo e la lotteria, un pubblico numeroso e re­cettivo, la bandiera rossa ben alta: era stato dichiarato che l’affronto subito a Berna sarebbe stato lavato. Ma tra leG 3) ?\|e| dicembre 1876, dei manifestanti con la bandiera rossa avevano

tenuto un comizio rivoluzionario davanti alla chiesa della Madon­na di Kazan a Pietroburgo; alcuni riuscirono a fuggire, ma una ven­tina di persone furono condannate pesantemente.

r i4) Guillaume a Kropotkin, 3 giugno 1877; Archivi Guillaume.(15) Kropotkin fu espulso dalla Svizzera nel 1881 (nota degli editori).

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sezioni molte sono nuove e si orientano diversamente dalle vecchie, quelle del distretto di Courtelary e quelle del Canton Neuchâtel. Si tratta di una evoluzione in due direzioni radicalmente divergenti, che si produce in quasi tutte le federazioni deH'lnternazionaie anti-autoritaria: da una parte il ritorno a forme sindacali, che raggiungono a volte il compromesso con il parlamentarismo e con la le­gislazione operaia, dall’altra una tendenza decisamente anarchica, intransigente, che può raggiungere il terrori­smo.

Questa evoluzione era latente dopo il congresso dell’A­ia; ma alcuni che furono i portavoce deH’lntemazionale, volevano ignorarlo e conservare alla grande Associazione il suo carattere universale, la sua qualità di organizzazio­ne della classe operaia nel suo insieme, anche se le situa­zioni e i mezzi di lotta erano disparati. Cosi, alla lettura dei ricordi di Guillaume, si spiega male il brusco declino: egli dà delle ragioni, la crisi orologiera, gli imprigiona­menti dell’autunno 1877, la fatica dei militanti più devo­ti, la propria partenza nella primavera del 1878. Queste ragioni rimangono comunque insufficienti per spiegare come il declino della Federazione del Giura abbia dissol­to l’unità intemazionale.

A Verviers, i paesi rappresentati sono numerosi: ma quali sono i delegati militanti della prima ora e sempre fe­deli? Guillaume, e forse gli Spagnoli che rappresentano un movimento vivace. Costa ha aderito all’Intemazionale nel 1871 e si è gettato completamente nell’azione e nella propaganda anarchiche, come poco dopo si getterà nella social-democrazia; Brousse e Montéis, i due delegati della Federazione francese recentemente costituita, entrambi rifugiati in Svizzera, sono due fratelli nemici, il primo ri­belle e focoso, il secondo più sistematico nella riflessione e nella propaganda. Gli altri delegati venuti dalla Svizze­ra sono i Germanici Werner e Rinke, più legati al movi­mento anarchico che all’Internazionale del 1864 o del

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1872; Kropotkin infine rappresenta dei gruppi russi so­cialisti che non hanno aderito all’AIL.

Quanto alle sezioni rappresentate indirettamente, la Grecia, Alessandria, Montevideo, hanno dato mandato di fiducia a delegati già presenti e non li si conosce che per corrispondenza irregolare; la loro entrata nell’Internazio- nale significa per loro un legame con gli operai organizza­ti di Europa più che un riconoscimento o un’adesione ai principi e alla pratica.

Gli internazionalisti di Verviers che accolgono il con­gresso sono senza dubbio dei fedeli compagni di strada: ma la Federazione belga ha conosciuto delle scissioni (De Paepe non è venuto al congresso generale poiché si pre­para al congresso socialista che avrà luogo i giorni se­guenti), la tentazione elettorale è grande, le tensioni parti- giane non permettono alle sezioni di svilupparsi armo­niosamente.

Le discussioni del Congresso di Verviers sono mal co­nosciute, in mancanza di un verbale ufficiale. La discus­sione non progredisce in paragone a quanto si era dichia­rato a Berna; le relazioni tra l’Ufficio federale internazio­nale e gli uffici regionali non sono sempre state regolari, alcune spese sono rimaste in sospeso, la statistica sempre inesistente; per rimediarvi si cerca unicamente di richia­mare le federazioni alla responsabilità e alla coscienza. Era stata creata a Berna una cassa speciale di propaganda e le federazioni sono libere di versarvi le quote che desi­derano: nello stato attuale dell’Internazionale si può im­maginare che il progetto della cassa rimarrà sulla carta.

La discussione teorica porta sulle questioni del congres­so di Gand, dove tutte le tendenze del movimento operaio sono invitate a concepire un patto di solidarietà: questio­ni della proprietà, delle relazioni con i partiti politici, dell’organizzazione dei gruppi di mestiere. Il congresso dell’Internazionale prende molto seriamente questo invi­to; sarà una delusione per i suoi delegati trovarsi a Gand

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di fronte solamente a numerosi Fiamminghi, ad alcuni Germanici, Francesi, Inglesi che sono in maggioranza poco rappresentativi di organizzazioni operaie. Il Con­gresso si trova immediatamente diviso in due fazioni: gli internazionalisti difendono la proprietà collettiva, l’aboli­zione del potere politico, la lotta sul terreno economico; gli altri, socialisti riformisti o marxisti, la nazionalizza­zione del suolo e dei mezzi di produzione, la costituzione dei partiti operai, la partecipazione ai Parlamenti. Queste divergenze sono soprattutto tattiche: entrambi i gruppi socialisti sono d’accordo sull’abolizione della proprietà individuale, l’autonomia della classe operaia al di fuori di qualsiasi alleanza con la borghesia, la necessità della soli­darietà, l’insufficienza del riformismo. Ma l’azione comu­ne non è possibile; e il patto di solidarietà previsto sarà firmato unicamente dai delegati non membri dell’Interna­zionale. E’ un patto di principio, che non avrà nessuna esistenza reale; prefigura forse la costituzione dell’Inter­nazionale socialista, la «Seconda Intemazionale».

Non si poteva effettivamente fondare una nuova Inter­nazionale; l’AIL sopravviveva e i gruppi che se ne erano allontanati dal 1873 non avevano ancora trovato una li­nea specifica. Marx e Engels ne erano coscienti quando dicevano che era venuto il momento dello sviluppo dei partiti nazionali al fine di costituire una base solida per una nuova organizzazione internazionale. Non siamo af­fatto sicuri che questa fase di ripiegamento sia stata indi­spensabile; ma comunque è vero che per una decina di anni gli incontri intemazionali saranno ridotti allo stretto necessario.

Guillaume non era nella situazione migliore nel rim­proverare agli altri delegati a Gand per la loro mancanza di rappresentatività; dei sette internazionalisti venuti dal­la Svizzera, solo due sarebbero rientrati, gli altri avrebbe­ro continuato la loro strada verso nuovi orizzonti. Se un delegato non ritorna dai suoi mandanti per fare il ra’ppor-

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to, significa che o fa male il suo dovere o che è stato eletto in fretta e furia e quindi il suo mandato non vale nulla. Solo Guillaume, sempre meticoloso, redige un numero speciale del Bulletin con un rendiconto dei due congressi.

Questi lavori avranno poca eco, poiché la maggioranza dei membri attivi della Federazione del Giura entrano in prigione per alcune settimane, in questo autunno 1877; la disoccupazione persiste, l’Intemazionale stagna e le con­danne Saranno il colpo di grazia. Le risorse si esauriscono, e anche il coraggio dei militanti; Guillaume è il primo e viene attirato da Parigi, dove potrà meglio sfruttare le sue qualità intellettuali e dove il movimento socialista gli sembra più prestigioso; le divergenze con i partigiani del­l’insurrezione e della propaganda del fatto hanno pure contribuito a fargli prendere questa decisione definitiva. Lascia Neuchâtel nel maggio 1878; il Bulletin aveva pub­blicato il suo ultimo numero alla fine di marzo, un nuovo comitato federale era stato eletto a St. Imier e L'Avant- Garde, divenendo pubblico, sostituiva il Bulletin. Ma tut­to ciò era unicamente un sopravvivere.

Non che mancasse l’ostinazione: continuamente si for­mulavano programmi, si cercava di condurre gli scioperi al di là delle rivendicazioni salariali, si sostenevano i compagni vittime della repressione governativa o profes­sionale. Ma i gruppi si trasformavano da sé: il movimento esistito fino ad allora, con le sezioni di mestiere e la sua importanza locale, si sparpagliava e non poteva più far fronte alla situazione; i gruppi propriamente anarchici, d’agitazione e di propaganda, sopravvivono e si rafforza­no nelle loro convinzioni, se non nel numero. 1 congressi si riducono a incontri di militanti, che riescono tuttavia ad attirare un pubblico numeroso alle loro serate; è sinto­matico comunque il fatto che si parli maggiormente di ri­voluzione e meno dei mezzi per pervenirci a partire da una determinata situazione politico-economica. Le sezio­ni composte da operai svizzeri non esistono quasi più e i congressi della Federazione del Giura sono dei piccoli

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congressi intemazionali, con Russi, Francesi, Italiani; gli oratori parlano in termini generali, senza concernere par­ticolarmente la Svizzera e in modo troppo teorico per sti­molare all’organizzazione. D’altronde non è tanto l’orga­nizzazione che è importante, quanto l’agitazione; per Kropotkin «gli anarchici cercano sempre più di svegliare nel popolo - per mezzo della propaganda teorica e soprat­tutto con le insurrezioni - lo spirilo, il sentimento e l'ini­ziativa popolare dal doppio punto di vista dell’esproprio violento della proprietà e della disorganizzazione dello Stato». (L ’Avant-Garde, 12 agosto 1878).

Al congresso del 1880 Schwitzguébel aveva cercato di salvare l’organizzazione operaia presentando in 32 pagine un Programme socialiste dove esponeva sistematicamen­te come pervenire alla società senza leggi e autorità. Per preoccupazioni di realismo, come Brousse e Costa nella stessa epoca, si metteva a difendere la partecipazione alle elezioni e la costituzione di un partito politico di opposi­zione, considerando l’astensione come una teoria giusta, ma inutilizzabile. Un simile compromesso con la politica tradizionale è il canto del cigno dell’anarchismo operaio nel Giura.

In quegli anni gli attentati anarchici si moltiplicano; Brousse e la redazione de L'Avant-Garde passeranno da­vanti a tribunali proprio per la loro approvazione ai ten­tativi di regicidio. Scomparso il giornale, un altro lo sosti­tuisce: Le Révolté di Ginevra riprende la propaganda e sarà uno dei più importanti giornali anarchici prima della guerra del 1914. Nel 1878 non si era tenuto il congresso internazionale, poiché «la crisi che esiste in tutti i paesi, rende incerta, in questo periodo, una frequenza numerosa ...». Nel 1881, un congresso anarchico intemazionale si riunisce a Londra per iniziativa di Kropotkin; il mandato della Federazione del Giura, con un solo delegato, è pura­mente nominale. Da allora, in Svizzera, vi saranno unica­mente riunioni di gruppi anarchici; ma ciò è un’altra sto­ria.

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CAPITOLO QUARTO

LA COSTITUZIONE DI UNA IDEOLOGIA

II patto di St. Imier del 1872, che dichiarava «La di­struzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato», resta un riferimento costante per gli anar­chici. Si può forse affermare che tutti i firmatari del patto fossero i rappresentanti di un movimento anarchico?

Bakunin, quattro anni prima, aveva abbandonato il congresso della Pace proclamando ai borghesi sbigottiti: «io sono anarchico», riprendendo l’affermazione provo­cante di Proudhon. Nel suo verbale del congresso di Basi­lea dell’AJL nel 1869, James Guillaume parla di «colletti- visti anarchici», ma non gli piacerà mai la parola anarchi­co utilizzata isolatamente, a causa del suo colore negati­vo. Nei programmi dell’Alleanza, delle sezioni o pure dei circoli più rivoluzionari, questo termine non risulta mai durante i primi anni dell’AIL. Le fondamenta dell’ideolo­gia anarchica esistono comunque: collettivismo, astensio­nismo politico, solidarietà e si precisano i suoi mezzi di propaganda. Ma tra gli anti-autoritari i partigiani dell’u­nità d’azione sono in maggioranza; occorre salvare l’In­ternazionale, collaborare con gli Inglesi e i Belgi, i sociali­sti e i riformisti che accettano il dialogo, senza maschera­re il grande scopo finale, l’emancipazione della classe

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operaia con la distruzione dello Stato e della proprietà. Al congresso di St. Imier, contro il parere degli Italiani e degli Spagnoli, il metodo prudente primeggia ancora.

Comunque, per distinguersi dai socialisti «politici», il termine di anarchici è ripreso sempre più di frequente da quelli ai quali era stato applicato per derisione.

Un movimento politico esiste dal momento in cui i suoi partigiani hanno coscienza di far parte di un insieme organizzato e in cui acquisisce una pratica propria. Quan­do e dove queste condizioni vengono soddisfatte dal mo­vimento anarchico? In primo luogo, senza dubbio, nelle società segrete («discrete», diceva) fondate da Bakunin; ma la loro natura è molto particolare e la loro esistenza soprattutto formale. Quindi i Fratelli internazionali, co­stituiti a Zurigo nel settembre 1872, avrebbero avuto il compito di infondere uno spirito di anarchia nelle file delle sezioni deH’Intemazionale anti-autoritaria: ma era­no veramente necessari questi titoli e formalismi e la vo­lontà di far progredire le idee anarchiche non era forse presente pure in coloro, come Guillaume, che assumeva­no ufficialmente un ruolo di moderati? Bakunin dovette ammetterlo, poiché abbandonò l’idea di fondare un’«In- ternazionale anarchica» e segui la tattica proposta dal suo giovane compagno.

Le insurrezioni e i tentativi comunalisti di Spagna nel 1873 sono evidentemente ispirati dagli anarchici; essi vo­gliono pure imitare esplicitamente la Comune di Parigi. L’anno seguente è in Italia che gli anarchici si fanno sen­tire, con insurrezioni mancate. Nel frattempo, al congres­so di Ginevra del 1873, si era tenuta la prima discussione generale sulla parola anarchia; per molti significava an­cora e unicamente il caos. In Svizzera ci si aggrappa al termine collettivista, per dimostrare chiaramente l’appar­tenenza al campo socialista.

Ma i conflitti, di penna o d’azione, con le altre frazioni socialiste sono sempre più palesi e la necessità dell’azione

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autónoma s’impone a poco a poco, nonostante la reticen­za di Guillaume. Quelli che desiderano una denomina­zione più radicale saranno soprattutto gli stranieri che partecipano al movimento in Svizzera; il Francese Paul Brousse e i Lionesi stabilitisi a Ginevra, Perrare, Dumar- theray, Colonna, poi l’Italiano Costa e il Russo Kropo- tkin. Nel dicembre 1876 Brousse scrive all’amico Jacques Gross, un giovane militante giurassiano:

«Il Congresso di Berna ha appena cambiato ai miei oc­chi il perno stesso della nostra azione politica. Dopo il 1873 i nostri amici socialisti pensavano che la questione del programma, soprattutto quelle dell’«anarchia» e del- l'«astenzione» erano definitivamente acquisite. E faceva­mo a Berna la conquista di elementi tedeschi. Ma ecco che il congresso di Berna ha rimesso in questione ¡’«anar­chia». Ebbene, ho l ’intenzione - fin quando resterò in Svizzera - di dare conferenze ovunque e sempre sullo stesso soggetto: «l ’Anarchia». E' l'unico mezzo per acce­lerare una direzione precisa per il congresso del 1877.» 0)

In questo periodo il movimento anarchico è indubbia­mente costituito, si dichiara tale e si pone come tale nel­l’Intemazionale. Paradossalmente, nel momento dove si precisano i concetti come quello di propaganda del fatto e di comunismo anarchico, è pure il periodo iniziale del suo declino, staccandosi dalla lotta operaia per condurre azioni isolate. Prima esistevano certamente degli anarchi­ci e un’idea dell’anarchia non unicamente negativa. E’ in­teressante costatare che il termine generico di anarchismo non era usuale, ciò dimostra che gli «anarchici» non si consideravano aderenti a un preciso sistema. Non si può dunque, come sostengono alcuni, parlare di campo anar­chico e di campo socialista nell’Internazionale romanda del 1870: è in ogni caso prematuro se non inadeguato.

Queste considerazioni non vogliono unicamente mette-

0 ) Fonds Gross. Amsterdam, Istituto internazionale di storia sociale.

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re in guardia contro le denominazioni anacronistiche: vo­gliono soprattutto sottolineare come gli «anarchici» del- l’AIL si consideravano prima di tutto come una tendenza del socialismo. Utilizzeranno differenti sfumature in se­guito, comunisti anarchici, socialisti libertari per esem­pio. E comunque proprio la qualità di socialista sarebbe stata contestata dai partiti membri della «Seconda Inter­nazionale», poiché essi rifiutavano la politica parlamen­tare..

*

* *

La vita della Federazione del Giura è contemporanea a un periodo di transizione dell’industria orologiera svizze­ra. Si producono trasformazioni economiche profonde in tutti i paesi industrializzati e il movimento operaio vive quasi ovunque questo periodo di transizione, con alcuni anni di differenza, che gli dà le sue prime istituzioni, che conduce alla costituzione dei partiti socialisti e dei sinda­cati riconosciuti. La contemporaneità è rigorosa: in In­ghilterra l’industrializzazione è più precoce, e le trade- unions saranno le prime a essere costituite, riconosciute e infine integrate nel sistema economico e politico. Ma la formazione di organizzazioni operaie specifiche dovrà passare in tutti i paesi con lunghi sbandamenti.

In Svizzera, nella regione giurassiana in particolare, esiste verso il 1860 una pluralità di organizzazioni opera­ie, di sostegno e di difesa, che - nella maggioranza - non rimettono in questione il sistema sociale; le società filan­tropiche, di mutuo soccorso, le associazioni religiose, le sezioni del Griitli, sono numerose in tutte le borgate in­dustriali. Ma sono organizzazioni spezzettate, senza un carattere di classe. Tra il 1865 e il 1880 verranno create organizzazioni più specifiche, dapprima con le sezioni dell’Internazionale, con i tentativi di fondare un partito

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social-democratico a Zurigo (già nel 1867) e a Basilea, poi l’Unione operaia del 1873. Ma queste organizzazioni era­no generalmente limitate a un gruppo linguistico, a una regione, perfino ad una città. Nel decennio seguente si creano definitivamente le due organizzazioni che esistono ancora al giorno d’oggi: l’Unione sindacale svizzera nel 1880 e il Partito socialista svizzero nel 1888. Deboli all’o­rigine - l’una riunisce alcuni sindacati e alcune sezioni professionali, l’altra si basa su piccole cellule nelle città principali - erano delle forme adeguate tanto alla situa­zione economica e politica, quanto alla coscienza opera­ia.

In questo periodo si constatano pure delle trasforma­zioni definitive nell’industria, in particolare nell'industria orologiera. Sappiamo l’importanza che aveva, verso la metà del secolo, il lavoro a domicilio e nei piccoli labora­tori cooperativi. Le crisi successive dovute in particolare alla concorrenza americana esigono una modernizzazione delle forme di produzione; ritornando dall’esposizione universale di Filadelfia, nel 1876, i padroni orologiai svi­luppano la produzione in fabbrica e la concentrazione in­dustriale, limitando il lavoro a domicilio ad alcune opera­zioni isolate. Da allora il numero degli operai di fabbrica crescerà a detrimento dei lavoratori a domicilio e la con­dizione operaia sarà evidentemente trasformata in modo radicale.

Marx vede nello sviluppo delle forze produttive e nella concentrazione economica una tappa necessaria per la costituzione della coscienza operaia e dunque di una or­ganizzazione specifica; come vede nel rafforzamento del­lo Stato una condizione preliminare indispensabile per il suo deperimento. Gli anarchici rifiutano questa teoria dello Stato, poiché per essi non può esistere differenza qualitativa, ogni Stato tende a perpetuarsi; pure hanno ri­fiutato la grande industria, poiché detestano il lavoro par­cellizzato, regolamentato, le costrizioni dell’officina; ten­

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gono a qualunque costo alla loro indipendenza e a un la­voro autonomo dove possono esprimere le qualità perso­nali, dove la perfezione può essere ricercata. Avrebbero dovuto sacrificarsi, entrare nelle fabbriche per costituire una massa di proletari e attendere che i loro figli cominci­no la rivoluzione? Preferiscono vivere quotidianamente in armonia con loro stessi, secondo l’immagine che si fan­no della società futura. Socialisti, restano individualisti e non vogliono tagliarsi le ali; ritroviamo attraverso tutto il movimento, questa preferenza per i mestieri artigianali, indipendenti, senza separazioni tra lavoro intellettuale e manuale; anche oggi gli anarchici sono calzolai, tipografi, correttori di bozze. Non affermiamo troppo frettolosa­mente che l’ideologia nasce dalla loro situazione profes­sionale: è piuttosto un medesimo spirito di rivolta che fa loro rifiutare le costrizioni della fabbrica e adottare o reinventare le tesi libertarie.

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E L E M E N T I B IB L IO G R A F IC I

1. LE FONTIArchivi della Federazione del Giura, Fonds Nettlau, Amster­

dam, Istituto intemazionale di storia sociale.Archivi James Guillaume, Neuchâtel, Archivi di Stato.BAKOUNINE Michel: Oeuvres; 6 volumi, Parigi 1895-1910.GUILLAUME James: L 'Internationale, documents et souvenirs;

4 volumi, Parigi 1905-1910 (Reprints: Editions Grouna- uer, Ginevra 1980).

MÉMOIRE présente par la Fédération jurassienne a toutes les fédérations de ¡’Internationale; Ginevra 1980).

MINUTES ofthe General Council ofthe I. W.M.A., 1864-1872, 4 volumi, Mosca.

La Première Internationale, recueil de documents, pubblicati da J. Freymond; 4 volumi, Ginevra 1962-1971.

SCHWITZGUEBEL Adhémar: Quelques écrits; Parigi 1908.

2. I GIORNALIL ’Egalité, journal de l’Association internationale des travail­

leurs de la Suisse romande; Ginevra, 1868-1872.Le Progrès; Le Lode, 1868-1870.La Solidarité; Neuchâtel poi Ginevra, 1870-1871.La Révolution sociale; Ginevra, 1871-1872.Bulletin de la Fédération jurassienne; Sonvilier ecc., 1872-1878.L ’Avant-Garde, organe collectiviste et anarchiste; La Chaux-de-

Fonds, 1877-1878.Le Révolté, organe socialiste-anarchiste; Ginevra, 1879-1885.

3. ALCUNI STUDIBIGLER Rolf: Der libertäre Sozialismus in der West-Schweiz;

Colonia 1963.BRUPBACHER Fritz: Marx und Bakunin, ein Beitrag zur Ge­

schichte der I.A.A.; Monaco 1922.NETTLAU Max: Michel Bakunin, eine Biographie; Londra

1896-1898.THOMANN Charles: Le mouvement anarchiste dans les Mon­

tagnes neuchâteloises et le Jura bernois; La Chaux-de- Fonds 1947.

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L'autrice con il libro che qui presentiamo risponde a due esigenze, molto sentite anche dal pubblico e dagli studiosi italiani: quella di avere a disposizio­ne un agevole compendio dell'esperienza giuras- siana, collegata alle vicende di tutta l'Internazio­nale anti-autoritaria e quella di approfondire la ri­cerca sulle idefe e il programma dei giurassiani, il loro originale apporto al pensiero libertario.... Per la storia delle idee invece mi sembra che tre punti siano da porre in evidenza: la rivalutazione del sociale in rapporto al politico, soprattutto in contrasto con le correnti della democrazia radicale svizzera; il costante riferimento al movimento dei lavoratori e alla condizione operaia quali basi na­turali dell'anarchismo; il principio di autonomia in­teso nel senso dell'indipendenza del movimento operaio organizzato dai partiti, dai parlamenti, dai governi, con tutte le sue potenzialità creative e la capacità di auto-educazione che gli viene dalla lot­ta di classe. Sono idee, come ho già detto, che fa­ranno strada ma che prendono l'avvio in questo clima e in questo ambiente.

Pier Carlo Masini

Marianne Enckell, 36 anni, so­ciologa e storica, è responsabi­le della biblioteca del Centro internazionale di ricerche sul­l'anarchismo (CIRA) di Gine­vra e delle «Editions Noir». Ha collaborato a diverse opere sulla Prima Internazionale, su Bakunin e alla stampa anarchi­ca internazionale.

Copertina di Lario Castellani