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65 CAPITOLO VIII MARCO MATTA IL PILOTA DELLA PACE È sembrato doveroso dedicare una parte del nostro lavoro al ricordo del Sergente Maggiore pilota Mar- co Matta, cittadino sanganese, che trovò la morte nei cieli dell’ estre- mo nord della Croazia il 7 gennaio del 1992, nei pressi del confine con Slovenia ed Ungheria, impegnato a svolgere missioni per il controllo del cessate il fuoco per conto dell'European Community Monitor Mission (ECMM), nel contesto della guerra civile, iniziata nel 1991, tra gli stati della ex- Jugoslavia. Per comprendere a fondo il sacrifi- cio della sua vita, ancora una volta per la Libertà e il riconoscimento dei diritti di un popolo, e il senso di quella tragedia, non si può prescindere dalla conoscenza delle vicende jugoslave e delle cause della guerra civile scoppiata appunto nei primi mesi del 1989. A questo scopo, si è ritenuto opportuno approfondire con gli allievi gli eventi e le remote cause storiche che hanno portato al conflitto. 8.1 I BALCANI: una lunga scia di sangue Le guerre jugoslave hanno coinvolto diversi territori appartenenti alla Repubblica So- cialista Federale di Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, causandone la dissoluzione. Diverse sono le motivazioni che stanno alla base di questi conflitti: sicuramente la più importan- te è il nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche a cavallo fra la fine degli anni Marco Matta prima di un volo Marco Matta prima di un volo Marco Matta prima di un volo Marco Matta prima di un volo

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CAPITOLO VIII

MARCO MATTA

IL PILOTA DELLA PACE

È sembrato doveroso dedicare una

parte del nostro lavoro al ricordo

del Sergente Maggiore pilota Mar-

co Matta, cittadino sanganese, che

trovò la morte nei cieli dell’ estre-

mo nord della Croazia il 7 gennaio

del 1992, nei pressi del confine con

Slovenia ed Ungheria, impegnato a

svolgere missioni per il controllo

del cessate il fuoco per conto

dell'European Community Monitor

Mission (ECMM), nel contesto della

guerra civile, iniziata nel 1991, tra

gli stati della ex- Jugoslavia.

Per comprendere a fondo il sacrifi-

cio della sua vita, ancora una volta

per la Libertà e il riconoscimento

dei diritti di un popolo, e il senso di

quella tragedia, non si può prescindere dalla conoscenza delle vicende jugoslave

e delle cause della guerra civile scoppiata appunto nei primi mesi del 1989.

A questo scopo, si è ritenuto opportuno approfondire con gli allievi gli eventi e le

remote cause storiche che hanno portato al conflitto.

8.1 I BALCANI: una lunga scia di sangue

Le guerre jugoslave hanno coinvolto diversi territori appartenenti alla Repubblica So-

cialista Federale di Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, causandone la dissoluzione. Diverse

sono le motivazioni che stanno alla base di questi conflitti: sicuramente la più importan-

te è il nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche a cavallo fra la fine degli anni

Marco Matta prima di un voloMarco Matta prima di un voloMarco Matta prima di un voloMarco Matta prima di un volo

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Ottanta e l'inizio degli anni No-

vanta (in particolare in Serbia,

Croazia e Kosovo, ma in misura

minore anche in Slovenia e nelle

altre regioni della Federazione).

Tuttavia anche motivazioni diver-

se non vanno dimenticate: eco-

nomiche, interessi e ambizioni

personali dei leader politici coin-

volti e i latenti contrasti delle po-

polazioni specie tra quelle delle

aree urbane e quelle delle aree rurali e montane. Ma le ragioni di questi conflitti hanno

origini molto lontane nel tempo. Quando le legioni romane cominciarono a conquistare

la zona dei Balcani centrali, incontrarono popoli che parlavano una serie di dialetti

(l’attuale albanese); questa zona, chiamata Dardania, comprendeva l’odierno Kosovo,

parte della Serbia, Albania e Macedonia: i Romani non fecero fatica a sottomettere que-

sti popoli.

I Serbi arrivarono più tardi dalla Lusazia e si stanziarono, con l’approvazione

dell’Impero, a nord della regione kosovara. Impiegarono cinquecento anni per assicurar-

si il pieno dominio di quella zona, espandendosi sempre più a sud, scontrandosi con i

popoli già presenti.

Lo Stato serbo fu proclamato nel XII secolo e durò sino a metà del Quattrocento, poi

cadde nel sangue davanti all’avanzata ottomana che nella metà del 1400 completò la

conquista.

I Turchi dispensavano privilegi sulla base di religione, etnia e lingua; gli Albanesi e gli

altri gruppi che optarono per l’Islam si assicurarono un trattamento migliore rispetto ai

Serbi cristiano-ortodossi che furono sottomessi per oltre quattro secoli. Inoltre furono

affidate alle minoranze la sicurezza e l’esercito, perché gli altri avrebbero potuto dimo-

strarsi inaffidabili.

Con lo sgretolarsi dell’Impero Ottomano, si risollevarono le rivendicazioni indipendenti-

ste degli slavi: dal XII secolo in poi la storia aveva regalato loro soltanto disastri e voglia

di rivalsa contro i popoli albanesi.

In seguito all’indipendenza della Serbia (1878) migliaia di profughi albanesi si riunirono

nel Kosovo. Furono anni drammatici di vendette e di pulizia etnica tentata dai turchi ai

danni dei serbi. Quando nel 1912 crollò l’impero turco questa zona fu conquistata dai

militari slavi e decine di migliaia di musulmani fuggirono verso sud.

La Jugoslavia era una Repubblica Socialista Federativa comprendente 6 repubbliche, cia-

scuna con un proprio governo e presidente e 2 regioni autonome: Serbia (cap. Belgra-

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do), Croazia (cap. Zagabria), Slovenia (cap. Lubiana), Bosnia-Erzegovina (cap. Saraje-

vo), Macedonia (cap. Skopje) e Montenegro (cap. Titograd): Vojvodina (cap. Novisad) e

Kosovo (cap. Pristina), i territori autonomi.

La capitale Federale era Belgrado, ora capitale solo della Serbia e del Montenegro.

Nel 1915 l’Austria-Ungheria e la Bulgaria conquistarono il Kosovo, accolti dagli albanesi

come liberatori. Ma nel 1918 i serbi ripresero il controllo sullo Stato e dodicimila kosova-

ri furono massacratI.

Infatti, col crollo degli imperi centrali, alla fine della I Guerra mondiale, si era costituto,

sempre nel 1918, un'unione tra Serbia, Montenegro e gli altri territori già appartenenti

all'Austria (Slovenia, Macedonia, Croazia, Dalmazia e Bosnia-Erzegovina). Nel 1927, es-

sa si trasformò in una Monarchia Costituzionale ereditaria, con il re Alessandro I Kara-

georgevic. Nel 1940-41, durante la II guerra mondiale, le truppe italo-tedesche occupa-

rono il Paese e ne spartirono il territorio. Iniziò allora la resistenza partigiana, guidata

dai comunisti di Tito i quali, al termine della guerra e con il favore dell'URSS, costituiro-

no una repubblica federativa comprendente le 6 repubbliche autonome.

Tornata la pace, una pace relativa, la sinistra e gli slavi ripresero il controllo del Kosovo

che, conservata la maggioranza albanese ottenne un regime di autonomia nella federa-

zione jugoslava.

Nel 1948 furono troncati i rapporti con l'URSS: s'iniziò la costruzione di un comunismo

autonomo e il maresciallo Tito, presidente della Federazione e segretario del partito uni-

co, mantenne la Jugoslavia neutrale tra i blocchi politici allora contrapposti USA- URSS:

seppe garantire l’unità dello stato grazie ad una politica di equilibrio tra le diverse com-

ponenti della Federazione, formata da differenti etnie, religioni e nazionalità.

Nel 1975 Italia e Jugoslavia firmarono il Trattato di Osimo per la definitiva sistemazione

del confine.

Alla morte di Tito, nel 1980, il nazionalismo trovò però il modo di riaffermarsi. Il panser-

bismo, movimento nazionalista aspirante all’unità del popolo serbo, generò nel Kosovo

l’ennesimo giro di pulizia etnica ai danni dei kosovari.

La Jugoslavia, in preda ad una preoccupante recessione economica, iniziò un profondo

processo di disgregazione, che infine sfociò in una guerra sanguinosa e il governo del

post-comunista serbo Milosevic cancellò ogni prospettiva di autonomia e ogni ambizione

politica dei kosovari.

8.2 La disgregazione della Jugoslavia: la guerra degli anni Novanta Le diverse Repubbliche accusavano la Serbia di occupare una posizione di predominio e

il primo segnale della fine venne dal Kosovo, abitato al 90% da una minoranza albane-

se: il 27 febbraio del 1989 i minatori del Kosovo proclamarono uno sciopero e il governo

federale di Belgrado fu costretto ad intervenire.

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L'articolato meccanismo costituzionale, istituito per assicurare la convivenza e l'equili-

brio tra le diverse etnie delle repubbliche federate, cominciò ad incrinarsi, nel 1990, con

lo scioglimento della Lega dei comunisti, che era stata un elemento unificante.

La disgregazione della Repubblica Federativa fu sancita nel 1990 dai referendum popola-

ri in Slovenia e Croazia, che si dissociarono completamente dalla Federazione il 27 giu-

gno 1991, proclamandosi indipendenti.

L’esercito federale fu mandato a presidiare i posti di frontiera della Slovenia con l’Italia,

l’Austria e l’Ungheria ed ebbe inizio una vera e propria occupazione militare.

A Bruxelles, la CEE (Comunità Economica Europea) decise di avviare una trattativa di-

plomatica per la soluzione della questione jugoslava e i vari ministri chiesero e ottenne-

ro una temporanea sospensione delle dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croa-

zia, sia un “cessate-il-fuoco”.

Il 18 luglio l’esercito federale si ritirò dal territorio sloveno, ma iniziarono immediata-

mente gli scontri armati con la confinante Croazia per il controllo del territorio. Il conflit-

to fu particolarmente violento a causa anche della tradizionale rivalità tra Serbi e Croati

e dal fatto che in Croazia risiedeva una importante minoranza serba che aspirava a ri-

manere unita alla madrepatria.

Iniziarono i pesanti bombardamenti della città di Vukovar e del porto di Dubrovnik.

La CEE, il 27 agosto, chiese un ennesimo “cessate-il-fuoco”, indisse una conferenza di

pace e iniziò le trattative per il ritiro dell’esercito federale dai territori occupati.

L’8 settembre 1991 anche la Macedonia si dichiarò indipendente e il 15 gennaio del

1992, la CEE riconosce ufficialmente l’indipendenza di Slovenia e Croazia e la formazio-

ne di una nuova Repubblica Federale di Jugoslavia, costituita soltanto da Serbia e Mon-

tenegro, comprese le regioni di Vojvodina e Kosovo.

Nel frattempo la guerra era scoppiata anche tra Serbia e Bosnia-Erzegovina che aveva

scelto, anch’essa, la via dell'indipendenza. Questo conflitto fu molto violento poiché il

presidente comunista serbo Slobodan Milosevic sottopose la Bosnia a terribili opera-

zioni di “pulizia etnica” con deportazioni e stragi senza precedenti: Sarajevo fu sottopo-

sta a un lungo assedio e a pesanti bombardamenti che coinvolsero gravemente anche la

popolazione civile.

Nel luglio 1995 furono uccisi 7500-8000 bosniaci maschi, in gran parte civili, nella zona

di Srebrenica (Bosnia orientale, ora parte della Repubblica Serba). Il massacro fu ordi-

nato dall'Esercito della Repubblica Serba, agli ordini del generale Ratko Mladić.

La zona di Srebrenica era stata dichiarata zona protetta dalle Nazioni Unite (Risoluzione

819 dell'aprile 1993) e costituiva un'enclave in territorio serbo-bosniaco abitata da Bo-

sniaci musulmani e protetta dalle forze militari dell'ONU.

L'Esercito serbo-bosniaco violò gli accordi entrando una prima volta nell'enclave nel giu-

gno del 1995. Constatando l'assenza di alcun intervento di difesa da parte dell'ONU, il

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presidente serbo-bosniaco Radovan Karadžić autorizzò all'esercito la presa della città il 9

luglio 1995. Le numericamente insufficienti truppe dell'ONU (tre compagnie olandesi)

non intervennero a favore della popolazione civile e il generale Karremans si limitò a

chiedere un intervento urgente delle forze aeree della NATO per bloccare i Serbo-

bosniaci. La città cadde l'11 luglio e l'intera popolazione venne evacuata nei pressi del

sobborgo industriale di Potočari. Qui venne divisa in due gruppi, donne e bambini (che

raggiunsero con dei pullman Tuzla) e uomini, in gran parte uccisi, a volte alla presenza

degli stessi caschi blu olandesi.

Il massacro provocò un enorme reazione nell'opinione politica internazionale, segnando

l'inizio della fine della guerra in Bosnia.

8.3 La fine del conflitto

A Dayton, in Ohio, tra il 1 e il 26 novembre 1995, si firmò la fine della guerra. Ai collo-

qui di pace parteciparono tutti i più importanti rappresentanti politici della regione: Slo-

bodan Milošević, presidente della Serbia e rappresentante degli interessi dei Serbo-

bosniaci (Karadžić era assente), il presidente della Croazia Tuđman e il presidente della

Bosnia Erzegovina, Izetbegović, accompagnato dal ministro degli esteri bosniaco Muha-

med "Mo" Sacirbey. La conferenza fu guidata dal mediatore americano Richard Holbroo-

ke, assieme all'inviato speciale dell'Unione Europea Carl Bildt e al viceministro degli e-

steri della Federazione Russa Ivanov. L'accordo (formalizzato a Parigi, 14 dicembre

1995) stabiliva l'inviolabilità delle frontiere, uguali ai confini fra le repubbliche federate

della RSFJ, e prevedeva la creazione di due entità interne allo stato di Bosnia Erzegovi-

na: la Federazione Croato-Musulmana (51% del territorio nazionale) e la Repubblica

Serba (RS, 49% del territorio, entrambe dotate di poteri autonomi in vasti settori, ma

inserite in una contesto statale unitario.

8.4 17 Febbraio 2008: Kossovo, addio a Belgrado

Nel 1999 il Kosovo diviene un protettorato ONU. A Pristina si insedia un governo e un

parlamento provvisori. Il Paese da sempre strettamente legato a Belgrado, con l’ex mili-

ziano Tachi, eletto presidente alle elezioni del 2007, inizia la marcia verso

l’indipendenza.

Lo Stato del Kosovo, il secondo a maggioranza musulmana in Europa, nasce il 17 feb-

braio 2008.

Il voto è stato di 109 deputati a favore su 120, ed è stato anche stipulato un documento

teso a tranquillizzare le capitali mondiali. Dentro l’aula di Pristina tutto si è svolto con

calma, e anche per le strade la felicità è stata contenuta tranne a Kosovoska Mitrovika

dove è esplosa una granata davanti alla sede dell’ONU.

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Il massimo tasso di gradimento è stato raggiunto dall’Albania, l’unica a usare toni trion-

falistici, mentre il presidente della Serbia, Boris Tadic, ha annunciato che non riconosce-

rà mai l’indipendenza del Kosovo.

Il grande protettorato della Serbia, la Russia, ha fatto capire che Pristina non otterrà

mai un seggio alle Nazioni Unite, e ha chiesto che la missione ONU in Kosovo dichiari

nulla la proclamazione d’indipendenza.

L’Unione Europea, compresa l’Italia, ha preso atto della situazione, e il rappresentante

per la politica estera dell’Unione ha espresso fiducia nei confronti della leadership del

nuovo Stato. Il segretario generale della NATO ha avvertito che i 17000 soldati della

kfor interverranno contro ogni violenza.

Il presidente americano George W. Bush ha rinnovato il suo sostegno, aggiungendo che

è nell’interesse della Serbia allearsi all’Europa. Concordano con lui anche il candidato

democratico Baraci Obama e Hillary Clinton, i due candidati alla Casa Bianca alle prossi-

me elezioni presidenziali.

A Belgrado non sono d’accordo. Migliaia di nazionalisti serbi hanno accolto la notizia

dell’indipendenza con una sassaiola contro l’ambasciata USA.

Il Kosovo non ha ancora una costituzione e non è stata ancora concordata l’esatta defi-

nizione delle frontiere con la Macedonia, ma per le strade giovani padri di famiglia sono

convinti che davvero per il Kosovo questa indipendenza porterà progresso.

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8.5 Marco Matta

Marco nasce ad Avigliana il 7/1/1964; vive a Sangano con i genitori e i fratelli

minori Massimo e Marzio, dove frequenta il ciclo dell’istruzione obbligatoria.

Dal 1978 al 1983 frequenta il liceo scientifi-

co all’ Istituto Superiore “Blaise Pascal” di

Giaveno; dopo la maturità, si iscrive alla fa-

coltà di Farmacia a Torino, ma dopo un bre-

ve periodo di frequenza preferisce assecon-

dare la sua grande passione per il volo.

Il 10/1/1984 si arruola volontario presso la

S.A.S., Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo;

si trasferisce poi al C.A.L.E., Centro Aviazio-

ne Leggera Esercito di Viterbo ed è ammes-

so al 55° Corso All. Sottuff. Pilota di Elicottero.

Il 10 /1/1985 viene nominato Sergente.

L’11/3/1985 viene ammesso a frequentare il 224° Cor-

so Piloti di Elicotteri presso l’ A.M. di Frosinone.

Il 7/8/1985 consegue il Brevetto di Pilota Osservatore

di Elicotteri e rientra a Viterbo.

L’anno successivo, il 22/8/1986 fu trasferito al 5° ALE

“RIGEL” dell’’aerobase di Casarsa della Delizia, cittadi-

na nei pressi di Udine, nel 55°Gruppo Dragone di eli-

cotteristi italiani che, in tem-

po di pace, avevano anche compiti umanitari, di pro-

tezione civile in caso di calamità naturali e di soccor-

so a persone disperse. Marco aveva partecipato a nu-

merose azioni di salvataggio di persone, aveva effet-

tuato un importante trasporto notturno d’organi uma-

ni destinati al trapianto ed era intervenuto per soc-

correre le vittime della Valtellina durante l’alluvione

del 1987, distinguendosi per impegno e dedizione

tanto che gli era stata conferita la medaglia comme-

morativa di cui era molto fiero.

Nel 1988 è nominato Sergente Maggiore.

Marco studente al “Pascal” con la sua classe

Marco in gita a Roma

Consegna del brevetto

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L’1/10/1991 Marco entrò a far parte

del contingente disarmato di pace

(European Comunità Monitor Mission,

E.C.M.M.) che la Comunità Europea

aveva istituito per osservare, monito-

rare e controllare il rispetto dei fragili

accordi tra le parti in guerra ed in par-

ticolare tra la Serbia e la Croazia.

Marco era proprio uno dei 330 Monitor

CEE europei, in divisa bianca e disar-

mati, inviati nella ex-Jugoslavia con il ruolo di osservatori imparziali degli svi-

luppi politici e della sicurezza nelle zone di loro responsabilità con particolare

attenzione alle zone di confine e alle problematiche etniche.

Marco, pur consapevole dei pericoli, credeva nella validità della missione la qua-

le sembrava proprio concretizzare il suo sogno: ” Volare… operando la pace ”

Il 7/1/1992, durante il rientro da una missione a Belgrado, il suo elicottero vie-

ne proditoriamente abbattuto da un missile aria-aria lanciato da un aereo serbo,

a pochi chilometri dall’arrivo a Zagabria. Rimane ucciso con tutti gli altri compo-

nenti l’equipaggio.

Era il giorno del suo 28° compleanno.

8.6 La missione

L’Europa, che da tempo seguiva con attenzione il dramma dei Balcani, decide,

all’inizio dell’estate 1991, di inviare in Yugoslavia sotto l’egida della CEE dei pro-

pri rappresentanti, con il compito di monitorare il ritiro delle truppe federali dal-

la Slovenia e dalla Croazia e di stabilire tutti i contatti atti a favorire iniziative di

pace, affinché il dramma di questa nazione così vicina all’Italia e all’Europa non

assuma proporzioni pericolose.

La CEE stabilisce il suo Quartier Generale a Zagabria e il 15 luglio 1991 e la mis-

sione viene così denominata:

“European Community Monitor Mission”

Alla missione partecipano i 12 paesi membri della Cee e l’Italia è presente con

una delegazione numerosa, di cui fa parte Marco Matta.

Piloti e specialisti in una foto ricordo

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Tutti i componenti della missione sono in veste di diplomatici: indossano

un’uniforme bianca priva di gradi e di indicazioni di nazionalità.

Dopo alcune incertezze iniziali, da Roma arriva l’autorizzazione alla partenza e il

1 ottobre 1991 tre elicotteri bianchi

decollano dalla base di Udine-

Campoformido, dove era avvenuto un

intenso e preciso addestramento, di-

retti in Yugoslavia.

Dopo una breve sosta all’aeroporto di

Ronchi dei Legionari, arrivano a Lu-

biana e poi, scortati da due Alouette

olandesi, proseguono per la destina-

zione finale al Quartiere Generale di

Zagabria. Una parte del “team” italiano, composto da 19 persone, al comando

del Ten. Col. Enzo Venturini, giunge a Zagabria via terra.

Già il giorno successivo iniziano le prime missioni, in situazioni rischiose :

il 4 ottobre l’elicottero EC 291, con a bordo il Serg. Magg. Marco Matta, il Magg.

Venuti e sette monitors, mentre sorvola l’aeroporto di Rijeka per dirigersi

all’atterraggio, viene intercettato dal fuoco di una contraerea. Fortunatamente

soltanto due proiettili colpiscono l’elicottero che riesce ad atterrare, senza danni

per l’equipaggio.

Nei giorni seguenti la situazione si rivela particolarmente pericolosa nell’area cir-

costante Zagabria, per cui i velivoli vengono dislocati più a nord, nei pressi di

Lubiana.

Il lavoro dell’ “Italian Heli Team” procede alacremente e i piloti pianificano i pri-

mi voli verso Belgrado, scegliendo con precisione le rotte per sorvolare i vari

stati ed evitare il sorvolo delle zone più pericolose.

Il 26 ottobre viene effettuato il primo trasporto di monitors a Belgrado e il bian-

co EC 291, con a bordo Marco Matta, è il primo elicottero della missione ad at-

terrare a Belgrado: in serata rientra felicemente a Lubiana. Il giorno successivo

Marco vola a Sarajevo.

Gli elicotteri bianchi assicurano rapidi collegamenti tra i vari centri regionali, al-

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trimenti effettuati su strada con tempi lunghissimi.

Migliorate le condizioni di sicurezza, nei primi giorni di gennaio 1992, l’ “Heli

Team” completa le operazioni per il trasferimento degli elicotteri da Lubiana a

Zagabria.

Il 7 gennaio del 1992 i piloti presentano all’ATC di Belgrado un piano di volo per

Kaposovar, in Ungheria, la quale aveva concesso uno spazio aereo che consenti-

va di entrare in Serbia aggirando le zone più pericolose. Per precauzione, i piloti

italiani, sia durante i combattimenti che nelle fasi di tregua, non sorvolavano

mai le zone di fuoco, ma le aggiravano passando sul territorio ungherese.

Il decollo da Belgrado avviene alle ore 10.00, con perfette condizioni meteo.

Alle ore 12.00 la coppia di elicotteri AB 205 e AB 206 atterra all’aeroporto di Ko-

posovar; gli equipaggi sono accolti cordialmente dagli Ungheresi.

Alle ore 13.25 i due elicotteri bianchi, con le 12 stelle della Cee disegnate sul

fianco, decollano dalla pista della base aerea di Koposovar; poco dopo chiedono

l’autorizzazione a salire fino a 900 metri di altezza per scavalcare la collina di

Ivanstica. Procedono in formazione: è più avanti il 205, lo segue leggermente

più in basso, ma con rotta parallela, il 206.

Il volo viene interrotto da un MIG 21 della Aeronautica Militare Federale Yugo-

slava decollato dall’aeroporto militare di Bihac, in Bosnia, con l’ordine di inter-

cettare e abbattere gli elicotteri dell’ECMM, quando questi sono ormai a metà

strada tra Koposovar e Zagabria.

Un missile aria-aria a guida laser, capace di puntare sulle fonti di calore, sparato

dal MIG, colpisce direttamente l’AB 205…

… Su quell’ elicottero c’era Marco!

Alle 14.07, a Podrute, si era sentito un tremendo boato. Dalle case vicine si ve-

dono i lampi e i contadini accorrono nella radura dove si è schiantato

l’elicottero: i pezzi fumanti della carlinga sono sparsi ovunque; sul cielo tra Va-

razdin e Zagabria, estremo nord della Croazia, nei pressi del confine con Slove-

nia ed Ungheria, perdono la vita insieme al pilota Serg. Magg. Marco Matta:

• Enzo Venturini, Tenente Colonnello, pilota.

• Fiorenzo Ramacci, Maresciallo Capo, tecnico elettricista.

• Silvano Natale, Maresciallo Capo, tecnico meccanico.

• Jean-Loup Eychenne, osservatore CEE, della Marine nationale francese.

Il secondo missile sparato manca l’AB 206, che ha visto esplodere davanti a sé il

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205 e che, con una veloce virata, scampa il pericolo e riesce ad atterrare poco

distante. Subito il centro del controllo del traffico aereo di Zagabria riceve il di-

sperato may-day (segnale di massimo pericolo) dal tenente Barbafiera, di cui si

riporta testimonianza: “ D’improvviso abbiamo sentito rumori e vibrazioni.

Ho pensato ad un’ avaria, ma subito abbiamo visto l’altro elicottero

spezzarsi in due tronconi e precipitare. ”

Sull’AB 206 ci sono:

• Renato Barbafiera, Tenente, pilota;

• William Paolucci, sergente maggiore, pilota;

• Silvio di Bernardo,maresciallo Capo, tecnico meccanico;

• Hans Cristian Kint , belga, Osservatore CEE

Dopo corrono fino ad un casolare dove due donne, Angela e Rosa, li soccorrono.

C’è un telefono, Barbafiera chiama il Comando: “ Quelli del 205 sono morti

tutti. ”

Dai racconti dei sopravvissuti del 206 è possibile ricostruire i dialoghi delle ulti-

me ore dei giovani morti.

“Aspettami” - sono state le ultime parole di Marco, non rivolte ad una donna,

ma a Sandro Tombolasi, l’amico che li attendeva all’ Hotel “I”, sede del Quartier

Generale a Zagabria.

“Allegria” - promette Marco, mentre a Koposovar consuma l’ultimo pasto a base

di wurstel e senape con Venturini, Natale, Ramacci ed Ejchenne – “ Oggi è il mio

compleanno, stasera a Zagabria, pago da bere a tutti ”.

Un attimo per decidere il destino di tre vite: ” Signor Kint, vuol salire sul 205

che è più grande e più comodo? ”

“ No, grazie, sto bene anche qui! ”

Di Bernardo a Ramacci: “ Visto che sei il meccanico del 206, vuoi che ci cambia-

mo di posto e io vado sul 205? ”

“ No, fa lo stesso! ”

In volo, Marco via radio a Tombolesi:- “ Siamo sopra Varazdin, tra poco arrivia-

mo. Stasera si fa festa ! ”

Tombolesi: “ Prendo la cinepresa e vado a filmare l’arrivo! ”

Marco: “ Va bene aspettami! ”

Più o meno in quel momento il MIG spara.

Il Ten. Barbafiera dopo l’incidente, dirà: ” Io l’ho visto diventare una palla di

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fuoco davanti a me. L’avevo sulla destra e mi sono buttato in basso, sulla sini-

stra, in fase di scampo.”

Il Serg. Paolucci: “ Ci sparavano anche col cannoncino, i colpi erano cadenzati.

Il MIG l’ho visto solo mentre si allontanava ”.

L’Osservatore CEE Kint: ” Il missile che è passato su di noi non l’ho visto, ho so-

lo sentito il rumore ”.

I sopravvissuti del secondo elicottero sono diventati i preziosi detentori della ve-

rità e i Serbi sono stati costretti ad ammettere quel loro tragico errore!

Lo scopo dell’abbattimento dell’elicottero, voluto dalla Serbia in territorio croato,

era forse quello di ritardare l’ indipendenza della Croazia, ma in realtà l’accelerò

(15 gennaio del 1992), perché il mondo intero condannò duramente le morti di

questi giovani venuti da paesi neutrali per portare la pace.

L’esperienza Yugoslava degli elicotteri dell’ECMM si concluderà definitivamente il

30.7.2003, con una cerimonia presso l’ Aeroporto di Campoformido, da dove e-

rano partiti.

Commemorazioni ufficiali

Medaglia d’oro al valor militare

«Sottufficiale Pilota Osservatore dell'Aviazione dell'Esercito, membro della Missione Osservatori per il controllo del "cessate il fuoco", condotta sotto l'egida del comitato per la sicurezza e la cooperazione in Europa nei territori della ex Jugoslavia, si distin-gueva per coraggio, elevata professionalità e insigni virtù militari eseguendo nume-rose missioni di volo in situazioni ad elevato rischio. Pur nella consapevolezza dell'al-to e costante pericolo derivante dalla possibilità di attacchi incontrollati da parte del-le fazioni in lotta nei territori sorvolati, persisteva nell'assolvimento del compito affi-datogli. Durante una regolare missione di osservazione lungo una rotta preventiva-mente pianificata e concordata, perdeva la vita in un vile agguato a seguito dell'ab-battimento dell'elicottero AB-205, del quale era secondo pilota, proditoriamente col-pito da un velivolo delle Forze Armate Jugoslave. Mirabile esempio di dedizione al servizio portato fino all'estremo sacrificio.»

Madzarevo (Croazia) 7 Gennaio 1992

Il 9 gennaio 1992 nella Cattedrale di Zaga-

bria vengono celebrati i funerali.

Il 10 gennaio, nel Duomo di Udine, alla pre-

senza del Presidente della Repubblica Fran-

cesco Cossiga, sono celebrati i funerali di

Stato, quindi la salma giunge a Sangano

per essere tumulata nella tomba di famiglia,

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dopo un altro commovente rito funebre.

Sul fianco della collina, nel luogo in cui è

precipitato l’elicottero, i cittadini di Po-

drute e i frati francescani di Novi Marof

hanno eretto di loro iniziativa un cippo

composto da un grande crocifisso in le-

gno sotto il quale sono state apposte le

foto dei caduti.

Più a valle, è oggi presente un sacrario dove quattro lapidi in bronzo ricordano

l’accaduto e dove la popolazione croata, ogni anno,

commemora numerosa, insieme con le autorità civili

e militari dei vari paesi, il tragico avvenimento che

ha accelerato il loro processo di indipendenza e liber-

tà.

Nel punto più accessibile è stata eretta una cappella

dedicata alla Madonna “Regina della Pace.”

Nel 2002, al decimo anniversario dalla morte, il Go-

verno Croato ha concesso ai membri della missione

l’alta onorificenza del “Trifoglio Croato” al merito

speciale della Repubblica di Croazia per il loro impe-

gno nella missione della CEE, contribuendo così al riconoscimento della Repub-

blica di Croazia da parte dei paesi della Comunità Europea.

Anche l’Amministrazione del Comune di Sangano ha voluto conferire il dovuto

riconoscimento al sacrificio del Serg. Magg. Marco

Matta: nel 2002, gli ha intitolato una piazza e su di

essa ha fatto erigere, nel 15° anniversario della

morte, la “Stele di Luce per la Pace”, quale simbolo

di fratellanza, amore e pace tra gli uomini e le Na-

zioni.

Il 23 settembre 2007, in occasione del 50° anniver-

sario dell’autonomia del Comune di Sangano, si è

inaugurata la targa alla Stele di Luce per la Pace, a

Il Sacrario con le quattro lapidi

Il Trifoglio Croato

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ricordo di tutti i Militari che operano nell’Esercito italiano, e si è conferita la Cit-

tadinanza Onoraria al 5° Rgt. AVES “Rigel”di Casarsa della Delizia, a cui appar-

teneva il Serg. Magg. Marco Matta, simbolo di ammirazione e gratitudine ai Ba-

schi Azzurri che spesso operano con grande professionalità in missioni umanita-

rie in Italia e all’Estero.

La cerimonia è stata resa particolarmente suggestiva dal sorvolo e

dall’atterraggio degli elicotteri: uno di essi, partito direttamente da Casarsa, era

già atterrato nel piazzale antistante la Scuola Elementare, quando era nella sede

provvisoria dell’ex-polveriera, il 19 aprile 2006, per volontà del Maresciallo Capo

Bruno Stocchi che, con quel volo, aveva voluto ricordare l’amico Marco Matta.

Un’ alunna di 1ªB così ricorda:

“Mi ricordo benissimo quel giorno quando alla Polveriera atterrò quell’elicottero in onore

di MARCO MATTA.

Era il 19 aprile 2006; la temperatura era mite,

eravamo tutti in maniche corte.

Da una settimana, giornalmente provavamo con

le nostre maestre l’ Inno Nazionale d’ Italia, ide-

ato da Mameli.

Avevamo paura che l’elicottero non potesse at-

terrare per via delle condizioni meteorologiche,

poiché al mattino il cielo era grigio e non si vede-

va un solo raggio di sole, ma eravamo fiduciosi.

Avevamo passato troppe settimane a cantare

l’Inno, a preparare cartelloni e striscioni e a im-

maginare questo momento.

Appendemmo alle ringhiere, che davano sul pra-

to davanti all’edificio, dei grandi cartelloni di

benvenuto per i militari dello stesso Squadrone

Elicotteristi di Marco Matta.

Improvvisamente il cielo si aprì: quel grigio cupo diventò azzurro acceso, con il sole al

centro che faceva da protagonista: tutti pensammo che fosse stato Marco a compiere

quel mezzo miracolo.

Le ore trascorsero in fretta quella mattina!

Quando suonò la campanella dell’intervallo ci precipitammo alle ringhiere ad aspettare

l’arrivo dell’elicottero: era solo più questione di tempo.

Passarono 20 minuti di preoccupazione poiché l’elicottero non arrivava.

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Il nostro Dirigente Scolastico, il Sindaco, i fami-

liari di Marco incominciarono a preoccuparsi;

improvvisamente un’eco, un rumore assordan-

te, seguito da un fortissimo vento, ci scompigliò

i capelli.

Non ci potevamo credere: l’elicottero era arriva-

to!

Dal velivolo scesero quattro militari che vennero

subito accolti dal Sindaco, Agnese Ugues, e dal

Dirigente Scolastico, dott. D’Anna.

Poi toccò a noi: eravamo in piedi sulla ringhiera

con il cuore che ci batteva più forte che mai, la

voce tremava e, quasi quasi, non ricordavamo

più le parole dell’Inno, ma quando ci diedero “il

via” per iniziare, senza accorgercene, iniziammo

a cantare senza mai sbagliare né una parola, nè

il ritmo. Eravamo stupefatti per ciò che avevamo fatto.

Quando finimmo di cantare, i Militari, il Sindaco, il Dirigente Scolastico e le Maestre, ci

applaudirono insieme ad uno strano signore con una telecamera in mano. Solo dopo ci

venne detto che egli era Mauro Curreri, il regista che stava iniziando le riprese per la

realizzazione di un film per ricordare il sacrificio di Marco Matta e dei suoi compagni, e

che noi ne avremmo fatto parte.

Non ci potevamo credere!!! Ci sembrava di sognare!!!

Ma il bello doveva ancora venire! Gli insegnanti ci accompagnarono vicino all’elicottero e

i militari, con prudenza, ci fecero salire sopra per osservare la strumentazione di bordo.

Dopo aver visitato la nostra scuola, piloti e tecnici di volo ebbero il piacere di gustare il

pranzo preparato dalla nostra bidella Mirella.

Subito dopo ripartirono, diretti nuovamente a Casarsa; le pale dell’elicottero iniziarono a

roteare, prima lente e poi sempre più veloci, finché non si alzò in volo creando un fortis-

simo rumore, con un vento altrettanto forte che ci scompigliò ancora una volta i capelli.

Insomma, quella giornata non la dimenticherò mai, la porterò sempre nel mio cuore,

come il più bel ricordo della storia di Sangano.

“Sono orgogliosa che Marco Matta sia stato un nostro concittadino e ricorderò sempre

questo fatto, come se fosse capitato solamente ieri”.

Ogni anno, il 4 maggio, l’ Esercito ricorda i suoi caduti e una delegazione militare si

reca sulla tomba di Marco Matta per depositare fiori e onorare la sua memoria alla pre-

senza dei familiari e delle Istituzioni locali.

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8.8 Marco, non solo un soldato,

ma soprattutto un amico …

Sfogliando l’album di lettere e messaggi inviati alla famiglia dopo la sua morte,

ne è emersa una personalità straordinaria: Marco era un idealista, viveva per

grandi ideali, era entusiasta della vita come del lavoro che svolgeva.

Nel periodo giovanile Marco, oltre che bravo studente, partecipava attivamente

alla vita parrocchiale di Sangano: era uno degli animatori più attivi dell’ Oratorio

Don Bosco, sorto da pochi anni, alla cui fondazione egli aveva contribuito.

Sempre disponibile, simpatico, allegro e sensibile amava stare con gli altri, or-

ganizzare giochi, recital, ma anche uscire la sera con gli amici del gruppo.

Una riflessione di Marco ricavata da un suo scritto, elaborato durante un campo

estivo, probabilmente in un momento di sconforto, quando diciottenne era stu-

dente al Pascal, denota i grandi valori etici e morali di cui era portatore e la pro-

fonda capacità di assaporare e gioire delle bellezze naturali presenti intorno a

lui: … “ guardando poi il paesaggio alpestre, assaporando l’aria che era satura

d’amore, di un amore che ci legava e ci terrà insieme per sempre (spero) final-

mente ho capito … il paradiso è qui, è sempre stato sulla Terra, è stato l’uomo

accecato dal suo egoismo a non vederlo più, a crederlo perduto. Tocca a noi ri-

trovarlo, imparare a vederlo, a scorgerlo. Bisogna imparare ad amare gli altri. E’

molto difficile lo so, ma la posta in gioco è altissima, è la felicità ”.( da un tema

di Marco del 1982)

Marco era un ragazzo veramente capace “di trascendere e di trascendersi”, sen-

tiva il mistero delle cose e la profondità della loro esistenza, ma trasformava il

mistero in qualcosa di esistenziale, di cui lui faceva parte integrante e non si ac-

contentava di vivere superficialmente; aveva compreso di avere un compito nel-

la società, sentiva la chiamata interiore a migliorare il mondo, a essere portato-

re di pace e armonia; aveva profondo rispetto degli altri, nel senso etimologico

del termine: “avere occhio e cuore per osservare ciò che accade intorno a noi”.

“Pensando a Marco, caduto in missione di pace, è affiorato nella mia memoria

un ricordo semplice che però ora è diventato per me e spero anche per altri un

messaggio importante. Era una delle serate in oratorio in cui ci si trovava per

stare insieme. Ad un tratto iniziò tra me ed Alberto, una accesa discussione,

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quasi una lite. Marco, non appena si rese conto che stavamo litigando, interven-

ne, cercò di calmarci e ci invitò a fare pace. “Portatori di pace” non si diventa

improvvisamente, l’amore per la pace si costruisce in noi e negli altri comincian-

do dalle piccole cose di ogni giorno”

(Laura Girardi, compagna di gruppo all’oratorio).

Laura Gambaudo, un’ altra compagna del gruppo, ora mamma di un alunno di II

media, è venuta a scuola a parlare di Marco: era commossa, ha pianto e ha la-

sciato questa bellissima lettera, riportata integralmente:

“Un ricordo per Marco Matta: da un’amica ad un Amico”.

“Conobbi Marco 33 anni fa. Io venni ad abitare a Sangano, da Torino, a 12 anni

ed entrai subito a far parte del gruppo del coro parrocchiale, prima, e

dell’oratorio poi.

Lì si formò un bel gruppetto di amici tra cui Marco, Elisabetta, Roberta, Michela,

io e tanti altri ragazzi e ragazze.

Da “animati” diventammo “animatori” e ricordo quello come il periodo più bello

della nostra adolescenza.

Durante la settimana prepara-

vamo i giochi e gli intratteni-

menti per i bambini che fre-

quentavano l’oratorio il sabato

pomeriggio.

Marco era sempre un pozzo di

idee, instancabile e allegro; si

lasciava volentieri coinvolgere

in tante iniziative. Ricordo an-

cora i suoi passi veloci sulle scale di casa mia, quando dovevamo andare in par-

rocchia: aveva sempre fretta, c’era tanto da fare; è sempre stato così, sempre

impegnato in qualche iniziativa, caratteristica della sua personalità entusiasta”.

Crescendo la nostra amicizia si consolidò, maturò ed apprezzai in lui la sua at-

tenzione per le persone sofferenti.

A volte stupiva! Un giorno mi disse: ”Vieni con me” e mi portò a conoscere una

sua amica con seri problemi di salute. Tornammo spesso a trascorrere piacevoli

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pomeriggi insieme a quella ragazza.

Nello stesso tempo Marco era un ragazzo come tanti di noi, cioè “normale”,

l’amico che tutti vorrebbero avere: estremamente positivo, propositivo, a-

veva sempre voglia di fare qualcosa.

Se parlavi con lui ti proponeva subito o un recital o una corsa in moto o di anda-

re a vedere un film.

L’ultima cosa che mi disse venendo a Sangano, quattro mesi prima

dell’incidente in cui morì, fu quella che gli sarebbe piaciuto, terminata la carriera

militare, dedicarsi alla realtà dell’ Elisoccorso (trasporto organi, incidenti su stra-

da, ecc..). Dimostrazione, anche questa, di generosità.

Sull’esempio di Marco, concludo con un augurio ai ragazzi: trovare gli amici giu-

sti alla vostra età è importante perché si cresce un pezzetto di loro e i ricordi

dell’ Amicizia vi accompagneranno per tutta la vita e, più sereni saranno, meglio

crescerete “.

Sangano, 06/03/2008

Laura Gambaudo

Quando nel 1986, Marco si trasferì a Casarsa della Delizia, anche là chiese di

entrare nel gruppo di animazione oratoriale, portando le sue esperienze sanga-

nesi, maturate a contatto con gli Scout e con i Salesiani.

“Marco era allegro ed espansivo, non si arrabbiava mai, i giovani che animava

nell’Azione Cattolica di Casarsa gli volevano bene, credo lo considerassero un

po’ come un fratello maggiore”, testimonia Giuliana Colussi, un’animatrice di

Casarsa.

Marco era di temperamento gioioso e felice, godeva della felicità che scaturisce

dall’altruismo e dall’amore per gli altri: sapeva aprirsi al mondo, era attento ai

problemi dei deboli e già aveva sensibilizzato la comunità di Casarsa a raccoglie-

re materiali da inviare in Jugoslavia.

“Quello che mi ricordo di lui è un sorriso eternamente stampato in faccia, quello

stesso sorriso che spingeva la gente a dargli confidenza e lo rendeva unico…”

ricorda Massimo Strappaghetti, un amico.

Nella sua casa di Casarsa i genitori hanno trovato scritta sulla lavagnetta una

frase, che testimonia i suoi profondi valori di vita.” L’Amore è la forza che

permette al mondo di vivere, l’Armonia lo rende felice e sereno, senza

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l’Amore e l’Armonia è impossibile coesistere … Ti Amo.” Era indirizzata a

Sabrina, la sua ragazza che avrebbe dovuto sposare a breve.

Altro messaggio forte è stato l’ultimo biglietto d’auguri inviato ai genitori per il

Natale 1991: ”Anche se gli ultimi avvenimenti tendono a dividerci … il

nostro Amore ci fa sentire sempre più vicini ”.

“Marco non sarà mai dimenticato da nessuno perché a ognuno ha saputo dare

amore. Sempre abbiamo apprezzato ed invidiato la sua serenità, i suoi ideali e

la sua bontà”, scrive Laura Chiesa.

Rudy, un amico e compagno di liceo, scrive che Marco non avrebbe voluto veder

nessuno piangere e che il modo migliore di onorarlo e ricordarlo è ”vivere, gioi-

re, godere di ogni goccia di vita, sorridere al pensiero di questo mascalzone dal

cuore grande, al pensiero di questo bambinone che sapeva cogliere i fiori più

belli nei cespugli più spinosi senza pungersi…”

Anche i suoi superiori, negli scritti inviati alla famiglia, evidenziano con parole di

profonda stima e affetto lo spirito di dedizione con cui Marco svolgeva la sua

missione di cooperazione alla pace tra i popoli.

Il Tenente Col- Mameli Paolelli dice:

“… Quando sono librato nei cieli, mi sento molto vicino a lui, perché, per il suo

entusiasmo, per la serietà con cui affrontava il suo lavoro e per la serietà della

missione che stava svolgendo, può essere solo in Cielo, attorniato da una schie-

ra di angeli, insieme a tutti coloro che hanno dato la vita per una giusta causa…”

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Ci sembra bello concludere con le parole del Presidente della Repubblica

dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro, che, in una lettera autografa inviata alla fami-

glia, dopo aver ricevuto al Quirinale i familiari dei piloti, così esprime la sua pro-

fonda ammirazione:

“ L’ affascinante bella figura del coraggioso giovane rimane come testimonianza

di fede nei grandi valori della pace e come servizio alla comunità fino al dono

della vita ”.

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E ora tocca a voi battervi

gioventu' del mondo; siate intransigenti sul dovere di amare.

Ridete di coloro che vi parleranno

di prudenza, di convenienza, che

vi consiglieranno di mantenere

il giusto equilibrio.

La piu' grande disgrazia che vi possa capitare e' di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva

a niente.