Marat assassinato

6
Marat assassinato: il tema del braccio della morte, realismo caravaggesco e ars moriendi in David Di Luigi Pesce

description

Materiali per una critica della storia dell'arte

Transcript of Marat assassinato

Page 1: Marat assassinato

Marat assassinato: il tema del braccio della morte,

realismo caravaggesco e ars moriendi in David

Di Luigi Pesce

Page 2: Marat assassinato

Jean Paul Marat viene pugnalato all'interno della sua vasca da bagno il 13 luglio 1793 dalla mano di

un'aristocratica, Charlotte Corday. La causa del delitto è rintracciata in una vendetta dei girondini, di cui Marat,

eletto deputato alla Convenzione, aveva denunciato le collusioni con la corte e ottenuto la proscrizione.

Il 14 luglio, il cittadino Gurault prendendo parola alla Convenzione per commemorare l'amico ucciso, si rivolge

al pittore David affinché gli renda omaggio con un dipinto celebrativoi.

Il pittore era amico intimo di Marat. Con lui aveva condiviso l'effervescenza degli ideali rivoluzionari,

denunciato i propositi di fuga del re e incitato, nel 1792, i federati all'insurrezione.

Bisogna tener ben presente che l'assassinio di Marat è di matrice politica, teso non solo ad eliminare uno dei

protagonisti più attivi della rivoluzione, ma a ferire in profondità quegli ideali rivoluzionari in cui David credeva

ciecamente.

Solo mettendo in relazione la vita privata del pittore con la sua fede politica, riusciamo a capire i due caratteri

principali dell'opera: quello di commosso e sincero omaggio all'amico scomparso e la sua dimensione pubblica,

celebrativa, che vuol costituirsi messaggio civile.

La composizione è ricca di richiami iconografici che sottolineano la tragicità dell'evento.

Innanzitutto lo squilibrio tra la zona dove si è svolta la scena (la parte inferiore del dipinto che si sviluppa

orizzontalmente) e il vasto sfondo scuro che conferisce maggiore solennità e teatralità alla rappresentazione.

E' questo un uso dello spazio dipinto che David ha sicuramente appreso da Caravaggio, in particolare dalle tele

de La Chiamata di San Matteo in San Luigi dei Francesi e La resurrezione di Lazzaro, a Messina.

L'uso, per lo sfondo, del colore sfumato tra il nero del lutto e quella punta di verde che è di malessere e di

angoscia, richiama i canoni stilistici di Caravaggio e la teatralità di alcune opere (le più tarde) del Rubens, di cui

David aveva già saputo assimilare le anatomie umane e animaliii.

Ma David, che qui applica un realismo che Baudelaire dirà pari a quello di un romanzo di Balzaciii, dimostra

anche l'intento di riallacciarsi alla classicità grecoromana.

Non si vuole infatti raffigurare la violenza dell'atto omicida, perché l'azione si è già conclusa e lascia, come

unica traccia, il coltello insanguinato sul pavimento. La celebrazione di Marat come uomo vince la volontà di

denuncia dell'assassinio e ciò che ne consegue è uno smorzamento dei toni truculenti a favore dell'esaltazione

della dignità umana propria dei boni viri, che attinge i suoi modelli dalle morti dei grandi personaggi greci e

latini.

Più che un omicidio, David sembra voler rappresentare un suicidio civile, come quello di un Seneca moderno.

Se mai vi fu un pittore che tendeva a identificare la virtù e la dignità delle epoche passate con gli eroici Greci e

Romani, questo era David, che era divenuto incarnazione dei valori della Rivoluzione francese e il cui

programma era riformare le Arti secondo gli ideali predicati da Rousseau.

Page 3: Marat assassinato

Quando nel 1799 espose Il ratto delle Sabine, il cui intento era la riconciliazione delle parti avverse, pubblicò

anche uno scritto sulla funzione dell'arte nella società. Egli ricorda ai suoi lettori che creare un capolavoro è una

cosa costosa, e come aveva fatto a suo tempo Rousseau, si dice anche lui convinto che l'umanità perde parecchie

opere di questo genere perché dei maestri di elevati sentimenti, che avrebbero volentieri dedicato il loro pennello

soltanto a temi degni e nobili, sono stati costretti dal bisogno a servire scopi indegni e riprovevoli.

Chi conosce la storia del ritratto su commissione dipinto da Fragonard e intitolato L'altalena, dove il gentiluomo

sbircia sotto la gonna della ragazza, comprenderà altresì come mai David potesse affermare che non pochi artisti

si erano prostituiti.

Per un caposcuola come David atteggiarsi a baluardo della virtù fu fatale. Aveva proclamato ai suoi allievi che

era suo intento imitare i Greci e non i Romani, e a maggior ragione essi si aspettavano quindi un'opera rigorosa e

casta, senza concessioni, tutta al servizio della virtù. Non fa meraviglia che gli allievi, finalmente ammessi alla

presenza del Ratto delle Sabine, restassero delusi.

Si ricercava infatti la semplicità e la grandiosità, insomma il primitivo, giacché questa era la parola magica uscita

dalla discussione sui vasi greci. Gli allievi ribelli convocarono una riunione e dichiararono che il loro maestro

David era un reazionario, equivalendo alla Pompadour, a Van Loo, al rococòiv.

Nel dipinto che qui ci interessa, David sembra attribuire alla morte di Marat un valore di laica sacralità,

ricollegandosi e ribaltando un'asseverata tradizione iconografica canonicamente riservata alla sfera religiosa.

Curiosamente, assistiamo a un duplice legame con il passato: quello della classicità, dei boni viri, filosofi e

letterati che scelgono una morte nobile, e quello religioso della Pietà che David, da pittore rivoluzionario, rilegge

in una chiave tutta umana e colma di valori civili.

Per capire meglio questo richiamo alla Pietà, credo sia di grande aiuto soffermarsi sull'analisi della

composizione, procedendo gradualmente.

La vasca dove Marat è immerso è quasi totalmente coperta dalle lenzuola bianche e dal leggio su cui poggia un

panno verde. Il corpo esanime emerge dall'acqua arrossata (appena visibile sotto il braccio sinistro), a ricreare la

stessa forza emotiva di un Cristo dentro al Sepolcro. C'è anche, nella povertà del suo tavolino da lovoro e dalle

pezze sulle lenzuola bianche, un accenno ad una povertà di carattere evangelico che sottolinea la grandezza di

ideali di Marat, non interessato ai lussi e alle agiatezze.

Ma è il braccio che pende dalla vasca a rievocare, con manifesta intenzione, il tema del cosiddetto braccio della

morte.

Il primo esempio di questo tema, nell'arte pittorica rinascimentale, lo dobbiamo a Raffaello, nella Deposizione di

Cristo, nella Pala Baglioni (del 1507) presso la Galleria Borghese di Roma.

Il braccio destro di Cristo pende privo di vita, e la carne che si abbandona al suolo risulta come un’ottima

rappresentazione sintetica della morte.

Page 4: Marat assassinato

Raffaello arrivò a questa elaborazione dopo un lungo percorso, come documentano circa sedici disegni

preparatori. In quello custodito ad Oxford, la composizione ideata da Raffaello era di modi che possiamo

definire perugineschi, con una composizione forse più organica ma scontata, dove Cristo giace

convenzionalmente morto in terra. In quello di Londra, invece, avviene una vera e propria svolta che altera la

composizione originaria maggiorandone la drammaticità: l’introduzione del gesto nuovo e fortunato, chiamato

appunto il braccio della morte.

Cosa abbia ispirato questo gesto a Raffaello è un interrogativo che molti studiosi si sono posti.

La maggioranza degli storici dell'arte ritengono che questa innovazione sia dovuta ad un attento ascolto dell'arte

romana e individuano il precedente artistico nel sarcofago romano col trasporto funebre di Meleagro1 (190

1 Questo celebre sarcofago è decorato con scene tratte dal celebre mito di Meleagro, narrato nell’Iliade e nelle

Metamorfosi di Ovidio. Figlio del re di Calidonia, che aveva arrecato offesa a Diana, Meleagro partì per la caccia al terribile cinghiale che devastava le sue terre. Il primo colpo al feroce animale fu inferto dalla vergine cacciatrice Atalanta, di cui era innamorato. Uccisa la preda, Meleagro fece dono alla fanciulla della testa e della pelle, scatenando fra gli altri cacciatori una sanguinosa contesa, nel corso della quale il giovane uccise due fratelli della madre. Le tre Parche avevano predetto la sciagura fin dalla nascita di Meleagro, annunciando che la vita del ragazzo non sarebbe durata più a lungo di un tizzone che ardeva nel braciere. All’epoca, terrorizzata, la madre aveva conservato il tizzone, impedendogli di bruciare; ma alla notizia dell’uccisione dei fratelli, lo gettò nuovamente tra le fiamme, condannando il figlio a rapida morte. La scena del trasporto del corpo di Meleagro era uno dei soggetti più frequentemente usati nella decorazione di sarcofagi; se ne conoscono numerosi esemplari, fra cui quello dei Musei Vaticani. Leon Battista Alberti, nel Della Pittura, consigliava in modo particolare la rappresentazione di questo tema: “Lodasi una storia in Roma, nella quale Meleagro morto, portato, adgrava quelli che portano il peso e in sé pare in ogni suo membro ben morto: ogni cosa pende, mani, dita, e capo; ogni cosa cade languido, ciò ve si dà ad esprimere uno corpo morto, qual cosa certo è difficilissima, però che in un corpo chi saprà fingere ciascun membro otioso sarà optimo artefice”.

Page 5: Marat assassinato

d.C.), il cui braccio assume la posa che conoscerà, dopo Raffaello, enorme fortuna.

Herman Grimm nel 1877 e poi Arnold Von Salis nel 1947, saranno i maggiori studiosi di questo confronto e

daranno vita ad una lunga discussione sullo studio dell’antico come motore di novità pittoricav.

In Michelangelo, è di certo la Pietà a costituire l'esempio massimo di questo tema.

Bisogna però dire che quella che noi chiamiamo “Pietà” è una scena che nessuno dei quattro vangeli menziona,

la lamentazione privata di Maria sul corpo morto del Figlio.

Questa scena fu, nei fatti, un'invenzione della devozione tedesca del '400, che ha saputo dar luogo al tipo

fortunatissimo del Vesperbild, di cui si possono citare brevemente due esempi, uno di Erfurt (1350), e l’altro di

Soest, (1380).

Tutti e due presentano in modo evidente la Pathosformelvi del braccio della morte, che è dunque di Cristo assai

prima di Raffaello.

A partire dal 1370, molti Vesperbilder furono importati in Italia, soprattutto in Umbria (terra natia di Raffaello) e

diedero origine alla "Pietà di modello italiano”, come quella di Michelangelo, in cui la rude e anticlassica

espressività nordica cedeva il passo a tonalità più assorte, a nuove attenzioni alle proporzioni, dunque alla

“naturalezza”. Abbiamo dunque, una stessa Pathosformel nell’arte antica (per Meleagro) e in quella medievale

(per Cristo), con invenzione – che è importante da sottolineare – del tutto indipendente.

Page 6: Marat assassinato

Il problema è se il modello interpretativo di Von Salis (che voleva il gesto del Cristo di Raffaello dedotto da

quello di Meleagro) vada del tutto abbandonato una volta gettato lo sguardo sulla tradizione dei Vesperbilder o

se debba essere invece in qualche modo rivistovii

.

i "I nostri occhi", dice Gurault, "lo cercano ancora in mezzo a voi rappresentanti. Oh, spettacolo atroce! Egli è sul letto di morte. Dove sei, o David? Tu hai mandato ai posteri il dipinto di Lepelletier che muore per la patria. Ti resta un quadro da fare". ii In proposito trovo sia utile paragonare attentamente l'anatomia e la criniera del cavallo nel Ritratto del Conte Potocki,

dipinto da David nel 1781 con quelle dei cavalli del Rubens, soprattutto nella Caccia alla tigre del 1615 e nel Ritratto equestre del marchese Giovan Carlo Doria. iii Cfr. C. BAUDELAIRE, Scritti sull'arte, da cui "Il divino Marat, con un braccio fuori dalla vasca, e la penna per l'ultima volta

nella mano ormai inerte, il petto trafitto dalla ferita sacrilega, ha appena reso l'ultimo respiro. Sul leggio verde dinanzi a lui, la mano regge ancora la perfida lettera: "Cittadino, basta la mia grande infelicità ad assicurarmi la vostra benevolenza". L'acqua della vasca è arrossata, la carta è lorda di sangue; sul pavimento giace un coltellaccio da cucina inzuppato di sangue; sopra un misero sostegno di assi che costituiva il tavolo di lavoro dell'instancabile giornalista, si legge "A Marat, David". Tutti questi particolari sono storici e reali, come un romanzo di Balzac; c'è il dramma vivo in tutto il suo lugubre orrore e, per uno strano prodigio che fa di questo dipinto il capolavoro di David e una delle grandi curiosità dell'arte moderna, non ha nulla di volgare o d'ignobile". iv Cfr. E. H. GOMBRICH, Arte e Progresso, 2002, Economica Laterza, pp. 67-68

v In merito, è di interesse la lettura dei recenti studi di S. SETTIS sul Cristo morente i quali rilanciano il dibattito sugli

elementi dell'arte antica che abbiano ispirato Raffaello, da cui cito: "Sarà bene ricordare prima di tutto che li “braccio della morte” non è esclusiva dell’arte nordica, né di quella a nord degli Appennini. Il Compianto sul Cristo morto in uno dei rilievi donatelliani dei pulpiti di San Lorenzo, circa 1460, lo mostra con definitiva eloquenza; né sarebbe difficile citare altri esempi, come il Compianto del Botticelli a Monaco (circa 1495). Tuttavia, come è chiaro dalla sequenza dei disegni, il punto di partenza di Raffaello non furono formule come queste, ma altre e più convenzionali composizioni in uso per la Lamentazione, dove il “braccio della morte” non ricorreva. Raffaello lo prese dunque davvero da un sarcofago di Meleagro?" vi Con il termine pathosformel, coniato da Aby Warburg nei primi anni del '900, si intendono alcune immagini archetipi che

ritornano in contesti differenti attraverso i secoli della storia dell'arte. Warburg concepì la storia delle immagini come stratificazione di esperienze diverse. Le diverse epoche si sovrappongono come sedimenti di differenti fasi geologiche, pronti a far riemergere improvvisamente dal sottosuolo un'immagine assente da tempo. Le pathosformeln sono dunque fermi-immagini che condensano la creazione originaria (pathos) con la ripetitività del canone a cui fanno involontariamente riferimento (formeln, ovvero formule). Warburg si concentra maggiormente su alcune immagini dinamiche, esempi massimi di pathosformeln: Orfeo, la centauromachia e soprattutto la Ninfa, ossessione rinascimentale di derivazione classica. Sono immagini la cui forma è inscindibile dal contenuto, che trasportano in eredità fisionomia e contenuto. vii

Cfr. S. SETTIS, Il braccio del Cristo, in Sole 24 ore del 17/06/2007, pp.33, 34.