Manuale illustrato di incompetenza manageriale - guida alla lettura

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1 Guida alla lettura 31.05.15

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A) ORIENTAMENTO

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1. Equivoco da prevenire

Questo libro non è stato scritto per accusare i manager d’incompetenza.

Proprio il contrario: nel libro si sostiene che i manager risultano oggi sin troppo competenti rispetto al contesto nel quale agiscono. Il mondo degli affari è in grande subbuglio ed è più difficile maneggiare il cambiamento quando la cassetta degli attrezzi è ingombrante.

Il manuale offre suggerimenti dettagliati per rendere la cassetta degli attrezzi manageriali più leggera, quindi più adatta al cambiamento - come cantava Giovanni Lindo Ferretti “gli ebrei sono virtuosi del violino, che non si scappa da un pogrom con un piano vicino”.

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2. Definizioni elementari: ingegnosità collettivaTutto quel che è ingegnoso è anche intelligente. Ma non tutto quel che è intelligente è anche ingegnoso, perché l’ingegnosità è intelligenza + creatività.

Quando dobbiamo fare qualcosa di abituale non abbiamo particolare bisogno dell’ingegno. Se invece ci troviamo nella necessità d’inventare soluzioni nuove di fronte a difficoltà impreviste, l’ingegnosità diviene molto utile.

A differenza di quanto affermano molti manager, la fonte dell’ingegnosità scaturisce dalla relazione tra più persone, non dal talento individuale. L’ingegnosità collettiva è la sorgente inesauribile dell’evoluzione umana - è quando le persone si mettono insieme per fare qualcosa che non avrebbero mai potuto fare se fossero rimaste da sole.

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3. Definizioni elementari: risorse umane - 1/3Le risorse energetiche sono gli elementi senza i quali le cose non hanno luogo. In assenza di risorse energetiche non accade nulla.

Quando scegliamo di utilizzare certe risorse anziché altre stiamo determinando il destino dei nostri progetti. E anche scegliere di impiegare le risorse in un modo anziché in un altro è determinante.

Da sempre l’uomo è risorsa a se stesso. Siamo abituati a sfruttarci. Ma da quando abbiamo inventato la macchina a vapore, circa 250 anni fa, ci siamo abituati a sfruttare con molta insistenza solo un limitato numero di risorse umane, legate alla capacità di ripetere gesti di alta precisione con esattezza e continuità.

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3. Definizioni elementari: risorse umane - 2/3L’impresa moderna - quella nata insieme alla macchina a vapore - ha organizzato il lavoro dell’uomo in modo da sfruttare al massimo la nostra affidabilità nel ripetere a lungo gli stessi gesti manuali e gli stessi gesti mentali.

Per favorire l’organizzazione moderna del lavoro, che ha consentito ad alcuni di diventare molto ricchi e a molti di diventare meno poveri, abbiamo dovuto sacrificare altre caratteristiche umane.

L’organizzazione moderna del lavoro ha trascurato con particolare insistenza proprio l’ingegnosità collettiva, quell’insieme di relazioni che fa di ciascun umano un giacimento ambulante di risorse inesauribili.

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3. Definizioni elementari: risorse umane - 3/3Oggi assistiamo al il fallimento del modello d’impresa nato insieme alla macchina a vapore. Questo fallimento ci mette nella condizione di ripensare l’organizzazione del lavoro, fondando l’impresa umana sulla capacità creativa di ognuno di noi, anziché sulla presunta eccezionalità del talento di pochi.

Quelle umane sono quindi risorse abbondanti e insieme insostituibili, in ragione della meravigliosa irripetibilità che ciascuna persona offre ai propri simili.

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4. Definizioni elementari: espertoL’inarrestabile specializzazione dei saperi umani ha condotto un numero crescente di persone a sospettare degli esperti. Gli esperti sono coloro che hanno poco tempo da dedicare alla domanda perché sono concentrati sulla risposta.

Questi esperti di soluzioni hanno cieca fiducia nella possibilità che il futuro ripeta il passato. Senza questa fiducia, l’esperto non potrebbe servirsi della propria esperienza (necessariamente passata) per valutare il da farsi.

Nelle imprese moderne gli esperti hanno preso il potere e lo hanno gestito con efficacia, perché le imprese moderne avevano poco interesse a favorire il cambiamento. Ora che il cambiamento si è impossessato delle imprese, gli esperti sono diventati molto ingombranti.

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5. Definizioni elementari: cambiamento“La rivoluzione darwiniana dovrebbe essere interiorizzata come la sostituzione del concetto di essenza con quello di variazione”.

Stephen Jay Gould esprime in questo modo l’appello cui i manager innovativi devono essere capaci di rispondere. Non è facile sostituire il verbo essere con il verbo divenire. Abituati come siamo (appunto) a fare riferimento a quello che permane, esercitiamo per lo più indifferenza nei confronti di quello che cambia. Le essenze, inoltre, sono più affidabili delle trasformazioni, risultano più prevedibili, quindi più confortevoli. Nondimeno è sempre più evidente che la fiducia nell’essenza è sintomo di una mente arretrata.

Ci troviamo nel cambiamento senza sosta, si tratta ora di farsene una ragione, di trovare la ragione del cambiamento.

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6. Imperativo etico“Non c’è niente di più terribile dello sterminio delle possibilità”, così si esprime l’antropologo Francesco Remotti quando argomenta contro l’identità. Ogni volta che ci rassegniamo alla ripetizione, lasciamo spazio all’abitudine e rafforziamo il si impersonale - si fa così perché… si è sempre fatto così.

Quando invece ci garantiamo lo spazio necessario affinché la domanda “ma chi l’ha detto?” possa essere udita da molte persone, stiamo favorendo l’unico imperativo etico che libro considera accettabile: “agisci sempre per aumentare il numero di opzioni a disposizione del tuo prossimo”.

Dobbiamo questo principio al fisico Heinz von Foerster, al quale s’ispirano molte pagine del libro.

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B) ARGOMENTI FORTI

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1. Elementi che soffocano l’ingegnosità collettivaLe competenze professionali rendono le persone fiduciose: poiché gli altri mi riconoscono una competenza, io sono in grado di ottenere la soluzione. Se il mondo fosse una fotografia, le competenze professionali sarebbero di grande aiuto. Invece il mondo è un film, e quello che accade nelle scene successive non può saperlo nessuno.

La smania del successo ci ancora al passato: vorremmo che quello che è successo succedesse di nuovo e in questo modo, inavvertitamente, ostacoliamo il cambiamento.

Come il disagio è la radice della creazione, il comfort è la culla della banalità. Inseguire il benessere organizzativo significa condannare chi lavora a una routinaria indifferenza verso l’ingegnosità.

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2. Saperi che facilitano l’ingegnosità collettivaSaper coinvolgere significa saper ascoltare. Quando gli argomenti lasciano spazio al silenzio, la relazione prende vita. Successivamente, il coinvolgimento si sviluppa nel modo più efficace, perché le persone coinvolte sono orientate allo scambio anziché all’esecuzione.

Saper collaborare comporta una particolare disposizione alla fatica, perché la collaborazione più efficace si sviluppa nel commercio delle differenze, non nell’integrazione delle similitudini. Per questo è molto difficile collaborare se prima non c’è stato un coinvolgimento, ovvero un ascolto reciproco.

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3. Competenza decisiva: mantenere la plasticitàA differenza della flessibilità, che implica il ripristino di una condizione di normalità temporaneamente compromessa da un perturbamento, la plasticità è quella proprietà della materia che consente di conservare memoria di ogni incontro e che nega l’esistenza di una qualsivoglia “normalità”. La plasticità è la condizione della varianza.

Se gli togliamo la plasticità, l’uomo diventa un materiale come qualunque altro. E se gliela togliamo sufficientemente a lungo, l’uomo si trasforma in qualcosa che somiglia al suo opposto, la macchina.

Se saremo capaci di organizzare il lavoro umano allo scopo di favorire la plasticità delle persone, l’ingegnosità collettiva genererà un valore inesauribile.

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4. Il cambiamento più importanteL’uomo dispone di tutti gli strumenti necessari per trasformare se stesso nella principale risorsa del pianeta. L’impostazione economica che ha immiserito l’ingegnosità collettiva mostra oggi i suoi limiti e sta per essere superata dall’indifferenza delle generazioni più giovani per i valori dell’economia moderna.

Questo percorso di miglioramento è ostacolato dall’immaginario collettivo, che è tutt’ora ancorato a modelli che riservano l’attribuzione dell’ingegno a un numero ristretto di talentuosi privilegiati.

Il cambiamento più importante cui dobbiamo disporci è questo: oltrepassare l’immaginario che ci ancora al passato e figurare un modello comunitario che consenta a ogni singolo umano, senza alcuna eccezione, di offrire il proprio ineguagliabile contributo.

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5. Contro l’identità, a favore dello stile

L’identità impone all’immaginario la supremazia dell’io. Sin tanto che il primato dell’io non viene posto in discussione, l’ingegnosità collettiva verrà soffocata. Occorre sostituire alla prepotenza dell’io il valore del noi, avendo cura di non accreditare la moltiplicazione delle identità collettive - una medicina che si rivelerebbe peggiore del male. Lo stile consente il superamento definitivo dell’identità. Lo stile si comporta come una forma di vita che si auto-organizza. Lo stile ha una strategia molto chiara ma non è mai pienamente soddisfatto di essa. Lo stile è un procedimento senza procedura, difficile da restituire nella pagina scritta, comprensibile alla sola condizione di osservare alcune pratiche: distinguere, negoziare, smarrire il controllo, compensare, servirsi degli ostacoli, esercitare, ereditare, etichettare, moltiplicare, apprendere.

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6. Smaniare di apprendereLa materia plastica apprende dagli incontri e dagli scontri. Essa diviene attraverso la relazione e si sostanzia attraverso il commercio con le differenze. Plasticità è apprendimento.

L’ingegnosità collettiva ci chiede di rimanere apprendisti per tutta la vita, ricordando che nell’apprendimento agisce la mano quanto il cervello, l’azione quanto la riflessione.

L’apprendimento è un processo infinito che fa di noi umani materie divenienti. Se cessiamo di apprendere cessiamo di divenire umani. È il nostro sguardo sulla capacità altrui di apprendere che fa degli altri ciò che essi sono. Si tratta quindi di ricostruire l’intero tessuto organizzativo su questa relazione d’apprendimento, senza la quale riduciamo noi stessi e i nostri simili a macchine: essenze stabili, prive di divenienza.

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7. L’impresa che vorreiL’impresa che vorrei somiglia a un centro ricerche che subordina il profitto alla sperimentazione, guidato da manager che sono tanto pronti a valorizzare la diversità quanto a raccogliere i frutti dell’ingegnosità che circola tra i lavoratori. L'insicurezza e la mancanza di prevedibilità di una simile organizzazione sono destinate a far sorgere molte domande legittime (quelle di cui non si conosce in anticipo la risposta), lo strumento migliore per la valorizzazione dei giacimenti umani. In una organizzazione siffatta l'ordine emerge dalla partecipazione anziché dalla adesione a una burocrazia. Si tratta di un ordine dinamico, la cui unica costante è il cambiamento. In questo modo l'organizzazione torna a essere strumento nelle mani del diveniente umano per sfruttare al meglio le risorse di cui dispone. Qualcosa di molto diverso da quello che l'organizzazione è oggi: un sistema coercitivo, al servizio del quale si pongono forzatamente le persone che vi lavorano.

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C) POLITICA DEGLI AUTORI

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1. Autori molto sfruttati in questo libro

Heinz von Foerster Ernst von Glasersfeld Michael Tomasello Cornelius Castoriadis Arthur Koestler Peter Gray Roger Caillois

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2. Autori meno sfruttati ma decisiviCarlo Sini Hans Blumenberg Ivan Illich Gunther Anders Ernst Mach Stephen J. Gould Tzvetan Todorov Francesco Remotti Carlo Ginzburg Marshall Sahlins David Bohm Giovanni Liotti Paul K. Feyerebend André Leroi-Gourhan Mario Vegetti Simone Weil Philip Petit

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2. Altri autori cui il libro si riferisceTheodore Roszak H. Thomas Johnson Mark Buchanan Giorgio Brunetti Paul Ehlrlich Howard Gardner Bertrand Russell Carla Melazzini Norbert Elias Eric Fromm Georges Didi-Huberman Mazzacut-Mis Richard Fortey Jaqueline de Romilly, Monique Trédé Max Scheler Giuseppe Pontiggia Franco Rella Gunter Pauli Robert B. Laughlin

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In estrema sintesi

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Per i più pigri: il libro in una paginaL’ingegnosità collettiva è la sorgente inesauribile dell’evoluzione umana. Alcuni elementi ostacolano questa sorgente e impediscono agli uomini di giovarsene appieno. Altri elementi favoriscono la sorgente e ne facilitano il fluire. L’organizzazione del lavoro umano si è lungamente giovata dall’ingegnosità collettiva. Ma la forma che l’impresa industriale ha assunto nella modernità, a partire dal XVIII secolo, ha privilegiato la divisione del lavoro e ha soffocato l’ingegnosità collettiva. Le forme più innovative dell’economia contemporanea si allontanano dall’organizzazione di stampo industriale allo scopo di giovarsi il più possibile dell’ingegnosità collettiva, che garantisce alle iniziative più sperimentali l’accesso a risorse che sarebbero altrimenti irraggiungibili. La cultura manageriale è radicata nelle forme dell’impresa industriale e, per questo motivo, fatica a sfruttare il cambiamento in corso, finendo per rimanere estranea ai vantaggi che provengono dall’ingegnosità collettiva. Nella prima parte del libro si offre una descrizione dell’ingegnosità collettiva, si pongono in evidenzia gli ostacoli che maggiormente ne soffocano il valore (gli esperti, la paura di sbagliare, la ricerca del comfort) e si illustrano i saperi che più di altri la facilitano (saper coinvolgere, saper collaborare). Nella seconda parte si definisce la competenza che meglio di ogni altra abilita l’ingegnosità collettiva (mantenere la plasticità) e si propongono due strumenti insoliti di cui il manager dovrebbe dotarsi, qualora intendesse rimuovere gli ostacoli e facilitare il flusso dell’ingegnosità collettiva nella propria azienda: una leva per ribaltare l’immaginario collettivo; una scatola di fiammiferi per mantenere viva la smania di apprendere.

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Per i più fiduciosi:la 4a di copertina

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E se avete domande, mi trovate qui:

[email protected]

Leonardo Previ è un apprendista permanente che si occupa delle applicazioni organizzative dell’ingegnosità collettiva dal 1996, anno in cui ha fondato Trivioquadrivio, che è oggi considerata una delle più innovative società di consulenza italiane. Nella sua ventennale esperienza di docente e facilitatore ha aiutato migliaia di imprenditori, dirigenti e studenti, in Europa e in Asia, a frequentare gli aspetti più insoliti e fertili dell'innovazione e dell'immaginazione.

Nel 2005 è stato nominato dalla Lego Best Partner Worldwide di Lego Serious Play e nel 2007, insieme ai colleghi di Trivioquadrivio, ha progettato MAPPS, una rivoluzionaria metodologia di apprendimento organizzativo che aiuta i manager a visualizzare e governare la complessità. Nel 2013, dopo una lunga esperienza di lavoro a Bangalore, ha portato in Italia due libri indiani, Jugaad Innovation e Business Sutra, avviando la riflessione sull’innovazione frugale nel nostro paese. Guida una Moto Guzzi California del 1974 e insegna Gestione delle risorse umane all’università Cattolica di Milano, città in cui è nato (oltre cinquant’anni fa), si è sposato e ha scelto di educare i suoi due figli. Questo è il suo quinto libro.

Tutto è già stato detto, ma siccome nessuno ascoltava occorre dirlo di nuovo.

André Gide