MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

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GRUPPI ARCHEOLOGICI D’ITALIA MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA Tutto ciò che bisogna sapere per avvicinarsi correttamente all’indagine archeologica Prima edizione - 1996

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GRUPPI ARCHEOLOGICI D’ITALIA

MANUALEDEL VOLONTARIOIN ARCHEOLOGIA

Tutto ciò che bisogna sapereper avvicinarsi correttamente

all’indagine archeologica

Prima edizione - 1996

Gruppo Archeologico Torinese
Note
Dal 1° Gennaio 2006, dopo oltre vent'anni di intensa collaborazione, il GAT non aderisce più ai Gruppi Archeologici d'Italia. Sebbene i soci GAT vengano tuttora formati nel rispetto dei valori fondanti dei G.A. d'Italia, il Gruppo Archeologico Torinese non si riconosce più nelle linee guida propugnate dall'attuale (2007) Direzione Nazionale che, sminuendo sempre più le attività di volontariato puro, favorisce formule miste anche a prevalente carattere economico. Il GAT continua a credere che fare volontariato nella totale gratuità delle prestazioni offerte sia non solo possibile, ma doveroso e necessario.
Gruppo Archeologico Torinese
Note
Il "Manuale del Volontario in Archeologia" è uno strumento, promosso e realizzato dal GAT nel 1996, adottato dai Gruppi Archeologici d'Italia e distribuito ai partecipanti suoi Campi Archeologici Estivi. Alcune parti del manuale sono ormai obsolete (per inciso, quello sulla fotografia, al tempo non esistevano le macchine digitali...), altre conservano intatte la loro valenza propedeutica.
fabrizio
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Si ringraziano:

Per la correzione dei testi: Maurizio Balzano, LauraCaretta, Feliciano Della Mora, Gianfranco Gazzetti,Duccio Testa. • Per l’impaginazione: Fabrizio Di-ciotti. • Per i disegni: Maurizio Balzano, FabrizioDiciotti, Daniela Pes, Silvia Prodam Tich. • Per ilcapitolo sulla fotografia: Enrico Cappellini (con con-tributi di M. Balzano). • Per il capitolo sul disegnodei reperti: Aureliano Bertone. • Per il capitolo sulprimo soccorso: Maria Gabriella Di Stefano.

Le immagini n. 1, 2, 13 sono tratte da:Louis Frederic, Manuale di Archeologia, Einaudi.Le immagini n. 3, 4, 5, 6 sono tratte da:Cambi/Terrenato, Introduzione all’Archeologia deiPaesaggi, NIS, 1994.Le immagini n. 11, 12, 15, 16, 17, 24, 25 sonotratte da: Andrea Carandini, Storia della Terra,Einaudi, 1991.Le immagini n. 23, 26, 27, 28 sono tratte da:Dominic Perring, Manuale di Archeologia Urbana,suppl. n. 3 di AUT.Le immagini n. 30, 33, 34 sono tratte da:M. Necci, La fotografia archeologia, Nuova ItaliaScientifica, 1984.Le immagini delle pagg. 8 e 10 sono tratte da: Romaantica - Tra mito e scoperta, Claude Moatti, Universa-le Electa/Gallimard, 1992.Le immagini delle Appendici sono tratte da:Aa. Vv., Storia dell’Arte Italiana, Vol. I.La scheda di catalogazione a pag. 47è un’idea di Carlo Vigo.

Redazione e impaginazione a cura del:

GRUPPO ARCHEOLOGICO TORINESE

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GRUPPI ARCHEOLOGICI D’ITALIA

MANUALEDEL VOLONTARIOIN ARCHEOLOGIA

a cura di

Dario Della MoraMaurizio Monge

Prima edizione - 1996

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Dedicato a Bruno Lovera Andreotti.

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INDICE

Cap. 1 Introduzione

Cap. 2 L’archeologia come disciplina

Cap. 3 Piccola storia dell’Archeologia

Cap. 4 Il Volontariato e l’Archeologia

Cap. 5 La ricognizione (o prospezione archeologica)5.1 Osservazioni sul terreno5.2 Come documentare la ricognizione5.3 Come si utilizza una carta topografica (IGM) in ricognizione5.4 La “scheda di ricognizione”5.5 La ricerca bibliografica e la Toponomastica

Cose da fare… e da non fare

Cap. 6 L’attività di cantiere: lo scavo archeologico6.1 Lo scavo stratigrafico

6.1.1 - Elementi di stratigrafia6.1.2 - Procedimenti di uno scavo stratigrafico6.1.3 - La registrazione dei dati6.1.4 - La documentazione grafica: il rilievo

- Rilievi di depositi e costruzioni - Rilievi di tagli - Disegno di una sezione

Cap. 7 La strumentazione di scavoCose da fare… e da non fare

Cap. 8 L’attività sui materiali8.1 Il trattamento dei materiali in sito8.2 Trattamento dei reperti in laboratorio: lavaggio, siglatura e separazione per classi8.3 Ricostruzione materiale8.4 La catalogazione dei reperti8.5 Reperti ceramici e schede di catalogazione8.6 Elementi di tipologia della ceramica

Cap. 9 La fotografia archeologica: appunti per una corretta documentazione

Cap. 10 Il disegno dei piccoli reperti

Cap. 11 Elementi di primo soccorso

Conclusione

Glossario

Bibliografia

Appendici

pagina

pag. 5

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pag. 11pag. 12pag. 15pag. 18pag. 20pag. 20pag. 21

pag. 22pag. 23pag. 23pag. 26pag. 29pag. 33pag. 34pag. 35pag. 35

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pag. 39pag. 39pag. 40pag. 41pag. 42pag. 43pag. 44

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La celebre Chimera ferita (prima metà del IV sec. a.C.) è oggi conservata al Museo Archeologico diFirenze; si tratta di uno dei più bei bronzi che l’arte etrusca abbia prodotto e venne alla luce adArezzo durante i lavori di fortificazione eseguiti nel 1553, in un periodo storico in cui la scienzaarcheologica era ancora là da venire (dis. Pes - Prodam).

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In questo volumetto si è cercato di “al-leggerire”, o meglio semplificare, i prin-cipi guida necessari per iniziare l’attivitàdi volontario in ambito archeologico.Molti ragazzi, appassionati come noi daquesta affascinante materia, hanno do-vuto faticare a lungo per acquisire quelbagaglio di esperienze necessarie al cor-retto operare nell’ambito di un’indaginearcheologica; questo perché lo scavo èdi rado esaustivamente “didattico” e, ingenere, fornisce al neofita informazioniinsufficienti circa i molteplici aspetti del-l’indagine archeologica.

Una preparazione adeguata per la com-prensione dell’attività archeologica richie-de dunque la partecipazione a veri e pro-pri corsi propedeutici che possono ap-parire talvolta noiosi e privi di quell’attra-zione tutta particolare tipica dello scavostesso. È facilmente immaginabile l’effetto“traumatico” che lezioni di questo tipo po-trebbero rappresentare per chi conside-ra l’archeologia un hobby da praticare neltempo libero o durante le vacanze esti-ve, periodo sacro per chi cerca di rilas-sarsi dopo lo stress dovuto al lavoro o

Introduzione

periniziare

all’attività scolastica.Chi si avvicina per la prima volta all’ar-

cheologia si deve quindi accontentare amalincuore di quelle informazioni fram-mentarie ricevute “in situ”, restando peròdigiuno di numerose delucidazioni e chia-rimenti indispensabili per comprendereed apprezzare il lavoro svolto.

Come sopperire quindi ad una similecarenza senza doversi tuffare nella lettu-ra di manuali specifici, sovente prolissi eche talvolta non si curano affatto di rivol-gersi ad un pubblico non necessariamen-te esperto?

È qui che si fonda la ragione d’esseredi un manuale dedicato principalmenteai “volontari archeologici”.

Il nostro auspicio è quindi di contribu-ire a chiarire le idee confuse che ognunodi noi potrebbe avere, consolidandole insemplici ma concrete certezze, stuzzican-do inoltre l’interesse di coloro che voles-sero approfondire (grazie ad una biblio-grafia ragionata) determinati argomentisui quali si sentono poco preparati.

Nostra è, infine, la speranza di arric-chire in maniera chiara ed esauriente laconoscenza tecnica adeguata all’adem-pimento delle basilari mansioni del vo-lontario in archeologia.

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Prima di analizzare i vari aspetti checontraddistinguono la scienza archeolo-gica, come lo scavo o lo studio dei mate-riali, dobbiamo chiederci quale concettodi archeologia abbiamo impresso nellamente, ovvero quali sonole nostre idee riguardo aduna materia di cui cono-sciamo sommariamente gliscopi ma, qualche volta,ignoriamo i mezzi da essautilizzati per raggiungerli.

Se ognuno di noi doves-se rispondere alla sempli-ce domanda: «Cos’è l’ar-cheologia?» noteremmocome molte delle rispostedate, malgrado risultino co-munque parzialmente va-lide a illustrarne le molte-plici virtù, raramente saran-no in grado di darne una definizione com-pleta.

L’archeologia moderna, infatti, lungi dalrinchiudersi in se stessa, si avvale infattidel supporto di altre scienze quali la bio-logia, la chimica, la geologia, l’architettu-ra, la pedologia ed altre ancora delle qualidiscuteremo più approfonditamente nelcorso di questo testo.

È comunque opportuno fornire una de-finizione generica di archeologia che pos-sa soddisfare l’interesse dei più inesper-ti, tenuto conto che quanto detto qui diseguito non sarà in ogni caso sufficientea riassumere tutte le variabili presentinella materia e tantomeno sarà da rite-nere preferibile alle eccellenti perifrasi dilibri specifici.

Il termine “archeologia” deriva dal gre-

co antico (αρχαιολογια) e letteralmentesignifica “studio delle cose antiche”, defi-nizione in parte vera se facciamo preva-lere l’aspetto più propriamente storico ri-spetto a quello scientifico; sta di fatto che

per “cose antiche” possiamogenericamente intendere imolteplici aspetti del mon-do passato, giunti sino a noisotto le sembianze di un belvaso o ravvisabili nei cam-biamenti subiti da un pae-saggio ad opera dell’uomo.

Possiamo considerare “ar-cheologia” sia lo studio deireperti nei quali è tangibil-mente ravvisabile l’impron-ta umana, sia l’attento esa-me delle varie stratificazionidel terreno, sovrappostesinel corso dei secoli, in una

zona non antropizzata dove (magari mi-gliaia di anni fa, in un clima diverso dal-l’attuale) cresceva una vegetazione diparticolare tipo.

Non fraintendeteci: questo sempliceesempio non vuole indicare che l’arche-ologia si occupa di indagare esclusiva-mente le tracce dell’uomo del passato,ma intende rendere palese la difficoltà didefinire i mezzi attraverso i quali questascienza opera per il raggiungimento deisuoi obiettivi.

Nel caso della scienza archeologicaquesti ultimi si concretizzano nella rico-struzione delle caratteristiche (a volte leg-gibili con facilità ma più sovente ben na-scoste) di un mondo passato del qualel’uomo si è rivelato l’elemento principaledi innovazione e di cambiamento.

Cap. 2 L’Archeologia come disciplina

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Grazie alla scienza archeologica, intereciviltà, non altrimenti conosciute, hannopotuto essere illustrate attraverso il recu-pero dei loro resti naturali: ben poco, sen-za l’intervento archeologico, sarebbe in-fatti noto a proposito dei Sumeri e delleciviltà dell’Indo o ancora, e soprattutto,della preistoria.

L’archeologia ha antiche radici. I re neo-babilonesi possono già essere conside-rati le prime figure di archeologi per laloro opera di restauro di monumenti pre-esistenti. Nell’Iliade, invece, appare evi-dente la cognizione di come gli antenatiusassero la pietra (IV, 655 ). Inoltre è si-gnificativo che resti di animali preistoriciscoperti a Capri e strumenti attribuiti ad“eroi” facessero mostra nei palazzi diAugusto (Svetonio, Aug. ,72). Si è co-munque ancora lontani dalla sistematici-tà che caratterizza una qualsiasi ricercascientifica, così come lontana da unascienza archeologica è la mentalità me-dievale condizionata, per la ricostruzio-ne del passato più antico dell’uomo, quasiesclusivamente da un’interpretazione let-terale della Bibbia.

È con l’Umanesimo che riprendeva l’in-teresse per l’indagine in esame, ma co-munque ancora con finalità che non sidiscostavano dal semplice collezionismo.

La scoperta dell’America si rivelò inve-ce uno stimolo determinante per lo svi-luppo della scienza archeologica ed inparticolare della preistoria. L’impatto conpopolazioni che usavano ancora stru-menti in pietra portò gli europei a con-frontare questi oggetti con altri che si rin-venivano nel Vecchio Continente e cheprima venivano considerati, dalla scien-

Cap. 3 Piccola storia dell’Archeologia

za ufficiale come dalla tradizione popo-lare, prodotti di origine naturale (glosso-petre, ossia pietre del tuono): nascevacosì quello che si può definire il metododell’etnografia comparata.

L’archeologia moderna è comunque unprodotto del Settecento illuminista. In par-ticolare J. J. Winckelmann (1717-68) pro-pose uno studio dell’arte da un punto divista storico: il limite del ricercatore tede-sco consiste però nell’aver ridotto l’areadi azione dell’archeologia al solo campoartistico.

Gli interventi di Napoleone in Egittopermisero l’organizzazione di un primostudio archeologico sistemistico, che haavuto come oggetto i monumenti farao-nici. Si trattò però di un’opera non im-mune da aspetti negativi: si inauguravainfatti una intensa attività di rapina (ne èesempio la famosa “Stele di Rosetta”, coniscrizioni trilingue in greco, demotico egeroglifico, divenuta fondamentale pergiungere alla decifrazione delle due ulti-me grafie) da parte di privati o di governidell’Europa nordoccidentale. Altrettantoemblematica è in tal senso l’asportazio-ne dei fregi di Fidia dal Partenone ad ope-ra dello scozzese Lord Elgin (1766-1841).Si trattava inoltre di un attività che veni-va portata avanti all’ombra di pretese giu-stificazioni morali: le popolazioni locali,italiane, greche o vicine orientali, sareb-bero state troppo arretrate e quindi inde-gne di conservare testimonianze così altedel passato.

È così che, attraverso difficoltà di varianatura, l’archeologia finì per affermarsicome una ricerca pianificata, a partiredalla seconda metà dell’Ottocento.

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Agli inizi del ’900 è ormai possibile par-lare di moderne tecnologie d’indagine: siriconosce definitivamente l’importanza didocumentare la successione stratigraficadei depositi archeologici (il che significaanche ottenere un’informazione di tipocronologico, come già aveva intuito Tho-mas Jefferson, terzo presidente degli StatiUniti, e come aveva constatato tra i primiHeinrich Schliemann – 1822-1890 – nelcondurre gli scavi a Troia), di studiarel’evoluzione dell’ambiente che circondaun sito archeologico (ecofatti) e di avereun’informazione in dettaglio di quantoviene portato alla luce per giungere adun’interpretazione il più fedele possibiledi un sito e dei modi di vita delle popola-zioni che lo hanno abitato (introduzionedella cartografia di scavo e dello scavo aquadrati).

È poi alla fine della seconda guerramondiale che le applicazioni tecnico-scientifiche diventano una nota dominan-te della ricerca archeologica, una ricercache avverte sempre più il suo caratteredistruttivo (ogni scavo di per sé distrug-ge un deposio e quindi qualsiasi indagi-ne non può essere ripetuta) e di conse-guenza la necessità di disporre di dati ilpiù possibile esatti: in tal senso si inseri-scono le tecniche di datazione assoluta(il problema della periodizzazione dellastoria umana è sempre stato oggetto dicomplesse indagini archeologiche).

Abbandonata la visione biblica dell’ori-gine dell’uomo e prima dell’introduzionedi tecniche chimico-fisiche di ricerca, unaintuizione assai significativa si è dovuta aOscar Montelius (1843-1921) che ha in-trodotto la datazione assoluta incrociatacon fonti scritte: ad esempio, un oggettoattribuibile ad un determinato periododella civiltà egizia, documentato da fontiscritte, scoperto in un sito protostoricoitaliano, data questo contesto. Altrettan-to può dirsi per la dendrocronologia ostudio degli anelli di accrescimento deglialberi. Meno felice è stato il tentativo diArthur Evans (1851-1941) a Creta di cor-relare il problema della cronologia del-l’uomo allo spessore dei depositi: que-st’ultimo infatti può variare in modo con-sistente per una serie innumerevole dimotivi.

Soprattutto nell’arco degli ultimi duesecoli l’archeologia è diventata una disci-plina scientifica e nel medesimo tempoha coinvolto un numero sempre maggio-re di operatori e di pubblico: è divenutain sostanza una scienza pubblica. Ciò haportato spesso gli archeologi ad interro-garsi sul significato della loro opera (em-blematico il sorgere negli anni ‘50 della“nuova archeologia” americana, convin-ta ottimisticamente che lo studio dell’evo-luzione della civiltà possa offrire un con-tributo concreto alla risoluzione dei pro-blemi della nostra società). Purtroppo ilrovescio della medaglia consiste nel fat-to che l’archeologia seria talora apparepoco interessante ed i limiti della docu-mentazione archeologica non semprevengono accettati con serenità dagli “ap-passionati” ed hanno qui favorito il sor-gere di una “fanta-archeologia”, di un’ar-cheologia della sensazione, dei misteri,delle grandi scoperte dei tesori, una pseu-do-archeologia che in sostanza rappre-senta un salto nel passato più remoto diquesta disciplina.

Scavi archeologici a Roma nel 1813.

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Volontariato e Archeologia, un binomiopossibile? La risposta è senza dubbio af-fermativa se prendiamo in considerazio-ne quanto è stato fatto finora con grandesuccesso dai Gruppi Archeologici d’Italia.

Un binomio consolidato che dal 1965ha dato ottimi risultati e che ci fa guarda-re al futuro del nostro patrimonio cultu-rale con maggiore ottimismo. Oggi, in-fatti, sono moltissimi i giovani che, comenoi, si avvicinano a quella splendida di-sciplina che è l’archeologia, chi per cu-riosità, chi per passione e chi attratto dal-l’alone di mistero che la circonda; nellamaggior parte dei casi ne rimangono de-finitivamente legati. Un fascino senzadubbio irresistibile e, per quanto riguar-da la nostra formazione culturale, estre-mamente ricco di soddisfazioni.

Ma che tipo di volontariato è il nostro?Quali sono i reali obiettivi che noi volon-tari archeologici ci proponiamo di rag-giungere?

È sufficiente leggere lo statuto deiG.A.d’Italia per notare che il secondo ar-ticolo risponde in maniera chiara a que-ste domande: “L’Associazione ha lo sco-po di individuare, accertare, tutelare e va-lorizzare il patrimonio culturale...”.

Tralasciando per ora ogni discorso dietica e morale, il nostro è senza dubbioun obiettivo inequivocabile ed importan-te: siamo i primi ad essere d’accordo sulfatto che bisogna smettere di assisterepassivamente al depauperamento e allarovina delle evidenze del nostro passa-to; siamo coscienti che nel corso del tem-po l’uomo ha cominciato a dimenticareciò che era accaduto nei secoli che loavevano preceduto per pensare solo al

Cap. 4 Il volontariato e l’archeologia

Estratto dal Regolamento Generaledei Gruppi Archeologici d’ItaliaART. 1 - SCOPIPer la realizzazione dei suoi scopi, l’Associazione sipropone di:a) sensibilizzare l’opinione pubblica italiana e straniera,in particolare i giovani, ai problemi riguardanti la tutela ela valorizzazione del patrimonio dei Beni Culturali ed Am-bientali;b) stimolare l’applicazione delle leggi vigenti, promuove-re l’emanazione di norme legislative e di provvedimentiamministrativi allo scopo di proteggere ed accrescere il pa-trimonio dei Beni Culturali ed Ambientali (archeologici, ar-chitettonici, ambientali, artistici, archivistici e librari);c) collaborare con tutte le associazioni, enti preposti e pri-vati che perseguano gli stessi fini in Italia e all’estero;d) svolgere attività statutaria anche all’estero, previ ac-cordi con i governi interessati;e) promuovere la gestione e/o acquisto da parte dell’As-sociazione di aree archeologiche, monumentali, esposizio-ni museali, assicurandone la valorizzazione e la tutela;f) incoraggiare e collaborare alla creazione di musei perfavorire la più larga partecipazione dei cittadini alla cono-scenza e alla valorizzazione e fruizione del patrimonio cul-turale;g) partecipare attivamente, nell’ambito delle strutture pub-bliche di protezione civile, alle iniziative promosse per ilsalvataggio del patrimonio culturale;h) favorire, promuovere e organizzare iniziative di turi-smo sociale e giovanile nel campo dei Beni Culturali;i) promuovere la compilazione, la pubblicazione, l’edizio-ne e la diffusione di riviste e notiziari, di guide e monogra-fie, di relazioni di ricerca, di audiovisivi, di carte archeolo-giche, di fotografie e disegni, di rilievi e quant’altro ri-guardante i Beni Culturali;l) promuovere e organizzare attività di formazione cultu-rale per gli associati;m) promuovere la fruizione, da parte dei cittadini, dei BeniCulturali oggetto dell’attività della Associazione tramite mo-stre, convegni e conferenze.

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presente, ai propri interessi senza curar-si minimamente delle testimonianze deipropri progenitori. A questa regola nel-l’antichità si sono sottratti pochi uominidi cultura; oggi, le loro intuizioni ed i lorocredo, adattati al mondo in cui viviamo ealle regole scientifiche che esso ci impo-ne, rappresentano il patrimonio e lo sti-molo di una precisa categoria di perso-ne: gli archeologi.

Inizialmente circondato da un alone dimistero, col tempo la figura dell’archeo-logo è entrata a far parte della vita di tuttii giorni. Tuttavia, è solo da poco tempoche questa disciplina è diventata di do-minio pubblico, rendendosi accessibile achiunque grazie al volontariato.

Quello dei Gruppi Archeologici d’Italia

è un volontariato che permette a ciascu-no di noi di accrescere la propria culturaavvicinandoci in maniera semplice (mascientifica) alla ricerca archeologica; allostesso tempo, valorizza e rende fruibilea tutti il nostro patrimonio storico-artisti-co, consentendoci di contribuire al pro-gresso culturale.

Pur non essendo archeologi professio-nisti avremo sempre la possibilità di la-vorare con essi, partecipare a campagnedi scavo e ad iniziative di valorizzazione,cooperare nell’ambito della protezione ci-vile, pubblicare testi (come quello chestate leggendo) e quindi far valere le no-stre idee, riempiendo i nostri cuori di or-goglio e di ammirazione per un passatodi cui siamo consapevoli eredi.

L’Italia è la nazione che, fra tutti i Paesi del mondo, ha la più grande concentrazionedi monumenti, luoghi e oggetti di carattere artistico-archeologico. È dovere di ognunodi noi contribuire alla tutela di questo straordinario patrimonio, che appartiene a tuttal’umanità, così come è doveroso muoversi con il medesimo spirito nei confronti dellealtre nazioni e dei resti archeologici che possiedono.

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La ricognizione è la prima delle nume-rose fasi di un’indagine archeologica; essaha sì come scopo la ricerca di nuovi sitima anche il riscontro sul terreno di indi-cazioni di cui siamo già in possesso, inmodo da poter ampliare le nostre cono-scenze e l’indagine stessa sulla base deiritrovamenti.

Condurre una ricognizione significa, intermini più ampi, rilevare in modo siste-matico la morfologia di un territorio al finedi individuarvi tracce di attività umana edi definirne a priori la potenzialità archeo-logica. L’osservazione del paesaggio nonpotrà fornire alcuna utile indicazione senon verrà suffragata da una buona co-noscenza delle caratteristiche dell’area ge-ografica in esame. Inoltre l’indagine delpassato archeologico di una regione devetenere conto di tutte quelle variazioniambientali che possono aver determina-to le strategie insediative dell’uomo; adesempio, la geologia svolge un compitofondamentale poiché è in grado di svela-re la natura del suolo, quindi di formula-re ipotesi sulla vegetazione primaria, suimutamenti ambientali e, inoltre, sul tipodi agricoltura possibile.

L’indagine sul terreno deve comunqueconsiderare le strategie insediativeespresse dall’uomo sul territorio stesso:prima dell’epoca neolitica, durante la qua-le l’uomo inizia a praticare l’agricoltura equindi ad abbandonare il nomadismo,l’uomo preistorico era solito muoversi li-beramente e non possedere sedi fisse.Poche e precise sono quindi le condizio-ni ideali che l’uomo primitivo andava ri-cercando nei suoi vagabondaggi: grottee luoghi riparati, difendibili e ben esposti

Cap. 5 La ricognizione (o prospezione archeologica)

al sole, ricchi di selvaggina, in prossimitàdi zone con materiale per costruire uten-sili (cave di selce), con possibilità di ap-provvigionameto idrico e così via. A par-tire dal Neolitico, l’uomo agricoltore cer-ca invece le terre fertili, senza però inse-diarsi in pianure alluvionali per il rischiodelle inondazioni; oppure cercherà i fer-tili altipiani sui quali l’acqua è abbondan-te. Più tardi, diventato completamentesedentario, scende verso la pianura ovel’acqua è più abbondante e i terreni piùadatti alle coltivazioni. Due imperativi gui-dano dunque l’uomo nella sua ricerca delluogo ideale: l’acqua e la terra coltivabi-le. Tuttavia, nei periodi successivi, l’uo-mo cambierà ulteriormente questi suoicriteri per il sopraggiungere di nuove pro-blematiche, fra le quali i conflitti fra grup-pi umani. Questo fa sì che l’uomo si sta-bilisca in luoghi allo stesso tempo difen-dibili e coltivabili, occupando posizionistrategicamente importanti, a fianco del-le quali costruisce i suoi abitati, o ancoraoccupando zone di importanza puramen-te geografica (pendii rivolti a sud ove lamaggiore insolazione è utile al riscalda-mento e alla coltivazione).

Durante la ricerca di un sito sarà op-portuno quindi chiedersi: seguendo i cri-teri appena esaminati, dove poteva es-sersi insediato l’uomo?

Un’altra cosa da ricordare nella nostraricerca è la persistenza in taluni luoghi, dicredenze, leggende, miti e superstizioniche, per quanto strane ed a prima vistaincomprensibili possano apparire, si ri-conducono sempre a qualche traccia diverità. Non dimentichiamo infatti che l’uo-mo fin dalla notte dei tempi è sempre

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stato solito giustificare la propria ignoran-za verso fenomeni naturali o fatti storiciremoti con spiegazioni che, plausibili pergli uomini di allora, sfiorano i limiti del-l’assurdo per l’uomo moderno.

Può dare grandi frutti lo studio delle ori-gini dei nomi dei luoghi: la toponomasti-ca. Questo tipo di indagine cerca di spie-gare come alcuni nomi attuali (ad esem-pio nomi di strade, città e località in ge-nere) abbiano origini precedenti, talvoltaassai antiche e riconducibili a precedentipresenze umane.

Sarà opportuno condurre un’appropria-ta ricerca di fonti scritte che potrannodarci utilissime informazioni sui luoghi daesaminare. Anche la ricerca di informa-zioni e di racconti dalla popolazione lo-cale sono possibili fonti di informazioni.Non tralasciamo nulla.

Nella ricerca sistematica del sito spes-so il caso rappresenta un elemento de-terminante, ma ancor più frequentemen-te può essere utile, qualora sia possibile,avvalersi di sistemi tecnologici come lafotografia aerea che, permettendo unavisione “dall’alto”, ci consente di vederecose che da terra non sono visibili. È inol-tre possibile utilizzare sistemi squisita-mente scientifici quali ricognizioni permezzo della propagazione di onde sismi-che o procedimenti magnetici ed elet-tromagnetici. Essi però sono così com-plessi e poco accessibili (anche dal pun-to di vista… economico) che nel nostrocaso non è opportuno approfondire la di-scussione.

5.1 - Osservazioni sul terreno

Lo studio del terreno presupponeun’importante componente empirica:pertanto può essere perfezionato soltan-to attraverso l’esperienza; solo un “os-servatore” estremamente allenato saprà

riconoscere resti di attività umana in ognisua manifestazione, dai frammenti allestrutture nascoste.

In tutti i casi sarà utile, invece, percor-rendo la nostra zona da indagare, ricor-darsi di annotare ogni particolare sul dia-rio della ricognizione facendo sempre ri-ferimento ad una carta geografica. La car-tografia è un aspetto estremamente im-portante della ricognizione: essa può av-valersi delle carte topografiche militari (ta-volette IGM) o dalle più dettagliate e re-centi Carte Tecniche Regionali. La carto-grafia è importante in quanto, oltre a per-mettere un accurato orientamento duran-te le uscite sul territorio, può rivelare l’an-damento di confini, di strade e sentieriche spesso sono i resti “fossili” di inse-diamenti abbandonati o di antiche cen-turiazioni.

Mentre procederemo nella perlustrazio-ne del territorio annoteremo inoltre i puntifavorevoli o meno all’insediamento ur-bano e quindi le possibilità di coltivare,di difendersi, la vicinanza con un corsod’acqua. Così, con piena cognizione dicausa, potremo ipotizzare nella zona stu-diata l’esistenza (o meno) di un sito e pro-cedere quindi ad una più dettagliata ri-cerca delle evidenze archeologiche.

A questo punto approfondiamo il di-scorso sulle cosiddette osservazioni «avista», ossia quelle che potremo fare tran-quillamente a piedi percorrendo la no-

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stra zona di indagine. La nostra capacitàdi osservazione andrà sviluppata conopportuni accorgimenti che ci permette-ranno di notare meglio quelle che sonoimportanti presenze archeologiche;l’identificazione di un sito può avveniresolamente attraverso l’osservazione ra-gionata della sua natura e delle influenzesul terreno che creano particolari irrego-larità geomorfologiche. Gli indizi sono co-stituiti da irregolarità dei rilievi, da ano-malie o particolaritàdella vegetazione odella fauna, da traccedi antiche vie di co-municazione, da mo-dificazioni insolite dirocce, ecc...

Cominciando dal-l’osservazione dei ri-lievi, indipendente-mente dalle traccemurarie visibili o no,numerose forme diessi sono talvolta in-tegrate nel paesaggioin modo tale che soloocchi esercitati posso-no riconoscervi indiziarcheologici.

Molte sono le for-me riscontrabili sulterreno (fig. 1), alcu-ne più semplici da ri-scontrare, altre difficil-mente visibili, co-munque ciascuna ac-compagnata da de-terminate caratteristi-che e geometrie.

Potremo dunquetrovare:

• colline di piccoledimensioni, rotonde,ovali, o regolari che

possono indicare presenza di tumuli ostrutture interrate; quando sono a som-mità spianata può trattarsi di alture artifi-ciali adibite ad abitato fortificato oppuredi spianamenti per agricoltura;

• collinette di forma irregolare che pos-sono indicare presenza di monumenti di-strutti, resti di villaggi, di case o stanzia-menti temporanei.

• terrapieni di forma molto allungatapossono essere tracce di morene, letti ab-

FIG. 1 - Alcuni profili significativi che potrebbero derivare da strutture sepolte:A, B = tumulo; C, D = “motta”, aia, base di monumento, tomba; E = strutture inrovina; F = fortificazioni; G = “motta” medievale; H = necropoli; J = teatro antico;K = anfiteatro; L = villaggio; M = fortificazione dell’età del Ferro.

Fossato normale.A = rilievo di terra di riporto; B = depressione; C = livello.

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bandonati di fiumi, terrazze fluviali o per-sino di antiche strade;

• recinti con rilievi di terra possono in-dicare capanne, opere di difesa, fortifica-zioni e, se di forma ellittica, un anfitea-tro;

• fossati e depressioni possono rappre-sentare cave, trincee o fossati di fortifica-zioni;

• recinti in pietre, se ubicate su unacollina, indicano fortificazioni o villaggi.

Anche l’osservazione della vegetazio-ne può fornire indicazioni utili a ritrovareindizi archeologici. Essa però può darerisultati più o meno eccellenti a secondadella stagione durante la quale viene ef-fettuata: l’osservazione d’inverno, quan-do la neve appiattisce tutti i rilievi, è as-solutamente sfavorevole, mentre in esta-te, durante la massima fogliazione saràmolto difficile notare certi particolari.

Ci si può accontentare di effettuare ri-cognizioni nei mesi primaverili e in au-tunno inoltrato, o per lo meno tenere pre-sente di quanto detto.

Sarà un’indicazione preziosa osserva-re anche i terreni spogli di vegetazione,notare i colori diversi della terra e soprat-tutto notare le anomalie nella vegetazio-ne. È infatti necessario aver presente chele vestigia sotterrate, mutando la com-posizione minerale e chimica della terrache le ricopre, condizionano la crescitadei vegetali, o fitogenesi (fig. 2).

Solitamente la vegetazione cresce rigo-gliosa dove la terra è stata rivoltata pro-prio perché trattiene più umidità e mag-giore quantità di fosfati di quella non la-vorata. Ricordiamoci quindi che, duran-te la stagione secca, nei fossati e là dovela terra risulta lavorata la vegetazione ri-mane verde più a lungo.

Gli allineamenti e i gruppi d’alberi cheseguono un percorso geometrico posso-no seguire la geometria di vestigia sepol-

te. In estate l’erba si secca più rapidamen-te nei luoghi in cui l’humus è meno spes-so (probabilità di mura sepolte - fig. 2a).

Nei terreni sabbiosi o instabili le piantetendono ad aggrapparsi a strutture inter-rate. Alcune piante (erba medica, asfo-deli) indicano la presenza di calcare equindi di pietra di costruzione (fig. 2b).

Lungo i pendii la vegetazione è più fittaa monte di ostacoli che trattengono l’umi-dità (fig. 2c).

Come regola generale basta ricordarsiche sopra le cavità e dove il terreno è ric-co e umido la vegetazione cresce rapida-mente ed in altezza, mentre al di sopra

FIG. 2 - Rapporti tra sottosuolo e vegetazione.

A

B

C

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di strutture interrate la vegetazione è piùsecca, più rada e la sua crescita menorapida.

Ricordiamo infine che i tumuli di pie-tra, essendo di ostacolo alla coltivazio-ne, spesso sono circondati da alberi; èinteressante sapere che determinati tipidi piante ci possono indicare determina-te presenze nascoste: piante isolate cre-scono su ammassi conchigliferi, su stra-de antiche (asfodeli), su recinzioni moltoumide (felci), su rovine (rovi, spini, giug-giole)...

Dopo aver introdotto queste conoscen-ze immaginiamo dunque di intraprende-re un’indagine sul territorio ed evidenzia-mo i passi necessari per procedere cor-rettamente.

Innanzitutto, dopo aver individuato ilsito o la zona geografica favorevole, è op-portuno raccogliere il maggior numeropossibile di fonti, indicazioni letterarie epopolari, in una documentazione del sitoche ci accompagnerà sul territorio alloscopo di verificarne la validità e trovareindizi utili.

Dovremo sempre portare con noi undiario ove annotare la data, i partecipan-ti, il percorso, gli avvistamenti e tutto ciòche può tornare utile per approfondire laricerca.

Non fidiamoci della sola memoria: po-trebbero sfuggirci particolari importanti.

Portiamo sempre con noi un riscontrotopografico, ossia una cartina geograficail più possibile dettagliata (va benissimouna cartina IGM) grazie alla quale segui-remo il nostro percorso ed avremo sem-pre riferimenti precisi (coordinate, altime-tria, ecc..) sul punto in cui ci troviamo oche dobbiamo raggiungere.

Saranno altresì utili strumenti come unbinocolo, una bussola e tutto quant’altropuò essere ritenuto necessario; ricordia-moci inoltre di portare qualche sacchettoper raccogliere eventuali ritrovamenti di

superficie (avendo precedentemente in-serito nel sacchetto un cartellino con i datidella ricognizione). Quanto alla documen-tazione fotografica, essa è molto impor-tante sia per accompagnare un resocon-to sull’indagine sia per la nostra docu-mentazione del sito. Sarà quindi neces-sario essere muniti di attrezzatura foto-grafica con la quale procederemo a foto-grafare tutto quanto di importante trove-remo durante la ricerca (vedi cap. 9).

L’indagine vera e propria solitamente èrappresentata da una sorta di “passeg-giata mirata”, durante la quale i parteci-panti si divideranno e, alla distanza diqualche metro l’uno dall’altro, percorre-ranno tutto il tratto da esaminare. Que-sto metodo permette un più accurato esa-me del terreno, risparmiando tempo epercorrendo quindi estensioni maggiori.

Quindi, durante la camminata si pro-cederà con gli occhi sul terreno alla ricer-ca di frammenti e altre evidenze mentreuno o più membri del gruppo si occupe-ranno di segnare il percorso sulla cartaaccompagnandolo con altre preziose in-dicazioni (altimetria, orientamento, leg-gibilità del terreno, informazioni geologi-che, ecc...).

Ogni qual volta avvenga un ritrovamen-to oppure terminata la perlustrazione diuna zona, sarà opportuno fermarsi, rac-cogliere tutte le impressioni o osserva-zioni e compilare una scheda di ricogni-zione (valida appunto per documentareanche modesti tratti del percorso o evi-denze archeologiche).

5.2 - Come documentare la ricognizione

Come già accennato è importante do-cumentare la ricognizione in maniera ac-curata; ecco un elenco di ciò che dovre-mo ricordarci di segnalare sul nostro so-lito diario:

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Data e luogo della ricognizione, parte-cipanti, riferimento cartografico in coor-dinate (qualora sia possibile), descrizio-ne della zona (collina, campo arato, ver-sante soggetto ad erosione, letto fluvia-le, ecc...), rinvenimenti, osservazioni, fo-tografie, toponimi da studiare, proposteper future indagini e, in definitiva, tuttociò che riteniamo utile.

Alla fine della ricognizione oppure ter-minato lo studio di una piccola zona, ènecessario compilare la “scheda di rico-gnizione” nella quale verranno inserite inmaniera più coerente le informazioni rac-colte nel diario; questa operazione è uti-lissima ai fini archeologico-archivistici eserve per completare le nostre fonti con iriscontri sul terreno.Essa sarà poi accom-pagnata da una relazione che fornirà unadescrizione più dettagliata e servirà a rac-cogliere tutte le impressioni, i commentidel ricognitore, nonché riporterà il per-

corso ed i ritrovamenti. Questa relazioneelencherà i reperti rinvenuti e dovrà es-sere seguita da una cartina (che riporti iltracciato e l’ubicazione del sito) e dalladocumentazione fotografica.

La ricognizione dovrà anche servire perrealizzare una serie di basi cartograficheche completino la documentazione del-l’area e contribuiscano alla comprensio-ne del contesto. Per comprendere me-glio l’ubicazione di un sito verranno per-tanto realizzate cartine riportanti la leggi-bilità del terreno (fig. 3), la presenza deireperti in termini di frequenza e di tipolo-gia (fig.4). Sarà poi utile la realizzazionedi una carta più ampia (figg. 5-6), com-prendente tutto il territorio in esame conla segnalazione di tutti i siti, presenze ex-trasito, antichi tracciati viari e strutture ur-bane, scoperte nel corso dell’indagine sulterritorio; tutto ciò per capire meglio latopografia storica del luogo.

FIG. 3 - Esempio di cartina con l’indicazione della leggibilità del terreno.

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FIG. 4 - Esempio di cartina con l’indicazione della distribuzione dei reperti.

FIG. 5 - Esempio di carta archeologica.

FIG. 6 - Esempio di carta archeologica indettaglio effettuata in base ad una cartina CTR.

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5.3 - Come si utilizza una carta topografica (IGM) in ricognizione

Le cartine geografiche normalmenteutilizzate in ricognizione sono quelle del-l’Istituto Geografico Militare, dette piùsemplicemente IGM, in genere in scala1:25.000 (fig. 7). Esse sono di norma suf-ficientemente dettagliate anche se spes-so non risultano molto recenti.

Innanzitutto è bene spiegare come silegge una cartina IGM: il suo orientamen-to Nord-Sud corrisponde con i bordi si-nistro e destro del foglio, e quando man-cano questi bordi (capita se si utilizzanofotocopie) ci orienteremo con quelle li-nee ortogonali che appaiono in tutta lacartina e che rappresentano i meridiani ei paralleli del globo terrestre (i nomi deiluoghi sono scritti con orientamentoOvest-Est). Detto questo avremo semprepresente in quale direzione sarà il nord equindi il nostro senso di marcia se ci pre-occuperemo di guardare la cartina, in fasedi ricognizione, tenendola sempre alline-ata con i punti cardinali. Quanto alla let-tura della carta, bisognerà imparare la le-genda che la accompagna eche ci spiega la simbologia uti-lizzata. Importante, e non fa-cile da capire, è il funziona-mento delle isoipse, o curvedi livello; queste ultime rap-presentano l’altimetria dellazona e sono formate collegan-do tutti i punti che sorgonoallo stesso livello; l’equidistan-za tra una linea e l’altra è ge-neralmente di 25 metri. Leisoipse più “spesse” rappre-sentano le isoipse fondamen-tali, cioè quelle con altimetriaben definita (es. metri 500,600, ecc..). I corsi fluviali, senon sono colorati, sono assai

difficili da distinguere e sono riconoscibi-li come linee sottili che intersecano le isoi-pse e non compaiono nella legenda cometracciati stradali. Una cartina IGM riportainoltre alcune strutture urbane come edi-fici, vie di comunicazione, linee elettrichee gasdotti che ci aiuteranno a localizzaremeglio sulla carta il punto in cui ci verre-mo a trovare durante la ricognizione. In-fine altri elementi, come i tipi di vegeta-zione predominante, possono esserci utilicompilando la scheda di ricognizione edescrivendo il nostro sito.

Sulla cartina in nostro possesso segne-remo il percorso e l’area indagata coloran-do quest’ultima con colore diverso a se-conda della leggibilità del terreno ossia seil terreno è più o meno favorevole all’indi-viduazione di resti archeologici (es: terre-no arato = leggibilità ottima = colore rossoa tratteggio semplice; terreno con erba pocofitta = leggibilità buona = colore blu a trat-teggio fitto; terreno con erba alta e vegeta-zione coprente = leggibilità scarsa = colorenero a tratteggio incrociato). Infine segne-remo sulla carta anche i luoghi dei ritrova-menti e la presenza dei reperti (più o menocome per la leggibilità del terreno).

FIG. 7 - Esempio di cartina IGM

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SENTIERO

PARTIZIONE AGRARIA

STRADA

QUOTA ALTIMETRICA

ISOIPSE

FIGG. 8 e 9 - Esempio di Carta Tecnica Regionale (CTR):particolare ridotto tratto da un originale in scala 1:5000con le partizione agrarie e le curve di livello (equidistan-za di cinque metri).Le cartine CTR, più precise delle IGM, possono essereusate al loro posto, ma sono di difficile reperibilità.

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5.4 - La “Scheda di Ricognizione”

La scheda di ricognizione va compila-ta il più accuratamente possibile accom-pagnandola da una cartina su cui sia benevidenziato il sito ed il percorso dell’in-dagine. La scheda riporta, oltre a dati

generici riguardanti il sito, informazionisui reperti rinvenuti (la loro distribuzio-ne, le tipologie, la quantità, ecc.), notetecniche relative alla conservazione delsito e, infine, qualche breve appunto digeografia fisica.

Riportiamo di seguito una scheda com-pilata in ogni sua parte come esempio.

5.5 - La ricerca bibliografica e la toponomastica

Importantissima, anzi essenziale, è laricerca delle fonti scritte o ricerca biblio-grafica. I testi sono, per tutta la parte sto-rica dell’evoluzione umana, una prezio-sa fonte di informazioni per l’archeolo-gia. Gli antichi però tramandavano la sto-ria in modo fin troppo soggettivo (esal-

tando particolari vicende e distorcendola realtà); è per questo che le fonti si rive-lano oscure e difficili da interpretare; èraro tuttavia che si rivelino del tutto false.Sarà quindi nostro compito, in questafase della ricerca, recarsi negli archivi,nelle biblioteche, alla ricerca di cronachelocali e di ogni indizio che ci aiuti a ri-comporre la storia del nostro sito o, al-meno, ci indirizzi verso la sua compren-

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sione. Il compito non sarà facilissimo,anche perché non sempre le fonti scritte,in particolare quelle non recenti, sonochiaramente interpretabili; ad esempio,rispetto a quelle recenti, le mappe anti-che rivelano in genere significativi cam-biamenti, sia nella disposizione dei luo-ghi, sia nella presenza di edifici o siti.

Tenendo in debita considerazione an-che il più piccolo indizio, diventeremo in-vestigatori alla ricerca di documenti scom-parsi e di preziose informazioni conl’obiettivo di ricostruire, scorrendo i se-coli, la presenza umana nel nostro sito.

Altro aspetto importante della ricerca èrappresentato dalla toponomastica, os-sia lo studio dei nomi dei luoghi geogra-fici. Nel nostro caso si tratterà ovviamentedi toponimi strettamente locali e solita-mente di carattere insediativo: strade,ponti, case, ecc...

Alcuni nomi di luoghi parlano da soli(Castelletto, Castellazzo, ecc…), altri sonomeno espliciti perché profondamente tra-sformatisi con il trascorrere dei secoli;ecco allora che dovremo risalire alla lorooriginaria denominazione con lunghe ri-cerche in base alla originaria lingua delluogo. Queste origini hanno un impor-tante valore indicativo in una ricerca ar-cheologica. Un esempio di facile com-prensione sono i nomi come Quarto,Quinto, Settimo, che indicano la distan-za in miglia dalla città più vicina. Castel-letto, Castelluccio e così via, sono topo-nimi chiaramente derivanti dall’esisten-za nella zona di un’antica torre o castel-lo. Alcune denominazioni sono sempli-cemente il risultato della trasformazionedi antichi toponimi romani, come Aostada Augusta Prætoria, Acqui da Aquæ Sta-tiellæ, Susa da Segusium; così come ilsostantivo Falleri, applicato a molti paesidel viterbese, deriva dalla corruzione del-l’originario Falerii Novi, nome di un’anti-ca città romana di quella zona.

Per ritrovare i nomi antichi delle locali-tà e dei siti sarà utile la consultazione deivecchi documenti, carte, atti notarili e ar-chivi storici. Per conoscere il loro signifi-cato sarà utile consultare un dizionariodi toponomastica oppure ci si affiderà aduno specialista di etimologia.

In conclusione il nostro sito dovrà ave-re una documentazione così composta:una storia di tutti i ritrovamenti archeolo-gici antichi e recenti, accompagnata dairisultati delle nostre ricognizioni; una sto-ria del luogo riportante ogni avvenimen-to documentato sul passato del luogoindagato, che possa aiutarci a creare unasorta di cartina che riporti ogni sito delpassato, allo scopo di farsi un’idea dicome doveva apparire la zona durante ilperiodo storico studiato con le sue abita-zioni, le sue strade, le sue città e le suenecropoli.

Cose da fare… e da non fare

• Ricordarsi sempre tutta l’attrezzatura,altrimenti si rischieranno inutili perditedi tempo.

• Annotare ogni cosa, banalità o stranez-za che sia: sono indizi utili.

• Evitare di intrufolarsi in proprietà priva-te senza aver prima parlato con i pro-prietari ed aver ottenuto con chiarezzail loro assenso.

• Evitare di fare saggi e buche che, oltrea sconvolgere la deposizione degli stratiarcheologici, possono creare problemicon i proprietari dei terreni e con leautorità locali.

• Diffidiamo della fantasia: l’archeologonon è mosso dal desiderio di misteroma cerca comprensione scientifica, chenon troverà di certo procedendo a casoed in maniera irrazionale.

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Nel corso di un’indagine archeologicasi parla molto spesso della fase di scavo;essa costituisce la risposta definitiva diuna ricerca, rappresenta cioè il vertice diuna piramide alla cui base troviamo glistudi bibliografici e le prospezioni.

Talvolta il risultato di una ricerca con-dotta sulle sole fonti può dimostrarsi co-munque sufficiente a completare la rico-struzione di un quadro di un’epoca lon-tana; resta di fatto che lo scavo archeo-logico in questi casi si rende utile quale“prova del nove” per constatare nel modopiù preciso e scientifico l’inopinabilitàdelle informazioni in nostro possesso esovente ne fornisce di nuove da integra-re alle precedenti.

Alla domanda: perché scavare? Nonbasta rispondervi dicendo che i resti sitrovano generalmente «sotto terra»; ilseppellimento di resti e rovine avviene aseconda di diversi fattori: fattori geologi-ci, zoologici, botanici e principalmentefattori umani. Cominciando dai fattorigeologici, è interessante notare come certiagenti sono in grado di seppellire questiresti ed occultarli alla nostra vista. Innan-zitutto, in ordine di frequenza, parliamodi fenomeni erosivi; si tratta della capaci-tà di alcuni agenti come l’acqua ed il ven-to, di coprire di sedimenti, a volte conspessori notevoli, il nostro originario pia-no superficiale. Avremo, a seconda deicasi, strati composti da depositi alluvio-nali (con questo termine indichiamo an-che quelli di modeste dimensioni), com-posti da frammenti di roccia di dimen-sioni variabili a seconda della forza del-l’acqua. Altresì possiamo trovare stratifi-cazioni formate generalmente da mate-

Cap. 6 L’attività di cantiere: lo scavo archeologico

riali molto fini trasportati dalla forza delvento e depositati, anche per vaste esten-sioni, sul nostro originario strato. Altrofattore geologico è rappresentato da queifenomeni catastrofici come i fenomenisismici e vulcanici che ricopriranno i no-stri resti in modi differenti a seconda deltipo e della forza del fenomeno. L’ultimofattore geologico, ed il meno interessan-te per via della sua rarità, è rappresenta-to dall’insieme dei fenomeni orogenetici(modificazioni del territorio dovute al sol-levamento delle terre emerse a causa deimovimenti tettonici che portano alla cre-azione dei rilievi montuosi) che possonocomunque creare smottamenti e piega-menti del terreno e quindi ricoprire i no-stri resti. Fattori importanti sono quelli zo-ologici e botanici; animali e piante gioca-no infatti un ruolo importante nello scon-volgimento della situazione originale; al-cuni animali viventi nel sottosuolo sonoin grado di modificare il terreno e persi-no di spostare dei resti archeologici; d’al-tra parte anche i vegetali dotati di ingentiinsiemi radicali possono sconvolgere lastratigrafia e spostare il materiale archeo-logico. Piante ed animali sono infine re-sponsabili della creazione di quello stra-to superficiale chiamato “humus”, ossiaquel primo strato che ricopre la maggiorparte dei suoli geologici e che è compo-sto generalmente da materiale organicoderivante dalla decomposizione e com-pressione di resti biologici. Per ultimi, madi primaria importanza, sono i fattoriumani; si tratta di quell’insieme di azioniumane come la costruzione di edifici so-pra rovine più antiche, oppure l’abbatti-mento e lo spianamento di aree urbaniz-

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zate, e molti altri eventi tipicamente uma-ni come gli incendi ed altre catastrofi, chefanno sì che i resti vengano sepolti e avolte sconvolti. Tutte queste modificazionie le loro tracce, dal punto di vista archeo-logico, non sono affatto negative; infattiesse non fanno altro che accrescere lastoria e l’interesse del nostro sito per co-loro che bramano capire e conoscere.

6.1 - Lo scavo stratigrafico

Nato dalla ricerca archeologica britan-nica intorno agli anni Cinquanta, lo sca-vo stratigrafico è attivo in Italia da circavent’anni. Frutto di una lunga evoluzio-ne dello scavo archeologico, esso per-mette, a differenza dei precedenti tipi discavo che miravano unicamente a por-tare alla luce i reperti, di estrarre i mate-riali secondo un preciso ordine cronolo-gico e quindi di approfondire l’evoluzio-ne del sito nelle fasi che hanno portatoalla sua rovina e seppellimento. La stra-tigrafia archeologica trae i suoi concettidai fondamenti di stratigrafia geologica,ossia quella branca della geologia chestudia le formazioni dei suoli secondoquei fenomeni di accumulo di detriti checreano una serie di stratificazioni del ter-reno, le quali sono indice di un’evoluzio-ne nel tempo secondo quei meccanismiche sono poi i medesimi della stratigra-fia archeologica; ma mentre la geologiastudia questi fenomeni per comprende-re meglio l’evoluzione del suolo, la stra-tigrafia archeologica invece indirizza que-sto obiettivo entro il campo evolutivodell’uomo e dei suoi insediamenti.

Per scavo stratigrafico si intende quel-l’attività nel corso della quale «i depositiarcheologici vengono rimossi in senso in-verso a quello in cui si sono formati, uni-tariamente, seguendo le loro forme in-dividuali, i loro contorni, i loro rilievi»

(Harris, 1979); un procedimento, quin-di, che mira a sfogliare il terreno proce-dendo verso strati sempre più antichi esuddividendo i reperti non più in base allasola provenienza geografica, bensì colle-gando la loro posizione topografica ad undeterminato periodo storico (posizionetridimensionale-cronologica).

6.1.1 - Elementi di stratigrafia

Un deposito o strato, può innanzituttoavere due differenti origini; antropica, es-sere quindi generato da azione umana,oppure può avere origine naturale, cioèessere dovuto a processi indotti da feno-meni naturali. Tutte le forme di stratifica-zione, siano esse geologiche o archeolo-giche, sono il risultato di tre diversi pro-cessi (fig. 9):

1) erosione, distruzione;2) movimento, trasporto;3) deposito, accumulo;

Mentre la stratificazione geologica èdovuta esclusivamente ad opera di forzenaturali, quella archeologica è il risultatodi forze naturali e umane, diversamentecombinate o separate fra loro. Un feno-meno che però è sempre formato da dueazioni principali: distruzione di un equili-brio e creazione di un equilibrio nuovo.

In sostanza il processo naturale si at-tua grazie ad un agente erosivo, qualel’azione dell’acqua o del vento, in gradodi sollevare o trasportare seco materialee depositarlo in altre zone quando la for-za dell’agente stesso diminuisce e perdequindi la capacità di trasporto. L’azioneumana invece è principalmente un’azio-ne di distruzione dell’equilibrio naturale,che è sempre presente sotto forma distratigrafia naturale, per adattare il terri-torio alle esigenze dell’uomo; vi saranno

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perciò azioni di distruzione atta al ricavodi materie prime e per la costruzione stes-sa degli ambienti antropici.

La formazione di una stratificazione siattua per sequenze cicliche, cioè attraver-so periodi di attività e di pausa.

I periodi di attività corrispondono almomento in cui l’agente di trasporto ac-cumula materiale e sono rappresentatidal volume dello strato. Le pauseinvece sono momenti in cui lostrato non cresce. Esse sono rap-presentate dalle separazioni trauna stratificazione e l’altra e risul-tano come superfici dette inter-facce (fig. 10). Le interfacce pos-sono anche essere descritte comei momenti di esposizione di unostrato e cioè il lasso di tempo tra-scorso fra uno strato formato euno che comincia a formarsi al disopra di esso.

Un’azione di deposito/accumu-lo comporta sempre uno strato ela sua interfaccia. L’insieme rap-

presenta unastratificazio-ne positiva(apporto dimateriale).

Un’azione dierosione/di-struzione noncomporta maiuno stratoma, anzi, unamancanza distrato (o di piùstrati) che rap-presenta unasuperficie a séchiamata an-ch’essa inter-faccia; si trattain questo casodi stratifica-

zione negativa (rimozione di materiale).

Gli strati si accumulano in un’area de-terminata chiamata bacino di deposito,costituita per lo più da depressione natu-rale o ambiente chiuso (costruzione).Bacini diversi presuppongono stratigra-fie diverse, mentre le forme del depositodipendono dal materiale depositato e

a

b

FIG. 10 - Esempio di stratificazione: sono evidenziati uno strato (a)e la sua interfaccia (b) con lo strato superiore.

FIG. 9 - Formazione di strati naturali e antropici

1 2 3

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dalla forza esercitata dalla natura o dal-l’uomo nel muoverlo.

Allo stesso tempo, per determinare seuna realtà stratigrafica è di origine natu-rale o antropica occorre tener presente:1) il tipo di materiale che la compone, 2)il modo in cui è stata erosa, 3) il modo incui è stata accumulata.

Le caratteristiche principali di uno stra-to (fig. 11) sono:

a - La superficie, che può essere oriz-zontale, inclinata o verticale.

b - Un contorno ed un rilievo, rappre-sentati da curve di livello quotate.

c - Un volume.d - Una posizione topografica (tre di-

mensioni).e - Una posizione stratigrafica, che rap-

presenta l’elemento cronologico relativo(concetto di più antico - più recente, ri-spetto agli strati circostanti).

f - Una cronologia assoluta rappresen-tata dal reperto più antico in esso conte-nuto, il che ci richiama al periodo in cuiha avuto inizio il deposito (si prende acampione il reperto più antico per evita-re di datare lo strato con reperti intrusi inetà più recente).

FIG. 11 - In alto a sinistra: superifici orizzontali e verticali di uno strato. A destra: contorno erilievo di uno strato rappresentati da curve di livello quotate. Sotto: Posizione stratigrafica di unostrato che rappresenta anche la sua datazione cronologica relativa agli strati circostanti.

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Le leggi che consentono di ricostruirela sequenza degli strati in geologia sonoriassumibili in un concetto secondo ilquale «lo strato più alto è anche il piùrecente»; ma questo vale solo per la stra-tigrafia naturale che presuppone strati in-toccati dall’uomo in cui le eccezioni aquesta caratteristica rappresentano mo-dificazioni successive. In archeologia ilconcetto sopra citato è valido solo in al-cuni e limitati casi; spesso ci troviamo aconsiderare la maggiore forza dell’uomoa sconvolgere l’originario equlibrio e do-vremo quindi comprendere gli strati se-condo la loro posizione e la loro compo-sizione (fig. 12).

Come è possibile però riconoscere adocchio nudo le differenze tra strato e stra-to? Innanzitutto sono diversi i fattori checaratterizzano gli strati e che ci permet-tono quindi di notare sostanziali differen-ze: composizione, colore, presenza bio-logica, presenza di reperti.

La composizione di uno strato è rico-noscibile grazie alla dimensione dei ma-teriali che costituiscono la massa di fon-do di uno strato (terra compatta, friabile,presenza di pietre e rocce, ecc..)

Il colore di uno strato è indice di com-posizione mineralogica differente e quindidistingue strati archeologici differenti an-che se spesso colorazioni più scure pos-sono essere attribuite alla presenza bio-logica (radici che trattengono l’umidità,ecc..)

La presenza biologica, ossia la presen-

za o meno di materiale vegetale o ani-male può anch’esso aiutarci a distingue-re strati diversi (generalmente lo stratosuperficiale o humus).

Infine la maggiore o minore quantitàdi materiale può essere indice di un nuo-vo strato; anche se quest’ultima caratte-ristica può solamente indicare una partedello stesso strato che ha visto un mag-giore utilizzo di materiale.

Certo, non è facile riconoscere differen-ze fra strati; dovremo comunque porvila massima attenzione (uno strato di-strutto non è ricomponibile) acquistan-do esperienza senza recare danni.

6.1.2 - Procedimenti di uno scavo stratigrafico

Una volta individuato il perimetro del-l’area in esame, si procederà a dividerela superficie da scavare in una serie diquadrati (quadrettatura) o in sezioni op-portunamente numerate. Questo noncome metodo di scavo in sè, bensì perrendere più facile la comprensione, l’or-dine ed il posizionamento tridimensionaledei reperti. La quadrettatura (fig. 13) vie-ne utilizzata generalmente negli scavi

FIG. 13 - Esempio di scavo in quadrettatura

FIG. 12 - Datazione assoluta di una serie di strati nonsolo considerando la posizione ma anche in base alladislocazione e allo studio dei manufatti (esempio in cuinon è valido il principio che lo strato più alto è anche ilpiù recente).

A

B

C

D

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preistorici e, più generalmente, dove nonesistono ambienti, né altre divisioni evi-denti; nella maggior parte dei casi invecesi procede prendendo come parametrodi divisione i singoli ambienti di un com-plesso edilizio oppure separando e distin-guendo numericamente una sepoltura.In questo modo ogni ambiente o settoreverrà scavato e studiato separatamentedagli altri, avrà una sua cronologia, i suoireperti e soprattutto una sua storia che,assieme a quelle degli altri settori, avrà lasua parte nel ricostruire poi, a tavolino,la storia del sito nella sua completezza.

Concettualmente, lo scavo stratigrafi-co si compone di due momenti: quellodello scavo orizzontale e quello dello sca-vo verticale (fig. 14). Essi non sono inantitesi; talvolta si alternano fra loro, al-tre volte si fondono.

Il primo tipo di scavo è mirato alla per-cezione e alla messa in luce di paleosu-perfici di deposizione sulle quali si sonofossilizzate le tracce di un momento diattività (strati).

Il secondo tipo consiste nel mettere inevidenza la tessitura dei vari strati scon-tornando le pietre, gli oggetti, i frammentiche sporgono dalla superficie. Con que-sta metodologia è possibile derivare lacronologia relativa dei contenuti del de-posito.

Ogni settore dovrà essere accurata-

mente delimitato nel suo perimetro conuna serie di picchetti collegati con del filoelastico (ove non vi siano già dei muri oaltre strutture). Ciò per rendere più accu-rata la visione del settore agli scavatori eagli addetti al rilievo.

Verrà fotografato il settore prima delloscavo (vedi cap. 9). Si procederà quindicon la rimozione degli strati: partendodallo strato in superficie essi verranno ri-mossi seguento il loro spessore e profi-lo, cronologicamente e partendo da quel-lo più recente (strato più alto oppure quel-lo strato che copre e non è coperto danessun altro strato – fig. 15).

Terminata la rimozione di uno strato sipulirà l’interfaccia che rivelerà la confor-mazione e la natura dello strato sottostan-te, quest’ultimo verrà a sua volta foto-grafato, scavato e così via sino al raggiun-gimento del terreno vergine (fig. 16).

Ogni strato dovrà avere un numero, edessere accompagnato da una scheda contutte le sue informazioni (scheda US).

L’operazione manuale dello scavo cioèla dissezione deve essere, qualora siapossibile, effettuata evitando qualsiasitipo di inquinamento del terreno; calpe-stio e alterazioni andrebbero evitate, fa-cendo ricorso a ponteggi e altre struttureche isolino la superficie da indagare. Al-tra cosa importante è il trattamento deidetriti che vengono rimossi dallo strato:

FIG. 14 - Esemplificazione di scavo verticale e orizzontale.

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FIG. 15 - Metodo di scavo: rimuovere sempre lo strato che copre ma non è coperto,questo per evitare di dover puntellare uno strato soprastante(cosa comunque assai difficile).

FIG. 16 - Metodo di scavo: l’ordine esatto per lo scavo di una stratigrafia come questa è 1,2,4,6,7,8,9(3,5,10 non sono scavabili in quanto si tratta di interfacce).

FIG. 17 - Per uno scavo ordinato e corretto occorre rimuovere e suddividere il detrito.

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essi vanno accuratamente selezionatiseparandoli per classi (terra, laterizi, pie-tre, ecc...) e accumulandoli in manieraordinata al di fuori dell’area di scavo (fig.17).

La terra rimossa generalmente vienesetacciata per trovare eventuali repertisfuggiti alla vista durante lo scavo (fig.18). I reperti che vengono rinvenuti du-rante la rimozione degli strati vanno:

- rimossi se si tratta di reperti di piccoledimensioni e assai dispersi fra loro (coc-ci, vetri , ecc...) e raccolti in sacchetti di-videndoli per strato e classe (ceramica,vetro, metallo, ecc...). Ogni sacchettodovrà essere accompagnato da un car-tellino riportante data, sito e strato.

- se vengono rinvenuti reperti signifi-cativi, intatti, o altre situazioni particolari(rinvenimento di scheletri, insiemi omo-genei di frammenti, ecc...) essi vanno ri-puliti il più possibile senza essere rimos-si finchè non verranno fotografati e posi-zionati su una apposita pianta del setto-re in scavo (rilievo).

La rimozione dei reperti deve essere ilpiù accurata e delicata possibile ondeevitare di recarvi altri danni.

I reperti verranno poi raccolti e conser-vati in sacchetti o altri contenitori (rigidise si tratta di oggetti fragili), sempre ac-compagnati dal cartellino con data, sitoe strato di provenienza (fig. 19).

FIG. 19 - I reperti vanno riposti accuratamente.

FIG. 18 - La setacciatura separa i reperti dalla terra.

6.1.3 - La registrazione dei dati

Nel sistema di documentazione di unsito in scavo si distinguono due aspetti, ilprimo dei quali è quello visivo che si espli-ca sotto forma di sezioni, rilievi topogra-fici, disegni, fotografie, ecc... Il secondoè l’aspetto scritto che si traduce in un in-sieme di schede, appunti, altre descrizio-ne scritte e in tutto quello che può facili-tare al massimo l’interpretazione e lapubblicazione. Pur non essendoci regolefisse al riguardo, negli scavi gestiti daiG.A.d’Italia esistono schede standard perdocumentare il sito, il lavoro, gli strati,nonchè alcune regole importanti per ese-guire corretamente la documentazionefotografica.

Tra i documenti principali che devonoseguire l’opera di scavo troviamo:

- Il diario di scavo;- La scheda di Unità Stratigrafica (US);- Il diagramma stratigrafico o matrix;- Il rilievo.

Il diario di scavo (fig. 20) è una sche-da che va compilata in ogni giornata diattività; essa riporta tutte le indicazioni delsito, il diario giornaliero, i rinvenimenti, ipartecipanti e altre indicazioni utili sull’at-

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FIG. 20 - Esempio di diario di scavo (o giornale di attività).

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tività di scavo.La scheda di Unità Stratigrafica (US)

è invece una scheda che documenta inmaniera accurata ogni strato rinvenutonel corso dello scavo (fig. 21).

Ogni strato deve essere accompagna-to da tutta una serie di informazioni chene descrivano accuratamente la natura eraccolte in una scheda che oltre ad avereuna funzione archivistica è utile anche per

far confronti con altri strati e altre ricer-che geologiche.

La scheda riporta tutte le indicazionisullo strato, la sua natura, le sue caratte-ristiche, la sua eventuale cronologia, i suoirapporti con gli altri strati, ecc... e va com-pilata per ogni nuovo strato che viene allaluce, contemporaneamente all’assegna-zione a quest’ultimo di un numero di ri-ferimento.

FIG. 21 - Esempio di scheda di unità stratigrafica (scheda US).

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Il diagramma stratigrafico o matrix (fig.22) accompagna la raccolta dei dati e, avista, ci permette una visione immediatadella situazione stratigrafica. Questa de-termina l’ordine cronologico degli stratied è rappresentata, come abbiamo visto,dai rapporti fra i diversi strati (taglia, co-pre, è coperto, ecc...).

Più semplicemente si tratta di un dia-gramma ove i numeri di US sono collo-cati e collegati fra loro in una sequenzatipo diagramma di flusso, in modo taleda poter capire, anche senza essere statipresenti sullo scavo, quale era l’esattasequenza degli strati (che è anche l’ordi-ne in cui sono stati scavati).

111222

444 333

777888

999

101010

111111

555666

222

444 333

111

555

666

888 777

999

101010

111111

FIG. 22 - A lato: esempi vari di matrixSopra: esempio di matrix complesso riferito ad un interosaggio di scavo. Come si vede, in questo caso il matrixnon è solo FISICO (rapporto tra strati) ma anche DISEQUENZA (cronologia dei reperti rinvenuti.

Esempio semplificatodi matrix

(semplice relazione prima-dopo)

Rapporto“uguale a”

(a causa della trincea 3, uno strato orizzontaleè stato diviso in due US scavate distintamente)

Rapporto“si appoggia - gli si appoggia”

(lo strato 1 si è formatoappoggiandosi sul muro 2))

Rapporto“copre - coperto da”

(lo strato 1 copre lo strato 2)

Rapporto“tagliato da - taglia”

(lo strato 1 è stato tagliatodalla fossa 2))

Rapporto“riempito da - rempie”

(la fossa 1 è stata colmatadal riempimento 2)

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Esistono però altri sistemi per realizza-re un rilievo; l’uso delle coordinate è fraquesti, esso però viene di solito utilizza-to per saggi di piccole estensioni, aiutan-dosi con un’apposita griglia (fig. 24).

Le misurazioni verticali (quote) vengo-no effettuate prendendo una quota di ri-ferimento chiamata “punto zero” su cuiposizionare uno strumento ottico (livel-lo o teodolite); tramite questo strumen-to ed una stadia (barra metrica) si trove-ranno le altezze dei vari punti da quotarerispetto al punto zero (figg. 25 e 26).

6.1.4 - La documentazione grafica: il rilievo

La principale documentazione graficadello scavo consiste nel rilievo: si trattadi un disegno in pianta quotata del sag-gio di scavo riportante ogni elementoemerso nell’operazione di pulizia, dalleopere murarie ai reperti più significativi.Il rilevo archeologico è inoltre una sintesitra la semplice raffigurazione del saggioe la corretta interpretazione della strati-grafia. Esso, infatti, è un disegno piùscientifico che artistico; va pertanto rea-lizzato coniugando l’aspetto architettoni-co con quello stratigrafico. Si presumequindi che lo scavo abbia permesso unaccurato esame delle stratigrafie e delleposizioni dei reperti.

La pianta di un cantiere di scavo si rea-lizza generalmente tramite rilievo diret-to, che si avvale di misure ottenute me-diante rotelle metriche e applicando il si-stema della triangolazione. Tale sistemaconsiste nell’individuare la posizione diun punto nello spazio partendo dalla po-sizione di altri due già individuati. La ri-duzione in scala e l’uso del compasso perle distanze ottenute tra i tre punti, ci per-metteranno di posizionare il nostro pun-to sulla pianta (fig. 23).

FIG. 24 - L’utilizzo di una griglia semplifica il rilievo.

FIG. 25 - Rilievo tramite strumenti ottici di precisione.FIG. 23 - Esempio di determinazione di un terzo punto.

A C B

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FIG. 26 - Esempio completo e dettagliato del rilievo diuno strato archeologico.A destra, elenco dei segni convenzionali utilizzati per larealizzazione del medesimo rilievo.

• Rilievi di depositi/costruzioni

Dopo aver registrato sul foglio il con-torno del deposito si procederà a ripor-tare all’interno dell’unità, se possibile, ladistribuzione degli elementi grossolani edaltre eventuali inclusioni.

I reperti vanno collocati nella pianta conmolta precisione quotandone ogni pun-to per rendere più agevole lo studio rela-tivo alla loro distribuzione.

Risulta utile mostrare anche l’andamen-to del deposito (tagli, pendenze, ecc..);per fare ciò possono essere usate le frec-ce di pendenza o altri segni convenzio-nali per mostrare le variazioni di superfi-cie dello strato.

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• Rilievi di tagli

I rilievi dei tagli (fig. 27) servono perpresentare le informazioni relative allesole interfacce senza includere dettagli ri-guardanti i vari cambiamenti del suolo.Segni convenzionali sono utilizzati per ri-produrre graficamente l’andamento deltaglio.

• Disegno di una sezione

Disegnare una sezione (fig. 28) permet-te una registrazione dettagliata di ogni in-formazione relativa all’andamento verti-cale di una serie di interfacce ed alla di-stribuzione delle particelle e delle inclu-sioni all’interno di un deposito. Per dise-gnare una sezione si procede stabilendouna linea di riferimento orizzontale quo-tando i punti alle estremità della sezionee facendo riferimento ad essa per la quotadi ogni punto di interfaccia.

Altre convenzioni (variabili) servirannoper rappresentare le caratteristiche di ognistrato: tessitura del materiale (argilla,limo, ecc.), colore e consistenza.

FIG. 27 - Esempio di rilievo di una complessa situazionedi taglio e relativa simbologia da utilizzare in simili casi.

FIG. 28 - Esempio di rilievodi una sezione.

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La strumenta-zione richiestadall’operazionedi scavo non èsempre uguale;essa dipende in-nanzitutto dallascelta stessa dichi effettua il la-voro. Esistonoperò alcune re-gole standardsugli strumentiche permettonodi adattarsi a tutte le esigenze ed effetua-re il lavoro nel migliore dei modi. Gli ar-nesi impiegati nello scavo vengono uti-lizzati in base:

- al detrito: in base ai differenti tipi disuolo che dovremo rimuovere useremostrumenti differenti. Esistono situazioni li-mite nelle quali ci si affida addirittura amezzi meccanici;

- al tipo di operazione: se stiamo cer-cando un’interfaccia fra due strati, un’ope-razione quindi delicata, non useremostrumenti pesanti e poco sensibili mauseremo piccoli strumenti come il male-peggio e la cazzuola;

- alla fase di scavo: per rimuovere gran-di estensioni di humus ove non ci inte-ressa fare particolari ricerche potremoutilizzare escavatori meccanici; nel casodi lavori di precisione, come la pulizia diuno scheletro o di un reperto delicato ofriabile, andranno utilizzati strumenti piùprecisi ed affidabili come il bisturi.

Gli attrezzi che devono dunque esseredisponibili per un corretto scavo sono:

Cap. 7 La strumentazione di scavoConsigli utili per un corretto utilizzo degli attrezzi di scavo

cazzuole (di varie dimensioni), scopetta(sufficientemente delicata), bisturi (me-glio quelli a lama piccola), malepeggio,pale, picconi, tridenti, machete, secchi ecarriole.

La cazzuola è forse lo strumento fon-damentale ed anche più versatile nellemani di uno scavatore. A seconda dellaconsistenza del terreno e del tipo di lavo-ro, esistono differenti tipi di cazzuole; essevariano per forma e misura. La cazzuolapiù utilizzata e più adatta al lavoro del-l’archeologo è qualla inglese chiamatatrowel (si pronucnia “traul”) anche se didifficile reperimento. L’abilità dello sca-vatore sta nel possedere una grande sen-sibilità nei confronti del terreno; con lacazzuola dovrà tastare il terreno, cercarei vari strati e persino rimuovere i reperti.Sull’uso della cazzuola esistono due im-portanti cose da ricordare: utilizzare lacazzuola conficcandola di punta nel ter-reno è cosa da evitare assolutamente inquanto può danneggiare eventuali repertinascosti; questo sistema si può utilizzare

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esclusivamente per saggiare la super-ficie di uno strato o per trovare la su-perficie di continuità di uno stratocoperto. La cazzuola va altrimentiusata tenendola orizzontale e ra-schiando il terreno che verrà via inmaniera delicata salvaguardando ireperti che stiamo cercando.

La scopetta è il complemento es-senziale della cazzuola. Spesso l’usodella scopa su unasuperficie morbida epolverosa piò rivela-re la presenza dinuovi strati, oltre cheessere utilizzata perpulire la superficiedegli oggetti recupe-rati.

Il bisturi è necessario quando bisognarimuovere piccole porzioni di terra da unframmento in fase di recupero. Il tipo dibisturi maggiormente utilizzato è quellousato in medicina: a lama molto corta edappuntita (bisogna fare però attenzionea non recare danni al reperto quali graffied abrasioni).

Il malepeggio è una sorta di piccolo

piccone con le due estremità la-vorative adatte a rimuovere la ter-ra con precisione e per tagliareeventuali radici.

Sull’utilizzo di strumenti “pesan-ti” come la pala ed il piccone èopportuno prestare una certa at-tenzione non solo per la loro po-tenziale pericolosità ma anche perla loro capacità di recare danni ad

eventuali repertinon affioranti.

Il piccone, utileper rimuovere gran-di quantità di terraove non sia neces-saria una particola-re attenzione, va uti-

lizzato come in figura facendo però at-tenzione a non ferire persone circostanti(e se stessi) e soprattutto va maneggiatocon una certa sensibilità cercando di pre-venire la rottura di reperti interrati. Si con-siglia inoltre di non utilizzare il picconequando si lavora sotto coperture per ilsole che possono venire danneggiate erecare così danno agli operatori. Un’ulti-ma nota sull’uso del piccone riguarda il

fatto di mantenere questo stru-mento sempre efficiente control-lando il più spesso possibile lastabilità della parte metallica (cipuò cadere in testa mentre lavo-riamo o addirittura volare via!).

La pala rappresenta lo stru-mento più utilizzato per asporta-re il materiale rimosso con il pic-cone e sul suo utilizzo le regoleprincipali servono più che altro arisparmiare fatica; un uso erratodella pala non solo limita la ca-pacità dello strumento ma ci ob-bliga a compiere sforzi maggiori.

A proposito degli altri strumentiriteniamo utile qualche appuntosull’utilizzo della carriola che non

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deve essere mai troppo carica in mododa evitare che possa rompersi facilmen-te e rendere più faticoso il lavoro di tra-sporto del detrito.

Cose da fare… e da non fare

Esistono alcune regole alle quali atte-nersi durante le operazioni di scavo pernon compromettere il lavoro fatto e perrendere più agevole l’attività.

La prima di tutte riguarda l’uso deglistrumenti che devono essere mantenuti

sempre efficienti e so-prattutto in ordine (nonspargere attrezzi per tut-ta l’area di scavo) quan-do non vengono utiliz-zati.

A questo proposito siconsiglia di:• posizionare picconi emalepeggi ordinati enon conficcati nel terre-

no perchè in caso di caduta (frequen-te) ci si possono procurare gravi dannicadendovi sopra;

• attrezzi come secchi e carriole vannoutilizzati con attenzione per non spar-gere terra sullo scavo pulito che altri-menti ci costringerebbe ad un secon-do e fastidioso lavoro di pulizia;

Per quanto riguarda il comportamentoin generale ricordiamo:• non sedersi sullo scavo o comunque

non transitare su tagli e strutture mu-rarie che possono franare e danneggia-re non solo lo scavo ma anche chi vilavora;

• porre estrema attenzione ai picchetti edal filo per la quadrettatura che può es-sere d’ostacolo al passaggio e causaregravi incidenti (piuttosto rimuoviamolie stendiamo il filo per terra).

Un ultimo consiglio per migliorarel’operazione di scavo: durante la puliziadi uno strato è consigliabile procedereall’indietro onde evitare di inquinare ciòche abbiamo appena pulito.

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8.1 - Trattamento dei materiali in sito

Quando, durante lo scavo, cominceran-no ad emergere dal suolo i materiali sot-to di esso sepolti, bisognerà accertarsi cheessi siano classificabili come reperti ar-cheologici.

Dopo aver rimosso il detrito che li co-priva secondo i criteri descritti nel capito-lo sullo scavo stratigrafico, bisognerà rac-cogliere e salvaguardare il materiale viavia recuperato secondo alcuni importan-ti accorgimenti: sullo scavo è infatti ne-cessario essere muniti di un copioso nu-mero di sacchetti (meglio essere ottimi-sti) e di piccoli contenitori in plastica rigi-da, di varie dimensioni, per quegli oggettipiù delicati o comunque più preziosi (mo-nete o balsamari in vetro ad esempio).Generalmente disporremo di sacchettiattribuendo a ciascuno di essi il compitodi contenere frammenti diversi: sacchettiper la ceramica, altri per i frammenti os-sei, altri ancora per i reperti metallici, ecc.;non è infatti consigliabile riporre i fram-menti di vetro nel medesimo tipo di con-tenitori di quelli ceramici vista la loro fra-gilità.

Ogni contenitore dovrà poi possedereun cartellino, preferibilmente rigido, sulquale verrà segnata la tipologia, il sito,l’US di provenienza e infine la data delritrovamento. Molto importante e da te-nere sempre presente è che i ritrovamentidi due unità stratigrafiche differenti nonvanno assolutamente riposti negli stessicontenitori anche se identici come tipo-logia e data di ritrovamento. Se ciò avve-nisse si perderebbe un’importante testi-monianza scientifica vitale per uno stu-

Cap. 8 L’attività sui materiali

dio cronologico dell’area scavata.Nel caso di ritrovamenti sporadici nel

perimetro circostante lo scavo vero e pro-prio, si dovrà riporre i materiali in sac-chetti a parte che verranno segnalaticome “ritrovamenti erratici” e di conse-guenza non interpretabili nel contestoche stiamo esaminando.

Infine occorre ricordare che in ogni ri-trovamento di ceramica, vetro, metalloo altro, non si dovrà mai pretendere diestrarli semplicemente facendo leva sul-la porzione dell’oggetto affiorante in su-perficie; l’estrazione avverrà invece soloquando tutta la terra che ne ostacola larimozione sarà stata completamenteasportata.

Per un’operazione impeccabile sottoogni punto di vista si farà uso della caz-zuola (valida per la maggior parte dei casi)o del bisturi nel caso l’oggetto fosse par-ticolarmente fragile come ad esempio ilrecupero di uno scheletro umano (casidi sepolture ad inumazione). Particolareattenzione va inoltre riservata agli scavidi necropoli dove non è improbabile siriescano a recuperare oggetti intatti osemi intatti facenti parte del corredo deldefunto, essendo questi casi specifici neiquali è possibile sia rimasta invariata laposizione originaria del reperto.

Terminata l’operazione di scavo oppu-re alla fine di una giornata di cantiere citroveremo sicuramente ad affrontare lapulizia e la sistemazione dei reperti rin-venuti al fine di prepararli per lo studio inlaboratorio. Lo studio di un reperto in la-boratorio consiste generalmente nel de-scrivere e catalogare questi manufatti per

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posizionarli cronologicamente e studiar-ne le vicende nel contesto archeologico.Descrizione e catalogo sono due proces-si complementari che, se effettuati cor-rettamente, rendono possibile una data-zione abbastanza precisa del reperto con-frontandolo con determinati cataloghi ti-pologici (frammenti ceramici). Per altri ri-trovamenti come quelli metallici e osseila datazione si fa più complessa ed en-trano in campo studi altamente speciali-stici come la paleontologia e la datazio-ne tramite analisi chimico-fisiche. Que-ste ultime (Carbonio 14, Fosforo, ecc..)permettono datazioni con grande preci-sione ma sono generalmente processilunghi e costosi che raramente il volon-tario può sobbarcarsi.

Tutte queste operazioni sui materiali,come la catalogazione, sono utili non soloper fini cronologici a sè stanti bensì han-no il fine di datare il nostro sito nella suaevoluzione e ci permettono di studiarnela sua possibile funzione.

8.2 - Trattamento dei reperti in laboratorio: lavaggio, siglatura e separazione per classi.

Dopo l’operazione di scavo, tutti i re-perti rimossi, ad eccezione di quelli me-tallici, lignei ed ossei, vanno lavati perrimuovere le incrostazioni di terra che liricoprono affinché sia possibile studiarlied ammirarli nel loro aspetto originario.

Il lavaggio va effettuato immergendo ireperti in acqua (uno per volta!) a tem-peratura ambiente e strofinandoli conuno spazzolino. In questa operazioneoccorre tenere presente la fragilità delmateriale, ovvero fare attenzione che lospazzolino non danneggi il reperto; usia-mo quindi una giusta misura di delica-tezza e nel caso non sia sufficiente lo la-veremo utilizzando le dita. I reperti chenon possiedono resistenza all’acqua van-

no messi da parte e lavati, anziché in ac-qua, direttamente dentro il consolidante.

Una volta lavati, i reperti vanno lasciatiasciugare a temperatura ambiente (nontroppo fredda) deponendoli in cassette(come quelle per lafrutta) utilizzandoanche della cartaassorbente o quel-la dei quotidiani, ri-cordandoci però dicollocare insiemealla ceramica an-che un cartellinocon la sigla che pri-ma compariva sulsacchetto.

La siglatura del reperto invece ha ilcompito di contrassegnare ogni repertocon una serie di numeri e sigle che neidentifichino la provenienza onde potermaneggiare ogni reperto anche al di fuo-ri del suo sacchetto senza perderne leinformazioni oltre che per il puro e sem-plice fine di catalogazione. La sigla è com-posta generalmente di: 1) un prefisso in-dicante la sigla del sito di provenienza (es.VA=Via Amerina, FN=Fontanaccia,PC=Pian Conserva, ecc...), l’anno del ri-trovamento e la sigla del contesto speci-fico in cui è stato trovato (tomba, zona,ecc..); 2) l’unità stratigrafica di provenien-za rappresentata dal numero dell’US cir-condato da un cerchio. 3) Un numeroprogressivo per la catalogazione del re-perto (operazione generalmente svolta acura della Soprintendenza).

Soltanto i reperti ceramici vengono si-glati direttamente con inchiostro mentrei reperti metallici, litici, vitrei ed ossei van-no accompagnati da un cartellino fissatoal reperto da un filo.

Nel caso specifico della ceramica la si-glatura verrà effettuata direttamente sulreperto che quindi non disporrà di car-tellino. Per siglare la ceramica occorrerà

I reperti vanno fatti asciu-gare completamente.

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però adottare alcuni accorgimenti, vistoche si dovrà lavorare a stretto contattocon il reperto e con inchiostri.

La strumentazione è composta da: pen-nini da inchiostro a china di diversa gran-dezza e relativo inchiostro (bianco enero); smalto per unghie trasparente esolvente. Lo smalto serve a facilitare loscorrimento del pennino sulla ceramica,sia a permettere di rimuovere la sigla edil medesimo nel caso di errore o poste-riore restauro. Inoltre serve ad impedireche la ceramica venga scalfita dal penni-no e che conseguentemente la china pe-netri nel reperto.

La siglatura avverrà nel seguentemodo:

- spazzolare ulteriormente il frammen-to onde rimuovere eventuali granelli diterra che possono rivelarsi fastidiosi infase di scrittura e impediscono l’uso del-lo smalto;

- trovare sul reperto un punto non si-gnificativo e generalmente nella parte in-terna e apporvi un leggero strato di smal-to;

- scrivere la sigla sopra allo smalto chenel frattempo si sarà asciugato cercandodi scrivere molto piccolo, in maiuscoloma comunque in modo chiaro e leggibi-le. Per la ceramica di colore chiaro use-remo l’inchiostro nero; viceversa per laceramica di colore scuro useremo inchio-stro bianco.

IMPORTANTE: non siglare in frattura inquanto potreste pregiudicare la possibili-tà di far combaciare dei frammenti.

La separazione per classi ha il compi-to di separare i frammenti ceramici performa, spessore e colore per poter distin-guere meglio il numero iniziale di oggettie per facilitare il riconoscimento della ce-ramica onde affrontare un lavoro di rico-struzione del vasellame. Otterremo quin-di degli insiemi omogenei contenentiframmenti ordinati prima per colore (ce-ramiche acrome, invetriate, verniciate,ecc...) poi per forme (orli, anse, fondi,corpi, ecc..) nei quali distingueremo i prin-cipali oggetti dividendo ancora i fram-menti per spessore e grana della cerami-ca (impasto fine, medio, grezzo).

È a questo punto che si possono sepa-rare i frammenti significativi utili per unostudio crono-tipologico e per la cataloga-zione.

8.3 - Ricostruzione materiale

Ricostruire materialmente un recipien-te in ceramica significa, dopo aver sepa-rato i frammenti per classi, procedere alloro recupero cercando di far combacia-re le fratture e ricomponendo l’originaleaspetto del contenitore. Per effettuare unaricostruzione possiamo tenere presenteuna serie di regole guida:

a) analizzare il contenuto di ogni sac-chetto e solo quando si sia verificato chenon vi sono più possibilità di attacco, ini-ziare a confrontarlo con gli altri sacchettidella stessa natura;

b) per facilitare la ricerca dei pezzi, sud-

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dividere ancora la ceramica secondo lacolorazione delle pareti interne e dopo diquelle esterne (queste ultime possono va-riare molto anche nello stesso oggetto);

c) constatare la perfetta pulizia dellefratture prima di incollarle ed eventual-mente pulirle;

d) analizzare i punti in cui le due partinon combaciano perfettamente: lì nonmettere colla: non servirebbe e sarebbeantiestetica;

e) la colla non si deve mai vedere:metterne poca su una delle due parti, farecombaciare l’altra, staccare ed aggiunge-re poca colla dove ancora necessita;

f) ripulire eventuali eccedenze di collacon uno straccio che non lasci peli;

g) controllare che le superfici siano per-fettamente allineate facendovi scorrere undito per rilevare eventuali gradini ;

h) inserire i due pezzi, una volta incol-lati, in un recipiente pieno di sabbia chene assicurerà la stabilità;

i) non incollare il terzo pezzo fino a chei due non siano perfettamente asciutti;

j) non incollare i pezzi se questo vi im-pedirà di inserire un successivo elemen-to ad incastro.

k) quando si rinvengono pezzi checombaciano e, comunque, dello stessovaso, si isolano e si segnano i punti d’at-tacco con pennarello lavabile che si pos-sa quindi asportare dopo il restauro.

8.4 - La catalogazione dei reperti

Dopo la siglatura, ogni reperto deveessere regolarmente catalogato ed infinearchiviato in modo da permetterne unfacile recupero in una successiva fase distudio. Come vedremo in seguito solo ireperti ceramici possiedono schede di ca-talogazione standard cioè utilizzabili perla maggior parte dei ritrovamenti.

Il motivo è da attribuirsi principalmen-te al superiore quantitativo di rinvenimen-ti, in un qualsiasi scavo, di oggetti realiz-zati in materiale ceramico rispetto ad al-tri materiali (infatti la ceramica era unmateriale economico; essendo l’argilla fa-cilmente reperibile, si poteva usare perrealizzare una vasta gamma di forme edinfine permetteva di essere plasmata sen-za troppe difficoltà ed in tempi relativa-mente brevi).

Alla base di queste fondamentali pre-messe sta di fatto che la causa più evi-dente, per la quale in un sito archeologi-co i ritrovamenti più numerosi sono quelliceramici, è una diretta conseguenza del-la fragilità di questo materiale che resi-steva bene al logorìo del tempo ma sifrantumava con altrettanta facilità allebrusche sollecitazioni. Per queste ragionimateriali come ad esempio i metalli si ri-velavano sicuramente più resistenti e pre-ziosi ma per contro il loro impiego nonrisultava conveniente per la realizzazio-ne di grandi quantità di oggetti di usoquotidiano (anfore, crateri, calici, brocchee recipienti in genere) che dovevano inquesto modo essere realizzati con altrimateriali tra i quali troviamo al primoposto la ceramica.

Inoltre l’argilla cotta presentava l’unicoinconveniente di frantumarsi se entravain collisione con materiali più robusti (unvaso poteva scivolare di mano e sfasciarsisul pavimento) ma conservava nel tem-

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po il suo aspetto originario a differenzadei metalli che subivano l’effetto di pro-cessi chimici deleteri come l’ossidazione.Ai giorni nostri la plastica ha preso il po-sto della ceramica per l’estrema versatili-tà, fatta eccezione che la prima è presso-ché indistruttibile.

Questo lungo preambolo sta a dimo-strare che l’intensivo impiego della cera-mica da parte degli uomini dell’antichitàci ha permesso di tracciare delle tabellecronologiche molto precise le quali ciconsentono a loro volta di confrontareritrovamenti che spaziano dalla protosto-ria al basso medioevo.

In fase di catalogazione, cioè di descri-zione di ogni singolo frammento cerami-co, queste tabelle cronologiche diventa-no le fondamenta per la nostra ricostru-zione temporale di un sito archeologico.Se ad esempio sappiamo che un parti-colare tipo di anfore veniva impiegato peril trasporto dell’olio nel corso del VII se-colo a.C., qualora durante lo scavo rin-venissimo anfore di quel tipo sapremocon certezza che nel luogo che stiamoindagando doveva esserci una frequen-tazione umana dello stesso periodo e, nelcaso specifico, una conseguente colturadi ulivi dai quali si ricavava l’olio.

Concludendo, la catalogazione ha dun-que lo scopo di raccogliere una piccolama dettagliata relazione su ogni ritrova-mento in modo che esaminando in fasedi studio l’insieme di queste relazioni cipossa apparire un’immagine della realtàantica del luogo preso in esame.

8.5 - Reperti ceramici e schede di catalogazione

Come è stato detto, solo i reperti cera-mici possiedono schede di catalogazio-ne standard. Queste schede sono peròstrutturate da rendere facile e veloce lacatalogazione di una particolare tipologia

di oggetti ceramici (vale a dire i recipien-ti: piatti, anfore, crateri, coppe, ecc.) e nonconsentono dunque di classificare anchealtre forme realizzate con lo stesso ma-teriale. Un esempio di altri impieghi diceramica su vasta scala può essere quel-lo di una produzione di oggetti ideaticome offerte votive (coroplastica) e diqualsiasi altra forma non progettata conil puro scopo di “contenere”.

Discostandoci però da questo generedi ritrovamenti, non troppo frequenti erelativi agli usi e costumi delle varie civil-tà del passato, ci occuperemo ora neidettagli delle varie fasi di catalogazionedi tutti i reperti ceramici che, come dettosopra, si prefiggevano lo scopo di conte-nere qualcosa.

Nella scheda di catalogazione (vedi fig.29 a pag. 45) potremo descrivere detta-gliatamente un comune frammento ce-ramico senza dover spendere fiumi diparole per farlo.

Nel caso di un copioso numero di fram-menti ceramici si renderà però necessa-ria una prima suddivisione di essi secon-do i principali caratteri tipologici (coloree lavorazione) come descritto nel para-grafo precedente. Questa suddivisioneserve per facilitare il lavoro di cataloga-zione che, senza questa preliminare manecessaria operazione, diverrebbe benpresto scoordinato ed interminabile.

Da ogni frammento si dovrà poi risali-re al tipo di forma (aperta o chiusa) di cuiesso faceva originariamente parte.

Nella scheda di catalogazione la diffe-renza tra forme aperte e chiuse vieneabilmente sintetizzata con la rappresen-tazione di un’anfora ed un piatto (la pri-ma è una forma chiusa, la seconda aper-ta). Una volta riconosciuta la forma an-drà poi specificato da quale parte di essaproviene il frammento.

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8.6 - Elementi di tipologia della ceramica

Per le forme chiuse (anfore, olle, cop-pe, brocche, vasi, balsamari, ecc..) le partiprincipali vengono in questo modo sud-divise:

Orlo: parte superiore del contenitoregeneralmente ricurva verso l’esterno.

Collo: parte immediatamente succes-siva all’orlo a sezione cilindrica.

Spalla: punto di rigonfiamento del col-lo che varia a seconda della figura in esa-me (un’anfora, adesempio, ha spallemolto pronunciate chesi slanciano dal collo inmodo brusco creandoangoli anche di 90 gra-di; altre figure, come ibalsamari, hanno spal-le che si distanzianodal collo in manieraprogressiva e menomarcata).

Carena: punto in cuifiniscono le spalle ed incui le pareti della figu-ra tendono a convergere verso l’interno.

Ansa: manico posto all’estremità dellaspalla o all’inizio della carena e che spes-so è ricollegata al collo presso l’orlo.

Corpo: è la parte centrale della figura.Piede o Fondo: è la parte terminale di

forma circolare su cui poggia la figura.Per quanto riguarda invece le forme

aperte (piatti, scodelle) le parti principalisono rappresentate dall’orlo, dal corpo eda un eventuale fondo. Classe a partesono i coperchi che di solito possiedonosolo orli, corpi e prese (parte superiore).

Sulla scheda di catalogazione si potràindicare la parte riconosciuta apponen-do (di solito) una semplice crocetta sullarelativa figura disegnata. La parte succes-siva è rappresentata dal riconoscimento

dello spessore del frammento ottenutocon degli spessori standard elencati sullascheda e che sono schematizzati da trediverse grandezze: fine, medio, grande.Si prosegue poi specificando il tipo di im-pasto che compone il nostro frammentoe che varia da depurato a fine, medio egrezzo; in questa fase procederemo inmodo oggettivo in quanto le possibilitàdell’impasto variano moltissimo e spes-so potremmo trovarci in difficoltà ad as-segnare una di queste classsi al reperto.Altra informazione è rappresentata poi dal

colore e dalla lavora-zione della ceramica;esistono casi specificidi ceramica verniciatao trattata con altri me-todi particolari che cipreoccuperemo di se-gnare sulla scheda nel-lo spazio apposito.

In base alle caratte-ristiche visibili e facil-mente riscontrabili civerrà richiesto di col-locare temporalmenteil ritrovamento (per

intenderci ci si riferisce alla datazione dellaproduzione della figura di cui faceva par-te il frammento) e per fare ciò faremoaffidamento a cataloghi di cui dovremoessere muniti.

A catalogazione ultimata tutte le sche-de compilate andranno a completare l’ar-chivio archeologico del sito che, grazie aquesta operazione, risulterà di sempliceconsultazione nel caso volessimo riesa-minare un frammento particolarmente si-gnificativo per lo studio “storico” (usia-mo le virgolette per indicare che l’arche-ologia, in questa fase finale di tipo com-pilativo, si occupa specificatamente di tra-sformare le testimonianze archeologichein informazioni storiche) di un’epoca e diuna zona altrettanto significative.

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FIG. 29 - Esempio semplificato di scheda di catalogazione della ceramica.

1. Spessore 2. Impasto: tipo 3. Impasto: coloreFINE

mm 1 - 4

MEDIO

mm 4,1 - 8

GRANDE

mm >8

Grezzo Medio

Fine Depurato

Giallo-Rosso-Bruno

Grigio

Nero

4. Elemento 5. Superficie (Interna/esterna)

6. Decorazione (tecnica di)

12

34

12

34

1 - Acroma2 - Ingobbiata3 - Invetriata4 - Maiolica

interna

esterna

Impr

ess.

Digi

tale

Impr

ess.

Stru

ment

ale

Impr

essio

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Rote

lla

Graf

fita

Plas

tica

esterna interna

7. Epoca presunta

Prei

storia

/Pro

tosto

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Età R

oman

a

Tard

o Ant

ico

Alto

Med

ioev

o

Bass

o Med

ioev

o

Altro/Note:Altro/Note:

8. Compilatore 9. Data compilaz. 10. Scheda tipologica

Nº Scheda Nº RepertoScheda di Catalogazione

FORMA APERTA FORMA CHIUSA

orlo

corpo

fondo

piede

orlo

collo

spalla

presaansa

corpo

fondo

piede

carena

DELLA CERAMICA

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Introduzione

Immaginiamo di trovarci vicino a duepersone: mentre uno dei due sta scat-tando una foto, l’altro gli chiede con na-turalezza: «Che parametri stai usando?».L’altro potrebbe rispondergli tranquilla-mente: «Uso un 50 mm con diaframma5,6 e tempo 500; con questa pellicola da100 ISO verrà una bella immagine».

Noi assistiamo alla scena e restiamointerdetti, perché, se non conosciamo unminimo di tecnica fotografica, non riuscia-mo a capire cosa diavolo si stiano maidicendo questi due ipotetici interlocutori.

Che cos’è “un 50 mm”, un “diafram-ma 5,6”, “un tempo 500”, una “pellicolada 100 ISO”?

Ecco, queste sono le domande a cuisarebbe opportuno dare una risposta periniziare ad affrontare l’argomento fotogra-fia, per poi indirizzarsi verso la fotografiaarcheologica in dettaglio.

La fotocamera

I tipi di fotocamere che si trovano sulmercato sono molti; la distinzione piùappariscente è quella tra automatiche emanuali: le automatiche sono in gradodi compiere da sole un numero più omeno grande di operazioni che nellemanuali devono essere espletate intera-mente da chi scatta. Le macchine più dif-fuse impressionano fotogrammi di 24 x36 mm e sono dette di piccolo formatoper distinguerle da macchine che usanopellicole più grandi. A scanso di equivoci

Cap. 9 La fotografia archeologicaAppunti per una corretta documentazione fotografica

è meglio sconsigliare fin da subito l’usodelle compatte, che non sono in gradodi far fronte alla vasta gamma di situa-zioni che si possono presentare nella fo-tografia di siti e reperti.

Le reflex, in base alla particolare tecni-ca costruttiva, consentono di poter ve-dere nel mirino la stessa immagine cheverrà immortalata sulla pellicola; il tipocompatto invece no.

L’obiettivo

L’obiettivo è quel complesso di lentiposte davanti alla pellicola la cui funzio-ne è quella di focalizzare la luce che loattraversa affinché sulla pellicola si formiun’immagine nitida e giustamente illumi-nata. La caratteristica principale di unobiettivo è espressa da un numero defi-nito in millimetri, detto distanza focale (oanche focale, per brevità), che definiscela distanza della lente dell’obiettivo dalpiano della pellicola. In realtà nell’obietti-vo sono presenti più lenti, che svolgonola stessa funzione di una lente sola, evi-tando però una serie di inconvenienti ot-tici ad essa connessi.

In base alla distanza focale si possonodistinguere dei “gruppi” di obiettivi chepossiedono delle caratteristiche comuni,in particolare: supergrandangolari, da 18a 24 mm, hanno amplissimo angolo diripresa, deformano molto, esaltano laprospettiva e rimpiccoliscono il sogget-to; grandangolari, 28 e 35 mm, hannoun buon angolo di ripresa, deformanopoco, conservano una buona prospetti-va; normali, 50 mm, hanno una ripro-

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duzione della realtà simile a quella del-l’occhio umano; teleobiettivi, 70, 135,200 mm e oltre, hanno stretto angolo diripresa, attenuano la prospettiva e ingran-discono il soggetto. In pratica più è gran-de la distanza focale di un obiettivo, mag-giore è l’ingrandimento del soggetto fo-tografato. Un 135 mm, quindi, ingrandi-rà il soggetto inquadrato più di quanto lofarà un obiettivo da 50 mm.

La differenza tra obiettivi a focale di-versa non si riduce a questo, c’è un’altracaratteristica che influenza notevolmen-te i risultati forniti da obiettivi diversi. Miriferisco alla prospettiva, intesa come sen-so di profondità; i diversi obiettivi hannoun diverso modo di ritrarre lo stesso sog-getto in base a questa caratteristica.

Un obiettivo a corta focale (28 mm)conferisce alle immagini un deciso sen-so di profondità; i supergrandangolari,benché abbiano un angolo di ripresamolto ampio, accentuano la prospettivaad un punto tale che deformano l’imma-gine tanto da curvare le linee che nellarealtà sono dritte. Al contrario, un teleo-biettivo (135 mm) non esalta la prospet-tiva, anzi, la annulla “appiattendo” l’im-magine.

Abbiamo quindi decodificato la primaparte della frase misteriosa: ora sappia-mo che cos’è “un 50 mm”.

Sull’obiettivo sono montate due ghie-re rotanti, una è quella del diaframma,l’altra quella della messa a fuoco: vedia-mo a che cosa servono.

Il diaframma

Il diaframma è un dispositivo mecca-nico che consente di controllare il diame-tro dell’apertura attraverso cui passa laluce all’interno dell’obiettivo. Lo si con-trolla attraverso una delle due ghiere ro-

tanti poste sull’obiettivo, solitamente èdotato di un movimento a scatto e ripor-ta incisi una serie di valori numerici. Talivalori sono: 2.2; 2.8; 4; 5.6; 8; 11; 16;22; 32, o una parte di essi. Essi esprimo-no il rapporto tra la focale e il diametrodell’apertura attraverso cui passa la luceche arriva alla pellicola, per cui ad ognivalore riportato sulla ghiera corrispondeuna diversa apertura del diaframma.

Facciamo un esempio: se ho un obiet-tivo 50 mm ed il diametro dell’aperturadel diaframma è 12,5 mm il valore ripor-tato sulla ghiera sarà: 50:12,5=4. Se ciponiamo il problema inverso e ci chie-diamo che diametro ha l’apertura del dia-framma nello stesso obiettivo quando èimpostato sulla ghiera il numero 16, ilconto diventa: 50:X=16. L’apertura sta-volta è di circa 3 mm. Emerge un datointeressante dal confronto dei due valo-ri: al valore 4 corrisponde l’apertura di12,5 mm; al valore 16 corrisponde l’aper-tura di 3 mm circa; si può notare che piùgrande è il valore della ghiera, più è pic-colo il diaframma.

In generale si può dire che più il nu-mero del diaframma è grande più la suaapertura è piccola e meno luce passa.

La presenza del diaframma consentedi poter controllare che arrivi alla pellico-la la giusta quantità di luce. Questa perònon è l’unica proprietà del diaframma:con esso si controlla anche la profonditàdi campo, di cui parleremo tra poco.

È così chiarita anche la seconda partedell’oscuro messaggio iniziale: ”…dia-framma 5,6…”.

Tempi di esposizione

Tra obiettivo e pellicola è posta una ten-dina che si sposta al momento dello scat-to. Con una ghiera collocata sul corpo-macchina è possibile regolare il tempo

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di apertura della tenda.Sulla ghiera sono riportati una serie di

numeri: 1, 2, 4, 8, 16, 30, 60, 125, 500,1000, 2000; ciascun numero rappresen-ta la frazione di secondo per cui restaaperta la tendina. Ad esempio impostan-do il valore “500” la tendina resterà apertaun cinquecentesimo di secondo, oppureimpostando “30” la tendina resterà apertaun trentesimo di secondo. Perciò prati-camente si può concludere che più il nu-mero riportato sulla ghiera dei tempi ègrande più il tempo di esposizione è bre-ve. Ciascuna regolazione equivale a untempo circa doppio o dimezzato rispettoa quelli adiacenti.

A questo punto alla frase iniziale restaben poco di enigmatico.

La messa a fuoco

È l’altra regolazione che si può effet-tuare operando sulla seconda ghiera dicui è provvisto l’obiettivo. Operando sudi essa si fa variare la distanza a cui vie-ne effettuata la messa a fuoco. Tale di-stanza è riportata (in metri e piedi) sullaghiera: se l’oggetto che vi interessa foto-grafare è a quella distanza, va bene; se sitrova a un’altra distanza, allora non vie-ne “messo a fuoco” e l’immagine che sene ricava in questo caso non è nitida eperciò di scarsa qualità.

Le pellicole

Le pellicole non sono tutte uguali: al-cune sono più sensibili, altre meno; que-ste ultime necessitano di più luce per es-sere impressionate. La sensibilità èespressa da un numero misurato in ISO:maggiore è il numero, maggiore è la sen-sibilità della pellicola (ed il suo costo). Pergli usi più comuni nella documentazione

archeologica sono sufficienti le pellicoleda 100 ISO. Per quanto riguarda la scel-ta fra diapositive, foto a colori e in biancoe nero, si rimanda alle decisioni del re-sponsabile di scavo.

Ora la frase iniziale non ha più segretiper noi.

La profondità di campo

Abbiamo appena detto che vengonomessi a fuoco solo gli oggetti che si tro-vano ad una certa distanza definita dallamacchina, ma questo non è del tuttovero; infatti nella foto risultano nitidi an-che soggetti posti un po’ prima e un po’dopo la distanza di messa a fuoco impo-stata sulla fotocamera.

Immaginiamo di dover fotografare uncolonnato o un viale alberato che si esten-dono allontanandosi di fronte a noi, qualesoggetto mettiamo a fuoco? Il più vici-no? Il più lontano? Oppure uno ad unadistanza intermedia? Chissà! Inoltre, an-che stabilendo una certa messa a fuoco,ad esempio su un albero, quanti alberidavanti e dietro risulteranno anch’essinitidi?

Si definisce profondità di campo pro-prio lo spazio antistante e retrostante ilpunto in cui avviene la messa a fuocoottimale.

La profondità di campo può esserecontrollata agendo sulla apertura del dia-framma; quanto più il diaframma è chiu-so, tanto maggiore è la profondità di cam-po, cioè è maggiore l’area che risulta afuoco. In breve, anche in base a quantodetto al paragrafo del diaframma, più ildiaframma è chiuso, più il numero chelo definisce è grande e la profondità dicampo è grande; al contrario più il dia-framma è aperto, più il numero che lodefinisce è piccolo e la profondità di cam-po è piccola.

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Attrezzatura utile

Per effettuare una corretta documen-tazione fotografica è necessario inserirein ogni foto alcuni oggetti in grado di for-nire immediatamente un certo numerodi informazioni che completano l’imma-gine. Occorre che in ogni immagine com-paiano: una lavagnetta, la freccia delnord, un riferimento metrico.

La lavagnettaPuò essere in ardesia o una di quelle

lavagne nere da negozio in cui si inseri-scono lettere in plastica nelle linee predi-sposte. Riporta una serie di informazio-ni, sovente in sigla, quali: il nome delloscavo, la località, il quadrato o il settoreo la tomba, il numero dell’unità stratigra-fica e la data. Ricordate di posizionare lalavagnetta in modo tale che la scritta siaben visibile, perciò non troppo lontana,dritta e parallela al piano della pellicola;cercate poi di collocarla in una posizionetale da non coprire particolari archeolo-gicamente rilevanti.

La freccia del nordSi tratta di una tavoletta di legno, soli-

tamente compensato, sagomata a formadi freccia e verniciata di rosso, che vienecollocata all’interno della fotografia eorientata verso il nord. Serve da riferi-mento per far capire a chi osserva l’im-magine come si colloca quanto fotogra-fato rispetto ai punti cardinali.

I riferimenti metriciServono a dare un’idea della grandez-

za di ciò che è riportato in fotografia.Ce ne sono di varie dimensioni, a se-

conda dei soggetti da fotografare; per lefoto di strutture o delle aree di scavo siusano le paline metriche, aste di legnolunghe un metro e mezzo suddivise in

spazi di venti centimetri e colorate alter-nativamente di bianco e rosso oppurenero. Gli altri riferimenti sono più piccoli,per particolari ridotti, e sono divisi in in-tervalli di 10; 5; 1 cm.

La palina, quando è disposta orizzon-talmente, deve essere orientata da sini-stra a destra; non deve avere la puntarivolta verso l’osservatore o nella direzio-ne opposta.

La fotografia in ricognizione

La tipologia di soggetti che può capita-re di dover documentare non è moltoampia; si possono rinvenire frammenticeramici frutto della raccolta di superficieoppure ruderi di strutture murarie anco-ra in posizione, spesso interrati e som-mersi dalle vegetazione. I frammentieventualmente rinvenuti potranno esse-re fotografati successivamente, se di in-teresse, con quelle tecniche di cui parle-remo alla fine del capitolo.

Per quanto riguarda la fotografia di al-zati in genere ci sono alcuni accorgimen-ti da applicare per evitare di avere effettiantiestetici. Ad esempio, quando si foto-grafa un muro si deve cercare, per quan-to possibile, di tenere la macchina oriz-zontale il più possibile; questo perché in-clinando la macchina verso l’alto si ot-tiene un’immagine in cui le linee che de-finiscono i bordi laterali del muro nonsono parallele ai bordi della foto, ma sonoconvergenti verso la parte alta dell’imma-gine.

Tale affetto abbastanza sgradito è det-to “delle linee cadenti” ed è particolar-mente accentuato quando si utilizzanoobiettivi grandangolari; inoltre si manife-sta più spiccatamente ai bordi dell’ im-magine e quindi la palina metrica (vediparagrafo precedente) non andrebbe col-locata verticale ai bordi dell’immagine.

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Per ovviare a questo problema si cercadi alzare il punto di ripresa; a questo sco-po si può ricorrere ad una scala di quellepieghevoli, che consentono di arrivarefino a 3 metri di altezza, il che è più chesufficiente per il nostro scopo. In casi di-sperati si può anche salire sulle spalle diqualcun altro.

Le condizioni di luce ottimale si hannoquando questa proviene da dietro chifotografa non allineata alle spalle, maspostata da una parte di tre quarti. In al-cuni casi può essere utile una luce piùradente, che crea ombre più lunghe sul-le strutture; ciò serve a conferire maggioretridimensionalità all’immagine facendorisaltare le tecnica costruttiva utilizzata.

La fotografia dello scavo

È certamente uno degli aspetti centralidell’attività di documentazione: la varie-tà di situazioni, circostanze e parametrida considerare è certamente più ampia;occorre quindi dilungarsi maggiormente.

La luceFinora non lo abbiamo detto, ma è la

cosa più importante e l’essenza di tuttala nostra attività (fotografia = scrivere conla luce). È opportuno chiarire subito chenon esiste un solo tipo di luce e quindiche si ottengono risultati diversi, più omeno validi, illuminando lo stesso ogget-to in modi diversi.

Per immagini d’insieme la posizionemigliore della fonte di luce, solitamente ilsole, è di tre quarti posteriormente; inqueste condizioni di luce si hanno delleombre non troppo allungate che non com-promettono la leggibilità dell’immagine eche al contempo conferiscono alle strut-ture ritratte maggiore volume (fig. 30).

Il tipo di illuminazione cambia da gior-no a giorno, quando il cielo è sereno e

senza nuvole, la luce proviene da un uni-co punto, il sole; quando invece il sole ècoperto la luce è diffusa. Queste condi-zioni portano a risultati diversi, in quantocon cielo sereno si hanno ombre netteche provocano notevole differenza di lu-minosità tra le zone in piena luce e quel-le in ombra, mentre con cielo coperto leombre sono meno marcate. La differen-za di illuminazione tra zone chiare e zonescure nello stesso soggetto viene dettocontrasto.

In casi di forte contrasto come si effet-tua la regolazione della luce (tempi / dia-frammi)? Ci si riferisce alle zone più scu-re? A quelle più chiare? Si fa una media?Se le zone che ci interessano sono sia inombra che al sole si effettua un’esposi-zione media. Ogni tipo di pellicola tolleraun contrasto massimo oltre il quale è ine-vitabile sovraesporre le zone chiare osottoesporre quelle scure; come fare? Inquesti casi si ricorre ad un piccolo flash,che illumina le zone più scure, così si puòeffettuare l’esposizione riferendosi allezone più illuminate.

Sicuramente per una foto d’insieme il

FIG. 30 - Esempi diposizione del sole peruna fotografia archeo-logica all’aperto.

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flash non è di alcuna utilità, quindi se stia-mo fotografando una fossa che in parteè in ombra, cercheremo di schiarirlausando dei “riflessi” che lì convoglieran-no la luce solare. Se il campo di ripresa èpiù ristretto si potrebbe ricorrere ad unulteriore correttivo: la “tarlatana”, quellaspecie di mussolina leggera e rada (perintenderci, quella usata al di sotto dell’im-bottitura di sedie e poltrone), impiegataper schermare la luce violenta del sole erenderla più diffusa (fig. 31).

Per definire l’esposizione correttamen-te è consigliabile riferirsi solo agli elementidi interesse non considerando gli altri chedovessero eventualmente comparire nel-l’inquadratura.

Cosa e come fotografare sullo scavoPrima di iniziare lo scavo di una nuova

area o di avviare una nuova campagnadi scavo è utile documentare la situazio-ne iniziale per mostrare quali fossero lecondizioni “prima della cura”.

L’attività prosegue poi quotidianamen-te documentando immediatamente que-gli oggetti e situazioni destinati ad essererimossi in breve tempo. È importantefotografare gli strati, le loro connessioni,

le strutture e gli oggetti che verranno ri-mossi. Si effettua poi un altro reportagea fine campagna per evidenziare le con-dizioni “dopo la cura”.

Sollevare il punto di vista è utile oltreche per gli alzati anche per osservaremeglio le strutture in pianta e capire inche relazione stanno tra loro muri, aper-ture, porte, ambienti.

Si è soliti procedere partendo da inqua-drature generali per scendere poi via vianel dettaglio fino ai particolari più minuti.

È utile cercare di fotografare separata-mente strutture con cronologia diversa;se ciò non è possibile cercare quantome-no di far emergere il contrasto tra i mate-riali delle due epoche.

Un aspetto tecnico importante da nonsottovalutare delle immagini di scavo è,oltre alla presenza degli accessori (frecciadel nord, lavagna e riferimento metrico),la pulizia. Bisogna evitare quanto più pos-sibile che nelle immagini compaiano attrez-zi, residui di terra smossa, rifiuti, mozzico-ni di sigarette o le punte dei piedi dei par-tecipanti allo scavo. A tal fine è opportunoricordare che è vero che nelle fotocamerereflex si vede nel mirino la stessa immagi-ne che arriverà alla pellicola, ma non deltutto, infatti ciò che appare nel mirino è parial 98% di ciò che arriva alla pellicola, per-ciò: occhio ai bordi del mirino.

La fotografia degli oggetti

La fotografia dei materiali si basa su unatecnica completamente diversa da quel-la che si usa all’aperto: richiede sempreilluminazione artificiale, la predisposizio-ne di fondali, eventualmente l’utilizzo diobiettivi particolari.

Per quanto riguarda l’illuminazionesono necessari almeno due flash in gra-do di scattare in sincrono; altre scelte piùelaborate sono anche più costose.

FIG. 31 - Ecco come è possibileattenuare il constrasto in caso di luceviolenta (tramite tarlatana e riflessi).

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Per evitare la formazione di ombre sulpiano su cui poggia il materiale si è solitiusare come piano d’appoggio una lastradi plexiglas opalino (quello usato daimedici per guardare le radiografie), illu-minato dal basso da una lampada al neono da un terzo flash. Per i fondali sonosufficienti dei fogli di cartoncino, bianchio neri in modo da contrastare col sog-getto; solo se si effettuano foto a colori sipossono usare fogli colorati, in quel casoè bene scegliere tinte pastello (fig. 32).

Gli obiettivi più adatti per questo tipodi foto sono quelli denominati “macro”;sono in grado di mettere a fuoco un sog-getto a pochi centimetri dall’obiettivo con-sentendo così di avvicinarsi molto ad essoe di averne un’immagine più grande sul-la pellicola.

Inquadrature - I punti e le posizioni dacui fotografare i reperti non sono molti esi distinguono in base alla tipologia dimateriale da ritrarre.

Per semplicità si possono distingueredue diverse possibilità di ripresa; quelladall’alto e quella in cui la macchina si tro-va alla stessa altezza del reperto, con l’as-se ottico orizzontale per vedere il pezzo“di profilo”.

Nella ripresa dall’alto (fig. 33) la luce

proviene da un punto rialzato rispetto alpiano su cui giace il materiale di circa 30cm, misura che può aumentare o dimi-nuire a seconda che si vogliano ottenereombre più o meno marcate; nelle foto-grafie la luce dovrebbe provenire da unaposizione in alto a sinistra, secondo laconvenzione più seguita.

Nella ripresa dalla stessa altezza delpezzo, la luce è di tre quarti ai due latidella macchina. Occorrono perciò dueflash e per evitare le ombre sul pianod’appoggio si usa il plexiglas opalino illu-minato dal basso. Chi ha un solo flashpuò usarlo abbinato ad un cartoncinobianco da usare come pannello rifletten-te, collocandolo di fronte alla zona inombra rispetto all’unica sorgente di luce.

I vasi - Gli aspetti archeologicamenteinteressanti di un vaso sono il fondo, ilprofilo e l’orlo. Per documentare fondo eprofilo si fotografa da un’altezza pari alla

FIG. 32 - Eliminazione dell’ombra mediante illuminazio-ne sotto il piano traslucido che sorregge l’oggetto.

FIG. 33 - Box di luce (niente ombre);(a) neon, (b) piano traslucido.

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metà di quella del vaso; l’illuminazione èquella descritta poco sopra. Va curata laprofondità di campo affinché tutto il re-perto risulti a fuoco completamente ed èimportante mostrare tutte le anse. Se cen’è una sola va collocata a destra e, sem-pre da una parte, va collocato il riferimen-to metrico posto in verticale.

Per fotografare l’orlo ci si alza legger-mente, ma non troppo per non deformar-lo eccessivamente. Nei vasi invetriati losmalto può riflettere la luce, coprendoparte delle eventuali decorazioni; dato cheil riflesso non può essere tolto occorrefare in modo che si formi in zone del pez-zo di interesse minimo.

Le anfore - Il disegno delle anfore ècomplicato, perciò le fotografie possonoessere molto utili. Si utilizza un teleobiet-tivo non molto potente (150 o 135 mm)da 6-7 m di distanza, con l’asse otticoleggermente al di sotto della metà dellaaltezza dell’anfora.

I piatti - Se sono decorati vanno foto-grafati dall’alto, altrimenti possono esse-re ripresi con visione prospettica. In que-st’ultimo caso occorre porre particolareattenzione alla profondità di campo.

Lucerne - La fotografia è scattata dal-l’alto con luce radente per mostrare le de-corazioni poste sulla parte superiore. Laluce deve provenire nell’immagine dal-l’angolo in alto a sinistra.

I cocci - Vanno fotografati dall’alto; èinoltre preferibile accostare materiali chepresentino caratteristiche comuni e quindiche abbiano pressappoco lo stesso spes-sore, le stesse dimensioni, le stesse to-nalità cromatiche, per evitare che alcuninon siano poi ben distinguibili (fig. 34).

Le epigrafi - La posizione della sorgentedi luce, che deve produrre un fascio ra-dente alla superficie incisa, è importanteaffinché sia visibile l’incisione del testo.Inoltre con spostamenti accurati del puntodi illuminazione è possibile far emergere

ulteriori particolari, come l’eventuale pre-senza di linee d’impostazione, segni distrumenti di lavorazione ed il deteriora-mento del reperto.

L’illuminazione deve essere omogeneae a tal fine si può utilizzare un pannelloriflettente per le zone più scure. È impor-tante evitare che parte dell’incisione siacoperta da ombre.

Il punto di ripresa deve essere dall’altoper le epigrafi trasportabili; per quelle digrosse dimensioni ed immobili, la mac-china deve essere posta a metà dell’al-tezza dell’epigrafe con il piano della pelli-cola parallelo a quello sul quale si troval’incisione.

Le monete - La luce deve incidere sul-la moneta con un angolo di trenta gradi,magari usando un pannello per schiarirele ombre troppo pronunciate. Per mone-te molto lucide, d’oro o d’argento, le sipuò coprire con un contenitore di plasti-ca trasparente che diffonde omogenea-mente la luce e attenua i riflessi.

La gente - Non è solo importante foto-grafare materiali e strutture, ma anche lepersone che prendono parte all’attività;ritrarre i momenti di lavoro o anche quellimeno seri aiuta a produrre un ritrattocompleto dell’ambiente, umano oltre chepaesaggistico, in cui ci si trova ad opera-re. Queste ultimeimmagini, anche senon propriamenteutili per la docu-mentazione archeo-logica, servirannocome supporto visi-vo nelle conferenzedi presentazionedelle attività e forsesarà anche grazie adesse che qualcunodeciderà di aggre-garsi al mondo delvolontariato.

FIG. 34

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La strumentazione

Sorge in questa occasione il sospettodi cadere più che altrove in banalità o direalizzare la tradizionale “scoperta del-l’America”. Comunque pur tra questi ri-schi, verranno esposte alcune osserva-zioni che non hanno altra pretesa se nonquella di indicare soluzioni dettate dal-l’esigenza e dal buon senso.

Il supporto è tradizionalmente rappre-sentato dalla carta lucida mentre minorefortuna hanno incontrato, per ora, i sup-porti di plastica (Dauvois 1976). Gene-ralmente sono sconsigliati i tipi di mag-giore spessore: un foglio più rigido subi-sce in modo meno intenso le variazioniigrometriche e, specie per quanti hannoun primo approccio col disegno, i movi-menti dovuti al peso ed al trascinamentodella penna, le correzioni e le inevitabili“ditate”. In ogni caso è però convenienterealizzare una “brutta copia” su normalefoglio o cartoncino da disegno: essendola carta lucida trasparente, vi sarà facil-mente riprodotto solo dopo che vi sianostate apportate le necessarie correzioni.Infine data la scarsa rigidità del suppor-to, è consigliabile la conservazione deidisegni su carta lucida arrotolati.

Per quanto riguarda il mezzo, dato cheil disegno è destinato alla riproduzione etalora a riduzioni, si richiede sempre unostrumento che realizzi tratti molto netti:l’uso della penna a china tipo Rapido-graph è di certo prevalente. Non mancachi, soprattutto per il disegno osteologi-co, rivaluta la matita di grafite per la suacapacità di esprimere in modo più reali-stico i giochi chiaroscurali (Laurenta

Cap. 10 Il disegno dei piccoli reperti

1977). Battaglia aperta si ha invece a pro-posito del tipo di punta da utilizzare: l’ar-bitrio, o se preferite, il gusto personale lafanno da padroni; per altro bisogna te-nere presente l’eventuale riduzione a cui,come già accennato, i disegni dovrannoessere soggetti, ad esempio in sede dipubblicazione. Pertanto qui viene espres-sa una scelta personale, che vuole esse-re e, a Dio piacendo, è ben lontana daogni perentorio “ipse dixit”: le punte didiametro 0.2, 0.4, 0.6 mm risultano uti-lizzabili in combinazione ed in mododiverso a seconda del soggetto, ma laleggibilità del tratto e del puntinato èmantenuta intatta almeno sino alla ridu-zione ad un terzo (cioè ad 1/9 della su-perficie reale).

Potrà apparire superfluo e, ai meno in-dulgenti, ridicolo, ma fare in questa sedealcune osservazioni sull’uso degli stru-menti per correzione può avere il suo si-gnificato, se non altro per il “taglio” nonspecialistico dato alle presenti pagine. Sucarta lucida è bene evitare sia l’uso di la-mette (che potrebbero produrre, se uti-lizzate in modo scorretto, la rottura delfoglio) che delle gomme speciali per lu-cidi (che in realtà mostrano una capacitàabrasiva troppo limitata e comportanopertanto un eccessivo dispendio di tem-po): le comuni gomme utilizzate per i dat-tiloscritti possono invece essere adope-rate con buoni risultati.

Per poter delineare il perimetro ed ipunti più significativi di un oggetto, ci sipuò servire di mezzi diversi che mettonoin luce la capacità di ingegnarsi dei dise-gnatori. Due sono i problemi fondamen-tali che si incontrano: la disponibilità eco-

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nomica e la possibilità di spostare i re-perti dalle loro sedi per effettuare le ope-razioni di rilievo in laboratorio.

Uno

Strumento ideale sarebbe infatti il diop-tografo (fig. 35), nato dalle esigenze del-la ricerca osteologica, che presenta il gran-de pregio di ridurre gli errori di parallas-se: si tratta in sostanza di un pantografofornito ad un’estremità di un traguardovisivo, con cui possono essere eseguiti(e quindi riprodotti all’estremità oppostadella macchina) i contorni o taluni parti-colari interni dell’oggetto da disegnare; ildifetto sta nell’ingombro del dioptogra-fo, che ne esclude ogni mobilità.

Perfezionamento del dioptografo è unoapparecchio denominato “Fundstuckzei-chner”, brevetto (manco a dirlo) teutoni-co che risolve i problemi di peso e di in-gombro del precedente strumento; manon, purtroppo, quelli di carattere eco-nomico, trattandosi di un marchingegnomesso in commercio al costo di qualchemilione di lire.

È così che, più semplicemente, si met-te in atto l’arte più antica (ma non si par-la, forse, di archeologia?), quella di ar-rangiarsi, e si finisce per ricorrere a cali-bri, squadre, righelli e compassi.

REPERTO

CALIBRO A PETTINE

PROFILO

DENTI INMETALLO

Importanti per il delineamento dei pro-fili, sono i cosiddetti “calibri a pettine” (fig.36) che sono venuti sostituendo altriespedienti, come il filo di stagno, che of-frivano riproduzioni meno attendibili.

Il disegno dei piccoli reperti

•Piani di riferimentoCome per qualsiasi disegno tecnico,

anche il reperto archeologico viene pa-rallelamente inscritto in un parallelepipe-do costituito da sei piani ortogonali di ri-ferimento, su cui verrà riprodotto nellediverse norme l’oggetto in questione (fig.37). La disposizione di queste ultime neldisegno è invece svincolata dalla prassiconsueta: ciò avviene per l’industria supietra, metallo ed osso, come pure per ivasi.

A

AAB A B B

A

B

B

Nelle prime tre categorie (pietra, me-tallo ed osso) generalmente si procedeponendo, sul lato sinistro della facciadorsale (o principale), il profilo sinistroed a destra il profilo destro, alla cui de-stra viene ancora collocata la faccia ven-trale. Sopra la vista dorsale comparel’estremità distale (o terminale), sottoquella prossimale (o basale).

FIG. 35Il dioptografo.

FIG. 36Tramite l’utilizzo delcalibro a pettine siottengono rapida-mente i profili dei re-perti di piccole e me-die dimensioni.

FIG. 37Rappresentazione (stiliz-zata) secondo i piani orto-gonali di un’ascia in pietra.

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opera condizionati dal nostro occhio.A questo inconveniente si cerca di ov-

viare utilizzando, ad esempio, un diedro,costituito da due squadre (Dauvois1976), od un qualsiasi oggetto che siappoggi ortogonalmente al supporto:Quest’oggetto, reso tangente al contor-no del reperto, permette di ottenere sulfoglio una corretta proiezione ortogonale(fig. 39).

Non deve essere inoltre trascurata lapossibilità di operare con un calibro apettine: però l’uso di questo strumento èfattibile solo se si interviene su un ogget-to il cui perimetro da proiettare si ponesu uno stesso piano, parallelo alla me-desima proiezione. Dato che queste con-dizioni si realizzano di rado, l’uso più fre-quente del calibro a pettine concerne inpratica il delineamento delle sezioni.

Abbastanza semplice è anche (alme-no a parole) il reperimento di punti signi-ficativi all’interno del perimetro di un re-perto (ad esempio, le estremità di unatacca impressa sulla superficie di un fram-mento di terracotta o l’intersezione tradue creste su un manufatto di pietrascheggiata): è sufficiente puntare il com-

Invece per i vasi, data l’uniformità del-le pareti, viene rappresentata una solaveduta laterale. Questa è generalmenteriprodotta solo per metà, alla destra del-l’asse morfologico (ad esclusione di al-cuni casi particolari), mentre nella por-zione sinistra è presentata la sezione.Sotto questa vista principale viene dise-gnato il fondo, sopra la bocca (fig. 38).

Per altro, spesso un disegno non ripro-duce tutte le norme teoricamente previ-ste, se queste non offrono ulteriori infor-mazioni per la comprensione del reper-to: la morale è quindi che si cerca di di-sporre sì di tutti i dati possibili, ma anchedi risparmiare le fatiche superflue.

VISTA LATERALE

VISTA INFERIORE

VISTA SUPERIORE

• Delineamento dei contorni e deipunti significativi di un reperto

Non disponendo di strumenti quali ildioptografo, il problema più rilevante chesi incontra nel delineare i contorni di unreperto è rappresentato dagli errori diparallasse. Infatti, collocando l’oggettodirettamente sopra il foglio e cercando diproiettarvi il perimetro (ad esempio per-correndo il perimetro con una matita) si

FIG. 38Esempio delle di-verse viste chepuò assumere unreperto e che aiu-tano la leggibilitàdel disegno.

FIG. 39 - Metodo per ottenere una corretta proiezioneortogonale riducendo al minimo gli errori di parallasse.

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passo su uno di questi punti, partendoda altri due individuati sul perimetro; suldisegno il punto significativo sarà defini-to dall’intersezione dei due cerchi deline-ati col compasso e che hanno come cen-tro i punti scelti sul perimetro.

Talora si pone il problema di ricono-scere i punti significativi perché masche-rati dalle caratteristiche del materiale dicui è costituito il reperto (si pensi alla let-tura dei bordi di ritocchi su selci trasluci-de o delle estremità del tagliente di un’ac-cetta di pietra levigata): evidenziare que-sti particolari sull’oggetto servendosi diuna matita di grafite è ancora la soluzio-ne giudicata più ortodossa.

Affrontando questi discorsi, ci si puòdomandare quale sia il grado di precisio-ne richiesto per tali misure. Sinceramen-te mi fa un po’, amaramente, sorriderechi dice che “l’ideale a cui tendere sareb-be una precisione dell’ordine del decimodi millimetro” (Dauvois 1976): non per-ché sia un’affermazione errata, ma per-ché è proprio un ideale.

• Sezioni

Non si disporrebbe di fondamentaliinformazioni tecnologiche e funzionali suimanufatti se non se ne conoscessero lesezioni. Quali siano però le sezioni dav-vero utili per comprendere questi duefattori solo il lontano costruttore di que-sto oggetti potrebbe suggerircelo. Scar-tando come improponibili le soluzionimedianiche al problema, spesso si bran-cola francamente nel buio o si cerca qual-che risposta attraverso l’indagine speri-mentale: così, se almeno una sezione tra-sversale a metà lunghezza e longitudina-le a metà larghezza vengono sovente re-alizzate per strumenti allungati (lame liti-che, punteruoli in osso, spade, eccete-ra), lo si fa per una convenzione accetta-

ta con scarsa convinzione; oltre a ciò siagisce secondo punti di vista personali,operando con sezioni sui punti ritenutipiù significativi. In sostanza, nel dubbio,più sezioni si hanno e meglio è.

Più agevoli sono le scelte per le ripro-duzioni dei vasi: la sezione verticale del-la parete viene deposta come sopra indi-cato e, se necessario (soprattutto nel casodi frammenti con anse forate verticalmen-te), è realizzabile una sezione orizzonta-le, sopra la visione frontale del reperto.

Con quella raffinatezza tutta franceseche li contraddistingue, nella pasticceriacome nell’archeologia, nei profumi comenei disegni (e fermiamoci qui!), i colleghid’Oltralpe discriminano correttamente trasezione (“section”) e spaccato (“coupe”),sottolineando l’importanza di quest’ulti-mo, inteso come “una sezione comple-tata dal disegno delle parti visibili dell’og-getto al di là del piano di sezione in unadirezione determinata, indicata da unafreccia” (Laurent 1977 - Fig. 40).

Gli archeologi nostrani (e non solo loro,per onore di verità), che sorvolano su talidistinzioni, quando riproducono unospaccato a questa freccia proprio non ri-corrono! Il discorso vale anche per lospessore da dare in uno spaccato ai con-torni della sezione (che, comunque, do-vrebbero risultare più marcati).

Vi è poi la consuetudine di riempire lesezioni (non le altri parti di uno spaccatoné gli elementi plastici e le impressionisui vasi), ma sul “come” il dibattito è an-cora una volta aperto: al di là di chi rifiuta

FIG. 40 - Il disegno in “spac-cato” (in basso) consente, alcontrario della “sezione” ca-nonica, di poter osservareanche le parti visibili al di làdel piano di sezione .

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in modo ostinato questo riempimento(che appesantirebbe inutilmente il dise-gno nel suo complesso), si hanno i parti-giani del tratteggio obliquo che costitui-scono la maggioranza: tra questi preval-gono i fautori del tratteggio obliquo, dasinistra a destra, con inclinazione di 45˚)e quelli del completo annerimento dellesezioni (che hanno raccolti i “fans” piùaccesi tra i disegnatori di reperti metalli-ci). Ancora una volta ciascuno scelga lastrada preferita.

• Realizzazione del rilievo

Realizzare il rilievo significa esprimereil rapporto chiaroscurale, che a sua voltaè determinato dall’illuminazione ricevutadall’oggetto. Una volta tanto le conven-zioni reggono anche sul campo archeo-logico: uno dei più solidi pilastri di que-sta disciplina vuole che la luce pervengadall’alto a sinistra, con un’inclinazione di45˚. L’avvocato del diavolo a questo pun-to domanda: “Ma da quale altezza rispet-to al piano su cui è posto il reperto?” Esono di nuovo dolori! Ancora in questaoccasione ci si affida al caso, alle sceltesoggettive, che tengono conto almenoche l’ombra varia col variare dello spes-sore dell’oggetto riprodotto.

Se è chiaro che l’ombra si dispone sul-l’area opposta alla fonte luminosa, va poiaggiunto che una lieve ombreggiaturadeve anche comparire sul bordo in luce,come conseguenza della luminosità del-l’ambiente e come mezzo per meglio de-lineare il rilievo. Ma come può essere re-alizzata l’ombra?

Si è già parlato dell’uso della matita digrafite per suggerire l’ombra con lo “sfu-mato”. Per quanto concerne il disegnocon penne Rapidograph il rilievo può es-sere espresso attraverso tratti o con pun-tini. La prima tecnica incontra particolare

diffusione nel disegno dell’industria liticascheggiata, dove le fratture più o menoconcoidi si prestano in modo adeguatoall’ombreggiatura attraverso tratti curvi.Ancora discretamente apprezzato è l’usodei tratti per l’industria litica levigata non-ché nel disegno osteologico (fig. 41).

In questi casi spesso si ricorre ad unacombinazione delle due tecniche. Altri-menti, la vera sovrana dell’ombreggiatu-ra è la tecnica “a puntini”, che permettedi esprimere con maggiore facilità lo sfu-mare delle superfici più scure verso lapenombra ed offre quindi, nella rappre-sentazione delle superfici curve (si pensial corpo di un vaso), una riproduzionepiù realistica del soggetto rispetto a quan-to avviene con l’uso dei tratti.

Leggendo, i più si saranno chiesti qualisono i tempi per realizzare l’ombreggia-tura con la tecnica a puntini od a tratti ese non sia più rapido l’uso di retini sfu-mati, a puntini: a questo proposito c’è chiha provato e non ha ricavato risultati en-tusiastici (Guerreschi 1975); chi scrivenon può che confermare. Per quanto ri-guarda i tempi, è intuibile che l’uso deltratto li riduce e che comunque in que-sto ambito riveste un ruolo assai impor-tante l’esercizio. Inoltre i puntini od i trat-ti possono essere più o meno diradati,determinando così una maggiore o mi-nore rapidità di esecuzione: certo, se inlinea di massima il diradamento non nuo-

FIG. 41Esempi di ombreg-giatura ottenuta contratteggio (A) o contecnica a puntini (B).

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ce alla lettura del disegno, in termini este-tici il discorso cambia.

Una soluzione molto sbrigativa, ma cherisulta utile soprattutto per offrire un’im-pressione del rilievo di oggetti di piccoledimensioni o di reperti notevolmente ri-dotti (cfr. fig. 41) è data dal semplice in-spessimento del contorno nelle zone inombra (Laurent 1977).

Il disegno dei reperti

Molte parole (e pagine!) sono state spe-se per parlare del disegno di oggetti inpietra, in osso ed in terracotta e non ab-biamo certo intenzione di unirci a questotroppo autorevole coro con osservazionidi dettaglio. Per altro anche l’esperienzaacquisita personalmente ci ha convintoche almeno una categoria di reperti no-tevolmente importanti, i vasi appunto,meriti ancora qualche considerazione disintesi.

• Delineamento del profilo

Delineare il profilo di un vaso, se ne ègià parlato, è un’operazione resa abba-stanza agevole dall’uso del calibro a pet-tine. Il problema si pone nel momentoin cui, disponendo di un semplice fram-mento e non di un reperto conservatonella sua integrità, si deve orientare il pro-filo stesso: ci si chiede allora se si abbia ache fare con un recipiente di forma aper-ta o chiusa, a pareti verticali od oblique(e, nel caso fossero oblique, con qualeinclinazione). Si rende pertanto necessa-rio procedere attraverso una serie di ope-razioni. In primo luogo è importante ri-costruire il diametro ideale del vaso. Perquesta operazione si può procedere contecniche diverse.

Vi è chi utilizza una serie di semicerchi

con diametro progressivamente più am-pio, già preparati con cartoncino o plasti-ca. Con esso si cerca di fare collimare l’ar-co di cerchio ricavato dal frammento conil calibro a pettine (Guerreschi 1975): ilguaio è che la circonferenza irregolare delrecipiente può creare delle difficoltà di

FIG. 42 - Metodo degli archi di cerchio.

FIG. 43 - Metodo delle corde di cerchio.

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lettura e quindi essere causa di errorianche considerevoli specialmente se l’ar-co di cerchio desunto dal frammento èdi ampiezza più o meno modesta.

Un altro sistema (fig. 42) prevede in-vece la scelta di tre punti qualsiasi sul-l’arco: con centro in essi si descrivono colcompasso tre cerchi che si intersecano adue a due nei punti A e B; ripetuta l’ope-razione con un maggiore apertura delcompasso, si ottengono altri due puntidi intersezione (C e D); ancora, conside-rando le due rette passanti una per A e Ce l’altra per B e D, esse si intersecano inun punto O, che rappresenta il centro ide-ale del vaso (Guerreschi, 1975).

Una variante (fig. 43) non si serve delcompasso. Sull’arco di cerchio si descri-vono tre corde, anche in questa occasio-ne in modo casuale. Di ognuna si tracciala mediana. Le tre mediane si dovrebbe-ro incontrare in un solo punto se il cer-chio fosse regolare; dato che ciò si verifi-ca assai di rado, esse si intersecano, rea-lizzando un triangolo, al cui interno sicolloca il centro del vaso (Séronie-Vivien1975): più il triangolo è ampio e più l’ap-prossimazione sarà maggiore.

Comunque ottenuto, il diametro deveessere preso ad almeno due quote dif-ferenti del profilo del frammento: solocosì, conoscendo la differenza tra i duediametri, si potrà desumere l’orientamen-to del profilo.

Disponendo di un frammento di orlo evolendo evitare queste complicazioni, inteoria si potrebbe appoggiare “al foglioda disegno il reperto in modo che trepunti dell’orlo stesso collimino con la li-nea già tracciata del diametro all’orlo”(Guerreschi 1975): però risultati accetta-bili si possono avere con questa opera-zione di equilibrismo grafico solo nel casodi un orlo perfettamente rettilineo e suframmenti di discrete dimensioni.

Ma spesso la frammentarietà del reper-

to non consente la definizione del dia-metro: in tal caso la linea che collega laparte superiore della sezione del fram-mento alla sua visione frontale viene in-terrotta da una freccia zig-zag.

• Collocazione del frammentorispetto all’asse

È già stato osservato che in prevalen-za la superficie di un vaso è descritta sul-la destra dell’asse. In dettaglio si verificacomunque una situazione abbastanza di-versificata, soprattutto in base alle deco-razioni ed alle applicazioni che interessa-no la superficie stessa del frammento (fig.44).

La norma abbastanza seguita (Guerre-schi 1975) vuole che:

a) sia posto contro il profilo destro delvaso il frammento non decorato o deco-rato a linee orizzontali;

b) sia contro l’asse per reperti su cuicompaiono gli altri tipi di decorazione;

c) sia sull’asse nel caso in cui siano pre-senti elementi di sospensione;

d) sia alla sinistra dell’asse quando ilframmento è decorato internamente.

FIG. 44 - Collocazione del frammento rispetto all’asse.

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Per l’ennesima volta bisogna ricordareche si tratta di una normalizzazione dimassima e che quindi nella letteratura ar-cheologica si vedranno frammenti di vasicollocati un po’ dove capita, a dispettodelle regole.

Va ancora osservato che nel disegno ilframmento deve essere separato dallalinea che lo rapporta al profilo.

• Le decorazioni e le fratture

“Quinci incomincian le dolenti note / afarmisi sentire...”: mai ho avvertito l’at-tualità di Dante come in questo caso,pensando ai problemi che implica il di-segno delle decorazioni e delle fratture(e pensare che già la strada sin qui per-corsa non era proprio cosparsa di rose efiori!). L’unica variante rispetto ai guainormali è che, questa volta, le difficoltànon stanno tanto nella carenza o nellaconfusione di “convenzioni”, ma nellaresa effettiva della decorazione sul dise-gno, difficoltà che certo potranno esseremesse in luce durante l’esercizio praticopiù che con la lettura di queste pagine.

Per quanto riguarda la simbologia gra-fica, generalmente si accetta (Guerreschi1975):

a) la punteggiatura nelle impressioni(cioè nei solchi larghi, con bordi arroton-dati ed accentuati da un rigonfiamento,prodotti su superfici crude: Cima 1983);

b) un tratto continuo per il bordo inombra e per l’altro la punteggiatura nellesolcature (incisioni più o meno strette eprofonde, prodotte con una punta arro-tondata e quasi sempre a semicottura:Mezzena 1975-76);

c) due tratti paralleli nelle incisioni(come le precedenti, ma più strette, es-sendo prodotte da uno strumento affila-to);

d) chiare indicazioni per le ceramiche

graffite (decorate dopo la cottura) non sihanno; comunque è prevalente l’uso diun solo tratto continuo.

Bisogna anche ricordare che talora siutilizza il tratto continuo per rinforzarel’ombreggiatura di cavità (impressioniprofonde, occhielli di anse, eccetera:Guerreschi 1975).

Il discorso cambia invece per le terre-cotte dipinte, in prevalenza di età storica,per cui spesso si rinuncia, nella descri-zione grafica in bianco e nero, alle indi-cazioni cromatiche. Non manca qualchetentativo di introdurre norme a questoproposito, basate sull’uso di più tipi diretini plastici (Perin 1983): la speranza èche queste proposte possano avere unseguito.

La superficie di un frammento cerami-co, specie lungo i bordi, può essere inte-ressata da fratture. In questo caso il dise-gnatore ha modo di confrontarsi con duedivergenti tendenze: o vengono ombreg-giate con maggiore intensità rispetto allasuperficie integra o non sono riempite (inrealtà all’interno di queste fratture si haben poco da leggere attraverso il dise-gno tradizionale: la seconda scelta in fon-do corrisponde ad un risparmio di tem-po e di fatiche, ma anche ad una mag-giore chiarezza del disegno stesso).

Per delimitare una frattura dal restodella superficie viene utilizzato normal-mente un tratto continuo: sarebbe piùutile da un punto di vista grafico operarecon una penna dalla punta di diametrodiverso, più fine, rispetto a quella usatanel delineamento dei contorni.

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Il “Primo Soccorso” è l’aiuto che si dàimmediatamente ai feriti o a chi si senteimprovvisamente male, prima che inter-venga un esperto (medico o infermiere)o che arrivi l’ambulanza.

Il «primo soccorritore» non deve quin-di sostituirsi al medico, ma limitarsi a co-prire questo intervallo di tempo compien-do gesti precisi ed evitando azioni incon-sulte e dannose anche da parte di even-tuali persone presenti. Tenere sempre amente la «regola base» del primo soc-corso: meglio non fare che far male.

• Regole generali:- NON spostare l’infortunato se non è

chiaro cosa sia successo;- NON dare da bere (meno che mai be-

vande alcooliche);- allontanare la folla;- esaminare l’infortunato per capire cosa

sia successo e praticare i gesti previstidal primo soccorso per quel tipo di in-cidente;

- chiamare un medico o un’ambulanza,specificando i sintomi ed il luogo del-l’incidente.

• Asfissia - Mancanza totale di respirazioneQuando un «corpo estraneo» ostruisce

le vie respiratorie tentare di toglierlo se èin bocca o nelle prime vie respiratorie:introdurre con prudenza due dita a unci-no nella bocca. Non insistere per nonspingerlo più in giù; rovesciare l’infortu-nato a testa in giù sullo schienale di unaseggiola battendo sulla schiena; porsi allespalle dell’infortunato, inclinato in avan-ti, circondarlo con le braccia e portare leproprie mani allacciate una sull’altra (a

Cap. 11 Elementi di Primo Soccorso

formare un pugno unico) sulla boccadello stomaco ed eseguire una rapidacompressione (fig. 45).

• EmorragiaRicordare che: il caldo e gli alcolici dila-

tano i vasi; il freddo li restringe; l’agita-zione aumenta l’emorragia; il sangue «ar-terioso» zampilla e quello «venoso» cola,costante e uniforme.

Se l’emorragia è VENOSA: sdraiare ilferito; se si tratta di un arto, sollevarlo;compressione manuale e tamponamen-to sulla ferita con garza sterile o un faz-zoletto pulito, bloccare il tampone conuna fasciatura leggermente compressiva;freddo e ghiaccio sulla parte; non far berealcolici; trasportare il ferito al pronto soc-corso se necessario. – Se l’emorragia èARTERIOSA: applicare un laccio emosta-tico (strisce di stoffa larghe, cinture, fou-lard; NON spago, NON cordone, NONfili di ferro) ricordando che: si applica solosu braccio e coscia; può essere lasciatodai 25 ai 50 minuti circa; oltre questo li-mite si rischia la ischemia (assenza di ir-rorazione sanguigna nella zona esclusadal circolo); è quindi importantissimoscrivere l’ora esatta in cui è stato applica-to il laccio su un cartellino ed applicarlo

FIG. 45 - Asfissia.

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agli indumenti in modo visibile, perché illaccio può essere tolto solo alla presenzadi un medico.

• Emorragia dal nasoComprimere la narice che sanguina;

impacchi freddi sulla fronte e sulla nuca;inclinare la testa in avanti;

• Ecchimosi (lividi) ed Ematomi (bozzi)Applicazione di ghiaccio o di acqua

fredda subito; dopo il secondo giornopraticare impacchi caldi (favoriscono ilriassorbimento).

• FeriteOgni ferita è infetta; microbi dannosi

sono penetrati nella pelle e possono pro-vocare gravi conseguenze, perciò ogniferita deve essere curata.

• Medicazione delle feriteLavarsi le mani; far sanguinare la feri-

ta; lavare bene la ferita con acqua cor-rente e sapone per togliere polvere e ter-riccio procedendo dal centro verso l’ester-no. Usare garza che non lascia peli; di-sinfettare con acqua ossigenata; non usa-re alcool che danneggia le cellule, ritardala guarigione e provoca dolore; coprirecon garza sterile o mettere il cerotto.

• UstioniDi tre gradi: 1° grado: arrossamento

della pelle (eritema); 2° grado: presenzadi bolle; 3° grado: la pelle è carbonizzatao macerata. La gravità di un’ustione èdata dalla profondità (grado) e dall’esten-sione. L’ustionato ha sete e bisogna farlobere, proibito l’alcool.

• Primo soccorso delle ustioni sempli-ci: ustione di 1° grado poco estesa: im-pacchi di acqua fredda o ghiaccio. Si puòanche applicare del talco sulla zona. Sor-vegliare l’infortunato 24 ore per accertar-si che non abbia subito un colpo di calo-

re. Può anche avere febbre.Ustione di 2° grado con bolla delle di-

mensioni di una moneta: mettere la par-te sotto l’acqua corrente o usare ghiac-cio; NON bucare la bolla; l’unica pomatapermessa in questi casi è il «Foille»; quan-do la bolla si romperà c’è il rischio di in-fezione: disinfettare come una normaleferita e tenerla coperta con garza sterile;usare garza, MAI cotone.

Se l’estensione dell’ustione è maggio-re è sempre meglio portare l’infortunatoal Pronto Soccorso. Prima, però: versareacqua sulla parte o immergerla in acqua;NON applicare MAI pomate, né oli, négrassi; NON usare disinfettanti; coprirecon garza sterile e con un telo sterile; darda bere acqua con un pizzico di sale;NON somministrare alcoolici.

• FrattureSintomi: dolore violento, che aumenta

sul punto della frattura; l’arto può assu-mere un aspetto o una posizione incon-sueti; impotenza funzionale; in seguito,tumefazione ed ecchimosi.

Una persona può avere i sintomi di frat-tura, ma potrebbe trattarsi di una sem-plice distorsione. Il soccorritore non devefare diagnosi, ma si deve occupare del-l’infortunato come se corresse il massi-mo rischio e fosse fratturato: sdraiare l’in-fortunato.

Evitargli ogni movimento inutile; noncercare di levargli gli abiti o di farlo alzarese seduto o disteso. NON trasportarlo pri-ma che l’arto fratturato sia stato perfetta-mente immobilizzato; NON cercare di ri-mettere a posto le ossa fratturate.

Un’assicella di legno o di metallo, deigiornali arrotolati o qualsiasi altro mate-riale atto allo scopo può essere utilizzatoper immobilizzare un arto fratturato. Lafasciatura non deve essere mai troppostretta per non bloccare la circolazionedel sangue (fig. 46).

Page 66: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

64

• Regola Generale: nessuna frattura èrealmente immobilizzata se non vengo-no bloccate le articolazioni sopra e sottola frattura.

NON si fissa MAI uno steccaggio sulpunto della frattura, ma sempre al di so-pra e al di sotto.

Se si sospetta una frattura alla spinadorsale NON muovere l’infortunato machiamare il soccorso specializzato.

• AvvelenamentoStato di sofferenza dell’organismo cau-

sato dall’assorbimento di sostanze tossi-che e dall’azione che queste esercitanosulle principali attività fisiologiche.

Moltissime sono le sostanze che pos-sono provocare avvelenamento, quindiil primo soccorso varia a seconda dellasostanza.

Ci si atterrà, perciò, alle seguenti rego-le di comportamento generale in caso diavvelenamento: se l’infortunato è co-sciente chiedergli cosa ha ingerito; se èincosciente: mettere l’infortunato su unfianco, chiamare l’ambulanza specifican-do che si tratta di un avvelenamento; as-sistere l’infortunato se vomita; inviare oportare in ospedale i resti eventuali delveleno o del cibo sospetto, un campionedel materiale vomitato e un po’ di urina.

Non si deve provocare il vomito se nonè spontaneo, soprattutto negli avvelena-menti da sostanze caustiche (acidi ecc.);NON somministrare MAI bevande alco-oliche; NON somministrare latte: favori-sce l’assorbimento di alcune sostanzetossiche (per es. di antiparassitari o sol-venti).

• Intossicazione da alcooliciSi ha per ingestione di forti quantità di

alcool sotto forma di vino, liquori o birra.È lo stato di ubriachezza. Sintomi: altera-zioni nervose (dapprima euforia e loqua-cità, poi difficoltà di ragionamento e diparola; vede doppio, ha nausea, sonno-lenza, perdita dell’equilibrio). Primo soc-corso: se l’intossicazione è agli inizi e sela persona è cosciente: provocare il vo-mito; somministrare caffè (eccitante); seè incosciente non dare nulla da bere emetterlo su un fianco; se le condizionisono gravi portarlo in ospedale (fig. 47).

• Corpi estraneiNell’occhio: estrarre solo i corpi estra-

nei che si possono estrarre facilmente conl’angolo di un fazzoletto pulito. Se il corpoestraneo è piantato nella cornea: copriretutti e due gli occhi con una benda e por-tare in ospedale. Se un prodotto chimicoè spruzzato in un occhio: lavareimmediatamente con acqua corrente eportare in ospedale. Nell’orecchio: se è uninsetto si può mettere qualche gocciad’olio e tentare di farlo venire a galla. Nelcaso in cui non esca, portare in ospedale.Nel naso: premere la narice vuota e farsoffiare. Se non esce portare in ospedale.

• Punture di insettiEstrarre l’eventuale pungiglione con

una pinzetta (senza premere troppo);applicare una soluzione di acqua e am-moniaca (si trova già pronta in farmacia);spalmare una pomata antistaminica (Far-gan), bendare per proteggere da infezio-ni; in caso di puntura nella bocca che può

FIG. 46 - Come steccare una frattura.

FIG. 47 - In caso di avvelenamento o intossicazionestraiare l’infortunato su un fianco

Page 67: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

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far gonfiare il cavo orale e quindi provo-care problemi di respirazione: appoggia-re sulla base della lingua una stecca dilegno o il manico di un cucchiaio (perrallentare il rigonfiamento) e portare inospedale.

• Morso di viperaÈ un bene avere con sé del siero antio-

fidico, che va iniettato entro le due oredalla morsicatura per riuscire a salvaresicuramente la vittima. Stendere l’infor-tunato e applicare un laccio non moltostretto a monte della ferita. Si inietta metàfiala intorno al morso facendo 4-5 inie-zioni sotto la pelle. Per evitare reazioniallergiche in persona particolarmente sen-sibile, dopo la prima iniezione attenderequalche minuto: se non ci sono reazionilocali (rossore) si prosegue, altrimenti siinocula frazionando. Si inietta l’altra metàintramuscolo nella natica del lato interes-sato.

N.B. se ci si trova a poca distanza daun centro abitato si eviti l’iniezione e siporti la vittima da un medico o in ospe-dale. Se ci si trova senza siero antiofidicoe lontani da un centro abitato: laccio amonte del morso, non molto stretto eallentarlo ogni tanto; l’infortunato devestare immobile, NON farlo camminare(piuttosto portarlo in braccio); INCIDEREla cute sul punto del morso SOLO se ci sitrova molto lontani dai soccorsi. In que-sto caso: piccola incisione sulla parte efar uscire il sangue premendo a mano;NON si deve MAI succhiare; sommini-strare caffè forte come antidoto; il freddosulla parte rallenta la circolazione; lavarecon acqua (scioglie il veleno), NON usa-re alcool (fissa il veleno); calmare l’agita-zione della vittima.

• Perdita di coscienzaScomparsa della nozione della propria

esistenza e degli oggetti esterni. Le cau-

se sono molteplici ed il soccorritore nonè tenuto a fare diagnosi. Ci si regoli così:se l’infortunato è PALLIDO in viso lo simetta supino a gambe sollevate; se l’in-fortunato è ROSSO in viso lo si mettaseduto o semi seduto per far defluire ilsangue.

• SvenimentoSensazione di improvvisa debolezza

con tendenza alla perdita di coscienza.Fenomeno transitorio dovuto ad insuffi-cienza o cattiva irrorazione cerebrale.

Può essere causato, fra l’altro, da pres-sione bassa, digiuno, calore eccessivo,dolore, fatica, prolungata stazione eret-ta. Sintomi: il respiro è conservato; il pol-so è piccolo e lento; pallore, debolezza,vertigine, sudorazione; prima di svenirepuò avere dei sintomi premonitori: sen-sazione di malessere, nausea, capogiro.Primo soccorso: se non ha ancora persoi sensi lo si faccia sedere con il capo ed ilbusto protesi verso il pavimento, per farriaffluire il sangue al cervello; se è giàsvenuto: lasciarlo supino e sollevargli legambe (fig. 48); liberarlo da indumenticostrittivi, slacciare ciò che stringe (cintu-ra, ecc.); farlo respirare bene, non accal-carsi intorno; NON dar da bere alcoolici;NON dar da bere se è incosciente; NONspruzzare acqua fredda sul viso; NONdare schiaffi; dopo che si è ripreso: ac-qua e zucchero; non farlo muovere subi-to, ma lasciarlo disteso ancora un po’,perché il fatto può ripetersi.

FIG. 48 - In caso di svenimento, occorrefar riaffluire il sangue al cervello: per que-sto può essere utile lasciare supino l’in-fortunato e sollevargli le gambe..

Page 68: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

66

• Colpo di soleSintomi: cefalea, confusione mentale,

allucinazioni, talvolta anche cecità; ros-sore in viso; polso frequente; vomito;perdita di coscienza.

Primo soccorso: portare l’infortunato al-l’ombra; se è rosso in viso: posizionesemi seduta; impacchi freddi sulla frontee sulla nuca; far bere qualche sorso d’ac-qua NON gelata; NON provocare raffred-damenti troppo rapidi.

• Colpo di caloreSintomi: aumento della sudorazione,

poi secchezza della pelle; respiro super-ficiale e affannoso; pallore o anche con-gestione del volto; eccitazione nervosa;polso frequente; cefalea fino al delirio;crampi.

Primo soccorso: liberare dagli abiti;bagnare il corpo con acqua fresca (spu-gnature, oppure avvolgerlo in un lenzuolobagnato); ghiaccio sul capo; se è coscien-te dargli acqua con un pizzico di sale; seè cosciente e rosso in viso: posizionesemiseduta.

MATERIALE UTILEAL PRIMO SOCCORSO

- cotone idrofilo- compresse garza sterili- bende di garza- tubolari di rete di diverse misure- cerotti medicati- cerotto adesivo in nastro- alcool denaturato- antisettico incolore (Citrosil, Bialcol)- acqua ossigenata- forbici a punte arrotondate- termometro- spille di sicurezza- bende elastiche- ghiaccio sintetico- siringhe da 5 e 10 cc.- ammoniaca preparata (in farmacia, per punture di insetti)- Foille per ustioni piccole- Fargan pomata (punture di insetti)- siero antivipera- sapone Marsiglia- pomata per contusioni

Si fa seguire un elenco di medicinali,ricordando che ogni farmaco è di persé tossico in quanto sostanza estra-nea all’organismo: è quindi buonanorma somministrare farmaci SOLOsu indicazione di un medico.

- Aspirina cps.- Novalgina gocce- Buscopan cps.- Bentelan 0,5 cps.- Bimixin cps.- Plasil fi.- Glicerina supp.- Bactrim forte cps.

Page 69: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

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Avendo analizzato sommariamenteogni singola attività archeologica cerche-remo in questo paragrafo di ricapitolarele fasi principali attraverso le quali si at-tua lo studio storico di un’area.

Come è stato precedentemente accen-nato, la prima fase di studio si concretiz-za nella ricerca delle fonti scritte; questepossono essere di due tipi: dirette e indi-rette. Le prime sono di difficile reperimen-to e non possediamo alcuna fonte conriferimenti a luoghi e personaggi antece-denti ai poemi omerici (VIII sec. a.C. cir-ca): le fonti indirette sono più numerosema sovente le informazioni che esse ri-portano possono essere state alteratedall’autore per mettere in risalto fatti chenella realtà si erano svolti diversamente.

Ecco subentrare allora la seconda fase,cioè quella cosiddetta delle “prospezioniarcheologiche” (o ricognizioni) che ser-vono di fatto per confrontare le informa-zioni attinte dalle fonti storiche e lettera-rie, consentendo un riscontro pratico sulterreno.

Una volta attestata la frequentazioneumana in un sito si procederà allo scavo,il metodo più preciso e scientifico attra-verso il quale l’archeologo può ricostrui-re l’evoluzione di una zona nel corso deltempo, consentendoci contemporanea-mente di recuperare preziose testimo-nianze storiche.

Le ultime fasi di un’indagine archeolo-gica, ma non le meno importanti, sonolo studio del materiale di documentazio-ne (fotografie, rilievi, disegni, schede diricognizione, schede US, schede di cata-logazione, ecc.) e l’analisi dei reperti.

Arrivati a questa fase l’indagine archeo-

Conclusione

logica si ferma per lasciare posto allo stu-dio storico cronologico.

Tutte le informazioni che abbiamo fi-nora raccolto potranno quindi diventaredi pubblico dominio; come mezzo di di-vulgazione ci si serve in genere dei “Qua-derni della Soprintendenza”, che riporta-no in modo succinto ma chiaro tutte leoperazioni svolte sul sito e le deduzioniche ne derivano. Le Soprintendenze e leUniversità pubblicano regolarmente i ri-sultati degli scavi e delle operazioni con-dotte nella durata dell’anno; ma solo conl’analisi di resoconti costanti e di anni con-secutivi saremo in grado di disporre diun quantitativo di dati tale da permetter-ci di avviare finalmente il processo di ri-costruzione storica del contesto specifi-co (il sito scavato) all’interno del conte-sto più generale (il quadro storico-geo-grafico in cui si colloca il sito).

Il passo successivo si concretizza nellavalorizzazione di queste scoperte sotto ilprofilo storico culturale, ossia nel rende-re fruibile ad ogni cittadino il proprio pa-trimonio e le proprie radici di epocheanche remote.

In questo contesto la fanno da prota-gonisti i Gruppi Archeologici d’Italia, cheda anni ormai si occupano di accellerarequesto processo gratuitamente grazie alsupporto degli stessi cittadini che condi-vidono lo stesso interesse per il propriopassato e sentono la necessità di conser-varlo prima che l’azione distruttrice deltempo e degli uomini compromettano o,peggio, le cancellino definitivamente.

Il risultato tangibile di questo lavorosarà infine reso disponibile al pubblicopresso i luoghi preposti a questa funzio-

Page 70: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

68

ne: i musei. Essi non devono infatti ave-re solo lo scopo di esporre i frammentisuperstiti del nostro “mosaico” storico,ma devono rendere fruibile al pubblicosia i reperti sia le deduzioni che da essiderivano, esplicando una funzione emi-nentemente didattica.

Al fine di contribuire a questo progettoil volontariato in ambito archeologico siprefigge (in collaborazione con le Soprin-tendenze locali) di creare uno strumento

di supporto con il quale le Soprintenden-ze stesse possano compiere l’immensolavoro di salvaguardia dei beni storico-ambientali. In questa prospettiva speria-mo che il presente manualetto, che nonambisce a rivestire il ruolo di completovademecum archeologico, possa perlo-meno sensibilizzare l’interesse di chi staleggendo queste righe allo scopo di im-pedire che il nostro si riveli un sogno bel-lo ma effimero.

Tenete sempre a mente che il volontario in archeologia, a qualunque organizzazione ap-partenga, condanna e denuncia alle autorità qualunque attività di scavo clandestino dicui venga a conoscenza. In particolare, i Gruppi Archeologici d’Italia si sono sempre distintinella lotta contro il fenomeno dei tombaroli e contro tutti coloro che disprezzano l’uomoe le tracce del suo passato.

AD TUMBAROLES RUGENS

18 i

- 19

95

Page 71: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

69

Archeologia: disciplina che studia le coseantiche per documentare e comprende-re l’attività umana nel passato.

Attività di cantiere: insieme di attività chefanno capo allo scavo archeologico.

Carbonio 14 (o C14): Sistema di data-zione per reperti biologici basato sulla ca-pacità dei materiali organici di trasformareisotopi del carbonio in maniera costantedopo la morte.

Cronologia assoluta: datazione esatta diun reperto eseguita con metodi cronolo-gici assoluti (carbonio 14, Dendrocrono-logia, Analisi chimiche, ecc..)

Cronologia relativa: datazione relativa adindeterminato concetto di tempo - rela-zione prima/dopo rispetto ad un altro re-perto.

C.T.R.: Carta Tecnica Regionale

Documentazione grafica: Insieme di do-cumentazioni grafiche che fanno partedella documentazione dell’attività di sca-vo (rilievo, disegno, ecc..)

Diagramma Stratigrafico: Diagrammagrafico che esplica la successione deglistrati a volte anche cronologicamente.

Erosione: Insieme di processi ad operadi un agente atmosferico che si comple-ta in una serie di meccanismi di distru-zione/erosione, trasporto, e deposito/ac-cumulo di detriti.

Glossario

Fitogenesi: Processo di crescita e svilup-po dei vegetali.

Geologia: Scienza che studia la terra nel-le sue forme e modificazioni del passa-to, nei suoi materiali e nella sua evolu-zione.

Geomorfologia: Branca della geologiache studia le forme dei paesaggi geologi-ci (rilievi, ecc..).

Humus: Strato superficiale di terrenocomposto per lo più di materia organicadi provenienza vegetale, microfauna eresti biologici in decomposizione.

I.G.M.: Istituto Geografico Militare

Indagine archeologica: Insieme delle fasidi una ricerca che va dall’individuazionedi un sito, alla sua documentazione, alsuo scavo, alla pubblicazione dei risultatidella ricerca.

Interfaccia: Superficie che separa dueunità stratigrafiche.

Matrix: vedi Diagramma Stratigrafico.

Neolitico: Età preistorica che va dal 6°millennio a. C. fino alla metà del 3° mil-lennio a.C..

Orogenesi: Insieme di fenomeni geolo-gici (tettonica, movimento di zolle) cheportano alla formazione di rilievi mon-tuosi.

Page 72: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

70

Paleosuolo: Antica superficie di terrenoo meglio antico piano di calpestio.

Potenzialità archeologica: Probabilitàdella zona indagata di essere stata urba-nizzata e quindi la possibilità di trovareevidenze archeologiche. Zona che rispon-da ai criteri insediativi dell’uomo antico.

Prospezione archeologica: insieme di os-servazioni sul terreno e di ricerche sulterritorio allo scopo di ricercare nuovi siti,riscontrare indicazioni dalle fonti o anco-ra completare l’indagine bibliografica dairitrovamenti sul territorio.

Ricognizione: vedi Prospezione Archeo-logica.

Rilievo: Pianta dello scavo realizzata conmetodi di triangolazione e uso del livel-lo, per avere non solo un disegno delloscavo ma anche la posizione in piantaquotata di tutti i materiali rinvenuti in cor-so di scavo.

Reperti archeologici: Tutte le evidenze ar-cheologiche in termini di manufatti o og-getti d’uso quotidiano nel passato. Re-perti ceramici, litici, ossei, ecc...

Ricerca Bibliografica: Ricerca sulle fontiper la ricostruzione a priori dell’indaginesul territorio e la storia del sito, della zonanelle sue vicende ed evoluzioni. Studiodelle antiche cartografie per meglio capi-re le modificazioni del territorio. Ricercacatastale e da documenti dei comuni peravere ampio accesso sulle presenze ur-bane nel passato.

Saggio: Zona di scavo o porzione di ter-reno scavata per indagare la sua poten-zialità archeologica.

Scavo: vedi Scavo Stratigrafico.

Scavo Stratigrafico: metodo di scavo ar-cheologico che permette lo studio deireperti in base alla loro posizione tridi-mensionale-cronologica.

Stratigrafia: principio geologico che trat-ta la formazione dei bacini stratigrafici (de-positi) secondo le loro fasi di erosione -trasporto - accumulo e ne studia la cro-nologia.

Strato: Porzione di terreno delimitatacome deposito a sé stante e separatadalle altre da un’interfaccia. Esso rappre-senta il periodo di attività dell’agente ditrasporto che ha accumulato materiale.

Toponimo: Nome di luogo o località.

Toponomastica: Disciplina che studial’origine e l’evoluzione dei nomi dei luo-ghi.

Unità Stratigrafica (US): Strato o depo-sito delimitato per caratteristiche precisea cui è stata attribuita una sigla ed unacronologia.

Volontariato: Insieme di attività svolte daicittadini senza fini di lucro e atte a com-piere opere benefiche di pubblica utilità.

Page 73: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

Appendice ATavola Storico Cronologica 1

Ere Geologiche

Era Periodo Epoca Limiti Durata Organismi principali

Neozoica o OloceneQuaternaria

Pleistocene

Pliocene 3 Neogene

Cenozoica o Miocene 18Terziaria

Oligocene 14,5

Paleogene Eocene 16

Paleocene 11,5

Cretaceo 70Mesozoica oSecondaria Giurassico 57

Triassico 43

Permiano 49

Carbonifero 64

Paleozoica o Devoniano 57Primaria

Siluriano 35

Ordoviciano 60

Cambriano 70

ProterozoicoArcheozoica 4180o ArcheanoPrecambriano

?

invertebrati

pesci

piante terrestri

anfibi

rettili

uccelli

570

2600

3800

500

440

405

348

284

235

192

135

65

53,5

37,5

23

5

2

0,008

milionidi anni

milionidi anni

mammiferi

età della Terracirca 4,7

miliardi

di anni

Page 74: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

Preistoria eProtostoria

Cronologia Periodo FaseAssolutaa.C. 0 Orientalizzante Colonizzazione Greca

Età del FERROPrima età del Ferro

900Protogeometrico

1000 Età del BRONZO Cultura Villanoviana Finale Sub Miceneo

1200Bronzo Recente

Tarda

1500 Bronzo Medio Media

Bronzo Antico 2000 Antica

Eneolitico Tardo

ENEOLITICO o Eneolitico MedioCalcolitico

Eneolitico Antico 2800

3000 Neolitico FinalePrimi reperti in rame

Tardo Neolitico Superiore

4000 NEOLITICONeolitico Medio (3 fasi)

Medio 5000

Neolitico Antico (2 fasi) 6000 Antico 50.000 Superiore100.000 PALEOLITICO Medio

200.000 Inferiore

Appendice ATavola Storico Cronologica 2

Page 75: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

Appendice ATavola Storico Cronologica 3

Protostoriain Italia

Cronologia Periodo Fase FaseAssoluta Italia meridionale Italia centrale

0Età Romana-Punica Infl. Greca Etruschi-Italici

700Età del FERRO Magna Grecia Villanoviano

900 1000 Età del BRONZO

Finale PROTOVILLANOVIANO 1200

Tarda etàdel BRONZO SUBAPPENNINICO

1400 Media età APPENNINICOdel BRONZO

1600 Protoappenninico B

Antica età 1800 del BRONZO Protoappenninico A Gruppi di

Montemerano -Scoglietto

2000

NOTALe tavole cronologiche raccolte in queste pagine sono necessariamente incompletee principalmente a carattere indicativo. Le età storiche possono infatti collocarsi infasce temporali differenti a seconda della regione geografica che si considera; adesempio, parlare genericamente di Età del Ferro in Italia, senza distinguere le diversearee geografiche e le loro diversissime condizioni di evoluzione culturale ed artistica(il che necessiterebbe di un volume a parte) porta obbligatoriamente ad essereimprecisi per non diventare eccessivamente prolissi.Abbiamo tuttavia ritenuto che, seppure parzialmente incomplete dal punto di vistastrettamente scientifico e riferite ad un’unica corrente di pensiero (ciascuna correntepropone cronologie leggermente diverse fra loro), queste tavole possano comunqueessere d’aiuto per il neofita che si affaccia sul vasto panorama dell’archeologia.

Page 76: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

Appendice ATavola Storico Cronologica 4

Età Classica

Cronologia PeriodoAssoluta

fine VI sec. a. C.Età PUNICA

238 a. C.

Repubblicana27 a.C.

Età ROMANA

Imperiale456 d.C.

Periodo VANDALICO

534 d.C.Età BIZANTINA

IX sec. d.C.Età COMUNALE

XIII sec. d.C.Età ARAGONESE

1479 d.C.Età SPAGNOLA

1720 d.C.Dominio PIEMONTESE

1847 d.C.Regno SARDO - PIEMONTESE

1861 d.C.

Page 77: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

a.C. 6000 Lavorazione della selce, Neolitico- manufatti in legno, pietra, osso. Eneolitico

3000

2000

1900 Antica Raffinata produzione di manufatti litici e ossei,

Età del utilizzo di leghe 1500 BRONZO Media bronzee per la

fusione di oggetti metallici. Primi elementi ceramici caratterizzati da alta presenza

Recente di degrassante e 1200 generalmente

lavorata a mano. L'elemento datante per eccellenza

Sub è rappresentatoMicenea dalle decorazioni.

1000

Proto-geometrica

900

Appendice BTavola Crono-tipologica

Tipologiadei principali

manufattiCronologia Periodo Fase TipoAssoluta

Page 78: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

600

Etruschi

a.C. 900 Età del Prima età Miceneo FERRO del Ferro

Geometrico

Orientaliz- -zante

700

Raffinata produzione manufatti ceramici:

Colonizz. ceramiche decorate, Greca verniciate a figure

rosse o nere. Vasellame di qualità ad impasto molto fine e depurato. Ottima produzione di manufatti metallici in leghe bronzee e ferree. Lavorazione di oggetti litici per la produzione statuaria e architettonica

Arte Italica Produzione manufatti ceramici di qualità su modelli propri della ceramografia attica a fig. nere e rosse. Invenzione

Cronologia Periodo Fase TipoAssoluta

Page 79: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

71

Per la ricognizione archeologica:CAMBI/TERRENATO (1994), Introduzione all’archeologia dei paesaggi, RomaREDMAN C. (1982), Archaeological Survey, LondonID. (1991), Studi sul paesaggio, TorinoCARANDINI A. (1991), Storie dalla terra, Torino

Per lo scavo archeologico:BARKER P. (1977), Techinques of Archaeologic Excavation, London (trad. it. Milano1981)CAMILLI/ROMITI , Introduzione allo scavo stratigrafico, Dispense del Gruppo Arch.Romano.CARANDINI A. (1991), Storie dalla terra, TorinoFREDERIC L. (1967), Manual pratique d’archéologie, Paris (trad. it. Milano 1981)HARRIS E. C. (1979), Principles of Archaeological Stratigraphy, London (trad. it. Roma1983)MITCHELL E., Elementi di Ricognizione, Rilevazione, Tecnica di scavo, Restauro.Quaderno del Gruppo Arch. Romano.

Per la fotografia archeologica:NECCI M. (1992), La fotografia Archeologica, Roma

Per il disegno dei piccoli reperti:BERTONE A., Note sul rilievo dei piccoli reperti archeologici.

Bibliografia

Page 80: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

a.C. e produzione del bucchero. Eccellente lavorazione dei metalli in particolare dell'oro.

238

Tutta l'età Repubblicana romana è carat-

terizzata da un'ottima produzione di

Età manufatti e vasellame ROMANA in ceramica. Grazie

soprattutto all'influenza greca. Tra i tipi più pregiati della produzione

27 Imperiale romana vi sono oggetti

0 decorati a vernici rosse o nere, ceramiche invetriate e sigillate spesso ottimamente decorate.

d.C.

Cronologia Periodo Fase TipoAssoluta

Page 81: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

Cronologia Periodo Fase TipoAssoluta

d.C. V sec. Età Romana Bizantina Ceramiche di uso domestico raramente decorate.

Alta Ceramica semplice; Longobarda ottima lavorazione

dei metalli.

Età MEDIE- VALE

Bassa Nuovi elementi decorativi, appare evidente l'evoluzione delle forme; policromia, invetriatura, e nuove tecniche d'impasto. Maioliche.

Page 82: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

G . A . D ’ I T A L I A

Gruppi Archeologici d’Italia(G. A. d’Italia) sono una associa-

zione di volontariato che si occupa dellatutela, della valorizzazione e della salva-guardia del patrimonio storico, archeolo-gico e più in generale culturale del nostroPaese, collaborando con le istituzioni pre-poste a questi compiti, quali le Soprinten-denze competenti per territorio ed i Musei.

I soci impegnati nelle diverse attivitàgestite ed organizzate dai G. A. d’Italia nonvogliono in nessun modo sostituirsi allecompetenti autorità: riteniamo però chesolo la collaborazione tra le istituzioni etutte le persone interessate alla valorizza-zione del nostro patrimonio culturale pos-sa colmare le inevitabili carenze che unapproccio di tipo esclusivamente burocra-tico ed accademico può causare nellagestione di tali risorse del nostro Paese.

Non occorre nessun prerequisito perpartecipare alle attività sociali: esse sonorivolte alla generalità dei cittadini, perchériteniamo che per interessarsi di archeolo-gia e di arte non occorra nessuna prepara-zione culturale specifica né sia indispensa-bile possedere doti psicofisiche eccezio-nali, ma siano sufficienti la passione e lavolontà di dedicare parte del proprio tem-po libero alla realizzazione degli scopisociali.

I G. A. d’Italia, fondati circa una trentinadi anni or sono a Roma da LudovicoMagrini, hanno condotto attività di ricercaarcheologica in collaborazione con diffe-renti Soprintendenze Archeologiche, di-

stribuite in tutto il territorio italiano. Que-sta attività è stata sempre finalizzata allasuccessiva valorizzazione delle aree inda-gate, così da renderle fruibili dalla interacollettività: recentemente è stato istituitol’Archeodromo dei Monti della Tolfa, unitinerario storico e naturalistico che coronaventi anni di ricerca archeologica nel terri-torio della valle del Mignone.

Analogamente, l’attività di scavo con-dotta nel comprensorio della Via Amerina(presso Civita Castellana) condurrà nelbreve periodo all’istituzione di un ParcoArcheologico.

I G. A. d’Italia collaborano inoltre con laProtezione Civile nell’opera di recuperodelle evidenze archeologiche danneggiatedalle calamità naturali: per esempio l’in-tervento dei soci dei G. A. d’Italia ha con-tribuito ha ripristinare il frontone dellachiesa romanica di San Pietro a Tuscania,andato parzialmente distrutto durante ilterremoto del 1976, ed attività simili sonostate condotte anche durante i terremotidel Friuli e dell’Irpinia.

I G. A. d’Italia sono costituiti da sedilocali distribuite su tutto il territorio nazio-nale, che espletano la loro funzione suaree geografiche più ristrette. Nell’ambitodi questi gruppi i soci, circa cinquemila,possono svolgere secondo i loro interessie le disponibilità di tempo le attività a loropiù congeniali, collaborando con le So-printendenze Archeologiche, i Musei e leistituzioni comunali per la realizzazionedelle finalità sociali.

Profilodei Gruppi Archeologici d’Italia

Gruppo Archeologico Torinese
Note
Dal 1° Gennaio 2006, dopo oltre vent'anni di intensa collaborazione, il GAT non aderisce più ai Gruppi Archeologici d'Italia. Sebbene i soci GAT vengano tuttora formati nel rispetto dei valori fondanti dei G.A. d'Italia, il Gruppo Archeologico Torinese non si riconosce più nelle linee guida propugnate dall'attuale (2007) Direzione Nazionale che, sminuendo sempre più le attività di volontariato puro, favorisce formule miste anche a prevalente carattere economico. Il GAT continua a credere che fare volontariato nella totale gratuità delle prestazioni offerte sia non solo possibile, ma doveroso e necessario.
Page 83: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

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StampaTipolitografia Noire

Torino, febbraio 1996

Page 84: MANUALE DEL VOLONTARIO IN ARCHEOLOGIA

In questo testo abbiamo raccolto una serie di informazioni relative ai compiti

che spettano al volontario che intenda operare nell’ambito archeologico,

con l’intento di realizzare un documento che rispondesse alle più svariate domande sul tema

in maniera chiara e semplice, ovvero uno strumento

che il volontario potesse tenere con sé in ogni momento dell’attività archeologica

per coprire eventuali lacune o approfondire (entro limiti accettabili)

certi aspetti in maniera autonoma.